#‘carro del napoli’
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lunaticamic · 9 days ago
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carlos and james v? it doesn’t compel me in the slightest
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vecchiorovere · 4 months ago
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Beltà crudele
E labra ha di rubino
ed occhi ha di zaffiro
la bella e cruda donna ond’io sospiro.
Ha d’alabastro fino
la man che volge del tuo carro il freno,
di marmo il seno e di diamante il core.
Qual meraviglia, Amore,
s’a’ tuoi strali, a’ miei pianti ella è sì dura?
Tutta di pietre la formò natura.
Giovan Battista Marino (Napoli, 14 ottobre 1569 – Napoli, 25 marzo 1625)
Frans Pourbus il Giovane, Ritratto di Giovanni Battista Marino, c. 1621. Olio su tela, 81 x 65,7 cm. (Detroit, Institute of Arts).
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a--piedi--nudi · 2 years ago
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Aspettando Godot - Samuel Beckett 
Regia, scene, luci e costumi: Theodoros Terzopoulos 
Con: Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano E Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola
Traduzione: Carlo Fruttero Copyright: Editions de Minuit Regia, scene, luci e costumi: Theodoros Terzopoulos Con: Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano E Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola Musiche originali: Panayiotis Velianitis Consulenza drammaturgica e assistenza alla regia: Michalis Traitsis Training attoriale – Metodo Terzopoulos: Giulio Germano Cervi Scene costruite nel Laboratorio di ERT/Teatro Nazionale Responsabile dell’allestimento e del laboratorio di costruzione: Gioacchino Gramolini Scenografe decoratrici: Ludovica Sitti con Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Martina Perrone, Bianca Passanti Progettazione led: Roberto Riccò Direttore tecnico: Massimo Gianaroli Direttore di scena: Gianluca Bolla Macchinista e attrezzista: Eugenia Carro Capo elettricista: Antonio Rinaldi Fonico: Paolo Vicenzi Sarta realizzatrice e sarta di scena: Carola Tesolin Produzione: Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini In collaborazione con: Attis Theatre Company Foto di scena: Johanna Weber / ritratti: Luca Del Pia
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mariozepponiarte · 24 days ago
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AMIGONI, Jacopo Pittore italiano, scuola veneziana (n. 1682, Napoli, m. 1752, Madrid) Venere e Adone C. 1740 Olio su tela, 45x75 cm Gallerie dell'Accademia, Venezia Nato a Napoli ma formatosi come artista a Venezia, Jacopo Amigoni iniziò presto a lavorare nello stile rococò. Come Sebastiano Ricci e Pellegrino, lasciò spesso Venezia per lavorare come uno degli artisti cosmopoliti più importanti d'Europa, fissando la delicatezza evanescente piuttosto fragile del suo stile in grandi affreschi e dipinti di soggetti storici sia profani che sacri. Anche le piccole tele sono deliziosamente rococò nel gusto, solitamente con qualche soggetto mitologico o cortese. Un tipico esempio di questo tipo è il dipinto di "Venere e Adone", eseguito con grazia arcadica nella nitidezza della composizione e nella chiarezza e morbidezza dei colori immersi in una luminosità diafana e preziosa. La storia di Venere e Adone, che ha attratto non solo artisti ma anche poeti, tra cui Shakespeare, racconta che Adone era il figlio dell'unione incestuosa del re Cinira di Pafo, a Cipro, con sua figlia Mirra. La sua bellezza era una parola d'ordine. Venere concepì una passione impotente per lui a seguito di un'escoriazione casuale ricevuta dalla freccia di Cupido (Met. 10:524-559). Un giorno, mentre era a caccia, Adone fu ucciso da un cinghiale, un incidente che Venere aveva sempre temuto (Met. 10:708-739). Sentendo i suoi lamenti morenti mentre volava sopra di lui sul suo carro, scese per aiutarlo, ma era troppo tardi. Nel punto in cui la terra era macchiata dal sangue di Adone, germogliarono degli anemoni. Gli artisti di solito raffigurano due scene, Amigoni le dipinse entrambe. La prima scena è mostrata in questa immagine. Adone, con la freccia (lancia in altre versioni) in mano e il cane (o i cani) da caccia che tirano al guinzaglio, è impaziente di partire, mentre Venere cerca implorante di trattenerlo.
