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Diario di lettura - I fratelli Karamazov
Premesse
Inizio questo libro intimorito dalla mole e dai pareri letti online: difficile, arzigogolato, lunghissimo.
Ho finito da poco Delitto e castigo e ne sono rimasto folgorato. In particolare, mi sono stupido della qualità della scrittura e della facilità di lettura; mi aspettavo di annoiarmi, di leggere capitoli non avvincenti o lunghissime descrizioni, invece è tutto l’opposto.
Poi ho affrontato Oblomov con le stesse preoccupazioni. Mattone russo: tantissimi nomi, trama complicata, lunghissime descrizioni: chissà se ce la farò, se ne varrà la pena. Ancora una volta ho trovato esattamente l’opposto: Oblomov è un romanzo frizzante, denso, godibilissimo.
Poi sono entrato nel “rabbithole” Dostoevskij. Mi affascina l’autore, i romanzi e i temi trattati. Voglio esplorare di più l’800 russo, la cultura russa, gli autori russi. Leggo “Sanguina ancora” di Paolo Nori, libro su Dostoevskij che mi dà anche tantissimi spunti letterari (ho comprato Puskin, Gogol, Turgenev, Tolstoj, molto altro Dostoevskij).
Così ho deciso di provare coi fratelli Karamazov. Il secondo libro più lungo che potrei leggere (Il signore degli anelli, 1150 pagine, è in prima posizione). Il libro più ampio e complesso di Dostoevskij, così pensavo.
Diario di lettura
Libro primo - Storia di una certa famigliola
Inizio fresco e tranquillo. Dostoevskij presenta i protagonisti. Prima il padre e poi, a turno, i figli: Dimitrij, Ivan e Alekseij. Ho trovato questa parte inusuale. Dostoevskij preferisce prima descrivere il carattere dei figli che “mostrare” il loro carattere con gli avvenimenti (lo farà, ma dopo). Strano. Eppure funziona; inizio a inquadrare i protagonisti per “categorie”. Il padre, Fedor Pavlovic, è un uomo benestante ma infido, avido, egoista e prono ai tradimenti, ai vizi, agli inganni. Dimitrij, Mitjia, è il primogenito. Ingenuo, buono ma anche estremamente cedevole alla bella vita, a sperperare denaro, ad andare a letto con più donne possibili, alle risse. Cede ai piaceri della vita. È sempre a corto di soldi. Ivan è “l’intelligente”, il cupo, il pensieroso, il razionale. Ha anche dei tratti un filo sadici o comunque cinici quando prende in giro, ad esempio, i credenti. Aleksej, Alesia, è il credente. Crede ciecamente in dio, si è fatto monaco, è buono, casto, un filo ingenuo, puro.
La struttura famigliare è semplice ma è scritto talmente bene che trovo questa parte comunque avvincente. Questa prima parte vola.
Secondo libro - Un’accolta inopportuna
Vanno tutti al monastero dallo Starets, il “monaco principale”, una specie di santo, perché possa aiutarli a dirimere lo scontro tra Dimitrij e suo padre. Mitjia vuole soldi, il padre non vuole darglieli. Il capitolo si svolge nel monastero ed è abbastanza veloce. C’è un capitolo in cui l’osservatore si sposta nelle fedeli che sono accorse per chiedere miracoli allo Starets; sembra un po’ campato in aria ma qui facciamo conoscenza di due importanti donne, la Chochlakova e la figlia disabile, che reincontreremo più avanti. È un capitolo in cui i caratteri dei personaggi iniziano a prendere forma. Ivan, acuto ma strafottente, Fedor Pavlovic, infido ed egomaniaco, Aleksej, timido e timorato di dio e dello Starets. Dialoghi interessantissimi proprio perché Dostoevskij è bravissimo a descrivere i personaggi che sono proprio vivi, sfaccettati, fatti carne e sangue. Non ci sono macchiette o personaggi stereotipati. La lettura è facile. Non ci sono digressioni o descrizioni, punto (stavo per aggiungere “noiose”, ma non c’è proprio nulla del genere).
Scopro in seguito una cosa che avevo preso con superficialità. Tra le donne che vanno a sentire lo Starets ce n’è una che ha perso 4 figli e l’ultimo la sta ammazzando di dolore. È distrutta. Il racconto dello straziamento è devastante. Scopro che il figlio si chiamava Aleksej, come il protagonista del romanzo e come il figlio morto di Dostoevskij stesso.
Libro terzo - Lussuriosi
Parte molto importante. Appaiono Katerina Ivanovna, Grusen’ka e Smerdjiakov, tre personaggi importantissimi. La prima è promessa a Dimitrj ed è amata da Ivan. La seconda ha fatto innamorare sia Dimitrj che il padre, Fedor Pavlovic. Il terzo è un servo di casa Karamazov con una storia molto avvincente. È appena introdotto, però si capisce che è un altro personaggio estremamente affascinante. Asociale, intelligente, autoriferito. Si capisce anche che Dimitrj è nei guai perché ha buttato all’aria 3000 rubli che gli aveva dato la Ivanovna affinché li inviasse alla sorella, per festeggiare e bagordare con la sua amante, Grusen’ka. Quindi Dimitrj ha un debito vergognoso con la sua fidanzata e un’amante che però è interessata anche a suo padre. In questo capitolo si capisce anche meglio Grusen’ka che è manipolatrice e infida. Inoltre c’è il primo scontro tra Dimitrj e il padre, che rimane contuso. Appunto, Dimitrj è di animo buono ma focoso e gli ci vuole poco a essere violento; inoltre col padre non solo ha in ballo la questione dei soldi ma anche un’amante. C’è anche un bellissimo dialogo tra il padre, Fedor, Aleksej, Ivan e Smerdjakov su dio e i credenti. Insomma, tanti avvenimenti che mi hanno coinvolto tantissimo perché i personaggi sono spremuti per bene e si vede ogni singola “tara” di ognuno.
