#Avrei solo voluto abbracciarla
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Aiuto
Mi scrive, lo fa sempre quando è in difficoltà. Per questo mi allarmo quando vedo il suo nome sul display.
Faccio notare che mi scrive solo se è in difficoltà o nei guai. Quale delle due stavolta?
Guai.
È incinta.
Mi chiede cosa dovrebbe fare, com'è essere genitori. Non mento: l e dico che è dura, che significa notti insonni, fatica, ansie.
Le dico che sono anche tante gioie e le gioie sono di più, per fortuna.
Mi chiede che fare ma risposte non ne ho. Non ne ho perché non sono nella sua posizione, io un figlio lo volevo e comunque non sono madre. Le dico che è difficile allevarlo in due figurarsi da soli.
Penso al peso che le è caduto addosso, mi dice che i suoi non l'hanno presa bene, che non vogliono saperne nulla ma altri si sono offerti di aiutarla, per fortuna. Lo stigma ricade comunque sulla donna, nonostante siamo nel 2024 e questa è la cosa che mi fa più rabbia. Vorrei poter fare di più, aiutarla di più di così. Mi dice che faccio già tanto che la supporto come pochi altri.
Mi mostra l'ecografia. Le faccio notare che forse ha già deciso. Mi dice che sì: sa già cosa vuole fare. È spaventata a morte ma ha deciso.
Essere madri non lo posso capire e neppure puoi spiegarlo. Lo devi volere veramente e dopo la forza la trovi. Non sai come ma la trovi.
L'abbraccio idealmente.
Nell'era della comunicazione globale manca ancora la possibilità di potersi toccare e alla fine il contatto umano è quello che vorremo più di tutto.
Fatti forza, le dico. Nel mio piccolo farò tutto ciò che posso per aiutarla, per esserle vicino come ho sempre fatto.
#pensieri#pensieri in solitudine#pensieri notturni#richieste di aiuto#ci sarò per lei#ci sarò sempre#Avrei solo voluto abbracciarla
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stamattina ho indossato la mia divisa da infermiera: ho preso le consegne, preparato le borse, mi sono messa messa in macchina e sono andata dal bambino. prima di entrare in casa avevo quasi un nodo allo stomaco, ma mi sono fatta forza e sono entrata. ho visto il bambino sul divano, un bambino come tutti gli altri, che dormiva e abbracciava il suo papà. sono stata brava, ho contenuto l'emozione. ho scambiato due parole con la mamma, di pura organizzazione, sono andata al tavolo e ho preparato l'elastomero. tremavo, ma dovevo essere forte. poi mi sono avvicinata al bambino, che appena ha sentito il mio tocco ha urlato "vai via!", mi si è stretto il cuore, ho mandato giù il nodo in gola e ho attaccato l'elastomero, poi gli ho fatto una carezza sulla pancia e lui si è attaccato col corpo al papà. mi sono girata verso la mamma e ho sentito tutto il suo dolore, avrei voluto abbracciarla ma ovviamente non mi era possibile. mi sono fatta coraggio, ho salutato il bambino, i genitori e sono uscita da quella casa. in macchina avrei voluto gridare, piangere, avrei voluto che la giornata finisse lì, invece era solo il primo paziente. è stato pesante. mi sono sentita impotente, completamente. un vuoto incolmabile. domani quel bimbo verrà ricoverato in ospedale e chissà quando, non ci sarà più. Non rivedrà più i suoi spazi, i suoi giochi. Quella casa era Sua, fatta per Lui. ciao piccolo.
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Alla fine, quando la vidi, non avrei voluto fare altro che abbracciarla,
no, niente baci, nonostante mi mancassero come l'aria.
Nessuna parola sarebbe servita a spiegare quello che sentivo,
nessuno mi avrebbe capito se non tu.
Avrei voluto soltanto tenerti tra le braccia e riguardare la luna con te, senza dire una parola,
soltanto farti sentire protetta come ho sempre fatto,
farti sentire a casa
e farti capire che è sempre stato qui il tuo posto.
Avrei voluto sentire il tuo profumo più da vicino,
anche se si sentiva lontano un chilometro.
Avrei voluto sentire il tuo cuore battere
e farti sentire il mio che mi esplodeva ancora nel petto.
Questo avrei voluto fare,
farti capire che il tuo posto è, ed è sempre stato, tra le mie braccia,
e che il tempo, nonostante non faccia sconti a nessuno,
a me è servito solo per pensarti un po' di più...
cit.
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𝗗𝗶𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼
𝟳 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
Caro diario,
oggi è stata dura. Ho visto tanto dolore e paura negli occhi di due donne.
Una che non accetta la debolezza del suo corpo, la decadenza delle sue forze. L'orgoglio che non le fa accettare una domiciliazione più consona.
La mia paura di non reggere da solo l’urto. Di non farcela da solo.
Poi incontro lei.
La seconda donna. Fiera, forte e guerriera. Che ha dovuto affrontare la paura di non riuscire, di non avere abbastanza forza come quando erano in due. La sua metà volata via presto, in quel maledetto periodo in cui noi eravamo un focolaio. Ghettizzato per due mesi in cui quarantuno persone che conoscevo, tra cui suo marito, sono uscite dalle vite dei loro familiari con un ultimo saluto appena accennato, mentre venivano caricati in un'ambulanza.
Senza che i loro cari potessero rivederli più, se non dopo mesi riconsegnati in un'urna cineraria.
Ancora oggi leggo che quella colonna di automezzi militari nella Via Borgo Palazzo, immagini che hanno fatto il giro del mondo, vengono riprese con scherno. Come se in quelle bare fossero state vuote.
Vuoto è il cuore di chi schernisce e racconta di messe in scena.
Ma ripenso a lei, a quella madre ora vedova. Lei è forte, ha preso sulle spalle i suoi figli e li sta facendo decollare verso i loro rispettivi futuri da adulti. Lei è tremendamente forte, capace e tenace ma forse non lo sa pienamente. Anche se la sua anima è lacerata dal dolore.
Oggi l'ho ammirata da morire. Avrei voluto abbracciarla mentre mi raccontava. Forte.
Posso solo imparare da lei, sarò forte anche io.
Come ho sempre fatto da solo fino a oggi.
Non è stata una buona giornata questa, caro diario, sento il bisogno di fermarmi qui.
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Ho evitato la musica ma i ricordi suonano da soli.
Una foto,un respiro mi ripeto.
Un respiro,una foto.
Tremo,ormai ho perso il conto delle ore,delle lacrime,dei cocci che ho perso per strada senza più trovarne.
Ho già incastrato i peluche nei pezzi mancanti ma sono troppo piccoli,troppo vuoti.
