#ALE su due ruote
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M5S Alessandria: Mobilità sostenibile e nuove ZTL – Incontro pubblico il 6 febbraio
Un confronto aperto sulle nuove Zone a Traffico Limitato e l'iniziativa "ALE su due ruote"
Un confronto aperto sulle nuove Zone a Traffico Limitato e l’iniziativa “ALE su due ruote” Alessandria, [03/02/25] – Il tema della mobilità sostenibile sarà protagonista dell’incontro pubblico organizzato per giovedì 6 febbraio alle ore 21:00 presso la Taglieria del Pelo (Via Riccardo Wagner, 38/D) ad Alessandria. L’evento offrirà ai cittadini e alle associazioni locali l’opportunità di…
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Auto classiche
Capolavori su quattro ruote
Peter Bodensteiner
Fotografie di Peter Harhodt
White Star, De Agostini Novara 2014, 224 pagine, 31x27,5cm, ISBN 978-88-540-2553-9
euro 29,00
email if you want to buy [email protected]
Nel mondo del collezionismo le automobili antecedenti la Prima guerra mondiale e i modelli classici degli anni fra le due guerre sono considerati gioielli di grande valore. Oltre al loro significato storico, a farne crescere esponenzialmente il valore e l'interesse fra gli appassionati contribuisce anche la rarità degli esemplari esistenti. Sono le vetture che popolano gli spazi delle più importanti esposizioni mondiali, come quelle di Pebble Beach in California e Goodwood nel Regno Unito. Sono le automobili classiche che impongono il silenzio nelle sale d'asta di tutto il mondo quando incedono regali sul palco del battitore. Sono gli esemplari che arricchiscono le più importanti collezioni del mondo, come quelle di Ralph Lauren, Jay Leno e degli esponenti di svariate case reali. In questo libro il celebre fotografo Peter Harholdt dispensa tutto il suo talento nei ritratti delle vetture più significative prodotte fra il 1911 e i primi anni Quaranta, alcuni dei modelli classici più importanti mai realizzati. Le immagini di ciascuna vettura sono accompagnate da una puntuale descrizione realizzata dall'esperto di storia dell'automobile Peter Bodensteiner, che presenta le caratteristiche del modello e lo inquadra nel suo contesto storico.
01/01/25
#autoclassiche#1911-1945#PeterBodemsteiner#PeterHarhodt#Alfa Romeo#Bugatti#designbooksmilano#fashionbooksmilano
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crateri lunari
ieri a tavola io e mio padre ci siamo accorti a vicenda che abbiamo cancellato certe cose dalla memoria, casuali come una fetta di groviera.
io avevo scordato come mamma avesse il piede ferito da un giorno all'altro, hai ragione non ricordavo più, lui quando era scesa in strada da sola e da lì abbiamo cominciato a chiudere a chiave la porta di casa, quando è stato? che anno era?, e quando usciva dal garage con l'auto e lei in attesa era caduta su se stessa come sacco di patate, è vero l'avevo scordato, e quando aveva battuto sul pianoforte e aveva perso un dente, ora sì, ricordo.
certe cadute cuori in pezzi le abbiamo rimosse dalla memoria, non quella condivisa, quella di uno, di individuo, di fronte alla vita che scorre velocissima e carica di pericolo e di sconosciuto.
a ricongiungere i ricordi - lo facciamo sempre meno - sembravamo due bambini usciti da un tempo a parte, da un sogno di quelli che non sai dove sei ma riconosci i luoghi, non sai da chi vai ma la strada la percorri a menadito. tutto è lontanissimo e vicinissimo, fatto di pezzetti che ogni tanto rimettiamo assieme, in un puzzle slogato di una fatica invisibile, che al tempo ci ha messo le ruote, le ali, le antenne, altre quattro braccia altri due piedi, magari 2, 3 cuori di riserva in più, ma forse ha dimezzato la memoria.
stamattina son uscita in auto e ho seguito una strada strana, che prendo solo in primavera perché voglio vedere come fioriscono gli alberi, ma adesso lo so che non son fioriti, perché ero lì? ho pensato che sto dimenticando delle cose di mamma, e ho tremato, ne tremo spesso, e altre si ergono fortissime e piantate nel mio campo di memoria, eppure non è ancora primavera, che ci faccio su questa strada? Quindi perdere una persona amata ha questa scia che non puoi maneggiare? Da una parte cancelli traumi fattivi - cadute, ginocchia gonfie, ultime parole, quando ha cominciato che giorno che mese a non dire neanche una parola una? Altri traumi fondi li tieni sotto mano sempre, come il piatto fondo, come il pozzo profondo, come il mare dove vedrai i pesci per sempre, di mamma senza respiro, ogni tanto ripasso il pensiero della pelle ancora tiepida e gli occhi serrati, come una strofa che non voglio dimenticare, li ricordo come ieri, come domani. È ricordo che mi segnerà? o mi aiuterà? Lo ricordo, lo ricordo uguale a noi due stese a terra sul tappeto persiano in sala, io 4enne lei 38enne, mentre fuori c'è il temporale e sentiamo il rumore e ridiamo, così non abbiamo paura.
Il ricordo di questi due fatti ha lo stesso peso specifico. Com'è possibile, memoria? Quale incastro compone la forma della persona che non è più qui? Non c'è linea temporale che guidi, ci sono buchi di tempo anche tra i più vicini, e ci sono monumenti a piccoli fatti, come entrare al pronto soccorso e il dottore in servizio ti mette una mano sulla spalla e ti porta davanti allo schermo del computer per mostrarti docile i polmoni di tua madre, che poi vedrai per tre mesi, di cui chiederai per tre mesi ogni giorno al reparto, con le parole ogni volta più puntuali, più scientifiche, più sapienti, ma che ora io non ricordo più. Ricordo la mano del dottore sulla spalla in pronto soccorso e io col giaccone d'inverno davanti al pc e i polmoni bianchi e neri di mia madre, e basta.
Vorrei scriverci la storia, ma ho paura dei buchi, ho paura dei crateri che non saprei riempire se ne ho perso la memoria, e io non voglio inventare nulla, o questa non è la mia rivoluzione.
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Piloti di Formula 1: edizione rapimento Moro. Ovvero: come reagirebbero i piloti della griglia 2024 a guidare la Renault 4 in cui era stato rapito lo statista Aldo Moro. Leggere a discrezione della propria sensibilità.
Max Verstappen: il tempo di prepararsi un caffè, e Max è già tornato alla base delle BR. L'unico problema è che attacca una pippa di due ore su tutti i problemi della Renault: sospensione fottuta, motore ridicolo, aerodinamica imbarazzante. Poi parte con l'elogio della RB19 mentre cerca in rubrica il numero di Newey, perché senza di lui si rifiuta di far parte del team. La polizia invade il covo delle BR il giorno dopo perché Max stava streammando da lí una gara di sim racing. Prima di essere arrestato, Max riceve un telegramma da Jos che lo insulta perché poteva andare più veloce in curva e risparmiare un paio di secondi durante il rapimento.
Sergio "Checo" Perez: con evidenti difficoltà, dopo un'ora circa Perez è rientrato alla base. Il ritardo è dovuto ad un tamponamento con Kevin Magnussen, che appena ha visto Perez in strada ha rubato un motorino parcheggiato davanti a un punto SNAI solo per andargli a sbattere contro. La Renault è ammaccata e ha uno sportello distrutto. Aldo Moro è morto a causa di una commozione celebrale a seguito dell'impatto con Magnussen, le BR hanno perso il loro ostaggio e non hanno più modo di ricattare il governo. Tuttavia, Perez viene ugualmente riconfermato come pilota per i prossimi due anni perché "tiene famiglia".
Charles Leclerc: stava andando tutto bene, finchè il motore non ha deciso di andare in panne nel bel mezzo della strada. Charles telefona alla base delle BR lamentando il problema, ma l'unica risposta che ottiene é "We are checking". Inoltre, per qualche motivo la macchina ha le catene e le ruote da neve in primavera. Mentre la macchina è ferma, le passano davanti quattro gatti neri. Charles si mette a piangere e picchiare sul volante gridando "Why am I so unlucky?". Aldo Moro tenta di consolarlo dal bagagliaio. Alla fine è costretto a chiamare un carro attrezzi per ritirare l'auto. Moro viene scoperto nel bagagliaio. Charles viene sottoposto a interrogatorio e viene fuori che era convinto che le BR fossero una sottodivisione della Ferrari in quanto rosse. Riesce a corrompere gli ufficiali con delle confezioni di gelato LEC e se la dà a gambe, a piedi: così è sicuro che non ci siano imprevisti tecnici.