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cinquecolonnemagazine · 6 months ago
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Zia Carmelina
Un fresco ventisei luglio, all’alba, il temporale estivo aveva spento l’arsura.Ricordo il sole; con gli occhi di un bambino è un altro sole: è grande e scotta!Dopo la pioggia, il lastricato lavico, che da tempo più nessun scalpellino lavorava, era liscio, d’un abbagliante nero, e l’aria umida accendeva d’argento i binari del tram. Mi venivano incontro le mura screpolate delle case, bianche, di una calce che medicava, a malapena, le “ferite di guerra”. Le vie erano sgombre, rare “carrette” s’anticipavano per fermarsi al mercato, e fra quelle, un grande carro: lo “sciarabballo,” su due enormi ruote sbalestrate, un “cafone” lo conduceva in piedi; erano scarse le automobili. - ‘E machine de’ signure… – la mamma si esprimeva con tratti di ammirata ironia… e papà completava - Quella è una balilla! Quella è la Topolino! - Io ribattevo - Ma sono tutte nere! - .La giardinetta, che tanto mi piaceva, aveva altri colori. - Sì no parèssere tante carri ‘e muorte - Osservava mamma.Il sogno di mio padre: voleva comperare una lambretta… solo 150.000 mila lire…( si fa per dire). I tram e i filobus, erano pochi, sempre zeppi, stracolmi; non ricordo,però, nessuno che se ne lamentasse. A piedi, sempre a piedi s’ andava!Il disagio fu forse qualcosa che significò normalità. La gente era contenta, contenta dentro.Dalla collina di Capodimonte fino alla piana di Porta Nolana erano sorrisi, affanni, paroline affettuose, piccole soste.Tenui, ci arrivavano i rumori e le voci dalle vie, quando è primo mattino .Poco dietro la mamma con sguardo allegro mi fissava, tenendo fra le braccia, addormentata, la mia sorellina.E tante volte scesi a saltelli le cento scale che dalla Reggia menano giù sino al cuore di Napoli come una grande aorta.Incastonato nel bel curato verde lo scenografico scalone ci permetteva l’agevole discesa. Sul fondo un gran tondo fiorito, forse la prima ”rotatoria” della nostra città.E quei gradoni circondati d’intricati giardini d’oleandri, e mille piante ancora, li accomunavo a sentieri misteriosi visti, nel film: “Ercole nella selva dell’inferno”, laddove, l’improbabile eroe sfidava orribili mostri in gomma piuma, che capivo esser finti e poi pensati veri, ( guardando i volti seri e avvaloranti di quei semplici, ingenui adulti spettatori) … Qui ci abitano i profughi. Tu passa e non guardare - Mi ammoniva papà con occhi fermi, ma con voce accorta e pietosa.Di sottecchi, spiavo le baracche, e dentro quelle, strani signori con voci incomprensibili … mi sorridevano. Nel Bosco e lì sullo scalone, tempo addietro, mille profughi Giuliano-Dalmati, vissero accolti dai Napoletani per generazioni.Poi ancora imbraccio, sino al ponte della Sanità dove, da equilibrista, sul parapetto di piperno, guardavo giù i tetti, “l’asteche”, le terrazze con le lenzuola linde, rattoppate e “spase ‘o viente”Sul fondo scrutavo divertito la varia umanità che si svegliava. Gli ambulanti con cesti e bancarelle, sembrarono operose formichelle: “ ‘o mellunaro” “’l’uvaiola” “ lattara”… e tanti altri.Fuori alla minuscola caffetteria vedevo in sosta uno sparuto manipolo di stanchi “scopatori”, dopo finito il giro; erano fiacchi dalla fatica d’aver rimosso tutti quei detriti trasportati dal “diluvio d’acqua” della nottata.Fu un rabbioso torrente, che rotolando e crescendo sotto il monte delle “Fontanelle”, s’abbattè sul rione Sanità, e allagò d’acqua e fanghiglia tutti i Vergini. - ‘è bbenuta ‘a lava ‘ e Virgene!” – così avvisava il popolo, quando un forte acquazzone s’accaniva violento devastando quella zona della nostra città.Eccola. Finalmente Porta Nolana!Contento e pieno di stupore, scorgendo la stazione della Vesuviana, cingevo il collo del mezzo di trasporto più affettuoso: il mio papà.Ma prima, quasi come un atto dovuto,come per una visita rituale, papà “ci teneva” a varcare quella grande porta che, agli occhi d’un bambino sembrò di sogno.Era là che cominciava il viaggio: in un tripudio verde che odorava di mare. Era una festa: “spase e spaselle” dove ogni sorta “d’animale del mare” guizzava ancora, e spruzzava e… “pisciava” la vongola verace, e m’incantava; e folle di voci, di grida, di richiami,in un coacervo sonoro che m’ubriacavano.Nella stazione poca gente aspettava di partire. Ci voleva ancora un po’ di tempo prima che, divisa grigia, paletta e cappello fregiato di rosso, il capostazione, (da me paragonato a un generale), desse il segnale.In nervose sequenze sincopate si snodava il fischio di partenza e via! Si scossero i