#CODA - I segni del cuore
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Nella scuola italiana, l’integrazione scolastica degli studenti con disabilità è un’attività da tempo consolidata. Tuttavia, proprio per questo, può ridursi a una procedura precipuamente attenta alla correttezza formale di adempimenti burocratici. Ottemperanze, spesso delegate ai docenti per il sostegno, che, obliando il senso pedagogico, culturale e sociale dell’integrazione, depauperano il processo di crescita degli studenti con disabilità e dei loro compagni.
Pertanto le aule scolastiche devono essere luogo di sviluppo culturale, sociale e personale per tutti e per ciascuno degli studenti presenti. Operativamente, concretare il PEI Piano Educativo Individualizzato come parte integrante della programmazione didattica del Consiglio di classe.
In questo scenario, potrebbe essere utile conoscere “Nuovi sguardi sulla disabilità”. Sussidio pastorale preparato dalla CNVF Commissione nazionale valutazione film e dal Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità.
Infatti, in una società in cui le persone con disabilità sono da sempre una minoranza, la loro rappresentazione attraverso il cinema e l’audiovisivo può favorire una conoscenza più articolata della disabilità, comprendendone passaggi di vita e sfide da affrontare. Lo sguardo del cinema suggerisce prospettive diverse con le quali accostarsi a questa tematica e attivare un linguaggio nuovo. È fondamentale, infatti, modificare le dinamiche mentali e le “posture” che spesso mettiamo in atto nei contesti dove la società si approccia alla disabilità.
Curato da Massimo Giraldi, Sergio Perugini ed Eliana Ariola, il Sussidio permette di cogliere un importante cambio di passo nella linea di racconto della disabilità tra cinema e Tv: via sguardi piani, drammatici e apertura a un racconto più articolato, complesso, persino vivace e nel segno della commedia.
Sei i titoli suggeriti:
— Campioni (Champions, 2023) di Bobby Farrelly;
— Houria. La voce della libertà (2023) di Mounia Meddour; Still. La storia di Michael J. Fox (2023) di Davis Guggenheim;
— Non così vicino (A Man Called Otto, 2023) di Marc Forster;
— Quando (2023) di Walter Veltroni;
— I segni del cuore. Coda (Coda, 2021) di Sian Heder.
A questi si aggiunge una scheda sui trentacinque anni di Rain Man, un film che ha lasciato un segno tra Oscar e sguardo sociale sul tema della disabilità.
Con Rain Man, è giusto ricordarlo, per la prima volta, il grande schermo mette al centro di un racconto una persona con autismo – oggi Disturbo dello spettro autistico – una patologia complessa le cui cause risultano ancora sconosciute. La ricerca e la scienza fanno il loro corso e molti passi avanti sono stati fatti, ma ciò che più conta è che sta cambiando l’approccio: non si tratta più di “tenere al sicuro” quanto piuttosto di accogliere, valorizzare e integrare nella scuola, nell’arte, nello sport e nel lavoro. Ogni persona con disabilità (e no) è unica e cela dentro di sé un tesoro prezioso che chiede solo di essere scoperto.
“Nuovi sguardi sulla disabilità”
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Campania: "Fuori Campo", il cinema entra nelle scuole campane
Campania: "Fuori Campo", il cinema entra nelle scuole campane. Il cinema entra nelle scuole della Campania. Prende il via “Fuori Campo – Percorsi di Film Literacy e Cinema diffuso”, progetto curato dall’associazione Arci Movie Napoli, sostenuto dal piano “Cinema e immagini per la Scuola” promosso dal Ministero della Cultura e dal Ministero dell’Istruzione e del Merito http://www.cinemaperlascuola.istruzione.it, e realizzato insieme ad associazioni, scuole, università e mediateche. La Settima Arte raggiunge i più giovani attraverso proiezioni, laboratori, incontri formativi e altre iniziative che si svolgeranno tra marzo e maggio, coinvolgendo registi, docenti e altri esponenti del mondo del cinema e dello spettacolo come Agostino Ferrente, Alessandro Rak, Giacomo Ravesi, Angelo Cretella, Artemide Alfieri, Nazareno M. Nicoletti e Andrea Canova, che incontreranno studenti e inseganti nelle diverse attività così da dialogare con loro. “Fuori Campo” porta in quattro province campane iniziative di educazione all'immagine, promuovendo il cinema dei documentari, dei film indipendenti e del cinema d'autore così da approfondire il linguaggio audiovisivo, affrontare l’attualità e favorire anche la conoscenza del territorio. Il progetto parte dall’idea cinematografica del “fuori campo”, di ciò che non è nell’inquadratura, quindi non al centro dell’attenzione, per valorizzare proprio un cinema non mainstream, coinvolgendo otto istituti scolastici delle aree interne della Campania e della periferia di Napoli: le scuole Pertini Don Guanella, Bordiga e Sauro Errico Pascoli proprio a Napoli, il Sant’Angelo a Sasso, il Virgilio e il Galilei Vetrone a Benevento, il Perna Alighieri ad Avellino e il Liceo Manzoni a Caserta. Trentadue proiezioni di film e documentari per studenti e insegnanti, diversi film in lingua originale, dodici incontri formativi per il personale docente sull’uso dell’audiovisivo nella didattica tenuti da operatori riconosciuti dal Ministero, sei laboratori sull’audiovisivo per sensibilizzare i giovani all’uso degli smartphone con approfondimenti sul linguaggio cinematografico. Quasi 1800 studenti coinvolti tra scuole medie e istituti superiori, insieme a loro oltre 180 docenti. Le iniziative animeranno gli auditorium di numerosi istituti scolastici campani e tre sale: il cinema Astra e il cinema Pierrot a Napoli e il cinema Partenio ad Avellino. In particolare, tra i film scelti per la rassegna ci sono diversi documentari sia nazionali che internazionali, quali “Selfie” di Agostino Ferrente, un intenso racconto della storia due giovani cresciuti nel Rione Traiano di Napoli, “Flee” di Jonas Poher Rasmussen, pluripremiato documentario animato che racconta la tragedia delle guerre in Afghanistan, “La carovana bianca” di Angelo Cretella e Artemide Alfieri, un affresco umano della comunità di un circo al tempo del covid, “Antropocene – L’epoca umana”, quadro lucido sul disastro che l’uomo sta arrecando all’ambiente, “La timidezza delle chiome” di Valentina Bertani, interessante coming of age di due fratelli israeliani con disabilità mentale e con un grande carisma. Per la finzione, invece, ci saranno “Yaya e Lennie – The Walking Liberty” di Alessandro Rak, altra importante opera di animazione made in Naples dell’affermato regista napoletano, “Bangla” di Phaim Nuyan, ritratto giovanile sull’integrazione, “Dolcissime” di Francesco Ghiaccio, opera delicata tutta al femminile sul body shaming e sul bullismo, e, infine, il premio Oscar dello scorso anno “CODA - I segni del cuore” di Sian Heder, previsto in lingua originale. Alla base di “Fuori Campo” l’idea di una formazione, quanto più necessaria rispetto all’audiovisivo, e la ripresa, per Arci Movie, di un lavoro con le scuole messo in campo da oltre trent’anni, questa volta in sinergia con tante realtà territoriali importanti come le associazioni Kinetta Spazio Labus, Arci Benevento, Zia Lidia Social Club e Spaccio Culturale, la cooperativa Mutamenti, la Mediateca il Monello, il Marano Spot Festival e il Centro Linguistico di Ateneo dell’Università Federico II. Tra i moderatori degli incontri, oltre ad Antonio Borrelli (Responsabile Scientifico del progetto) e Roberto D’Avascio (Presidente di Arci Movie), ci saranno Chiara Rigione (regista e montatrice), Michela Mancusi (operatrice culturale e componente della Commissione Ministeriale Direzione Generale Cinema), Francesco Massarelli (operatore culturale e direttore artistico Cinema Teatro Ricciardi di Capua), Simona Genovese (critica cinematografica), Antonella Mancusi (giornalista e scrittrice) e Lorenzo Criscitelli (esperto di cinema). “In un momento di forte criticità per il Cinema, provare a ripartire da un’educazione alle immagini per una platea più giovane, come quella scolastica, è un obiettivo fondamentale per far sì che le nuove generazioni possano guardare all’arte cinematografica come strumento di incontro, di riflessione e di socialità. La pluralità della rete che organizza il progetto insieme ad Arci Movie, composta da otto scuole insieme a tante eccellenze locali, punta proprio a mettere in campo un lavoro formativo sinergico ad ampio raggio sul territorio regionale, per cercare di arrivare in profondità e diffondere, inoltre, un cinema poco visto come quello documentaristico”, afferma Antonio Borrelli, responsabile scientifico di Fuori Campo. “Fuori Campo - Percorsi di Film Literacy e Cinema Diffuso” è un progetto di Arci Movie realizzato nell’ambito del Piano Nazionale Cinema e Immagini per la Scuola e si svolge, in particolare, nell'ambito di CIPS – Cinema e Immagini per la Scuola http://www.cinemaperlascuola.istruzione.it... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Victor non aveva l’aria di essere poi così entusiasta di fare da guida, avrebbe preferito di gran lunga restarsene in palestra ad allenarsi, del resto molti potevano contare sui propri marchi, sul potere che da questi derivava… ma non lui, Victor era nato senza marchio e l’allenamento era tutto ciò che gli restava per tenersi al passo con gli altri per cui, rinunciarvi anche soltanto per qualche ora, non gli piaceva affatto.
Della nuova arrivata ne parlavano da giorni, da prima che i due cacciatori la trovassero. Quello di lei era un marchio molto raro e i poteri che era in grado di conferirle avrebbero reso più semplice il lavoro di tutti, Victor però sembrava di un avviso diverso, a lui non importava un bel niente di vedersi alleggerire il peso del proprio compito. Combattere gli piaceva e sforzarsi giorno dopo giorno di riconoscere i segni che i demoni lasciavano lungo la loro strada, gli teneva aperta la mente.