Carlos Sainz: la guida prosegue inizialmente liscia, Carlos spara a volume altissimo Smooth Operator della radio per coprire i lamenti di Moro. Tuttavia, al momento di fare il pieno, un agente segreto delle BR che era appostato alla pompa di benzina per fare sì che nessun estraneo vedesse e riconoscesse il volto di Carlos riempe il serbatoio col diesel invece che la benzina. Le BR sono costrette a chiamare un carro attrezzi e Moro viene scoperto nel bagagliaio, a Carlos tocca la galera. Si scopre che l'incidente era programmato per togliere dalle palle Carlos, così che possa subentrare Hamilton.
Lando Norris: ignorando la raccomandazione alla discrezione, Lando si presenta davanti alla casa di Moro sparando a mille i suoi pezzi da DJ dalla radio della Renault. Chiama Moro "muppet" cinque volte e prima di riuscire a mettere a moto la macchina deve calmarsi dal ridere perché "la situa è troppo assurda bro". Arriva alla base senza troppi imprevisti, ma dopo 5 minuti arriva anche la polizia che lo ha facilmente seguito grazie agli giganteschi sticker fluorescenti con il suo logo che Lando ha attaccato alla macchina.
Oscar Piastri: è letteralmente Baby Driver di Edgar Wright. La polizia non lo ferma mai perché c'ha troppo la faccia da bravo ragazzo. Mentre guida taglia la strada a Carlos Sainz che si mette a inseguirlo gridandogli dal finestrino che doveva dargli la precedenza, cabrón. L'inseguimento alla Fast and Furious si interrompe quando alla macchina di Carlos si buca una ruota, Oscar scuote la testa mormorando "Classic Carlos". Moro viene consegnato alla base delle BR senza ulteriori problemi. Dopo questa felice collaborazione, le BR provano ad ingaggiare Oscar per un altro colpo, considerandolo ormai parte della squadra. La sua risposta è una missiva contenente la seguente dichiarazione: I understand that, without my agreement, Brigate Rosse have put out a statement this afternoon that I am driving for them next year. This is wrong and I have not signed a contract with BR for 1979. I will not be driving for BR next year.
Lewis Hamilton: nonostante la manomissione del sedile e del motore da parte dell'ex capo Toto Wolff, Hamilton riesce ad arrivare sotto casa di Moro, che quasi si imbarazza alla presenza del 7 volte campione del mondo britannico e si scusa che lo abbiano scomodato per il rapimento di uno statista qualunque. Insomma, Hamilton meriterebbe come minimo un presidente della repubblica! Ma il britannico sorride educatamente e lo tranquillizza, ringraziandolo per i complimenti e la stima. Viene fermato dalla polizia che lo vede bere al volante, ma il disguido è presto spiegato: si tratta della tequila analcolica di sua produzione, spiega Hamilton con un occhiolino. Ne lascia un paio di bottiglie ai poliziotti insieme a un autografo e va per la sua strada. Tutto sembra andare liscio, finché non incontra ad un incrocio Nico Rosberg. Istintivamente, si lancia in una corsa senza pietà che si conclude con Nico e e Lewis che si tamponano a vicenda. Moro approfitta della confusione per uscire dal bagagliaio e scappare. Appena uscito dall'auto, Nico tenta di intervistare Lewis in una live di TikTok chiedendogli di commentare l'incidente. Lewis se ne va senza dire una parola. Quando fa ritorno alla base delle BR senza Renault e senza Moro, alla richiesta di spiegazioni Lewis scrolla le spalle. Le BR non hanno il coraggio di domandare oltre: lui é Lewis Hamilton, Cavaliere della Corona Britannica e sette volte campione del mondo, e loro non sono un cazzo.
George Russell: il problema maggiore è superare la barriera linguistica, dato che George parla esclusivamente britannico stretto che consiste di espressionj insensate tipo "if and buts, carrots and nuts", "right, what's all this then" e "innit, mate". Dopo avergli fatto un disegnino, George capisce il piano e si reca a casa di Moro. Tutto starebbe andando per il meglio, finché nella visuale di George non si para un muro davvero irresistibile e il pilota britannico non riesce a controllare la tentazione e vi si schianta. In modo apparentemente non correlato, Carlos Sainz esulta per aver vinto una gara di sim racing contro Max Verstappen. L'onorevole Moro ha dato una capocciata contro il bagagliaio e ha apparentemente perso la memoria. Cosa ancora più tragica, adesso parla anche lui in britannico stretto e fa discorsi strani sul restaurare la monarchia in Italia e abolire il caffè a favore del the.
Lance Stroll: abituato al lusso, Lance si rifiuta di guidare una miserrima Renault. Si presenta davanti casa di Moro con un'Aston Marton Valkyrie, regalo di papino. Il bagagliaio in cui Moro viene tenuto prigioniero ha tutti i comfort: é spazioso, rivestito in pelle, c'è l'aria condizionata condizionata e qualche rivista messa a disposizione per ingannare l'attesa. A lavoro finito, l'onorevole Moro dichiara sia stata un'esperienza più rilassante di una crociera, da provare almeno una volta nella vita. Ovviamente la macchina di Lance non passa inosservata e la polizia risale facilmente a lui. Tuttavia, papà Stroll corrompe tutti i giudici con un ammontare di denaro che basterebbe a saldare il debito pubblico italiano e tutti sono felici e contenti. Nel frattempo, inizia a discutere l'acquisizione delle BR così da garantire a Lance il posto fisso. Cosa non si fa per amore di un figlio.
Fernando Alonso: accusato di aver violato tutte le leggi della strada nonché diversi articoli della convenzione di Ginevra con la sua guida, ha rischiato di investire 12 pedoni. Ha passato un numero imprecisato semafori rossi, dato il medio a 5 vigili e guidava a 120 km all'ora per le strade di Roma, almeno secondo quanto sostiene l'accusa. Briatore peró rassicura: Alonso non era al corrente di avere lo statista della Democrazia Cristiana nel bagagliaio. Assolto con formula piena, nel dubbio la colpa va a Nelson Piquet jr. Alonso fa inoltre ricorso al tribunale per accursalo di bias contro gli spagnoli.
Daniel Ricciardo: quel gran simpaticone di Daniel si presenta sotto casa di Moro gridando "Donne! È arrivato l'arrotino!". Lo carica in macchina dopo aver fatto u. paio di battute per alleggerire la situazione e si mette in moto. Alle BR aveva assicurato: un quarto d'ora, venti minuti se c'è traffico, sono da voi. Passa un'ora e mezza e di lui non c'è traccia. È anche vero che gli avevano promesso una Renault 4, però ci sono stati problemi con la gestione dei fondi finanziari e adesso Daniel si muove con una Renault 4CV. Alla base, le BR sono divise: c'è chi dice che Daniel ormai non vale più nulla come pilota e dovrebbero scaricarlo e chi sostiene che sia la Renault 4CV a impedirgli di dare la sua prestazione migliore. Il dibattito dura per altre 3 ore, quando finalmente Daniel arriva, senza Moro. Sono rimasti imbottigliati nel traffico per 2 ore, hanno avuto modo di fare conoscenza e Daniel non se l'é sentita di consegnarlo alla morte. Si sono bevuti un paio di Vodka RedBull ad un bar e poi lo ha riaccompagnato a casa. Le BR sono ancora troppo impegnate a discutere se Daniel sia o meno ancora un grande pilota per interessarsi della situazione Moro.
Yuki Tsunoda: anche a Yuki tocca una Renault 4CV, il modello precedente della Renault 4. Inizialmente c'era timore che, a causa dei tratti somatici tipicamente giapponesi, Yuki potesse facilmente riconosciuto dalla polizia. Ma Yuki inizia a sbraitare e bestemmiare da inizio e fine corsa, strombazzando il clacson contro qualunque macchina gli si pari davanti, e la polizia lo scambia per un veneto qualunque. L'onorevole arriva alla base delle BR traumatizzato dalle volgarità che è stato costretto ad ascoltare e prega la Brigate di ucciderlo il prima possibile.