vagoncini, sulle rotaie a ridotto scartamento.Era la libertà, era la gioia!Fu sempre un’avventura prendere il treno della “Vesuviana”!Si andava dagli zii e dai cugini “mille leghe lontano”, fino al paese di Pollena-Trocchia!Nelle carrozze linde, le pesanti tendine di cretonne a fiori erano aperte e tutto risplendeva. Noi occupavamo, a due a due e faccia a faccia, i quattro posti sugli incomodi sedili in legno duro, ma chi se ne curava! Correva la campagna tutt’intorno, rigogliosa di verdi sfumature, e filari di viti a mille a mille. E di lontano sui campi e le balze, piccoli e rustici i casolari …” ’e massarie”. Dai finestrini, in piedi sui panchetti, col vento inebriante sulla faccia, io e la sorellina con gli occhi felici di niente, per il tortuoso serpeggiare dei binari, ammiravamo ora il Vesuvio ora il mare.Quanto lungo ci sembrava quel viaggio!Fummo però contenti quando, ci apparve la piccola stazione e, ancor più allegri, quando scorgemmo i volti dei parenti: gli zii e i cugini.E fummo a casa loro, nella piazza centrale proprio di fronte alla chiesa patronale.Sul rimpianto, magnifico terrazzo, noi bambini giocammo assieme. Compagnia ci faceva il calmo chiacchiericcio dei manovali, dei “paratori, i fuochisti” del parroco, i fedeli, dei curiosi; ognuno a modo suo dava una mano a organizzar la Festa, che culminava con la banda in processione per San Giacomo apostolo, a mezza sera. Quando imbruniva poi, giù nella piazza, ecco gli attesi “fuochi” che dal terrazzo quasi li toccavi!Ma era appena mattino, e dopo una abbondante, rustica colazione con la ricotta “ ‘a fuscella di santa Anastasia” e il “pane cafone di Ottaviano,” fuggivamo via nella campagna. Si andava proprio sotto monte Somma: “abbasce ‘o lagno” la ci aspettava la zia Carmilina già al lavoro da un pezzo. Ci sorrideva la zia che già sapeva dei “cugini di città” e ci accoglieva senza fermarsi, lavorando, ci abbracciava con gli occhi, e io ne sentivo tutto il calore.-Jate a recogliere ‘e pummarulelle - ci diceva la zia, fissando per un attimo un pianoro lontano.Con il passo sicuro i miei cugini, afferrando i cestini, entravano in un campo favoloso, ove spiccava il giallo inteso del pomodorino, quello vesuviano. Io li seguivo e, facendo, imparavo.D’improvviso il tempo ancora mutò. A tradimento, nascosto dietro il monte, comparve repentino il grigio d’un sicuro temporale. S’attutirono le voci, i rumori e le grida stupite di noi ragazzi. – ‘O pagliaro! Jamme ‘o pagliaro! Strillò correndo uno dei miei cugini. In quel capanno, proprio di fianco ad una grossa quercia, “‘a cerqua,” ci aspettò zia Carmelina; già presaga, come solo i vecchi contadini sanno, del futuro acquazzone; ci aveva preparato un bel canestro ricolmo di d’albicocche “‘e crisommole”, come là le chiamavano, le greche chrisomelos: mele d’oro.-Tièh pigliate! Sò li palummelle sò ‘e cchiù ddoce!… e guardando me, bimbo di città appaurato, sorridendomi aggiunse :- mò ve conto nu cunto -…-Se conta ca ‘o Pataterno, ‘o Pato do’ tiempo, quanno ancora nun era ‘o tiempe e ll’uommene, criaie l’angele dò cielo a uno a uno, e tante s’appricaje, tante se ‘ndustriaje ca chille de roppe era assaje cchiù bello de chille de primme… (proprie comme fanne tanta pasturare ca, maje cuntente, se cunzumene pe’ fa ‘e capuzzelle d’angele, cercanne e maje truvanne, la perfezione)…Mò Dio, ca è la perfezione, quande se trattaje de fare l’urdima creatura celeste, cussì se ‘ngignaje e spremette ca criannelo, quase se spaventaje della bravura soja.‘O figlio Giesucristo ne fuje assaje ammirato e dicette : “ Mò ‘overo tengo nu compagno degno della mia altezza”.Chistu angelo se chiammaje Lucifero.Quante jevene passianne Lucifero e Giesucristo, ‘Mparavise li schiere de Serafine e lli leggioni de Cherubbine lli salutavene e s’inchinavane e…cchiù de tutte, arraggiunavene ammirate ‘ncoppe alla bellezza carnala de chill’angelo perfetto.Mò ‘o Figlio e Ddio nun se ne curava, ca era nu sciampagnone, ma ‘o Pate no …nun ce poteva passare e: “Ma comm’ è?… Ccà tutta la confraternita celesta presta attenzione cchiù a Lucifero, invece di osannare ‘o figlie mio Giesù?… giesù, giesù, giesù!”Jette a se lamentà dallu Spirito Santo, ca accussì le rispunnette: ”Nun te perdere de spirito… chiàmmeta all’aucellone e ‘mparelo a campà, ‘mparalo la mudestia, fallo cchiù brutto!Dio se chiammaje a Lucifero, ma chiste capetuoste e vanitose, nun vuleva capì, era scuntruso, buriuso e malamente sgarraje a parlà.‘O Pataterno mò, sia pure a malincuore, lo castigaje: ”Te ne caccio! Vattennne! Va sprufunno!