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Medicina e Tecnologia secondo Geospatial World
Questo post è su come la tecnologia abbia cambiato il mondo della medicina secondo geospatialworld. Ecco la traduzione:
Il settore sanitario non è la stesso di com’era anche solo cinque anni fa. Questo è dovuto in gran parte alla tecnologia e ad un gran numero di soluzioni digitali innovative che vengono introdotte ogni giorno. Molte soluzioni tecnologiche sono state presentate per parecchi problemi con cui il mondo della medicina aveva a che fare, e queste hanno enormemente cambiato e migliorato il settore medico.
Ci sono state molte innovazioni nella raccolta dei dati, trattamenti, ricerche, e strumenti medici come apparecchi acustici che hanno avuto un impatto enorme sul mondo della medicina. Oggi, grazie alla tecnologia, c’è un trattamento migliore e più “accessibile” per un gran numero di malattie, una cura più attenta e più efficiente per i malati, un’assistenza e un controllo più accurato.
Stampe 3D
Ai giorni d’oggi è possibile riprodurre ossa e alcuni organi interni utilizzando la stampante 3D. Questi organi artificiali e ossa possono successivamente essere introdotte nel corpo del paziente per rimpiazzare aree malate o problematiche.
Anche i chirurghi stanno utilizzando la tecnologia del “3D printing” per capire meglio che cosa stia succedendo dentro i corpi dei loro pazienti. Con un modello 3D, è decisamente più facile per un chirurgo avere una visione più vicina del problema e simulare diverse soluzioni o possibili operazioni che possono essere intraprese prima di operare veramente il paziente.
Similmente, le stampe 3D hanno rivoluzionato le protesi. Con una di queste stampe, avere una mano o una gamba prostatica adatte a sé stessi è molto più economico. Adesso è possibile stampare mani prostatiche su misura, ad esempio, per un bambino che necessita differenti modelli mano a mano cresca, invece di dover andare a comprare una mano prostatica ogni anno. Inoltre, con gli sviluppi enormi che si stanno facendo, nelle industrie le stampe 3D, i costi associati a questa tecnologia stanno diminuendo ogni giorno.
Big Data
I Big Data sono un affare importantissimo in questo periodo. Nel settore medico e sanitario, questi sono tutto. C’è un’enorme quantità di dati disponibili che, quando vengono analizzati, possono offrire significanti informazioni sullo stato dell’industria sanitaria. Ad esempio, studiando le cronologie dei trattamenti dei pazienti, i dottori possono fare diagnosi più accurate e proporre trattamenti migliori.
Maggiore cura ed efficienza
Oggi, dottori e infermiere usano strumenti palmari per registrare informazioni in tempo reale e aggiornano istantaneamente la loro cronologia medica. Questo rende più accurate ed efficienti le diagnosi e i trattamenti. La centralizzazione dei dati dei pazienti e i risultati dei laboratori hanno davvero migliorato la qualità della sanità.
Monitoraggio a distanza
Per alcuni pazienti, andare in giro è una vera e propria “seccatura”. Andare in ospedale spesso può anche avere un effetto sulle proprie finanze. Con una tecnologia remota di monitoraggio i pazienti possono accedere facilmente e consultare un medico restando a casa. Questo risparmia molto tempo e soldi. Il dottore può monitorare a distanza un particolare problema, per esempio prendendo i valori della pressione del sangue, senza il bisogno di andare in ospedale. Questo tipo di tecnologia è stata particolarmente comoda per i pazienti che utilizzano i pacemaker.
Sperimentazione medica
La tecnologia ha drasticamente cambiato il modo in cui si conducono gli esperimenti medici. Invece di metterci anni, gli esperimenti ora impiegano mesi o settimane. Ciò accade grazie al fatto che è possibile simulare reazioni umane ad una droga particolare, invece di avere bisogno di affidarsi completamente a dei volontari. Innovazioni quali l’adenovirus dello scimpanzé, che è fortemente correlato alla versione umana, ha rivoluzionato le velocità della sperimentazione. Il superamento dell’Ebola ha provato che gli esperimenti potrebbero essere accelerati enormemente. A causa dei timori di un’epidemia e per il bisogno di un rapido contenimento, i ricercatori hanno pensato fuori dagli schemi e sono arrivati a delle soluzioni innovative che hanno portato al vaccino per l’Ebola in tempi record.