Parte seconda
Libro quarto Straziamenti
Introduzione su padre Ferapont, monaco pazzo del monastero. Poi c’è una scena dalla Chochlakova e dalla Ivanovna dove c’è anche Ivan. Discutono. Dialoghi frizzantissimi. Parte molto scorrevole. Interessantissima la figlia disabile, con un animo irrequieto e nervoso. Aleksej incontra per caso un ragazzino scapestrato che viene picchiato da altri ragazzini, Iljusa. Ivan ha intenzione di partire e di andarsene per sempre a Mosca. Poi Aleksej va da un signore che era stato picchiato da Dimitrji per chiedergli perdono a suo nome, anche perché questo ex capitano era caduto in disgrazia (di cui Iljusa è figlio). Scena meravigliosa. C’è struggimento, emozione ma anche la rigidità morale di alcuni che fa sì che loro prendano la strada più impervia pur di non cedere, appunto, ai loro principi. Molto russa come cosa. Questa parte è relativamente breve, molto scorrevole e molto interessante.
Libro quinto Pro e contra
Avvenimento inaspettato per Aleksej, molto tenero e molto in linea con il suo carattere. Breve parentesi su Smerdjakov che serve a descrivere ancora meglio il suo carattere chiuso, scontroso, asociale, anche un po’ manipolatore. È anche affetto da epilessia. Poi arriva, finalmente, il momento topico del libro quinto: il grande inquisitore. Aleksej va alla ricerca di Dimitrji ma trova Ivan in una taverna, si fermano a parlare e discutono “di filosofia”. Ivan racconta a Alekseji questo suo racconto. Gesù torna nel 16esimo secolo e compie miracoli. Viene catturato e interrogato dal grande inquisitore che dice: sei venuto per ribadire la libertà totale per gli uomini ma gli uomini non se la meritano, hanno bisogno di regole, di una guida dura e ferma. Non sono in grado di sopportare il peso della verità. È la prima grande digressione. Il libro quinto dura 80 pagine, il grande inquisitore 27. Nonostante sia una digressione vera e propria, ficcata da Dostoevskij per “filosofeggiare”, è di facile lettura e molto interessante.
Libro sesto Il monaco russo
Il libro sesto dura circa 50 pagine ed è un’altra digressione. Si racconta la vita dello Starets, che nel frattempo muore. È una digressione bella e buona. È la parte più lenta e meno interessante che finora ho incontrato. C’è molta “religiosità” e cose religiose, pochi avvenimenti interessanti e molta “fede” nuda e cruda, quindi noiosa. Ci tengo a specificare: non è una parte difficile da leggere, è “solo” lenta e non in particolare sintonia con il resto del libro. Si riprende quando c’è il racconto dell’incontro tra lo Starets e un misterioso sconosciuto; capitolo avvincente e struggente, vero Dostoevskij. Però il libro sesto è il più lento e noioso proprio per il tema trattato.
Parte terza
Libro settimo Alesa
Parte stupenda. Il protagonista del libro è Alekseij, Alesa, come dice il narratore più volte, ma in questa parte prevale. Prima lo Staretz che muore crea scandalo e turba Alekseij. Poi Alekseij va a trovare la Grusen’ka e ci sono dialoghi meravigliosi. Alla fine Grusen’ka si rivela cattiva, sì, ma in modo sfaccettato e sofisticato, come ci si aspetta da un personaggio di Dostoevskij. Ha sofferto per amore; è combattuta e triste. Inoltre anche il monaco che l’ha accompagnato, che è una figura secondaria, è descritto benissimo: è un impiccione approfittatore e pettegolo e viene descritto in modo perfetto, tanto che, secondo me, può richiamare qualcuno in ognuno di noi. C’è un racconto struggente sulla cattiveria. Anche la donna più cattiva può redimersi, basta un cipollotto. Questa storia del cipollotto mi è molto rimasta. Capitolo freschissimo che vola, molto avvincente.
Libro ottavo Mitja
Qua il protagonista è Dimitrij. Noto solo ora quanto la scrittura di Dostoevskij si adatti ai personaggi. Questo capitolo è frenetico, confuso, carnevalesco, teatrale: è Dimitrij. Si raccontano le vicende di Dimitrij che deve tenere sotto controllo la Grusen’ka (ha paura vada dal padre) ma che allo stesso tempo deve trovare i 3000 rubli e inizia a subire lo stress devastante. Mena le mani, fa festa, sperpera denaro, ama follemente e in modo idiota, litiga, minaccia. Il libro ottavo è una gioia da leggere: scorre velocissimo e frenetico. Trasmette l’ansia e la confusione di Mitjia in modo magistrale. E finalmente si arriva al fattaccio.
Nota alla fine dell’ottavo libro. Sono estasiato dalla scrittura di Dostoevskij. Il libro, finora, è facilissimo da leggere, scorrevolissimo, avvincente, freschissimo. Una sola digressione stona per lucidità, secondo me, quella del monaco; davvero non necessaria, anche perché spezza tantissimo il ritmo. Per il resto sono completamente innamorato dei personaggi, sia quelli primari che i secondari, sono vivi e tangibili ed è facile amare, soffrire, gioire e temere insieme a loro. Altra nota. Da vera soap opera le storie d’amore. Questa cosa mi fa impazzire: il grande, serissimo, cupo Dostoevskij, il filosofo(!) che intreccia storie d’amore assurde, folli, sanguigne e senza senso.
Libro nono - L’indagine preliminare
Mitjia è accusato di aver ucciso il padre. In queste circa 80 pagine c’è l’interrogatorio a Dimitrji.