… E visto ca cchù belle de te niente ce stà, pe’ pareggià lo cunto, ti precipito proprio ‘n cul’ ’o munno, nello posto cchiù brutto … vaje nella Silva Mala, mmiez’a lli serpe, ‘e lacerte, lli sgarrupe vaje!… E da ogge sarraje Satanasso!…”Cadenne chisto diavolo cornuto cercaje e se trattené , s’arrampecave, s’afferrava cu lli mane ca erano addiventate artiglie, ma ‘o Pataterno, cu nu caucio sistemato, lo scarupa.Mò precipitanne Satanasso se tiraje appriesse tanta crastule ‘e paravise, ca cadenne, furene fiocche celeste, curiandele do’ cielo. Mentr’isse sprufunnava sotto terra, facenne nu fusse futo, futo che se chiammaje Vesuvio, sti pezzulle carute, se facettene paisielle, la Silva Mala divennaje Boscoreale… e ‘o piezze cchiù gruosso de Paravise chiane, chiane chiane, se ne cadette proprie sotto Pusilleche, addiventanne Napule .Giesù tanto chiagnette pe’ lu scunfuorto, guardanne chillo ‘nzisto do’ cumpagnelle suojo sprufunnato mmiez’e fiamme e la cennere.Lli lacreme soje cadenne ‘ncopp’ chella terra, se facettero grappule de n’uva docia docia…ma lli paisane che la coglievano, cunuscenne tutte ‘o fatto, pure se chell’uva sapeva de Paravise la coglievano, l’ammassavano dinte ‘e caniste ma nun la scamozzavano … maje se fossero mise lli lacreme de Criste sotte e piere!Allora Giusùcristo, pe’ gratitudine, facetto ‘o miracolo…. Ll’uva còveta cumminciaje a lacremà, turnaje a essere làcreme de Cristo che facevano nu vine ca deve tanta gioia e felicità.Da allora ‘o diavolo Satanasso, geluso de chella magnificenza ‘nterra, pe’ se vennicà, ogne tanto, vummeca fiamme, fuoche e cennera, e la pupulazione e stu Paese che cunusceve sulo ‘o bene, se dovette ‘mparà pure ‘o male! -Ho ripercorso quello stesso cammino,con la speranza di riviverlo ancora. Nessun richiamo alla mente, traccia per il cuore! Tutto è mutato.Ho dopo tanto, tanto tempo ripreso la Circumvesuviana.Moderni elettrotreni ETR 200…i Metrostar, alta tecnologia! Le ruote silenziate, le sospensioni autolivellanti; la climatizzazione in ogni carrozza,ma i sedili imbottiti non sono più di faccia due a due…però c’è lo spazio per i disalbili e le bici. Tutto perfetto, tutto ineccepibile; è giusto! …Io avrei sentito però, volentieri, il ritmo rotto dalle vecchie ruote sui binari fratturati, lo stridere dei freni con quell’ agre odore di ferodo, e l’afa profumata di campagna… una campagna che non esiste più.Non esistono più quei seggiolini duri, e la casa in piazzettà? E quel pagliaio? Zia Carmilina?…Non esistono più.A fatica, passando fra un sentiero non più d’alberi ma di cemento armato Son tornato alla vecchia campagna. Ho corso quanto l’età mi permetteva, ho ritrovato il campo delle mele d’oro, anche il silenzio…poi un fruscìo, come fosse un richiamo, venuto da un paesaggio conosciuto: la vecchia quercia la “cerqua” di zia Carmilina…il vento “ciuciuliava” tra le fronde,e pareva dicesse-Io sò la “cerqua” di zia Carmilina ‘chiatata ‘ncopp’a sta terra fatta de lava e de lapilli;‘Nzine a quanne, ‘o, Vesuvio, ‘o Somma , ‘e “palummelle” e Napule ce sarranne… pur’io ce sarraggio…Nun cercà ricordi ma speranze!…Se‘ pò ancora truvà ‘o Paravise ‘ncopp’ ’a sta terra Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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thegrandslam · 11 months ago
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Comunque allora, mi sono dimenticata di commentare le ultime partite ma dati gli eventi di questi giorni mi sembra il caso di recuperare.
Inter - Genoa 2-1 per goal di asllani e Sanchez... Vabbe, è già poetico così. ("il rigore non c'era!!!" e stigazzi, avremmo vinto comunque)
Goal al 69' di Jankto che ci fa vincere la prima partita in trasferta: IO CI HO CREDUTO DA SUBITO IN LUI, BASTARDI VOI CHE VI SIETE LIMITATI A PRENDERLO PER IL CULO E INSULTARLO PERCHÈ È GAY NON VI AZZARDATE A SALIRE SUL CARRO ADESSO, È IL MIO PROTETTO. Anyway, vittoria di "horto muso", Ranieri masterclass.
Alcaraz e Nadal su Netflix: due zoppi che giocano a tennis vestiti da teletubbies/evidenziatori. Idea:10/10 esecuzione 2/10. Se qualche pallina l'avessero anche lasciata dentro il campo invece di mandarla sulla luna sarebbe stato carino. Flop come tutte le altre opere di Netflix, la mia parte preferita è stata quella in cui mi sono addormentata. Comunque la testa di Agassi brilla più del mio futuro.
Rublev che smatta contro un guarda linee: ti voglio bene ma fatti aiutare. E chiedi scusa. Sei imbarazzante.
Napoli - Juve 2-1: SCUOLE CHIUSE A NAPOLI.
I fantastici tre dell' atletica: hanno una bella cazzimma. Tra luffy e spiderman l'unica normale è Zaynab.
Ruud che perde in finale contro l'essere demoniaco: dispiace che abbia perso ma tanto sono innamorata di lui comunque, qualsiasi cosa faccia.
