#9 settembre 1941
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italianiinguerra · 3 years ago
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I bollettini di guerra del 10 settembre 1940-41-42
I bollettini di guerra del 10 settembre 1940-41-42
Il Bollettino del Quartier Generale delle Forze armate venne diramato in Italia a partire dall’ 11 giugno 1940, giorno in cui venne emesso il n° 1, fino al tragico 8 settembre 1943, per un totale di 1.201 comunicati. Esso, come venne indicato nelle disposizioni ufficiali, a partire dal 15 giugno 1940, sarà diramato alle ore 13 e conterrà tutto quanto concernente lo svolgimento delle operazioni…
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yehudageramirp · 3 years ago
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Szymen Rozowski è stato l'ultimo rabbino di un villaggio nell'attuale Lituania, sede di una vivace comunità ebraica per centinaia di anni.
Dopo che la Germania nazista invase l'Unione Sovietica, avvertì la sua gente di acquistare armi e prepararsi a combattere. Ma i cittadini di Eisiskes avevano sperimentato l'antisemitismo per la maggior parte della loro vita e molti pensavano di poter sopportare il tumulto, e persino la violenza, come avevano fatto in passato. Rozowski ebbe ragione quando le forze tedesche e lituane rastrellarono i residenti ebrei di Eisiskes. Per due giorni nel settembre 1941, uomini, donne e bambini furono assassinati in massa mentre i perpetratori sparavano su di loro con i fucili e gettavano i loro corpi nelle fosse.
Gran parte di ciò che sappiamo degli ultimi giorni della comunità è dovuto ai suoi pochi sopravvissuti, alcuni dei quali credettero a Rozowski e fuggirono. Guarda in diretta su Facebook giovedì 19 agosto, alle 9:30 ET per sapere cosa è successo al rabbino Rozowski e ricordare la gente di Eisiskes.
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pangeanews · 4 years ago
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“Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna
Raccolte e pubblicate per la prima volta in edizione critica nel 1981 (R. Musil, Briefe, a cura di Adolf Frisé, Rowohlt Verlag Hamburg), gli abbozzi e le lettere dell’austriaco Robert Musil sono state a lungo ignorate dalla critica e dalla germanistica italiana, già severamente messe alla prova dalla scrittura narrativa e saggistica musiliane.
È vero che le lettere compiute ed effettivamente spedite, soprattutto quelle più tarde, legate così drammaticamente all’esperienza degli anni d’esilio, come pure le più datate ad amici, a familiari e a collaboratori di rivista, nell’insieme rivelano uno scarso valore letterario, evidenziando cosi come Musil preferisse affidare le proprie riflessioni e i propri esperimenti piuttosto ai plurimi quaderni dei diari (vedi R. Musil, Diari (1899-1941), traduzione di Enrico De Angelis, Einaudi 1997, pp. 1659). È altrettanto vero però che esiste un gruppo di lettere spedite e abbozzi la cui affinità con una certa sua scrittura diaristica le rende meritevoli di essere lette e godute come veri e propri esperimenti letterari. Sono quelle risalenti al cosiddetto Törless-Zeit, il periodo cioè che va dal 1900, quando il ventenne Robert si cimentava in particolare nelle prose liriche da lui chiamate Parafrasi, al 1905, anno in cui terminò la scrittura del primo romanzo, I turbamenti del giovane Törless (edito nel 1906), ed oltre, fino al 1907, quando morì Herma Dietz, l’ultima protagonista della vita sentimentale di Musil prima della sua unione definitiva con Martha Heimann. 
Notevoli per il carattere sperimentale ad esse attribuito dallo stesso autore, queste lettere e questi abbozzi sono gli unici a possedere una scrittura che è sì tentativo di descrizione della condizione e della sensibilità musilane, ma anche ricerca stilistica propriamente detta. Destinatari sono personaggi femminili i cui nomi in almeno tre casi (Anna, Liesl e Valerie) non sono determinabili nella loro identità.
A fronte di segreti cosi gelosamente preservati da Musil anche nei Diari, dove pure i tre nomi compaiono, è lecito pensare che quelle donne non siano mai esistite e che i loro nomi, le loro figure siano piuttosto riconducibili a quella dimensione d’«irrealtà al femminile» che cosi marcatamente ha caratterizzato la vita e l’opera dell’austriaco in gioventù: “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini.  Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica)”. Così nella Lettera (2) ad Anna. 
La scelta di presentare gli otto abbozzi di lettera indirizzati ad Anna, tutti risalenti al 1907 e inseriti in R. Musil Saggi e lettere (a cura di Bianca Cetti Marinoni, Einaudi 1995; ora non più disponibile), è dettata dalla presenza in essi di un’omogeneità tale da renderli un’unità determinata dall’evolversi a spirale della scrittura, in un percorso che va da una struttura frammentaria scarsamente elaborata, ad una più complessa, stilisticamente caratterizzata da ripetizioni e ritorni sintattici. 
Allora ancora inediti in italiano, questi abbozzi li ho tradotti e pubblicati una prima volta, per gentile concessione dell’editore Rowohlt, sulla rivista diretta da Luciano Anceschi “Il Verri”, n. 3-4 nuova serie, settembre-ottobre 1987, Mucchi Editore, pp. 5-16.
Vito Punzi
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Lettere a Anna
Ad Anna (1)
9 aprile 1907, Berlino
Cara Anna
Brünn: vivo ora qui così pigramente, così pigramente… Passeggiate su terreni incolti che si alzano e si abbassano con linee tranquille, e più lontano il cielo – questo è tutto. Leggo. Ma non troppo. E vivo propriamente come un uomo che si è già ritirato a vita privata. 
Colui che non vuole rinunciare interamente al nuovo che accade all’esterno e che però da questo non si lascia assediare. 
Come se qui non esistesse la ferrovia, ma solo la posta… Poiché i libri che leggo per la maggior parte hanno mosso già da tempo gli animi e non sono in genere nella condizione di muovere violentemente il mio… (Sabato Santo) 
Brünn: sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita da Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò. 
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare e sostammo al pallido sole di marzo, là dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura. 
Fui liberato per giorni dalle preoccupazioni del lavoro, che altrimenti esigono la mia riflessione, e potei raccogliermi in me stesso. 
Ti sono di peso; la tua ultima lettera me lo lascia leggere tra le righe. Ti sottraggo la gioia e so facendo questo stupendo equilibrio armonico e questa sicurezza che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te la sottraggo. 
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Hai bisogno di un animo che ti avvolga interamente in forti e teneri sentimenti. Se tu sapessi quanto questo alle volte sia vivo in me; così, come se io fossi te. E invece ti appaio pedante come un saccente…
Berlino: questo accadde una settimana fa. Entrambe le volte vedevo troppo poco chiaro per continuare queste lettere e nel frattempo arrivò la tua cara. Ma le compongo ora perché tu veda che a te pensai, sebbene non scrissi e poiché sento che questi pensieri devono pur essere portati a compimento tra di noi. 
Mi ritrovai, come sai, con il mio amico, quell’amico di gioventù del quale ti raccontai, e lui ed io eravamo un tempo fratelli gemelli spirituali. Oggi questo è qualcosa di diverso. 
Ad Anna (2)
Mentre lui ti ispira scrupoli intorno a ciò che tu sino ad oggi hai fatto senza esitazione e a tuo profitto?  Vorrei vederti più che mai in un castello, circondata da una servitù nata serva della gleba. 
Che razza di idee… 
Sono triste, Anna. Il mio amico venne a farmi visita a Vienna, il mio amico innamorato e promesso. Ed anche la tua lettera arrivò. 
Percorremmo sentieri lontani nel boscoso paesaggio collinare, e sostammo al pallido sole di marzo, lì dove lo sguardo si getta lontano sulla pianura. Sono stato liberato per giorni dal peso del lavoro, che pretende la mia testa, e potei raccogliermi in me stesso. 
Non mi ritengo un uomo da compatire, ma neppure un uomo felice. Non desidero barattare con alcuno, ma non sono felice. Non possiedo alcun talento per essere felice, come si dice…
E ti sono di peso. La tua lettera me lo dice tra le righe. Ti sottraggo la gioia e la tranquillità, e questo stupendo equilibrio armonico che tanto amo in te. Non ho alcun dubbio che te le sottraggo. 
Sento precisamente ciò che vuoi da me e ciò che in me eviti. Ci sono momenti nei quali non posso fare a meno di te. – Quando ti vedo di fronte a me – in abito bianco con i tuoi capelli neri, quando ti aspettavo, oppure quando ti trovi chissà dove, ora, nell’abitazione dei miei genitori. È sera quando sono solo – noi due sempre come coloro che rimangono insieme quando gli altri se ne sono andati. –
Vedo le tue gambe in un abito tirato – quanto le amo, quelle gambe che non ho mai visto – tu puoi appena crederlo. Capitano di questi momenti, e vorrei sposarti, con intenzione chiara, e vorrei esserti fedele, fin dove mi conosco nonostante tutto – e darei tutto ciò di cui tu ed io ora siamo privi – arrivano però momenti in cui tu retrocedi – tu come sei – di fronte a sogni ed immagini che forse non si realizzeranno mai. Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – prese realmente, forse fantasmi e ridicolaggini. Ma forse profondamente legate alla mia migliore essenza (artistica). Sono questi poi i momenti nei quali vorrei fare di te tutto.
E poi hai di nuovo ragione con il tuo prendermi come sono. Potessi dunque ora sposarti, sarebbe bene – in questo momento però i due stati si sostituiranno sempre l’un l’altro con imprevedibilità. 
Ho trovato infine l’energia per fare in me chiarezza in proposito. E non sopporto di tacertelo. Devi sapere come essere in questo. 
Mi conosci ora così bene che non hai bisogno di dubitare del mio amore. Io ti sarò sempre fedele.
Ad Anna (3)
Cara Anna. Ti ringrazio per la tua lettera. Non perché mi vuoi sapere libero, non ho atteso che questo da te, ti ringrazio per la tua posizione – essa è sincera
Possiederai già la mia seconda lettera, giudicherai già molto diversamente – lascia però che dica ancora qualche parola, e spero non siano le ultime che mi permetti. 
Tu stessa dici che lo scrivere, l’arte è la mia vita. Hai ragione; è – non voglio dire la mia vita vera e propria – certo ciò che si nutre di altro e prende forma attraverso le sue richieste. Poi però le azioni reali – che si compiono veramente o si omettono – non vanno giudicate come fanno gli altri uomini, i quali sono realmente tanto buoni o cattivi, tanto ricchi o poveri come si mostrano nella vita. E se un sentimento fiorisce esitante e pallido invece che ardente, non si può dire che il fusto che lo regge sia povero e debole. È altro Anna, solo altro. E le leggi con cui si giudica secondo forza e debolezza in questo caso non valgono. Ma proprio per questo, e perché si sta di fronte a un nuovo sentimento come fosse un miracolo di cui non si conosce via d’uscita, si deve essere sinceri e dire: è così, ti fidi? Devi ritirare ogni tua promessa e ad ogni momento lasciare solo la dolcezza che ha in sé, come se la catena alla quale è legato, ad ogni istante che segue potesse spezzarsi –
Dico questo perché parleresti di indifference e certo, come tu affermi, l’indifference è la cosa più miserabile. Amicizia non è certo il nome per indifference; è il nome per una nuova via (e nuova non solo per noi). Si potrebbe dire ugualmente bene: amore libero, poiché investe il senso più significativo di quella parola.
È la differenza che c’è tra due uomini che vivono insieme e due altri ognuno possessore di una propria casa e reciproci frequentatori. Certo vi saranno uomini per i quali la seconda soluzione significa la fine, altri per i quali questa rappresenta l’unica forma possibile – l’una è bella l’altra diversa. Ma osserva attentamente che anche l’altra è bella e che essa possiede libertà insostituibili. Non si può dire che questi uomini non si amino. Essi si amano, sono ospiti l’uno dell’altro e si donano le ricchezze della propria casa, e tutto ciò è possibile solo perché essi non posseggono semplicemente un’abitazione. Certo lo si chiamerà per una volta amore, poiché con questa parola si pensa ancora oggi quasi esclusivamente qualcosa che comprende l’intera vita come una comune camera da letto, allora preferisco dire amicizia.  (Perché ci sono uomini che portano ovunque con sé la propria camera da letto, come fosse un guscio di chiocciola)
Ad Anna (4)
Da una lettera
Ci sono uomini che non hanno mai giocato diversamente con le donne. Ma non si può pensare a limitati uomini d’affari o ad assessori prussiani. Ci sono uomini di valore, giocosi, eternamente fanciulli – agitati come prati al vento – troppo agitati e teneri, cara A, per essere il robusto fusto al quale si possa avviticchiare – nella provata immagine dell’organetto – l’edera della dolce femminilità.  Citeresti anche gli animali? 
Perché no? Pavoni e nobili fagiani, animali che nella propria suntuosità non possono sentirsi a sufficienza? Sai, in fondo tali uomini amano forse solo se stessi. Chi è povero può praticare facilmente l’ascesi, ma chi sa che ogni volta può risplendere in nuovi colori…? E colui che così ama se stesso, ama in fondo Dio, il mondo, il paesaggio, il sole, l’aria primaverile – tutto l’incomparabilmente splendido e l’infondatamente grande. 
Ma dimmi, non desideri amare anche questo? Essere un uccello del paradiso? Oppure un soffice prato che ognuno vuole per sé e che poi però solitario appare nel suo maggior splendore? 
Metafore, solo metafore Anna. Ma le metafore sono come musica nella sera proveniente da chissà dove, da una qualsiasi casa solitaria nascosta dietro i cespugli e come da sogno al suo interno. Non si sa dove sia e quali sogni nasconda. E non lo si saprà, perché con la sera la musica subito si dissolve. 
Così devi accettare anche questo. Si ascolta in noi qualcosa di estraneo e di invitante.  Si fa un paio di passi, ci si ferma perché non è possibile raggiungerlo, si dice all’altro: ascolta, un suono. Come può essere, cosa lo produce?… e si pensa quanto sia solitario ed estraneo il mondo, quando improvvisamente un suono si perde, un suono amato per alcuni istanti con tutta l’anima e certo impossibile da comprendere. Ci si prende per mano per riflettere in due. Si parla di ombre. Perché è bello parlare quando ci si tiene per mano. 
Non capisci che questo amore, timoroso e per entrambi incalzante, è qualcosa di profondo?…
L’uomo che in fondo ama solo le metafore e per il quale anche l’incesto è una metafora. La donna per la quale ciò deve essere una realtà, un compimento. 
*
Ad Anna (5)
Mi scusi cara, se le scrivo simili parole. È forse un abuso della sua fiducia. Ma le parole sono veramente brutte e fuori luogo. Almeno per ciò che in queste notti mi attraversa in forma di pensieri. 
Mi lasci dunque ragionare ancora un poco. 
Di fronte a una sua parola ho una paura terribile: mi rende orgogliosa il significare qualcosa per un uomo del suo genere – così mi disse all’incirca. Un simile orgoglio ed il rammarico di non poter più dare rende tenero e dolce l’aspetto di una donna. Ciò potrebbe ingannare lei e me. Per questo volevo mostrarle il rischio. È troppo grande per essere preso a cuor leggero. La passione è qualcosa di assolutamente unico nella vita di un uomo. Come lo sono una sventura spietata e la morte di cose uniche. Essa però distorce tutto. È estasiata, estranea, fuori di sé come l’essere posseduti da un Dio.  Era per me come le doglie del parto del divino. Essa si cela dietro il discreto sipario di un tempio. Sferza tanto l’uomo che un grido lacera il suo viso e incide sul suo volto linee strane e incomprensibili come il morire e il partorire. Dall’esterno non la si può vedere. Poiché ci si spaventa anche dell’uomo che non si riconosce, si prova forse disgusto perfino di fronte alla sua estasi.
Se lei mi vede dall’esterno come una cosa cara e preziosa cui non si rinuncia volentieri, allora metta da parte questa lettera e mi scriva in poche righe che lei ama la giornata chiara e la freschezza di un’anima serena. Mi vergognerò così d’averle presentato un simile aspetto e proverò con l’amicizia di renderlo buono. 
…poiché ci si deve trovare nella stessa camera buia e sentire la stessa oscurità formarsi nella sua anima, e dell’altro non provare che la calda ombra e un bagliore nei suoi occhi. E questo pensiero va compreso per intero, veramente per intero: un uomo è un animale che talvolta può sognare un’anima…
Pensi alla vita quotidiana. Quanto sono stupide le cose con cui ci battiamo e quanto orribili spesso i nostri gesti e le faccende che la vita ci impone. Trascorra così una giornata qualunque. Dalla mattina alla sera. Quanti giorni consistono di null’altro che di questa mostruosità; e poi la chiamiamo indifferente, necessaria e così via. Solo alcuni momenti – lei li conosce attraverso l’arte – sono diversi. Ma me? È bello abbandonarsi ad un suono con la bocca spalancata?  Oppure era bello il tremore delle mie labbra quando le declamai Rilke? Certo no. Ma qualcosa scaturì dall’interno e ci toccò. Qualcosa? No, nulla. Non deve essere scoperto. È… nulla… una luce che improvvisamente tutto trasforma e da nessun luogo giunge un sogno… un sogno di un’anima. 
Questo si deve sapere. Poi ci si piega alla mostruosità del turbine, perché si sa, l’animale sogna, il misero animale sogna mirabilmente, in lui sogna il Dio, l’uomo, e divenne orribile, perché l’amore è molto più profondo quando si erge sull’abisso. Ma certo bisogna averlo sperimentato.  Oppure si può pensare che l’animale per un attimo generi un’anima. 
Si interroghi. Non sull’amore – su di un nome, piuttosto si chieda se può tollerarlo. Si interroghi se è in grado di sopportare in una simile solitudine la mia compagnia. I nostri giorni sono contati, come le giornate autunnali. Ciò che è tra di noi non ha nome, ma non è il problema di che cosa sia, piuttosto di che cosa ne facciamo. Chi vive la primavera e ha di fronte l’estate può affrontare la sfida. Noi dobbiamo portare a fioritura un tardo, tenero fiore ancor prima dell’inverno. Per quest’unica volta, in questioni morali sia ragionevole. 
*
Ad Anna (6)
Mi è intollerabile a letto
Oggi ho trascorso la notte insonne, steso sul sofà, col fumare di sigarette, di fronte alla porta aperta del balcone, d’un giallo color vino l’intermediario sentimentale: la luna. Non ho acceso lume per tutta la notte. Ho gustato un sentimento lontano, lontano distante quasi quanto gli anni dell’infanzia. Lo conosce? In una notte siffatta tutti i fili che ci legano agli uomini della vita giornaliera sono Spezzati. In una notte siffatta i mobili si spostano per la stanza e qua e là spunta la loro ombra da ogni angolo e da ogni dove ci chiamano con suono leggero. In una notte siffatta l’immagine non resiste allo specchio. Come un’ombra grigia si muove sul vetro nero velluto, cresce, di nuovo si ritira, sembra essere la nostra immagine e poi ancora solo una nebbia inquietante nello spazio sinistro. 
… sogno, avvenuto in noi un tempo. 
In una simile notte siamo diversi. E tuttavia noi stessi… Come un sogno più volte avuto…
Non posso volere. Non posso dire: vieni, vogliamo imboccare una strada insieme e sempre. La volontà possiede un futuro, un fermo sì e no tra gli uomini. Io non posso. Possiedo solo l’istante. Vivo solo nella notte. Nelle ombre delicate che ora sembrano essere la nostra immagine, ora qualcosa di completamente diverso, e certo noi stessi siamo troppo profondi… Così non comprendo l’istante. 
Mi si definisce uno psicologo. Non lo sono. Vengo attratto solo da cose certe e rare.  Indovino in altri e in me processi che sfuggono agli uomini, ma non so come io and lei nell’insieme, umanamente, di giorno… appariamo. Conosco quasi esclusivamente le immagini sul vetro nero, che si rimirano ora simili ora così estranee, nuove, diverse, che ci stupiamo di essere così.