Noto con curiosità l’enorme rispetto del diritto della seconda metà dell’800 in russia. Testimoni, diritti, doveri, trascrizione di ogni parola. Non me l’aspettavo. La gestione della Giustizia è segno di enorme civiltà. Chiaramente non c’è un avvocato o altro ma questa prima parte di interrogatorio è inaspettatamente evoluta (per me, per le mie competenze). Il protagonista è Mitjia (Dmitrij), che però già conosciamo. Verso la fine si scopre quanto sia irrazionale e sconclusionato l’animo umano quando Mitjia non vuole ammettere una sua enorme inconfessabile vergogna, tanto che “i detective” quasi lo prendono in giro perché è tutto nella sua testa. Ripeto, Dostoevskij è magistrale nel dare vera sostanza ai personaggi. Si cita Smerdjiakov e si fa cenno che in effetti è anche lui figlio di Fedor Pavlovic; all’inizio ci sono dubbi che però vengono subito risolti. Credo di aver capito, tramite spoiler, che sia stato lui ad uccidere Fedor Pavlovic. Il libro nono si legge d’un fiato, è un vero e proprio thriller con un po’ di soap opera, un po’ di teatralità e pathos in più.
Libro decimo - Ragazzi
Una delle parti che mi sono piaciute di più. Si introduce Koljia, ragazzino sveglio, intelligente e di buon successo sociale ma che è clamorosamente influenzato dal giudizio di Aleksej. Un altro personaggio sfaccettato e pieno di contraddizioni: meraviglioso. Pensavo fosse una digressione e invece non lo è; non è legata alla trama principale, al delitto, ma non è una digressione vera e propria. Questa parte è dolce e commovente. Si riprende la storia di Iljusa e del capitano. Ci sono dialoghi pazzeschi e sembra di essere a teatro, talmente i personaggi sono vivi. Li vedi proprio vivere davanti a te. Sono insicuri, sfaccettati, contraddittori. Non c’è niente di bianco/nero, com’è, in effetti, la vita. Dura una cinquantina di pagina e vola che è un piacere. È fresco, scorrevole e, appunto, dolce e commovente.
Nota dopo il libro decimo Impressione a caldo dopo la lettura degli ultimi 2 libri di seguito: sono sopraffatto dalla realtà di questo romanzo, dalla moltitudine di cose che contiene. È tutto vivo, è tutto reale, è tutto vero.
Mancano solo 2 libri per circa 220 pagine. Il prossimo è su Ivan (l’ultimo fratello rimasto). E poi c’è il processo.
Libro undicesimo Il fratello Ivan Fedorovic
Libro lungo una novantina di pagine. È una parte molto importante per la storia. Alekseij incontra prima Grusen’ka poi la Chochlakova; Grusen’ka continua il suo rapporto teso e folle con Mitjia, ormai in carcere. La conosciamo: è manipolatoria e infida. La Chochlakova è logorroica e Dostoevskij rende molto realistico questo tratto. Poi nel capitolo “il demonietto” Alekseij incontra Liza, personaggio malato e sgradevole. Ha rinunciato a sposarsi con Alesia, lo tratta male e dimostra chiaramente di essere pazza. Inizia la parte con Ivan come protagonista. Mi aspettavo molto più Ivan ma invece la parte dedicata a lui è molto breve. Prima Ivan incontra Alesia che gli fa una sorta di “profezia”, gli dice che non è stato lui, Ivan, a uccidere il padre. Ivan lo prende per scemo. Poi Ivan inizia a rimuginare e a insospettirsi su Smerdjiakov; ci viene raccontato il loro rapporto in 3 capitoli e in 3 “interrogatori” che Ivan gli fa. Smerdjiakov è un personaggio meraviglioso. È manipolatorio, infido, viscido, egomaniaco. Sostanzialmente pazzo ma sempre sotto controllo. È descritto, tramite dialoghi, in modo perfetto. Ivan perde parecchie volte le staffe, si agita, si innervosisce. È un altro elemento da non sottovalutare: Ivan ci viene presentato, all’inizio, come personaggio sotto controllo, razionale, sarcastico. E invece, anche lui, è più complesso di così. È senza dubbio il personaggio negativo migliore e mi ricorda molto Svidrigajlov, di Delitto e castigo. La malvagità in Dostoevskij mi sembra non sia mai manifesta e violenta, è sottile, infida, manipolatrice. Si arriva al famoso principio di Ivan del “se dio non esiste allora tutto è lecito”, che dà il via a tutti gli avvenimenti. Poi si scopre il segreto di Ivan. A me ha ricordato molto Woland, ammetto, anche se immagino non c’entri niente. Capitolo meraviglioso che si legge tutto d’un fiato.
Libro dodicesimo Un errore giudiziario
Ultimo capitolone del romanzo. 110 pagine tutte dedicate al giorno del processo. Un ennesimo riferimento ai personaggi: anche qui, ovviamente, sono meravigliosi. Tutti sfaccettati, tutti complessi. Non c’è niente di banale, anche in quelli secondari. La prima parte del processo, in cui vengono ascoltati i testimoni ecc, dura una cinquantina di pagine. È densa ma veramente interessante. Ci sono dialoghi frizzantissimi e scene da commedia teatrale con gente che si dispera, crisi di pianto, strilli e urla pazze. Poi iniziano le 70 pagine di arringhe. Prima da parte dell’accusa poi della difesa. L’arringa dell’accusa si legge con facilità ma non dà spunti particolari, ovviamente, visto che sappiamo già tutto. Unica parte che mi ha colpito è la descrizione della natura umana come “vasta”, Karamazoviana nel senso di sfaccettata, una scala di grigi immensa. “Proprio perché la nostra è una natura vasta, karamazoviana (a questo voglio arrivare), e può contenere ogni sorta di opposti e può contemplare in un sol colpo i due abissi, l’abisso che è sopra di noi, l’abisso degli ideali supremi, e l’abisso che è sotto di noi, l’abisso del peggiore e del più fetido degrado”. Dostoevskij. La requisitoria della difesa è molto più intrigante. È un vero e proprio trattato sofisticato di teoria della Giustizia. Colpevole fino a prova contraria, il garantismo, la fallacia della memoria, la necessità di una dimostrazione. “Meglio rilasciare 10 colpevoli che condannare un solo innocente!”. Poi si conclude in modo lineare. È una parte sicuramente più lunga. È un vero e proprio processo quindi sembra quasi estraneo al libro per come l’ho affrontato finora. Però è godibilissima e facile da leggere.