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pietroalviti · 1 year ago
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Le Quattro Giornate di Napoli, il film di Nanni Loy
Nel 1962 il regista Nanni Loy volle dedicare un film alla memoria di Gennarino Capuozzo, undicenne napoletano che perse la vita mentre lanciava una bomba contro un carro armato tedesco, durante l’insurrezione popolare che, alla fine del settembre del 1943, riuscì a cacciare i tedeschi da Napoli prima dell’arrivo degli Alleati. Ecco il film, in edizione integrale per restare aggiornati
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Il funerale del musicista ucciso, la sorella: 'Napoli sei tu no Mare fuori o Gomorra'. La mamma oggi da Meloni
La mamma e il padre di Giovanbattista Cutolo all’uscita dalla chiesa hanno baciato la bara bianca. Le persone assiepate nella piazza lanciano fiori e chi è più vicino alle transenne chiede ai poliziotti di deporre fiori all’interno del carro funebre per accompagnare simbolicamente il giovane musicista nel suo ultimo viaggio. In piazza si è levato il grido ‘Giovanni vive’ mentre un altro…
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lovingdetectivebasement · 3 years ago
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è il secondo account che creo a distanza di qualche anno, forse due. In realtà non ho eliminato quello vecchio, esiste ancora ma è talmente un pozzo di scritti che voglio sentire come vecchi al punto da non ricordarne il nome. Z3no, z3 n0, una roba così.
Qualche tempo fa ne rilessi qualcosa, presente quel senso di strano quando rileggi un te del passato che fai fatica a credere? Più o meno quella sensazione mischiata a un filo di avvilimento dato dal fatto che sono ancora qui e alcuni di quegli scritti li riesco ancora a sentire addosso, li provo ancora.
Sono passati tanti anni, tanti tira e molla, sei tornata pronta a farti perdonare tutto e le bugie hanno preso il posto di quel che provavamo. La distanza era soltanto una scusa, un carro per l'ascesa per tenersi le mani pulite. Dovevi essere lontana tanto, col chilometro vero tra me e te, dovevi essere a Bologna, io a Napoli e farci le nostre vite con quella postilla che ci eravamo lasciati amandoci: quel bacio in stazione non lo vissi come l'ultimo perché ci amavamo
Ci amavamo
Ci amavamo
Ci amavamo
Forse era solo una strategia. A Bologna non ci sei stata quasi per niente, sei tornata poco dopo e non ho sentito nulla. Sei ritornata per mesi e non sentivo nulla. Sei tornata e ti ho rivista con lui. "Non provo rancori, non provo niente" ti disse, riprendesti i contatti e io scemo che non mi allarmai abbastanza: mi fidai.
Così vai via, sparisci da subito. I patti effettivamente erano quelli ma riappare subito qualcuno. Ritorni, ritorna. Quello che stai facendo dovrebbe parlare al posto tuo eppure sorridi in quelle foto, sorridi con i suoi amici, sorridi con lui... Io svengo, letteralmente! Mi agita così tanto il pensiero, vedervi, sapervi che il corpo non regge l'emozione: ho sempre avuto difficoltà con le emozioni ma non avevo mai provato questo.
Mi fai schifo eppure mi manchi, sei un merda per non aver risposto a quelle tre chiamate, per non aver richiamato. Volevo cacciassi le palle per dirmi la verità...ma non le hai avute. Il tuo corpo è capace di fregare tutti, spero che scopriranno chi sei.
Che lo scoprirai anche tu e agisca di conseguenza.
Fatti un autoscatto con un 44magnum
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blogitalianissimo · 4 years ago
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Il presidente del Real Madrid e quello della Juventus vogliono giocare una SuPeRlEgA con i club più ricchi d'Europa (Juventus, Milan, Inter, Real Madrid, Barcellona, Atletico Madrid, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Man City, Man United e Tottenham), praticamente un campionato a parte. L'operazione serve a riempire le tasche di questi club, quasi tutti indebitati guarda caso.
La UEFA non è d'accordo ovviamente, si dice pronta a squalificare le squadre dai campionati nazionali (serie A senza Milan, Inter e Juve in pratica), competizioni europee come champions league ed europa league, e ad impedire ai giocatori di queste squadre di partire per la nazionale (l'Italia senza i giocatori italiani di Milan, Inter e Juventus).
Inutile dire che questo è un cane che si morde la coda, perché una serie A senza le tre big non la guarderebbe nessuno, e per carità Roma, Lazio e Napoli hanno un bel po' di tifosi, ma mai paragonabili al numero di juventini, interisti e milanisti presenti in Italia e nel mondo.
In sostanza: o fanno giocare 'sti club capitalisti di merda, mettendo in grossa difficoltà tutte le altre squadre italiane che non cagano denaro, o li squalificano dando così una mazzata alla serie a, champions league e compagnia.
Sto per dire una boomerata ma sì:
I capitalisti di merda hanno ucciso il calcio, perché no, tu non hai diritto di volere bene alla squadra della tua città e sperare che vinca una competizione, no devi per forza salire sul carro dei vincitori e scegliere di tifare per una delle strisciate.
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infacundia · 3 years ago
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La vida de pueblo como presunción del poeta urbano
Callado como pájaro en un mostrador va el poeta urbano buscando su pueblo, al que se lo imagina en día de feria, las rutas llegando a través de limaduras de carro, frutas en finos cajones, camiones con tanto bulto simétrico y color como una góndola, crujir de walkie-talkies, la chinería fluvial de las hijas terribles de los hippies, los padres indagando de varias formas contenidas todas en autos bermellones, los amigos y hermanos con sucesos interiores en otro mundo, los puesteros fijos, los turistas pestañeando, las artesanías de un lado a otro de la calle a pleno sol.