App Mobili
Il vecchio detto della Apple, “C’è un’app per tutto” è vera oggi quanto non lo è stata mai. Ai giorni d’oggi, è possibile monitorare la propria salute usando app innovative. Puoi contare le tue calorie, tracciare le tue abitudini del sonno, monitorare il battito cardiaco e perfino consultare un medico a distanza.Ci sono delle app fatte apposta affinché i dottori possano interagire, e altre che permettono ai pazienti di collegarsi ai medici. Dire che le app stanno cambiando rapidamente il settore sanitario non basta.
Ci sono trattamenti migliori e più accessibili oggi come non mai. Ciò è dovuto principalmente alle innovazioni tecnologiche. Queste stesse innovazioni hanno fatto in modo che sia possibile esplorare e ricercare altre e migliori vie di trattamento, quindi l’industria sanitaria sta facendo passi avanti verso una maggior efficacia ogni giorno.
Livia Di Rao Marotta
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Niente paura! Ci pensa lo smartphone
Il termine smartphone (letteralmente “telefono intelligente”) fu utilizzato a partire dalla metà degli anni ’90; il primo di questi è stato inventato nel 1992 dall’International Business Machines Corporation (IBM) e commercializzato dalla BellSouth (un’azienda di telecomunicazioni statunitense) dall’anno dopo e fu chiamato “Simon”.
Primo smartphone inventato-Simon | Fonte: Wikimedia commons
Ciò che lo differenziava dai telefoni precedenti era, in primo luogo, il fatto di possedere lo schermo touch screen, comandato attraverso un pennino, invece della tastiera fisica. Inoltre Simon fu il primo cellulare ad avere un videogioco installato, Scramble. Erano numerosi gli altri programmi di cui era fornito; erano presenti una calcolatrice, una rubrica, un calendario, un orologio e le note. La cosa davvero sorprendete era però il fatto che potesse collegarsi ad internet e inviare o ricever fax ed email.
Andando avanti con gli anni, ovviamente, la tecnologia ha fatto passi da gigante. Inizialmente i protagonisti su scala internazionale erano i Blackberry, poi subentrarono anche i Nokia e i Motorola. Alla fine del 2006 è stato inventato il primo smartphone avente lo schermo sensibile al tocco delle dita; il Prada Phone, prodotto dalla LG Electronics.
L’anno dopo l’Apple mise in vendita il suo primo iPhone con schermo multi-touch (sensibile al tatto in più punti dello schermo contemporaneamente), dando il via a una vera e propria concorrenza. Infine, secondo il Sole, dal 2014 (circa) fino a quest’anno la Samsung fa da “padrone”, seguito dalla Apple e dalla Huawei.
Diversi smartphone messi vicini | Fonte: geralt su pixabay
È veramente un bene, però, che questi smartphone continuino ad evolversi sviluppando sempre più prestazioni e capacità sofisticate? Più aumentano le funzioni di questi apparecchi e meno avremo bisogno di oggetti che fino ad oggi o, purtroppo, fino a pochi anni fa facevano parte del quotidiano di ciascuno di noi.
Pensandoci bene, però, chi è che preferirebbe portarsi in giro un apparecchio per ogni azione che si deve compiere, quando si può avere la comodità di avere tutto ciò di cui qualcuno ha bisogno in un piccolo telefonino e sopratutto leggero?
I lettori MP3? Sembrano quasi inutili rispetto agli smartphone. Creati nel 1998 e in vendita ancora oggi, hanno come funzione quella di trasferire dei file da un cd o dal computer nell’apparecchio per riascoltarli quando si vuole. Alcuni di essi hanno anche la radio e la capacità di fare le registrazioni.