Mi capisca bene: non parlo di me come di colui che lei incontrò qua e là, piuttosto di me come sono negli istanti più rari e veri, tra i quali spesso corrono anni, e so come voglio essere per lei. 
Di più posso appena dirle che non trovo sonno ed amo ciò, passando la notte con ombre e pensieri, scosso come acqua percorsa dal turbine…E sono felice. Certo appassionatamente felice. 
Non vogliamo dare alcun nome a questa passione; lei non lo desidera. Essa non ne ha bisogno. Ogni nome inoltre risulta precario ed inopportuno. E quando una tempesta è tanto violenta non si domanda se essa viene da nord o da est. Essa giunge urtando. E sferza i pensieri innanzi a sé, così tanto, così violenta, così estranea, che quelli non si lasciano afferrare. E lacera divise nell’anima, cosa che si osserva quando non si è ancora mai raggiunto il fondo di se stessi…Ed è di nuovo silenzio. (Forse dormo alcuni minuti) Mi stanco. Non ricordo più nulla. Ed è come se tenessi la sua mano e la potessi accarezzare ed intorpidire. Ed è come se potessi posare i suoi capelli sul mio viso…
Robert Musil
L'articolo “Sono dominato da donne che non ho mai visto e che attendo – fantasmi”. Le lettere di Robert Musil ad Anna proviene da Pangea.
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claudiodangelo59 · 2 years ago
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Il 27 Agosto 1944 moriva il "Corsaro dell'Atlantico", l'asso dei sommergibilisti italiani con 17 imbarcazioni nemiche affondate, Capitano di Fregata Carlo Fecia di Cossato M.O.V.M.
Comandante dei sommergibili "Menotti" e "Tazzoli", a bordo di quest'ultimo si distinse, fra l'Aprile del 1941 e la fine del 1942, in sei lunghe missioni atlantiche partendo dal porto di Bordeaux con l'affondamento di 17 navi nemiche. In seguito venne trasferito al comando della torpediniera "Aliseo" mentre i suoi uomini del "Tazzoli" compivano l'ultima missione dalla quale mai tornarono, ciò lo sconvolse profondamente. Il 9 Settembre 1943, all'indomani dell'Armistizio, condusse la torpediniera in un epico scontro contro il naviglio tedesco nel porto di Bastia in Corsica, in cui solo con la sua nave, per prestare soccorso alla torpediniera "Ardito" rimasta bloccata sotto il tiro delle batterie costiere cadute in mano alla Wehrmacht e di altre navi tedesche presenti in porto, invertí la sua rotta ed affondó ben sette imbarcazioni. L'azione gli valse la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Destituito nel Giugno del 1944 per non aver prestato giuramento di fedeltà al nuovo Governo (si sentí disonorato dal Re e dallo Stato Maggiore) venne posto agli arresti il 22 dello stesso mese con l'accusa di "insubordinazione", salvo poi essere rilasciato il giorno successivo a seguito dei tumulti degli equipaggi che si schierarono con lui. Fu riabilitato e messo quindi in licenza per tre mesi, tentó invano di raggiungere la sua famiglia a Nord e venne ospitato da un amico a Napoli. Durante questo periodo cercó di avere un colloquio con il Luogotenente del Regno Umberto di Savoia per spiegargli i motivi del suo gesto, ma non ci riuscí. Il 21 Agosto, allora, scrisse la sua lettera testamento indirizzata alla madre e il 27 Agosto scelse la via del suicidio per denunciare la grave crisi dei valori in cui aveva sempre creduto. Prese la pistola d'ordinanza e si sparó un colpo alla tempia.
Qui di seguito la sua lettera:
"Napoli, 21 agosto 1944
Mamma carissima,
quando riceverai questa mia lettera saranno successi fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile.
Non pensare che io abbia commesso quel che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuravo.
Da nove mesi ho soltanto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, resa a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della Monarchia al momento della pace.
Tu conosci che cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa triste constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi mi circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso.
Da mesi, Mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo alla vita.
Da mesi penso ai miei marinai del «Tazzoli» che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è più con loro che con i traditori e i ladruncoli che ci circondano.
Spero, Mamma, che tu mi capirai e che, anche nell’immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai sempre capire la nobiltà dei motivi che la guida.
Tu credi in Dio, ma se c’è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell’ora. Per questo, Mamma, credo che ci rivedremo un giorno.
Abbraccia papà e le sorelle e a te, Mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato. In questo momento mi sento molto vicino a tutti voi e sono certo che non mi condannerete."
Grazie, Capitano.
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perfettamentechic · 3 years ago
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9 settembre … ricordiamo …
9 settembre … ricordiamo … #semprevivineiricordi #nomidaricordare #personaggiimportanti #perfettamentechic #felicementechic #lynda
2019: Robert Frank, Robert Louis Frank, fotografo e regista svizzero naturalizzato statunitense. dal 1941 al 1944 lavora come assistente fotografo al seguito di Hermann Segesser e Michael Wolgensinger. Nel 1946 si autofinanzia la prima pubblicazione, cui dà il titolo di 40 Fotos. Nel 1947 lascia l’Europa per trasferirsi negli Stati Uniti. A New York è ingaggia come fotografo di moda per Harper’s…
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samdelpapa · 4 years ago
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 Italia - Repubblica - Socializzazione
 . da  http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=46869 Il mondialismo ebraico-americano da Pearl Harbor a Damasco  don Curzio Nitoglia (24/12/2013) Prologo Nei due articoli sulle cause delle due guerre mondiali (1), pubblicati recentemente nel sito doncurzionitoglia.com, ho parlato delle occasioni create dagli USA per entrare in guerra ed estendere il suo dominio sull'Europa (2). Nel presente articolo cerco di far un po' di luce sulle vicende vicino e medio orientali, che dall'Afghanistan (2001), all'Iraq (2003), alla Libia, alla Tunisia e Siria (2011-2013) ci stanno portando sull'orlo di una guerra mondiale, in cui la posta in palio è il dominio della quasi totalità del globo che l'imperialismo americano e israeliano (3) vogliono estendere anche sul mondo arabo («Nuovo Ordine Mondiale») e di lì arrivare alla Russia di Putin (già intaccata dalle rivoluzioni arancioni del Novanta, pilotate dalla CIA, e riscoppiate proprio in questi giorni in Ucraina (4)) e ad arrestare l'avanzata economica della Cina (5), la quale nel 2004 ha firmato un contratto di scambi economici, concernenti il petrolio ed i gas naturali, di 120 miliardi di dollari con Teheran. Ecco uno dei motivi per cui la Cina si opporrebbe ad un cambio di regime in Siria, che significherebbe la rovina dell'Iran e una grave crisi economica cinese. Si noti che milioni di musulmani qaidisti vivono in Russia ed in Cina. Basta guardare una cartina geografica e si vede che a partire dal Libano -andando verso l'est- si giunge in Siria, da questa all'Iraq, e quindi all'Iran al nord-est del quale si giunge in Russia, la quale a sua volta confina ad est con la Cina e a sud-est con l'Afghanistan. Quindi la caduta della Siria comporterebbe un terremoto nei Paesi confinanti: il Libano ad ovest (vicino oriente), l'Iraq e l'Iran ad est (medio oriente) ed infine la Russia e la Cina (estremo oriente). Dopo di che il «Nuovo Ordine Mondiale» sarebbe concluso e perfetto dall'Atlantico al vicino, medio ed estremo oriente, ossia «a mare usque ad marem». L'ultima occasione sfruttata dall'America, come abbiamo visto, è stata quella della base navale e aerea di 'Pearl Harbor' nel dicembre del 1941. Dopo la fine della seconda guerra mondiale gli USA e l'URSS si impadronirono a Yalta (1945/46) del mondo dividendolo in due blocchi: quello occidentale/atlantico e quello orientale/bolscevico. Il crollo dell'URSS (1989-1991) Con il crollo dell'Impero sovietico, dopo la caduta del «muro di Berlino» e la sconfitta dei sovietici in Afghanistan (1989-1991), la parte orientale del globo si trovava senza un padrone, in preda ad un terremoto geopolitico, con ricadute probabilissime anche sul mondo arabo. Essa poteva essere occupata dagli USA, che erano restati l'unica superpotenza mondiale, la quale dispone tutt'ora nel medio oriente di due alleati di ferro: Israele e l'Arabia Saudita (6), accomunati dall'odio verso il nazionalismo-sociale arabo e l'Iran (7). Ma per entrare in guerra la Costituzione americana esige che gli USA siano attaccati o si trovino sotto un grave pericolo imminente. Quindi doveva presentarsi all'orizzonte americano «una nuova Pearl Harbor». L'11 settembre o la nuova 'Pearl Harbor' L'11 settembre del 2001, con l'attacco alle Due Torri Gemelle (8), l'America ha avuto la sua 'nuova Pearl Harbor', ha invaso l'Afghanistan (7 ottobre 2001) (9) e poi l'Iraq (20 marzo 2003) (10), quindi nel 2011 son scoppiate le rivoluzioni «primaverili» arabe che le hanno dato la possibilità di estendere il suo dominio in Egitto, Libia, Tunisia, ma si è impantanata in Siria, la quale è stata aiutata dall'Iran, dal Libano, dalla Russia di Putin e dalla Cina (11). Gli USA stanno cercando di erigere il 'Nuovo Ordine Mondiale' nel vicino e medio oriente, i quali negli anni Novanta non gravitavano più sotto l'impero sovietico e che solo con la Russia di Putin hanno ritrovato un potente alleato in quest'ultima diecina di anni. Israele (appoggiato dai neocon americani, Kristol, Perle, Wolfowitz, Rumsfeld, Kagan, Pipes, Bennett, Bolton e Leeden (12)) ha elaborato un piano analogo. Nel
febbraio del 1982 il giornalista israeliano Oded Yion ha scritto per il ministero degli Esteri di Tel Aviv un interessante articolo pubblicato sulla rivista israeliana "Kivunim" su La strategia d'Israele negli anni Ottanta del Novecento (13). Tale piano prevedeva già nel 1982 la «dissoluzione della Siria, dell'Iraq e del Libano» (14). Si tratta di una «instabilità costruttiva», la quale si basa su tre pilastri: 1°) creare e gestire conflitti inter-etnici in medio oriente; 2°) favorire lo spezzettamento geopolitico del mondo arabo; 3°) favorire il settarismo salafita, wahabita, qaidista, jihaidista e della 'Fratellanza Musulmana'. La frammentazione del mondo arabo voluta dal Mondialismo Il mondo arabo attuale è stato messo assieme da Francia e Inghilterra alla fine della prima guerra mondiale, con la caduta dell'impero ottomano nel 1917-18 alleato con la Germania e l'Austria-Ungheria, al solo scopo di controllare le zone ricche di petroli e gas naturali (15). L'impero ottomano fu diviso allora in 19 Stati, formati da gruppi etnici e confessioni islamiche non omogenee, in modo tale che vivesse in perpetua instabilità e in un possibile conflitto interno e perciò debole ed incapace di sussistere senza l'apporto delle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale (Inghilterra, Francia e USA) (16). L'Inghilterra il 2 novembre del 1917 aveva promesso all'ebraismo internazionale «un focolare nazionale» (Dichiarazione Balfour) (17), creando così già i primi attriti con il pur variegato mondo arabo (18), che hanno destabilizzato, in gran parte, il vicino e medio oriente ed hanno portato alla situazione attuale. Nel 1920 la Siria cercò di rendersi indipendente dal protettorato francese, ma la Francia invase Damasco il 25 luglio del 1920 e pose fine al disegno «panarabo» siriano di raccogliere attorno a Damasco alcune delle neo-Nazioni arabe, che prima del 1918 facevano parte del grande impero ottomano (19). È importante sapere che già nel 1957 i servizi segreti inglesi e americani avevano stilato un documento congiunto intitolato A Collision Course for Intervention, il quale è stato riesumato nel 2003 dal giornalista Ben Fenton (Macmillan Backed Syria Assassination Plot, in "The Guardian", 27 settembre 2003). Il documento in questione stabiliva per la Siria il seguente progetto: «occorre dispiegare uno sforzo per eliminare alcuni individui-chiave (20), destabilizzare zone interne in Siria. La 'CIA' è pronta, e il 'SIS' (oggi 'MI6') tenterà di montare sabotaggi minori e degli incidenti all'interno della Siria. Gli scontri alle frontiere forniranno un pretesto all'intervento» (21). Dopo la fine della seconda guerra mondiale nel vicino oriente frammentato si troveranno fianco a fianco lo Stato d'Israele (1948), gli Stati nazionalisti e autoritari (Siria, Iraq, Libia e Tunisia), la monarchia ultra islamista ma filo-occidentale (Arabia Saudita (22)) e le sue galassie (Giordania, Egitto e Marocco) (23). I Saud e il wahabismo Per capire quel che succede nel mondo arabo a partire dal 1948 (fondazione dello Stato d'Israele in Palestina) sino ad oggi, è necessario distinguere nell'islam i suoi due rami principali e ufficiali (sunnismo e sciismo) dalle sette scismatiche ed ereticali, che sono specialmente il wahabismo, il salafismo ed hanno come braccio armato al-qa'ida, i 'Fratelli Musulmani' e i jaidisti foraggiati dai sauditi. Queste sette odiano l'islam laico, sociale, nazionalista e pronto a collaborare con le altre confessioni religiose per il bene della Nazione (Iraq, Siria, Libia, Tunisia) e lo combattono per distruggerlo, finanziate da USA e Israele. La guerra in Siria non è una guerra civile, come dicono i media, ma un'aggressione dei wahabiti e sauditi con l'appoggio di USA, Gb e Israele. Perciò il destino della Siria riguarda, nell'immediato, anche quello dei due milioni di cristiani che abitano in essa ed attorno ad essa e, nel futuro, quello del globo intero poiché a partire dalla distruzione della Siria si vuol costruire un «Nuovo Ordine Mondiale» diretto dal giudaismo, dalla massoneria, dal calvinismo americanista e dal
liberismo selvaggio dei neocon, che si servono del qaidismo come testa d'ariete. Perciò, la questione che tratto è di capitale importanza non solo per ogni uomo ma per i cristiani, che sarebbero i primi a rimetterci in caso di vittoria dei wahabiti qaidisti. Infatti dall'Arabia Saudita, nata nel 1932 con il placet dell'Inghilterra, la famiglia regnante al-Sa'ud di confessione wahabita, ha finito per destabilizzare il già fragile equilibrio interno al mondo arabo (24). Infatti i Sauditi sono i paladini all'interno del mondo arabo dell'islam combattente (25), ma nello stesso tempo all'estero sono legati all'occidente anglo/americano e allo Stato d'Israele. Essi, perciò, lanciano l'islamismo radicale wahabita-salafita (26) contro i regimi nazionalistici arabi (sia sciiti che sunniti (27) non-wahabiti), a tutto favore del sionismo (28) e dell'americanismo, mentre all'interno professano un feroce estremismo farisaico/calvinista (29) di stampo petrolifero/islamista, come vedremo meglio innanzi. Giustamente Paolo Sensini ha scritto: «gli Stati del Golfo e l'Arabia Saudita sono fragili contenitori che racchiudono solo petrolio» (30). Wahabismo salafita contro nazionalismo arabo Si badi bene che il wahabismo e il salafismo cercano di nascondersi dietro il sunnismo e si presentano come avversari dello sciismo, ma in realtà non hanno nulla a che vedere neppure con il sunnismo. Infatti il wahabismo è un'eresia e una setta islamica, scissa sia dal ramo sunnita che da quello sciita, fondata da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792) e già allora ostile ai sunniti, inoltre Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab, è ritenuto dagli storici dell'islam comunemente un «marrano» (in arabo «ma 'min» e in turco «donme») ossia un cripto-ebreo (cfr. W. Madsen, The Donme, in «Strategic Culture Foundation», 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010). Quanto all'ideologia salafita il suo fondatore è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah(cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Nel 1924 quando i wahabiti conquistarono la Mecca massacrarono i sunniti che vi abitavano. Ora l'islam si è definitivamente diviso nel 680, quasi subito dopo la morte di Maometto (632), in due rami principali: il sunnismo (che comprende circa l'80% dei musulmani, cioè 680 milioni di persone) e lo sciismo (che ne comprende circa il 16 %, vale a dire 130 milioni), mentre il wahabismo rimonta al 1700 e il salafismo al 1800, cioè circa 900/1000 anni dopo la morte di Maometto e la divisione in due rami dell'islam. I 'Fratelli Musulmani' addirittura risalgono al 1928. I media ci presentano il wahabismo come la vera tradizione islamica, invece esso si presenta e si considera come sunnita, ma in realtà è considerato dagli storici delle religioni una setta scismatica dell'islam, che «si pone agli antipodi della tradizione islamica. Si tratta di un settarismo che, grazie alle enormi disponibilità finanziarie dei Saud, si fa passare per 'islam sunnita', ma che non lo è affatto e si attribuisce da sé la qualifica di 'autentico islam' in contrasto con ogni altro ramo dell'islamismo» (La storica visita del presidente iraniano al Cairo: Ahmadinejad piange sulle tombe dei pii musulmani, in "European Phoenix", 6 febbraio 2013 (31)). Una probabile terza guerra mondiale? Il giudice Ferdinando Imposimato ha scritto un interessantissimo libro (La grande menzogna. Il ruolo del Mossad, l'enigma del Niger-gate, la minaccia atomica dell'Iran, Roma, Koinè Nuove Edizioni, 2006). In esso, con documenti alla mano, spiega la genesi degli attentati dell'11 settembre 2001, la guerra all'Iraq del 20 marzo 2003 e la probabilmente futura guerra (nucleare) all'Iran, che scatenerà una catena di ritorsioni nucleari, capaci di sconvolgere la faccia della Terra. Il magistrato parte da un recente attacco verbale contro l'ONU (Firenze, 12 novembre 2005) da parte di
Michael Ledeen (personaggio legato alla Loggia massonica P2 e al SISMI) e Richard Perle, entrambi neoconservatori americani, che dietro imput di Cheney e Rumsfeld, vogliono lanciare l'attacco atomico contro l'Iran, mettendo prima a tacere le resistenze delle Nazioni Unite. Richard Perle è «un ebreo legato al Likud, partito di estrema destra israeliana» (p. 20) e specialmente con Benjamin Netanyahu ha scavalcato a destra anche Ariel Sharon, troppo moderato verso i palestinesi. Assieme a Michael Ledeen, egli dirige l'American Enterprise Institute «noto anche in Italia per i contatti con la P2 e i servizi segreti italiani» (p. 22). Imposimato, citando Albert Einstein, si chiede: «esiste il rischio di un conflitto nucleare di portata apocalittica, che porterebbe alla fine 2/3 dell'umanità?» (p. 25). Egli risponde affermativamente, asserendo inoltre che l'Iran e la Siria sono i prossimi obiettivi dell'America. Quanto alla 2ª guerra contro l'Iraq, essa non fu la conseguenza dell'11 settembre 2001, ma «fu decisa molto tempo prima dell'attacco alle Torri gemelle» (p. 26), verso il 1999/2000. Tale guerra fu fatta «per conquistare le risorse petrolifere del medio oriente ed allargare il dominio degli USA, offrendo protezione ad Israele, esposta al rischio di un nuovo olocausto» (p. 27). Inoltre, prosegue Imposimato, è falso che «tutto sia cominciato con l'11 settembre 2001». Infatti già nel febbraio del 1993 «un camioncino con 700 chili di semtex esplose nel parcheggio del WTC» (p. 99). Il 7 agosto 1998 «alcuni camion di esplosivo con kamikaze devastarono le ambasciate americane di Nairobi in Kenia e Dar Es Salam in Tanzania» (p. 100). Infine ci fu l'informazione ricevuta dall'FBI nell'agosto 2001 di «attacchi terroristici imminenti, su larga scala, contro obiettivi altamente visibili» (p. 103). Dunque, conclude il giudice, si conosceva, e si era già costatato sin dal 1993, la capacità operativa del terrorismo anche in terra americana; ma si è voluto lasciar fare, per attaccare guerra in medio oriente, come a Pearl Halbor nel XX secolo contro il Giappone, e sulle coste di Cuba nel XIX secolo contro la Spagna. Secondo Imposimato (che dimostra sempre quel che scrive), «un governo mondiale invisibile muove le fila dei governi nazionali (…). Tutto ciò con l'avallo dell'estrema destra ebraica, il Likud…, dietro gli eventi del terzo millennio vi è un gigantesco complotto ordito per giustificare la guerra all'Iraq e preparare quella all'Iran» (p. 27). Dopo lo smacco subito in Iraq, l'America penserebbe di impiegare «armi nucleari di tipo nuovo, piccole bombe atomiche ad effetto territoriale limitato» (p. 32). George W. Bush «si avvale di consiglieri preziosi, come Karl Rove, ebreo legato al Likud, e come Dick Cheney, che ha al suo fianco Lewis Libby, anche lui ebreo vicino a Bibi Netanyahu, capo del Likud. A decidere non è solo Bush, ma lui e il suo staff, che serve anche altri padroni (…). Bush, manovrato da Cheney e Rove, pedine di Netanyahu, intende dominare il mondo con la forza e a furia di guerre preventive può coinvolgere anche l'Europa, a partire all'Iran» (p. 35). Imposimato scrive che «Bin Laden e al-Qa'ida avevano preparato e organizzato…, la sfida militare agli USA» (p.40). Ma ammette anche che «del piano sapevano in molti, e primo tra tutti il Mossad, con infiltrati ovunque, e non fecero nulla per impedire l'evento… Dall'11 settembre, il sostegno dell'America a Israele fu automatico» (p. 40). Inoltre lo scandalo dell'uranio che Saddam avrebbe voluto comprare in Niger, per prepararsi la bomba atomica, risulta essere un falso, preparato nel 2000, da un ex agente dei servizi segreti italiani e poi rilanciato dall'Inghilterra. Esso ha costituito la famosa «canna fumante» per scatenare la guerra all'Iraq che non poteva esser tirato dentro l'11 settembre, poiché estraneo alla mentalità di al-Qa'ida (cfr. pp. 41-54).Tuttavia, questa volta, la forza militare e nucleare iraniana è reale e «non può essere sottovalutata» (p. 82). Infatti «il potenziale militare dell'Iran è notevole. Teheran è in possesso di più di 500 missili
