NUOVI MATERIALI Blog curioso di cultura, di educazione scolastica e no, di chiesa, di innovazione, ..
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«Il Dio che ha fatto suoi il tempo e la morte, ha dato a noi la sua vita, nel tempo e per l'eternità. La Pasqua del Signore rivela la solidarietà del Dio vivente alla nostra condizione di abitatori del tempo, e insieme ci dà la garanzia di essere chiamati a divenire gli abitatori dell'eternità. Nella risurrezione di Cristo ci è promessa la vita, così come nella sua morte ci era assicurata la vicinanza fedele di Dio al dolore e alla morte. La Pasqua è l'evento divino nel quale ci è rivelata e promessa la destinazione del tempo al suo felice compimento nella comunione in Dio».
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Sì, Viaggiare ...
«All’incrocio, svoltare a destra e imboccare la Via Emilia. Preparare due sesterzi per il pedaggio. La destinazione si trova a sette giorni di marcia. Ci sono diciassette locande disponibili lungo il percorso». Meglio, «In triviis, dextram et Via Emiliam accipe. Duas sestertios para theloneo. Destinatum est septem dierum ambulare. Septendecim tabernae in via praesto sunt» Se ci fosse stata un'app di navigazione, ai tempi dell’Impero romano, probabilmente avrebbe dato simili istruzioni per guidarci in un avventuroso viaggio.
In realtà un'applicazione di navigazione per l'Europa del secondo secolo dopo Cristo esiste davvero, ed è assolutamente affascinante. Si chiama ORBIS, ed è realizzata dalla Stanford University: https://orbis.stanford.edu/
ORBIS consente di stimare i costi, sia di tempo sia finanziari, dei viaggi e dei trasporti romani. Simulando il movimento lungo le principali rotte della rete stradale imperiale, i maggiori fiumi navigabili e centinaia di rotte marittime nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nell'Atlantico costiero, questo modello interattivo calcola la durata e il costo di un viaggio nel secondo secolo dopo Cristo, tenendo conto anche delle variazioni stagionali e delle correnti marine.
Se siete curiosi di sapere quanto tempo ci voleva e quanto costava spostarsi nell'Europa dell'Impero Romano, o siete docenti in cerca di qualche sito Internet interessante ed educativo per i vostri allievi, o magari siete scrittori o autori in cerca di realismo per il vostro racconto storico, potete consultare questo sito, che simula le percorrenze lungo le vie di comunicazioni terrestri, fluviali e marittime principali con un modello interattivo, tenendo conto anche delle variazioni stagionali e delle correnti marine.
Cliccando sul pulsante Start del sito compare una mappa che, esattamente come Google Maps, permette di scegliere punto di partenza, destinazione. Sono offerte tre opzioni di viaggio: più veloce, più economico, più breve. Per ciascuna si può scegliere il mezzo di trasporto: a piedi, a dorso di mulo, su un carro. E per ogni combinazione propone il costo in “denari” (del tempo, ovviamente). . . . FONTI VARIE
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Preghiera e Vita
𝑃𝑜𝑖, 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑚𝑝𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑒𝑝𝑜𝑙𝑖, 𝐺𝑒𝑠𝑢̀ 𝑢𝑠𝑐𝑖̀ 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑒 𝑠𝑖 𝑑𝑖𝑟𝑒𝑠𝑠𝑒, 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑎𝑙 𝑠𝑜𝑙𝑖𝑡𝑜, 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑖𝑙 𝑀𝑜𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑈𝑙𝑖𝑣𝑖. 𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑓𝑢 𝑙𝑎̀, 𝑑𝑖𝑠𝑠𝑒 𝑙𝑜𝑟𝑜: «𝑃𝑟𝑒𝑔𝑎𝑡𝑒 𝐷𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑜𝑝𝑟𝑎𝑓𝑓𝑎𝑡𝑡𝑖 𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑡𝑒𝑛𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒!»
𝑃𝑜𝑖 𝑠'𝑎𝑙𝑙𝑜𝑛𝑡𝑎𝑛𝑜̀ 𝑐𝑖𝑟𝑐𝑎 𝑢𝑛 𝑡𝑖𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑎𝑠𝑠𝑜, 𝑠'𝑖𝑛𝑔𝑖𝑛𝑜𝑐𝑐ℎ𝑖𝑜̀ 𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑔𝑜̀: «𝑃𝑎𝑑𝑟𝑒, 𝑠𝑒 𝑣𝑢𝑜𝑖, 𝑡𝑖 𝑠𝑢𝑝𝑝𝑙𝑖𝑐𝑜, 𝑡𝑜𝑔𝑙𝑖 𝑑𝑎 𝑚𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑐𝑎𝑙𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑜𝑟𝑟𝑜𝑟𝑒! 𝑀𝑎 𝑠𝑖𝑎 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑎 𝑙𝑎 𝑡𝑢𝑎 𝑣𝑜𝑙𝑜𝑛𝑡𝑎̀, 𝑛𝑜𝑛 𝑙𝑎 𝑚𝑖𝑎».
𝐴𝑝𝑝𝑎𝑟𝑣𝑒, 𝑞𝑢𝑖𝑛𝑑𝑖, 𝑢𝑛 𝑎𝑛𝑔𝑒𝑙𝑜 𝑑𝑎𝑙 𝑐𝑖𝑒𝑙𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑜𝑟𝑡𝑎𝑟𝑙𝑜. 𝐼𝑛 𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑔𝑜𝑛𝑖𝑎 𝑑𝑖 𝑠𝑝𝑖𝑟𝑖𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑒𝑔𝑎𝑣𝑎 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑛𝑠𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑠𝑢𝑑𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑠𝑎𝑛𝑔𝑢𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑎𝑑𝑒𝑣𝑎 𝑎 𝑡𝑒𝑟𝑟𝑎 𝑖𝑛 𝑔𝑟𝑜𝑠𝑠𝑒 𝑔𝑜𝑐𝑐𝑒. 𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝐺𝑒𝑠𝑢̀ 𝑠𝑖 𝑟𝑖𝑎𝑙𝑧𝑜̀ 𝑒 𝑟𝑖𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜̀ 𝑑𝑎𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑒𝑝𝑜𝑙𝑖, 𝑙𝑖 𝑡𝑟𝑜𝑣𝑜̀ 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑎𝑑𝑑𝑜𝑟𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑡𝑖, 𝑠𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑙𝑎 𝑡𝑟𝑖𝑠𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎.
«𝑃𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑑𝑜𝑟𝑚𝑖𝑡𝑒?» 𝑑𝑖𝑠𝑠𝑒 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝐺𝑒𝑠𝑢̀. «𝑆𝑣𝑒𝑔𝑙𝑖𝑎𝑡𝑒𝑣𝑖 𝑒 𝑝𝑟𝑒𝑔𝑎𝑡𝑒 𝐷𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑒𝑐𝑐𝑎𝑟𝑒, 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑠𝑖𝑒𝑡𝑒 𝑡𝑒𝑛𝑡𝑎𝑡𝑖!»