Nel momento in cui, però, una persona si accorge che lo smartphone ha GIÀ tutte queste funzioni e ne presenta molte di più( come la possibilità di riprodurre la musica in rete senza il bisogno di scaricarla o di avere alcune piattaforme come YouTube o Spotify che hanno le playlist già create), che cosa lo spingerebbe a comprare uno di questi lettori?
Lettore Mp3 | Fonte: carla arena su flickr
Un discorso analogo si potrebbe fare per le macchine fotografiche (a meno che uno non sia un appassionato o un professionista), per le console portatili, per i libri e per tantissime altre cose. Tutto questo non può fare altro che riportarci alle seguenti domande: quante cose sono già scomparse? Quante stanno scomparendo? Quante scompariranno?
Livia Di Rao Marotta
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Cambridge Analytica: quando i social influenzano la politica
La nostra vita sociale, di giorno in giorno, è sempre più riflessa nei nostri profili digitali e nelle nostre azioni quotidiane online. Dimostriamo pubblicamente, e spesso senza accorgercene, molti dei nostri interessi negli ambiti più disparati, anche se delicati o “privati”: e se tutto questo venisse sfruttato per scopi illegittimi? È il caso di Facebook e del suo coinvolgimento nelle Elezioni Presidenziali Statunitensi del 2016.
Partiamo qualche anno indietro, nel 2014: la società Cambridge Analytica (fondata da circa un anno dal miliardario conservatore Robert Mercer) si occupa della gestione e distribuzione di dati provenienti dai social network, e attraverso una serie di algoritmi specifici riesce a creare dei profili “comportamentali” degli utenti coinvolti. Secondo uno dei suoi dipendenti, servono circa 300 “Mi Piace” perché si conoscano gli interessi di qualcuno meglio del suo partner.
Cambridge Anaytica e Facebook | Fonte: Pixabay
Nello stesso anno, il ricercatore di Cambridge Aleksandr Kogan realizza l’app “thisisyourdigitallife”, che permette all’utilizzatore di creare il proprio profilo psicologico attraverso una serie di attività online. All’applicazione si ha accesso attraverso il classico Login con Facebook, senza dover creare delle nuove credenziali, e, secondo le normative di allora, questo permetteva di raccogliere dati sia sulle persone loggate, sia sui loro “amici” online: Kogan ottiene, dunque, un database estesissimo sulle abitudini degli utenti, stimato intorno ai 50 milioni di profili coinvolti.
Tutto lecito e legalissimo, finché Kogan non condivide tale archivio proprio con Cambridge Analytica (in circostanze poco chiare), essendo vietato ai proprietari di app di distribuire dati a società terze. Facebook reagisce tardivamente, bloccando i profili delle due aziende, ma lo scandalo peggiore arriva due anni più tardi.
Nel 2016, a pochi mesi dalle elezioni statunitensi, il comitato di Donald Trump ingaggia Cambridge Analytica come gestore dei dati per la campagna elettorale. Contemporaneamente, una enorme quantità di “bot” (profili falsi gestiti da computer) inonda le pagine, le dirette e i post di Facebook diffondendo informazioni false e gonfiate sulla rivale Hilary Clinton, influenzando e cambiando le opinioni degli interessati e creando molta disinformazione.
Sfida elettorale Trump-Clinton | Fonte: Wikimedia Commons
Di tale azione viene accusata proprio l’azienda di Mercer, anche grazie la testimonianza dell’ex dipendente Christopher Wylie: attraverso l’uso del database citato poco fa, sono stati in grado di organizzare un’azione mediatica incredibilmente ampia e mirata, senza che gli utenti sapessero o sospettassero di niente. Il tutto utilizzando database vastissimo e ottenuto violando le normative Facebook, e che a quanto pare è stato anche fornito alla Russia di Putin, che aveva tutti gli interessi di ostacolare l’elezione della Clinton.