balistici Sheab-1 e Sheab-2 con una gittata da 300 a 500 km; e di un numero indeterminato di Sheab-3 che hanno una portata di 3000 km ed una carica esplosiva di 700 kg e sono in grado di raggiungere le città e le basi israeliane» (pp. 152-153). «Manca la certezza della vittoria» (p. 83) ed è solo per questo che non è ancora stata ingaggiata guerra. Inoltre, con Ahmadinajead al potere in Iran, la vittoria di Hamas in Palestina, gli Hezbollah in Libano diretti dalla Siria, si corre verso uno scontro frontale con Israele, alimentato da sionisti, neoconservatori americani e per contrapposizione da al-Qa'ida e Bin Laden. Penso -data anche l'attuale situazione creatasi in Siria, Libano e Turchia- che sia certa la guerra, resta incerto solo chi attaccherà per primo: il blocco arabo anti-israeliano oppure il sionismo-americanista? Purtroppo, uno dei due lo farà sicuramente, scatenando la reazione dell'altro, che porterà alla catastrofe nucleare mondiale. Imposimato ci ricorda che «l'Italia, secondo le dichiarazioni del generale James Jones al "New York Times", sarebbe immediatamente coinvolta nel conflitto nucleare più di altri Paesi. Essa, infatti, ospita da Aviano e Ghedi, per conto della NATO, 90 armi atomiche di cui 50 in dotazione di aerei statunitensi e 40 di aerei italiani… L'Italia rappresenta, dunque, un obiettivo nucleare dei nemici dell'America» (p. 135). Il magistrato conclude così il suo libro: «È prevedibile una serie di reazioni a catena dopo l'attacco all'Iran… Sarebbe l'apocalisse più volte evocata da Einstein» (p. 151). L'alawismo siriano e il wahabismo Ritornando alla Siria, essa non è anti-sunnita, come scrive comunemente la stampa politicamente corretta, ma anti-wahabita. In Siria i sunniti godono di piena libertà religiosa e il presidente siriano Bashar al-Assad partecipa regolarmente alle celebrazioni sunnite. Invece in Arabia Saudita è proibito insegnare la teologia sunnita tradizionale. Bashar al-Assad è nusayrita o alawita. Muhammad ibnNusayr, il fondatore del nusayrismo o alawismo, nell'872 si separò dallo sciismo e assieme ai suoi seguaci emigrò in Siria dall'Iraq. I nusayriti o alawiti sono una corrente dello sciismo di circa 1 milione di persone che vivono in Siria e nelle valli del Libano. «È grottesco che la pretesa di difendere i sunniti siriani venga proprio dall'Arabia Saudita, un regime diretto da una setta ignorante e fanatica, che ha perseguitato e assassinato i sunniti per oltre 200 anni» (32). I nusayriti si distinguono per la loro dottrina del giusto mezzo tra lo zelo esagerato («gulùw») e la negligenza («gafà») nell'osservanza dell'islam. Essi sono stati accusati dai movimenti estremisti di miscredenza («kufr») peggiore di quella degli ebrei e dei cristiani. Gli alawiti trasferitisi in Siria adottarono ivi degli elementi cristiani, si aprirono ad una certa accettazione della SS. Trinità (ma'nà, ism, bàb), festeggiano l'Epifania e la Pentecoste, hanno numerose cerimonie simili alla Messa cattolica (cfr. Mircea Eliade, Enciclopedia delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 17-18). Il movimento wahabita-salafita predica l'odio e la guerra civile inevitabile tra i rami dell'islam, favorendo la politica anglo/americana e israeliana del divide et impera. Il wahabismo-salafita ha vari bracci armati, i 'Fratelli Musulmani' (33), i qaedisti, i talebani, che lanciano una guerra santa non contro l'occidente, ma contro i regimi nazionalisti arabi sia sciiti che sunniti. Si noti che il wahabismo è stato fondato da Muhammad ibn 'Abd al-Wahhab († 1792), ritenuto comunemente un «marrano», ossia un cripto-ebreo, che ha fatto finta esteriormente e pubblicamente di essere musulmano mentre in privato era rimasto ebreo, così come pure il primo re saudita 'Abdal-'Azizibn Sa'ud (1902-1969) (34). Non deve perciò stupire più di tanto l'alleanza tra il wahabismo e il sionismo. Infatti il wahabismo è religiosamente zelota, fanatico, farisaico e marrano; politicamente collaborazionista dell'occidente e del sionismo; socialmente liberista (35), economicamente calvinista (36) e affamatore dei poveri. Quindi
esso è capace di fornire all'America e a Israele una massa di sudditi consenzienti, sottomessi e quiescenti nella lotta contro il nazionalismo sociale arabo moderatamente islamico. Certamente all'interno dell'Arabia Saudita la monarchia Saud ha creato un'enorme povertà di massa, ma ha saputo dirottare verso l'esterno (nazionalismo arabo) il malcontento dei suoi sudditi, totalmente sottomessi ai Saud, e senza saperlo agli USA e a Israele (37). Stéphane Lacroix ha ben capito e descritto il ruolo del wahabismo saudita: «esso 1°) conferisce una forte identità ad una massa di individui alienati e impoveriti; 2°) una visione del mondo certa e assoluta, sino al manicheismo, diviso in bene e male assoluti; 3°) fornisce un surrogato di protesta contro l'ordine stabilito in Arabia Saudita, trasferendolo altrove; 4°) garantisce un rifugio spirituale e ideologico ad una massa altrimenti incerta e diseredata; 5°) promette una vita migliore anche su questa terra redenta dall'islam wahabita e jiaidista» (LesIslamistes Saoudiens, Parigi, PUF, 2010; Id. Islam in Revolution, New York, Syracuse University Press, 1995, p. 49). Il salafismo-wahabita predicando la necessità della jahd tra i diversi rami dell'islam ritiene come al-Qa'ida e Osama bin Laden (38) che ogni vero musulmano (wahabita) ha il dovere di uccidere gli infedeli, compresi i sunniti e gli sciiti. Inoltre dopo la cacciata dei sovietici dall'Afghanistan i media americani hanno tramutato i qaidisti da ex eroi anticomunisti in acerrimi nemici dell'occidente durante l'invasione americana dell'Afghanistan (2011), riempiendo il vuoto lasciato dal crollo dell'URSS e fornendo una giustificazione lungo gli anni Novanta al riarmo degli USA e all'occupazione di enormi aree strategiche per ripresentarli poi nel 2011 come i neo-patrioti contro il dittatore siriano. Di fatto molte formazioni terroristiche, violente, ramificate e ben organizzate sono marionette di alcune superpotenze che tramite i loro servizi segreti (CIA, MI6, Mossad) le riforniscono di armi, le addestrano e le supportano (39). Giovanni Filoramo spiega che il wahabismo ha suscitato una certa diffidenza i sunniti, dato il suo zelo eccessivo, esaltato, che risultava intollerabile alla mentalità sunnita tradizionale. Esso ha potuto sussistere solo grazie all'alleanza, stipulata nel 1744, con lo sceicco IbnSa'ud della casa reale Saudita e alle sue ingenti ricchezze. La polemica dei sunniti contro il wahabismo si fonda soprattutto sull'atteggiamento manicheo e farisaico dei wahabiti, i quali disprezzano tutti gli altri islamici (sunniti e sciiti) come non veri musulmani e ritengono solo se stessi l'unico vero islam (come il fariseo che sale al Tempio a pregare Dio disprezzando in cuor suo il pubblicano e tutti gli altri uomini). I teologi sunniti e sciiti ritengono che il wahabismo sia un'eresia scismatica islamica, fondata su un settarismo intemperante e fanatico, pronto a scomunicare e uccidere tutti quelli che non condividono le loro idee, in quanto ritenuti infedeli e politeisti e quindi degni di morte (cfr. G. Filoramo, Islam. Storia, dottrina, tradizioni, Bari, Laterza, 2005, pp. 260-261). Mircea Eliade sottolinea il carattere di alleanza tra wahabismo e sauditi fondato sulla divisione dei compiti: la dottrina ai wahabiti e la politica ai Saud per cui ne è nata una setta con due facce: l'una ferocemente integralista in religione (wahabismo) e l'altra pragmatica e pronta al compromesso politico (Saud); cfr. Enciclopedie delle Religioni: l'Islam, Milano, Jaca Book, pp. 684-685. Importanza teologico/escatologica della Siria nell'islam Paolo Sensini (Divide et impera, cit., p. 265) scrive che per i salafiti e i wahabiti la Siria come è oggi non esiste: essa sarebbe solo un'espressione geografica ed anzi una creazione degli infedeli, come l'Iraq. Infatti secondo il salafismo il nazionalismo, anche arabo e musulmano, che si consacra alla prosperità del proprio Paese, commette un peccato di «associazionismo» (in arabo «shirk»), ossia associa all'unico vero Dio, Allah, una miriade di false divinità o idoli, come la Nazione, la
Patria, il Popolo. I nazionalisti arabi violano il dogma religioso dell'Unicità divina (in arabo «tawhid») e quindi meritano la morte. Per i salafiti l'unica azione lecita pro Patria è la jihad o guerra santa per conquistare all'islam il medio e vicino oriente e poi il mondo intero. Il panarabismo nazionalista musulmano moderato laico e sociale è, sempre per il salafismo, un sacrilegio in quanto distrugge il dogma della madre patria musulmana in tutto l'orbe (in arabo «umma») (40). Inoltre la Siria per l'escatologia jiadista islamica rappresenta l'ultimo campo di battaglia, ossia la terra della resurrezione e del giorno del giudizio divino. Damasco, storicamente, ha un valore enorme per l'islam jihadista poiché sino al 750 fu la capitale del primo califfato, quello omayyade (41), che secondo il salafismo deve essere esteso a tutto il mondo, mediante la «guerra santa», ed oltrepassare le singole Nazioni ed anche l'Arabia intera (42). In questa divisione dell'impero ottomano a macchia di leopardo sono stati creati ad arte alcuni piccoli Stati opulenti (Arabia Saudita, Emirati, Kuwait), che concentrano in sé la quasi totalità della ricchezza disponibile, mentre un'enorme massa di diseredati vive nella più completa indigenza per mantenere l'intera regione araba in uno stato di continua agitazione e perpetua strisciante guerra clandestina che la indebolisca e la renda facile preda degli interessi israeliani e statunitensi (P. Sensini, Divide et impera, cit., p. 39). La Siria è considerata comunemente il cuore del nazionalismo arabo o «panarabismo», fondato sull'islam non religiosamente integralista, ma politicamente antisionista ed antiamericanista, analogamente ai regimi autoritari come l'Iraq e diametralmente contrapposta al wahabismo saudita. Perciò la «primavera araba» è stata un colpo di Stato dell'islamismo wahabita e al-Qa'idista estremista contro i popoli e le Nazioni dei Paesi arabi non soggetti a Israele e agli USA (43). Come si vede il salafismoqaidista e jiaidista è radicalmente anti-nazionalista ed anti-panarabo. Di qui la guerra dei musulmani radicali contro la Siria, la Libia, il Libano, l'Iraq e la Palestina e l'estrema ferocia con cui si combatte da parte salafita il regime di Bashar al-Assad, con il sostegno del calvinismo massonico americanista e del fariseismo zelota sionista (44). Nell'ottica salafita il governante non è l'autorità in quanto legittimamente eletto, ma esso è l'autorità legittima in quanto «giusto» o santo, ossia integralmente salafita. Se il governante non è «giusto» o santo, cioè colui che governa secondo gli stretti dettami della legge divina, non è l'autorità legittima (45). Non deve, quindi, destare meraviglia se il nemico principale della Siria è l'Arabia Saudita (assieme allo Yemen, all'Oman e al Qatar (46)), mentre suoi alleati sono il Libano, la Palestina, l'Iraq e l'Iran. Anzi proprio per disintegrare l'asse dell'islamismo religiosamente moderato, ma politicamente nazionalista, che impediva la creazione, nel secondo dopoguerra mondiale, del «Nuovo Medio Oriente» (47) da inglobarsi nel «Nuovo Ordine Mondiale», gli USA e Israele si son serviti del wahabismo saudita e della jihad afgano/qaidista per abbattere -con una «guerra santa»- la Libia, la Tunisia e poi la Siria, la quale resiste ancora, anche in quanto appoggiata da Libano (Hezbollah), Palestina (Hamas), Iran, e specialmente Russia e Cina. Vedremo più avanti perché. Inoltre la Siria è il tallone d'Achille o il punto debole dell'alleanza che va dal Libano all'Iran. Quindi si cerca di abbatterla per poi colpire il Libano e l'Iran. Infine il piano destabilizzante riguardo il medio oriente non prevede, come scrive il generale Fabio Mini, «una Siria senza al-Assad, ma nessuna Siria» (48). Paolo Sensini, nel suo interessantissimo libro 1°) si chiede come mai l'antagonismo occidente/islam radicale è riuscito nel 2011 a far fronte comune per difendere la democrazia contro i governi autoritari e nazionalisti del mondo arabo 2°) osserva che l'islamismo wahabita radicale filo-occidentale è una sorta di ossimoro perché rappresenta un
fronte comune assai eterogeneo in quanto comprende l'interventismo mondiale statunitense, il neo-colonialismo franco/britannico, il fariseismo settario e 'petrol/dollifero' del wahabismo; 3°) si domanda come mai gli emirati si sentono minacciati dall'Iran e non da Israele, che pur essendosi auto-definito come «l'unica democrazia del vicino oriente» si è alleato con l'Arabia Saudita e gli emirati arabi, che sono monarchie dispotiche e tiranniche 4°) si chiede infine come mai i cristiani viventi in Siria si sentono minacciati dall'esportazione della democrazia americana ed europea tramite i sauditi mentre si sentono protetti dal dittatore siriano al-Assad? (Divide et impera, cit., p. 37-38). Sensini abbozza una prima e breve risposta: non si tratta di esportare la democrazia, ma di impadronirsi del petrolio e del medio oriente per costruire il Mondialismo globalizzante. Per far ciò occorre mascherare un fine così materiale (il petrolio e la terra) dietro un ideale umanitario, ossia l'esportazione della democrazia nel mondo arabo autoritario nazional/sociale moderatamente islamico, che rappresenta il nuovo impero del male dopo il crollo dell'URSS e che è esportatore per sua natura di uno «scontro di civiltà» tra islamo/fascismo e giudeo-«cristianesimo/calvinista» in cui la lotta contro l'imperialismo sionista e americano non ha nulla a che vedere. Bernard Lewis lancia lo «scontro di civiltà» nel 1976 Di questo «scontro di civiltà» ne ha parlato per primo lo storico dell'università di Princeton, nonché membro del 'Bilderberg club' ed ex ufficiale dei servizi segreti britannici, Bernard Lewis (The Return of Islam, in "Commentary", gennaio 1976, pp. 39-49) che ha ripreso il tema di quest'articolo nel 1979 durante la Conferenza del 'Bilderberg club' ed ha lanciato il piano di una strategia anglo/americana in alleanza col movimento wahabita e coi Fratelli Musulmani (49) per promuovere una balcanizzazione o «libanizzazione» dell'intero mondo arabo, basandosi sulle rivalità etniche e religiose, intrinseche alla sua riedificazione, scientemente volute dall'imperialismo ottocentesco dell'Inghilterra e della Francia dopo il crollo dell'impero ottomano, ed analogamente - nel Novecento/Duemila - dal neo imperialismo degli USA e d'Israele, che stanno ridisegnando il nuovo medio oriente in maniera ancor più frammentata ed esplosiva al suo interno in vista della costruzione del «Nuovo Ordine Mondiale». Successivamente Bernard Lewis, che era divenuto -con l'amministrazione Reagan, Bush padre e figlio- un pezzo grosso del Dipartimento della Difesa americano, scrisse nel 1992 un memoriale per la rivista "Foreign Affairs" del 'CFR' titolato Rethinking the Middle East (Ripensare il medio oriente). In quest'articolo Lewis prospettava una politica nuova verso il medio e vicino oriente: finita la guerra fredda con l'URSS, egli individuava nel fondamentalismo qaidista e wahabita, nemico del nazionalismo arabo e dell'islam moderato e laico, un elemento destabilizzatore e frantumatore dell'unità geopolitica del medio oriente per poterlo «libanizzare» o balcanizzare, ossia governarlo grazie alla divisione tra le tribù e le etnie che lo compongono messe in guerra permanente l'una contro l'altra. L'analista politico e storico statunitense Webster Tarpley scrive che «dal 1945 gli USA e i satelliti della NATO si sono sistematicamente contrapposti all'alternativa ragionevole del nazionalismo laico e sociale negli Stati arabi moderatamente islamici (chiamato dai neocon «islamo/fascismo»), mentre hanno favorito immancabilmente le alternative fondamentaliste, preferendo quelle più retrive e farisaiche per disgregare il medio oriente. Non si tratta di errore, ma di una ben precisa scelta politica imperialista» (50), che seminando la divisione nel mondo arabo lo governa secondo l'adagio degli antichi Romani: «dìvide et ìmpera». Paolo Sensini commenta che appena gli USA hanno cominciato ad esercitare la loro egemonia sul medio oriente, i 'Fratelli Musulmani' erano già presenti quali umili servitori degli USA per seminare l'odio tra sunniti e sciiti, sposando