“Fa’ che nella nostra preghiera vinciamo ogni paura che ci impedisce di deciderci per te, per i fratelli, per ciò che ci costa, per ciò che ci spaventa; fa’ che la nostra preghiera sia una vittoria della nostra fede: in essa trionfi la tua potenza che ha vinto la paura della morte”.
Nella pagina che proponiamo del Vangelo di Luca (22,39- 46) ricorre molte volte il verbo “pregare”: «Pregate per non entrare in tentazione»; «Gesù, inginocchiatosi, pregava», «in preda all’angoscia, pregava più intensamente», «rialzatosi dalla preghiera». Poi Gesù conclude ripetendo ai discepoli: «Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».
Il brano è inquadrato tra due esortazioni di Gesù quasi identiche e al centro c’è la sua preghiera personale. Questa preghiera è presentata nel suo inizio: «Gesù, inginocchiatosi, pregava»; nel momento culminante: «in preda all’angoscia, pregava più intensamente»; nel suo termine: «rialzatosi dalla preghiera».
L’altro tema dominante è il tema della tentazione, ripetuto due volte: «Pregate per non entrare in tentazione». Domandiamoci in che cosa consiste questa tentazione e quale rapporto c’è tra la tentazione e la preghiera.
La tentazione della fuga
Per tentazione non si intende, almeno immediatamente, la spinta a fare il male. È qualcosa di molto più sottile ed è più drammatica e pericolosa: è la tentazione di fuggire dalle proprie responsabilità, la paura di decidersi, la paura di guardare in faccia una realtà che esige una decisione personale; è la paura ad affrontare i problemi della vita, della comunità, della nostra società.
È la tentazione della fuga dal reale, di chiudere gli occhi, di nascondersi, di far finta di non vedere e non sentire per non essere coinvolti: è la tentazione della pigrizia, della paura di buttarsi, la tentazione che vuole impedirci di rispondere a ciò a cui Dio, la Chiesa, il mondo ci chiama a compiere.
Allora l’esortazione a pregare per non entrare in tentazione significa: pregate per non entrare in quell’atmosfera di compromesso e comodità, di viltà, fuga e disinteresse, nella quale si matura la scelta di non scegliere, la decisione di non decidere, la fuga dalle responsabilità.
Questa situazione è esemplificata nel brano evangelico da ciò che fanno gli apostoli: dormono per la tristezza, dormono per non vedere.
Ci sono altri episodi biblici che sottolineano la fuga dalla realtà. Il sacerdote e il levita che, passando presso l’uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico, chiudono gli occhi e vanno oltre sfuggono alla domanda di responsabilità.
Il grande profeta Elia – coraggioso, temerario e impavido – è stato travolto anche lui da questa tentazione del disimpegno. Nel primo Libro dei Re, infatti, si racconta che «impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi» (19,3). Eppure Elia aveva saputo affrontare da solo, sulla montagna del Carmelo, i 450 profeti di Baal: sembrava che non avesse paura di nessuno, ma ad un tratto è afferrato da questa tentazione e fugge dalla realtà.
È la tentazione del profeta Giona che fugge, perché non vuole affrontare il suo compito di profeta. È la tentazione che prende ciascuno di noi quando chiudiamo occhi e orecchie per non vedere e non sentire i bisogni di chi ci sta intorno. Disimpegnarci, defilarci lontano da ciò che invece ci chiamerebbe a buttarci con coraggio.
L’esortazione di Gesù a pregare per non entrare in tentazione ci fa allora capire che la preghiera non è fuga, non è declinare le responsabilità, non è rifugiarsi nel privato: la preghiera è guardare in faccia la tentazione, la paura, la responsabilità. La preghiera è fare come il samaritano che, di fronte all’uomo ferito, si ferma e si piega su di lui. La preghiera è audacia che affronta la decisione importante.
Questo è il rapporto che il testo ci presenta tra preghiera e tentazione.
Corpo e preghiera
«Gesù, inginocchiatosi, pregava». L’inginocchiarsi di Gesù non è usuale: nel tempio ordinariamente si pregava in piedi. Pregare in ginocchio significa un momento particolare di intensità e ritorna qualche altra volta nella Bibbia. Raccontando la morte di Stefano, l’autore degli Atti degli apostoli scrive: «Piegò le ginocchia e gridò forte: “Signore, non imputare loro questo peccato”» (At 7,60). Nell’istante drammatico e decisivo della sua morte, Stefano si inginocchia per pregare.
La descrizione di Gesù inginocchiato ci dice però un’altra cosa importante: c’è una relazione tra il corpo e la preghiera, tra il gesto e la preghiera che va vissuta e ritrovata.
Alcune forme sobrie del rapporto tra corpo e preghiera sono quelle che esprimiamo nella liturgia alzandoci in piedi, inginocchiandoci, sedendoci e alzando le braccia per la preghiera del Padre nostro.
Ma è importante che ciascuno di noi, nella propria preghiera privata, ritrovi ed esprima in maniera più personale il rapporto tra preghiera e gesto, preghiera e corpo.
Gesù vive questo rapporto: «Inginocchiatosi pregava» e dice: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22,41-42).
Padre, se vuoi...
La sua preghiera contempla due cose fondamentali: l’esclamazione «Padre», che è l’atteggiamento di totale fiducia in colui che lo ama come Figlio e l’espressione di desideri profondi e violenti: «Allontana da me questo calice, se vuoi», «non la mia ma la tua volontà». Gesù lascia emergere in sé due desideri oggettivamente contrastanti, due realtà conflittuali di cui non ha paura, perché nella sua preghiera si unificano nella domanda: «Si compia la tua volontà».
Pregare nel momento della prova vuol dire lasciar emergere l’angoscia, la paura, il timore di ciò che ci sta di fronte e che è opposto al desiderio che abbiamo di essere disponibili, di deciderci, di affrontare la realtà. Nella preghiera, questa divisione che è in noi si unifica e ci dispone alla lotta e alla decisione coraggiosa. Ciò che è in noi tumultuosamente conflittuale – e perciò ci impedisce di agire, di muoverci, ci paralizza nella paura, ci porta a dilazionare nel tempo le decisioni, ad accampare scuse senza limiti – tutto questo conflitto interiore, se messo a fuoco nella preghiera, ci unifica e ci permette di riprendere in mano la nostra capacità di deciderci e di dire: «Sia fatta la tua volontà», «si compia in me ciò a cui sono chiamato».