Le nostre mani,una sull'altra,i nostri sorrisi assonnati,le foto stupide in una cabina,le foto a luce blu a casa tua,le prime esperienze,la prima "gita in famiglia",il primo compleanno con la tua famiglia,il primo viaggio in treno insieme...
Respira
Respira più forte
Magari non andrà così ma Caramella da dentro quella scatola troppo grigia mi urla di abbracciarla ancora un po' perché per un po',non la rivedrò.
Quella scritta a luci,non è mai cambiata da quel giorno,ora vorrebbe tanto bruciare ed accartocciarsi su se stessa come quelle lettere troppo grandi per un amore forse,troppo piccolo.
Vorrei bruciare tutte quelle esperienze che solo a lei a creo dedicato ma che altri hanno avuto ed avranno.
Questa stanza ha più di te che di me e già la sento vuota come quel quadro del tuo corpo,scherzo beffardo del destino.
Più ti leggo e più sento come se nulla di ciò che siamo state avesse dovuto esistere davvero.
La vita mi hanno sempre detto che ci dà ciò di cui abbio bisogno e cazzo quanto vorrei averla davanti questa Vita per urlarle in faccia che non l'ho capito di cosa ho bisogno,che ho già giocato con la morte,che ha avuto l'occasione di uccidermi,che sono stanca di aver paura della felicità,che sono stanca di non potermela vivere perché fa sempre così.
Cara Vita,vorrei averti davanti e chiederti che cosa vuoi da me se ogni volta che ho qual cosa,se ogni volta che guardo quel germoglio che lei mi ha donato e che ho cresciuto con impegno ed amore mi ricordo che ciò che ci unisce sta appassendo,ormai è secco ed io di quel germoglio non saprò che farmene se non un promemoria di ciò che morto sarà.
Cara Vita,non sai quante volte avrei voluto correre da suo nonno e chiedergli cosa avrei potuto fare per amarla,per meritarla ma non sono meritevole nemmeno di fare un gesto simile.
Non sono più capace,cara Vita,di trovare riparo nemmeno nella mia copertina perché le appartiene,la mia anima le appartiene e vorrei per rabbia ritrarmi ma a nulla varrebbe,a nulla vale,a nulla valgo.
Cara Vita sono stanca dei tuoi giochetti,del tuo dolore,stanca che tu mi faccia aprire per poi pugnalarmi al cuore.
Sono stanca cara Vita di metter via ricordi,di doverli cancellare e sono stanca cara Vita di amare e finire sempre accartocciata come carta straccia seppur riempita di buone parole.
Sono stanca ,cara Vita di rose bianche che diventan nere
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DIVENTANO INVISIBILI
Quando Ulisse incontra l’anima di sua madre negli inferi e tenta di abbracciarla, per tre volte lei scivola via come un’ombra. Quella degli abbracci è una legge valida per i mortali, nel regno delle ombre non ha valore, ma una persona che cessa di esistere nella realtà, non cessa di esistere nella memoria e nel cuore di chi vive, per questo sento ancora la voce del nonno che mi chiama, l’odore delle sue sigarette, il rumore degli attrezzi che lavorano dietro casa. Vedo le sue mani, i suoi occhi sottili, le sue sopracciglia folte e scure. E mi sento bene, grazie a lui sono sempre stato bene. Perché da bambini, se ci avessero chiesto quale fosse il supereroe in famiglia, io avrei detto mio nonno, che non parlava se non gli chiedevi niente, che stendeva il vino sul pane, che sapeva aggiustare il manubrio della bici e le ruote dei pattini, che sapeva costruire le case e far ripartire i motori, che mi voleva bene come nessuno mai, dolce come la notte e forte come l’acciaio. Vorrei fosse ancora qui, per dirgli tutto una volta sola, invece ho solo qualche foto in una scatola assieme a quelle dei bisnonni. Sono sfumature senza una data, senza un nome, senza neanche un colore. Ma i nonni non muoiono, diventano invisibili e sono i primi esploratori dell’aldilà, che vanno a conoscere cosa c’è oltre la vita e tornano a trovarci nei sogni, per ricordarci il bene che gli abbiamo voluto.
SARÀ UNA NOTTE BELLISSIMA
presentazione/reading a Forlì 22 febbraio e 10 marzo (presto i dettagli).
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Che Putin “è solo l’ultimo capo di stato russo che vede l’Ucraina come una moglie fedifraga che vuole abbandonare il tetto coniugale, e che non va solo riportata a casa, ma anche dissuasa una volta per sempre dal riprovarci – per questo l’ha invasa”. Che “rossi e bruni apparentemente divergono nella visione della società ma sono fraterni compagni di strada nell’unica cosa a cui tengono davvero: combattere le democrazie occidentali” (puntuale ritratto dell’andamento elettorale tedesco). Che in Ucraina “è successo l’esatto opposto di quanto accadde in Iraq o in Afghanistan…, che lì ha prodotto stati falliti o peggiori di quelli di prima”, e qui avviene “grazie a” Putin. Che una scrittrice, con un impegno femminista, eurocomunista, libertario, antifascista e anticolonialista, di fronte all’invasione si chiede – no, chiede: “Che cosa c’è da capire?”.
Con tutto il rispetto, avrei voluto soprattutto abbracciarla quando, alla fine del libro, Francesca Melandri ha raccontato il proprio amore per la steppa mongola, il gran viaggio in cui fu lei capocarovana, come usa là, a cavalcare in testa con le redini in una mano e la corda del capo-cammello nell’altra. Il presidente della Federazione mondiale mongola che nel settembre 2022 si rivolse ai mongoli tuvani, calmucchi, buriati usati come carne da cannone: “Non sparate agli ucraini. Non uccidete la loro libertà”; e colonne di cittadini mongoli della Federazione russa riparavano oltre il confine accogliente della Mongolia.
Melandri ha avuto il tempo di seguire nel suo racconto la gara delle guerre degli odii e delle viltà che sembrano essersi date appuntamento e stanno per scadere, il 7 ottobre e la carneficina e le macerie di Gaza e il sarcasmo sulla mediocrità costretta a farsi eroica: non a registrare quello che immagino un vero colpo al suo cuore, la visita di Putin in Mongolia, la prima in un paese aderente alla Corte penale internazionale, che lo ha accolto “come uno zar” nella piazza centrale di Ulan Bator dedicata a Gengis Khan. Anche la Mongolia “ha bisogno del gas”.
I libri durano poco, al giorno d’oggi. Mi dispiace di essere già in ritardo, ne ho scritto in fretta. Romanzo, libro di storia, orazione civile politica e polemica, è un gran libro, non è fatto per carezzare il pelo: non mancatelo. "Piedi freddi", Bompiani, 260 pp., 17 euro.