l'ideologia settaria wahabita e salafita (51). Il medio oriente è strategicamente di capitale importanza per il mondialismo e la globalizzazione. Infatti esso è confinante con l'URSS, contiene i ¾ del petrolio mondiale, ed è già in conflitto costante con uno degli Stati più potenti del mondo, Israele. Si capisce che entrare pienamente nel medio oriente equivale a iniziare a mettere i piedi nella Russia, a bloccare l'avanzata economico/finanziaria cinese e a governare quasi tutto il mondo. È per questo che la Russia di Putin e la Cina sono intervenute con le loro flotte per impedire l'attacco dell'America e d'Israele contro Siria e Libano. Il delirio d'onnipotenza ebraico foriero di catastrofi Ma sino a quando gli USA riusciranno a temperare gli ardori del fanatismo zelota di Israele e Netanyahu? Solo Dio lo sa! Infatti il giudaismo è vittima di un delirio di onnipotenza, poiché si ritiene ancora l'eletto, il superiore e il prediletto tra tutti i popoli. Martin Buber scrive: «l'umanità ha bisogno del giudaismo, perché esso è l'incarnazione delle più alte aspirazioni dello spirito» (52), ed Emmanuel Lévinas continua: «L'ebraismo è necessario all'avvenire dell'umanità (…), esso è come una scala vivente che raggiunge il cielo» (53). Pierre Lévy spiega che «gli ebrei possono essere di destra o di sinistra, liberali, marxisti o ortodossi, credenti o atei, ma non possono non essere partigiani dell'Impero globale d'Israele» (54). Questa è l'unità del giudaismo rabbinico, apparentemente differenziato ma sostanzialmente uniforme; essa è una «utopia di cui l'ebraismo vive» (55) e tale scopo sta per essere raggiunto con il mondialismo, la globalizzazione e il «Nuovo Ordine Mondiale», che hanno avuto il loro exploit con le due guerre del Golfo persico (1991, 2003), ma che hanno segnato anche l'inizio della decadenza degli USA e probabilmente - nell'immediato - anche di quella d'Israele, che si appresta ad affrontare militarmente Iran, Libano, Siria e Palestina. Anche perché la cruda verità, come scrive il generale Fabio Mini, è che gli americani giocano con l'immagine falsata di un'autorità che non hanno su Israele: «quando dicono di concedere un sostegno politico a Israele in realtà si tratta di sottomissione alla potente lobby ebraica» (Mediterraneo in guerra, cit., p. 174 (56)). Hungtinton rilancia lo «scontro di civiltà» nel 1993 Quest'idea dello «scontro di civiltà» è stata ripresa recentemente da Samuel Hungtinton prima (nell'estate del 1993) in un articolo su "Foreign Affairs", la rivista del 'CFR', intitolato The Clash of Civilizations? e poi elaborato nel 1996 in un libro noto a tutti: Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, tr. it., Milano, Garzanti, 1997. Lewis riteneva di dover mettere l'estremismo wahabita e qaidista musulmano contro l'URSS per impedire ad essa di esercitare un forte influsso nell'area del mondo arabo, visto che gli estremisti musulmani avrebbero diffidato dell'URSS atea più ancora che degli USA solamente agnostici, i quali avrebbero potuto godere delle lotte tra islam radicale e URSS e, come si sa, «tra i due litiganti il terzo gode». La dottrina Lewis (57) (1976/79, 1992) ha fatto scuola tra i servizi segreti americani, britannici, i neocon (58), l'amministrazione Reagan (1980) e poi è stata rivista da Huntington (1993/1996) con l'amministrazione Bush (1990-2002) e non ha cessato di farsi sentire in pratica (anche se non sbandierata in teoria) con l'amministrazione Barak Obama, che nel vicino e medio oriente prosegue praticamente la politica di Reagan e Bush, mentre se ne distanzia solo a parole. Trozkismo e neoconsevatorismo Paolo Sensini scandaglia la comune radice trozkista (59) dei neoconservatori o «sion-con» americani (quasi tutti di origine ebraica (60)). L'idea di Trotskij della rivoluzione comunista permanente e universale è stata mutuata dai neocon ed applicata al vicino e medio oriente come esportazione della democrazia americana nel mondo intero quale fattore di lotta permanente e destabilizzatrice delle Nazioni che si vogliono dominare dopo averle sprofondate nel caos
(Divide et impera, cit., p. 48). Quest'idea ha influenzato e quasi determinato la decisone di Bush padre e figlio d'invadere l'Afghanistan (7 ottobre 2001) e l'Iraq (20 marzo 2003) e puntare poi sulla Libia, Tunisia, Egitto per giungere alla Siria, all'Iran, alla Russia e ridimensionare l'emergere del potere economico cinese. I neocon vogliono fondare una politica estera di tipo trozkista, che esporti la rivoluzione e il caos permanente e una politica interna agli USA di tipo psico-poliziesco «staliniano» condito dalla concezione affaristica del liberismo selvaggio di Milton Friedmann (61), che soffochi le persone con uno stato di «psico-polizia» per prevenire un nuovo 11 settembre e per gettare nella povertà la piccola e media classe con i mutui senza condizioni, che portino all'indebitamento i cittadini ai quali le banche toglieranno ed esproprieranno i mezzi di sussistenza privata. La trappola dell'Afghanistan: «il cimitero degli eserciti» Zbnigniew Brezinski, consigliere per la sicurezza degli USA, ha ammesso in un'intervista (V. Jauvert, Lesrévelations d'un ancien conseiller de Carter: «Oui, la CIA est entrée en Afghanistan avant le Russes», in «Le Nouvel Observateur», n. 1732, 15-21 gennaio 1998, p. 76) che il presidente americano Jimmy Carter il 3 luglio 1979 firmò la prima direttiva per fornire appoggio militare, tramite la CIA, ai mujahidin afgani oppositori del regime filosovietico di Kabul. Questo passo, racconta Brezinski, spinse fortemente l'URSS ad invadere l'Afghanistan (considerato dagli strateghi «il cimitero degli eserciti nemici») il 24 dicembre 1979 e a cadere nella trappola di una guerra durata circa 10 anni da cui l'URSS uscì nel 1989 con le reni spezzate e che segnò il declino dell'impero sovietico. Il crollo dell'URSS valeva l'appoggio ai talebani. Si capisce perché la Russia di Putin ora sostenga la Siria con tanta fermezza e quale sia l'importanza dell'esito dell'aggressione alla Siria: il 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele, degli USA e del fondamentalismo wahabita. La questione della Siria ci riguarda non solo come uomini sociali o politici, ma anche e soprattutto come cattolici romani, che nulla hanno a che spartire con i «cristianisti» americano/calvinisti o «teo/sion/conservatori». Circa agli inizi del 1992 l'America iniziò a formulare una nuova fase della sua politica estera, che è arrivata al suo pieno svolgimento dopo l'11 settembre del 2001. Infatti nel 1992 Dick Cheney (il segretario alla Difesa degli USA) diede incarico a Paul Wolfowitz (il numero tre del Pentagono) di redigere il Defense Planning Guidance (Guida al piano di difesa), chiamato anche «piano per governare il mondo» (Plan for Global Dominance). Questo documento del 1993, che in seguito è stato comunemente chiamato «la Dottrina Wolfowitz» (riprendeva il pensiero di Bernard Lewis, 1976 e Samuel Huntington, 1993), è comparso quasi subito dopo il crollo dell'URSS a causa della disfatta in Afghanistan; esso fondeva inseparabilmente e sempre più strettamente gli interessi americani e quelli sionisti servendosi del wahabismo per evitare che sorgesse un nuovo rivale a rimpiazzare l'URSS in medio oriente. Gli USA erano oramai convinti di essere soli al vertice del potere mondiale: militarmente, economicamente, tecnologicamente e «culturalmente». Perciò bisognava cavalcare l'onda della lotta culturale tra occidente giudaico/calvinista contro il mondo arabo, servendosi dell'integralismo wahabita-salafita contro i regimi nazionalistici («islamo/fascismo») e autoritari del vicino e medio oriente. Infatti Hungtinton come Lewis pensava che le lotte del XXI secolo non sarebbero state determinate soprattutto da interessi economici o sociali, ma soprattutto «culturali», ammesso che si possa parlare di una «cultura» americana e non piuttosto di una «tecnica» o «pratica». La domanda di Lewis, Hungtinton, Wolfowitz era la seguente: come dividere il mondo, e specialmente quello arabo, dopo il crollo dell'URSS per governarlo e dominarlo totalmente? La risposta consisteva nell'asserzione di dover destrutturare le sovranità
nazionali, anche in medio oriente (la vecchia Europa le aveva già perse nel 1945(62)) e ricomporre il tutto in un mosaico di etnie, religioni e staterelli in perpetuo conflitto tra loro per esercitare la leadership americana, come scrisse senza troppa ipocrisia il "The San Francisco Chronicle" del 26 settembre 2001. In effetti, commenta Paolo Sensini (cit., p. 65), ovunque si trova al- Qa 'ida, seguono a ruota l'esercito statunitense e le grandi imprese economico/finanziarie. In breve gli USA volevano promuovere un «Nuovo Ordine Mondiale» dal caos del medio oriente, secondo il motto della massoneria «ab caohordo» (63). Tuttavia l'idealistico e «culturale» (o meglio «prammatico») scontro di civiltà fungeva da paravento per nascondere interessi molto più prosaici, ossia il dominio della terra che contiene i grandi giacimenti petroliferi ed i gas naturali mediante una barbarica dissociazione delle società civili. don Curzio Nitoglia Note 1) "La fonte ed il fine delle due guerre mondiali"; "Tre occasioni create dagli usa per entrare in guerra". 2) Cfr. S. Romano, Anatomia del terrore, Milano, Rizzoli, CS, 2004. 3) Cfr. P. Serra, Americanismo senza America, Bari, Dedalo, 2002; O. Foppiani, La nascita dell'imperialismo americano, Roma, Settimo Sigillo, 1998; A. Jennings, La creazione dell'America, Torino, Einaudi, 2003; M. Molinari, George W. Bush e la missione americana, Bari, Laterza, 2004G. Alivi, Il secolo americano, Milano, Adelphi, 1996 G. Batault, Judaisme et Puritanisme, rit., Waterloo, Javelot, 1994; A. Donno, Gli Stati Uniti, il sionismo e Israele, Roma, Bonacci, 1932; . 4) Cfr. M. Blondet, Stare con Putin, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2004. In Russia vi sono jihaiddisti ceceni che osteggiano fortemente Putin e che sono entrati in Siria per combattere al-Assad; cfr. M. Adomanis Chechen Volunteers in Syria, in "Forbes", 24 luglio 2012. Il venerdì 12 ottobre 2012 lo sceicco al-Qaradawi, che nel febbraio 2011 aveva lanciato una fatwa condannando a morte Gheddafi, ha gridato dallo schermo della TV qatarinaAljazeera: "La Russia è il nemico numero uno dell'islam" ed ha incitato i musulmani alla lotta contro russi, cinesi e iraniani perché sostengono la Siria. (Cfr. "Al Madanar", 13 ottobre 2012). 5) In questo articolo mi baso sull'ottimo libro di Paolo Sensini, Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel vicino e Medio Oriente, Milano, Mimesis, 2013 ([email protected]) e lo integro qua e là, invitando il lettore a studiare attentamente quest'opera, la quale getta una luce abbastanza forte sulle vicende attuali nel medio oriente, che potrebbero portare a un 'Nuovo Ordine Mondiale' sotto l'egida di Israele e USA con il wahabismo saudita quale vassallo. 6) Cfr. Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 7) S. Ritter, Obiettivo Iran: perché la Casa Bianca vuole una nuova guerra in Medio Oriente, Roma, Fazi, 2007. 8) G. Chiesa, Zero2. Le pistole fumanti che dimostrano che la versione ufficiale sull'11/9 è un falso, Milano, Piemme, 2011; M. Blondet, 11 settembre 2001: colpo di Stato in USA, Milano-Viterbo, Effedieffe, 2002. 9) Si calcolano circa 4 milioni e mezzo di morti afghani nella guerra mossa dagli USA all'Afghanistan il 7 ottobre 2011. Cfr. G. Polya, 4, 5 Millions Dead in Afghan Genocide, in "Afghan Holocaust", 2 gennaio 2010. 10) Si contano circa 3 milioni e mezzo di morti iracheni nell'invasioni americane dell'Iraq del 17 gennaio 1991 e 20 marzo 2003. Cfr. S. Ross, Us-Uk Genocide Against Iraq 1990-2012 Killed 3, 3 Millions, in "Uruknet.info", 4 dicembre 2012. 11) P. Sensini, Libia 2011, Milano, Jaca Book, 2011. 12) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, Francoforte sul Meno, Zambon, 2007. 13) Quest'articolo è stato tradotto in inglese da Israel Shahak con il titolo The Zionist Plan for the Middle East, Belmont, Association of Arab-American UniversityGraduates, 1982. 14) Ibidem, p. 78. 15) P. Sella, Prima d'Israele, Milano, Edizioni Uomo Libero, 2006. 16) E. Goldstein, Gli accordi di pace dopo la Grande guerra, Bologna, Il Mulino, 2005; Z. Brzezinski, La
Grande Scacchiera, Milano, Longanesi, 1998. 17) J. Hamilton, Il Dio in armi. La Gran Bretagna e la nascita dello Stato d'Israele, Milano, Corbaccio, 2006. 18) S. Thion, Sul terrorismo israeliano, Genova, Graphos, 2004; E. Nolte, Il terzo radicalismo, islam e occidente nel XXI secolo, Roma, Liberal Edizioni, 2012; M. Mlecin, Perché Stalin creò Israele, Roma, Teti, 2010; A. Mariantoni, Gli occhi bendati sul Golfo, Milano, Jaca Book, 1991; C. Nitoglia, Sionismo e Fondamentalismo, Napoli, Controcorrente, 2000. 19) M. Galletti, Storia della Siria contemporanea, Milano, Bompiani, 2006; F. Mini, Mediterraneo in guerra, Torino, Einaudi, 2012. 20) Si pensi a Saddam Hussein, Yasser Arafat, Muhammad Gheddafi, Ben Alì ed in parte Hosni Mubarak. 21) Durante la guerra alla Siria il giornalista John Pilger ha rispolverato questo documento nel quotidiano francese "Le GrandSoir", 9 settembre 2012, in un articolo intitolato La manièrelibérale de diriger le monde. 22) Madawi al-Rasheed, Storia dell'Arabia Saudita, Milano, Bompiani, 2004. 23) G. Corm, Il mondo arabo in conflitto, Milano, Jaca Book, 2005; M. Mamdani, Musulmani buoni e cattivi, La guerra fredda e le origini del terrorismo, Bari, Laterza, 2005. 24) G. Corm, Il Vicino Oriente. Un montaggio irrisolvibile, Milano, Jaca Book, 2004. 25) Cfr. S. K. Samir, Cento domande sull'islam, Genova, Marietti, 2002. 26) La Salafiyyah è un movimento moderno islamico nato nella metà dell'Ottocento, come il wahabismo, che si rifà agli "antenati" in arabo "salaf". Il capo dell'ideologia salafita è Jamal al-Din al-Afghani, che nel 1878 fu ammesso nella loggia massonica del Cairo di rito scozzese e nel 1883 fondò la salafiyyah, essa ha avuto l'appoggio della Gran Bretagna e pian piano ha radicalizzato, specialmente nel Novecento, in maniera farisaica e calvinista la sua ideologia (che inizialmente era modernizzante) sotto l'influsso della setta wahabita dei Saud. L'erede principale di queste due scuole di pensiero sono i Fratelli Musulmani nati nel 1928 sotto la direzione di Hasan al-Banna. Oggi i 'Fratelli Musulmani' sono il braccio politico e armato del movimento wahabita e salafita (cfr. M. Campanini, Islam e politica, Bologna, Il Mulino, 2003). I salafiti sono stati resi giuridicamente pubblici ed ufficiali a partire dalla fondazione del Regno dell'Arabia Saudita nel 1924-1932, mentre teologicamente sono diffusi anche al di fuori della Penisola arabica (cfr. S. Amghar, Le Salafisme d'aujourd'hui. Mouvementssectaires en Occident, Parigi, Michalon, 2011; B. Rougier, Qu'est-ce que le Salafisme?, Parigi, PUF, 2008). Quando nel 1924 ʿAbd Al-ʿAzīzIbnSaʿŪd prese il potere in Arabia, e lo consolidò nel 1932, il nuovo Stato adottò il wahabismo come dottrina ufficiale e trasse la sua legittimità dal possesso di due fra i tre grandi luoghi santi dell'Islam, la Mecca e Medina. Ma la sua influenza non sarebbe stata così importante se il suo territorio non avesse custodito, insieme alla Mecca e alla Medina, una straordinaria ricchezza petrolifera. È questa la ragione per cui il Regno della Famiglia Saud, costituzionalmente legittimato dal wahabismo nella sua missione spirituale tipicamente "farisaica" negli affari interni e prodigiosamente arricchito dal petrolio, giuoca un ruolo molto importante nella politica Medio Orientale, alleato - laicisticamente - e modernisticamente, con gli USA negli affari esteri. I wahabiti sauditi sono religiosamente moralisti/ipocriti e politicamente sono alleati degli USA, come i farisei dei tempi di Gesù erano alleati di Roma. Questa mentalità farisaica all'interno e libertaria all'esterno propria del wahabismo lo accomuna all'americanismo e al teoconservatorismo, che si sono costituiti su tre principali realtà: il giudaismo post-biblico, il calvinismo supercapitalistico ed il massonismo imperialistico mondialista. La monarchia saudita si è sempre sentita legittimata a proporre un regime di tipo tradizionale, teocratico e fondamentalista quanto ad assetti politici interni e a costumi (rigida separazione dei sessi). Tuttavia la Famiglia reale saudita, in politica estera, ha
mantenuto un costante orientamento filo-occidentale. Per questo è tacciata di rigorismo morale 'farisaico' interno e di doppiezza politica 'machiavellica'esterna: si rigetta all'interno del Paese farisaicamente ogni costume non-musulmano, ma si è alleati in politica estera con l'occidente americanista teoconservatore, il quale è il maggior esportatore dei costumi corrotti, che il wahabismo dice di voler combattere all'interno, mentre in realtà si serve e vive di essi, anche economicamente e militarmente, in politica estera. L'influenza del wahabismo è molto forte sui movimenti militanti contemporanei arabi e islamici, che si propongono di disegnare nuovi equilibri geo-strategici planetari in funzione dell'eccellenza del modello islamico nel medio oriente, ma con l'aiuto degli USA. Ecco come si spiega il ruolo svolto dall'Arabia Saudita nell'invasione - sotto l'egida di USA, Israele ed Ue -della Tunisia, Libia, Egitto e Siria. Inoltre il pensiero wahabita riesce ad affrontare positivamente lo spinoso problema del rapporto fra modernità occidentale ossia americanista e islam: rifiuto puramente teorico ed 'in casa propria', ma cooperazione pratica e reale nella 'politica estera'. Il salafismo jihadista qaidista, di carattere rivoluzionario, propugna la guerra santa armata e non ascetica-personale. La Siria è il "banco di prova" a partire dal quale il futuro prossimo del globo può prendere una direzione oppure un'altra. Infatti in Siria si fronteggiano gli USA ed Israele, che si servono come di bassa manovalanza dei salafiti e wahabiti qaidistitrans- nazionalisti o mondialisti - da una parte - contro l'Iran, la Russia di Putin e la Cina dall'altra, che si ritrovano a fianco di un Regime autoritario locale nazionalista e baathista. 27) A. Vanzan, Gli sciiti, Bologna, Il Mulino, 2008. 28) Cfr. C. Nitoglia, Per padre il diavolo. Introduzione al problema ebraico, Milano Cusanino, Edizioni Barbarossa, 2002, cap. XXIV, "Il sionismo, un magnifico sogno o un terribile scacco?", pp. 313-346. 29) Cfr. T. Bonazzi, Il sacro esperimento. Teologia e politica nell'America puritana, Bologna, Il Mulino, 1970; T. Iurlano, Sion in America, Firenze, Le Lettere, 2004; A. Hertzeberg, Gli ebrei in America, Milano, Bompiani, 1993; S. Bercovitch, America puritana, Roma, Editori Riuniti, 1992; G. Giussani, Teologia protestante americana, Genova-Milano, Marietti-1820, 2003 . 30) P. Sensini, Divide et impera, Milano, Mimesis, 2013, p. 30. 31) Cfr. F. Imposimato, Terrorismo internazionale, Roma, Koinè, 2002; P. Di Pasquale, Hezbollah, Roma, Koinè, 2003. 32) Cfr. Mohamed Omar, I sunniti sono oppressi in Arabia Saudita, non in Siria, in "Eurasia", 13 agosto 2012. 33) M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 34) Cfr. W. Madsen, The Donme, in "Strategic Culture Foundation", 26 ottobre 2011; M. D. Baer, The Donme: Jewish Converts, Stanford, Stanford University Press, 2010. 35) Cfr. L. Binder, Islamic Liberalism, Chicago, University of Chicago Press, 1988. 36) Cfr. F. Bugart, L'Islamisme en face, Parigi, La Découverte, 2007. 37) Cfr. P. Ménoret, Sull'orlo del vulcano. Il caso Arabia Saudita, Milano, Feltrinelli, 2004. 38) Cfr. M. Blondet, Osama bin Laden, Milano-Viterbo, EFFEDIEFFE, 2003. 39) A. G. Marshall, The Imperial Anatomy of al-Qaida, in "Global Research", 5 settembre 2010. 40) Cfr. BatharKimyongur, Le terrorisme anti-syrien et sesconnexionsinternationales, in «Internationalnews», 16 aprile 2012; Id., Syriana, la conquete continue, Bruxelles, CoulerLivres et Investig'action, 2011. 41) Cfr. B. E. SelwanKhoury, Bilad al-Sam, ritorno al Califfato, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 125. 42) Cfr. Tariq Ramadan, Il riformismo islamico, Troina, Città aperta, 2004. 43) Negli anni Ottanta durante il conflitto dell'URSS contro i talebani qa 'idisti Hollywood rappresentava i mujahidin come eroi, combattenti per la libertà. In realtà essi hanno rappresentato allora le "brigate islamiche" della CIA, che li ha addestrati anche in America assieme al loro capo Osama bin Laden mentre a partire dall'11 settembre (le 'Due Torri