Il testo ci dice inoltre che la preghiera di abbandono e di unificazione di Gesù è espressa in uno stato di angoscia e agonia. Viene alla mente la parola di Pascal: «Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo». Possiamo quindi unirci all’agonia, all’angoscia e allo sconforto di tutti gli uomini che nel mondo, vicino o lontano da noi, soffrono e sono sottoposti alla prova. Gesù, nella sua prova, vince la prova per noi fino alla fine del mondo; nella sua angoscia è vinta la nostra. La paura di deciderci, di buttarci, di perdere la vita per i fratelli è vinta dalla sua preghiera nell’agonia.
Gesù ha voluto manifestare la sua angoscia per esserci vicino fino in fondo. Non ha temuto che apparisse la sua debolezza e fragilità per insegnarci a non aver paura della nostra; a non aver paura neanche che essa si manifesti e sia conosciuta, perché in questa nostra fragilità opera la potenza di Dio.
Preghiera e vita
Pensando a Gesù che prega in ginocchio, pieno di abbandono al Padre, che lascia emergere i desideri più profondi, che entra nell’angoscia e la vince, chiediamoci come noi preghiamo di fronte alle scelte decisive della vita. Sono tre le domande che possiamo farci rileggendo il testo: la mia preghiera è fuga o è contemplare coraggiosamente ciò che Dio mi chiede?
Quando prego, unifico i miei desideri e i conflitti interiori nella domanda della volontà di Dio che mi rende forte di fronte alla prova? Sento la forza di Cristo che prega in me, la sua vittoria sull’angoscia e la paura, sento che è la mia forza e la mia vittoria?
Per rispondere alle domande, chiediamo al Signore di insegnarci a pregare così: «Fa’ che nella nostra preghiera vinciamo ogni paura che ci impedisce di deciderci per te, per i fratelli, per ciò che ci costa, per ciò che ci spaventa; fa’ che la nostra preghiera sia una vittoria della nostra fede: in essa trionfi la tua potenza che ha vinto la paura della morte».
card. Carlo Maria Martini
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Nel 2023 l’equinozio d’autunno sarà sabato 23 settembre, quando in Italia saranno le 8:49.
«L’Autunno è una stagione dolce e malinconica. Più di ogni altra, dà il senso del tempo che passa, con la natura che, a poco a poco, si acquieta per prepararsi al lungo sonno dell’Inverno.
«L’Autunno è il tempo della riflessione, della progettazione e anche del lasciare andare. Come gli alberi si trasfigurano, lasciando cadere le foglie mature tinte di rosso e di giallo, così una persona dovrebbe lasciare andare ogni pensiero inutile, tutte le cose che hanno trovato la propria collocazione, per presentarsi spoglio e purificato di fronte al sorgere del nuovo.
«Mentre osserviamo le foglie svolazzare al suolo, ci viene ricordato che i cicli della natura si rispecchiano nelle nostre vite. L’autunno è il momento per lasciarsi andare e abbandonare le cose che sono state un peso. Tutte le tradizioni religiose rendono omaggio a simili atti di separazione. L’autunno è il momento giusto per esercitarsi a togliersi di mezzo e lasciare che lo Spirito si prenda carico della nostra vita.
«L’autunno ci ricorda la caducità di ogni cosa. Abbiamo sperimentato il germogliare della vita in primavera e le fioriture e le profusioni dell’estate. Porta anche a casa, nella nostra coscienza, la morte e la sfida di vivere ogni giorno al massimo. … Perciò è stupendo dire “Ciao significa arrivederci”. Ma anche: “Spero, ciao di nuovo”.
»
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Tutti i libri, si sa, sono transeunti. Eccetto alcuni: i classici. Libri che non si può far a meno di aver letto. Delle opere così importanti per la loro generazione o che hanno avuto una tale influenza sul loro periodo storico, che si devono assolutamente leggere per capire come la nostra società sia diventata quella che è oggi.
«Didattiche per ogni tempo. Strategie operative per insegnare nella scuola secondaria di secondo grado» del prof. Federico Batini, docente di Pedagogia Sperimentale, Metodologia della Ricerca e Metodi e tecniche della valutazione scolastica presso l’Università di Perugia (Giunti TVP, 2021 ISBN: 9788809906204) non è un classico; ma andrebbe comunque letto da chi insegna nei professionali, nei tecnici o nei licei.
Didattiche per ogni tempo, in formato PDF, può essere scaricato gratuitamente da questo link
Sommario
1. Dal Covid al post Covid
§ Che cos’è successo durante la pandemia? 4
Dalla classe allo schermo 5
Aggravare una situazione già complessa? 6
I punti di vista dei diversi attori in campo 7
L’opinione degli insegnanti 7
L’opinione dei genitori 11
L’opinione degli studenti 11
Conclusioni 12
2. Didattiche per ogni tempo
§ Dall’apprendimento eterodiretto all’apprendimento autodiretto 14
Il costrutto delle competenze 15
La valutazione autentica e l’apprendimento significativo 17
Come valutare le competenze? 18
§ Le modalità di apprendimento e le didattiche attive 20
I compiti autentici 21
La flipped classroom 22
La didattica breve 24
Il debate 25
Altre didattiche attive 26
§ La gamification: il grande gioco dell’apprendimento 28
Che cos’è la gamification? Verso una definizione 28
Siamo seri… giochiamo 28
I videogiochi: strumenti di apprendimento? 28
Caratteristiche della gamification 29
Gamification a scuola 31
§ La lettura ad alta voce in un contesto difficile 33
Una didattica per il successo formativo 34
Gli effetti della lettura ad alta voce 35
§ Il libro di testo come risorsa 36
Breve storia del libro di testo 36
Come usare il libro di testo? 37
3. ATTIVITÀ
Didattiche attive 39
SCHEDA 1: Brainstorming Le parole della pandemia 40
SCHEDA 2: Brainwriting Spremuta di cervelli 41
Come costruiamo un compito autentico? 42
SCHEDA 3: Compito autentico Dormivo 43
SCHEDA 4: Flipped classroom L’energia 44
SCHEDA 5: Debate Non sono d’accordo! 45
Come utilizzare la gamification in classe? Breve guida pratica 46
SCHEDA 1 Un sistema di badge per certificare il raggiungimento degli obiettivi 47
SCHEDA 2 Valutazione formativa con Kahoot! 48
SCHEDA 3 Inserire gli obiettivi di apprendimento in una cornice narrativa 49
SCHEDA 4 Gamificare un ambiente Moodle: livelli, missioni, badge 50
SCHEDA 5 Gamification in aula: Classcraft e Classdojo 51
I giochi non aleatori 52
Dixit 53
Scarabeo 54
Ticket to Ride: Europa 55
Ta-Pum! 56
Memoir ’44 57
Secret Hitler 58
Twilight Struggle 59
Valence 60
Cytosis: A Cell Biology Board Game 61
Indicazioni bibliografiche 62
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𝟏° 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 𝟐𝟎𝟐𝟑
𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈 𝐆𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐂𝐮𝐬𝐭𝐨𝐝𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐂𝐫𝐞𝐚𝐭𝐨
La Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato ricorre il Primo settembre e segna l’inizio del Tempo del Creato, che si conclude il 4 ottobre, festa liturgica di san Francesco d’Assisi, il periodo dell’anno durante il quale tutti i Cristiani sono invitati a pregare e a farsi carico della cura del creato.