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Mia madre oggi, ancora una volta, ha preteso di conoscermi, di definirmi, mi ha dato della pessimista, negativa sempre e comunque, una stronza senza cuore, senza cuore. Non ha la minima fiducia in me, non l’ha mai avuta, sono sempre stata così per lei e lei non ci può fare nulla, poverina. Me lo ripete da quando ho 6 anni che non ho cuore. E io da allora mi sono tagliata le braccia e le gambe in mille pezzettini, ho pensato alla morte svariate volte e infinite altre a tutti i modi in cui avrei potuto raggiungere quel buio che dura per sempre. Una signora, prima, mentre stavo guidando, mi è passata affianco e mi ha sorriso entusiasta e fatto il gesto del pollice in su. E io l’ho mandata a cagare, non capivo e mi sono chiusa a riccio: perché è vero, sono così, negativa, me l’ha insegnato mia madre che non ci si può mai fidare degli altri e del mondo. Eppure io mi sento cambiata, l’ho capito oggi che avrei dovuto (e voluto) reagire in maniera diversa, ma non mi sono sentita senza speranza per questo, anzi, voglio perdonarmi e essere migliore ogni giorno. Non sono più quella che ha creato mia madre, soprattutto non sarò mai come lei, me lo sono promessa tanto tempo fa, non subisco più la sua influenza nelle mie scelte, Rebecca ne è la prova. Vedo il nostro amore, vedo come riesco ad affidarmi a lei, a baciarla e abbracciarla, vedo lei con me, quanto mi dà, anche se ogni tanto l’ombra di mia madre torna a odiarmi, giudicarmi e schifarmi, ma ho deciso di non ascoltarla più. Voglio solo essere felice. Se potessi dirle qualcosa se ne avessi il coraggio, tornerei bambina e le direi che volevo tanto un cane perché so che lui mi avrebbe dato tutto l’amore che lei non è mai stata in grado di avere per me ed era anche l’unico modo che conoscevo per chiederle aiuto, ma lei mi ha negato anche quello, non mi ha mai capita né ascoltata e io non sarò mai in grado di perdonarla per questo
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Odio la domenica pomeriggio. Credo che non esista parametro migliore per valutare quanto ti piace la tua vita, ed è evidente che la risposta sia "poco". Ho una marea di messaggi a cui dovrei rispondere ma non mi va, non mi interessa. Odio la domenica pomeriggio che in questo momento rappresenta così accuratamente come mi sento. Come? Vuota, grigia, viola, lilla. Sempre lì convergo, sulla tua ametista, B. (perché questa frase sembra vagamente allusiva?). Tu dici che anche il lilla può essere bello, ma non riesco a vederla così. Vedo che da qualche parte deve esserci per forza del dolore che devo ancora sentire; non è possibile che sia finito così, "solo perché...". Eppure non lo sento, e senza quelle nubi nere mi sento nuda, spoglia (spogliata). Dov'è finito tutto? Io non voglio stare male e bada bene, tu, ente cosmico di possibile esistenza che ti diverti a farmi gli scherzetti, non mi manca avere costantemente gli occhi arrossati dal pianto ma sono confusa, e mi sento un po' persa. Che senso ha avuto? Oggi ho realizzato che ormai è un'altra storia che si è aggiunta al mio passato. Non voglio nemmeno chiedermi se mi ricercherà mai, e forse la risposta a questa domanda è dove si nasconde quel dolore che mi sfugge, quelle lacrime che mi eludono ma che intravedo quando nel parcheggio passo davanti a quella stupida Citroen con l'adesivo della Sardegna e distolgo lo sguardo, quando lo shuffle di spotify mi palleggia tra ICU, destri e see you soon e il dito va avanti senza pensarci un secondo, quando qualcuno dice "cool" e mi scatta in automatico il "porco...", quando vedo lei che le somiglia così tanto e devo sopprimere l'istinto di abbracciarla. A lei non manco e probabilmente ha senso che sia così, ed è evidente che la disperazione che provavo i primi giorni non era reale, non era lei, erano i miei fantasmi, il mio papà. Però quello che c'era sotto era suo, era reale, e quella sofferenza dov'è ora? Accettare, parlare, riconsiderare, capire, perdonare. Tutte belle parole, dovrei essere fiera di come l'ho affrontata. Però ora è domenica pomeriggio e sto sdraiata sul letto e ripenso a quanto cazzo ci ho tenuto a questa persona che a malapena ha sfiorato la mia vita e finalmente quella lacrima in bilico mi cade giù sulla guancia, ma mi muore sulle labbra. È una, una sola lacrima che contiene tutte le cose che non abbiamo fatto e la speranza spezzata di guadagnarmi un angolino, defilato, nella sua vita in cui sedermi e dove restare. Avrei voluto così tanto che tutto questo avesse un senso, e invece un senso non ce l'ha. Penso allo sguardo indignato e schifato che ha fatto quando le ho chiesto se le fossi mancata, penso al senso di vuoto che ho provato sedendomi sul muretto di casa sua perché "volevo solo essere tua amica". E fa male, ma non brucia più. È il dolore che ho provato che ormai ho inglobato dentro, un taglio, uno dei miei sassi. In quella casa non ci entro più, è tutto spento, si accumula la polvere. Non so se riuscirò mai a chiudere quella porta però, perché ci ho creduto così tanto che potessimo farci del bene, che ne valesse la pena, che ad oggi non riesco a immaginare il giorno in cui se mi chiedesse di riprovarci io non direi "okay".
Così come la disperazione è diventata dolore quando ho smesso di sentirmi in pericolo, così come il dolore è diventato sofferenza quando ho accettato sia andata così, così come la sofferenza è diventata malinconia quando ho smesso di darmi la colpa, diventerai mai indifferente per me? La mia vita è andata avanti e anche io, anche se a volte mi dimentico che non ci sei più e mi giro quasi a cercarti per poi ricordare che non mi vedrai. E fa male perché se io ho lasciato andare, se ciò che tormentava me è diventato una ferita da guardare contro luce, quanto semplice deve essere stato per te? Sono diventata una dei tuoi fantasmi o non ero abbastanza importante? Ho paura che tu mi dimentichi e che lo abbia fatto con la stessa facilità con cui ogni volta te ne sei andata. Non so se riparleremo mai, ma spero che in qualche biforcazione dello spaziotempo le cose siano andate diversamente ed io sia riuscita almeno a lasciarti un pezzetto di me.
Non so se riparleremo mai, ma mi chiedo se ti piacerebbe la persona che sto diventando. Mi facevi avere voglia di essere una persona migliore, rendevi tutto un po' più bello. Anche me.
Metto via, e faccio finta di niente.