Così, con lo sguardo un po’ cupo e i capelli stretti in una coda bassa, Victor si stringeva tra i lembi di una felpa rossa, con l’aria un po’ assente. Sapeva che la ragazzina di fronte a sé avrebbe permesso a tutti loro di stanare più facilmente i demoni, Victor però doveva trovare abbastanza divertente la fase della ricerca. In pochi, in quell’accademia, sapevano combattere i demoni come sapeva farlo lui, per la sua giovane età, Victor era sempre stato considerato un prodigio: le due lame gemelle, che aveva scelto come armi-guida, sembravano semplicemente il prolungamento naturale delle sue braccia e la paura non aveva radici nel suo cuore, era un sentimento del tutto sconosciuto. Una terra selvaggia che Victor non era mai stato in grado di esplorare davvero.
—Si, lo so chi sei.
Non ammansì l’aria antipatica che doveva trasparire da ogni poro della sua pelle diafana. Victor sistemò pigramente le mani nelle tasche della felpa e superò la ragazzina, fermandosi ad attenderla poco dopo.
Fuori il vento si era fatto più forte, il rumore dello spezzarsi di qualche ramo si mescolava agli ululati delle sferze tra le foglie.
Alla schiena, al di sotto della stoffa sottile, emergevano le linee rigide delle due lame che il ragazzino teneva incrociate. Se ne separava solamente quando strettamente necessario. La punta delle lame foderate spuntava dal bordo della felpa, al di sotto, impossibili da celare completamente.
—Cosa ti hanno detto, comunque?
chapter i
rey&victor
Maybe my heart is the moon and hers is the sun and everything else is gravity.
Le avevano detto che era una predestinata.
Le avevano detto che sarebbe spettato a lei cambiare il mondo, un mondo fatto di segreti e misteri che nessuno, se non pochi eletti, erano in grado di conoscere.
Proliferava un'esistenza intera al di sotto di quella notoriamente conosciuta, la stratificazione del male e del bene. Le avevano parlato delle luci e delle ombre che si inseguivano ed annullavano pedissequamente, L'ambivalenza che reggeva insieme le sorti del mondo, legandole insieme in maniera indissolubile. La guerra a campo aperto tra i cacciatori ed i demoni, per proteggere il genere umano dall'inferno e le sue fiamme.
Rey avrebbe voluto scoppiare a ridere e suggerire loro di dedicarsi alla stesura di un romanzo in merito ed invece, non era stata in grado neppure di mettere in dubbio una parola. Perché qualcosa dentro di sé era sempre stata a conoscenza dell'esistenza di una verità più grande e sconsociuta.
Rey sapeva di essere differente dai propri coetanei, era stata tormentata da incubi fin dalla più tenera età, vedeva cose che non avrebbero dovuto esistere ed era perseguitata da ombre che non la lasciavano mai sola. Si era guadagnata diverse sedute da psicologi di varia specie prima essere indirizzata sulla via degli psicofarmaci.
E per qualche tempo, l'inibizione dei farmaci aveva allontanato i mostri. Poi un giorno essi erano tornati, ma questa volta in carne ed ossa e Rey aveva visto la forma del mondo per la prima volta. I cacciatori che le avevano salvato la vita le avevano spiegato che la macchia a forma di luna che aveva sul polso non era una voglia come aveva sempre creduto, era un'eredità di qualche antenato che aveva riversato in lei un potere misterioso e unico.
[...]
Rey aveva raggiunto Londra con l'assenso ambiguo dei suoi familiari. Era arrivata all'accademia scortata dai due cacciatori che l'avevano salvata e che, da quel momento, non l'avevano lasciata sola neppure per un momento. Aveva trascorso quei giorni in uno stato catatonico, in cui aveva parlato poco e niente ed aveva osservato lo scorrere degli istanti come se fossero misera polvere. Nella testa vorticavano gli interrogativi della propria esistenza e metteva in discussione tutto ciò che aveva dato per certo fino ad allora. Allo stesso tempo, quasi come un paradosso dai contorni sfumati, Rey era certa di non essersi mai sentita più viva di così. Come se, passo dopo passo, stesse raggiungendo la vera sé stessa, quella che avrebbe dovuto essere fin dal principio e che era stata rinchiusa nella gabbia di una finta normalità a cui ella non era mai appartenuta.
Forse ogni minuto, aveva avuto il solo scopo di portarla fin lì, ai cancelli alti e neri di quell'edificio antico che nascondeva, dietro le sue pietre, le verità dell'universo.
Era uscita dall'ufficio del preside senza averci capito granché. Le erano state offerte troppe nozioni e Rey ne aveva incamerate ben poche, così, considerata la sua scarsa partecipazione e lo sguardo vacuo che aveva dedicato all'occasione per tutta la durata del colloquio. Era stato stabilito che il tour della scuola ed il restante delle regole le fosse spiegato da uno studente come lei.
Rey aveva annuito e si era messa in piedi come un automa, poi aveva incrociato le braccia al petto ed era rimasta in attesa, mentre uno dei due cacciatori le rivolgeva qualche parola.
-Ecco qui lui è Victor ti farà fare il giro. Fai la brava ragazzina ci vediamo più tardi mh?
Rey fece un cenno del capo ai due uomini e poi rivolse la propria attenzione al ragazzo che le avevano indicato come Victor.
-Io sono Rey, la studentessa nuova.
@victory-raven
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CODA, I SEGNI DEL CUORE
Cosa hanno in comune il canto con la pesca? Poco, ma spesso proprio da questi contrasti tematici può nascere una storia che ha la sua ragion d’essere. Ed è così per “CODA, l segni del cuore” il bel film di Sian Herder. CODA, che è l’acronimo di “Children of Deaf Adults”, è il remake del film francese “La famiglia Belièr” (dove anziché di pescatori americani, si trattava di contadini della Normandia). Come se non bastasse, a complicare le cose, al titolo in lingua inglese, il distributore italiano, sempre più realista del re, ha pensato bene di aggiungerci un superfluo, banalissimo, svilente e sdolcinato sottotitolo, “I segni del cuore”. La storia è ormai nota: Ruby (nome che agli italiani evoca ben altre trame) è una bambina figlia di pescatori non-udenti che aiuta la famiglia nel supporto ai rapporti con gli udenti (speriamo di essere stato abbastanza politically correct). Ma il destino le fa incontrare al college uno stravagante maestro del coro, Bernardo Villalobos, che vede in lei una promessa del canto. Naturalmente ciò crea non pochi problemi alla famiglia che, dopo ovvie e prevedibili traversie, decide di lasciarle prendere il volo verso l’Università e verso la legittima passione per la musica. Una storia come tantissime altre e con il consueto lieto fine di prammatica in questi casi, ma comunque un film di una certa grazia e con, indubbiamente, un’ambientazione piuttosto originale, la cittadina di Gloucester nei pressi di Boston, con una bella colonna sonora, con al centro quella gemma di canzone che è “'Both Sides Now” di Joni Mitchel che i lettori più agé certamente ricorderanno. Insomma soggetto originale, bravi gli interpreti e la protagonista (Emilia Jones), bella l’ambientazione, forse però, un po’ troppo premiato.
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CODA
Scheda informativa
Regia: Sian Heder
Cast: Emilia Jones (Ruby Rossi), Eugenio Derbez (Bernanrdo Villalobos), Troy Kotsur (Frank Rossi), Ferdia Walsh-Peelo (Miles), Daniel Durant (Leo Rossi), Marlee Matlin (Jackie Rossi), Amy Forsyth (Gertie), Kevin Chapman (Brady)
Produzione: Vendôme Pictures, Pathé Films
Fotografia: Paula Huidobro
Musiche: Marius de Vries
Costumi: Brenda Abbandandolo
Montaggio: Geraud Brisson
Uscita: 28 gennaio 2021
Durata: 111 minuti
Trama
A Gloucester, nel Massachusetts, Ruby Rossi è l’unico membro udente della sua famiglia. I genitori Frank e Jackie e il fratello maggiore Leo sono, infatti, tutti sordi, e per questo motivo Ruby li aiuta con l’attività di pesca di famiglia, con l’intenzione di unirsi a tempo pieno dopo aver terminato il liceo.
Recensione
Il film CODA, ovvero Club of Deaf Adults, all’inizio, non sembrerebbe essere nulla di particolare, e addirittura sembrerebbe forse essere un po’ pieno di cliché. Ma non è nulla del genere. CODA è, infatti, un film al contempo scorrevole e profondo, nel quale la disabilità della sordità è la vera protagonista della pellicola: si è costretti a seguirla – anche se la si vede in streaming – nelle comodità della propria abitazione, in quanto la lingua dei segni, è totale protagonista, così come il gioco effettuato con i suoni. La regia e la fotografia non sono “nulla di che”, ma essendo che la sceneggiatura racconta di una famiglia come tante, pur con le sue particolarità, ambientata in una cittadina statunitense nelle quali si riconoscono le caratteristiche culturali sono riuscite. Entrando nel merito della sceneggiatura, si può dire che la trama non sia tra le più originali, ma è comunque molto significativa: una ragazzina di diciassette anni che ha già deciso di sacrificare le proprie passioni per dare una mano alla propria famiglia è una scelta quanto mai onorevole. Per quanto riguarda la recitazione, c’è da dire che è stata una piacevolo scoperta l’ingaggio degli stessi attori Troy Kutsur, Marlee Matlin e Daniel Durant, realmente sordi, che hanno reso la recitazione ancora più vera e commovente.