Pierre Gassly: Pierre si mette alla guida della Renault con l'orgoglio che solo un francese può provare nel guidare una vettura di gallica matrice. Purtroppo la Renault 4 è uno scossone e Pierre impiega 20 minuti per metterla in moto. Mentre si dirige a casa di Moro, intravede il connazionale Estaban Ocon che cammina su un marciapiede. Decide di fare una breve deviazione di percorso e tenta di investire Ocon numerose volte gridando dal finestrino "VOGLIO IL TUO SCALPO". La Renault non rientrerà mai alla base e l'onorevole Moro è sano e salvo. Qualcuno sostiene che Gassly sia ancora da qualche parte a Castelli a inseguire Ocon e che la Renault si alimenti puramente del suo odio e della sua frustrazione. Il suo obiettivo è incidere sulla fronte di Ocon le parole "liked by Pierre Gassly".
Esteban Ocon: anche il suo orgoglio francese dura poco alla guida della Renault e la sua attenzione viene rapita dalla vista del rivale Gassly. Tuttavia, Ocon deve inoltre avere a che fare con un impressionante numero di persone a cui è riuscito a stare sul cazzo negli anni. Quindi, nel bel mezzo dell'insegnamento, devo schivare una serie di bombe carta che gli vengono tirate addosso da Fernando Alonso e Checo Perez. Aldo Moro, che passa di lì per andare a lavoro, sente un improvviso un sfrigolamento di coglioni alla vista di Esteban, e si fa prestare qualche bomba carta da Alonso e Perez. Il giorno dopo, tutt i giornali riportano la notizia di un giovane francese attaccato dall'onorevole Moro, che viene arrestato per aggressione.
Nico Hulkenberg: le BR volevano un pilota di tedesco, che quelli sono fortissimi, ma Schumacher non era disponibile e Vettel non lo potevano permettere, quindi hanno dovuto ripiegare su Nico Hulkenberg, sperando che i geni teutonici facciano qualcosa di buono. Hulkenberg fa un lavoro sorprendente pulito. Moro viene recapitato alla base delle BR senza complicazioni e in perfetto prario. Le Brigate si imbarazzano nell'aver sottovalutato e gli chiedono come mai un pilota della sua caratura non ha mai raggiunto il podio. Una lacrima solitaria scende sulla pallida gota alemanna: é la domanda che si pone Hulkenberg ogni sera, fissando il soffitto della sua camera da letto per ore intere.
Kevin Magnussen: appena individuato Moro, Magnussen gli tira due sberle e lo spinge nel bagagliaio con un calcio. Durante il tragitto verso la base delle BR, causa volutamente tre incidenti e investe un gruppo di ciclisti per aver osato mettersi sulla sua strada. Fa una deviazione e si mette a guidare sui sampietrini, per il gusto di rendere il viaggio più sgradevole a Moro, che viene sballotatto su e giù nel bagagliaio. Per la stessa ragione, frena all'improvviso ogni tre per due. Quando i vigili lo fermano, Magnussen non nega la sua colpevolezza: non batte ciglio mentre i vigili lo privano di tutti i punti della patente, ma prima che possano portarlo in centrale si rimette al volante, guidando a 150 all'ora verso la base delle BR. La Renault 4 a malapena si tiene insieme quando la parcheggia. Magnussen apre il bagagliaio e trascina un Aldo Moro grondante di sangue per un orecchio al cospetto delle BR. A tale vista, le Brigate mettono seriamente in discussione la possibilità di potersi definire terroriste se messe al confronto col pilota danese. Due membri della banda trascinano l'onorevole in infermeria, mentre un terzo chiama di nascosto la polizia, pregando che li venga a salvare dallo psicopatico che hanno accidentalmente ingaggiato. L'onorevole Moro viene portato in salvo, le BR si costituiscono e Kevin Magnussen viene condannato a nove ergastoli.
Valterri Bottas: Bottas aveva chiesto di poter passare a prendere l'onorevole in bici, ma non c'è stato verso di convincere le BR. Bottas si presenta sotto casa di Moro con invidiabile nonchalance, occhiali da sole e braccio fuori dal finestrino. Batte un paio di colpi sulla portiera: come a dire, entra. L'onorevole sarebbe dovuto entrare nel bagagliaio, ma lì Bottas tiene la bici, quindi lo fa sedere davanti con lui. L'onorevole e il pilota piombano in un silenzio imbarazzante. Moro prova a fare conversazione, ma senza successo. Tuttavia, invece di dirigersi alla base delle BR, perché è una bella giornata, Bottas decide di fare una deviazione verso Ostia e andare al mare. Ovviamente, Bottas si dirige verso una spiaggia di nudisti e, appena messo piede sulla sabbia, si disfa di ogni indumento e si tuffa a mare ignudo come mamma lo ha fatto. Aldo Moro, che famosamente si presentava in giacca e cravatta persino in spiaggia, è disgustato da cotale spettacolo e si allontana indignato. Le BR non vedranno mai più nè Aldo Moro, né la loro Renault 4, nè Valterri Bottas, almeno dal vivo, perché anni dopo lo ritroveranno su un calendario a posare nudo.
Zhou Gyanyu: una Renault 4 potrà essere poco chic, ma ci pensa l'outfit griffato di Zhou a restituire charme a questo rapimento che di terroristico ha solo il senso dello stile. La guida sarebbe proseguita senza intoppi se non fosse per il pitstop di 45 minuti alla pompa di benzina. Zhou si era fermato solo per riempire il serbatoio, ma oer qualche ragione dopo mezz'ora la macchina ha una ruota in meno e caccia fumo. Quando finalmente ritorna alla sede delle BR, Zhou tiene una TedTalk sul comunismo di Mao, mentre le Brigate prendono appunti. Zhou sostanzialmente li addita come dilettanti e afferma di aver partecipato al rapimento solo per pietà nei loro confronti. Quando, quattro ore dopo, le Brigate vanno a recupare Moro dal bagagliaio scoprono che è morto di asfissia.
Alex Albon: la Renault di Alex Albon, oltre a ospitare uno statista nel bagagliaio, trasporta tre dei suoi tenerissimi gattini. Alex si scusa con l'onorevole, ma purtroppo quel giorno aveva già confermato una visita dal veterinario e proprio non la puó rimandare: promette di fare il prima possibile. Moro è costretto ad aspettare un paio d'ore parcheggiato in macchina. Alex torna tutto pimpante, informando accuratamente Moro della buona salute dei suoi animali domestici. Durante la conversazione a senso unico, riceve un messaggio da Lily, che gli ricorda dell'appuntamento romantico fissato per quella sera: Alex se n'era proprio scordato! Peró mica puó lasciare i gatti da soli. Chiede quindi a Moro se non gli dispiaccia fare da babysitter ai gatti per una sera. Moro, persona cortese, accetta di buon grado. Alex e Lily passano una splendida serata, rasserenati dalla consapevolezza che i loro animali domestici godono di buona salute. Una volta tornato a casa, Alex ringrazia di cuore l'onorevole Moro e si offre di accompagnarlo a casa per il disturbo. Alex riconsegna la Renault alle BR con tanto di pieno, e alla domanda "E Moro?" risponde "Una persona squisita, vi saluta tanto!"
Logan Sargeant: Sargeant prova a mettere in moto la macchina (che gli era stata fatta trovare parcheggiata davanti casa di Moro per evitare che si schiantasse almeno all'andata), ma compreso che si tratta di un modello con cambio manuale si mette a piangere sul volante. Prova ugualmente a guidarla ma si schianta contro un palazzo a 5 metri da casa dell'onorevole. La polizia arriva nel giro di 20 minuti, recupera Aldo Moro e consola Sargeant.