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Dice… dice “non ti devi accontentare”
Ed io dico “no non mi accontento. Prendo quel che viene. Si c’è nostalgia. Mi sarebbe venuta la voglia di abbracciarla, di baciarla, ecco. Ma non si può e allora che posso fare? Nulla! Mi sto e continuo a vivere e intanto mi guardo intorno.
Eppure, nel teatro, mentre la musica scorreva, ci avvolgeva tutti, le mie mani, le mie dita cominciavano a seguire il ritmo, scivolavano, seguendo la melodia, sul velluto della poltroncina davanti a me. E giravano e scivolano, facendo giri sinuosi, e quel velluto era la sua pelle, la sua schiena ed io ne seguivo le linee, l’arco teso delle vertebre, la curva delle spalle. E immaginavo il suo odore sulle punta delle dita, il suo serrare gli occhi, il suo lasciarsi andare. Ed io, paziente, che seguivo la musica e le sue curve.
Ecco, avrei voluto farlo e l’ho fatto perché ricordo tutto di lei, ricordo il suo piacere ed il mio percorrere linee immaginarie che solo io ho scritto e nessun altro”
Dice… dice “ma così è accontentarsi”
Dico “si lo è. Ma posso fare altro? Posso mettere un freno al mio desiderio e ai miei ricordi? No che non posso. E allora va bene così, finché durano i ricordi e le sensazioni. Poi si vedrà.”
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Come fai a fargli capire che alcuni atteggiamenti ce l’ho solo con lei perché del resto delle persone non ti frega che non sei tu a cercarle,sono loro che non mi comporto così con gli altri perché non sono lei,non ho passato con loro quello che ho passato con lei non sono state quello che è stata lei per me,non mi conoscono come te non mi hanno mai fatto provare quello che ho provato con te che nessuno al suo posto nella mia vita come glielo spieghi che tu a nessuno avresti fatto passare quello che hai perdonato a lei come glielo spieghi che da quando è ricomparsa ti senti più felice che alcuni atteggiamenti escono fuori di impulso non li controlli provi a tenerli a bada perché sai che faranno danni ma è più forte di te e che quell’istinto è più forte della razionalità dell orgoglio che c’è un legame troppo forte con lei un’attrazione magnetica.non di sentimenti io non so quello che provo ma mi sento legato a lei.alla sua mente ai suoi demoni,quelli li conosco non il loro volto ma li senti.Loro si incontravano come si incontrano le anime.Che la vedi per quello che è che la guardi e non pensi che puoi cambiarla Ti guardo e mi piaci come sei e anche se lei non si sente perfetta non c’è nulla che cambieresti in lei. che era tutto quello che avevi sempre voluto ma che non ti saresti mai aspettato di avere e che con il tempo hai amato quei demoni ci ha fatto l’amore .come glielo spieghi che aldilà di due corpi che si univano sentivi proprio le vostre menti legarsi sempre di più e che è stata la sensazione più bella della tua vita che quando sei andato avanti L unica cosa che hai messo a confronto con altre ragazze non era all’atto pratico ma era quel coinvolgimento mentale, emotivo,quell intimità ma che con ogni ragazza che c’è stata dopo,quella sensazione la senti sempre più lontana,come spieghi che la mia paura non è quella di perderla,perché quel legame è durato anche nel silenzio di anni,E so che non puoi stare troppo senza di me Neanche se hai altro.Se hai mille distrazioni,mille cose da fare,puoi andare avanti con la tua vita puoi non cercarmi non vedermi.sei forte e orgogliosa .ma gira gira la tua mente ti porterà a pensarmi Perché come me non troverai mai nessuno.E questo dovresti averlo capito,ma tu in fondo lo sai! In un modo o nell'altro i tuoi demoni e la tua mente mi reclameranno ancora.che la mia paura più grande è lei perché è sempre stata diversa dalle altre persone con cui ho avuto a che fare,che il problema è che ti perdi ancora in quei cazzo di occhi.che ho sempre avuto paura di quello che ti avrei permesso di farmi quando sarei diventato completamente accessibile. paura perché riesci a toccarmi in punti dove le mani non possono arrivare come spieghi che ogni volta che la vedi la saluti vorresti solo abbracciarla forte e non lasciarla andare perché già un po’ ti manca che ogni volta che sparisce vorresti solo sentirla ma che spesso resti fermo per paura di fare peggio ma la pensi sempre.e dentro di te senti quella malinconia,sai che prima o poi nn sarai più in grado di reggere questa sua altalenanza e troverà quella porta chiusa che dovrebbe esse lei ad aver paura di perderti,come spieghi che ci rimani male non per il fatto che non riesci a vederla o per i suoi modi di fare.ma per una singola frase o ti danno fastidio alcune cose che non dovrebbero perché nn è più “tua”da tempo che o ci rimani male perché dentro di te sai che sei una persona selettiva e se scegli di stare con lei perché vuoi stare insieme a lei perché hai voglia di lei che nn la vuoi psicanalizzare e non perché non mi interessi ma so che ha i suoi blocchi e il suo modo di gestire le cose,non per egoismo perché se solo potessi prenderei tutte le sue paure e insicurezze,il suo dolore lo farei mio solo per farla stare bene come glielo spieghi che staresti ore lì con lei in silenzio solo a guardarla nn servono le parole.che ti senti completo finalmente.è il tuo posto.come glielo spieghi che tu non vuoi delle rassicurazioni perché infondo già lo sai non vuoi promesse o parole ma fatti e la sua presenza perché quella non ti basta mai
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Quando l’ho conosciuta la prima volta, quella sera all’addio al nubilato di una nostra amica in comune, cercavo di guardarla attentamente con la coda dell’occhio. Non riuscivo ad inquadrare la sua persona, percepivo in lei qualcosa a cui non sapevo dare un nome. Poteva essere, semplicemente, che non mi piacesse come persona così, a pelle. Ogni tanto mi capita. Oppure poteva essere una persona che stava male ed io, da buona empatica quale sono sempre stata, percepivo tutto il suo malessere addosso. Mi rimase il dubbio, poiché in quella serata non ci scambiammo più di quattro parole in croce. Ci siamo incontrate di nuovo il giorno seguente, al matrimonio delle nostre amiche. Anche in quell’occasione, parlammo davvero poco. Il destino poi ha voluto che io mi avvicinassi a suo fratello. Che giro straordinario che ha fatto, questo destino. Uscii con lui qualche volta, ma in nessun occasione tra di noi ci fu qualcosa, fino al giorno in cui, casualmente, mi ritrovai davanti agli occhi di lei ed alle sue parole. Mi raccontò tutta la sua storia ed io rimasi lì ad ascoltarla, con gli occhi pieni di lacrime ed un nodo stretto in gola. Dio solo sa quanto avrei voluto abbracciarla e tenerla stretta al mio petto, quella sera. Invece me ne stetti immobile seduta al tavolo di quella casa che, in quelle calde serate estive, mi ospitava spesso, per una birra e quattro chiacchiere, ad accogliere le sue lacrime ed i suoi dolori più profondi, a sperare di riuscire a farla