Nel 1989 il patriarca ecumenico Dimitrios I aveva dichiarato il Primo settembre giorno della preghiera per il Creato per gli Ortodossi. Questa proposta è stata successivamente abbracciata da tutte le maggiori Chiese europee nel 2001 e da papa Francesco, per la Chiesa Cattolica, nel 2015.
“Che scorrano la giustizia e la Pace” è il tema del Tempo ecumenico del Creato del 2023, ispirato dalle parole del profeta Amos: «Come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne» (5,24).
«Questa espressiva immagine di Amos ci dice quello che Dio desidera. Dio vuole che regni la giustizia, che è essenziale per la nostra vita di figli a immagine di Dio come l’acqua lo è per la nostra sopravvivenza fisica. Questa giustizia deve emergere laddove è necessaria, non nascondersi troppo in profondità o svanire come acqua che evapora, prima di poterci sostenere. Dio vuole che ciascuno cerchi di essere giusto in ogni situazione, che si sforzi sempre di vivere secondo le sue leggi e di rendere quindi possibile alla vita di fiorire in pienezza. Quando cerchiamo prima di tutto il regno di Dio (cfr. Mt 6,33), mantenendo una giusta relazione con Dio, l’umanità e la natura, allora la giustizia e la pace possono scorrere, come una corrente inesauribile di acqua pura, nutrendo l’umanità e tutte le creature». Spiega papa Francesco nel suo Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato.
In questo Tempo del Creato, come contribuire al fiume potente della giustizia e della pace? «Per prima cosa, dice il Papa, contribuiamo a questo fiume potente trasformando i nostri cuori. È essenziale se si vuole iniziare qualsiasi altra trasformazione. È la “conversione ecologica” che san Giovanni Paolo II ci ha esortato a compiere: il rinnovamento del nostro rapporto con il creato, affinché non lo consideriamo più come oggetto da sfruttare, ma al contrario lo custodiamo come dono sacro del Creatore. Rendiamoci conto, poi, che un approccio d’insieme richiede di praticare il rispetto ecologico su quattro vie: verso Dio, verso i nostri simili di oggi e di domani, verso tutta la natura e verso noi stessi».
Il Messaggio completo:
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Nella scuola italiana, l’integrazione scolastica degli studenti con disabilità è un’attività da tempo consolidata. Tuttavia, proprio per questo, può ridursi a una procedura precipuamente attenta alla correttezza formale di adempimenti burocratici. Ottemperanze, spesso delegate ai docenti per il sostegno, che, obliando il senso pedagogico, culturale e sociale dell’integrazione, depauperano il processo di crescita degli studenti con disabilità e dei loro compagni.
Pertanto le aule scolastiche devono essere luogo di sviluppo culturale, sociale e personale per tutti e per ciascuno degli studenti presenti. Operativamente, concretare il PEI Piano Educativo Individualizzato come parte integrante della programmazione didattica del Consiglio di classe.
In questo scenario, potrebbe essere utile conoscere “Nuovi sguardi sulla disabilità”. Sussidio pastorale preparato dalla CNVF Commissione nazionale valutazione film e dal Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità.
Infatti, in una società in cui le persone con disabilità sono da sempre una minoranza, la loro rappresentazione attraverso il cinema e l’audiovisivo può favorire una conoscenza più articolata della disabilità, comprendendone passaggi di vita e sfide da affrontare. Lo sguardo del cinema suggerisce prospettive diverse con le quali accostarsi a questa tematica e attivare un linguaggio nuovo. È fondamentale, infatti, modificare le dinamiche mentali e le “posture” che spesso mettiamo in atto nei contesti dove la società si approccia alla disabilità.
Curato da Massimo Giraldi, Sergio Perugini ed Eliana Ariola, il Sussidio permette di cogliere un importante cambio di passo nella linea di racconto della disabilità tra cinema e Tv: via sguardi piani, drammatici e apertura a un racconto più articolato, complesso, persino vivace e nel segno della commedia.
Sei i titoli suggeriti:
— Campioni (Champions, 2023) di Bobby Farrelly;
— Houria. La voce della libertà (2023) di Mounia Meddour; Still. La storia di Michael J. Fox (2023) di Davis Guggenheim;
— Non così vicino (A Man Called Otto, 2023) di Marc Forster;
— Quando (2023) di Walter Veltroni;
— I segni del cuore. Coda (Coda, 2021) di Sian Heder.
A questi si aggiunge una scheda sui trentacinque anni di Rain Man, un film che ha lasciato un segno tra Oscar e sguardo sociale sul tema della disabilità.
Con Rain Man, è giusto ricordarlo, per la prima volta, il grande schermo mette al centro di un racconto una persona con autismo – oggi Disturbo dello spettro autistico – una patologia complessa le cui cause risultano ancora sconosciute. La ricerca e la scienza fanno il loro corso e molti passi avanti sono stati fatti, ma ciò che più conta è che sta cambiando l’approccio: non si tratta più di “tenere al sicuro” quanto piuttosto di accogliere, valorizzare e integrare nella scuola, nell’arte, nello sport e nel lavoro. Ogni persona con disabilità (e no) è unica e cela dentro di sé un tesoro prezioso che chiede solo di essere scoperto.
“Nuovi sguardi sulla disabilità”
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Il periodo estivo è caratterizzato, a livello religioso, dalle feste patronali, dalle processioni e da altre manifestazioni di devozione popolare che, spesso, tra i “credenti colti” suscita diffidenza e perplessità. Non del tutto ingiustificate. Infatti, alcune volte, folklore e spiritualità si con-fondono in avvenimenti nei quali è difficile distinguere sacro e profano. Espressioni della devozione popolare che palesano segni evidenti della fede di molte persone semplici.
E informano che, per tanta gente, la devozione popolare è il solo modo per entrare in contatto con il sacro, occasione esclusiva o modalità privilegiata che, secondo san Paolo VI, «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede, comporta un senso acuto degli attributi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione».