Valutazione
★★★★★ 5/5
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OSCAR 2022 | Timothée Chalamet rockstar del red carpet. L'inclusività dilaga nei premi a miglior film, migliori attori non protagonisti e regia
OSCAR 2022 | Timothée Chalamet rockstar del red carpet. L’inclusività dilaga nei premi a miglior film, migliori attori non protagonisti e regia
Serata movimentata quella degli Oscar 2022. L’evento più eclatante è stato Will Smith che ha mollato un pugno a Chris Rock salendo sul palco: in realtà si trattava di una manata ma è stato un gesto di violenza gratuito e non necessario. La battuta di Chris sui capelli rasati di Jada Pinkett Smith è stata infelice perché l’ha paragonata a G.I. Jane, forse però non sapeva che la moglie di Smith ha…
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I segni del cuore - CODA - Siân Heder https://ift.tt/kMKDU47
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Patel et al., "Beauty and the Mask"
Capita spesso che in coda alle casse ci si perda un po' via. La musichetta indistinta che fa da sottofondo alla ricerca degli sconti, le liste semi-infinite da cui scappano sempre beni fondamentali, il tripudio di prodotti di pulizia che mi lasciano sempre perplesso. Se poi, come spesso capita, la lista è fatta da altri familiari, Google deve correre in aiuto. Per capire cosa fossero "le svizzere", o strane marche che hanno smesso di essere prodotte nel '95, spesso nemmeno Google basta, e la solenne massima "chiedi e ti sarà dato" diventa la maledizione dei commessi e delle commesse. Così, alla fine delle capitalistiche fatiche di destreggiarsi tra sconti-non-così-sconti e la tentazione di nascondere un amaro per le lunghe sere d'inverno nelle altrettanto lunghe pieghe dello scontrino, la mente placidamente vaga nei pensieri più stupidi, e capita di soffermarsi ad ascoltare le conversazioni tra chi sta in cassa e i clienti. La cosa bella di un piccolo paese è che, conoscendosi un po' tutti, si può tranquillamente indugiare in chiacchere e racconti anche imbustando con cura le uova. Di solito si parlava del più o del meno, del tempo, delle offerte a punti, della presunta bontà della zucca in offerta. Da marzo scorso, vuoi perché l'unico luogo di socialità a lungo concesso è stato appunto la corsia del supermercato, vuoi perché dopo quaranta anni che fai la spesa nello stesso posto di che cazzo vuoi parlare ancora e la zucca ti fa pure un po' cagare, la pandemia è entrata di rigore nelle brevi ciacole tra le zucchine pesate male e i surgelati di cui non si legge il codice a barre. Una volta, mentre vagavo pensando alla situazione geopolitica della mensole (o meglio, il livello di entropia che potevo permettermi prima che "Una democrazia possibile" mi cadesse in testa), la discussione cominciò a vertere sui "vantaggi delle mascherine".
Poter sbadigliare in pubblico, facile, veloce, senza l'imbarazzo di mostrare le vergogne che solo un gastroenterologo o un dentista dovrebbero vedere. Poter combattere la brevità della pausa pranzo continuando a masticare con lieve pudore mentre si rientra a lavoro. Un buon modo per proteggersi dal freddo senza sembrare un ladro in passamontagna o un motocilista fallito. Un notevole risparmio in rossetto, lucidalabbra e burro cacao. Mentre tornavo a casa, carico di borse e già pentendomi dell'amaro alla liquirizia in offerta, ci riflettei meglio. Da marzo, tra social distancing e mascherine, addio all'alito cattivo altrui e all'ansia repressa del "forse ho sbagliato a mangiare aglio olio e peperoncino prima di uscire". O arrivederci alla fatica di dover decifrare i segni imbarazzati che altri ti fanno per segnalare la scomoda presenza di un pezzettino di prezzemolo tra i tuoi denti. Ma soprattutto, addio alla fatica di perfezionare i sorrisi finti incontrando persone. Basta un ghigno alla Joker che in qualche modo arrivi fino agli occhi e hai vinto. Tu gli auguri la morte e lui non se ne accorgerà nemmeno. Oppure il poter, con un labiale degno dei migliori film muti, insultare Sant'Ableberto, vescovo di Cambrai e Arras, senza che l'eventuale interlocutore se ne accorga, soprattutto se ti sta chiedendo per la decima volta "Scusami, sai per caso dov'è il LavaInCera leggero al Cedro?". O il poter canticchiare per strada senza che un seriamente preoccupato automobilista si fermi ad accertare le tue condizioni psicofisiche, soprattutto dal momento in cui l'ala di psichiatria fa da sfondo alle tue perfomance canore. Poi, sì, sono scomode come la merda e chi porta gli occhiali credo passi metà del suo tempo a insultare lo sventurato che, mangiando un pangolino, ci ha condannati a tutto questo. Però dai, alle volte sono anche belline. Da quelle un po' imbarazzanti col Leone di San Marco (di cui una è da me gelosamente conservata come prova del nazional-provincialismo veneto) ci siamo evoluti. Paiette e macchie di leopardo per le signore che non temono la propria età, squadre del cuore per vecchi aficionados, loghi aziendali per i dipendenti modello, personaggi dei cartoni animati per i bambini. Ogni tanto capita che ti dimentichi pure di averla addosso, e finisci a tentare di riscaldarti le mani con il fiato, ritrovandoti pieno di vergogna e ringraziando il cielo che solo la tua mascherina e le brutte azalee che ci sono ritratte sopra ti hanno visto. E ha pure reso felici i chirurghi estetici. Uno potrebbe pensare che le operazioni alla parte bassa del volto siano aumentate. Nelle settimane dopo un'iniezione di botox, di solito, le labbra non sembrano belle e levigate canoe venezuelane, ma petroliere texane che si sono un po' lasciate andare. Prima, indossare una mascherina così a caso per strada ti faceva sembrare un igienista dentale uscito di fretta da lavoro. Ora, con il botox ben nascosto dal Leone di San Marco, sei solo un bravo cittadino che rispetta i DPCM. E dopo la pandemia potrai dare il merito a impacchi di zenzero o ad altre cure naturali miracolose. E invece no. Essendo gli occhi l'unica parte visibile agli estranei, è proprio lì che si stanno concentrando le operazioni. C'è un altro vantaggio mascherato. Molto tempo fa, nel breve periodo in cui le biblioteche sono tornate aperte, stavo facendo pausa con un altro studente, in un momento di comune disperazione. Commentando la nuova bibliotecaria, se da parte mia il "è un sacco carina" stava a significare, da bravo omosessuale che alle volte si dimentica che per un etero le parole hanno altri significati, la sua disponibilità, la gentilezza, la simpatia, per l'altro "carina" era nel suo vero significato etimologico. "Si ma no". Nel senso, con la mascherina, era figa, senza, no. E mi raccontò di quante altre volte questa stessa situazione si era presentata. E a quanto pare, è vero. Accompagnato dal liquore alla liquirizia (fa schifo, ma piace), ho scovato questa ricerca in cui dimostrano che, con mezza faccia coperta, siamo tutti più fighi.
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Poesie di Ivana Del Maestro
Acquerello
Ho preso il mio acquerello e ho dipinto un arcobaleno. Col tempo, col sole, col vento scoloriranno i suoi contorni… Resteranno segni sbiaditi, spero come questi giorni che ci hanno feriti. Perché anche il buio più profondo, per quanto grande sia, all’alba svanirà, svanirà, svanirà… Come il mio acquerello… Col tempo si dissolverà ma avrò per sempre il ricordo di com’era bello!
Alla Primavera
Avevo chiesto alla Primavera quest’anno di tardare, tanto siamo sconsolati e liberi nei prati non possiamo andare. Ma lei non mi ha ascoltata, mi sentivo rattristata … Poi un uccellino volato dal tetto leggendo il mio pensiero Mi ha detto: —Eh sì, è proprio vero, sappi però che la Primavera arrivando cantava nel mondo deserto “Lasciate il cuore aperto! Restate a casa, vi conviene Perché tutto andrà bene!”
La cura
Quando splende il giorno Intorno l’ottimismo sempre tiene e penso certa: tutto andrà bene. Torna poi però la notte E i neri pensieri si affollano a frotte. Sole sorgi, comincia a brillare così squilla il cellulare … Un video, una battuta, una preghiera, una sciocchezza, una cosa seria, ecco l’antidoto alla tristezza. Il raggio più caldo voi siete tutti voi che ora leggete.
Mattino buongiorno
L’erba bagnata di rugiada sa di bosco, Intorno tutto è silenzio, sono sola lungo la strada. Guardo le colline che da sempre conosco, e mi saluta il sole. Nuovo giorno, di un tempo che nessuno avrebbe mai pensato o immaginato. Viviamo sospesi, alla speranza appesi. Cammino e guardo il cielo. Così perfetto, l’azzurro d’aprile mi cattura e mi dice che niente per sempre dura, né gioia, né dolore, e finirà anche tutto questo così atroce. Ecco, un soffio di vento. Respiro piano e così, più leggera, cammino veloce.
Di noi
Chi ha appeso un ramo di ulivo, chi un arcobaleno colorato. Chi ha cambiato i versi di una canzone, chi di cucina ci ha fatto lezione. Chi ci ha salutato col buongiorno e non ha saltato un giorno. Chi ha scritto una poesia, chi una frase con sottile ironia. Chi una preghiera ha condiviso chi con un video ci ha donato un sorriso. Chi con un pensiero, pieno di sapiente leggerezza se vedevamo tutto nero ci ha consolato come una carezza. Per ora lo so, al virus non c’è cura conosco però un rimedio e ne sono sicura… Lo conoscete anche voi: SIAMO NOI!
Le parole
Quante parole danzano nell’aria intrecciando destini, valicando confini. A volte sanno aspettare, altre far male. Consolano, ingannano, perdonano, condannano. A volte leggere, come le nuvole passeggere del cielo d’aprile; a volte cupissime come le nubi di una burrasca vicina. Ora le parole sono i nostri sguardi, gli abbracci che non ci scambiamo, sono la forza che ci diamo. Sono il faro che in porto ci guiderà.