vuotare completamente, facendomi carico io di tutto ciò che le aveva fatto del male in passato. Avessi potuto -potessi farlo anche oggi, a maggior ragione oggi- io estrapolerei dal suo petto tutte le delusioni e le sofferenze, una ad una, fino a farle scomparire del tutto e me le terrei tutte io, cercherei di proteggerla come si protegge qualcosa di molto piccolo e delicato, qualcosa di veramente raro. Se potessi, io, mi farei carico dei suoi malesseri e li trasformerei in fiori profumati e colorati. La riempirei di fiori, dalla testa ai piedi, le toglierei tutte le spine delle rose, anche a costo di farmi male. La proteggerei, sì. Io la proteggerei da ogni cosa, di questo ne son sicura. Avrei voluto iniziare a proteggerla da quella notte, anzi, a dire il vero avrei voluto conoscerla da sempre per proteggerla sin dalle origini, quasi come fa una mamma con un figlio -o come dovrebbe fare una mamma con un figlio, ecco-. Mai avrei potuto immaginare, però, che da lì a qualche mese sarebbe stata proprio lei quella disposta a calarsi nel fosso in cui stavo morendo soffocata per venirmi a salvare. La nostra amicizia cresceva lentamente ogni giorno di più. Una notte in preda alla follia andammo in quattro a forte dei marmi. Tre ore e mezza di macchina per stare lì a guardare il mare mezz’ora per poi tornare indietro e fare altre tre ore e mezza di guida. Eravamo 4, ma per me in quella macchina c’eravamo solo io e lei. Io seduta dietro a guardarle la nuca su cui ha tatuate le ali e a pensare che un volo, lassù, sulle sue spalle, io lo avrei fatto più che volentieri. E davanti al mare me ne stavo in disparte, seduta sul bordo del grande lenzuolo che avevamo portato, a bere la solita birra e a guardare lei di spalle seduta accanto ad una che non ero io. E poi i fuochi d’artificio. La sensazione di guardarli da sola anche se di occhi, lì in mezzo, ce n’erano abbastanza per non potersi sentire soli. Credo sia stato proprio da quel giorno che, dentro di me, si è rotto qualcosa. Da quel giorno ogni volta che l’ho guardata negli occhi non ho più avuto il coraggio di sostenere il suo sguardo, perché la tentazione di intrufolarmi tra le sue braccia e di chiederle di salvarmi era troppo forte, esageratamente forte. Ed io non accettavo neanche l’idea di provare qualcosa di simile, la respingevo, perché avevo un amore da salvare. Un altro amore, l’amore della mia vita, quello che pensavo, nel bene o nel male, mi sarei portata accanto per il resto dei miei giorni. Allora mi tenevo a debita distanza. Allora poi lei un giorno è partita per Napoli e mi ha detto “starò via due mesi” (…)
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Ci sono state tante notizie in queste ultime settimane/mese ed una di queste riguarda una delle persone a me più care. M, che qualcuno conoscerà come "coinquilina", ha trovato l'amore e io non potrei essere più felice. È strano si, questo è vero non per il fatto che l'abbia trovato, ma perché sentirla parlare in quel modo non è mai successo e vederla così raggiante e "romantica" è strano sul serio per una come M (Lei sa di cosa parlo). Ma è tutto bellissimo
Si merita questa felicità e questo tornado di emozioni vissute tutte insieme; ho sperato che le arrivassero momenti buoni, soprattutto dopo questi due anni affatto facili e con calma e inaspettatamente è arrivato persino l'amore. La loro storia è bella proprio perché un pò assurda e guadagnata, perché a distanza le cose possono apparire complicate ma se si vuole si può fare e loro ce l'hanno fatta davvero. Aspettandosi, desiderandosi, mettendosi in gioco.
Vederla sotto questa nuova luce mi scioglie il cuore; lui la fa sentire al sicuro, apprezzata, amata ed auguro ad entrambi di viversi a vicenda.
Mi è solo spiaciuto aver condiviso questo momento da lontano, non essendoci ancora viste, perché l'unica cosa che avrei voluto sarebbe stata abbracciarla. E quel gesto avrebbe significato tutto
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Il primo incontro
Il viaggio in treno non era stato chissà quanto lungo ma sentivo comunque il bisogno di rinfrescarmi. Meno male che avevo preso il primo che partiva al mattino cosi avevo il tempo di registrarmi in hotel e darmi una sistemata prima di incontrare finalmente Sonia. A quel pensiero iniziai a sentire le farfalle nello stomaco, improvvisamente mi iniziò a mancare l'aria nonostante il sorriso da ebete che avevo stampato in faccia. Era la prima volta che ci vedevamo di persona. Abbiamo passato settimane intere a parlare al telefono e in videochiamata, mai abbastanza a lungo, mai abbastanza vicine. Speravo che averla vista al telefono bastasse per scemare almeno di un pochino l'ansia che mi stava salendo per il nostro incontro ma non c'era proprio nulla da fare.
Mi registrai in hotel e andai in bagno a fare una doccia veloce. Senza bagnare i capelli me la cavai in dieci minuti, misi il burro per il corpo allo zucchero filato sulla pelle che odorava di bagnoschiuma alla pesca, spruzzai poi l'acqua per il corpo profumata sulle braccia e sul collo. Sistemato il trucco andai ad aprire il borsone da viaggio a forma di bara che avevo buttato sul letto con noncuranza: era il momento di scegliere cosa mettermi. Indossai un completino in pizzo nero e dei calzini con i panda e mi bloccai di fronte alla scelta del resto. I jeans a campana e le globe nere erano una scelta ovvia ma ero davvero indecisa sul sopra. Era la fine di maggio in fin dei conti e faceva abbastanza caldo durante il giorno, mentre con l'arrivo della sera si alzava il vento e finivo sempre per avere freddo. Avrei potuto portarmi una felpa o una giacca dietro ma non avevo voglia di avere le mani occupate. "Bene, mancano ancora due ore e io sto già andando in panico. Non riesco nemmeno a decidere che maglietta mettermi perché voglio sembrare normale ma anche attraente e non pretenziosa e non voglio avere la pelle d'oca tutto il tempo. Accidenti. Perché mi sono portata cosi tanti cambi per cosi pochi giorni?" iniziai a pensare, seduta sulla moquette per terra. Chiusi gli occhi e respirai profondamente un paio di volte. Crop top e camicia a quadri oversize. Deciso. Sicuramente non potevo sembrare più gay di cosi. Rimisi gli anelli d'argento sulle dita, sistemai il posino in pelle sul polso sinistro e raddrizzai la collana al collo. Decisi di aggiungere le bretelle viola e una catenella ai pantaloni. Dal punto di vista estetico ero pronta cosi svuotai lo zainetto e controllai cosa mettere dentro. Portafoglio, caricatore portatile, occhiali, salviette umide, sigarette e accendino, cuffie e il pacchetto incartato che avevo tolto dal borsone. Riguardo all'ultima cosa sapevo bene che era solo una precauzione. Sapevo che ne avevamo già parlato prima ma non ero sicura di come sarebbe andata la giornata, e volevo avere questa sorpresina dietro in caso fosse andato tutto bene e avessi voluto metterla in imbarazzo prima di passare di nuovo in hotel.