San Giovanni Paolo II ci ricorda che «la religiosità popolare, che si esprime in forme diversificate e diffuse, quando è genuina, ha come sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri. …È importante ribadire, inoltre, che la religiosità popolare ha il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica, verso la quale, pur non confluendovi abitualmente, deve idealmente orientarsi, e ciò deve essere illustrato con un’appropriata catechesi».
Pertanto, sempre Giovanni Paolo II, occorre «evitare i falsi dilemmi: o l’élite o la massa – la qualità dei cristiani o la quantità – una Chiesa orientata verso l’interno o verso l’esterno – servire la verità correttamente formulata oppure la verità più largamente vissuta – giudicare le insufficienze o svegliare le coscienze – riservare i sacramenti a coloro che ne sanno comprendere bene gli effetti oppure offrirli a tutti coloro che li chiedono – restringere i contatti utili agli iniziati oppure andare solamente verso la folla dei fedeli. La storia del cristianesimo ci insegna che le scelte esclusive conducono sempre a una mutilazione della Chiesa».
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per approfondimenti
— Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su Pietà popolare e Liturgia - Principi e Orientamenti, Città del Vaticano 2002
— Gianluigi Pasquale OFM, Destinalità profetica della religiosità popolare in tempo di globalizzazione, Ad Gentes 19/2006
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𝐀 𝐃𝐎𝐑𝐌𝐈𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐌𝐀𝐃𝐑𝐄 𝐃𝐈 𝐃𝐈𝐎
𝐀𝐒𝐒𝐔𝐍𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐁𝐄𝐀𝐓𝐀 𝐕𝐄𝐑𝐆𝐈𝐍𝐄 𝐌𝐀𝐑𝐈𝐀
L’Assunzione della Vergine esprime in modo mirabile l’adagio patristico diffusosi, a partire da Ireneo di Lione, nel II secolo: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare Dio». Diventare Dio: vale a dire, un vivente la cui vita non ha limiti, una vita liberata dal male e dalla morte
Sulla conclusione della vita terrena di Maria, la Costituzione dogmatica Lumen gentium (n. 59), riprendendo la costituzione apostolica Munificentissimus Deus definente il dogma dell'Assunzione, afferma: «L'Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale, finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria in corpo e anima». Con questa formula, il Concilio non si pronuncia sulla questione della morte di Maria. Pio XII tuttavia non intese negare il fatto della morte, ma soltanto non giudicò opportuno affermare solennemente, come verità che doveva essere ammessa da tutti i credenti, la morte della Madre di Dio.
Alcuni teologi, in verità, hanno sostenuto l'esenzione della Vergine dalla morte e il suo passaggio diretto dalla vita terrena alla gloria celeste. Tuttavia questa opinione è sconosciuta fino al XVII secolo, mentre in realtà esiste una tradizione comune che vede nella morte di Maria la sua introduzione alla gloria celeste.
È possibile che Maria di Nazaret abbia sperimentato nella sua carne il dramma della morte? Riflettendo sul destino di Maria e sul suo rapporto con il divin Figlio, chiosa san Giovanni Paolo II, si dovrebbe rispondere affermativamente: dal momento che Cristo è morto, sarebbe difficile sostenere il contrario per la Madre. In questo senso hanno ragionato i Padri della Chiesa, che non hanno avuto dubbi al riguardo.
È vero che nella Rivelazione la morte è presentata come castigo del peccato. Tuttavia il fatto che la Chiesa proclami Maria liberata dal peccato originale per singolare privilegio divino non porta a concludere che Ella abbia ricevuto anche l'immortalità corporale. La Madre non è superiore al Figlio, che ha assunto la morte, dandole nuovo significato e trasformandola in strumento di salvezza.
Il Nuovo Testamento non fornisce alcuna notizia sulle circostanze della morte di Maria. Questo silenzio induce a supporre che essa sia avvenuta normalmente, senza alcun particolare degno di menzione. Se così non fosse stato, come avrebbe potuto la notizia restare nascosta ai contemporanei e non giungere, in qualche modo, fino a noi?
Però, fin dai primi secoli del cristianesimo, ad opera della comunità giudeo-cristiana, si tramandano storie orali circa il corso ultimo della vita della Vergine. Alla fine II secolo queste tradizioni vengono messe per iscritto formando così testi apocrifi in cui si delineano particolari circa la Dormizione o il Transito della Vergine, che col tempo hanno influenzato i padri della Chiesa, scrittori medioevali, pittori e poeti.
In alcuni Padri della Chiesa troviamo la descrizione di Gesù stesso che viene a prendere sua madre nel momento della morte, per introdurla nella gloria celeste. Essi presentano, così, la morte di Maria come un evento d'amore che l'ha condotta a raggiungere il suo divin Figlio per condividerne la vita immortale. Alla fine della sua esistenza terrena, Ella sperimenterà, come Paolo e più di lui, il desiderio di essere sciolta dal corpo per essere con Cristo per sempre (cfr Fil 1,23).
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cfr. Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 25 giugno 1997
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L'avvento dell'Intelligenza Artificiale (IA) coinvolge sempre più tutti i settori della società e sta cambiando il modo di lavorare e di vivere di molte persone. Dunque, con le consuete inerzie, a macchia di leopardo, anche la didattica delle scuole di ogni ordine e grado. Negli ultimi mesi, l'IA generativa ha guadagnato un'attenzione significativa nell'ambito dell'istruzione, offrendo nuove possibilità e sfide.
Potrebbe essere utile, in questi mesi estivi, senza la pressione delle scadenze del Piano annuale delle attività, riflettere sulle opportunità e le sfide dell'utilizzo dell'IA generativa a scuola, prendendo in considerazione diversi punti di vista con l’ausilio di alcuni recenti articoli presenti sull’Web.
L'articolo dell'UNESCO intitolato "Generative Artificial Intelligence in Education: What are the Opportunities and Challenges?" sottolinea che l'IA generativa offre una serie di opportunità uniche nell'ambito educativo. Innanzitutto, l'IA generativa può supportare l'apprendimento personalizzato, adattandosi alle esigenze specifiche di ogni studente. Attraverso l'utilizzo di algoritmi avanzati, l'IA generativa può analizzare i dati degli studenti e fornire materiali didattici su misura per migliorare l'efficacia dell'apprendimento.
Inoltre, l'IA generativa può essere utilizzata per creare contenuti educativi interattivi e coinvolgenti. Ad esempio, attraverso chatbot come ChatGPT, gli studenti possono interagire con un'intelligenza artificiale che risponde alle loro domande e fornisce spiegazioni dettagliate. Questo può contribuire a stimolare l'interesse degli studenti e promuovere un apprendimento attivo.