Epilogo L’epilogo dura circa 15 pagine. Dostoevskij ha deciso di chiudere il libro in modo che definirei furbo, cioè commuovendo. È un epilogo semplicissimo ma, appunto, commovente e strappa lacrime.
Commento a caldo: che privilegio aver letto questo romanzo! Sono un po’ sopraffatto.
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Non credere, mia cara, quando dico che non ti amo più. Quando la marea si ritira non credere al mare - Ritornerà ancora.
Già ti bramo e la passione mi riempie, così ti consegno ancora la mia libertà. Già le onde ritornano con grida e con gioia a riempire la stessa amata spiaggia.
Aleksej Tolstoj, da Il peccatore, 1858
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Why do all Russian writers have beautiful signatures
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Count Vronskij
Aaron Taylor Johnson as Count Vronskij in Anna Karenina (2012)
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Consigli di libri da portare in viaggio:
per la Grecia Zorba il greco di Nikos Kazantzakis, un classico contemporaneo filosofico ambientato a Creta. Come guida atipica è molto bello Nelle terre del mito. Viaggiare in Grecia con dèi, eroi e poeti scritto da Dario Del Corno.
A Parigi è molto bello leggere Festa mobile, autobiografia romanzata di Ernest Hemingway, perché immerge nella onirica Parigi bohémien degli anni Venti, che tra bevute, oppio, jazz e corse ai cavalli era una vera festa in continuo movimento. A Parigi si può viaggiare nel tempo della Rivoluzione francese con il libro Citadini, cronaca della Rivoluzione francese di Simon Schama.
Anche a Londra si possono fare mille viaggi letterari, uno interessante e forse meno scontato è quello tra le pagine della graphic novel From Hell di Alan Moore, nella Londra dell’Ottocento sulle orme di Jack Lo Squartatore.
La guida migliore della Spagna rimane il buon vecchio Don Chisciotte di Cervantes. Ogni paese ha un classico in cui si riconosce: in Italia c’è Dante, in Germania Goethe, in Francia Proust, in Inghilterra Dickens, invece in Spagna hanno Cervantes.
Per l’Europa dell’Est c’è Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer in cui l’autore si mette alla ricerca dei suoi antenati in Ucraina. In Russia è divertente ritrovare i luoghi di Anna Karenina descritti da Tolstoj e immaginarsi per strada in compagnia di Aleksej, Stapan, Dolly e Kitty.
L’America è raccontata da tantissimi libri. Per New York mi limito a suggerire Le mille luci di New York di Jay McInerney e la Trilogia di New York di Paul Auster. Per la West Coast il noir Il grande sonno di Raymnd Chandler, ambientato nella San Francisco più oscura, assieme ai deliranti romanzi di Charles Bukowski a Los Angeles. Lo spirito del viaggio e della letteratura on the road per eccellenza lo si trova ovviamente nel libro culto di Jack Kerouac Sulla strada, che è stato definito “il profilo dell’America disegnato con le ruote di una Cadillac”.
(continua...)
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‘’crazy love,
needs its crazyness back’’
Anna and Alexei - Anna Karenina (2012)
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“Putin? Un personaggio tragico, un uomo solo”: dialogo con Aleksej Varlamov, scrittore e rettore del “Maksim Gor’kij” Literary Institute di Mosca
“Certo, vado a fare il bagno tutti i giorni, anche oggi”. Lo guardo, incredulo. Poche ore dopo, la pioggia, come singhiozzi d’angelo, sfalda la Riviera. Aleksej Varlamov è riconosciuto tra i grandi scrittori russi viventi: ha insegnato letteratura russa alla University of Iowa, in uno studio pubblicato dalla University of Toronto Press, quindici anni fa, Russian Literature 1995-2002, l’autore, N.N. Shneidman, lo definiva “tra i più prolifici scrittori della nuova generazione, quello che più e meglio di altri si riferisce alla tradizione del realismo russo”. I suoi libri sono tradotti in mezzo mondo, quest’anno Eurilink, la casa editrice legata alla Link Campus in Roma, ha pubblicato la sua biografia romanzata di Michail Bulgakov. “Il governo sovietico lo ha perseguitato, ma la sua vita non è priva di momenti felici e inattesi, come la messa in scena, nel 1926, de I giorni dei Turbin, che turbò i suoi detrattori”, mi dice, sorridendo, occhi azzurri, fronte ampia, barba letteraria, un talento assai russo nell’eludere e nell’alludere. Dalla finestra, eccolo, il mare. Incontro Varlamov a Misano Adriatico, sulla costa riminese, nelle aule della Fusp (Fondazione Unicampus San Pellegrino), luogo di riferimento per la traduzione e l’interpretariato. La Fusp ha creato un legame di scambio con il “Maksim Gor’kij” Literary Institute di Mosca, fondato, appunto, da Gor’kij, nel 1933, da cui sono passati Platonov, Mandel’stam, Pasternak. A dirigere il “Gor’kij”, oggi, c’è Varlamov, che passa anche per essere uno dei consiglieri culturali del presidente Vladimir Putin; in ogni caso è una delle figure di spicco nella letteratura russa, di oggi. “Mi chieda tutto di Russia, io le rispondo”, fa lui.
Lei ha riportato in auge la nobiltà del genere biografico. Ha scritto di Andrej Platonov e di Bulgakov, di Rasputin e di Aleksandr Grin. Ha scritto anche di Aleksej Tolstoj, il fatidico “Conte Rosso”: pioniere della fantascienza, torna in Russia dopo la Rivoluzione, perde il titolo nobiliare, è decorato con il Premio Stalin, litiga con il grande poeta Osip Mandel’stam, giurandogli la morte… è l’emblema dello scrittore ‘di regime’, non crede?
Di tutti i personaggi di cui ho scritto, devo dire che Aleksej Tolstoj, all’inizio, non mi piaceva per nulla. Mi pareva un uomo sgradevole ed ero molto lontano da lui riguardo alle convinzioni politiche. Scrivendo di lui, però, ho cambiato opinione: Aleksej mi ha vinto, in un certo senso. Ho analizzato in un capitolo il conflitto tra lui e Mandel’stam. Posso dire che il loro non era un dissidio politico né estetico e che la storia che sia stato lui a combinare l’arresto e la morte di Mandel’stam è frutto della fantasia di Anna Achmatova.