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“ Nella parte vecchia Lecce è suggestiva, dicono barocca, comunque barocca o no è bella, sa di pace di paese, due ragazze mature si passano di mano ammirate un lenzuolino ricamato, sorridono molto compiaciute. Al sommo della salita, da lassú potevi vedere Tricase-porto. Con il suo mare verde. Allora giù a rotta di collo con le biciclette scassate. Biciclette senza sella, senza pedali, senza freni, senza manubrio, senza ruote. Giú con le biciclette a correre verso il mare. Più scivolavi giú, piú sembrava che si allontanasse finché eri già lí nella sabbia, tra le onde. Io e Tonio. Tonio era una specie di scemo. La madre siccome quando era piccolo era molto triste, piangeva giorno e notte, gli aveva dato molta "papagna" (papavero). Tanta di quella papagna per farlo stare buono che gli aveva toccato il cervello. I contadini usavano molta papagna per i bambini troppo agitati, troppo piagnucolosi. La notte era notte e dovevano dormire per la dura giornata nei campi l'indomani, allora un po' di droga ed il piccolo era sistemato. Poi ce n'era tanto di quel papavero nelle campagne salentine! Giú con allegria verso la sabbia, verso le onde spumose, verso i fondali misteriosi, ci pulsava in gola una gioia irrefrenabile e facevamo "uuuh" "uuuh" alle curve. Tonio faceva "uuuh" "uuuh" ed io lo accompagnavo "uuuh" "uuuh". Giú ci aspettava il mare. Sulla collina tra le biciclette soffiava un vento che ci gonfiava le camicie. Su il vento, giú il mare. “
Tommaso Di Ciaula, Prima l'amaro e poi il dolce. Amore e altri mestieri, Feltrinelli (collana Franchi Narratori, n° 33), 1981¹; pp. 88-89.
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LA VARA DI MESSINA - PRIMA PARTE: LA DANZA DELLE VARETTE - Pitrè, l’etnologo che studiò la cultura siciliana nei suoi vari aspetti, fu uno dei primi ad identificare le Feste Religiose come uno degli elementi più importanti dell’identità culturale siciliana. Nel suo libro “Feste Religiose in Sicilia”, Pitrè racconta in dettaglio la storia e i particolari della Vara di Messina ma, da quando il libro usci ad oggi, molte cose nelle tante feste siciliane sono cambiate. La Vara è una parola siciliana che letteralmente vuol dire “bara” in quanto molte delle feste religiose nascevano ai tempi degli spagnoli per celebrare il Cristo morto chiuso in una bara di vetro. Vi sono infatti molte similitudini tra alcune feste siciliane e le processioni di Valenza, Malaga, Siviglia ed altre città della Spagna dove si ricordano il Cristo morto e la sua Passione. La parola Vara, divenne presto il sinonimo di tutti quelle strutture utilizzate nelle processioni religiose per portare reliquie, oggetti sacri o su cui effettuare rappresentazioni sacre. La Vara di Messina è una struttura piramidale che descrive l’assunzione al cielo di Maria la cui statua è posta nel punto più alto della struttura stessa. Sotto di essa i sette cieli popolati da figure di cherubini e serafini in movimento. Il carro su cui la Vara è montata non ha ruote ed è tirato a mano per circa due chilometri e mezzo da una folla di devoti di ogni sesso, età e stato sociale. A causa del peso la Vara è tirata a mano grazie a due gomene lunghe centocinquanta metri. Molta terminologia usata nella vara è mutuata dalla storia marinara di Messina, per cui, oltre le gomene, vi sono i Timonieri, il Capotimoniere e i vogatori, tutti deputati al movimento coordinato della Vara e alla sua virata di circa ottanta gradi, da via Garibaldi al piazza Duomo, virata che rappresenta la parte più difficile e pericolosa del suo cammino. Nel suo andare da piazza Castronuovo a piazza Duomo, la Vara è preceduta dalle Varette, portate a spalla dai “devoti” che le muovono o facendole danzare o in modo rigido e formale. Nel filmato il primo tamburino richiama i devoti delle Varette e quindi dà il via alla loro processione.
THE VARA OF MESSINA - PART ONE: THE DANCE OF THE VARETTE - Pitrè, the ethnologist who studied Sicilian culture in its various aspects, was one of the first to identify Religious Festivals as one of the most important elements of Sicilian cultural identity. In his book “Religious Festivals in Sicily”, Pitrè tells in detail the history and particulars of the Vara of Messina but, since the book was published until today, many things in the many Sicilian festivals have changed. The Vara is a Sicilian word that literally means “coffin” as many of the religious festivals were born in the time of the Spanish to celebrate the dead Christ closed in a glass coffin. There are in fact many similarities between some Sicilian festivals and the processions of Valencia, Malaga, Seville and other cities in Spain where the dead Christ and his Passion are remembered. The word Vara soon became synonymous with all those structures used in religious processions to carry relics, sacred objects or on which to perform sacred representations. The Vara of Messina is a pyramidal structure that depicts the Assumption of Mary into Heaven, whose statue is placed at the highest point of the structure itself. Below it are the seven heavens populated by figures of cherubs and seraphim in motion. The cart on which the Vara is mounted has no wheels and is pulled by hand for about two and a half kilometers by a crowd of devotees of all sexes, ages and social classes. Because of its weight, the Vara is pulled by hand thanks to two one hundred and fifty meter long ropes. Much of the terminology used in the Vara is borrowed from the maritime history of Messina, so, in addition to the ropes, there are the Helmsmen, the Chief Helmsman and the rowers, all responsible for the coordinated movement of the Vara and its turn of about eighty degrees, from Via Garibaldi to Piazza Duomo, a turn that represents the most difficult and dangerous part of its journey. In its journey from Piazza Castronuovo to Piazza Duomo, the Vara is preceded by the Varette, carried on the shoulders of the “devotees” who move them either by making them dance or in a rigid and formal way. In the film, the first drummer calls the devotees of the varette and then starts their procession.
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Gli europei hanno fatto della transizione ecologica uno dei pilastri della propria politica economica e della loro stessa identità politica. La Commissione uscente ha stabilito target di decarbonizzazione e installazione delle fonti rinnovabili sempre più ambiziosi. Gli Stati membri stanno cercando di perseguirli con i due strumenti più vecchi del mondo: gli obblighi e i sussidi, cioè, in una parola, la politica industriale statalista in tutta la sua potenza.
Siamo sicuri che sia la via migliore? La risposta è no e la conferma arriva dal Texas.
Alla fine di quest’anno, secondo quanto racconta un dettagliato articolo del Financial Times, nel corso del 2024 il Texas avrà installato più pannelli fotovoltaici (rapportati alla popolazione) non solo di qualunque altro Stato Usa, ma addirittura di qualunque Paese al mondo. Anche in termini di incidenza sulla generazione di energia elettrica, il fotovoltaico texano a marzo ha scavalcato il carbone e superato altre realtà, come la California, che spesso vengono enfatizzate come esempi da seguire. Non colpisce solo il livello raggiunto dalle rinnovabili, ma anche la rapidità con cui esse si sono imposte, sostanzialmente negli ultimi quattro o cinque anni.
Eppure, il Texas non è certo un luogo ospitale per i seguaci di Greta: non ha una legislazione particolarmente favorevole per le rinnovabili, non ha incentivi generosi e tanto meno ha obblighi paragonabili ai nostri. Sono invece due gli ingredienti del successo texano, e si trovano esattamente dalla parte opposta rispetto a quella verso cui si guarda quando si dibatte di questi temi.
Il primo ingrediente è la libertà economica: in Texas le rinnovabili non godono di privilegi, ma tutte le imprese possono contare su un sistema di regole pensato per valorizzarne il contributo, non per mettere loro i bastoni tra le ruote. In Texas non ci sono i lunghi iter burocratici che, in California come in Italia, soffocano le rinnovabili assieme alle altre imprese. Quindi, il punto non è disegnare corsie preferenziali per le tecnologie alla moda, ma costruire un quadro normativo affidabile e aperto per tutti. Non è distribuire il Nimby ai nemici e le agevolazioni agli amici, ma creare un ecosistema a misura d’impresa. Il secondo ingrediente è che i pannelli fotovoltaici sono diventati sempre più competitivi, anche rispetto alle fonti energetiche tradizionali.
E questo dipende principalmente dalla concorrenza internazionale e dal basso costo del fotovoltaico cinese. Se c’è quindi una vera minaccia che rischia di mettere a repentaglio il modello texano, quella deriva dai dazi pretesi dal presidente più ambientalista di sempre, Joe Biden, e dai requisiti di “local content”. Se le rinnovabili prosperano in Texas è perché, in quel contesto, convengono davvero. Ma senza istituzioni favorevoli alla libera impresa, esse sarebbero al centro di quella stessa rincorsa tra sussidi e regolamentazione che le sta mettendo in difficoltà altrove, come in California (e in molti Paesi europei): It’s the economic freedom, stupid.
ambientalismo ignorante passé bovino, non (solo) per le scuregge al metano, vs. sostenibilità quella vera, quella che non ha bisogno di aiutini, via https://opinione.it/economia/2024/05/29/istituto-bruno-leoni-texas-usa-pannelli-fotovoltaici-california-biden/
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The wheel of time at the Temple of the Sun in Konark.