L'articolo di Agenda Digitale, "IA generativa a scuola: ecco come ChatGPT può aiutare gli studenti", esplora specificamente il ruolo di ChatGPT nell'istruzione. ChatGPT è un modello di intelligenza artificiale basato sull'architettura GPT-3.5, sviluppato da OpenAI. Grazie alle sue capacità di generazione del linguaggio naturale, ChatGPT può essere utilizzato come un assistente virtuale per gli studenti, fornendo supporto durante le attività di studio e rispondendo alle loro domande.
L'IA generativa come ChatGPT può essere particolarmente utile per gli studenti che necessitano di supporto extra, ad esempio quelli con bisogni educativi speciali. Questo strumento può offrire un'assistenza personalizzata, fornendo spiegazioni chiare e dettagliate in base alle esigenze individuali degli studenti. Inoltre, ChatGPT può essere un valido aiuto per gli insegnanti, liberando il loro tempo per attività più interattive e creative, mentre l'IA si occupa delle risposte alle domande comuni.
Il concetto di scuola personalizzata è ampiamente discusso nel contesto dell'IA generativa. L'articolo di Wired Italia, "Intelligenza Artificiale per una scuola personalizzata", sottolinea come l'IA generativa possa aiutare a creare un ambiente di apprendimento individualizzato per gli studenti. L'IA generativa può analizzare i dati degli studenti, inclusi i loro progressi e le loro abilità, per fornire indicazioni sulle aree in cui c'è bisogno di un focus maggiore.
La scuola personalizzata basata sull'IA generativa può offrire vantaggi significativi. Gli studenti possono imparare a un ritmo che rispecchia le loro capacità e interessi specifici, migliorando così l'efficacia dell'apprendimento. Inoltre, l'IA generativa può fornire feedback tempestivo agli studenti, consentendo loro di monitorare il proprio progresso e apportare eventuali correzioni.
Nonostante le opportunità offerte dall'IA generativa nell'istruzione, sorgono anche diverse sfide e considerazioni etiche da affrontare. L'articolo dell'UNESCO sottolinea la necessità di un uso responsabile dell'IA generativa a scuola. Ad esempio, è fondamentale garantire la sicurezza e la privacy degli studenti, proteggendo i loro dati personali da possibili abusi.
Inoltre, l'IA generativa non dovrebbe sostituire completamente l'interazione umana. È importante mantenere un equilibrio tra l'uso dell'IA e l'interazione con insegnanti e compagni di classe, poiché l'aspetto sociale dell'apprendimento è fondamentale per lo sviluppo degli studenti.
L'IA generativa offre una serie di opportunità nell'ambito educativo, promuovendo l'apprendimento personalizzato, l'interattività e la scuola personalizzata. Strumenti come ChatGPT possono fornire un supporto prezioso agli studenti e agli insegnanti, migliorando l'efficacia dell'apprendimento e liberando tempo per attività più creative. Tuttavia, è fondamentale affrontare le sfide legate all'IA generativa, come la protezione della privacy degli studenti e il mantenimento dell'interazione umana nel processo di apprendimento. Con una gestione responsabile, l'IA generativa può contribuire a una scuola più efficace e adattata alle esigenze individuali degli studenti.
TO BE CONTINUED
Ovviamente, la riflessione è sempre “in progress” …
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Oltre 140 anni con Pinocchio
Nel 1881, in Toscana, veniva al mondo Pinocchio. Avrebbe dovuto avere una vita breve. Infatti, quando Carlo Lorenzini, poi Collodi, cominciò a scrivere “Le avventure di Pinocchio”, a puntate, sul Giornale per i bambini, l’intenzione era di lasciarlo appeso alla Quercia grande, come estrema punizione per tutte le birbonate compiute. E se non fosse stato per le richieste dei tanti fanciulli, che non si rassegnavano a veder morire il loro burattino preferito, Pinocchio sarebbe ancora lì a spenzolare, mosso dal vento e crucciato per il mancato soccorso della Bambina dai capelli turchini.
Carlo Collodi però volle dare ascolto alle proteste dei suoi piccoli lettori e riprese a raccontare mille altre peripezie fino alla trasformazione finale del burattino Pinocchio in un bambino in carne e ossa. Ed è così che finisce il libro, che comparve per la prima volta in volume nel 1883 per la casa editrice fiorentina Paggi.
Come ricorda Mario Vargas Llosa, ��il libro fu scritto per lettori in calzoni corti, e senza dubbio sono i bambini quelli che si divertono di più leggendolo. Le avventure di Pinocchio commuovono, però, anche gli adulti e gli anziani, che tornano a quella prima età in cui il mondo della realtà e quello del sogno si confondono: un mondo in cui si può ancora credere alle fate e alle magie, un mondo al quale è impossibile rinunciare, nonostante il passare degli anni, perché, come Pinocchio, gli esseri umani sono condannati a desiderare sempre quello che non hanno e quello che non sono. Da quel sogno nasce questo burattino snodato che, per ciò stesso, è un simbolo della nostra condizione».
La Fondazione Nazionale Carlo Collodi rende disponibili il testo ufficiale in italiano de Le avventure di Pinocchio tratto dall’Edizione Critica (Fondazione Collodi, 1983) e le traduzioni contemporanee in lingue streniere approvate dalla Fondazione: inglese (trad. P.M.D. Pantom), francese (trad. Danielle Revol) e tedesco (trad. Heinz Georg Held).
I tasti sono scaricabili dal sito e possono essere utilizzati solo per scopi personali ed educativi.
Per il loro utilizzo commerciale ed editoriale è necessario richiedere il consenso alla Fondazione Collodi che detiene ogni diritto d’autore sui testi.
ITALIANO - Le Avventure di Pinocchio
ENGLISH - Adventures of Pinocchio
FRANCAIS - Les Aventures de Pinocchio
DEUTSCH - Pinocchios_Abenteuer
Su Pinocchio si è detto e scritto tantissimo. Tradotto in oltre ottanta lingue e dialetti, trasposto in film, sceneggiati, musical e cartoni animati, disegnato da grandi maestri dell'illustrazione. Oggetto di riflessione e di, spesso incompatibili, ricerche antropologiche, pedagogiche, filosofiche, teologiche, politiche, …
Sul mio sito trovate un po’ di materiali su Pinocchio
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Era il 1975 quando l’Apostolato del Mare della Chiesa Cattolica, la Mission to Seafarers degli Anglicani e la Sailors’ Society della Free Church, hanno pensato a istituire un giorno dell'anno per ricordare i marittimi, le loro famiglie e coloro che li assistono
L'iniziativa nasce in Inghilterra ma si estende oltre Manica, espandendosi fino a diventare una “Giornata internazionale del Mare”. Si celebra abitualmente la seconda domenica di luglio, in cui viene riconosciuto l’importante contributo lavorativo dei marittimi all’economia di tutti i Paesi del mondo.