Il telefono segnava mezzogiorno ed era ora di uscire. Per fortuna avevo prenotato un hotel vicino alla stazione cosi potevo muovermi abbastanza liberamente. Misi le cuffie, accesi spotify e uscì sulla strada illuminata dal sole. Iniziai a camminare con calma verso il nostro punto d'incontro, controllando di continuo di non aver iniziato a sudare perché sicuramente non volevo passare per un mostro umidiccio la prima volta che l'avrei abbracciata. L'ansia si stava rifacendo sentire e si alzava ad ogni passo. Nonostante la calma il respiro iniziò di nuovo a darmi qualche problema, mancavano solo cento metri e sarei arrivata nel punto in cui avrei potuto aspettarla su una panchina. Ero in anticipo, di poco ma ero in anticipo. Ero indecisa se tenere le cuffie o meno, non volevo stare seduta a fissare le persone che passavano alla ricerca di quel dolce viso con le fossette, non ho esattamente un'espressione gentile apparentemente.
Passarono solo un paio di minuti ma notai in lontananza qualcosa di familiare. Camminava a passo svelto, allegra, con i capelli mossi dal vento e con indosso la maglietta bianca aderente che le scopriva la pancia che avevo riconosciuto. Un piccolo angelo che si incamminava nella mia direzione. Mi alzai togliendo le cuffie, occhi fissi su di lei che curvò le labbra in un sorriso raggiante non appena si accorse che ero già li ad aspettarla. Sonia accelerò il passo e in pochi secondi fu davanti a me a gettarmi le braccia al collo per abbracciarmi. Niente imbarazzo o esitazione, solo sana allegria ed eccitazione di avermi finalmente li. Rimasi un attimo bloccata per la sua foga ma mi si scaldò il cuore nell'esatto momento in cui mi toccò e la strinsi forte a me affondando la faccia nei suoi capelli e respirando per la prima volta il suo profumo.
<<Sei qui. Sei finalmente qui, ancora non ci posso credere. Sei reale vero?>> chiese Sonia in modo retorico mentre si aggrappava a me. Non volevo più sciogliermi da quell'abbraccio. Era perfetto. La differenza di altezza non si sentiva nemmeno, già adoravo la sensazione delle sue braccia dietro al collo e il calore del suo respiro sulla mia spalla.
<<Sei sulla punta dei piedi piccola>> dissi appena me ne accorsi, con il sorriso sulle labbra. Sentì le sue braccia tornare al loro posto mentre il suo viso rimaneva nascosto ai miei occhi. Non riuscivo a capire cosa fosse successo finchè non mi presi un secondo. L'avevo chiamata piccola. Non avevamo scambiato ancora nemmeno 20 parole e io l'avevo già chiamata PICCOLA. Alzò gli occhi su di me in silenzio, ancora rossa in viso. Era bellissima. Sorrisi al pensiero e il suo rossore si fece ancora più acceso.
<<Sei davvero TROPPO carina quando sei in imbarazzo. Lo so che non te lo dovrei dire ma non posso non dirlo. Sei bellissima!>> dissi attirandola a me per abbracciarla e iniziando a ridere. Non durò molto. Sonia si liberò dall'abbraccio e mi diede un debole pugnetto sul braccio. Sorrisi e le appoggiai la mano sulla guancia. Non sapevo il perché di quel gesto. Non ci avevo pensato ne lo avevo pianificato, era completamente spontaneo e inaspettato pure per me. L'inaspettato non era finito perché dopo aver mosso la testa incontro alla mia mano, mi ritrovai di nuovo le sue braccia intorno al collo. Era sulla punta delle dita dei piedi, completamente appoggiata a me e intenta a raggiungere le mie labbra. In quel momento il tempo sembrò rallentare e accelerare allo stesso momento. I pensieri non potevano più considerarsi lucidi mentre baciavo quelle labbra morbide e sentivo il suo respiro caldo in bocca. Le cinsi i fianchi con un braccio sentendo il suo respiro bloccarsi per un attimo. Il bacio si fermò e ci guardammo negli occhi, immobili in quella posizione.
<<Quello si che è stata una sorpresa. E' colpa mia o ci stavi già pensando piccola?>> chiesi scandendo bene e intenzionalmente l'ultima parola. Continuavo a sorridere guardandola negli occhi, la mia mano libera trovò il suo mento e vidi una scintilla. Si mosse impercettibilmente verso di me cosi decisi che non potevo più tenere nessuna delle due sulle spine. La baciai io stavolta, mordendo piano il suo labbro inferiore ad un certo punto mentre le infilavo la mano tra i capelli per attirarla il più vicino possibile. Da parte di entrambe questo bacio non aveva nulla a che fare con il precedente. Non aveva nulla di cauto. Sentivo le mani di Sonia stringermi i capelli, il mondo al di fuori di questo istante aveva cessato di esistere. C'eravamo solo noi, le nostre labbra e le nostre lingue che si sfioravano in una danza perfettamente armoniosa, il suo respiro che accelerava sulla mia pelle. Sistemai entrambe le mie mani sui suoi fianchi caldi mentre il cervello cercava di comunicarmi qualcosa di razionale ma non riuscivo proprio a collegare. Dopo tutto il tempo a parlare la desideravo da morire e quel bacio dimostrava un desiderio analogo anche da parte di Sonia. Volevo infilare le mani sotto i lembi della sua maglietta, stringerle il sedere mentre aumentavo un pochino la foga del bacio. "Siamo in pubblico e ci stiamo letteralmente salutando. In teoria almeno" il pensiero finalmente divenne udibile. Allentai la presa sui suoi fianchi e rallentai il bacio fino a fermarlo, una mano ancora sul suo fianco mentre l'altra tracciava il contorno del suo viso per finire con il pollice pericolosamente vicino alle sue labbra ancora umide e leggermente dischiuse. Mi bloccai con gli occhi ancora fissi sulle sue labbra, volevo cosi tanto sentirne ancora il calore. Non era stato abbastanza.