La cultura russa recente è penetrata a fondo in quella italiana – penso alla pubblicazione in Italia, in prima mondiale, del “Dottor Zivago”, e alle poesie dedicate a Venezia e a Roma da Iosif Brodskij, ad esempio. Quella italiana in che misura è conosciuta dai russi?
Umberto Eco e Alessandro Baricco sono molto conosciuti in Russia. Altri autori recenti non ne conosco. Più di tutto, però, è il cinema italiano a essere amato. Il cinema di Federico Fellini e di Pier Paolo Pasolini, il Neorealismo, sono dei cult.
Si può parlare a suo avviso, in questi anni, di ‘rinascimento’ culturale in Russia?
Affermarlo significherebbe ammettere che in precedenza abbiamo vissuto uno stato di declino, e non posso dire così. In Russia la vita culturale è molto interessante, è accesa, nei teatri, nelle mostre…
…e in campo letterario?
Non c’è alcuna censura, se è a questo che allude. L’ambito politico non tocca quello culturale, non c’è alcuna censura di tipo politico. Eventualmente, esiste una forma di censura ‘economica’. Intendo dire che lo Stato finanzia soltanto alcuni progetti, quelli che ha intenzione di sostenere.
Sì, ma lo scrittore che ruolo ha oggi in Russia?
Agli scrittori è permesso agire come vogliono. Possono scrivere quello che vogliono e possono pubblicare i loro libri, influenzando l’opinione civica. Se uno scrittore non è d’accordo con il governo attuale, però, non può andare nelle reti della televisione pubblica. Può scrivere quello che vuole, può pubblicare, ma non gli viene dato uno spazio più ampio, ecco.
Non è il migliore dei mondi possibili…
Non è il migliore, è vero; ma non è neanche il peggiore, se leggiamo la nostra storia.
Vorrei capire se lo scrittore è libero di agire come vuole perché in fondo a nessuno importa quello che ha da dire, oppure se questa libertà è reale.
Diciamo che la letteratura, oggi, non è pericolosa per lo Stato. Devo ammettere, insomma, che oggi non c’è un intellettuale scrittore del tipo di un Solzenicyn.
Vladimir Putin: a quale personaggio della letteratura russa lo avvicinerebbe?
Difficile da dire, Putin è un uomo complesso, molto complesso. Direi, probabilmente, Pečorin, il personaggio centrale di Un eroe del nostro tempo di Lermontov. Putin non è un personaggio ‘alla Puskin’: è una personalità sfaccettata, poliedrica. Mi pare una figura tragica, ecco.
Alla Fusp di Misano Adriatico, dialogando con Varlamov. L’intervista è stata possibile grazie all’impegno di Vladislava e di Mattia, giovani traduttori
Come mai ‘tragica’?
Beh, ha scelto di prendersi una grande responsabilità su diverse cose. Credo che sia molto difficile la sua vita, credo che sia un uomo molto solo. Anche la vita di Pečorin, in effetti, è difficile.
La sua analisi è profonda. Per noi, in Italia, la Russia, tra Cina e Stati Uniti, appare come uno Stato forte, quasi imperiale: voi come vi sentite?
Ci troviamo in una posizione di isolamento politico e penso che questo sia male per noi e per il resto del mondo. Questa situazione dipende da un nostro errore e da un errore dei paesi che ci hanno isolato. Ci sono molti problemi globali e non c’è alcun senso nella situazione di conflitto tra Russia ed Europa.
Chi è lo scrittore che considera maestro?
Jurij Kazakov [classico contemporaneo in Russia, tradotto da Einaudi nel 1960 e ripescato da Il Melangolo nel 1991, è ora latitante dalla scena editoriale italiana, ndr]. Lui è il mio maestro. Puskin, invece, inarrivabile come scrittore, è un maestro di umanità, rappresenta l’intima identità della Russia.
Ora, cosa sta scrivendo?
Un romanzo. Tratta del conflitto tra Ucraina e Russia, un tema difficile, ma per me molto importante.
Tragga dalla storia della letteratura il libro che avrebbe voluto scrivere.
Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. Mi sorprende come la storia di un piccolo villaggio colombiano inventato sia diventata globale e interessante per il resto del mondo.
Mi dica qual è il carattere fondamentale dello scrittore.
Sensibilità di cuore e di testa. Lo scrittore deve considerare sempre tutta la gamma di impressioni e possibilità che ha in sé la vita.
Il libro italiano che la ha formata.
Sarò banale: la Commedia. Ero un giovane studente al primo anno di università e c’era quel libro. Molti lo trovavano difficile. Io pensai fosse affascinante.
Ultima. Da rettore di un istituto universitario, consigli un libro a un giovane lettore con l’aspirazione di diventare scrittore, che sia russo o italiano.
I fratelli Karamazov, Dostoevskij. Un libro davvero universale.
Davide Brullo
L'articolo “Putin? Un personaggio tragico, un uomo solo”: dialogo con Aleksej Varlamov, scrittore e rettore del “Maksim Gor’kij” Literary Institute di Mosca proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/308iySS
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Nel 1922, lo scrittore russo Aleksej Nikolaevič Tolstoj (1883–1945), pubblicò Aelita, uno dei suoi pochi romanzi di carattere fantascientifico.