Questa ricorrenza ha anche un’importanza ecumenica perché in molti porti le celebrazioni e le diverse attività di sensibilizzazione riguardo la situazione umana lavorativa dei marittimi vengono fatte congiuntamente con altre denominazioni cristiane, dando testimonianza di unità di intenti e cooperazione nel proteggere i diritti dei marittimi.
Messaggio per la Domenica del Mare 2023
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
sin dalla prima ora il vangelo ha raggiunto ogni angolo del mondo attraverso grandi navi. Gli Atti degli Apostoli e gli altri scritti del Nuovo Testamento ci raccontano in molti modi la vita che i messaggeri della Buona Notizia trascorrevano con i lavoratori del mare, a volte per mesi, condividendo la quotidianità e aprendo menti e cuori alla fede.
La Domenica del Mare offre ogni anno alle comunità cattoliche di tutto il mondo la possibilità di non dimenticare le proprie origini e di pregare per coloro che lavorano oggi sulle navi che trasportano merci nel mondo intero. Si tratta di oltre un milione di persone grazie alle quali la nostra quotidianità diviene possibile e l’economia si sostiene. Di loro, della loro fede, di come possano amare e sperare, quasi nulla sappiamo.
La domenica è il giorno dell’Eucaristia, la Pasqua settimanale: sono molti a non avervi accesso perché forzatamente lontani dai loro cari e dalla propria comunità. Per tutta la Chiesa celebrare il Risorto significa allo stesso tempo non dimenticare nessuno, far correre la salvezza dappertutto, chiedersi come chi è assente e invisibile possa sentirsi salvato e prezioso, portatore di una dignità che è quella di ogni figlio di Dio.
Gli apostoli raccontavano Gesù sulle navi, radunavano comunità in ogni città di porto: erano dunque presenti a un mondo che oggi è sempre meno conosciuto. La complessa organizzazione delle nostre società e una certa propensione a nascondere le diseguaglianze lasciano spesso in una zona d’ombra i tesori spirituali e i bisogni materiali delle persone umili. La Domenica del Mare non è dunque riservata agli addetti ai lavori, ma accende l’attenzione di ogni comunità cristiana su coloro grazie ai quali ci raggiungono gran parte dei beni di cui ci nutriamo o facciamo uso ogni giorno.
A chi oggi è in mare giunga allora un messaggio corale: la Chiesa vi è vicina. Ciò che vi rallegra e ciò che vi opprime ci sta a cuore. Non abbiamo solo da darvi qualcosa, ma anche da ricevere il vostro racconto, le vostre testimonianze: il punto di vista sul lavoro, sull’economia, sui rapporti fra religioni e culture diverse, sulle condizioni del mare e della terra, sulla fede, che soltanto dalla vostra esperienza può raggiungere e interrogare tutti i membri della Chiesa e, per loro tramite, le nostre società.
Siamo una Chiesa sinodale, in cui cioè si cammina insieme. Dobbiamo andare avanti insieme, navigare insieme, senza lasciare nessuno indietro, e arricchirci l’un l’altro. Nessuno pensi di non avere nulla da offrire. Se dunque c’è uno sforzo che quest’anno ci vogliamo proporre è proprio quello di verificare i modi con cui essere più vicini, in uno scambio continuo che renda il vostro lavoro meno lontano dal percorso e dalla fede di tutti.
Maria, Stella Maris, interceda per noi e sia fonte di consolazione e di perseveranza.
card. Michael Czerny
Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale
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L’incremento dei flussi turistici su scala mondiale, nazionale e locale ha generato un repentino aumento dell’impatto economico, sociale e ambientale del settore. Infatti, all’interno di territori con un alto numero di arrivi e di presenze, il turismo ha prodotto un impatto sistemico capace di coinvolgere trasversalmente più comparti, ad esempio, ristorazione, trasporti, servizi sanitari.
Le aree maggiormente interessate dal turismo mostrano quanto esso sia una forza trasformativa capace di produrre ricchezza economica, ma anche di condensare aspetti distruttivi cui si associano squilibri e impatti inattesi o indesiderati.
Molte esperienze nazionali e internazionali mostrano come esista un “bad tourism” che, tra gli altri, può impoverire il territorio, compromettere la qualità dell’ambiente, alterare la vita sociale e culturale, generare costi (e deficit) per la realizzazione di strutture e infrastrutture non recuperabili con i ricavi, aumentare a dismisura la richiesta di risorse o la produzione di esternalità negative che penalizzano le stesse comunità locali.
Se da un lato la pressione turistica produce un aumento della ricchezza economica e dell’occupazione in molte località, dall’altra pone con forza alcune precise richieste, in tema di qualità della vita, di servizi e di tutela degli ecosistemi che non si possono lasciare inevase, ma che richiedono uno sforzo per perseguire concreti obiettivi di riequilibrio del rapporto tra turismo, ambiente naturale e popolazione locale.
La consapevolezza delle criticità collegate al turismo, soprattutto quando condizionato da un modello di sviluppo disordinato, puramente quantitativo e meramente consumista, ha sostenuto una riflessione sull’applicazione al settore turistico del paradigma della sostenibilità.
L’introduzione sul piano politico-istituzionale e sul piano scientifico del concetto di “turismo sostenibile” è un approdo immediatamente successivo alla formalizzazione nel noto Rapporto Bruntland (1987) dell’idea di “sviluppo sostenibile”.
A distanza di un anno, nel 1988, l’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) ha formulato una definizione di turismo sostenibile tesa declinare l’idea di sostenibilità all’interno del settore turistico, evidenziando la necessità di soddisfare al contempo i bisogni dei turisti e delle popolazioni delle località visitate e di generare opportunità per una crescita durevole dei territori.
Ecco allora che secondo l’OMT «lo sviluppo sostenibile del turismo va incontro ai bisogni dei turisti e delle aree ospitanti attuali e allo stesso tempo protegge e migliora le opportunità per il futuro.
Esso deve essere il principio guida per una gestione delle risorse tale che i bisogni economici, sociali ed estetici possano essere soddisfatti e contemporaneamente possano essere preservati l’integrità culturale, gli equilibri fondamentali della natura, la biodiversità e il sostegno al miglioramento della qualità della vita».
Nel Codice Etico Mondiale, la stessa OMT (1999) afferma che il turismo deve essere un’attività benefica per le comunità di destinazione che devono condividerne in modo equo i benefici economici, sociali e culturali.
Alla luce della crescente compromissione dei sistemi ecologici e della più generale sfida del mutamento ambientale globale non è più sufficiente invocare una generica attenzione alla sostenibilità in ambito turistico.