Rechazo le genera el optimismo apolítico para con las ciudades. Hoy es el día en que lo que hace no apunta a fomentar la temeridad. Sí a preservarla. Por eso, además de imaginar el fabro va al pueblo, busca un árbol, el mismo que curtió su piel, sabe que un raspón no es caída, que un raspón no es nada, que una caída no siempre llama al descanso y menos al abandono.
Llega temprano y, en efecto, ahí está todo. A la orilla de la plaza se abre el camino por donde el sol no da la tregua que se supondría. Al fondo los motores pasado el grueso de los parabienes y las presentaciones respiran del sobreactuado hermetismo de sus pilotos, los rockeros agropecuarios. Bordeando la feria están los árboles desde donde alguien en el acto de asegurarse una pera ve por primera vez a su pueblo desde afuera. Ve también un lagarto y un inmenso salón. Es hora de irse del árbol pero no por las ramas. Pronto le toca tropezar con la belleza y a la vista de todos llamarla la escondida de puro gusto, sin sacarle una moneda a la confianza mundial en las artesanías.
Ese alguien es un chico que al poeta urbano le cae como anillo al dedo, como el tipo de caída que se imaginó para el séptimo día: trabajo, trabajo y un alma gemela aunque con mayores atributos para carecer de dios. Hijo, tengo treinta, dice la música que el poeta va escuchando, eso es vida, nada de transpirar en la oscuridad, dice el poema que el viajero no escribió.
Y pasan las horas desde que el primer tren interurbano renovó su llegada para alegría inconfesa de un orfebre que señala que la vida en sus piedras es lo que importa, la forma no. El tren desde una isla remota. Rechazo le genera al poeta de industrioso interior ese artesano que lleva la espontaneidad a sus obras, ha de ser muy precavido, piensa, no sólo en sus ratos de ocio sino hasta cuando bebe o hace el amor. Así las cosas, no es de extrañar que se cuele –parte del show– la oración pesimista ante las ciudades. La guitarra es la misma que en las ciudades siempre toca un éxito. Oírlo hablar de su profesión y no entenderle el oficio. Oír, en cambio, al chico del árbol que se despacha sobre la bisutería, sólo algo para dar, dice, ésa es su prolijidad, algo antes que los rockeros pongan en marcha a sus hijas. Dormir con ella de cualquier forma, contenido incluso.
Cuando la tarde se nubla los visitantes incrustan la lluvia en su agenda, los locales la postergan hasta la hora de inventar algo de cenar. El poeta piensa en el camión que ha de llevarlo de vuelta, piensa hasta que ve que ese camión ya tiene dueños del acoplado. Vuelca entonces la parte en la figuración, curte el todo en el contexto y saluda a los que entre cajones de fruta charlan abrazados. Prueba el porro comunal, el primero en un pueblo que se le hace ingobernable. Ha alterado el poeta el orden del mundo, ha regalado lo que se le pidió, no un hágase la luz ni un paseo en fitito, sí un efecto mundano para un monstruo que a primera hora está llegando a la ciudad.
- C. De Napoli
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doppisensi · 4 years ago
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«Per quello che posso ricordare io», dice il dottor Vittorio, «è sempre stata una festa di pessimo gusto. Violenza e rumore, questa era Piedigrotta. Che oggi poi, a distanza di tanti anni, ci ricordiamo di Piedigrotta come di una festa divertente lo posso pure capire, ma è chiaro che il merito del ricordo è solo per la nostra adolescenza e non per la manifestazione che in se stessa non ha mai avuto nulla di edificante.» «Ecco qua», dice il professore, «mò è venuto Vittorio e mi ha fatto diventare una fetenzia pure il ricordo di Piedigrotta!» «Ma andiamo, siamo seri. Lo vogliamo capire o no che la morte di Napoli è stato il folklore! Tutti noi sappiamo che quando c'era Piedigrotta cercavamo di evitare le strade dove si svolgeva la festa, e allora confessiamolo onestamente che noi, a Piedigrotta, non ci siamo divertiti mai.» «Ma come non ci siamo divertiti mai, dottò!» dice Saverio. «Io ero piccolo è vero ma i carri me li ricordo ancora: e ci stava il carro con le maschere d'Italia, con Pulcinella, Arlecchino e compagnia cantando, e poi c'era il carro dei frutti di mare con le femmine con le cosce da fuori che uscivano da dentro alle cozze, e poi c'era il carro con il Vesuvio che fumava overamente, con la funicolare illuminata e con la gente che cantava: Iamme, Iamme. Era bella dottò Piedigrotta.»