Gemelle') e dal 7 ottobre 2001 (invasione americana dell'Afghanistan) sono diventati il male assoluto e poi con le primavere arabe nel 2011 son tornati ad essere i patrioti della democrazia. In realtà i talebani sono stati sempre controllati dalla famiglia Sudary, che rappresenta il clan più filoamericano e filoisraeliano della famiglia reale saudita Saud; cfr. R. Baer, La disfatta della CIA, Casale Monferrato, Piemme, 2003; F. Heisbourg, Dopo al Qaida. La nuova generazione del terrorismo, Roma, Armando, 2013; W. G. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, Bologna, Arianna, 2007; S. Zunes, La scatola esplosiva. La politica americana in Medio Oriente e le radici del terrorismo, Milano, Jaca Book, 2003. 44) Cfr. E. Sivan, Radical Islam, New Haven & London, Yale University Press, 1991; M. Campanini, L'alternativa islamica. Aperture e chiusure del radicalismo, Milano, Bruno Mondadori, 2012; AA. VV., Islam e occidente. Il caso del fondamentalismo islamico, Macerata, Liberilibri, 2005. 45) Cfr. B. Etienne, L'islamisme radical, Parigi, Hachette, 1987. 46) Il Qatar è uno Stato dell'Asia, retto da una monarchia assoluta ereditaria, proteso sulla costa occidentale del golfo Persico, confinante ad oriente con l'Arabia Saudita e a sud con gli Emirati arabi. Il suo territorio consiste in una striscia di 160 km di lunghezza e di 50/80 di larghezza. La sua popolazione (circa 600 mila persone) si è quintuplicata negli anni Settanta con la scoperta del petrolio nel suo sottosuolo e per i 4/5 è costituita da immigrati dal Pakistan e dell'India. In esso vi sono enormi disuguaglianze sociali. La religione di Stato è il wahabismo. Il Qatar si è costituito in sceiccato nel settecento e sino al 1914 ha fatto parte dell'impero ottomano, poi è divenuto uno sceiccato sotto il protettorato britannico ed infine nel 1971 ha ottenuto l'indipendenza e si è legato strettamente all'Arabia Saudita. La sua capitale è Doha. Assieme all'Oman e allo Yemen subisce attualmente una certa influenza dell'Arabia Saudita e notevoli infiltrazioni di qaidisti. 47) Il termine "Nuovo Medio Oriente" è stato coniato da Condoleezza Rice, l'ex segretario di Stato americano dell'amministrazione Bush, nel giugno del 2006 a Tel Aviv in contrapposizione e sostituzione al vecchio concetto di "Grande Medio Oriente"; cfr. A. Macchi, Rivoluzioni SpA. Chi c'è dietro la Primavera Araba, Lecco, Alpine Studio, 2012. 48) Due anni dopo e un giorno prima, in "Limes", n. 2, marzo 2013, p. 40. 49) Cfr. M. Campanini, I Fratelli Musulmani nel mondo contemporaneo, Torino, Utet, 2010. 50) W. Tarpley, La fabbrica del terrore made in USA, cit., p. 529. 51) M. Eliade (a cura di), Enciclopedia delle religioni: L'islam, Milano, Jaca Book, 2004; G. Filoramo (diretta da), La storia delle religioni: l'Islam, Bari, Laterza, 2005. 52) M. Buber, Judaisme, Parigi, Verdier, 1982, p 31. 53) E. Lévinas, Difficile liberté, Parigi, Albin Michel, 1995, 3a ed., p. 326. 54) P. Lévy, World philosophie, Odile Jacob, 2000, p. 12. 55) A. Memmi, La Libération duJuif. Portrait d'un Juif, vol. II, Parigi, Gallimard, 1966, p. 127. 56) Cfr. J. Petras, USA: padroni o servi del sionismo?, cit., p. 42. 57) Sulla dottrina di B. Lewis vedi Edward W. Said, Covering Islam. Come i media e gli esperti determinano la nostra visione del resto del mondo, Massa, Transeuropa, 2012. 58) G. Borgognone, La destra americana: dall'isolazionismo ai neocon, Bari, Laterza, 2004; C. Nitoglia, Dal giudaismo rabbinico al giudeo americanismo, Genova, Effepì, 2008; J. Mearshemeir - S. M. Walt, La Israel lobby e la politica estera americana, Milano, Mondadori, 2007. 59) Cfr. A. Frament, Connaissanceélémentairedu Trotskisme, Parigi, AFS, 2001. 60) Secondo uno dei massimi esponenti del neoconservatorismo americano, MaxBoot "appoggiare Israele è un principio cardine del neoconservatorismo" (What the Heckis a neocon?, in "The Wall Street Journal", 30 dicembre 2002). 61) Innanzitutto occorre sapere che Milton Friedman è stato il fondatore della Mont Pelerin Society, che è una "lobby" molto potente composta da economisti, filosofi ed uomini
politici molto influenti, riuniti in un "club", o meglio una 'Super-Loggia', per influenzare la politica interna ed estera degli USA e Gb, promuovere un mercato ed una finanza "assolutamente liberi" da ogni ingerenza dello Stato e dell'etica. La suddetta Society è nata in Svizzera, presso le terme di Mont Pelerin, da cui ha preso il nome, il 10 aprile del 1947 da 36 grandi-fratelli fondatori. La Mont Pelerin Society ha sempre cercato di passare agli occhi dell'opinione pubblica come un'innocua accademia di studiosi e non un think-tank ("serbatoio di cervelli pensanti" capaci di cambiare il mondo) politico/finanziario di tendenza anti cattolico-romana, fortemente democraticista, liberale, liberista e libertaria, quale realmente è. Uno dei suoi obiettivi è la creazione di un "Ordine Internazionale o Mondiale", che salvaguardi la Libertà (intesa come un assoluto ed un fine e non come un mezzo per raggiungere il Fine ultimo), la Pace (americana) e le Relazioni Economiche Internazionali, ossia il potere dell'alta finanza mondiale, delle Banche, deibankster e la globalizzazione mondialista anglo/americana. Tra i suoi membri, oltre a Milton Friedman, figurano anche Friedrich August von Hayek, Ludwig von Mises, Karl Popper, Walter Lippman, e per l'Italia Luigi Einaudi, Sergio Ricossa, Antonio Martino, Bruno Leoni. Tra i 76 consiglieri economici del Presidente statunitense Ronald Reagan ben 22 erano della Mont Pelerin Society. Dalla Mont Pelerin Society è nato il pensiero neocon, che ha influenzato la politica estera e la finanza americana dagli anni Ottanta sino all'Amministrazione Bush jr (2008) e continua in maniera strisciante ancor oggi ad influenzare il Presidente statunitense Barac Obama, con le relative guerre geopolitiche di esportazione della democrazia contro l'Iraq e il default o fallimento della finanza mondiale grazie ai mutui ad alto rischio, concessi da Alan Greenspan Presidente della Federal Reserve (Banca Centrale) americana, che non potevano essere pagati dai "beneficiari", i quali perdevano i risparmi e la casa. Questo default o fallimento è arrivato sino all'Europa, che ne è stata infettata e si trova in una crisi finanziaria mai vista prima, neppure nel 1929. Friedman ha influenzato a partire dagli anni Ottanta sino ad oggi (a sette anni dalla sua scomparsa), potentemente e trasversalmente, la politica (sia democratica che repubblicana) del Presidente statunitense Ronald Reagan, poi di Bill Clinton, di Bush padre e figlio e persino di Barac Obama nell'attuale congiuntura siriana; inoltre ha influenzato anche la politica europea dei Primi Ministri britannici Margaret Thatcher, Tony Blair e David Cameron rifacendosi al pensiero filosofico di Edmund Burke, Karl Raimund Popper, Russel Kirk ed anche la pratica finanziaria della "Banca Centrale Americana", alla luce del pensiero degli economisti della "Scuola di Vienna" Von Mises e Von Hayeck. Infatti da questi ultimi assieme a Friedman sono nati i Chicago boy's e i dirigenti neoconservatori dell'Amministrazione Bush (Paul Wolfowitz, Richard Perle, David Roomsfeld, Dick Cheney, eccetera), che analogamente alla "Scuola di Francoforte" (1922-1979) di Adorno & Marcuse son riusciti ad unire (da una posizione di "destra" liberal-conservatrice) il marxismo di Trotskij e il liberismo "mini-archista" (che vuole concedere il minimo spazio al potere dello Stato) se non francamente anarchico/conservatore. Adorno & Marcuse, invece, avevano sposato (da una posizione di "sinistra" anarchico-rivoluzionaria) il Trozkismo con la psicanalisi freudiana. Si può dire, perciò, che mentre Adorno & Marcuse univano sinistra e libertarismo per la conquista psicologica delle menti di tutti gli uomini (la "Rivoluzione intellettuale" del 1968), i neoconservatori sposano il libertarismo liberal-democratico con la "destra" conservatrice angloamericana per la conquista militare e geopolitica del globo (il "Nuovo Ordine Mondiale" dal 2001 al 2013). In realtà il neoconservatorismo, ispirato da Friedman, ha spinto gli USA (come braccio armato a favore d'Israele) in una guerra totale contro
l'Iraq, l'Afghanistan, il Pakistan dalla quale sta uscendo con le ossa rotte, come pure Israele ha subìto una umiliante "vittoria di Pirro" in Libano nel 2006 nonostante che avesse sganciato "oltre 1 milione di bombe a grappolo"(61) ed a Gaza nel 2008-2009 abbia gettato "bombe al fosforo bianco" nella famigerata "operazione piombo fuso". Sembrerebbe che questi ultimi avvenimenti (assieme alle "Rivoluzioni primaverili" in Tunisia, Libia, Egitto e all'imminente guerra contro la Siria nella quale il pensiero di Friedman si fa ancora sentire anche nell'Amministrazione democratica di Barac Obama) potrebbero segnare l'inizio della fine della supremazia israelo/americana, la quale nell'agosto del 2013 si straccia le vesti (come Anna e Caifa nel 33) per l'uso dei gas tossici in Siria (pur non sapendo con certezza da parte di chi), mentre i caporioni di essa hanno sganciato le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, le bombe al fosforo su Dresda, le bombe all'uranio impoverito sul Kosovo, le bombe a grappolo in Libano ed al fosforo bianco su Gaza. La crisi economico/finanziaria, che ha portato nel 2011/2013 gli USA e l'Europa sull'orlo del fallimento è iniziata nel 2005/2008, con "la più grande frode finanziaria della storia mondiale" operata dall'operatore di Borsa Bernard Lawrence Madoff e portata avanti dal Presidente della 'Federal Reserve' o 'Banca Centrale' degli USA Alan Greenspan, che -ispirato dalle teorie finanziarie di Friedman- ha iniziato con un grandioso boom economico per finire con un miserabile crack, facendo "arricchire" gli americani incitandoli a 'spendere e spandere', pur non avendo denaro sufficiente, senza paura di pignoramento, comprando e vendendo case, mediante mutui senza garanzie e coperture, che -si badi bene- non avrebbero potuto essere pagati ed avrebbero condotto infine alla miseria l'incauto compratore il quale si era accollato mutui ipotecari ad alto rischio (subprime), scientificamente studiati ed immessi - a mo' di liberismo selvaggio - sul mercato da Greenspan, le cui prodezze stiamo ancora pagando e non si sa se riusciremo ad estinguere il prestito ipotecario o a finire ipotecati ed espropriati. Il crack della "Monte Paschi di Siena" in Italia nel 2013 è una delle conseguenze collaterali dell'imbroglio iniziato nel 2005 da Greenspan. L'economia mondiale è sembrata avanzare sino al 2008, mentre era già malata da almeno tre anni ed è entrata in crisi nel 2009 per arrivare al quasi fallimento o al crack (o default, come lo si chiama adesso in maniera più soft) nel 2012. I lavoratori americani, i quali non erano in grado, come previsto, di rendere il denaro, che in realtà non avevano mai posseduto, a causa dell'aumento del petrolio e dei tassi d'interesse non son riusciti più a pagare i mutui. Quindi in brevissimo tempo milioni di case son rientrate in possesso delle banche dalle quali erano uscite solo apparentemente ("sopra la banca la casa campa, sotto la banca la casa crepa!"). Di conseguenza i poveri degli USA si son ritrovati più poveri di prima. Questo è il risultato della teoria usuraia legalizzata, e promossa con il massonico 'Premio Nobel', di Milton Friedman e fratelli. Si può concludere che come Wolfowitz ha rovinato l'esercito americano trascinandolo in guerra contro l'Iraq nel 2003, così Greenspan, ispirato da Friedman, ha disastrato la finanza degli americani trascinandoli nella bancarotta dei mutui ad alto rischio. 62) Si noti che ora in Europa a Bruxelles oltre il parlamento europeo vi è anche quello israeliano; v. First Ever European Jewish Parliament inaugurated in Brusels, in "EJU News", 16 febbraio 2012. 63) Cfr. A. Joxe, L'impero del caos. Guerra e pace nel nuovo disordine mondiale, Milano, Sansoni, 2002. Condividi
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paoloferrario · 6 years ago
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Quando il Novecento riscoprì la filosofia di Giacomo Leopardi, da L'Avvenire, 9 settembre 2018
Quando il Novecento riscoprì la filosofia di Giacomo Leopardi, da L’Avvenire, 9 settembre 2018
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A proposito del pensiero di Leopardi, l’editore Nino Aragno ha appena pubblicato due eccellenti, appassionanti e lucidissimi volumetti a cura di Raoul Bruni, docente di letteratura italiana all’Università Cardinale Stefan Wyszynski di Varsavia: gli autori sono entrambi filosofi italiani della prima metà del Novecento, Giuseppe Rensi (1871-1941) e Adriano Tilgher(18871941).
L’interesse di…
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decima-flottiglia-mas · 8 years ago
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. Xª FLOTTIGLIA MAS 29 settembre del 1943 il Battaglione, chiamato "Valanga", come la gloriosa 9° Compagnia del cap. Morelli, che già aveva indossato il cappello con la piuma essendo un reparto alpino a tutti gli effetti, era inquadrato su comando di battaglione e tre compagnie. Successivamente venne aggregata una 4° compagnia, chiamata "Sereneissima", proveniente dal Battaglione N.P. e quindi reparto di Marina. Nell'aprile del 1944 entrò a far parte della Decima MAS assumendo il nome di "Luca Tarigo", una unità della classe "esploratori" affondata nel Mediterraneo nel 1941, come tradizione per i reparti della X MAS e cambiando il copricapo dal cappello alpino al basco con il giro di bitta della Marina. Queste varianti durarono però pochissimo e, probabilmente, non furono mai adottate dalla maggioranza dei Guastatori. Un'episodio accelerò infatti l'abolizione di queste varianti: una compagnia al comando del Cap. Satta venne inviata ad espugnare il rifugio alpino "Gastaldi", situato a 3200 metri d'altezza sul ghiacciao della Ciamarella in Piemonte, nel quale erano asseragliati 200 partigiani. Sebbene questi fossero molti di più dei Guastatori, meglio armati ed in una posizione più favorevole, i Guastatori alpini ebbero velocemente la meglio. Borghese si volle complimentare con Morelli e, giunto al reparto, lo trovò schierato senza alcun copricapo. Meravigliato chiese conto a Morelli di questo fatto e, il Comandante del Valanga, falsamente sorpreso (aveva organizzato tutto), disse ai Guastatori di andarsi a mettere il cappello. Tutti tornarono con il cappello alpino! Borghese capì ed in perfetto dialetto romano disse: "Va bè, Morelli ho capito, fai come ti pare!" E così il Valanga rimase Valanga e portò il cappello alpino! Solo la compagnia "Serenissima" continuò ad indossare il basco che già portava. Durante il periodo della R.S.I. il reparto operò dal fronte occidentale a quello orientale, soprattutto contro le infiltrazioni degli slavi del IX e X Corpus titino. E' anche grazie al "Valanga" che a Selva di Tarnova vennero salvati i 150 Bersaglieri del "Fulmine" sopravvissuti a tre giorni di combattimenti. Questi accerchiati da oltre 2500 slavi, furono liberati dai Guastatori che riuscirono ad avere la meglio sebbene in netta inferiorità numerica. Verso la fine del 1944 il "Valanga" raggiunse Jesolo dove si acquartierò nella colonia estiva "Dux", in riva al mare. Venne subito iniziato l'addestramento nella vicina Asiago al termine del quale fu conseguito il brevetto di specialità da tutti gli effettivi. A Jesolo i guastatori provvidero al minamento della spiaggai ed ebbero la responsabilità della difesa costiera. Alla fine di luglio il comando della divisione "Decima" decise di scardinare lo schieramento partigiano nelle Alte Valli piemontesi e il battaglione fu trasferito ad Ivrea da dove iniziò la marcia di avvicinamento che portò, tra le altre azioni, alla presa del rifugio Gastaldi. Nella prima decade di ottobre il battaglione lasciò il Piemonte e si trasferì a Vittorio Veneto, accantonandosi nelle scuole "Francesco Crispi". Quando in dicembre la divisione iniziò le operazioni contro il IX Corpus jugoslavo, al battaglione "Valanga" venne assegnato il compito di fermare il nemico nel settore settentrionale dello schieramento. Dopo un violento scontro a fuoco il battaglione, guidato dal Cap. Morelli, occupò stabilmente Tramonti di Sotto dove vennero rinvenute ingenti quantità di materiali, importanti documenti e catturati numerosi prigionieri, tra cui un maggiore britannico in uniforme. Sulla base dei documenti rinvenuti si decise di annientare il comando partigiano situato in una baita di Palcoda e il compito venne affidato a un plotone mitraglieri della 3° compagnia e a venti uomini della 2° compagnia "Uragano", della quale facevano parte i sergenti Grillo e Janiello. L'attacco si concluse con la cattura di circa cinquanta partigiani che vennero interrogati singolarmente il giorno dopo per giungere alle precise responsabilità dei singoli sulle efferate uccisioni avvenute nella zona. I colpevoli, in numero di dieci, vennero fucilati sul posto mentre gli altri furono avviati al comando della "Decima". Debellato il comando del X Corpus e liberata la val Meduna il battaglione "Valanga" rientrò a Vittorio Veneto per celebrare il Natale del 1944 ma il 26 dicembre vennero uccisi due guastatori in un agguato teso in città da alcuni guerriglieri della banda "Castelli". Dopo l'assassinio dei due guastatori, il battaglione riprese le azioni contro la banda "Castelli" nell'intento di catturarne il capo. Durante una di queste azioni cadde eroicamente il Sergente Maggiore Renato Grillo, il proprietario del distintivo. Il sottufficiale, indossato sull'uniforme un impermeabile inglese di quelli in uso presso le bande, si era introdotto da solo in una casa dove aveva luogo una riunione di partigiani, intimando loro la resa. Ma una raffica, sparatagli alle spalle lo uccise prima che tutta la pattuglia potesse intervenire. In questa occasione il suo amico e commilitone Janiello deve aver recuperato il distintivo che poi ha donato a Paolo Caccia Dominioni dopo la fine della guerra. Dopo la battaglia della Selva di Tarnova, le due compagnie rimaste a vittorio Veneto riuscirono a debellare la banda "Castelli", catturandone il capo. Il Castelli, che risultò responsabile anche del tragico agguato del 26 dicembre, venne fucilato. Nella prima decade di marzo il "Valanga si trasferì a Bassano del Grappa; in aprile riprese l'addestramento sulle falde del Monte Grappa. Il giorno 26 aprile rientrò dal campo ed al suo passaggio per le vie di Bassano la popolazione si radunò applaudendo i guastatori. Il giorno dopo giunse al battaglione l'ordine di abbandonare Bassano e raggiungere Thiene. Alle 19 il "Valanga" si mosse verso Thiene ma restò bloccato a Marostica perchè le colonne germaniche in ripiegamento occupavano la strada. Il 28 aprile il CLN di Marostica iniziò le trattative con il Capiano Morelli e venne convenuto che il battaglione avrebbe raggiunto nuovamente Bassano per sciogliersi: gli uomini sarebbero stati muniti di un lasciapassare e messi in libertà. Il 30 aprile il battaglione "Valanga" venne dichiarato disciolto. Agli ufficiali vennero lasciate le armi e a tutti i guastatori venne distribuito il brevetto in bronzo della specialità. La 2° compagnia che non si era ancora arresa raggiunse Trento, con un convoglio di Brigate Nere e, dopo accordi presi con il Vescovado si presentò ai carabinieri che, ricevute le armi, lasciarono liberi gli uomini. Era il 2 maggio 1945. A Morelli, che era stato decorato con due argenti al V.M. uno preso nel giugno 1940, in Francia (fu una delle prime decorazioni conferite) ed uno il 17 gennaio 1943 a Rossosch, furono revocate entrambe le medaglie insieme al grado, perché condannato, grazie ad una falsa testimonianza, per il periodo quando aveva comandato il Valanga. Non potendolo giudicare per un fucilazione di partigiani, eseguita secondo le regole del Diritto Penale Militare, si inventarono che aveva fatto la borsa nera! Benché ci fosse statal'amnistia, si rifiutò, sempre, di richiederla. Ma ebbe la sua rivincita. Senza aiuti, dimenticato dall'Esercito, degradato a geniere (soldato semplice), divenne uno dei più famosi direttori di produzione del cinema. Tra l'altro fu il direttore di produzione del film "La dolce vita". ( Notizie storiche tratte dal volume "Gli Ultimi in Grigioverde" di Giorgio Pisanò, dall'articolo di Sergio Coccia pubblicato sul numero 22 della Rivista "Uniformi & Armi" del febbraio 1991, dagli articoli pubblicati sui numeri 85 e 106 della stessa rivista e sul numero 16 del mensile "Militaria" del dicembre 1994 )
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colospaola · 6 years ago
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Gli scout, una delle associazioni per ragazzi più amate in tutto il mondo, hanno una storia che parte da molto lontano, per la precisione dalla figura di Robert Baden-Powell, colonnello dell’Impero Britannico che, nel 1899, durante l’assedio della città di Mafeking in Sud Africa, trovandosi circondato dai Boeri, con un gruppo di ragazzi riuscì a resistere al nemico per 217 giorni.