Al sole
Due passi sotto il sole, splendente e ignaro di tutto ciò che accade, poi di nuovo nella mia casa. Ma il mondo non resta fuori. Siamo noi i veri paesi, portiamo dentro mari, colline e prati… a volte confini e barriere. Non bastano i muri a fermare i pensieri e non servono spazi per essere liberi. Questo sole andrà altrove e domani ancora mi riscalderà.
Questi giorni
Ricorderemo in eterno questi giorni d’inferno. Questi giorni senza partenze né ritorni saranno nei libri di storia, per sempre ricordati, tatuate nella memoria le ore in coda ai supermercati. Questi giorni di nuovi eroi gli infermieri e i dottori. Questi giorni di chiese e scuole che hanno chiuso i battenti, deserte e sole senza fedeli, alunni, docenti. Questi giorni che sui balconi sono sbocciati arcobaleni colorati. Questi giorni alle diciotto, di aperitivi in salotto, col fiato sospeso per il bollettino tanto atteso. Questi giorni quando tutti abbiamo riconsiderato ciò in cui crediamo. Questi giorni di Italia ferita ma forse mai stata così unita. Di questi giorni … cosa resterà quando torneremo alla normalità? Forse li dovremo dimenticare E nei libri di storia confinare? Non so di questi giorni cosa resterà … Di sicuro io terrò le tante e tante parole che ci han fatto sentire meno sole.
Nuovo giorno
Ecco è mattina è ora di andare… Ma i piedi son fermi, non si vogliono alzare: non hanno strada per camminare. Le mani immobili, non si vogliono alzare: non hanno bimbi da accarezzare. E poi gli occhi chiusi, non si vogliono alzare: non hanno orizzonti oltre cui guardare. Il cuore batte, li ignora: di star chiuso in una stanza, a lui poco importa… Sa amare anche a distanza senza oltrepassar la porta.
Sogni e realtà
Dormivo ed ho sognato Di correre in un prato Di camminare senza fretta Di pedalare veloce in bicicletta Di dar la mano a chi incontravo Di incontrare chiunque e lo abbracciavo Di godermi della primavera l’aria E poi un’edizione straordinaria Mi ha riportato alla cruda realtà Erano deserte le città Ahimè mi son svegliata Ancora in casa confinata Allora ho bevuto il mio caffè E mi son chiesta perché Non son rimasta addormentata? Dalla finestra ho visto il cielo allora Ed era azzurro come sempre ancora Mi ha ricordato che passa ogni cosa Anche la più dolorosa La più atroce E il mio cuore batteva più veloce Libero senza catene Tutto andrà bene
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Ho una figlia di sedici anni che ha un neo sulla clavicola, proprio come me, e quando parla gesticola allo stesso modo in cui gesticolo io.
Quando cammina rivedo me nei suoi passi, quando ero giovane come lei, insicuro come lei, pieno di sogni, proprio come lei.
Mia figlia ieri si é seduta accanto a me. Stavo leggendo un libro nel portico, mentre il sole si scioglieva nel cielo scuro della notte, e mi colse di sorpresa.
«Papà» mi chiamò «Posso chiederti una cosa?» i suoi occhi brillavano anche se fuori era calata l'oscurità.
«Certo tesoro» le risposi, mentre chiudevo il libro, lasciando in mezzo alle pagine la matita per non perdere il segno.
Si sedette accanto a me, si guardò le mani incrociate sul grembo, poi i suoi piedini scalzi ed infine parlò col tipico tono di voce che ha quando vuole chiedere qualcosa ma non ne é sicura.
«Papà, cosa ricordi degli anni del liceo?»
La sua domanda mi spiazzò e per un attimo restai in silenzio.
«Ricordo che quando andavo al liceo ero un ragazzo molto solo.» non so in quale meandro del mio cuore avevo sepolto quelle parole, ma quando le sputai fuori mi sentii subito più leggero.
Sentivo lo sguardo di mia figlia sulle spalle. I suoi occhioni color nocciola erano spalancati e le sue labbra rosa formavano una linea sottile.
«Parlavo poco e non avevo pressoché nessun amico, perciò passavo le ricreazioni a mangiare da solo, seduto in cortile.
Amavo il cortile, quella piccola illusione di libertà per dieci minuti, lontano dal chiasso dei miei compagni e dagli strilli delle professoresse.
Ricordo che quando arrivava l'inverno, pur di respirare un po' di aria fresca, portavo l'ombrello e uscivo comunque.
Certo, gli altri mi classificavano come "quello strano", ma era più forte di me, avevo bisogno del mio spazio» spiegai.
«una mattina di novembre, lo ricordo perché avevo compiuto da poco diciassette anni, al posto che guardare la strada dalle sbarre del pesante cancello di ferro, stavo guardando il corridoio dalle finestre che si affacciavano sul mio adorato cortile.
E, per puro caso, proprio in quel momento, passò una ragazza che non avevo mai visto.
Sai tesoro, quando non hai nessuno con cui parlare o con cui trascorrere il tempo, tendi ad analizzare tutto ciò che ti circonda, a osservare con scrupolosa attenzione l'ambiente in cui ti trovi e le persone che ci vivono.
Sapevo che il piano superiore dal piano terra distava 30 gradini, perché li avevo contati.
Sapevo che il ragazzo più scontroso della classe veniva picchiato da suo padre ogni venerdì sera, perché il sabato mattina, nello spogliatoio, aveva dei segni rossi sulla schiena, sapevo che la ragazza in prima fila mentiva riguardo la sua nuova dieta, in quanto non mangiava mai all'intervallo e più di una volta l'avevo vista piangere mentre correva in bagno.
Vedi, spesso si conosce meglio qualcuno osservandolo al posto che parlarci.
In ogni caso, perdonami se talvolta mi perdo fra i miei ricordi... cosa stavo dicendo? Ah si, quella ragazza.
Ecco, io non l'avevo mai vista.
Camminava lungo il corridoio schiacciata contro la parete, nel tentativo di farsi ancora più piccola e invisibile di quanto, probabilmente, si sentiva.
Passai quel giorno a pensare a lei, fino alla sera, quando mi sdraiai nel letto e chiusi gli occhi, e quella scena fu l'ultima cosa che vidi prima di sprofondare nel sonno»
Restai in silenzio. Una parte del mio cuore si stava risvegliando, facendo nuovamente sgorgare nelle mie vene emozioni e sensazioni passate... che fecero correre brividi lungo la mia spina dorsale.
«Da allora, ogni ricreazione la passavo guardando attraverso le finestre del corridoio che davano sul cortile nella speranza di rivederla.
C'era qualcosa nei suoi occhi, nel modo in cui tentava di essere invisibile, che mi ricordava me, e mi faceva sentire meno solo.»
Mia figlia era così presa dal mio racconto che per non disturbarmi respirava piano, e con la coda dell'occhio vedevo che stava immaginando un me un po' più giovane.
«Fu una mattina di gennaio.
Aveva piovuto tutta la notte precedente e perciò fui costretto a non sedermi a terra come al solito ma ad appoggiarmi contro la parete. Non vedevo le finestre da quella posizione, ma una parte di me si era arresa.
Ero solo, lì fuori, col vento freddo che sferzava i miei capelli e mi graffiava le guance.
Mi strinsi nel mio giubbotto.
Sentii, ad un certo punto, dei passi che scricchiolavano sopra la ghiaia.
Era lei. Lo sguardo spaesato, il volto pallido proprio come il sole d'inverno, nascosta in una sciarpa che le cadeva lungo il busto, mentre i lunghi capelli le ricoprivano le sue esili spalle.
Le sue ciglia brillavano in un modo strano, come se fossero cosparse di lacrime.
Vedi tesoro, io ero molto timido allora. Stavo sempre solo e mi ero abituato al silenzio, ad ignorare gli altri, e non avevo idea di come si iniziasse a conversare con una ragazza.
Perciò, tutto quello che riuscii a fare fu smettere di mangiare il mio panino, sorriderle con la bocca ancora mezza piena, e guardarla, sperando che riuscisse a sentire ciò che i miei occhi stavano gridando, ovvero "non lasciarmi solo anche te".
Lo so, sarò sembrato un perfetto svitato, coi capelli arruffati e le guance piene di cibo, ma riuscii a farla sorridere.
Ci riuscii da solo. »
Mi accorsi che stavo sorridendo come un ebete mentre raccontavo e un rossore bollente infiammò le mie guance, ma solo per pochi secondi.
«Ricordo che mi chiese come mai stavo lì in cortile, tutto solo.
"Preferisco stare solo qui fuori, al posto che sentirmi solo lì dentro."
Nel suo volto leggevo comprensione.
"Anche io mi sento molto sola."
Si appoggiò alla parete, di fianco a me.
Restammo in silenzio, a guardare il cielo scuro, fino a quando la campanella suono la fine della ricreazione.
Ricordo che ci guardammo e sorridemmo d'impulso, certo in parte era per l'imbarazzo, ma anche perché dentro noi sapevamo che stavamo iniziando qualcosa di grande.
Quando condividi il tuo silenzio con qualcun altro, inizi sempre qualcosa di grande.
La mattina seguente, all'intervallo, era già li, appoggiata alla parete del cortile.
La successiva, pure.
Iniziammo a parlarci con più scioltezza, ad abbassare mono frequentemente lo sguardo, a tremarmi meno le mani quando lei si avvicinava.
"È come se dentro me ci fosse un vuoto che risucchiasse ogni emozione.
Ogni cosa ha perso interesse e mi sento inutile." Mi disse un giorno, alla fine di marzo.
"Tu, per me, sei importante" le risposi, accarezzandola nel modo più tenero possibile con lo sguardo, in quanto ero troppo timido anche solo per sfiorala.
"Per quale motivo?" Abbozzò un sorriso, ma il suo tono di voce era velato di incredulità e tristezza, quel genere di tristezza che sentono le persone che si sono arrese, arrese al fatto che certe cose non cambieranno mai e dovranno soffrirle per sempre.