<<Dovremmo almeno spostarci da qualche parte.. Anche se credo che adesso finiremo per fare quello era nei piani>> la mia voce era improvvisamente roca. Mi schiarì la gola mentre Sonia annuiva in silenzio. Ci incamminammo sul marciapiede, la sua mano stretta alla mia non appena gliel'avevo offerta.
Spizzicammo qualcosa per pranzo alle bancarelle sparse per il centro, chiacchierando e ridendo con il tempo che passava senza che ne fossimo realmente coscienti. A pomeriggio inoltrato avevamo vagato fino ad un giardino botanico e l'idea di visitarlo fece arrossire entrambe. Si era parlato tanto di situazioni in quel luogo ed entrambe le avevamo ben fisse in mente. La tensione tra di noi era ormai tangibile, non era imbarazzo ma la consapevolezza che avremmo voluto trovarci in una stanza privata in quel momento. Era forse quello il momento di svelare la sorpresa che avevo dietro? Era un regalo comunque quindi in caso non lo avrebbe aperto in questo momento. O mi avrebbe mandata a fanculo. Tanto valeva rischiare, era la mia piccola no?
<<Senti... Ho una cosa dietro, una specie di regalo per te ma non esattamente solo per te. E' una cosa di cui avevamo parlato e ti avevo detto che te l'avrei rivelata quando me la sentivo. Non l'ho fatto ma lo faccio ora perché ce l'ho dietro.>> farfugliai in modo confuso non guardando Sonia in faccia.
<<Dai fammi vedere, non può mica essere niente di male se me lo avevi accennato no?>> disse lei incoraggiandomi con un sorriso e tendendo la mano. Le posai la piccola scatola rettangolare in mano e lei rise alla vista della carta regalo color arcobaleno. Iniziò a scartare con cura e si bloccò aprendo un lembo della carta.
<<Sei seria? Lo hai preso davvero? Da quanto ci stai pensando? Anzi da quanto ce l'hai??>> era in panico. Le sue mani stringevano convulsamente al petto la scatolina del vibratore a distanza mentre guardava le sue gambe con la faccia tutta rossa.
<<Ci penso da sempre, si l'ho preso davvero e ce l'ho da quando ho potuto permettermelo. Aspettavo il momento per parlarne ma il viaggio è sembrato un'idea migliore. Questo almeno possiamo usarlo anche quando tornerò a casa mia dato che funziona a lunga distanza, se e quando vorrai. Lo metto nel mio zaino adesso cosi sta al sicuro, volevo solo fartelo vedere. Me lo passi?>> La sola idea per adesso bastava. Ero davvero in estasi per la reazione di Sonia e non vedevo l'ora di sentirle dire che lo aveva messo e che potevo quindi fare quello che volevo.
Sonia si mosse sulla panchina per passarmi il pacchetto. Me la ritrovai a cavalcioni sopra le mie gambe che mi porgeva quello che avevo chiesto. Soffocando un gemito in gola misi via la scatola e lo zaino. Sfiorai leggermente con i polpastrelli la pelle scoperta della sua pancia, facendole venire un brivido improvviso. Tracciai una riga verticale con l'unghia nello spazio che mi era concesso, sfiorai la linea del suo fianco scendendo fino all'orlo dei pantaloni. Sonia aveva gli occhi socchiusi, era come in trance, le piaceva quello che stava succedendo e non faceva nulla per fermarmi. Con l'altra mano le scostai i capelli dal collo e avvicinai il viso all'incavo tra la palla e il collo. Respirai piano sulla sua pelle dolce e iniziai a baciarle il collo, dapprima piano poi con sempre più passione muovendomi su e giù e lasciando piccoli succhiotti qua e la in risposta alle sue mani che mi stringevano i capelli e al suo ansimare piano. Avvicinò il viso al mio orecchio e con voce ancora ansimante disse <<Possiamo andare da te? Ti prego.>> e dopo una piccola pausa aggiunse <<Ti prego papi.>>.
Il mio cervello si spense per un attimo. Le mie labbra cercarono il punto tra la mascella e l'orecchio, iniziai a succhiare e a mordere piano mentre le mie mani attiravano i suoi fianchi ancora più vicini ai miei, facendola sfregare sulle mie gambe. Soddisfatta del lavoro che avevo fatto potei finalmente rispondere alla sua richiesta. Con il fiato corto e la voce completamente rauca dissi <<Certo. Andiamo principessa.>>. La feci alzare con delicatezza dalle mie gambe e le diedi un bacio sulla punta del naso con un mega sorriso sulle labbra.
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Capitolo Quattro.
Mi svegliai. Piccoli rumori dalla strada, il mondo che riprendeva vita senza di me. Quel giorno era domenica ed ero a casa mia nel mio letto e di sotto, in cucina, mi aspettava un mega cornetto farcito per colazione.
Ero sveglio.
Nessuno in cui rispecchiarmi. Mi mancavano le forze. Non sarei riuscito né a seguire le cure né a ribellarmi, figurarsi alzarsi. Fissavo l’oscurità, come fosse un baratro nero, pregandolo di divorarmi in quel momento, era uno dei tanti baratri neri a cui mi affacciavo durante la giornata e in cui avrei voluto gettarmi, e mi sentivo stizzito perché, cazzo, ero sveglio, e non potevo andare a parare da nessuna parte neanche quel giorno.
La sveglia del mio cellulare suonò
“E’ un altro giorno!
porco Dio!...”
Una canzone dei NeroOrgasmo che quando la mia ex ragazza me li fece sentire la prima volta le dissi che non mi piacevano giusto per provare a farla arrabbiare. Ma Angus non si arrabbiava mai.
Avevo una ragazza che chiamavo Angus con affetto, ma poco dopo essere stato ricoverato, la lasciai. Ero già malato di anoressia quando ci mettemmo insieme, ma a lei poco importava.
Era una ragazza minuta e magra, anzi magrissima, indossava felpe della Drop Dead e ascoltava musica rock alternativa. Aveva i capelli rossi che le arrivavano alle spalle, sembrava un piccolo fiammifero pronto ad incendiare il mondo, ma in realtà era timida e taciturna. Mi piacque da subito.
Uscivamo insieme a due altri miei amici, Lindsay e Daniel, con i quali avevo frequentato le scuole medie ed erano i miei unici amici e la mia unica ancora ai tempi di una gioventù costellata di bullismo e frustrazioni. Dopo le medie, presi strade diverse dai due, iscrivendomi al liceo Artistico per realizzare il mio sogno di diventare fumettista, mentre Angus era in classe con loro, al liceo Scientifico.