Da più parti emerge la richiesta di una scelta di campo netta a favore di un’idea forte di sostenibilità che produca marcati cambiamenti sul piano dell’offerta e della domanda, ad esempio, rivendendo dalle fondamenta il modello anacronistico di una crescita disordinata, consumistica e senza limiti che purtroppo anche in alcune aree turistiche ha lasciato il segno.
Il turismo sostenibile riconosce ed esalta la centralità della comunità locale ospitante. Chi ospita ha il diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico, e socialmente responsabile del proprio territorio. Questo principio si muove sulla scia delle spiacevoli esperienze riconducibili all’overtourism o sovraffollamento turistico.
Soprattutto nelle metropoli, ma più in generale nelle mete turistiche, si genera infatti una situazione poco gradevole per tutte le parti in causa. Da un lato i turisti si trovano a fronteggiare file interminabili per visitare luoghi iconici, dall’altra i locali convivono con un sovraffollamento concentrato in periodi circoscritti. Il turismo ecologico è una strategia win-win che apporta benefici ad entrambe le parti.
Il turismo sostenibile è quello che si dissocia dall’inquinamento, dall’aumento dei costi della vita e dalla ricerca di lusso e di comfort.
I suoi principi sono la condivisione delle ricchezze del luogo, la custodia e la valorizzazione delle tradizioni, il sostegno alle bellezze naturali e architettoniche. Alla base del turismo sostenibile c’è, quindi, il rispetto del luogo che si visita e di chi lo abita ogni giorno.
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Le origini della Quaresima non sono molto chiare. Le diverse tradizioni ecclesiali d’Oriente e d’Occidente presentano una interpretazione e comprensione diversificata di essa. Le costanti e le varianti rituali e teologiche espresse dalle loro attestazioni denotano universalmente la Quaresima come tempo di digiuno e di preparazione al Triduo Pasquale.
In Egitto, alla fine del III secolo, si praticava un digiuno di quaranta giorni che iniziava dopo il 6 gennaio ed era memoria del digiuno di Gesù dopo il suo battesimo; tale digiuno divenne preparazione alla Pasqua. Il quinto canone del concilio di Nicea attesta come prassi consolidata la Quaresima che precede e prepara alla Pasqua. A Roma, la forte valenza simbolica del numero quaranta legato agli eventi storico-salvifici fece in modo che tra il 354 e il 384 si passasse da un iniziale periodo penitenziale di tre settimane ai quaranta giorni. Girolamo è il primo testimone del tempo quaresimale caratterizzato dal digiuno e con indole penitenziale (Lettere 22,35; 24,4). I caratteri ascetici e morali, il digiuno e l’esercizio delle virtù sono le costanti dei sermoni quaresimali di Leone Magno. …
«Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto». (Romani 12,1-2)
Il sacrificio non ha una buona reputazione nel nostro mondo. “Fare un sacrificio” significa per i nostri contemporanei non fare ciò che ci piacerebbe fare o fare ciò che non si vorrebbe fare. E per chi conosce la storia delle religioni, il termine evoca spesso vittime cruenti offerte alle divinità. Ed ecco che l’apostolo esorta i credenti di Roma a fare un sacrificio della loro vita concreta nel mondo (questo è il significato che lui qui dà alla parola “corpo”). Come comprendere una simile proposta?
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Prima di tutto, bisogna cogliere che il significato di questa pratica non è negativo. Il sacrificio è un’offerta a Dio, in altre parole un dono o regalo. Scambiati tra umani, i regali vengono usati per creare o approfondire una relazione. Dono all’altro un oggetto che mi è caro, che mi “costa” qualcosa, e da quel momento tra noi esiste un legame o, se già esisteva, si rafforza. Possiamo fare un regalo per diversi motivi: per chiedere perdono dopo la rottura di una relazione, per rendere l’altra persona più propensa a prendermi sul serio o, il più delle volte, per far piacere all’altro e dimostrargli che conta ai miei occhi.
Nel mondo antico, i sacrifici a volte servivano allo scopo di suscitare l’interesse di un dio lontano o di persuadere un dio malintenzionato. In Israele, invece, non era così, perché il Dio della Bibbia aveva già un amore appassionato per la sua creazione. Andando al Tempio per fare offerte al Signore, i fedeli volevano soprattutto restituire a Lui, simbolicamente, un po’ di ciò che aveva loro donato facendo di essi il suo popolo (cfr Esodo 19,4-6; Deuteronomio 26,1 -11). Quindi era essenzialmente un atto di riconoscimento. Tutto viene da Dio e tutto deve ritornare a Lui, dopo essere passato attraverso la vita degli umani.
Gesù opera un cambiamento importante: nel suo caso, l’offerta non è un oggetto qualsiasi, bestiame o parte del raccolto, ma la vita intera. Gesù viveva nella consapevolezza che tutto gli veniva da Colui che egli chiamava Abba, Padre – «Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (Gv 3,35) – e il senso della sua esistenza era cercare di mettere in pratica ciò che Dio gli aveva dato da compiere: «Faccio sempre le cose che gli sono gradite» (Gv 8,29). Esisteva così tra i due una comunione perfetta.
L’apostolo Paolo vuol far entrare i credenti a Roma in questa stessa relazione. Egli parte dalla “misericordia di Dio”, cioè dal fatto che, in Cristo, Dio ha dato loro tutto, facendoli passare “dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1Pt 2,9). L’esperienza dell’amore divino provoca in loro un rinnovamento interiore. Da quel momento, non devono più seguire i valori della società circostante. Al contrario, sono chiamati a fare della loro intera esistenza una lode a Dio, cercando di compiere, in ogni cosa, ciò che Dio vuole. E cosa vuole? Paolo dopo ci dice tutto ciò che Dio desidera, che «qualsiasi comandamento si ricapitola in questa parola: amerai il tuo prossimo come te stesso... pienezza della legge, infatti, è la carità» (Rm 13, 9-10).
Paolo chiama questa ricerca della volontà divina “un culto logikos”, aggettivo greco difficile da tradurre. Renderlo con “spirituale” rischia di far pensare che si tratti solo della vita interiore, mentre la menzione di “corpo” prima significa chiaramente che tutto l’essere è implicato. Un culto logikos è quello praticato da un essere dotato di ragione e capacità di prendere decisioni. Non consiste, quindi, in offerte materiali, ma in un atteggiamento di disponibilità e in un discernimento per cercare, in ogni situazione, ciò che può favorire l’amore. Fare della nostra vita un sacrificio, quindi, non significa rifiutare la felicità o avere una volontà perversa di soffrire, ma rendere grazie a Dio in ogni momento e spendersi per i nostri fratelli e sorelle in umanità.
Fonti
https://www.taize.fr/it
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