Al ritorno in patria, dove venne promosso maggior generale, Baden-Powell scrisse Aids to Scouting, che in pochi anni divenne un bestseller tra gli educatori, portando l’ex soldato a concepire l’idea di un gruppo di ragazzi che, grazie a una serie d’iniziative, formassero tra di loro un legame duraturo di amicizia e fiducia.
Fu cosi che, nel 1907, il maggiore, con 20 ragazzi di ceti sociali differenti, partì per Brownsea, un’isoletta del sud dell’Inghilterra all’interno di un’insenatura del mare nell’entroterra, dove si tenne il primo campo scout, con i ragazzi divisi in pattuglie, forgiando tra di loro dei legami che confermarono in pieno l’idea dell’eroe di Mafeking.
Era nato così lo scautismo, di cui Baden-Powell sarebbe stato il comandante supremo fino alla morte, avvenuta in Kenia nel 1941, con le sue regole ispirate al Libro della Giungla di Kipling e la divisione in Lupetti, Esploratori e Capi, ben illustrate in saggi come il classico Scautismo per Ragazzi, Manuale dei Lupetti e Il libro dei Capi.
In Italia lo scautismo arrivò nel 1926, con la fondazione dell’Associazione Scout Cattolici Italiani, preceduta solo pochi anni prima dal Cngei, l’associazione aconfessionale.
Ma il 24 gennaio 1927 Papa Pio XI dovette sciogliere l’Associazione Scautistica Cattolica Italiana, poi il 9 aprile 1928 tutto lo scautismo fu soppresso dal Consiglio dei ministri.
I gruppi scout Milano II e Milano VI dovettero deporre le loro insegne, ma una parte di loro si rifiutò di cessare ogni attività e, con messaggi in codice, i ragazzi continuarono a ritrovarsi, tenendo anche i campi scout estivi, in Val Codera, in provincia di Sondrio, e svolgendo alcune attività scout.
Erano nate le Aquile Randagie.
Li guidarono Andrea Ghetti, del gruppo Milano 11, detto Baden, e Giulio Cesare Uccellini, capo del Milano 2, che divenne Kelly durante la resistenza ed ebbe il soprannome di Bad Boy, affibbiatogli da J.S. Wilson, all’epoca direttore del Bureau Mondiale dello Scautismo.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, le Aquile Randagie diedero vita all’Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati per il salvataggio di perseguitati e ricercati di diversa nazione, razza, religione, con fughe in Svizzera, come quelle di Indro Montanelli, per poi, dopo la fine del conflitto, aiutare i fascisti pentiti.
Alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, un grande raduno dei capi scout a Roma sancì il ritorno dello scautismo in Italia, dove ancora oggi continua ad avere grandi consensi.
Traendo spunto dalla storia delle Aquile Randagie, lo scrittore per ragazzi Tommaso Percivale ha scritto il romanzo Ribelli in fuga, edito da Einaudi Ragazzi.
La storia, ambientata a Pruneto, un paesino alle pendici dell’Appennino, inizia nel 1928, quando il fascismo scioglie le associazioni scout e chiede ai ragazzi di diventare balilla.
Ma cinque ragazzi non ci stanno e, con il supporto di alcuni abitanti del paese, si danno alla macchia, alla ricerca di un covo segreto, lassù tra le montagne.
Dopo aver trovato un rifugio, i ragazzi vengono braccati dai loro vecchi compagni, che si sono convertiti alla causa della camicia nera, ma l’epilogo sarà davvero inaspettato.
Come definirebbe Tommaso Percivale?
Definire se stessi è come cercare di colpire un bersaglio appeso alla propria schiena tirando con l’arco. Preferisco essere conosciuto attraverso i miei romanzi, ciascuno dei quali è un pezzo di me. Gli ideali cui sono ispirati, per esempio la libertà, la parità tra i sessi, la giustizia, appartengono alla mia visione di mondo ideale, e per questo cerco di diffonderli.
BP diceva di voler lasciare il mondo un posto un po’ più bello di come l’aveva trovato. Questa massima mi ha colpito così tanto che me ne sono impadronito, e cerco di fare del mio meglio attraverso la scrittura.
Perché un romanzo per gli scout e in particolare sulle Aquile Randagie?
Perché è una storia bellissima che parla ai cuori di tutti. Una storia di quasi cento anni fa, eppure attuale come poche. Meritava di essere raccontata, e non perché parla di scout ma perché parla di ragazzi, ragazzi come tanti, che un giorno si sono trovati a fare una scelta e l’hanno fatta, sacrificando tutto e pagandone le conseguenze in nome della libertà. La libertà, questa parola così importante che racchiude il senso della nostra vita e delle nostre azioni.
Però non volevo scrivere una biografia. Volevo scrivere un romanzo. E dunque, per rispetto nei confronti di chi quei giorni li ha vissuti di persona, ho preferito inventarmi luogo e personaggi. Ho preferito la libertà di raccontare quelle esperienze nel mondo e nel modo che ritenevo migliori. Non per questo le sensazioni sono meno vere.
E quando don Giovanni Barbareschi, Aquila Randagia leggendaria, mi ha chiamato per dirmi che aveva letto il libro e si era profondamente commosso, ho capito di avere fatto la scelta giusta. “Non hai parlato di noi, ma hai parlato di noi”, ha detto. È stato un momento importante per me.
A parte i testi sullo scoutismo in Italia, sulle Aquile Randagie si sa davvero molto poco….
Purtroppo è così. Il mito delle Aquile è poco conosciuto, e soprattutto poco raccontato, anche nell’ambiente scout. Gli straordinari ricercatori dell’Ente educativo Mons. Ghetti-Baden sono forse i più impegnati a diffondere la loro storia. Se avete la possibilità di ascoltare per una sera Emanuele Locatelli, non perdete l’occasione.
In Ribelli in fuga c’è una netta opposizione tra i fascisti, che cercano di unire tutti i ragazzi sotto la camicia nera, e i cinque protagonisti, che si oppongono con tutte le loro forze a una situazione disperata…
C’è una disperata lotta per difendere la propria ideologia. Il grandissimo Giovanni Barbareschi scrive: Il fascismo è una mentalità nella quale la verità non è amata e servita perché verità, ma è falsata, ridotta, tradita, resa strumento per i propri fini personali o del proprio gruppo o del proprio partito.
Un vero scout potrebbe accettare questa mentalità?
Perché ha scelto di usare un’ambientazione così suggestiva, come i monti dell’Appennino in pieno inverno?
Il contatto con la natura è essenziale per comprendere il mondo che ci circonda. È dentro di noi perché noi ne siamo figli. L’essere umano che tende la mano verso la natura ha l’occasione di crescere e conoscersi nel suo intimo più segreto.
Come si è documentato per scrivere Ribelli in fuga?
Per quanto riguarda il mondo scout, devo ringraziare il fantastico Capo Emanuele Vignolo, del reparto di Ovada. Mi ha messo sulla strada giusta e poi ha lasciato che facessi le mie ricerche. Da bravo topo di biblioteca ho letto e studiato tantissimo, soprattutto i testi di BP. E naturalmente ho passato mesi a studiare il momento storico, un periodo, quello a cavallo tra le due guerre, di cui esiste pochissima letteratura. È stato un lungo viaggio di ricerca storica e sociologica, un’immersione molto intensa.
Dalle Aquile Randagie a Nelson Mandela, passando per Alfonsina Strada, spesso nei suoi romanzi i protagonisti sono adolescenti in lotta contro un mondo che non li capisce…
Sono tutti personaggi cui vengono imposti limiti arbitrari, limiti e divieti che avvantaggiano qualcun altro a scapito della loro libertà, e che non possono accettare quei limiti perché ingiusti.
Loro hanno combattuto le loro battaglie e il mio modesto contributo è quello di ricordarle. Spero, però, di poter ispirare qualche nuovo Signor No.
O, meglio ancora, rendere più visibili le sbarre della gabbia che ci imprigiona tutti. Per essere davvero liberi è infatti necessario, prima, capire che non lo siamo.
Crede che i valori dello scoutismo, in un mondo come quello di oggi, così ricco di tecnologia, siano ancora attuali?
Certamente! Sono valori immortali.
La tecnologia non è altro che uno strumento, come un coltello o un bordone. Sta a noi scegliere il modo migliore per usarla.
Tra Milano, la Valtellina e Pavia si sta girando un film sulle Aquile Randagie? Cosa ne pensa?
Che è una magnifica iniziativa e che non vedo l’ora di potermelo gustare al cinema.
I diritti di Ribelli in Fuga sono stati opzionati da un’altra casa di produzione per cui è possibile che, tra poco, si cominci a parlare un po’ di più delle Aquile Randagie.
Che ruolo avrebbe come scout? Lupetto, Esploratore o Capo?
Data la mia età, penso che l’unica possibilità sia quella del Capo, ma non penso che ne sarei all’altezza.
Ho conosciuto la vita lontano dallo scoutismo, anche se il lavoro che ho fatto per il romanzo mi è entrato sottopelle. Mi impegno a camminare sul sentiero dei valori tracciati da BP, ma nel limite della mia individualità.
Essere scout ieri e oggi: domande a Tommaso Percivale Gli scout, una delle associazioni per ragazzi più amate in tutto il mondo, hanno una storia che parte da molto lontano, per la precisione dalla figura di…
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paoloxl · 6 years ago
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L'offensiva nazista al Paese comunista più grande del mondo, l'Unione Sovietica, inizia il 22 giugno 1941, quando 5.500.000 soldati, 3.500 carri armati e 2.000 aerei intraprendono l'attacco: i fronti che vengono aperti sono tre, dal nord verso Leningrado, al centro verso Mosca e a sud verso Kiev e, più in là, Stalingrado e il Caucaso.
I primi mesi di guerra costituiscono per l'URSS una vera e propria disfatta: le truppe dell'Armata Rossa sono costrette a retrocedere su ogni fronte, e le perdite sono innumerevoli.
Il governo comunista dell'Unione Sovietica risponde organizzando un'offensiva senza precedenti, che verrà chiamata la "guerra popolare": centinaia di migliaia di civili, tra cui moltissime donne, intraprendono atti di resistenza e di sabotaggio, mettendo sempre più in difficoltà l'invasore tedesco.
Gli abitanti di Leningrado scavano centinaia di chilometri di trincee anticarro, riuscendo eroicamente a difendere la città dall'invasione per più di 900 giorni, mentre a Mosca Stalin organizza una parata militare nell'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, per ricordare al popolo la potenza militare dell'Armata Rossa: l'esercito dalla sfilata marcia direttamente al fronte.
Il fronte del sud è probabilmente il più importante della campagna di Russia tedesca, in quanto è proprio nel Caucaso, superato il Volga, che si trovano i più importanti giacimenti di petrolio, nonché le maggiori coltivazioni agricole di tutta l'URSS.
Per questo, con l'avvicinarsi dell'esercito occupante al fiume Volga, Stalin pubblica, il 27 luglio 1942, il decreto 227, che dice, tra l'altro : "Se non fermiamo la ritirata rimarremo senza pane, senza gasolio, senza metalli, senza materie prime, senza fabbriche né impianti, senza ferrovie. In conclusione: è ora di fermare la ritirata, non un passo indietro! Questa deve essere d'ora in poi la nostra parola d'ordine. Dobbiamo proteggere ogni punto forte, ogni metro di terra sovietica, irriducibilmente, fino all'ultima goccia di sangue. Dobbiamo aggrapparci ad ogni centimetro della nostra patria e difenderlo in qualsiasi modo. La nostra patria vive tempi difficili. Dobbiamo fermare, affrontare e distruggere il nemico, a qualsiasi costo. I tedeschi non sono così forti come dicono coloro che si son fatti prendere dal panico. Le sue forze si sono tese fino al limite. Fermare i suoi colpi adesso significa assicurarci la vittoria in futuro."
Il 21 agosto 1942 le truppe tedesche conquista il Don, e due giorni dopo, il 23 agosto, la sedicesima Panzer Division del generale Hans Hube irrompe improvvisamente sul Volga, bloccando gli accessi alla città di Stalingrado, iniziando l'assedio con un primo massiccio bombardamento a tappeto sulla città. Coloro che rimangono in città si dedicano totalmente al lavoro di difesa, tutte le fabbriche sono convertite alla produzione militare, e i carri armati vanno dalla linea di montaggio direttamente al fronte. Cujkov, generale messo a difesa di Stalingrado da Stalin stesso, comandante della 62° Armata, con i suoi soldati, difende strenuamente la città, facendo come proprio il motto "A Stalingrado il tempo è sangue".
Nei primi giorni di settembre non c'è più un solo edificio in piedi a Stalingrado, ma gli uomini dell'Armata Rossa, formate piccole unità di 6 o 9 effettivi, continuano a combattere strenuamente: l'ordine di Cujkov è di rimanere a non più di 50 metri, o alla distanza di un tiro di una bomba a mano, dal fronte nemico, in qualsiasi momento.
Alla strenua difesa di Stalingrado, così come a tutta la guerra nell'Unione Sovietica, partecipano centinaia di migliaia di donne, e la loro presenza è particolarmente sconcertate per i tedeschi: un ufficiale tedesco, in una lettera alla propria famiglia, scrive "È impossibile descrivere quello che sta succedendo qui. Ogni persona, a Stalingrado, che ha ancora la testa e le mani, uomo o donna, continua a lottare".
La difesa di Stalingrado dà i suoi frutti, l'occupante subisce perdite importanti e, con l'avvicinarsi dell'inverno comincia ad avere problemi di approvvigionamento; il 10 novembre 1942 l'Armata Rossa lancia il contrattacco con l'operazione Urano, una manovra a tenaglia per accerchiare il nemico.
Finalmente, il 2 febbraio 1943, gli ultimi nuclei tedeschi ancora di stanza a Stalingrado si arrendono.
La storica vittoria di Stalingrado, che ha coinvolto non solo le truppe dell'Armata Rossa, ma tutta la popolazione locale in uno strenuo combattimento casa per casa, aprendo la strada alla controffensiva militare, svela al mondo che la tanto osannata invincibilità tedesca non è altro che propaganda, e ridà ai popoli europei oppressi dalle dittature naziste e fasciste, a da una guerra che non avevano voluto, una reale speranza di libertà, pace e riscatto.
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italianiinguerra · 5 years ago
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I bollettini di guerra del 9 maggio 1941-42-43
I bollettini di guerra del 9 maggio 1941-42-43
Il Bollettino del Quartier Generale delle Forze armate venne diramato in Italia a partire dall’ 11 giugno 1940, giorno in cui venne emesso il n° 1, fino al tragico 8 settembre 1943, per un totale di 1.201 comunicati. Esso, come venne indicato nelle disposizioni ufficiali, a partire dal 15 giugno 1940, sarà diramato alle ore 13 e conterrà tutto quanto concernente lo svolgimento delle operazioni…
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jamariyanews · 7 years ago
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L’internazionale criminale: la Lega anticomunista mondiale
di Thierry Meyssan
Fondata a Taiwan da Chiang Kai-shek, Reverendo Moon e da criminali nazisti e di guerra giapponesi, la Lega anticomunista mondiale (WACL) con Nixon la prima volta estese i metodi contro-insurrezionali nel sud-est asiatico e nell’America Latina. Sette capi di Stato parteciparono alle sue riunioni. Poi, rediviva con l’era Reagan, divenne uno strumento del complesso militare-industriale degli USA e della CIA durante la Guerra Fredda. Gli furono commissionati omicidi politici e l’addestramento controinsurreazionale in tutti i conflitti, tra cui l’Afghanistan dove era rappresentata da Usama bin Ladin.
Rete Voltaire| Parigi (Francia) | 3 luglio 2016  
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Alla fine della seconda guerra mondiale, i servizi segreti statunitensi utilizzarono fascisti, ustascia e nazisti per creare una rete di agenti anticomunisti: Stay-behind [1]. Se reclutati negli Stati Uniti i futuri agenti atlantici dovevano rimanere segreti, negli Stati sotto il controllo sovietico, al contrario, dovevano agire pubblicamente. Fu creata quindi, nel 1946, una sorta di ente internazionale per coordinare l’azione degli agenti orientali trasferiti in occidente: il Blocco delle Nazioni anti-bolsceviche (ABN). Fascisti ucraini, ungheresi, rumeni, croati, bulgari, slovacchi, lituani, ecc. si unirono sotto la guida di Yaroslav Stetsko. Ex-capo collaborazionista ucraino, Stetsko è considerato il responsabile del massacro di 700 persone, per lo più ebrei, a Leopoli del 2 luglio 1941.