La mia infanzia l’avevo trascorsa disegnando. Non sopportavo le ragazze con le loro bambole e i loro pettegolezzi e e loro non sopportavano me, e in assenza di amichetti della mia età con cui giocare a pallone o scambiare figurine, disegnavo storie.
Erano tutte storie molto tristi. Mia madre, quando gliele mostravo orgoglioso, me lo faceva sempre notare e ci rimanevo sempre un po' male, come mi avesse fatto una bruttissima critica.
Mi sentivo molto solo e diverso già da quell’età.
Angus era stata la mia prima ragazza e le tenevo la mano con orgoglio per strada, ma anche con paura di essere scoperto da mia madre o da mio padre, che non sapevano nulla del mio orientamento sessuale.
Ci mettemmo insieme in autunno, io e i nostri amici ci incontravamo sulla Villa Rossa vicino a casa di Daniel e ricevetti la chiamata di mio padre che mi diceva che si era fatto tardi e di tornare a casa.
Mi stavo incamminando ed ero già piuttosto lontano, Lindsay, Daniel e Angus già non si vedevano più, quando ricevetti un messaggio da lei:
“Ilaria, tu mi piaci”
le risposi subito
“Anche tu mi piaci” senza pensarci troppo e ci mettemmo insieme.
Rimpiansi quella sera, fantasticavo sul tornare indietro correndo da lei come nei film romantici e abbracciarla, baciarla, quando invece continuai semplicemente per la mia strada con un lieve sorriso sulle labbra.
Daniel diceva che eravamo una bella coppia. Lindsay che era preoccupata per me.
A poco a poco, iniziai ad invidiare la magrezza di Angus e a sentirmi a disagio con me stesso.
Quando le raccontavo dei miei digiuni, Angus faceva sempre una faccia triste.
Uscivamo insieme ai suoi amici a volte. Aveva tantissimi amici, così tanti che non riuscivo neanche a contarli. A loro mi presentavo come Andrea, un nome generalmente maschile ma in realtà unisex. Quelli facevano una faccia stranissima e indecifrabile perché quel nome, per le ragazze, dalle nostre parti non era molto usato. Un giorno Angus mi chiese perché mi presentassi così. Io le risposi che era così, per scherzo, senza un motivo in particolare. Avevo paura di essere giudicato e ignorato, se gliene avessi parlato.
A volte mi capitava di guardarla e pensare che lei fosse solo un’altra illusione d’amore, una di quelle illusioni dove ti capita di pensare d’amare veramente quando, in realtà, non è così. Ma altre volte la guardavo pensando “Come potrei mai dirti addio?”.
Fatemi iniziare con come lei fosse una bellissima persona con me, e finire con che tipo di storia tragica siamo stati.
L’amore a volte è tragico. E’ decidere di dare un pezzo di te ad una persona, quando non hai nessuna idea se quella persona ti lascerà o ti amerà. E la cosa peggiore è, non saprai mai quando smettere di dare te stesso alla persona che speri t’amerà, ma ti lascerà, invece.
Decidere di amarmi, per Angus, venne con la consapevolezza di dover dire al suo cuore di prepararsi a rompersi, ne sono consapevole.
Quella mattina dopo essermi alzato con fatica, svenni in bagno. In quel periodo, quando andavo in bagno, i miei erano sempre dietro la porta proprio per paura che accadesse. Era estate e faceva un gran caldo. Ai miei prese un gran spavento e chiamarono l’ambulanza e mi fecero bere succo di frutta per farmi riprendere. Litri e litri di succo di frutta. All’arrivo dell’ambulanza, ero già in cucina, seduto sul tavolo, a mangiare il mio cornetto tranquillamente.
I miei genitori mi impedirono di andare in bicicletta a trovare Angus, che abitava piuttosto lontano da casa mia, così lei venne a trovarmi la sera. Suonò il campanello e i miei le dissero che mi avrebbero concesso di fare solo un giro dell’angolo. Mi sentivo oppresso e arrabbiato.
Svoltato l’angolo, Angus mi disse piangendo che dovevo guarire, che anche lei avrebbe tentato di mangiare di più, se mi metteva a disagio il suo corpo. Non avevamo mai fatto l’amore.
Continuò a parlare e parlare e a pregarmi.
Tentate solo di immaginare il mio livello di irritazione quando la mia ragazza mi disse che dovevo mangiare, e che da quel giorno in poi glielo avrei dovuto dimostrare.
E si, magari prima di cadere in anoressia, vedendo coppie come la nostra pensavo “Questo �� estremamente carino” ma odiavo invece quel sentimento, quella consapevolezza di avere qualcuno che ci tiene a te, non volevo persone che ci tenessero a me o parlassero di me, o delle mie malate abitudini alimentari. Sotto sotto amavo che lei ci tenesse a me, ma “per favore” pensavo, mentre la rabbia saliva “ti prego letteralmente di non aiutarmi. Lasciami vivere la mia vita e non commentare su di me che mangio o non mangio, di me che muoio di fame, semplicemente non commentare su di me che esisto.” la rabbia salì e le diedi uno schiaffo. Angus scoppiò in lacrime. Scioccato e inorridito da me stesso, scappai tremando.
Non mi scusai mai. Non per orgoglio, ma perché, probabilmente, non riuscivo a perdonarmi neanche da solo. La lasciai invece, con uno stupido messaggino. Lei meritava di meglio.
Recentemente, a distanza d’anni, abbiamo provato a riallacciare i rapporti, come amici. Andò tutto bene per un po' e siamo addirittura andati ad un concerto degli Slipknot insieme ma ci siamo allontanati di nuovo, come fosse la cosa più naturale del mondo, e inizialmente non ce ne siamo neanche accorti. Certe cose non si possono emulare a distanza d’anni. Parlo di cose come la sintonia che avevamo, il bisogno l’uno dell’altra, l’amicizia vera. Ora sarebbe tutto troppo forzato.
Le auguro il meglio, perché si merita meglio di me, Angus ora è un fiore in fioritura, quando era con me, per colpa della mia malattia, la sua corona rossa era sempre bassa e perdeva i petali uno alla volta. La facevo appassire.
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oggi pomeriggio sono andata a trovare nonna in casa di riposo ed avrei tanto voluto abbracciarla, darle un bacio, toccarle la mano. mi manca così tanto lo scorso anno quando il sabato sera andavo a trovarla prima di cena, ormai faceva parte della routine o quando stavo male, quando ero particolarmente agitata andavo sempre da lei. mi mancano quei momenti solo nostri
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