"Perché, ecco... vedi.." farfugliai imbarazzato. Quelle parole pesavano tanto e mi ci volle molta forza per riuscirle a pronunciare "mi sono sempre sentito come se fossi troppo diverso per poter piacere agli altri e avere degli amici. Mi sono sempre sentito come se il mio posto fosse quello dell'ultimo banco, dell'ultimo in fila, del posto in bus col sedile affianco perennemente vuoto, perché ero io ed era normale. Ero invisibile. Ero il ragazzino che tutti prendevano in giro alle elementari, che canzonavano con parole cattive alle medie e ignoravano alle superiori.
E mi ero abituato. Mi ero convinto che il mio dolore mi avrebbe pervaso per sempre, perché sapevo di non poter cambiare e che nessuno mi avrebbe anche solo notato per chi ero davvero". Ricordo che stavo per scoppiare a piangere "ma poi... poi... sei arrivata tu... che mi guardi come se le mie stranezze non sono un ostacolo insormontabile per starmi accanto... che mi aspetti ogni mattina qui, solo per trascorrere 10 minuti con me... che mi parli e mi ascolti e mi fai sentire... non lo so... non saprei descriverlo.... " la guardai negli occhi, perché fino a quel momento avevo lo sguardo puntato a terra "tu non sei riuscita ad aggiustarmi, perché so come sono fatto. Ma sei riuscita a fare molto di più; sei riuscita a farmi sentire bene con me stesso, nonostante sia rotto".
Lei scoppiò a piangere, accasciandosi contro il mio petto e per la prima volta la strinsi fra le braccia e ricordo che mi sentivo come se il mio cuore stesse Per esplodermi in petto. Tremavo come una foglia.
Lei si scostò leggermente da me, alzò le maniche della maglia e mi guardò:"anche io sono rotta". Lunghi filamenti rossi le solcavano i polsi. Si leggeva odio. Rabbia. Delusione. Silenzio. Solitudine.
Appoggiai il mento sui suoi capelli, che erano soffici e profumavano come le rose, stringendola nuovamente fra le braccia e le sussurrai "ti prometto che riuscirò a farti sentire esattamente come tu sei riuscita a farmi sentire".
E i giorni continuavano a passare, sempre più veloci, e mentre le rose iniziavano a sfiorire, noi continuavamo a germogliare.»
Mi sentivo come se fossi tornato ragazzo, come se fossi ancora lì con lei.
Mia figlia, con la bocca spalancata e gli occhi lucidi, mi chiese «papà ma chi è questa ragazza? Che fine ha fatto? La conosci ancora? » e ad un certo punto, un'ombra le travolse il volto... «non dormi che... che...»
Adesso ero io che piangevo «Si, era la mamma. Tu e lei siete state gli unici amori della mia vita.
Se penso al liceo, l'unica cosa che mi ricordo fu come incontrai tua madre, perché iniziai a vivere da quel momento. Lei mi aveva regalato un nuovo inizio. Ed io l'amavo con ogni atomo, ogni fibra, ogni cellula del mio corpo. Il tempo lo trascorrevamo sempre assieme, io le dicevo che con me non doveva tenere di indossare le magliette a mezza manica, che io continuavo a vederla bellissima, che i suoi difetti ai miei occhi erano solo un pretesto per amarla ancora di più. E lei aveva iniziato a sorridere più spesso. Aveva iniziato a raccogliersi i capelli, a camminare senza schiacciarsi alle pareti, ad abbracciarmi più a lungo, a parlare per ore.
Tesoro, l'amore salva le persone. Assieme, ceravamo salvati. »
«Papà e poi? E poi cosa é successo? Dove é ora la mamma?» mia figlia stava piangendo, le lunghe ciglia scure erano imperlate di lacrime.
«ti sei mai domandata il motivo per cui non festeggio mai il mio compleanno?» le domandai e lei scosse il capo «Perché quel giorno, quel maledetto giorno, era il mio compleanno. Era novembre, e il freddo aveva già reso le strade una lastrica di ghiaccio. Avevo appena finito di scrivere la promessa di matrimonio a a tua madre. Qualche tempo prima, avevo ritrovato un figlio in cui aveva appuntato tutto ciò che odiava di se stessa. Ed io, quella mattina, avevo aggiunto "lo so che, se ti dico che per me sei perfetta, tu non mi credi, perché nel tuo cuore sai di non esserlo.
Perciò ti dico che nonostante i tuoi difetti, io ti amo, e continuerò a scioglierti ogni giorno, fino alla fine. "
Ci saremmo sposati a gennaio, perché fu proprio in quel periodo che noi ci conoscemmo. »
La voce iniziò a tremarmi. Mi girava la testa. «Tu eri nata da pochi mesi. Ricordo ancora che ti avevo letto la mia promessa e tu avevi sorriso. Tesoro... poi accadde quel che accadde... la strada ghiacciata, le auto che sfrecciavano veloci per strada e poi... l'incidente. »
Mia figlia mi getto le braccia al collo e iniziammo silenziosamente a piangere assieme.
«giorni dopo avevo trovato la sua promessa.» dissi singhiozzando «Aveva scritto: ti ricordi quel giorno, quando mi dicesti che tu eri rotto ed io dissi che anche io ero rotta? Ecco, volevo dirti che da quando tu mi avevi stretta fra le tue braccia, mi ero resa conto che la mia testa si incastrava perfettamente tra il tuo collo e la sua spalla, e il mio corpo aderiva perfettamente al tuo, e che i nostri cuori battevano allo stesso ritmo. Fra le tue braccia non solo mi sentivo al riparo; mi sentivo anche riparata. Tu mi avevi già aggiustato. »
-Alessia Alpi, scritta da me.
(Volevoimparareavolare on Tumblr)
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La Madonna al veggente Cornacchiola: visioni e profezie sulla Chiesa
La dimensione profetica è notevolmente accentuata nel messaggio delle Tre Fontane. Come in altre apparizioni moderne la Beata Vergine Maria ha rivolto il suo sguardo materno preoccupato e sofferto alla situazione del mondo e della Chiesa indicando realtà future gravi e dolorose, conseguenza implacabile del rifiuto di Dio e della guerra alle sue Leggi e ai suoi Comandamenti di vita.
Il messaggio-segreto delle Fontane mette in guardia la Chiesa ed il mondo da quello scatenamento del principe delle tenebre che, proprio nel XX secolo, sarebbe stato eccezionalmente attivo. Quando si affronta questo tema è quasi diventata tradizione riportare la famosissima visione che ebbe Leone XIII il 13 Ottobre 1884: «Il Pontefice ricevette una visione che riguardava il futuro della Chiesa, un periodo di circa cento anni in avanti quando il potere di Satana avrebbe raggiunto il suo culmine. Di questo episodio sono note diverse versioni; in quella più comunemente accettata si dice che Leone XIII avrebbe sentito due voci: una dolce e gentile, l’altra roca e aspra. Gli parve che queste voci provenissero da vicino al tabernacolo. Subito comprese che la voce dolce e gentile era quella di Nostro Signore mentre quella roca e aspra era di Satana. In questo dialogo Satana affermava con orgoglio di poter distruggere la Chiesa, ma per fare questo chiedeva più tempo e più potere. Nostro Signore acconsentì alla richiesta e gli chiese di quanto tempo e di quanto potere avesse bisogno. Satana rispose che aveva bisogno di 75 o 100 anni e un maggior potere su coloro che si fossero messi al suo servizio. Nostro Signore accordò a Satana il tempo e il potere che chiedeva, dandogli piena libertà di disporne come voleva. Leone XIII rimase così scosso da questa esperienza che scrisse una preghiera in onore di San Michele per la protezione della Chiesa»[1]. Visione profetica, questa, che fa luce sulle “diavolerie” di satana per quella misteriosa ma reale “maggiore libertà” di attaccare il mondo e la Chiesa stessa. Come in altri messaggi mariani moderni (Fatima, Akita, Amsterdam, Itapiranga, Anguera, ecc.) anche qui, alle Tre Fontane, le rivelazioni parlano in larga parte di una sofferenza, uno sconvolgimento ed una persecuzione che provengono dall’interno più che dall’esterno della Chiesa. Tutto ciò è messo in luce attraverso la visione simbolica di una talare abbandonata di un drappo nero (simboli di quella defezione di massa di cui sarebbe stato protagonista il clero del postconcilio) e di una croce spezzata (simbolo della persecuzione e dell’oltraggio recato alla Chiesa di Cristo dai nemici della stessa Chiesa). Riflette opportunamente il padre Angelo Tentori, dei Servi di Maria (†2014): «“La Chiesa sarà perseguitata, spezzata”. Nessuna novità, ma forse la Madonna accennava a un altro tipo di persecuzione: quella che viene non tanto dal di fuori quanto dall'interno, da chi si professa cattolico ma non lo è, da chi all'interno della Chiesa si ribella e pretende di seguire un cammino suo, diverso dagli insegnamenti di Cristo proposti attraverso la Chiesa. E il peggio è che contrabbanda i propri errori come autentico Vangelo, ingannando molte anime, portandole sulla strada della perdizione. Sono questi i persecutori peggiori della Chiesa, che apparentemente rimangono nell'ovile ma come lupi camuffati da pecore possono sbranare più facilmente le anime»[2]. Quella croce spezzata ha un significato profondo. Interessante notare la relazione intercorrente tra questa profezia e quella di Rue du Bac, quando la Vergine Immacolata preannunciava che la croce sarebbe stata disprezzata. Nell’immagine profetica delle Tre Fontane vi è un crescendo di drammaticità. Quella croce già disprezzata è detto ora che sarà spezzata: si tratta dell’oltraggio e del disprezzo di cui saranno fatti oggetto Cristo e la sua Chiesa che muovono da una ribellione “in progress” dell’uomo contro il suo Creatore e Salvatore. Sia lecito ora riflettere che, se l’immagine della croce spezzata è associata alla defezione del clero simboleggiata dal drappo nero e dalla talare, gli oltraggi maggiori, le sofferenze e persecuzioni più grandi