Otto anni più tardi, alla fine della guerra di Corea, gli Stati Uniti sostituirono la Francia in Indocina [2]. Il presidente Eisenhower creò un sistema di difesa regionale diretto contro l’URSS e la Cina. L’8 settembre 1954, seguendo il modello della NATO, fu creata la SEATO che raggruppava Australia, Nuova Zelanda, Pakistan, Filippine, Thailandia, Regno Unito e Stati Uniti. Il 2 dicembre il dispositivo fu completato con un trattato di difesa bilaterale tra Stati Uniti e Taiwan [3]. In parallelo, la CIA, sotto la direzione di Allen Dulles, struttura i servizi spionistici di tali Stati e crea un’organizzazione di contatto tra i partiti anticomunisti nella regione. Quindi, viene creata attorno Chiang Kai-shek la Lega anti-comunista dei popoli dell’Asia (APACL). Oltre al presidente di Taiwan Chiang Kai-shek, l’APACL conta tra i suoi membri Paek Chun-hee, futuro presidente della Corea del Sud; Ryiochi Sasakawa, criminale di guerra divenuto milionario e benefattore del Partito liberale giapponese; e il Reverendo Sun Myung Moon [4], profeta della Chiesa dell’Unificazione. Inoltre, nelle file dell’APACL vi erano il generale Prapham Kulapichtir (Thailandia), il presidente Ferdinando Marcos (Filippine), il principe Sopasaino (Laos) [5] il colonnello Do Dang Cong, rappresentante del presidente del Vietnam Nguyen Van Thieu), ecc. L’APACL è sotto il controllo totale di Ray S. Cline, allora capo della stazione della CIA a Taiwan [6], e pubblica l’Asian Bulletin redatto da Michael Lasater, futuro capo del dipartimento dell’Asia della Heritage Foundation [7].
1967
La creazione della WACL
1976 The WACL 9th Conf. held at Seoul, Korea Dal 1958, il presidente del Blocco delle Nazioni anti-bolsceviche (ABN) presenziò a Taipei, in occasione della conferenza annuale della Lega anticomunista dei Popoli dell’Asia (APACL). Stetsko e Cline supervisionarono la fondazione della Political Warfare Cadres Academy di Taiwan, l’istituzione responsabile dell’addestramento dei quadri del regime di Chiang Kai-shek nella repressione anticomunista. L’accademia è l’equivalente asiatico del Psychological Warfare Center di Fort Bragg (Stati Uniti) e della Scuola delle Americhe a Panama [8]. Progressivamente, la CIA formò una rete di gruppi politici ed istruttori in controinsurrezione in tutto il mondo. Nel 1967, ABN e APACL si fusero denominandosi Lega anticomunista mondiale (World Anti-Communist League, WACL) estendendo le attività a tutto il “mondo libero”. Tra i nuovi membri vi erano i Los Tecos o Legione di Cristo Re, formazione fascista messicana creata durante la Seconda Guerra Mondiale. La Lega nella prima fase conobbe un boom negli anni ’73-’75, quando Richard Nixon e il consigliere per la sicurezza Henry Kissinger occupavano la Casa Bianca.
Il suo finanziamento è assicurato generosamente dalla Chiesa della Riunificazione. Tuttavia, tale realtà non è più riconosciuta pubblicamente dal 1975. Il Rev. Sun Myung Moon disse poi di aver rotto i legami con la Lega, ma continuava ad esercitare la propria leadership tramite il suo rappresentante giapponese Osami Kuboki.
Il ruolo della WACL nell’attuazione dei piani Fenice (1968-1971) e Condor (1976-1977), con l’assassinio di migliaia di sospetti simpatizzanti del comunismo nel sud-est asiatico e in America Latina, non è sufficientemente documentato. L’Operazione Phoenix fu probabilmente applicata in Vietnam dal Joint Unconventionnal Warfare Task Force del maggiore-generale John K. Singlaub, poi presidente della WACL. Tuttavia, Singlaub ha sempre negato il coinvolgimento in tale operazione. D’altra parte, il generale Hugo Banzer, che impose la sua dittatura in Bolivia nel 1971-1978, presiedette la sezione latinoamericana della WACL. Banzer organizzò un piano per eliminare fisicamente i suoi oppositori comunisti nel 1975. Il piano Banzer fu presentato come modello da seguire in un vertice latinoamericano della WACL ad Asuncion, nel 1977, alla presenza del dittatore paraguaiano Alfredo Stroessner. Una mozione diretta a procedere nello stesso modo, l’eliminazione di tutti i sacerdoti e religiosi seguaci della teologia della liberazione nell’America Latina, fu presentata dalla delegazione del Paraguay e adottata dalla Conferenza mondiale della WACL nel 1978 [9]. Non si sa con certezza il ruolo della WACL nella strategia della tensione che colpì l’Europa in quel periodo. François Duprat, fondatore di Ordine Nuovo francese; Giorgio Almirante, fondatore del MSI; lo spagnolo Jesus Palacio, fondatore di CEDADE; il belga Paul Vankerhoven, presidente del Circolo delle nazioni, e altri come loro, militarono nella WACL. La Lega esfiltrò dall’Italia Stefano delle Chiaie [10] ricercato per terrorismo, e l’inviò in Bolivia, allora sotto il regime di Hugo Banzer, dove fu nominato subito secondo di Klaus Barbie alla testa degli squadroni della morte. La documentazione è scarsa anche sul ruolo della WACL nella guerra in Libano. E’ noto, al massimo, che reclutò mercenari per le milizie cristiane del presidente Camille Chamoun nel 1975, una settimane prima dello scoppio del conflitto.
Al suo arrivo alla Casa Bianca nel 1977, Jimmy Carter volle porre fine alle pratiche sordide dei predecessori. L’Ammiraglio Stanfield Turner fu nominato capo della CIA e si dedicò ad eliminare i regimi autoritari in America Latina. Fu dura per la WACL, che non ricevette più finanziamenti dai suoi membri. Allora divenne un covo di anti-Carter, preparandosi a giorni migliori e creando spontaneamente rapporti con la principale organizzazione anti-Carter degli Stati Uniti, la Coalizione Nazionale per la Pace Attraverso la Forza (National Coalition for Peace Through Strength). Tale fronte del rifiuto promanava dal Consiglio di sicurezza nazionale statunitense, che il presidente Eisenhower designò con il termine “complesso militare-industriale” [11]. I suoi co-presidenti erano il generale Daniel O’Graham [12], che partecipò con George H. Bush alla Commissione Pipes per la rivalutazione della minaccia sovietica, denominata Team B [13], e il generale John K. Singlaub [14]. Numerosi funzionari della Lega erano legati ai comitati per l’elezione di Ronald Reagan. Per molti di loro, il governatore repubblicano della California non era un estraneo. In effetti, alla fine della seconda guerra mondiale, Reagan fu portavoce della Crociata per la libertà, la raccolta fondi per accogliere negli Stati Uniti gli immigrati dall’Europa orientale in fuga dal comunismo. Difatti si trattava di radunare nazisti, fascisti ed ustascia nel Blocco delle Nazioni anti-bolsceviche (ABN). E il vicepresidente George H. Bush era un altro amico. Da direttore della CIA fu a capo dell’Operazione Condor.
L’età d’oro della WACL
Con l’arrivo di Ronald Reagan e George H. Bush alla Casa Bianca, la WACL riacquista vigore e continua a svilupparsi. I vecchi contatti danno frutti. Il complesso militare-industriale degli Stati Uniti finanzia la creazione della sezione statunitense della WACL denominata Consiglio per la Libertà Mondiale (Council for World Freedom, USCWF). Il presidente era il generale John K. Singlaub e il vicepresidente era il generale Daniel O’Graham. Ma non solo. Il complesso militare-industriale fece della WACL lo strumento centrale della repressione anticomunista mondiale. Singlaub divenne così presidente della WACL.
La Lega agisce su tutti i fronti : Per combattere la presenza sovietica in Afghanistan, il Consiglio di Sicurezza Nazionale statunitense [15] finanziò una sezione della WACL: il Comitato per un Afghanistan Libero con sede presso la Fondazione Heritage. L’operazione inizia con la visita ufficiale di Margaret Thatcher e Lord Nicholas Bethell, capo dipartimento dell’MI6, negli Stati Uniti, e la dirige il generale J. Milnor Roberts. Il Comitato è direttamente coinvolto nel supporto logistico ai “combattenti per la libertà”, autorizzati dal direttore della CIA William Casey [16] e diretti da Usama bin Ladin [17]. Il legame tra la WACL e l’affarista saudita l’assicura un collaboratore dello sceicco, Ahmad Salah Jamjun dell’impresa di costruzioni Bin Ladin Group, e un ex-primo ministro dello Yemen del Sud [18]. Nelle Filippine, il presidente Ferdinando Marcos rappresenta la WACL. Ma quando viene estromesso nel 1986, John K. Singlaub e Ray Cline arrivano nel Paese per scegliere nuovi partner, quindi creano un gruppo paramilitare antiguerriglia e scelgono il generale Fidel Ramos [19], amico di Frank Carlucci [20], George H. Bush e Bin Ladin. Per combattere la rivoluzione sandinista in Nicaragua, la WACL crea una base logistica nella proprietà di John Hull in Costa Rica, con istruttori argentini. La Lega usa anche i servizi offerti dal Capo di Stato Maggiore dell’Honduras, generale Gustavo Alvarez Martinez, che recluta mercenari utilizzando la copertura umanitaria del Refugee Relief International. In Guatemala, la WACL conta su Mario Sandoval Alarcon, capo del Movimento di Liberazione Nazionale. Sandoval, vicepresidente nel 1974-1978, era il vero padrone del Paese, essendo il generale-presidente Romeo Lucas Garcia null’altro che un burattino. Sandoval creò gli squadroni della morte che uccisero più di 13000 persone in cinque anni. Nel Salvador, la WACL si affidò a Roberto D’Aubuisson, formatosi all’accademia di Taiwan e beneficiario degli aiuti dai guatemaltechi. D’Aubuisson divenne capo dell’ANSESAL, equivalente locale della CIA, e di un’organizzazione paramilitare di destra, il Partito Repubblicano Nazionalista (ARENA). Inoltre, creò gli squadroni della morte e fece uccidere l’arcivescovo Oscar Romero.
Harry Aderholt & John Singlaub
Ma il successo della WACL ne causò anche la caduta. Nel 1983, il sottosegretario alla Difesa Fred C. Iklé [21] creò al Pentagono un comitato segreto di otto esperti, il Consiglio per la Difesa della Libertà, guidato dal generale John K. Singlaub [22]. E’ noto che la commissione decise che l’intervento segreto in Afghanistan fosse un modello da seguire anche in Nicaragua, Angola, Salvador, Cambogia e Vietnam, ma non vi sono abbastanza documenti sui dettagli delle loro operazioni. Nel 1984 Ronald Reagan lasciò alla Lega in generale e in particolare a John Singlaub, il finanziamento congiunto dell’Irangate sotto la diretta autorità del colonnello Oliver North del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Lo scandalo scoppiò nel 1987, svelando tutto e distruggendo la WACL.
Thierry Meyssan
Traduzione Alessandro Lattanzio (Sito Aurora)
[1] « Stay-behind : les réseaux d’ingérence américains », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 20 août 2001. [2] L’esercito francese perse la battaglia di Dien Bien Phu il 7 maggio 1954. [3] D’altra parte, il 29 gennaio 1955, il Congresso diede carta bianca al presidente Eisenhower autorizzandolo ad entrare in guerra per difendere Taiwan se attaccata dai comunisti. [4] « Révérend Moon : le retour », Réseau Voltaire, 26 mars 2001. [5] Il principe Sopasaino, vicepresidente dell’Assemblea Nazionale del Laos, fu intercettato dalle autorità francesi nell’aeroporto Orly di Parigi, il 23 aprile 1971. Aveva nei bagagli 60 kg di eroina pura. [6] Ray S. Cline fu l’analista più ascoltato allo scoppio della guerra di Corea. Fu capo della stazione della CIA a Taipei dal 1958 al 1962. La sua copertura era direttore dell’US Naval Auxiliary Communications Center. Divenne vicedirettore della CIA grazie al cambio del personale causato dal fiasco della Baia dei Porci. Pubblicò un libro di memorie, Secrets, Spies and Scholars, Editorial Acropolis Books, 1976. [7] Michael Laseter era il principale responsabile della Chiesa universale e trionfante (CUT) di Elizabeth Claire. A metà degli anni ’70, la setta fu al centro di uno scandalo quando un arsenale militare fu scoperto presso la sede in California. Uno dei suoi capi fu nominato direttore esecutivo della rappresentanza della WACL in Afghanistan, negli anni ’80. [8] La Scuola delle Americhe (SOA) fu poi trasferita a Fort Benning negli Stati Uniti. La nostra biblioteca elettronica offre una guida completa agli studenti della scuola nel 1947-1996. [9] Questa operazione sembra essere stata condotta in coordinamento con monsignor Alfonso Lopez Trujillo, allora Segretario Generale della Conferenza Episcopale Latinoamericana (CELAM). [10] « 1980 : carnage à Bologne, 85 morts », Réseau Voltaire, 12 mars 2004. [11] La Coalizione Nazionale per la Pace attraverso la Forza ebbe fino a 257 congressisti. [12] Il tenente-generale Daniel O’Graham fu vice direttore della CIA incaricato delle relazioni con le altre agenzie d’intelligence (1973-1974) e successivamente direttore della DIA (1974-1976). Direttore esecutivo del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli USA, fu uno dei principali fautori della proposta “Star Wars”. Fondò High Frontier che presiedette fino alla morte nel 1995. [13] Nel 1975, l’estrema destra accusò la CIA di essere stata penetrata da infiltrati comunisti e di minimizzare il pericolo rosso. Il presidente Ford quindi nominò George H. Bush direttore dell’Agenzia ed autorizzò il completamento di una contro-verifica. Richard Pipes creò “Team B” che pubblicò un rapporto allarmista per giustificare la ripresa della corsa agli armamenti. Oggi è noto che la Commissione Pipes travisò deliberatamente i dati per aprire mercati al complesso militare-industriale. Su questo argomento, vedasi: « Les marionnettistes de Washington », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 13 novembre 2002. “Daniel Pipes, esperto dell’odio”, Traduzione di Franco Cilli, Rete Voltaire, 5 maggio 2004. [14] John K. Singlaub fu un ufficiale dell’OSS durante la seconda guerra mondiale. Creò la guerriglia del Kuomintang di Chiang Kai-shek contro i giapponesi. Durante la guerra di Corea fu a capo della stazione della CIA, e più tardi, durante la guerra del Vietnam, diresse i Berretti Verdi. Fu istruttore di controinsurrezione a Fort Benning. Andato in pensione, divenne il direttore della formazione presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale degli USA. Fu in quella posizione che divenne co-presidente della Coalizione e, in seguito presidente della Lega. [15] La National Endowment for Democracy finanzia il Comitato dal 1984. Questi poi trasmetteva parte dei fondi ricevuti a organizzazioni umanitarie per i propri scopi politici in Afghanistan, in particolare Medici senza frontiere, Bernard Kouchner e Assistenza medica internazionale. [16] Gli Stati Uniti destabilizzarono deliberatamente l’Afghanistan, ma non si aspettarono l’entità della reazione militare di Mosca. Washington quindi mobilitò gli alleati nella guerra, non per “liberare” gli afgani, ma esplicitamente per evitare che l’URSS avanzasse verso il Mare Arabico. [17] Nel 1983, la WACL stampò T-shirt con l’effige di Usama bin Ladin e la scritta “Sostieni i combattenti per la libertà afgani. Combattono per te!“. [18] Usama bin Ladin non veniva presentato come un musulmano credente, ma come affarista anticomunista scelto dal principe Turqi, capo dei servizi segreti sauditi, per partecipare alla guerra degli Stati Uniti contro i sovietici. Bin Ladin fu prima responsabile della direzione della costruzione delle infrastrutture necessarie ai “combattenti per la libertà”, dopo gestì i rifornimenti ai mujahidin stranieri che li raggiunsero. Usama Bin Ladin divenne solo alla fine un credente musulmano per imporre la sua autorità. [19] Il generale Fidel Ramos fu eletto presidente nel 1992. Alla fine del mandato, nel 1998, entrò nel Gruppo Carlyle. Vedasi: « Le Carlyle Group, une affaire d’initiés », Réseau Voltaire, 9 février 2004. [20] « L’honorable Frank Carlucci », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 11 février 2004. [21] Fred C. Iklé era il secondo di Caspar Weinberger al Pentagono. Questo storico guerriero freddo è attualmente membro di Center for Security Policy (CSP) e di Progetto per il Nuovo Secolo Americano (PNAC), ed amministratore della Smith Richardson Foundation. [22] Tale comitato comprende i generali Harry Aderholt e Edward Lansdale, il colonnello John Waghelstein, Seale Doss, Edward Luttwak, il maggiore F. Andy Messing Jr. e Sam Sarkessian. Preso da: http://www.voltairenet.org/article192711.html
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pangeanews · 6 years ago
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“Appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”: non potete non leggere Giorgos Seferis, l’Odisseo del Novecento
Con levantina malizia – per altro sostanzialmente sconosciuta a un poeta della luminosità – Giorgos Seferis chiude il discorso di accettazione sul palco del Nobel per la letteratura così: “grato alla ‘bontà di Svezia’ che mi ha permesso, infine, di sentirmi come un ‘nessuno’ – intendete questa parola nel senso che Ulisse la usò per rispondere al Ciclope, Polifemo: ‘nessuno’ – un nessuno, giunto da quella corrente misteriosa che è la Grecia”. Nell’asserzione, appunto, c’è l’astuzia e la verità: tutti siamo dei ‘nessuno’ all’ombra di nomi altisonanti. In più, era il 1963, Seferis aggiungeva una stilettata: la lingua greca, che ha dato all’Occidente le fondamenta ora è un mistero.
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Giorgios Seferis fu il primo Nobel per la letteratura greco, seguito, quarant’anni fa, da Odysseas Elytis. Al drappello avrebbe dovuto unirsi Ghiannis Ritsos, per alcuni tra i sommi poeti di sempre. Grecia terra di poeti: lo testimonia il ‘Meridiano’ Mondadori del 2010, Poeti greci del Novecento, allestito da Nicola Crocetti e da Filippomaria Pontani – figlio del grande grecista Filippo Maria. Nell’introduzione al volume complessivo dedicato a Seferis per la collana de ‘i Nobel’ – prima Club degli Editori, poi Utet – nel 1971, Vittorio Sereni parla della prima volta che ha letto il poeta greco. “Nel 1949, quando si lavorava con un gruppo di amici a ‘La Rassegna d’Italia’ allora diretta da Sergio Solmi, ci arrivò un plico da Giuseppe Ungaretti. Conteneva le prime cinque poesie di Seferis tradotte in Italia ad opera di quello stesso Filippo Maria Pontani che già ci aveva fatto conoscere la poesia di Kavafis. Le poesie apparvero nel numero di luglio-agosto della ‘Rassegna’ e dettero inizio alla fortuna del poeta in Italia”. Fortuna oggi decisamente defunta. Le Poesie di Seferis nella traduzione di Pontani, infatti, vengono pubblicate da Mondadori nel 1963 e continuamente ristampate fino agli Ottanta, quando escono dall’orbita della fama. Per fortuna, piuttosto, che c’è Nicola Crocetti: nel 2017 traduce Le poesie di Seferis per la propria casa editrice.