Luciano De Crescenzo, Così parlò Bellavista
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gregor-samsung · 5 years ago
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Guardavamo i carri bestiame, le tavolette di legno inchiodate sui finestrini. Il  treno aveva impiegato tre giorni per percorrere una ventina di miglia: doveva dar la precedenza ai convogli militari e poi, non c’era fretta. Anche se fosse arrivato a Podul Iloaiei dopo tre mesi di viaggio, sarebbe sempre arrivato in tempo. Intanto eravamo giunti a Podul Iloaiei: il treno si fermò sopra un binario morto, appena fuori della stazione. Faceva un caldo soffocante, era verso mezzogiorno, gli impiegati della stazione erano andati a mangiare. Il macchinista, il fuochista, e i soldati di scorta, erano scesi dal treno, sdraiandosi per terra all’ombra dei carri. «Aprite subito i carri» ordinai ai soldati. «Non possiamo, dòmnule capitan». «Aprite subito i carri! » gridai. « Non possiamo, i carri sono piombati; » disse il macchinista «bisogna avvertire il capostazione». Il capostazione era a tavola. Sulle prime non voleva interrompere il suo desinare, poi, saputo che Sartori era il console d’Italia e che io ero un dòmnule capitan italiano, si alzò da tavola, e ci seguì trotterellando con un paio di grosse pinze in mano. I soldati si misero subito al lavoro, tentando di aprire lo sportellone del primo carro. Lo sportellone di legno e di ferro resisteva, sembrava che dieci, cento braccia lo trattenessero dall’interno, che i prigionieri facessero forza per impedir che si aprisse. A un certo punto il capostazione gridò: « Ehi voialtri, là dentro, spingete anche voi! ». Nessuno dall’interno rispose. Allora facemmo forza tutti insieme. Sartori stava in piedi davanti al carro, col viso alzato, asciugandosi il sudore col fazzoletto. A un tratto lo sportello cedé, e il carro si aprì. Il carro a un tratto si aprì, e la folla dei prigionieri si precipitò su Sartori, lo buttò a terra, gli si ammucchiò addosso. Erano i morti che fuggivan dal carro. Cadevano a gruppi, di peso, con un tonfo sordo, come statue di cemento. Sepolto sotto i cadaveri, schiacciato dal loro freddo, enorme peso, Sartori si dibatteva, si divincolava, tentando liberarsi da quel morto gravame, da quella gelida mora: finché scomparve sotto il mucchio dei cadaveri, come sotto una valanga di pietre.
Curzio Malaparte, Kaputt, Introduzione di Mario Isnenghi, Collana Oscar n.1102, Mondadori, 1978; p. 182.
[ 1ª ed. originale nel 1944 presso l’editore Casella di Napoli ]
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di-biancoenero · 6 years ago
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La Sala Edison nell’attuale Piazza della Repubblica ( fu Piazza Vittorio Emanuele) a Firenze nel 1905
Le prime proiezioni cinematografiche a Firenze avvennero nel 1897 in una sala di Palazzo Pitti. Non ce ne furono altre fino al 1899, quando si svolse il secondo Congresso nazionale di fotografia a cui partecipo’ il pioniere d’origine piemontese Filoteo Alberini. Alberini, che era impiegato presso l’Officina fototecnica del Catasto di Firenze, aveva brevettato un apparecchio da ripresa, il Kinetografo, che pero’ non fu mai prodotto in serie e commercializzato. Alberini ottenne dagli inviati dei Lumiere la possibilita’ di gestire le proiezioni con l’apparecchio di loro invenzione e cosi’ fu tra i primi in Italia ad avviare una regolare attivita’ di esercente cinematografico con successo, dal 1899 sino al 1901. Come egli stesso ebbe a dire, questo successo si basava su alcuni principi : ‘’ un locale ben messo,macchinario perfetto, soggetti ben variati e nuovi, prezzo d’ingresso alla portata di tutte le borse’’. Grazie alla pubblicita’ sui giornali locali ed all’ utilizzo di film girati dai fratelli Lumiere, che lui stesso rinnovava con sue colorazioni fatte a mano e, con qualche ripresa di attualita’ fiorentina girate personalmente, crebbe l’interesse attorno a questa nuova forma di spettacolo. Nel 1900 apri’ un nuovo locale, la Sala Edison, ad opera del ferrarese Rodolfo Remondini che in breve tempo, sfruttando i principi di Alberini, ne prese il posto. La Sala Edison apri’ prima al n.1 di via Strozzi e, quando Alberini si trasferi’ a Roma, si sposto’ sotto i portici di Piazza Vittorio. Insieme alla Sala Iride inaugurata da Menotti Cattaneo a Napoli nel 1901, puo’ essere considerata la prima e piu’ importante sala cinematografica stabile in Italia.  Aggiornamenti tecnologici continui,  proiezioni dedicate a pubblici specifici ( come ad esempio, i pescatori, i seguaci cattolici, le scolaresche) nuovi filmati sulla cronaca di Firenze come il gioco del calcio a Santa Maria Novella, le corse di fiacres alle Cascine, lo scoppio del carro del Sabato Santo a Boboli, le ginkane automobilistiche etc. Tutte pellicole girate tra il 1901 e il 1903, in un epoca in cui nel resto d’italia l’attivita’ realizzativa era rara. Nonostante tutte queste esperienze precoci, negli anni successivi la produzione cinematografica in Toscana fu scarsa e discontinua, diversamente da altre citta’ come Torino e Roma.  [ Riferimento : La Toscana e il Cinema, a cura di Luca Giannelli, edizione fuori commercio della Banca Toscana, 1994 ]