Nel 1924 la casa cinematografica Mežrabpom-Rus' intenta a produrre film tratti dai classici,si interessò alla produzione del film, e per il lavoro venne scelto il regista Jakov Protazanov (1881-1945)
Julija Solnceva (1901–1989), interprete di Aelita, era alla sua prima apparizione nel grande cinema
Fonte: wikipedia
Mattsko.wordpress.com
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Anna camminava a testa china, giocherellando con le nappine del cappuccio. Il suo viso emanava un bagliore vivo; ma questo bagliore non era gaio, ricordava il bagliore sinistro di un incendio in una notte oscura. Visto il marito, Anna alzò il capo e, come svegliandosi, sorrise. “Non sei a letto? Oh, ma questo è un miracolo!” disse, togliendosi il cappuccio e, senza fermarsi, proseguì verso lo spogliatoio. “È ora, Aleksej Aleksandrovic” disse di là dalla porta. “Anna, ho bisogno di parlare con te.” “Con me?” disse lei sorpresa, uscendo dalla porta e guardandolo. “Cos’è mai? Di che si tratta?” chiese, sedendosi. “Parliamo pure, se è proprio tanto necessario. Sarebbe meglio dormire, però.” Anna diceva quel che le veniva sulle labbra e, nell’ascoltarsi, stupiva della propria capacità di mentire. Come erano semplici e naturali le sue parole e come era verosimile il fatto ch’ella avesse proprio sonno! Si sentiva rivestita d’un’impenetrabile maglia d’inganno. Sentiva che una forza invisibile l’aiutava e la sosteneva. “Anna, devo metterti in guardia” egli disse. “Mettermi in guardia?” rispose lei.
Ella appariva così schietta e allegra che chiunque non l’avesse conosciuta non avrebbe notato nulla di straordinario nel suono e nel senso delle sue parole. Ma per lui che la conosceva, che sapeva come ella notasse perfino se egli andava a letto cinque minuti più tardi e ne chiedeva la ragione; per lui che sapeva come ella gli confidasse ogni sua gioia, ogni allegrezza e ogni suo dispiacere, per lui vedere come in questo momento ella non volesse accorgersi dello stato suo e nulla volesse dire di sé, significava molto. Egli vedeva che la profondità dell’anima di lei, che prima gli era sempre stata aperta, ora gli era chiusa. Non solo, ma dal suo tono vedeva che lei non era neppure turbata da questo, ma pareva anzi dirgli apertamente: «sì, è chiusa e così dev’essere e sarà d’ora innanzi». Provava un sentimento simile a quello che proverebbe un uomo il quale ritornasse a casa e trovasse la propria casa sbarrata. «Ma forse se ne troverà ancora la chiave» pensava Aleksej Aleksandrovic.
— Tolstoj, Anna Karenina
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KRUH - ALEKSEJ TOLSTOJ
KRUH – ALEKSEJ TOLSTOJ
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Aleksej Aleksandrovic non era geloso. La gelosia, secondo lui, offendeva la moglie e nella moglie si doveva aver fiducia. Perché egli dovesse aver fiducia, perché, cioè, dovesse avere la sicurezza piena che la sua giovane moglie lo avrebbe sempre amato, non se lo chiedeva; ma non provava sfiducia perché aveva fiducia, e diceva a se stesso che si dovesse averne. Ora invece, benché la sua convinzione, che la gelosia è un sentimento riprovevole e che si doveva avere fiducia, non fosse stata distrutta, sentiva di trovarsi di fronte a qualcosa di illogico e di assurdo, e non sapeva cosa fare. Aleksej Aleksandrovic veniva a trovarsi di fronte alla vita, di fronte alla possibilità che sua moglie si innamorasse di qualcun altro che non fosse lui, e ciò gli sembrava assurdo e incomprensibile, proprio perché questo era la vita stessa. Aleksej Aleksandrovic aveva vissuto e lavorato tutta la vita negli ambienti burocratici che hanno a che fare con i riflessi della vita. E ogniqualvolta si era imbattuto nella vita vissuta, se ne era scostato. In questo momento provava una sensazione simile a quella di un uomo che, traversato tranquillamente un precipizio su di un ponte, si accorgesse improvvisamente che il ponte è crollato e che sotto c'era un abisso. L'abisso era la vita così come è; il ponte quella vita artificiale che aveva vissuta.
Anna Karenina - Lev Tolstoj
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Socionikas tipi* - 3.kvadra
* Socionikas tipu pārstāvji ir varbūtēji minējumi, reizēm dažādi socionikas speciālisti tipus personām piedēvē atšķirīgi 3.kvadra - vērtībās darījumu loģika, attiecību jeb vērtējošā ētika, varas sensorika, laika intuīcija Napoleons vai Cēzars - ESFP, Virzītājs, "Политик", СЭЭ Reiņina pazīmes: ekstraverts, attiecību vērtējoši ētiskais, varas sensorisks, statisks, pozitīvs, kvestims, stratēģisks, emocitīvists, ieracionāls, process, ietiepīgs, piesardzīgs, izlēmīgs, objektīvs, demokrāts Mazās grupas: sangviniķis, agresors, kaislīgais komunikācijas stils, statuss kā stimulu grupa Alla Pugačova, Baiba Broka, Baiba Rozentāle, Baiba Sipeniece Gavare, Chilli, Elizabete Teilore, Elizabete Zagorska, Elīna Garanča, Jolanta Suvorova, Kristīne Opolais, Liene Šomase, Olga Pīrāgs, Drū Berimora (ir vesrija - Gabēna), Klaudija Kardināle (ir versija - Žukovs), “Anna Kareņina” (ir versija, ka Anna - Hamlets), Aigars Kalvītis, Aivars Lembergs, Andris Keišs, Dainis Porgants, Elmārs Tannis, Gundars Āboliņš, Juris Šteinbergs, Mihails