La rueda del tiempo en el Templo del Sol de Konark.
Detail of two of the twenty-four wagon wheels / Dettaglio di due delle ventiquattro ruote del carro
The walls of the Konark temple are etched with intricate carvings, sculptures and bas-reliefs / Le pareti del tempio di Konark sono impresse con intricati intagli, sculture e bassorilievi
(English / Español / Italiano)
In Orissa in the village of Konark lies one of India's most extraordinary monuments of enormous religious significance, a true masterpiece of architecture the Konark Temple more proudly known as the Temple of the Sun, a UNESCO heritage site. Built in the 13th century by King Narasimhadeva, the temple is designed in the shape of a gigantic chariot with seven horses and twenty-four wheels, carrying the sun god Surya across the heavens.
The temple of Konark even in its present state of ruin is still a wonder to the world. The great poet Rabindranath Tagore wrote of Konark: 'here the language of stone surpasses the language of man'.
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En Orissa, en la aldea de Konark, se encuentra uno de los monumentos más extraordinarios de la India, de enorme significado religioso, una auténtica obra maestra de la arquitectura: el templo de Konark, más conocido como el Templo del Sol, declarado Patrimonio de la Humanidad por la UNESCO. Construido en el siglo XIII por el rey Narasimhadeva, el templo está diseñado en forma de un gigantesco carro con siete caballos y veinticuatro ruedas, que transporta al dios del sol Surya a través de los cielos.
El templo de Konark, incluso en su actual estado de ruina, sigue siendo una maravilla para el mundo. El gran poeta Rabindranath Tagore escribió sobre Konark:"Aquí el lenguaje de la piedra supera al lenguaje del hombre".
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In Orissa, nel villaggio di Konark si trova uno dei monumenti più straordinari dell’India di enorme significato religioso, un vero capolavoro dell’architettura il Tempio di Konark più fieramente conosciuto come Tempio del Sole, sito dichiarato patrimonio dell’UNESCO. Costruito nel XIII secolo dal re Narasimhadeva, il tempio è progettato a forma di un gigantesco carro con sette cavalli e ventiquattro ruote, che trasporta il dio del sole Surya, attraverso i cieli.
Il tempio di Konark anche nel suo attuale stato di rovina è ancora una meraviglia per il mondo intero. Il grande poeta Rabindranath Tagore scrisse di Konark: “qui il linguaggio della pietra supera il linguaggio dell’uomo“.
#middle ages#edad media#medievo#13th century#s.XIII#kornak#Temple of the Sun#Tempio del sole#Templo del sol
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"Ci sono due tipi di libro, quelli da consultare e quelli da leggere. I primi (il prototipo è l'elenco telefonico, ma si arriva sino ai dizionari e alle enciclopedie) occupano molto posto in casa, son difficili da manovrare, e sono costosi. Essi potranno essere sostituiti da dischi multimediali, così si libererà spazio, in casa e nelle biblioteche pubbliche, per i libri da leggere (che vanno dalla Divina Commedia all'ultimo romanzo giallo).
I libri da leggere non potranno essere sostituiti da alcun aggeggio elettronico. Son fatti per essere presi in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche dove e quando qualsiasi batteria si è scaricata, possono essere sottolineati, sopportano orecchie e segnalibri, possono essere lasciati cadere per terra o abbandonati aperti sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, stanno in tasca, si sciupano, assumono una fisionomia individuale a seconda dell'intensità e regolarità delle nostre letture, ci ricordano (se ci appaiono troppo freschi e intonsi) che non li abbiamo ancor letti, si leggono tenendo la testa come vogliamo noi, senza imporci la lettura fissa e tesa dello schermo di un computer, amichevolissimo in tutto salvo che per la cervicale. Provate a leggervi tutta la Divina Commedia, anche solo un'ora al giorno, su un computer, e poi mi fate sapere. Il libro da leggere appartiene a quei miracoli di una tecnologia eterna di cui fan parte la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola, la bicicletta. Il coltello viene inventato prestissimo, la bicicletta assai tardi. Ma per tanto che i designer si diano da fare, modificando qualche particolare, l'essenza del coltello rimane sempre quella. Ci sono macchine che sostituiscono il martello, ma per certe cose sarà sempre necessario qualcosa che assomigli al primo martello mai apparso sulla crosta della terra. Potete inventare un sistema di cambi sofisticatissimo, ma la bicicletta rimane quella che è, due ruote, una sella, e i pedali. Altrimenti si chiama motorino ed è un'altra faccenda. L'umanità è andata avanti per secoli leggendo e scrivendo prima su pietre, poi su tavolette, poi su rotoli, ma era una fatica improba. Quando ha scoperto che si potevano rilegare tra loro dei fogli, anche se ancora manoscritti, ha dato un sospiro di sollievo. E non potrà mai più rinunciare a questo strumento meraviglioso. La forma-libro è determinata dalla nostra anatomia".
Umberto Eco - "La bustina di Minerva"
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MOHAWK ( Core ) Movie Studio Series *THE LAST KNIGHT*
Con un leggerissimo ritardo di soli 7 anni il piccolo MOHAWK ha finalmente un suo modellino ufficiale grazie alla filologicità di Movie Studio Series, essendo stato escluso ai tempi di The Last Knight insieme ad un altro paio di Decepticon, anche se va detto che effettivamente la loro apparizione nel film fu quantomeno effimera.
Ciononostante, il piccoletto aveva le sue potenzialità ( a parte il nome banale ), bene espresse in questo Core, con un ROBOT fedelissimo a come appare nel film, a parte magari la posizione delle ruote non adagiate a mo' di coprispalle, ma ci si può soprassedere.
Mantiene l'aspetto smilzo e dinoccolato del lungometraggio, e magari forse è troppo grande rispetto alla scala media generale dei Bayformer, ma quella dei Core è la taglia minima per quei Transformers che diventano moto, come la recente Arcee di RotB, e meglio così che non avere banale Battlemaster o giù di lì'; è tutto grigio brillante con sprazzi di verde a caso come vuole il suo modello in CGI, tranne che nella cresta, vabbè.
Ha balljoint su caviglie, anche, spalle e gomiti, più un'altra articolazione per piegare questi e sulle ginocchia, ma sopratutto può spalancare le fauci! Inoltre, citando la sua "fine" nel film, dove resta solo la testa a parlare dopo esser stato colpito da Bee, la testa può appunto staccarsi tranquillamente.
Infine, non visto nel film ma presente nei concept art, il nostro è armato di un semplice coltello, che però è talmente piccino che si ha paura di perderlo, anche se si può sistemare a riposo dietro il bacino ( che tra l'altro non ruota, ma ok, glielo si perdona, dai. ^^ )
La TRASFORMAZIONE non è malvagia per un Core class così, con la ruota destra che si abbassa, la testa che si ripiega all'indietro e quindi si alza la ruota sinistra, che viene "afferrata" dalle braccia ripiegatevisi. Le gambe infine si ribaltano all'indietro e si uniscono aderendo al corpo, con i piedi che diventano il sellino della MOTO.
Questa è un tipo di motocicletta quantomeno bizzarro ed esclusivo, una Confederate Motorcycles 2016 P51 Combat Fighter, e nonostante le licenze poetiche di alcune parti poco in disguise ( per dirne una, le braccia ripiegate alla buona ), alla fine è riprodotta abbastanza bene, sempre pensando di aver in mano un semplice Core.
Senza contare che l'hanno riprodotta senza licenza, quindi alcuni particolari sono cambiati apposta, come i due fari anteriori invece che uno, ed il particolare dipinto di rosso dei freni messo davanti ai sostegni delle ruote invece che dietro, vabbè.
Il coltellino si può sistemare su un perno in basso a destra della moto, e complessivamente è soddisfacente ed una buona rappresentazione del personaggio, finalmente diventato un modellino anche se il carisma del nostro Mohawk è purtroppo appena accennato vista la poca attenzione datagli ai tempi del film de L'ultimo Cavaliere, ma per il prezzo che ha è un ottimo acquisto a chi vuol completare la collezione dei Decepticon di quel film, anche se ancora mancano Onslaught e Dreadbot all'appello.