potrebbero essere proprio quelle che provengono dall’interno della Chiesa, quelle che costituivano la preoccupazione maggiore della Vergine della Rivelazione. La croce, così, sarebbe spezzata principalmente a causa dell’azione demolitrice in atto dentro la Chiesa del Signore. La riflessione ha una sua coerenza e un certo riscontro nei tragici eventi che si susseguirono in maniera clamorosa nel secondo cinquantennio del XX° secolo e che si andava ad aprire a pochi anni di distanza dalla mariofania romana. Esiste, tra l’altro, un dato impressionante che non può essere dimenticato in relazione alla talare piegata vista da Cornacchiola: «Negli anni settanta-ottanta circa quarantamila sacerdoti abbandonarono l’abito: una cifra enorme, uno smarrimento che la Chiesa mai aveva vissuto in precedenza e che non può essere spiegato dal punto di vista sociologico ma soltanto dal punto di vista spirituale. Già trent’anni prima alle Tre Fontane, la Madonna aveva mostrato tale crisi con quei segni: il drappo nero e la talare, per indicare il suo dolore a causa dei sacerdoti che si sarebbero spretati e la croce spezzata per sottolineare il rinnegamento di Cristo provocato da questo tradimento di massa»[3]. A sostegno di questa connessione tra croce spezzata e defezione del clero postconcilare, è interessante una testimonianza di don Attilio Negrisolo (un sacerdote di Padova figlio spirituale di Padre Pio) che in un sua catechesi sul messaggio di Fatima riferiva (secondo alcune testimonianze da lui stesso raccolte) che uno dei punti più gravi del Terzo Segreto di Fatima sarebbe quello della defezione del clero, dagli anni ’60 in poi. Solo Paolo VI ha firmato qualcosa come 23.000 dispense dal sacerdozio ai sacerdoti per sposarsi. Dopo di lui il fenomeno continuò anche se con minore intensità [4]. A questo proposito è interessante una glossa di Herman B. Kramer al passo dell’Apocalisse in cui san Giovanni parla di un terzo delle stelle del firmamento precipitate nell’abisso dalla coda del dragone infernale [5]. Secondo questa interessante interpretazione esegetica, quel simbolico terzo delle stelle indicherebbe «un terzo del clero», che «seguirà il dragone». Per suo mezzo satana sarà in grado di introdurre nella Chiesa «l’uso di morali non cristiane, false dottrine, compromessi con l’errore, o l’obbedienza ai governi civili in violazione della propria coscienza». Inoltre «il significato simbolico della coda del dragone potrebbe rivelare che quella parte del clero pronta all’apostasia avrà il controllo delle posizioni più influenti all’interno della Chiesa, avendole ottenute per mezzo dell’ipocrisia, della falsità e dell’adulazione». Questo clero pervertito dal nemico includerà quelli «che si rifiutano di predicare la verità o di ammonire i peccatori dando il buon esempio, ma che piuttosto cercano la popolarità, incuranti di ciò che li circonda e schiavi del rispetto umano», coloro «che si preoccupano solo dei propri interessi e non combattono le pratiche malvagie che avvengono nella Chiesa» ed i vescovi «che tormentano i bravi sacerdoti che osano dire la verità» [6]. * * * Tutto quanto affermato finora non si discosta da quanto effettivamente la messaggera celeste rivelò al suo interlocutore, ormai vinto dalla sua materna grazia. Dell'enigmatica visione di cui ci stiamo occupando, infatti, la Vergine della Rivelazione fornì al veggente un'ampia e dettagliata spiegazione così da lui sintetizzata: «La Vergine mi parla di quello che avviene nel mondo, quello che succede, quello che deve succedere nell'avvenire; come va la Chiesa, come va la vera fede; che gli uomini non crederanno più..., tante cose che si stanno avverando adesso. Ma molte cose si dovranno avverare...». E queste sono le parti salienti di quanto la Vergine SS. dettagliò circa la futura crisi della Chiesa e della società, simbolizzate nella visione della talare, del drappo e della croce: «“Momenti duri si preparano per voi, e prima che la Russia si converta, e lasci la via dell’ateismo, si scatenerà una tremenda e grave persecuzione. Pregate, si può fermare (…). Accostatevi al Cuore di Gesù mio Figlio, consacratevi al Cuore d’una Madre che sanguina, sempre in senso mistico, continuamente per voi, osannate all’Iddio che è fra voi, allontanatevi dalle false cose del mondo: vani spettacoli, stampe d’oscenità, amuleti di ogni specie, falsità e altri mali, vanità e spiritismo, sono cose che il demonio del male adopererà per la persecuzione delle creature d’Iddio; le potenze malefiche opereranno nei vostri cuori, e Satana è sciolto, da promessa divina, per un periodo di tempo: accenderà fra gli uomini il fuoco della protesta, per la santificazione dei santi. Figli! Siate forti, resistete all’assalto infernale, non temete, io sarò con voi, col mio Cuore di Madre, per dare coraggio al vostro, e lenire le vostre pene e le vostre ferite tremende che verranno nel tempo stabilito dai piani dell’economia divina. La Chiesa tutta subirà una tremenda prova, per pulire il carname che si è infiltrato tra i ministri, specie fra gli Ordini della povertà: prova morale, prova spirituale. Per il tempo indicato nei libri celesti, sacerdoti e fedeli saranno messi in una svolta pericolosa nel mondo dei perduti, che si scaglierà con qualunque mezzo all’assalto: false ideologie e teologie! (…). Sono tempi terribili per tutti, la fede e la carità rimarranno intatte se vi attenete a quel che vi dico; sono momenti di prova per tutti voi, state saldi nella Rocca eterna dell’Iddio vivente, io vi mostrerò il sentiero, dal quale esce vittorioso il santo per il Regno divino, che si stabilirà sulla Terra nel giorno della vittoria: amore, amore e amore (…). Vi saranno giorni di dolori e di lutti. Dalla parte d’oriente un popolo forte, ma lontano da Dio, sferrerà un attacco tremendo, e spezzerà le cose più sante e sacre, quando gli sarà dato di farlo. Abbiate unito al timore: amore e fede, amore e fede; tutto per far risplendere i santi come astri nel Cielo. Pregate molto e vi saranno alleggeriti la persecuzione e il dolore (…). Il mondo entrerà in un’altra guerra, più spietata delle precedenti; maggiormente sarà colpita la Rocca eterna (…). L’ira di satana non è più mantenuta; lo spirito di Dio si ritira dalla terra, la Chiesa sarà lasciata vedova, ecco il drappo talare funebre, sarà lasciata in balìa del mondo. L’oscurità della coscienza, il male che aumenta, vi testimonieranno il momento giunto della catastrofe finale; si scatena l’ira in tutta la Terra, la libertà satanica, permessa, farà strage in ogni luogo. Momento di sconforto e smarrimento sarà sopra voi; unitevi nell’amore di Dio (…). Vedrete uomini guidati da Satana fare una lega unitaria per combattere ogni forma religiosa; la colpita maggiormente sarà la Chiesa del Cristo, per nettarla dalle sozzure che vi sono dentro: commercio usureggiante e politica, contro Roma! Nel finale, molti saranno convertiti per le molte preghiere e per il ritorno all’amore di tutti, e per potenti manifestazioni divine (…). Poi l’Agnello mostrerà la sua vittoria eterna, con le Potenze divine, distruggerà il male col bene, la carne con lo spirito, l’odio con l’amore! La Santità del Padre (il Papa, ndr.) regnante nel trono dell’amore divino soffrirà a morte, per un poco, di qualche cosa, breve, che, sotto il suo regnare, avverrà. Altri pochi ancora regneranno sul trono: l’ultimo, un santo, amerà i suoi nemici; mostrandolo, formando l’unità d’amore, vedrà la vittoria dell’agnello (…). I sacerdoti, pure essendo nella bolgia infernale, sono a me cari; saranno calpestati e trucidati, ecco la croce rotta vicino alla talare dello spogliamento esteriore sacerdotale(si fa riferimento ad una visione che la Madonna aveva mostrato a Bruno durante l’apparizione, ndr.) e in questo tempo i sacerdoti mostrino d’essere miei figli veramente; vivendo nella purità, lontano dal mondo, non fumino, siano più retti, seguano la via del Calvario (…). Fortificatevi, preparandovi alla battaglia della fede, non siate pigri nelle cose di Dio, vedrete tempi che gli uomini faranno meglio la volontà della carne che quella di Dio; essi continuamente vengono trascinati nel fango e nel baratro della perdizione volontaria. La giustizia di Dio si farà sentire presto sulla Terra; fate penitenze. Solo i santi che sono fra voi, negli eremi e nei conventi e in ogni luogo, mantengono l’ira distruggitrice della giustizia divina. Il momento è terribile. Di quel giorno che viene, le vergini e i vergini, chiunque serve Dio in spirito e non secondo la carne, si addossano parte delle piaghe, che, presto, scenderanno sulla Terra, lasciando ancora il tempo ai peccatori, affinché si ravvedano e si mettano con tutta la vita loro sotto il manto mio, per essere salvati (…)». * * * Ritornando a quel «non si crederà più» a cui il Cornacchiola faceva riferimento... è diventato ormai un dato di fatto, una drammatica evidenza che ha preoccupato, fino all'affanno, gli ultimi Pontefici. Fu lo stesso papa Paolo VI - non certo un antirivoluzionario ed anzi un fautore dello "spirito del Concilio" - a dover riconoscere vero la fine dell'ufficio e della vita: «C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa e ciò che è in questione è la fede. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia»[7]. Da parte sua il papa Benedetto XVI, all’approssimarsi dell’anno della Fede da lui indetto (AD 2012), incalzò sul punto della crisi della fede a più riprese: «Benedetto XVI è ritornato più volte sul tema della fede. Nei suoi auguri natalizi alla Curia romana ha detto: “Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all'incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”. Alla stessa stregua durante il suo viaggio in Germania aveva osservato: “Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l'annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Non saranno le tattiche a salvarci, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo”»[8]. In conclusione, vorrei ricordare quelle profetiche parole dello stesso Benedetto XVI durante l’omelia del 2 ottobre 2005 in cui, preoccupato, rifletteva giustamente così sulla parabola dei vignaioli omicidi: «Il Signore, nell’Antico come nel Nuovo Testamento, annuncia alla vigna infedele il giudizio (…). La minaccia di giudizio riguarda anche noi, la Chiesa in Europa, l’Europa e l’Occidente in generale. Con questo Vangelo il Signore grida anche nelle nostre orecchie le parole che nell’Apocalisse rivolse alla Chiesa di Efeso: “Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto” (2,5). Anche a noi può essere tolta la luce, e facciamo bene se lasciamo risuonare questo monito in tutta la sua serietà nella nostra anima, gridando allo stesso tempo al Signore: “Aiutaci a convertirci! Dona a tutti noi la grazia di un vero rinnovamento! Non permettere che la tua luce in mezzo a noi si spenga! Rafforza tu la nostra fede…”»[9]. Note: [1] profezie3m.altervista.org/ptm_c31e.htm%20Leone%20XIII: « “San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia, contro la malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime”. Il Pontefice dispose che questa preghiera fosse detta alla fine di ogni Messa. Questa disposizione venne seguita fino agli anni ‘60, quando, con la riforma della Messa attuata dal Concilio Vaticano II (196265), la preghiera venne definitivamente soppressa dalla liturgia ». [2] Padre A. M. Tentori, La Bella Signora delle Tre Fontane, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, p. 97. [3] Padre L. Fanzaga-S. Gaeta, La Firma di Maria, Sugarco, Milano 2005, p. 119. [4] Reperibile presso l’indirizzo: www.parrocchiasanmichele.eu. Il sacerdote padovano aggiungeva, a questa affermazione, un fatto interessantissimo e sconosciuto ai più. Il 10 Luglio 1977, l’allora patriarca di Venezia Albino Luciani andò a Coimbra, fatto chiamare da suor Lucia. La santa veggente gli consegnò un messaggio per l’allora pontefice Paolo VI, messaggio che lei aveva ricevuto da Gesù in persona e Questi voleva che arrivasse al Papa. In questo messaggio c’erano due punti. Nel primo Gesù sottolineava la necessità di una riforma morale della Chiesa. Il secondo punto era di una certa drammaticità: il Signore diceva alla santa veggente che non sarebbe finita la sofferenza del mondo se non fosse cessato il peccato dei preti. Il popolo di Dio ed il mondo intero, infatti, è sconvolto, tuttora, dalla confusione, dallo scandalo e dal peccato di sacerdoti, vescovi e religiosi. [5] Non si tratta di un'interpretazione nuova. Nel linguaggio della Bibbia, “stelle del cielo” sono coloro che dal cielo illuminano la via agli altri, affinché anche questi vi giungano. Il passaggio dell'Apocalisse giovannea che abbiamo citato, è stato interpretato comunemente nei commentari Cattolici come un terzo del clero – ovvero cardinali, vescovi e sacerdoti – che decade dal proprio stato consacrato e che passa dalla parte del demonio. Questi uomini di Chiesa stanno minando le fondamenta della Fede Cattolica e mettendo a serio rischio la salvezza eterna di tante anime con i loro insegnamenti ed i loro comportamenti fuorvianti. [6] Herman B. Kramer, The Book of Destiny (prima edizione 1955, ristampato da TAN Books and Publishers, Inc., Rockford, Illinois, 1975), pp. 279-284, riportato in Padre Paul Kramer, La Battaglia Finale del Diavolo, Good Counsel Publications (seconda edizione), Buffalo 2011, pp. 134-135 (fatima.org/…/The-Devils-Fina…). [7] J. Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo, Milano 1985, p. 21. [8] Mons. R. Fisichella, La grandezza del Credere. Verso l’anno della fede indetto da Benedetto XVI in L’Osservatore Romano, 1/8/2012. [9] Benedetto XVI, Omelia 2.10.2005: w2.vatican.va/content/benedict xvi/it/homilies/2005/documents/hf_benxvi_hom_20051002_opening-synod-bishops.html. * * * Per saperne di più su queste apparizioni e messaggi consulta l'Album da me creato: La Vergine della Rivelazione alle Tre Fontane
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Riflesso
Le colonne del porticato mandano ombre lunghe nella notte sui giardini, e il marmo dell’ingresso è un po’ freddo senza le risate dei bambini a riscaldarlo. Maximilian Lee attraversa la soglia di casa sua con i passi pesanti che fanno eco sui soffitti alti e un braccio appeso al collo dopo essersi lasciato alle spalle Jane Mather in lacrime nella palestra della Scuola.
Preme i piedi contro i gradini freschi uno alla volta, raggiungendo il primo piano e le sue troppe stanze vuote, fa capolino in una alla propria sinistra, il tempo di trovare nel buio la figura minuscola di Olympia tra le coperte, lasciarla dormire e riprendere a salire, fino alla porta in cima alle scale. Emerge nella propria camera da letto, il vento della sera che muove appena le tende dei balconi e attraversa la stanza abbassandone la temperatura bollente.
La parete di fronte a lui è fatta di specchi. Metà della stanza che divide con sua moglie riflette quello che vi accade all’interno, dando l’illusione di uno spazio ancora più immenso di quello che hanno dedicato a loro stessi. Piano, raggiunge una delle superfici riflettenti e, nel buio, allunga una mano. Gli occhi sono socchiusi, il capo appena inclinato su una spalla, sbirciando la figura che gli restituisce lo sguardo oltre il vetro.
Quando le dita toccano lo specchio freddo, la superficie si increspa.
La fronte si aggrotta, le labbra si schiudono nella confusione. Preme l’intero palmo contro il vetro, ritrovandosi ad attraversarlo come fosse acqua. Poi il braccio.
Poi, semplicemente, passa oltre.
E dall’altra parte dello specchio, è buio.
“Hello...?”
La voce rimbomba nell’oscurità, ripetendosi come se l’eco potesse andare avanti all’infinito. Si volta, ma alle sue spalle lo specchio è scomparso.
“Can anybody hear me?”
Non ottenendo risposta, inizia a camminare.
Quando lo fa, si rende conto di stare camminando sull’acqua. Ogni passo increspa la superficie e intorbidisce il riflesso sotto i suoi piedi. Confuso, volta il capo, trovando la propria immagine speculare alla propria sinistra. Segue con lo sguardo la figura del giovane che si muove con lui, cammina con lui, respira con lui: è magro (smunto) sotto abiti che gli vanno larghi e sono di terza mano e non aiutano la sua causa. I capelli neri sono arruffati e lunghi, il viso è sano e sorridente. C’è una seconda figura, più lontano, una donna che lo tiene per mano, lunghi capelli castani, occhi verde foglia. Il se stesso che è oggi socchiude le labbra, poi scuote il capo, riprende a camminare.
A destra, con la coda dell’occhio, nota ancora il riflesso di se stesso: un po’ meno magro, un po’ meglio vestito, un po’ meglio pettinato. Un po’ più dritto, un po’ più orgoglioso, ancora sorridente, con qualche sfregio in più e meno colore in volto, ma lo sguardo limpido e per mano a un ragazzo dall’aria timida e buona- e fragile. Riconosce Arthur con l’accenno di un sorriso nel ritrovarlo giovane, ragazzo, ancora non spezzato. Il capo si scuote e, quando abbassa gli occhi, si accorge meglio del riflesso sotto di se.
Si ferma, chinandosi in avanti, guardando il proprio volto restituirgli lo sguardo somigliandogli di più degli altri sguardi. Porta i segni della morte e del sonno rubato, stavolta, ma gli occhi sono gli occhi di chi non è mai stato spezzato, sono gli occhi di chi ha sofferto ma non conosce ancora la disperazione. Una mano di cui non sembra riuscire a ricordare con precisione il colore ormai si poggia sulla spalla dell’uomo dall’altra parte dell’acqua, portando una donna ad accovacciarglisi accanto, con boccoli di un castano caldo e scuro, gli occhi di un cerbiatto, e tratti che sfumano a tratti. Cerca di afferrare il ricordo del viso di Emma, lontano cinquant’anni e molta disperazione, ma l’immagine è più simile ad una fotografia che ad una persona.
Col fiato più corto, e il cuore che batte in petto, si tira in piedi e riprende a camminare. Ora più veloce.
“Hello? Can anybody hear me? HELLO?”
Ritrovandosi a camminare rapido e a poi fermarsi di botto nel rendersi conto di stare per scontrarsi contro una figura che gli viene incontro allo stesso passo. Tiene per le mani due bambini biondi e pallidi e tristi, e ha lo sguardo nero e vuoto e l’espressione di chi ha visto l’Inferno e lo chiama casa, di chi ha perso la cognizione di cosa sia incubo e cosa sia realtà, di chi si tiene in piedi per dispetto al mondo, per non dargliela vinta, e ansima con lui, fissandolo con furia, pronto a balzare fuori dal riflesso. Lo fa arretrare, scuotere il capo.
“No... No. No.”
E voltarsi e prendere a correre, inseguito dai volti che lo circondano.
Guadagnano passo, sono più veloci, l’eco dei respiri affannati riempie il buio, fino a quando viene superato- e di botto è costretto a fermarsi, per non schiantarsi contro la figura di un bambino.