Gorbačovs, Raimonds Bergmanis, Raimonds Gerkens, Varis Vētra, Vilis Lācis, Elvis Preslijs, Alans Pīzs (autors grāmatām par ķermeņa valodu), “Nezinītis uz Mēness” (Nezinītis, savukārt Zinītis – Robespjērs), “Buratīno” Balzaks - INTP, Kritiķis, "Критик", ИЛИ Reiņina pazīmes: introverts, darba loģisks, laika intuitīvs, dinamisks, negatīvs, deklamitīvs, taktiķis, konstruktīvs, iracionāls, process, ietiepīgs, piesardzīgs, izlēmīgs, objektīvs, demokrāts Mazās grupas: melanholiķis, viktims, augstasinīgais kominkācijas stils, pašnoteikšanās jeb pašpietiekamības stimulu grupa Dace Melbārde, Ilze Indrāne, Inese Kučinska, Inguna Sudraba, Iveta Vējone, Iveta Kažoka, Krista Vāvere, Marija Naumova, Zane Vaļicka, Aldis Gobzems, Andris Kolbergs, Andris Šķēle, Egils Levits, Jānis Holšteins Upmanis, Jānis Peters, Valdis Dombrovskis, Zigmārs Liepiņš, Vudijs Allens (režisors), Džons Lenons (Bītli), Boriss Akuņins, Gabriels Garsija Markess, Haruki Murakami, Aleksejs Tolstojs, Ēzops (Fabulas), Merabs Mamardašvili (filozofs), Īzaks Ņūtons, Benedikts Spinoza, Blēzs Paskāls, Sokrāts Džeks Londons - ENTJ, Eksperimentētājs, "Предприниматель", ЛИЭ Reiņina pazīmes: ekstraverts, darba loģisks, laika intuitīvs, dinamisks, pozitīvs, deklamitīvs, stratēģis, emocitīvists, racionāls, rezultāts, piekāpīgs, bezrūpīgs, izlēmīgs, objektīvs, demokrāts Mazās grupas: holeriķis, viktims, lietišķais darījumu komunikācijas stils, unikalitātes stimulu grupa Aija Andrejeva, Aija Simsone, Anita Masaļska, Angela Merkele, Dagmāra Legante, Džeina Fonda, Daiga Mazvērsīte, Elita Mīlgrāve, Elizabete II, Džīna Briška, Elīna Maligina, Eva Ikstena, Gunta Zariņa (aktrise), Ilga Kreituse, Ija Circene Goša, Ieva Plaude Rēligere, Ilze Strenga, Ilze Viņķele, Ināra Slucka, Inese Supe, Laima Vaikule (ir vesrija - Štirlics), Lolita Cauka, Mirena Matjē, Mirdza Martinsone, Olga Rajecka, Sofija Lorēna (ir versija - Štirlics), Veronika Kastro, Džūlija Robertsa, Uma Tūrmane (?), Sigurdnija Vīvere, Džeks Londons un viņa grāmatas varonis “Mārtins Īdens”, Artis Robežnieks, Artūrs Skrastiņš, Bils Geits, Jānis Naglis, Juris Žagars (?), Maksims Galkins (?), Mārtiņš Bondars, Rolands Reigens, Žans Pols Belmondo, Ričards Bahs (rakstnieks), Valters Skots, Roberts Stīvensons (rakstnieks) Draizers - ISFJ, Sargātājs,"Хранитель", ЭСИ Reiņina pazīmes: introverts, attiecību jeb vērtējoši ētisks, varas sensorisks, statisks, negatīvs, kvestims, taktiķis, konstruktīvists, racionāls, rezultāts, piekāpīgs, bezrūpīgs, izlēmīgs, objektīvs, demokrāts Mazās grupas: flegmatiķis, agresors, dvēseliskais komunikācijas stils, materiālā nodrošinājuma stimulu grupa Agnese Vārpiņa, Aija Kukule, Dita Rietuma, Demija Mūra, Elizabete Bojarska, Evelīna Strazdiņa, Ieva Bondare, Ilze Dobele, Ilze Ķuzule Skrastiņa, Irina Maligina, Kristīne Zagorska, Lāsma Kungrēna, Sofija Rotaru, Bridžita Bardo, Mišela Peifere, Džuliana Mūra (verisja - Štirlics), Andrejs Žagars (?), Andris Bērziņš, Bils Klintons (?), Emanuels Makrons, Guntis Ulmanis, Mārtiņš Brauns, Raimonds Vējonis, Viktors Zemgals, Selindžers, Skots Ficdžeralds, Stefans Cveigs, Ivans Turgeņevs
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I tre volti della paura
I tre volti della paura
Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Sono molto soddisfatto degli ultimi film che abbiamo recensito. Non sono soddisfatto al 100% degli articoli, probabilmente avrei potuto dire di più o approfondire meglio, ma sono comunque soddisfatto delle opere che ho portato, delle opere molto interessanti e molto diverse tra loro. Film unici che riuscivano a mischiare i generi e a creare una storia molto…
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19 apr 2021 09:45
QUALE È IL LIBRO ITALIANO PIÙ TRADOTTO AL MONDO? SE STATE PENSANDO A DANTE LA RISPOSTA È SBAGLIATA. IL PRIMATO È DI “PINOCCHIO” DI CARLO COLLODI CHE È DISPONIBILE IN ALMENO 260 LINGUE, DALL'ARMENO AL TAIWANESE, PIÙ UNA CHE IN REALTÀ È UN DIALETTO (IL MILANESE) - SUBITO DOPO C'E' IL PRIMO ROMANZO DELLA SERIE DI "DON CAMILLO" DI GIOVANNINO GUARESCHI CON 59 TRADUZIONI. TERZO GRADINO PER "IL NOME DELLA ROSA" DI UMBERTO ECO CON…
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Luigi Mascheroni per "www.ilgiornale.it"
Pinocchio's Adventures in Wonderland. Pinocchios äfventyr. Pinokkio. Pinocchiova dobrodruzstvi. Pinukyu. Thang nguòi gô. Phajonphai dek dong. Mu ou qi yun ji. L'avventuri ta' Pinokkjo... Come si dice Pinocchio in tutte le lingue del mondo? Inglese, svedese, ceco, arabo-egiziano, vietnamita, cinese, maltese...
La domanda se la sono posti in molti, molte volte. Chi è lo scrittore italiano più tradotto nel mondo? La prima risposta - Dante - è sempre sbagliata. E così, un anno fa Sergio Malavasi, il Richelieu della bibliofilia, libraio antiquario d'eccellenza e motore umano di maremagnum.com (il sito più avanzato dove cercare libri antichi, moderni, fuori catalogo e introvabili), ha provato a risolvere la questione. E grazie all'aiuto della giovane ricercatrice, Noemi Veneziani, la quale per mesi ha scandagliato la Rete, gli archivi e le Fondazioni degli scrittori, oggi ha finalmente in mano il responso, di carta ça va sans dire.