-Video recensione
#transformers#hasbro#generations#decepticon#recensione#review#core#mohawk#distructor#transformers 5#the last knight#l'ultimo cavaliere#studio series
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Il circo globale del clima, formalmente noto come 29a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP29), è in corso a Baku, in Azerbaigian, e il tempismo non potrebbe essere migliore. O peggio, a seconda della prospettiva.
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha dato un meritato pugno allo stomaco ai fedeli del clima riuniti.
Dopotutto, nulla rovina un buon sermone sulla salvezza planetaria come un parrocchiano che rifiuta di prendere sul serio il vangelo.
Mentre i delegati della COP29 si affrettano a produrre "consenso", la realtà è chiara: la politica climatica globale è sempre stata un castello di carte e l'elezione di Trump è la folata di vento che mette a nudo le sue fragili fondamenta.
Dite quello che volete su Trump, ma almeno lui è coerente. Il suo primo mandato ha fatto a pezzi l'Accordo di Parigi e ha promosso senza scuse l'indipendenza energetica americana, dando priorità al pragmatismo economico rispetto ai nebulosi obiettivi climatici. Ora, con un secondo mandato, i crociati del clima stanno sudando, non a causa del riscaldamento globale, ma perché i loro piani multimiliardari dipendono dalla cooperazione indiscussa degli Stati Uniti.
Lo stesso Accordo di Parigi, salutato come una pietra miliare nella diplomazia climatica, è fondamentalmente inefficace. Anche l'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE) ammette che gli impegni attuali sono ben lontani dagli obiettivi che sostiene siano necessari. Con Trump di nuovo al potere, anche queste promesse inefficaci rischiano di essere ignorate. Siamo onesti: non dovremmo applaudire la chiarezza? Almeno qualcuno è disposto a smascherare il bluff.
Se la vittoria di Trump non è sufficiente a inasprire l'umore a Baku, l'assenza dei principali leader mondiali ha sicuramente fatto il di peggio. Ursula von der Leyen dell'Unione Europea, Lula da Silva per il Brasile e altre figure di spicco sono convenientemente "troppo occupate" per partecipare, lasciando il "coro del clima" senza i suoi solisti di punta.
Questa mancanza di presenze è più di un conflitto di programmazione; è un silenzioso riconoscimento che la routine del vertice sul clima sta perdendo vigore. Decenni di riunioni annuali della COP hanno prodotto ben poco, al di là di comunicati gonfiati e accordi inapplicabili. I veri credenti, naturalmente, emergeranno ancora con proclami di "progresso", ma chiunque presti attenzione sa la verità: le ruote si stanno staccando dal carro...
Uno dei principali punti all'ordine del giorno della COP29 è la proposta di incanalare 1 trilione di dollari all'anno ai paesi in via di sviluppo per l'adattamento e la mitigazione del clima. Come finanziare questo massiccio trasferimento di ricchezza? Le idee spaziano dalla tassazione delle compagnie petrolifere alle tasse sui viaggi aerei e sulle spedizioni.
È una truffa impressionante, ma analizziamola. I paesi in via di sviluppo chiedono risarcimenti per un problema che sostengono di non aver causato, mentre le nazioni ricche promettono denaro che non hanno. Anche se queste tasse si materializzassero (altamente dubbio), i fondi sarebbero probabilmente sperperati in sciocchezze come i parchi solari che smettono di funzionare dopo due anni o le turbine eoliche che non possono sopravvivere a una forte brezza.
Le voci più forti alla COP29 provengono da paesi che si dipingono come vittime delle nazioni industrializzate. Eppure molti di questi stessi paesi stanno raddoppiando i progetti di carbone, petrolio e gas, dimostrando ancora una volta che l'ipocrisia è la vera risorsa rinnovabile. Con Trump che non è disposto a fare il benefattore oppresso dai sensi di colpa, queste nazioni potrebbero dover ripensare la loro strategia o, meglio ancora, concentrarsi su un vero sviluppo invece di inseguire l'elemosina per il clima.
Scegliere l'Azerbaigian per ospitare la COP29 è o il massimo dell'ironia o un momento di chiarezza. Una nazione la cui economia dipende dalle esportazioni di petrolio e gas è ora il palcoscenico per le discussioni globali sull'eliminazione graduale dei combustibili fossili. È come chiedere a una volpe di fare la guardia al pollaio e poi consegnarle un libro di cucina.
La linea ufficiale è che l'Azerbaigian si sta diversificando nelle energie rinnovabili, ma non prendiamoci in giro. Ospitare la COP29 è una trovata pubblicitaria, un'opportunità per lucidare l'immagine del paese continuando a rastrellare profitti dalle stesse risorse che la folla del clima vuole eliminare.
La scelta dell'Azerbaigian è emblematica di una verità più ampia: la diplomazia climatica è piena di contraddizioni. I leader mondiali predicano l'austerità mentre volano su jet privati. Le nazioni dipendenti dai combustibili fossili promettono lo zero netto. E ora, i campioni della decarbonizzazione si incontrano in un petrostato. È tutto teatro, e il pubblico è sempre più stanco.
Ammettiamolo: il processo COP non è mai stato progettato per avere successo. Si basa su accordi inapplicabili e sulla buona volontà di nazioni con interessi contrastanti. Il risultato è un ciclo prevedibile di annunci esagerati, promesse vaghe e poca azione.
Richiedendo l'unanimità, i vertici della COP garantiscono di fatto la mediocrità. Ogni nazione ha il diritto di veto, e qualsiasi proposta seria è ridotta a insignificante. Se a questo si aggiunge l'instabilità politica nei paesi chiave – Trump negli Stati Uniti, le tensioni geopolitiche in Europa e le turbolenze economiche nei paesi in via di sviluppo – le crepe nel sistema diventano evidenti.
La parte più divertente della COP29 è la pretesa che tutto questo sia importante. Anche se il fondo proposto da 1 trilione di dollari fosse pienamente realizzato (avviso spoiler: non lo sarà), non intaccherebbe le emissioni globali. Perché? Perché la Cina e l'India, i maggiori emettitori del mondo, stanno ancora costruendo centrali a carbone più velocemente di quanto si possa dire "compensazione del carbonio".
La rielezione di Trump è un forte promemoria dell'inutilità delle politiche climatiche globali. Il suo rifiuto impenitente dell'ortodossia climatica mette a nudo ciò che molti già sospettano: questi vertici sono poco più che elaborate sciarade, avulse dalla realtà pratica e piene di contraddizioni.
Invece di lamentarsi del ritorno di Trump, forse i fedeli del clima dovrebbero ringraziarlo. Rifiutandosi di stare al gioco, sta esponendo la vacuità della loro agenda. E se la COP29 non otterr�� nulla oltre a dimostrare questa verità, allora sarà stato un vertice degno di essere ricordato.
Da Fernan. Arnò, FB.
#truffa energetica#truffa climatica#truffa rinnovabili#Cop29#centrali nucleari#centrali a metano#centrali a carbone#petrolio#Donald Trump#USA#Cina#India
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Negli ultimi giorni sugli autobus andando alla Croce Rossa mi sono capitate delle cose che vorrei conservare sul mio blog.
Una ragazza mi ha detto che la borsa a tracolla di One Piece è bella e mi ha chiesto dove l'avessi presa.
Una ragazzina mi ha pestato il piede per sbaglio, non mi ha chiesto scusa ma mi fido della sua bontà; immagino si sia sentita a disagio (forse molto chissà.. si guardava intorno in una maniera un po' strana, sembrava cercasse qualcosa) visto che è finita con il piede sopra il mio, non solo sulla punta ma proprio su tutta la scarpa. Tra l'altro leggerissima non mi ha fatto nemmeno male piccolina.
Dei turisti asiatici, penso proprio che fossero coreani, mi hanno chiesto indicazioni per un autobus e ho provato a dire qualcosa in inglese ma sento di aver fallito perché non credo di essere riuscito a far capire loro che erano alla fermata giusta per andare al piazzale Michelangelo. Avevano Google Maps che diceva loro dove andare ma a quanto pare non si fidavano o non capivano qualcosa. Sarebbe stato bello se fossero stati giapponesi, avrei potuto provare a farmi capire.