Lo scandalo è stato portato alla luce solo nei primi mesi del 2018, in un periodo storico in cui cresce fortemente il sospetto che la nostra privacy online non è sicura: la facilità con cui tali dati sono stati raccolti e riutilizzati illegalmente, all’insaputa degli utenti, è disarmante, e ci fa sempre più riflettere sull’importanza di gestire con accuratezza tutto ciò che riveliamo al web di noi stessi.
Luca Abatianni
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Ok Google, la mia privacy è a rischio?
In questi ultimi anni lo sviluppo tecnologico sta facendo passi giganteschi: tecnologie che fino a qualche anno fa sembravano lontanissime da noi, sono ormai diventate di comune utilizzo in gran parte del globo.
Ad esempio, ricordo che quando ero bambino, ogni volta che sentivo parlare di “domotica”, immaginavo qualcosa di così tecnologico che l’umanità avrebbe raggiunto solo in un remoto futuro. Per farvi capire: per un bambino, immaginare di controllare l’intera casa attraverso la voce è considerabile alla stregua delle macchine volanti in termini di tecnologia. Ma facciamo un passo indietro, per spiegare meglio di cosa stiamo parlando.
Smart House gestita da Tablet, di OYRSA | Flickr
La domotica è la scienza che si occupa dello studio e dell’applicazione delle tecnologie atte a migliorare la qualità della vita in casa, ed in generale negli edifici. Essa consente di ottenere un incremento rilevante delle prestazioni e delle possibilità offerte dai diversi impianti presenti in casa, ottimizzando i consumi ed integrando diverse funzioni, come ad esempio: controllo e sicurezza, comfort, risparmio energetico e comunicazione.
La domotica permette quindi di coordinare e gestire tutti i dispositivi compatibili attraverso l’utilizzo della voce, la quale si va a sostituire sempre più agli ormai obsoleti interruttori.
Tutti i dispositivi domotici acquisiscono l’aggettivo “smart”. Questi, per essere coordinati gli uni con gli altri e per rispondere ai nostri comandi, hanno bisogno di interfacciarsi, tramite la rete Wi-Fi, ad un “supervisore”. Si tratta solitamente di un dispositivo dotato di un assistente vocale integrato. I più utilizzati ad oggi sono Google Home ed Amazon Alexa.
Google Home Mini, di BenKolde | Unsplash (Ritagliata)
Entrambi gli apparecchi sono dotati di microfono, attraverso il quale captano i comandi da far eseguire ai dispositivi connessi. Sia Google Home che Alexa hanno delle parole chiave che servono a far “svegliare” l’assistente vocale, rispettivamente “Ok Google” ed “Alexa”. A queste paroline magiche seguono poi i veri e propri comandi vocali che vogliamo far eseguire.
Ma come fanno ad attivarsi con delle specifiche parole? Significa che sono sempre in ascolto? E dall'altra parte c'è qualcuno che sente ciò che diciamo? Data la dotazione di microfoni, questi dispositivi sono anche in grado di registrare le nostre conversazioni?
A quanto pare sì, è possibile. Come si legge in questo articolo del Corriere, una coppia di Portland, in Oregon, ha subito una violazione della privacy da parte di Alexa. L’assistente vocale ha registrato una loro conversazione ed ha inviato il file audio ad uno dei loro contatti in rubrica. La coppia ha subito denunciato il caso ad Amazon, che ha successivamente verificato e confermato quanto accaduto ed ha classificato il tutto come un bug del sistema.
Ragazze sorvegliate da telecamere, di MattewHenry | Unsplash
La paura di essere ascoltati, però, non si limita soltanto ai vari bug. La maggior parte degli utenti che usufruiscono di Google Home ed Alexa non è a conoscenza del fatto che non ci si interfaccia esclusivamente con un’intelligenza artificiale. Come sostiene il Sole 24 Ore, vi è una componente umana che ascolta le parole che rivolgiamo agli assistenti vocali. Un vero e proprio team formato da migliaia di persone che ascolta le registrazioni catturate nelle nostre case, le trascrive e le inserisce nel software in modo da rendere più efficiente la comprensione della voce umana da parte dell’intelligenza artificiale.