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Oggi i poeti modesti si leggono tra loro, si commentano, sanno cosa ha scritto Pico Pallino e ne citano con aspro gusto qualche verso udito nella città di X al festival Y. Non leggono i grandi. Chi legge oggi Seferis? Il grande poeta de Il “Tordo” e del Re d’Asíne, poesie che sono nel carnet di chiunque scriva, di chiunque sia davvero uomo, insieme a quelle di Iosif Brodskij – a cui lo apparenta l’esilio – e di Yves Bonnefoy, di W.H. Auden e di Kavafis, di Thomas S. Eliot e di Eugenio Montale e di Osip Mandel’stam, per dire. Sentite:
Tutto il mattino scrutammo d’intorno la rocca, cominciando dal lato dell’ombra, dove il mare verde senza barbagli, petto di pavone ucciso, ci accolse come il tempo senza vuoti…
Dalla parte del sole un lungo litorale spalancato, e la luce forbiva diamanti alle muraglie. Non v’era creatura viva, fuggiaschi i palombacci e il re d’Asíne, che cerchiamo da due anni, sconosciuto e scordato da tutti, anche da Omero una parola sola nell’Iliade, e mal certa gettata qua come la funebre maschera d’oro. La toccasti, ricordi il suo rimbombo? Vuoto nella luce, un doglio secco nel suolo scavato; eguale era il rimbombo del mare ai nostri remi. Il re d’Asíne, un vuoto sotto la maschera, sempre Con noi, sempre con noi dovunque, dietro un nome… I suoi figli statue, battiti d’ali le sue brame e il vento nelle more dei suoi pensieri, e le sue navi attraccate in un porto sparito. Sotto la maschera un vuoto.
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La grandezza stordisce perché Seferis porta l’arcaico nell’oggi, istoriando la luce, dando tempo alla fermezza. Si potrebbe fare una conferenza su quella similitudine – che è ‘modernista’ ed è del sempre. Il mare che è come un “petto di pavone ucciso” e che “ci accolse come il tempo senza vuoti”.
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Henry Miller va in Grecia per conoscerne il poeta, quell’Odisseo risorto nel Novecento. Nel Colosso di Marussi, pubblicato nel 1941, lo descrive così: “languido, soave, vitale, capace di sorprendenti atti di forza e d’agilità… vi viene incontro con tutto il suo essere, avvolgendovelo intorno al braccio con calore e con tenerezza… appassionato dal carattere sibillino di ogni cosa”. Una squillante vitalità tesa ai sibili del creato.
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Mi appassiona questa denuncia di poetica. “Non è la mia opera che m’interessa al di sopra di tutto: è l’opera, senza alcun possessivo: è questa che deve vivere, ove pure in essa si brucino i nostri contributi individuali. Ho la più chiara coscienza che non viviamo in tempi in cui il poeta possa credere che l’attende la fama, bensì in tempi di oblio. Ma questo non m’induce a essere meno devoto al mio credo: lo sono di più”. Una miniera di luce nell’oblio. Certi che non esiste un ‘proprio’ nella poesia – semmai, l’appropriato, l’appropriarsi di un’era, di cui si è la torcia, quello che fiamma – e brucia, spegnendosi.
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Nel 1949 Filippo Maria Pontani, il primo e fedele traduttore, ne scrive così. “Ha rotto definitivamente gli schemi di una tradizione esausta. La sua rivoluzione può assegnargli il posto che spetta nella lirica italiana all’Ungaretti, mentre più d’un aspetto dell’ispirazione e della forma, e l’amore per T.S. Eliot, fanno talora pensare al Montale. Il mondo del S., pieno di accoramento per la sua terra (echi profondi della tragedia microasiatica), percorso dall’alito del mare, dalla memoria attonita e commossa delle reliquie, dei simboli, dei miti di mondi sepolti, dall’amaro disincantamento della vita quotidiana, è un mondo di cupo e tragico pessimismo, che trova in una poesia via via più libera da compromessi di ‘canto’, austera insieme e tremante, grave e pura, schiva e padroneggiata e tuttavia suggestivamente evocativa, la sola, e la più alta, catarsi”.
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L’esilio è l’emblema della vita di Seferis. Prima lo subisce, tragicamente. Nativo di Smirne, nel 1922, di fronte all’avanzata violenta dei turchi di Kemal deve ritirarsi con la famiglia ad Atene. Così racconta i fatti Vittorio Sereni: “In una situazione di per sé confusa, complicata dall’oscuro intralcio di interessi delle potenze dell’Intesa, i fatti si svolsero sotto gli occhi dei rappresentanti di queste, sia diplomatici sia militari. Truppe turche entrarono a Smirne il 9 settembre del 1922 e il 13 il fuoco avvampò… massacri e sevizie si svolsero anche alla luce del giorno e i turchi sparavano su quanti cercavano scampo verso il mare per un imbarco disperato su qualunque mezzo natante. Tra i 75.000 e 100.000 fu calcolato il numero delle vittime, molte delle quali giacevano sulla pubblica via”. Seferis studia giurisprudenza a Parigi, con il padre. In quel disastroso 1922 Thomas S. Eliot pubblica La terra desolata, così importante per Seferis. Avviato alla carriera diplomatica, il greco incontra il poeta prediletto nel 1951, quando è in Inghilterra al servizio del ministero degli esteri. In UK, poi, sarà ambasciatore dal 1957 al 1961. Tre anni prima di Seferis, nel 1960, un altro poeta alto diplomatico fu insignito del Nobel, Saint-John Perse, seguace di un altro poeta diplomatico, Paul Claudel. I poeti, celebri o pezzenti, sono sempre in viaggio, in mondi ‘altri’.
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Poeta disincantato, teso alla vita, Seferis è un diarista eccellente. La ‘lettera’, in lui, non predomina sul frugare il giorno: il corpo si fa verbo, semmai, la parola intenzione che tende le dita. “Un qualunque villaggio mi darebbe mille volte più umanità della giungla ateniese. Bisogno intenso – ieri e oggi – di lasciare tutte queste idiozie: non per avere il tempo di fare letteratura, ma per maturare e morire da uomo”. E poi: “Nel pomeriggio ho spaccato legna fino all’imbrunire. Sono tornato a casa sudato, con le mani piene di resina. Bagno; e poi mi sono seduto al mio tavolo. Ho finito la poesia. Titolo: Il “Tordo”. Non so se è buona. So che è finita. Adesso deve asciugarsi”. Spaccare la legna come scrivere poesia; il sudore e l’asciugatura della poesia, essudata.
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Bisognerebbe ripubblicare il diario in cui Seferis racconta dei suoi incontri con Thomas S. Eliot lungo un decennio, dal 1951 (“da Stephen Spender, ricevimento in onore di Auden… ho conosciuto Eliot. Sennonché le cose erano organizzate in tal modo che ha parlato tutta la sera con mia moglie. Erano sistemati alla stessa tavola”) al 1962, con quella chiusa, “Mentre lo salutavo, mi ha chiesto come ci facciamo il segno della croce noi ortodossi”.
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Il dettaglio dell’appartamento di Thomas S. Eliot a Kensington (è il 10 dicembre 1960) dice del carattere del poeta. “Nessun lusso all’interno; arredamento piuttosto impersonale, a una prima occhiata. Fuoco acceso nel caminetto del salotto. Al muro uno schizzo di Pound, fatto da Wyndham Lewis, un piccolo paesaggio di John Ruskin e un acquerello di Edward Lear. C’era anche un busto del poeta, di J. Epstein, che non m’ha entusiasmato”. Il poeta che si autocanonizza – con busto in casa – parla per accenni, vescovili. “Abbiamo parlato di Pound. Ha detto bene dei Canti pisani. ‘Era sempre in movimento’, ha continuato, ‘tutto il tempo di Londra ha portato camicie Schiller, sempre trasandato. Più tardi ho saputo – ha sorriso – che se le faceva su misura’”. Cattedratico, cardinalizio, mai una parola di troppo, Eliot è il poeta cittadino che del sodale dice per accennare alle camicie, allo stato trasandato. Dall’altra, il poeta della vitalità, solare, che spacca la legna ed è abbagliato dal nitore formale della poesia eliotiana. Che incontro buffo: l’uomo e il verbo, l’omerico e il labirintico, la luce e l’ombra.
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Seferis ha tradotto il Cantico dei Cantici e l’Apocalisse; ha scritto un saggio sulle ambigue prossimità tra Eliot e Kavafis. Ha detto: “Quanto più l’artista è ‘pari a se stesso’ tanto più pienamente trasfonde il suo tempo nell’opera”. L’impegno di un poeta con la propria epoca è diventare uomo, individuo scalpellato dal verbo, autonomo, mai in resa. (d.b.)
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Argonauti
E un’anima se si vuole conoscere in un’anima rimiri: lo straniero, il nemico, lo vedemmo allo specchio.
Erano bravi ragazzi i compagni, non gridavano né di stanchezza né di sete né di gelo, erano come gli alberi e le onde che ricevono vento e pioggia ricevono notte e sole senza mutare in mezzo a mutamenti. Erano bravi ragazzi, interi giorni sudavano sul remo, gli occhi bassi, respirando in cadenza e il sangue imporporava una docile pelle. Cantarono una volta, gli occhi bassi, quando doppiammo l’isola scabra dei fichi d’India a ponente, di là da quel Capo dei cani uggiolanti. Se si vuole conoscere – dicevano – miri in un’anima – dicevano – e battevano i remi l’oro del mare nel crepuscolo. Passammo capi molti molte isole il mare che mette ad altro mare, gabbiani, foche. Ululati di donne sventurate piangevano i figli perduti, altre come frenetiche cercavano Alessandro Magno, glorie colate a picco in fondo all’Asia. Attraccammo a rive colme d’aromi notturni e gorgheggi d’uccelli, e un’acqua che lasciava nelle mani la memoria di gran felicità. Non finivano, i viaggi. Si fecero le anime loro una cosa sola con remi e scalmi con la grave figura della prora, col solco del timone, con l’acqua che frangeva gli specchiati sembianti. I compagni finirono, a turno, con gli occhi bassi. I loro remi additano il posto dove dormono, sul lido.
Non li ricorda più nessuno. È giusto.
Giorgos Seferis
Da “Leggenda”, 1935; traduzione italiana di Filippo Maria Pontani
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claudiodangelo59 · 4 years ago
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Il 27 Agosto 1944 moriva il "Corsaro dell'Atlantico", l'asso dei sommergibilisti italiani con 17 imbarcazioni nemiche affondate, Capitano di Fregata Carlo Fecia di Cossato M.O.V.M.
Comandante dei sommergibili "Menotti" e "Tazzoli", a bordo di quest'ultimo si distinse, fra l'Aprile del 1941 e la fine del 1942, in sei lunghe missioni atlantiche partendo dal porto di Bordeaux con l'affondamento di 17 navi nemiche. In seguito venne trasferito al comando della torpediniera "Aliseo" mentre i suoi uomini del "Tazzoli" compivano l'ultima missione dalla quale mai tornarono, ciò lo sconvolse profondamente. Il 9 Settembre 1943, all'indomani dell'Armistizio, condusse la torpediniera in un epico scontro contro il naviglio tedesco nel porto di Bastia in Corsica, in cui solo con la sua nave, per prestare soccorso alla torpediniera "Ardito" rimasta bloccata sotto il tiro delle batterie costiere cadute in mano alla Wehrmacht e di altre navi tedesche presenti in porto, invertí la sua rotta ed affondó ben sette imbarcazioni. L'azione gli valse la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Destituito nel Giugno del 1944 per non aver prestato giuramento di fedeltà al nuovo Governo (si sentí disonorato dal Re e dallo Stato Maggiore) venne posto agli arresti il 22 dello stesso mese con l'accusa di "insubordinazione", salvo poi essere rilasciato il giorno successivo a seguito dei tumulti degli equipaggi che si schierarono con lui. Fu riabilitato e messo quindi in licenza per tre mesi, tentó invano di raggiungere la sua famiglia a Nord e venne ospitato da un amico a Napoli. Durante questo periodo cercó di avere un colloquio con il Luogotenente del Regno Umberto di Savoia per spiegargli i motivi del suo gesto, ma non ci riuscí. Il 21 Agosto, allora, scrisse la sua lettera testamento indirizzata alla madre e il 27 Agosto scelse la via del suicidio per denunciare la grave crisi dei valori in cui aveva sempre creduto. Prese la pistola d'ordinanza e si sparó un colpo alla tempia.
Qui di seguito la sua lettera:
"Napoli, 21 agosto 1944
Mamma carissima,
quando riceverai questa mia lettera saranno successi fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile.
Non pensare che io abbia commesso quel che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuravo.
Da nove mesi ho soltanto pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito alla resa ignominiosa della Marina, resa a cui mi sono rassegnato solo perché ci è stata presentata come un ordine del Re, che ci chiedeva di fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere il baluardo della Monarchia al momento della pace.
Tu conosci che cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da questa triste constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi mi circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso.
Da mesi, Mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo alla vita.
Da mesi penso ai miei marinai del «Tazzoli» che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è più con loro che con i traditori e i ladruncoli che ci circondano.
Spero, Mamma, che tu mi capirai e che, anche nell’immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai sempre capire la nobiltà dei motivi che la guida.
Tu credi in Dio, ma se c’è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell’ora. Per questo, Mamma, credo che ci rivedremo un giorno.
Abbraccia papà e le sorelle e a te, Mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato. In questo momento mi sento molto vicino a tutti voi e sono certo che non mi condannerete."
Grazie, Capitano.
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Venerdì 7 aprile a Casale la proiezione del film “Partizani: La Resistenza italiana in Montenegro”
Nikšic , Montenegro, 9 settembre 1943. Poco dopo l’alba l’artigliere Sante Pelosin, detto Tarcisio, fa partire il primo colpo di cannone contro una colonna tedesca che avanza verso le posizioni italiane. Nelle settimane successive circa 20mila soldati italiani decidono di non arrendersi e di aderire alla Resistenza jugoslava. I partigiani della divisione Garibaldi raccontati in questo documentario sono eroi semplici, che hanno combattuto il freddo, la fame e una devastante epidemia di tifo, pagando con tremende sofferenze una scelta di campo consapevole e coraggiosa . Grazie alla collaborazione tra la locale sezione ANPI e il Comune di Casale Monferrato , l’opera verrà presentata e proiettata venerdì 7 aprile, alle 21 presso la Cappella del Castello di Casale . Ingresso gratuito. Sarà presente il regista stesso Eric Gobetti . Il film è il risultato di un lungo lavoro di ricerca dello storico Eric Gobetti . Le toccanti testimonianze degli ultimi reduci della divisione partigiana italiana Garibaldi sono affiancate da straordinarie immagini di repertorio inedite, ritrovate dal regista durante le sue ricerche. Si tratta di un materiale documentario unico: inquadrature realizzate sul campo, in zona di guerra; non materiale di propaganda ma veri e propri “combat film” italiani. Queste riprese sono poi esaltate dalle straordinarie musiche originali realizzate da Massimo Zamboni , chitarrista e co-fondatore dei CSI . Eric Gobetti (Torino, 1973) è uno storico free-lance, studioso del Seconda guerra mondiale e della Jugoslavia nel Novecento. Da anni tiene lezioni e conferenze sulla storia jugoslava, da Gavrilo Princip ai giorni nostri. È curatore di diversi volumi e autore di tre monografie storiche: Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall’Italia fascista (2001), sul movimento croato Ustascia negli anni Trenta; L’occupazione allegra. Italiani in Jugoslavia 1941-1943 (2007); Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (2013). Ha inoltre pubblicato il diario-reportage Nema problema! Jugoslavie, 10 anni di viaggi (2011) e negli ultimi anni organizza viaggi di turismo storico nei paesi della ex Jugoslavia. È apparso più volte sul canale televisivo RaiStoria e recentemente ha prodotto il docufilm Sarajevo Rewind 2014>1914 (con Simone Malavolti). Il film è stato prodotto con il supporto e la collaborazione di: Istituto Storico della Resistenza in Toscana (Isrt), Archivio della televisione di stato della Serbia (Rts), Archivio storico dell'Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini (Anvrg), Consiglio regionale del Piemonte , Comitato della Regione Piemonte “Resistenza e Costituzione”. http://dlvr.it/Nh6qCj
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pangeanews · 5 years ago
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La storia di William Ernest Henley, il poeta che scrisse “Invictus” (ricordate il film di Clint Eastwood?) e fu il modello per il temibile Long John Silver (la figlia, invece, è la Wendy di Peter Pan)
Fece, sostanzialmente, due cose – facendone, tuttavia, tantissime. La prima fu una poesia, immortale – la seconda… permise l’immortalità a un caro amico. Nato a Gloucester nel 1849, mentre agosto marciva, William Ernest Henley fu allievo del grande T.E. Brown. Costui stimolò il ragazzo – robusto di corpo e di cervello – definendolo “una rivelazione, un uomo di genio, il primo che abbia mai incontrato”.
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Il genio di Henley – autore di una manciata di raccolte di versi che non troverete nel nostro belpaese – fu irrobustito dal dolore. Atroce. Tubercolotico, a vent’anni gli segarono le gambe. I continui pellegrinaggi in ospedale non gli impedirono di diventare un giornalista autorevole, un critico rispettato (direi: spietato), un poeta di talento. In molti lo temevano. Wilfrid Scawen Blunt, poeta estratto dal cinismo e fanatico di cavalli d’Arabia, scrisse, “è orrendo come un nano, ha il corpo enorme, la testa gigantesca, gli arti inferiori minimi – ha la malignità del nano, l’attitudine a ribellarsi contro tutti, è brutale, coraggioso, sprezzante”. Con l’amico Robert Louis Stevenson scrisse tre pezzi teatrali, Beau Austin, Deacon Brodie, Admiral Guinea, prodotti a Edimburgo e andati in scena – con non troppo successo, a dire il vero – a Londra, dal 1884.
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La seconda cosa che ha fatto Henley, dotato, per altro, di barba romanzesca, è stata quella di offrire il busto a uno dei personaggi più celebri della letteratura di ogni tempo. “Lo devo ammettere: fu la vista della tua mutevole forza, della tua poderosa maestria, che mi ha dato l’idea di forgiare Long John Silver… l’uomo mutilato, temuto da tutti, è tratto da te”, gli scrisse Stevenson, nel 1883, riferendosi, ovviamente, a L’isola del tesoro.
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Stevenson andò a trovarlo spesso negli anni in cui il poeta fu costretto al ricovero, tra il 1873 e il 1875. Si stimavano – poi Henley, carattere prono all’ira, mandò a quel paese RLS accusandolo di plagio, ma questa è un’altra storia. In ospedale Henley scrisse la raccolta In Hospital, appunto, dove balugina la cosa più bella che ha fatto. La poesia Invictus, inno all’eroismo silente, alla capacità di sostenere ogni mutilazione, un manifesto, citata da Winston Churchill nel discorso ai Comuni il 9 settembre del 1941, letta come un monito da Nelson Mandela, ridotto in carcere. Quella poesia è evocata, fin dal titolo, nel film oleografico di Clint Eastwood, dedicato a Mandela, Invictus (2009), con Morgan Freeman e Matt Damon.
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Henley morì dopo essere caduto da una carrozza del treno. La tubercolosi ricominciò a fiammare, divorando il poeta: era l’11 luglio del 1903. La sorte, canina, gli aveva portato via la figlia dieci anni prima, nel 1894. Si chiamava Margaret, svanì a cinque anni, per causa di una meningite grave. J.M. Barrie l’aveva conosciuta: lei lo chiamava fwendy, lui la eternò come Wendy nel testo a cui stava lavorando, un pezzo teatrale che s’intitolava “Peter Pan o, il ragazzo che non voleva crescere”. (d.b.)
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Questo è il testo di “Invictus”:
Dal profondo della notte che mi avvolge, Nera come un pozzo che va da polo a polo, Ringrazio gli dei qualunque essi siano Per la mia indomabile anima. Nella stretta morsa delle avversità Non mi sono tirato indietro né ho gridato. Sotto i colpi d’ascia della sorte Il mio capo è sanguinante, ma indomito. Oltre questo luogo di collera e lacrime Incombe solo l’orrore delle ombre. Eppure la minaccia degli anni Mi trova, e mi troverà, senza paura. Non importa quanto stretto sia il passaggio, Quanto piena di castighi la vita, Io sono il padrone del mio destino: Io sono il capitano della mia anima.
William Ernest Henley
L'articolo La storia di William Ernest Henley, il poeta che scrisse “Invictus” (ricordate il film di Clint Eastwood?) e fu il modello per il temibile Long John Silver (la figlia, invece, è la Wendy di Peter Pan) proviene da Pangea.
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