Oggi ho assistito a una scena un po' brutta capitata a una signora in carrozzina accompagnata da un'altra persona. Scendendo dall'autobus questa persona accompagnatrice ha spinto in avanti la carrozzina sulla pedana inclinata, tirata fuori appositamente dall'autista. La persona accompagnatrice è stata trascinata dalla gravità e dalle ruote tonde della carrozzina facendo sbattere la signora contro un muro di una casa. Non è sembrato essere successo qualcosa di molto grave. Mi ha dato un sacco fastidio non essermi accorto di nulla: nonostante stessi guardando queste due persone non ho notato la pericolosità di cosa poi ha fatto la persona accompagnatrice, sbagliando. Probabilmente sarebbe stato meglio che quest'ultima si trovasse davanti alla carrozzina e non dietro, per frenare la discesa. In ogni caso era una manovra non scontata per una persona senza esperienze di questo tipo. Una scena abbastanza brutta perché nessuno (immagino) voleva che andasse così eppure nessuno di noi presenti è stato abbastanza pronto e sveglio da evitarlo. Tra chi era distratto e chi si fidava ciecamente che sarebbe andato tutto bene, una signora in carrozzina è finita contro un muro.
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"Non so nemmeno se riesco ad arrivare in fondo ..."
"Ti tocca stringere i denti!"
"Non posso: ho la mandibola fratturata"
E alla fine Petrux (al secolo Danilo Petrucci) fa il sesto posto.
Non abbiamo bisogno che arrivino gli extraterrestri: ce li abbiamo in pista su due ruote.
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A Caval Donato...
Questa è una storia famosa, probabilmente tra le più famose di tutti i tempi, che mi è venuta voglia di raccontare perchè è rinvenuta alla memoria per una di quelle connessioni magiche (che è una spiegazione molto più bella, romantica e "sensata" della semplice casualità) tra le persone.
La domanda è: quanto siamo disposti a ritenerci ingenui?
La risposta è in parte suggerita dalla foto che ho scovato, una miniatura del Cavallo di Troia che fu usato nel film Troy (del 2004 diretto da Wolfgang Petersen, con un cast stellare) che riprende, molto liberamente, le vicende della Guerra di Troia.
Il Mito del Cavallo di Troia è l'emblema del più grande stratagemma del Mito, o è una pagina di assoluta ingenuità? Per chi non la ricorda, la storia è riassumibile così: al decimo anno di assedio della città di Troia, i Greci capitanati da Agamennone, che muove guerra alla città dopo il ratto di sua moglie Elena da parte di Paride, figlio del Re troiano Priamo, sfiniti da un conflitto che si trascina senza soluzione, costruiscono un enorme cavallo di legno. Lo fabbrica Epeo, ispirato dalla dea Atena, che lo consiglia su come farlo. L'idea è di nascondere guerrieri all'interno del gigantesco cavallo. Quanti? Le fonti sono discordanti, e per "convenzione" se ne contano 40, capitanati da Odisseo, il più astuto dei guerrieri achei. Diffondono la voce che stanchi sono in ritiro e che quel cavallo è un'offerta propiziatoria agli dei per un sicuro ritorno in patria. I Troiani viste le navi allontanarsi, aprono le porte della città e sulla spiaggia trovano questo gigantesco cavallo. Che farne? Alcuni vogliono bruciarlo, altri buttarlo da una rupe, altri sondano con le lance la pancia, per capire cosa ci sia all'interno. Però la maggior parte, tra cui il Re Priamo, vuole portarlo all'interno delle possenti mura, e consacrarlo a Re Poseidone, a cui l'animale è sacro. Sembra fatta, ma Laocoonte, il sacerdote, tuona la famosa frase riportata da Virgilio nell'Eneide: Timeo Danaos et dona ferentes (Ho paura dei Danai, (i Greci) e dei doni che portano). Viene portato a discuterne un prigioniero greco, Sinone, catturato pochi giorni prima, pieno di lividi: si era presentato come compagno di Palamede, nemico di Odisseo, che lo prese in odio, e fece si che l'indovino Calcante lo indicasse come capro espiatorio sacrificale per il ritorno in patria degli eroi Achei. In realtà, fu mandato come spia da Odisseo, e quei lividi furono fatti apposta dalle percosse degli altri eroi per far apparire realistica la sua versione. Con arte finissima, Sinone diviene fonte di informazioni per i Troiani, che gli chiedono: a che serve il cavallo? Sinone risponde: fu costruito come offerta ad Atena, dopo che Diomede con Odisseo rubò il Palladio, la più bella statua dedicata alla dea. Fu costruito così grande per impedire che i Troiani lo facessero bottino di guerra per introdurlo nelle proprie mura.
Si è ancora indecisi su che fare, quando un prodigio avvenne: Laocoonte, mentre sacrificava un toro, fu aggredito da giganteschi serpenti provenienti dal mare, che uccisero lui e i suoi due figli (in foto, la Statua del Laocoonte conservata ai Musei Vaticani).
Convinti che fosse la vendetta degli Dei per aver scagliato la lancia contro il Cavallo, i Troiani montano delle ruote e lo spingono dentro le mura della città. Non servono a nulla i richiami di Cassandra che questo porterà alla rovina di Troia: ma la sacerdotessa, che pure ebbe da Apollo il dono della profezia, fu dallo stesso condannata a non essere mai creduta, poichè non si concesse al suo amore. Il resto è noto: giunta la notte, i guerrieri greci escono dal cavallo, aprono le porte della città e segnalano alle navi, che erano appostate nella vicina isola di Tenedo che le porte sono aperte. In un assedio apocalittico, la città è saccheggiata tra battaglie, stupri, gesta incredibili.
Ma davvero i Troiani furono così ingenui? La domanda è nata come lo stesso mito, tanto che sin dai tempi antichi molti hanno cercato di andare oltre il "simbolismo" e dare spiegazioni pratiche: tra le più famose ipotesi, Pausania (nel suo leggendario Periegesi della Grecia) suppone che il cavallo fosse in realtà una macchina da guerra, simile all'ariete, che fu decisiva nell'abbattimento delle mura di Troia. E simili spiegazioni le danno Plinio il Vecchio (Naturalis Historia VII, 202), Servio Danilino (Servus Auctus) e altri commentari all'Eneide. Già perchè a dispetto di quello che si può pensare, nei due capolavori omerici non se ne parla affatto: l'Iliade finisce con la morte di Ettore, pochi mesi prima dell'episodio del Cavallo, l'Odissea si svolge dopo la guerra e l'episodio è solo accennato in qualche passaggio. Tutto quello che sappiamo sul Mito è frutto delle rielaborazioni di autori posteriori a Omero, sebbene è unanimemente riconosciuto dagli studiosi che il Mito del cavallo fosse ampiamente conosciuto già ai tempi del cieco cantore (il cosiddetto Ciclo Troiano è la raccolta di poemi epici greci che trattavano la storia della Guerra di Troia e il suo seguito. I poemi in questione sono i Cypria, l'Etiopide, la Piccola Iliade, l'Iliou persis (La caduta di Ilio), i Nostoi (I ritorni) e la Telegonia). Virgilio ne riporta una dettagliata descrizione quando lo fa raccontare dal troiano Enea, che si salvò come è noto dall'assedio, per poi andare a fondare la stirpe che fonderà Roma.
Tra le più recenti sfide al dibattito, quella del professore Tiboni, archeologo navale, che in vari articoli ipotizza che "il cavallo" fosse in realtà "una nave", chiamata così per una polena a forma di testa equina che campeggiava sulla prua: evidenti prove iconografiche smentiscono tale idea, la più famosa è il vaso pythos conservato al Museo di Mykonos
risalente al VII secolo a.C., che mostra i guerrieri all'interno di un cavallo gigantesco, portato con le ruote all'interno della città.
Ma ribadisco la domanda: fu solo ingenuità? Dietro lo stratagemma ci furono interventi di divinità, giochi di potere, la stanchezza della guerra. Ma se ancora può rimanere il sorriso sulla scelta troiana, ricordo un particolare interessante, totalmente moderno: i virus informatici che, con uno stratagemma, si insinuano nei nostri dispositivi, sono chiamati Trojan non per caso, e molti di loro giocano sull'intervento di chi li legge o vede (aprire un link, inviare una email e così via...): quante volte dopo aver fatto per emozione, per mancanza di attenzione, per fretta qualcosa, a mente fredda ragionandoci ci siamo dati degli ingenui? Siamo proprio sicuri che in ognuno di noi non scorra un po' di quel sangue Troiano?