Nella foto: la Sala Edison nell’attuale Piazza della Repubblica ( fu Piazza Vittorio Emanuele) a Firenze nel 1905
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corallorosso · 6 years ago
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Giulia è l’ennesima ragazza messa alla gogna social da Matteo Salvini di GIANMICHELE LAINO Rifletti. Giulia potresti essere anche tu. Che tu sia uomo o donna non conta. Certo, forse se sei donna l’effetto è ancor più amplificato vista l’utenza media dei canali social del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Se manifesti per le tue idee, se racconti una verità diversa rispetto a quella che la politica maggioritaria dei nostri giorni ti vuole imporre, se mostri il dissenso. Se qualcuno ti scatta una foto, puoi benissimo finire sulla pagina Faceook del leader della Lega. Una grande cassa di risonanza da 3,4 milioni di followers. La storia di Giulia è quella che ognuno di noi potrebbe vivere. La ragazza, i sogni nel cassetto, la scuola di teatro. Condannata a finire sulla gogna dei social network del ministro dell’Interno a causa di un cartello provocatorio: «Meglio buonista e puttana – si leggeva sul carro dei Sentinelli di Milano, nella grande manifestazione antirazzista Prima le persone – che fascista e salviniana». Legittimo dissenso. Quello che è successo dopo, tuttavia, ha dell’incredibile. Matteo Salvini pubblica la fotografia sulla propria pagina Facebook. Equivale al solito ammiccamento nei confronti dei suoi followers. Ciò che, a causa del politicamente corretto, il ministro non può dire, lo lascia pronunciare alle schiere dei suoi seguaci, pronti a ricoprire di insulti indicibili una giovane donna. Un meccanismo che Matteo Salvini utilizza spesso, l’ultima volta in Sardegna, qualche tempo fa con alcune studentesse che lo avevano contestato nel corso di una manifestazione a Napoli. Ma con Giulia, il ministro dell’Interno, è addirittura recidivo: ...era già stata additata da Matteo Salvini sulla sua bacheca facebook. A Giulia arrivò addosso di tutto, dagli insulti sessisti a vere e proprie minacce di violenza fisica». «Non ho memoria – continua la nota – dal dopoguerra in poi, di un solo Paese dell’ Europa Occidentale con una figura che messa a tutela della sicurezza di tutti noi, impegna il suo tempo a mettere in una situazione di pericolo chi non la pensa come lui. È una cosa inaudita. Siamo tutti con Giulia. Siamo tutti Giulia». Parole che non possono riassumere meglio tutto quello che, in queste ore, la ragazza ha dovuto sopportare. Il post di Matteo Salvini, pubblicato intorno alle 11 di mattina, è stato dato in pasto alla Bestia, il meccanismo dei social network portato avanti da Luca Morisi e attraverso il quale il ministro dell’Interno continua a racimolare consensi. Anche con mezzi del genere. Che, a maggior ragione se vengono utilizzati da un’istituzione, fanno davvero paura. Perché Giulia potresti essere anche tu. Che tu sia uomo o donna non conta. Rifletti.
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Guarda "CLAUDIO BAGLIONI - NASO DI FALCO" su YouTube.
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Fu il sogno di volare solitario, là dove soltanto il falco va
Ma era ancora incerto come un pulcino bagnato
Che cerca di tornar nel guscio appena nato
E di quel falco cacciatore di stelle, pur non avendo le ali mai
Gli venne il naso e gambe a guadagnare un ramo sospeso
E gli occhi andavano lontano e senza peso
Perché crescono i capelli, come l'erba sopra le campagne
E se i pesci ed i coralli hanno mai veduto le montagne
Chi colora una farfalla
E se stanno le isole, a galla
Perché il cielo è così azzurro, quando l'aria è trasparente e non si tocca
Se le stelle fanno un carro, se la luna ha veramente occhi, naso e bocca
E se l'infinito esiste, non è anche dentro me
Naso di falco
A becco in su
Sull'albero più alto
Guarda laggiù
Chi ha ingannato il cielo di Ustica
Chi ha imbiancato Medellin
Chi ha negato già Timisoara
Mille aghi nella mente e niente mai risposte
Se ci fossero due soli che così sarebbe sempre giorno
Perché pure gli animali non si fanno un fuoco e stanno intorno
E l'acqua non si può tagliare
E se è maschio o femmina il mare
Se si può scavare un pozzo fino al centro della terra e che si trova
E il mio cuore di ragazzo perché batte e se mai batterà una guerra nuova
Se i cavalli delle giostre corrono le praterie
Naso di falco
A becco in su
E il tempo è freccia e arco
E soldato blu
Chi ha insozzato il vento a Chernobyl
Chi ha assetato Napoli
Chi ha schiacciato i cuori dell'Heysel
Mille aghi nella mente e niente mai risposte
Si è fatto grande il piccolo guerriero
(A becco in su) Legni inarcati non ci son più
(E il tempo è freccia e arco) Da cavalcare sul sentiero del sole
(Non torna più) E del serpente contadino
(Cuore all'assalto) Fu il sogno di volare solitario
(A becco in su) Là dove solo c'è verità
(Di un albero più alto) Incerto come un uomo che si è perduto
(Di tutto il blu) E cerca di tornare indietro
Dove un sogno è ancora libero
(Per salire più su) L'aria non è cenere
(Per salire più su) La mia casa è sopra un albero
(Per salire più su) Nelle strade ci si perde in cielo e in mare no
(Per risalire lassù) Dove un sogno è ancora libero
(Per risalire lassù)
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