In un primo momento, quelle ossa magre gli ricordano se stesso. Il bambino sorride con occhi verde foglia, e allora lo mette a fuoco meglio, e non lo vede magro, e lo vede ben vestito e pettinato. Il bambino sorride un sorriso furbo e sornione, e viene appena tirato indietro da un paio di mani solide che gli si poggiano sulle spalle, segnate di inchiostro, come le braccia e il corpo di un riflesso ancora, calmo, che lo guarda quasi in attesa. Respirando con forza, lui si siede, il riflesso fa lo stesso, identico in ogni movimento- d’un tratto si rende conto che il bambino non è più li ma una figura compare alle spalle dell’altro lui. La stessa donna che accompagnava il ragazzo-se ha ora tratti più definiti, il viso e la voce di Iris nel pettinargli i capelli e cantare dolcemente.
“I have to go.”
Le parole spezzano l’attimo di pace- gli occhi di Iris attraversano il vetro raggiungendolo e strappandogli il fiato dal petto- e l’acqua non lo sostiene più.
Precipita attraverso di essa, affonda agitandosi disperatamente per tornare in superficie fino a non sapere più dove è sopra e dove è sotto, l’acqua preme nel naso e nella bocca, e alla fine riempie lo stomaco e i polmoni.
Riemerge tossendo e sputando un liquido nero a lungo, sotto i neon freddi e traballanti di un corridoio gelido e putrescente che conosce bene. E’ a terra, è zuppo, alza la testa: di fronte a lui la porta è aperta. Nella luce rossa c’è il profilo nero di sua moglie, gli occhi gialli che lo fissano dall’alto, prima che la figura arretri in scatti innaturali, sbattendogli la porta in faccia e chiudendolo fuori senza che, arrancando, riesca a raggiungerla.
L’urlo del sogno lo sveglia nella realtà, mandido di sudore, seduto di scatto nel letto.
Ansima pesantemente, strofina il viso con le lenzuola pulite, bianche e fresche. Accanto a lui, Iris dorme serena. Un po’ più in la Theus dorme anche lui, nella sua culla.
Fuori è ancora buio, l’alba si direbbe lontana. Recupera un minimo di compostezza, sbirciando in lontananza il proprio riflesso a letto, negli specchi illuminati dalla luce della luna.
Prende un respiro profondo, costringendosi a renderlo di nuovo lentamente regolare. Con calma, poggia una carezza sui capelli della moglie, tornando lentamente a stendersi, un braccio attorno al suo corpo.
Tre passi davanti ai nemici.
Due passi davanti agli amici.
Un passo davanti a te stesso.
La rabbia e il dolore vivono dentro di noi. Sono una parte di chi siamo. E non andranno mai via. Non scompariranno mai nel fumo, possono cambiare, evolversi con il tempo, trasformarsi- ma restano con noi.
Siamo fatti di cose buone e cose meno buone. Tutti esistiamo in un delicato bilancio all'interno del nostro io, che è parte luce e parte ombra, che è parte pace e parte tempesta. Quando l'equilibrio si spezza, in un verso o nell'altro, perdiamo il controllo su chi siamo. Diventiamo più tempesta, o più pace, di quello che dovremmo essere, e il riflesso nello specchio non è quello che vorremmo vedere. Non siamo fatti per essere solo una parte di noi stessi. Siamo fatti per essere tutto noi stessi.
Tu non sei la tua rabbia. Non sei il tuo dolore e non sei la tua paura.
Tu sei tu.
E non permetterai a una porzione di te di definire la tua intera identità.
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Caporetto. Il fulmine cui seguì il baleno
A cento anni esatti dalla conclusione della Prima Guerra Mondiale, 4 novembre 1918, la Biblioteca Sormani ripercorre le fasi dell’ultimo anno di conflitto attraverso due esposizioni di testimonianze inedite. Nello spazio mostre all’ingresso della Biblioteca, già da alcuni giorni è possibile ricostruire le fasi della disfatta di Caporetto, attraverso mappe e documenti che scandiscono, momento per momento, le fasi più incerte di tutto il conflitto.
1-Spazio espositivo della mostra. Foto di Nicola Nicodemi
Ecco i fatti. Siamo nell’ottobre 1917. Caporetto, un piccolo paese all’incrocio tra il corso dell’Isonzo e la valle del Natisone, oggi in Slovenia, è uno dei punti strategici in cui si stanno affrontando le truppe italiane e quelle austriache. Il Generale Luigi Capello, al vertice della II Armata, di stanza vicino a Caporetto, in quei giorni viene colto da un severo attacco di nefrite, tanto che l’11 ottobre, per l’acutizzarsi della malattia, il Comando Supremo decide di sostituirlo provvisoriamente con il Gen. Luca Montuori, l’allora comandante del II C.d.A. dislocato sulla Bainsizza. L’improvvisa sostituzione al comando delle truppe determina una inevitabile situazione di incertezza e confusione tra ordini già dati e ordini in corso di esecuzione. Confusione che viene portata all’estremo quando Capello riprende il Comando pochi giorni più tardi, il 23 ottobre.
24 ottobre. Alle ore 12 l’urto delle forze degli Imperi Centrali appare ormai incontenibile e la città di Caporetto ne rimane travolta, così come, in poco tempo, cade la linea del fronte da Plezzo a Tolmino. Nel frattempo il Gen. Capello deve cedere definitivamente a Montuori la guida dell’intera II Armata. Sono giornate di piogge cadenti, di nuvole basse, di nebbie fittissime che rendono impervie le comunicazioni tra i reggimenti, le brigate, le divisioni e i Corpi d’Armata, come ci racconta Arrigo Cajumi:
“La pioggia scroscia violentissima, ne siamo imbevuti, inzuppati, affranti…mi sento sperduto, piccino, annientato, con la volontà distrutta, senza nervi, senza possibilità di agire”. (A. Cajumi, L’offensiva scritta col lapis. 22 ottobre-4 novembre 1918)
Inizia una lunga, disordinata e disastrosa ritirata che si sarebbe fermata soltanto quattro settimane dopo, il 19 novembre, sulla linea del Piave.
2-I documenti del Generale Montuori esposti in mostra. Foto di Nicola Nicodemi
Contemporaneamente, sul monte Krasij, a nord di Caporetto, si trova la terza linea difensiva formata da alcuni battaglioni alpini, tra cui quello comandato dal volontario interventista Carlo Emilio Gadda:
“Poco dopo egli tornò con un altro, recandomi l’ordine di ritirarmi dalla posizione, il più presto possibile. – Quest’ordine mi fulminò, mi stordì: ricordo che la mia mente fu come percossa da un’idea come una scena e riempita da un lampo: «Lasciare il Monte Nero!»; questa mitica rupe, costata tanto, e presso di lei il Wrata, il Vrsic; lasciare, ritirarsi; dopo due anni di sangue. Attraversai un momento di stupore demenziale, di accoramento che m’annientò…Meticoloso come sono, volli curare che tutto fosse raccolto e portato via…Ero attonito: i soldati erano pure costernati. Come potei raccolsi tutta la sezione, e a uno a uno li feci partire: Sassella chiamava. – Io mi misi in coda col cuore spezzato, con la mente fulminata dall’orribile pensiero della ritirata, e andammo. …” (C.E. Gadda, Giornale di Guerra e Prigionia. Con il diario di Caporetto, Milano, Garzanti, 2002)
In quei giorni, quarantamila soldati italiani vengono uccisi o gravemente feriti, altri 365 mila sono fatti prigionieri. Quando a novembre la situazione si stabilizza, Cadorna viene sostituito con il generale Armando Diaz, che avrebbe guidato l’esercito italiano fino alla vittoria finale. In tale situazione di incertezza, il Gen. Montuori si trova a gestire quel che restava delle truppe sull’Isonzo nel suo ripiegamento: sulle mappe che porta con sé segna ogni tappa, ogni ordine ricevuto e anche i contrordini; i segni tracciati, nella loro forza, raccontano la tragedia di quei momenti.
3-Le mappe del Generale Montuori esposte in mostra. Foto di Nicola Nicodemi
Le carte esposte in mostra, provenienti dalla Collezione Lodovico Isolabella, fanno parte del fascicolo personale del Generale Montuori e illustrano la disposizione delle forze dal giorno della sua definitiva assunzione di comando della II Armata. Sono la sintesi grafica di ordini e comunicazioni della ritirata di Caporetto: fonogrammi, telefonate, messaggi portati a mano attraverso i valichi e pervenuti al quartier generale dell’Armata dai Comandi dei Corpi che ne costituivano la componente operativa. Ordinate e numerate con specifico riferimento alle disposizioni “in entrata e in uscita” ricostruiscono, a conclusione di ogni giornata, le impressionanti operazioni militari comprese tra il 25 ottobre e il 9 novembre 1917.
La mostra su Caporetto (il fulmine) si pone come preludio a quella che si aprirà il 29 novembre p.v. sullo Scalone d’onore della Biblioteca e che proseguirà, attraverso le testimonianze di artisti e letterati, nell’intento di ricostruire i momenti salienti dell’ultimo anno di guerra (il baleno).
Il conflitto infatti si concluderà solo un anno dopo la disfatta di Caporetto:
“4 novembre. Oggi alle ore 15 sono terminate le ostilità tra italiani e austriaci: per terra, per mare e per aria. Voci di soldati sussurrano incredule: “L’è finia!” Dopo il rancio, grande adunata di batteria. Discorsi d’occasione, parole altisonanti. Io sono felice ma anche un poco confuso da un così repentino mutamento di prospettiva. “Pace” è divenuta ormai una parola arcana, di cui nessuno più ricorda il significato. Più tardi, quando è ormai notte fonda, mi reco come per caso tra i miei cannoni. Silenziosi e immobili, sembrano aver perso ogni imponenza.” (D. Malini, Quella cosa grande (o fetente) che è la guerra. Da Caporetto a Vittorio Veneto: il memoriale ritrovato di un ragazzo del ’99.)
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