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Guida ai Raduni: Fiat 500 il Weekend 4-5 Maggio
Un fine settimana all'insegna della passione automobilistica con raduni di Fiat 500 d'epoca. Scopri dove e quando!
I raduni di Fiat 500 d'epoca non sono solo eventi, ma veri e propri ritrovi di storie, passioni e ricordi su quattro ruote. Questi incontri, che si svolgono in varie località d'Italia, sono l'occasione per gli appassionati di mostrare orgogliosamente i loro gioielli automobilistici, spesso restaurati e mantenuti con amorevole cura. Ogni raduno è una festa, un tuffo nel passato che celebra la bellezza e la storia delle mitiche 500, auto che hanno segnato un'epoca e continuano a far battere i cuori. Oltre a essere una mostra di auto, i raduni sono momenti di condivisione, dove gli aficionados possono scambiarsi consigli, racconti e aneddoti, rafforzando la comunità di entusiasti. Ecco perché questi eventi sono tanto attesi: rinnovano il legame tra passato e presente e mantengono viva la passione per il collezionismo automobilistico. - Oliena in 500 - Data: 4-5 Maggio 2024 - Luogo: Oliena (NU) - Descrizione: Un raduno che celebra la cultura e il fascino delle 500 in uno degli angoli più suggestivi della Sardegna. - Meeting Ibleide ediz.2024 - Data: 4-5 Maggio 2024 - Luogo: Ragusa (RG) - Descrizione: Appassionati di tutto il sud si incontrano per una due giorni dedicata alle storiche Fiat 500. - 11° Meeting della 500 - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Catanzaro - Descrizione: Un'intera giornata per ammirare modelli unici e scambiare esperienze tra appassionati. - 15° Raduno Lago Trasimeno - Magione - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Magione (PG) - Descrizione: Il pittoresco Lago Trasimeno fa da sfondo a questo storico raduno, un must per gli amanti delle 500. - Le 500 in Fiera a Borghetto Lodigiano - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Borghetto Lodigiano (LO) - Descrizione: La fiera annuale che attira collezionisti da tutta Italia per celebrare la passione comune per la Fiat 500. - Le 500 nel Roero - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Cinzano di Santa Vittoria d'Alba (CN) - Descrizione: Un raduno che unisce il piacere della guida al fascino dei paesaggi del Roero. - 2° Raduno del Lago - 1° Memorial Tonino Garofalo - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Bocca di Piazza - Parenti (CS) - Descrizione: Un evento emozionale in memoria di un grande appassionato, immerso nella natura calabrese. - 3° Meeting di Primavera in Svizzera - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Caslano (Svizzera) - Descrizione: Gli appassionati svizzeri e italiani si incontrano per un giorno all'insegna della Fiat 500. Trovate l'elenco aggiornato in tempo reale a questo LINK L'atmosfera di ogni raduno delle Fiat 500 d'epoca è inimitabile: un tuffo nel passato, un ritorno all'epoca d'oro dell'automobilismo italiano dove la semplicità si univa all'eleganza. È un'esperienza che rafforza la comunità, creando nuove amicizie e rinnovando vecchie conoscenze, unendo persone di tutte le età sotto la bandiera della passione per le Fiat 500 d'epoca! Vi aspettiamo!!!
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Prese il caffè nella sua piccola stanza d'affitto, si fece la barba e si vestì in modo elegante. Indossò il suo impermeabile, perché fuori pioveva. Quando uscì mancavano venti minuti alle otto, e alle otto in punto era alla stazione centrale, sul marciapiede del treno diretto a Santarém. Il treno partì con la massima puntualità, alle 8.05. Fernando Pessoa prese posto in un compartimento in cui era seduta una signora dall'apparente età di cinquant'anni, che stava leggendo. Essa era sua madre ma non era sua madre, ed era immersa nella lettura. Anche Fernando Pessoa si mise a leggere. Quel giorno doveva leggere due lettere che gli erano arrivate dal Sud Africa e che gli parlavano di una infanzia lontana.
Fui come erba e non mi strapparono, disse a un certo punto la signora dall'apparente età di cinquant'anni. La frase piacque a Fernando Pessoa, che l'appuntò su un taccuino. Intanto, davanti a loro, passava il piatto paesaggio del Ribatejo, con risaie e praterie.
Quando arrivarono a Santarém, Fernando Pessoa prese una carrozza. Lei sa dove è una casa sola imbiancata a calce?, chiese al vetturino. Il vetturino era un ometto grassoccio, col naso reso rubicondo dall'alcol. Certo, disse, è la casa del signor Caeiro, io la conosco bene. E frustò il cavallo. Il cavallo cominciò a trotterellare sulla strada maestra fiancheggiata da palmizi. Nei campi si vedevano capanne di paglia con qualche negro sulla porta.
Ma dove siamo?, chiese Pessoa al vetturino, dove mi porta?
Siamo in Sud Africa, rispose il vetturino, e la sto portando a casa del signor Caeiro.
Pessoa si sentì rassicurato e si appoggiò allo schienale del sedile. Ah, dunque era in Sud Africa, era proprio quello che voleva. Incrociò le gambe con soddisfazione e vide le sue caviglie nude, dentro due pantaloni alla marinara. Capì che era un bambino e questo lo rallegrò molto. Era bello essere un bambino che viaggiava per il Sud Africa. Tirò fuori un pacchetto di sigarette e se ne accese una con voluttà. Ne offrì una anche al vetturino che accettò avidamente.
Stava calando il crepuscolo quando arrivarono in vista di una casa bianca che stava su un colle punteggiato di cipressi, Era una tipica casa ribatejana, lunga e bassa, con le tegole rosse spioventi. La carrozza imboccò il viale di cipressi, il ghiaino scricchiolò sotto le ruote, un cane abbaiò nella campagna.
Sulla porta di casa c'era una vecchietta con gli occhiali e la cuffia candida. Pessoa capì subito che si trattava della prozia di Alberto Caeiro, e alzandosi sulla punta dei piedi la baciò sulle guance.
Non mi faccia troppo stancare il mio Alberto, disse la vecchietta, è di salute così cagionevole.
Si fece di lato e Pessoa entrò in casa. Era una stanza ampia, arredata con semplicità. C'era un caminetto, una piccola libreria, una credenza piena di piatti, un sofà e due poltrone. Alberto Caeiro stava seduto su una poltrona e teneva il capo reclinato all'indietro.
Era l'Headmaster Nicholas, il suo professore della High School.
Non sapevo che Caeiro fosse lei, disse Fernando Pessoa, e fece un piccolo inchino. Alberto Caeiro gli indirizzò un cenno stanco di venire avanti. Venga avanti caro Pessoa, disse, l'ho convocata qui perché volevo che lei sapesse la verità.
Intanto la prozia arrivò con un vassoio sul quale c'erano tè e pasticcini. Caeiro e Pessoa si servirono e presero le tazze. Pessoa si ricordò di non alzare il mignolo, perché non era elegante. Si accomodò il bavero del suo vestito alla marinara e si accese una sigaretta. Lei è il mio maestro, disse.
Caeiro sospirò, e poi sorrise. E' una storia lunga, disse, ma è inutile che gliela spieghi per filo e per segno, lei è intelligente e capirà anche se salterò dei passaggi. Sappia solo questo, che io sono lei.
Si spieghi meglio, disse Pessoa.
Sono la parte più profonda di lei, disse Caeiro, la sua parte oscura. Per questo sono il suo maestro.
Un campanile, nel villaggio vicino, suonò le ore.
E io cosa devo fare?, chiese Pessoa.
Lei deve seguire la mia voce, disse Caeiro, mi ascolterà nella veglia e nel sonno, a volte la disturberò. certe altre non vorrà udirmi. Ma dovrà ascoltarmi, dovrà avere il coraggio di ascoltare questa voce, se vuole essere un grande poeta.
Lo farò, disse Pessoa, lo prometto.
Si alzò e si accomiatò. La carrozza lo aspettava alla porta, Ora era diventato di nuovo adulto e gli erano cresciuti i baffi. Dove la devo portare?, chiese il vetturino, Mi porti verso la fine del sogno, disse Pessoa, oggi è il giorno trionfale della mia vita.
Era l'otto di marzo, e dalla finestra di Pessoa filtrava un timido sole.
Antonio Tabucchi, Sogno di Fernando Pessoa, poeta e fingitore - in Sogni di sogni
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