Eccolo qua: un piccolo ma eccezionale repertorio (che esce sotto la sigla MareMagnum in poche copie per collezionisti, ma scaricabile gratuitamente in pdf sul sito) dal titolo Quale è il libro italiano più tradotto al mondo? Risposta (e bisogna credere a quel bugiardo di burattino): Pinocchio. Numero totale di lingue in cui è tradotto: 260, dall'armeno al taiwanese, più una che in realtà è un dialetto. Il milanese. Fanno 261 (compresi catalano e basco, o afrikaans ed esperanto...).
Bene. Ma come si è arrivati alla classifica finale?
La prima selezione, l'ha fatta lo stesso Malavasi. Attraverso WorldCat.org, un sito che raccoglie dati dalle biblioteche nazionali di tutto il mondo e che dà l'opportunità di scegliere per titolo e autore tra le 31 lingue più diffuse sul pianeta, ha individuato gli italiani più presenti come numero di edizioni. E scordatevi i Dante-Petrarca-Boccaccio, Ariosto-Machiavelli-Tasso, Foscolo-Leopardi-Manzoni. Il risultato, ovviamente, è molto più popolare. Questo: il Pinocchio di Carlo Collodi, di cui si è detto. Subito dopo viene il primo romanzo della serie di Don Camillo di Giovannino Guareschi con 59 traduzioni. E, sul terzo gradino del podio editoriale, Il nome della rosa di Umberto Eco, romanzo di cui si contano (per ora) 51 versioni.
Nota al testo: WorldCat.org è un luogo in cui si fanno scoperte sorprendenti, tipo che Le mie prigioni di Silvio Pellico conta 31 traduzioni, anche in turco...
Comunque... Il primato quindi va a Pinocchio? Forse. Perché, come è facile immaginare, qui si contano solo le traduzioni ufficiali. Invece, come fa notare Guido Conti nella sua biografia di Guareschi uscita per Rizzoli nel 2008, è difficile quantificare le edizioni di Don Camillo in lingue particolari (si pensi ai mille dialetti africani o asiatici), eseguite normalmente da missionari in giro per il mondo su permesso a titolo gratuito dello stesso Giovannino. Senza tenere conto di un altro criterio di valutazione per quanto riguarda la popolarità di un autore. Se il libro più tradotto, dalle terre australi all'Islanda, è Pinocchio, l'autore, contando l'opera complessiva, e considerando l'intera saga di Don Camillo, è quasi sicuramente Guareschi.
Per il resto, il lavoro curato da Noemi Veneziani offre molti dati, informazioni, stravaganze. Metà delle pagine del libro sono occupate dall'elenco di tutte le edizioni straniere delle tre opere, in ordine cronologico, divise per Paese, con titolo, nome del traduttore, editore e anno di pubblicazione (tipo: Hippeltitsch's Abenteuer Geschichte eines Holzbuben, trad. G.A. Gugen Andrae, Carl Siwinna, Kattowitz, 1905; e stiamo parlando di un'edizione polacca di Pinocchio con illustrazioni di E. Chioftri...).
Ad esempio: proprio nel caso di Pinocchio occorre tenere presente che le edizioni straniere, anche perché è il testo più «antico» fra i tre, sono molto più preziose dal punto di vista bibliofilo, e quindi di maggior valore economico. Poi resta il nodo da sciogliere delle cosiddette «pinocchiate», diffusissime, ossia le versioni alternative della storia rispetto al testo classico. Vale a dire: narrazioni che hanno come protagonista il burattino, ma cambiano ambientazione, personaggi di contorno e avventure. Come Il compagno Pinocchio di Aleksej Nicolaevic Tolstoj, del 1936: è una traduzione, una riscrittura o un romanzo autonomo?
Per quanto riguarda invece l'immenso «Mondo piccolo» di Guareschi, va considerato che la popolarità di Don Camillo fu di certo amplificata dai film - intramontabili - con Fernandel e Gino Cervi (come in qualche modo Pinocchio deve parecchio al celebre cartoon della Disney del 1940). E Le petit monde de don Camillo decuplicò vendite e diffusione.
Una forma di crossmedialità ante web molto efficace. In ambito doncamillesco va poi notato che: 1) negli Stati Uniti, dove il libro uscì nel 1950 dalla casa editrice Pellegrini&Cudahy - moglie americana e marito piacentino - il successo fu tale che, grazie anche ai numerosi «Club del libro» specializzati nella vendita per corrispondenza, le vendite arrivarono in un attimo a toccare le 250mila copie; 2) durante la Guerra fredda, nella versione statunitense la figura di don Camillo fu ulteriormente santificata mentre quella del comunista Peppone resa - diciamo così - più burbera... 3) d'altro canto il libro, vietato da Mosca, conobbe innumerevoli traduzioni clandestine messe poi segretamente in circolazione in tutti i Paesi satellite dell'Urss, dove apparvero «don camilli» in estone, lituano, ungherese, ucraino... Guareschi ecumenico.
E per quanto attiene invece a Il nome della rosa, la fenomenologia editoriale è nota: da bestseller a longseller, il film-thriller di Jean-Jacques Annaud nel 1986, edizioni in una cinquantina di Paesi (il primo Paese a tradurre il libro fu la Polonia, nello stesso 1980, titolo: Imie rózy), versioni in vietnamita con in copertina i volti di Connery e Christian Slater, alla fine oltre 50 milioni di copie vendute nel mondo, di cui 7 milioni in Italia, con tanto di miniserie tv Rai nel 2019 con John Turturro e Rupert Everett...
Postilla: lo stesso Umberto Eco una volta intravide una misteriosa edizione pirata in arabo del suo libro al Cairo. S'intitolava Sesso in convento. O qualcosa del genere.
PS L'editore MareMagnum invita i lettori a segnalare integrazioni e correzioni a [email protected]. Qualche traduzione è certamente sfuggita. Si vince una copia del volumetto.
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