L’introduzione della domotica nelle nostre case ha sicuramente portato dei vantaggi e delle comodità considerevoli. Ma siamo consapevoli che stiamo pagando tutto ciò con la nostra privacy?
Andrea Casaluci
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Navigatore vs Mappe Digitali: due alternative simili con risultati diversi
Col passare degli anni e con lo sviluppo della tecnologia, le nuove generazioni si ritrovano, sempre più, con meno senso dell'orientamento. A seguito di alcuni studi si sono scoperte varie proprietà che rendono migliore o peggiore questo senso.
In questo post analizzerò la componente tecnologica che ha portato a questa situazione e il modo in cui si è evoluta.
Nel passato, per conoscere la propria posizione, bisognava avere dei punti di riferimento ed una buona mappa. Infatti, di quest'ultimo strumento esistevano varie tipologie, con le quali ci si riusciva ad orientare. Successivamente sono stati creati anche altri oggetti che favorissero l'orientamento come per esempio la bussola o per la navigazione anche il sestante. Man mano che si utilizzavano questi sistemi si sviluppava sempre di più il senso dell'orientamento, un senso grazie al quale si riesce a capire dove ci ritrova rispetto ad altri luoghi.
Mappe cartacee di Pexels Fonte:Pixabay
Oggi questo senso si sta perdendo, soprattutto a causa della mancanza di allenamento che si otteneva grazie all'uso di mappe e di punti di riferimento.
Il problema nella riduzione di questo "allenamento" riguarda proprio l'utilizzo del navigatore. Questo sistema si basa su applicazioni con mappe online, come Google Maps, e Mappe di Apple, le quali utilizzando sistemi di posizionamento (GPS,GLONASS, Beidu, Galileo, alcuni esempi che variano in base all'origine geografica di produzione) ti guidano fino alla tua meta.
Di per sè, però, le mappe online non rappresentano un problema poiché trasferiscono il lavoro da compiere con mappe cartacee su un display e ,inoltre, sono un grande vantaggio nel poter avere tutte le mappe del mondo a portata di un click al posto di dover consultare centinaia di fogli. Una volta applicato il sistema di posizionamento però si lascia fare il lavoro di interpretazione al proprio telefono, facendosi guidare tra le varie strade senza essere effettivamente consci dei posti che si attraversano, ma solo del punto di partenza e quello d'arrivo.
Navigatore con indicazioni e connessione GPS di Clker-Free-Vector-Images Fonte:Pixabay
In questo modo si corre il rischio di diventare ancora più bisognosi della tecnologia anche per piccole azioni come il spostarsi da una parte all'altra di una piccolo paese.
Ma quanto si è disposti a lasciare tutto in mano alla tecnologia? Ci si sta portando verso un mondo dove tutto è automatizzato, e le macchine si guidano da sole, come nel progetto Waymo portato avanti da Alphabet, la holding company a cui fa capo la società Google. In questo progetto iniziato nel 2009, la propria autovettura si piloterà in maniera autonoma sfruttando i sensori per comprendere gli oggetti nelle vicinanze e soprattutto utilizzerà i sistemi di posizionamento per poter calcolare ed eseguire i percorsi.
Automobile con guida autonoma(progetto Waymo) di Grendelkhan Fonte:Wikimedia Commons
E voi quanto siete disposti a rinunciare al vostro senso dell'orientamento solo per qualche comodità?
Luca Castellana
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Medicina e tecnologia: due realtà che procedono insieme
La tecnologia ha compiuto e sta compiendo tuttora enormi passi in avanti nella comunicazione tra persone (ad esempio attraverso l’utilizzo di Skype, WhatsApp, Instagram…), nel settore economico (in cui si parla di new economy), nella scienza e anche nell’ambito medico. In particolare, questo post, sarà dedicato a quest’ultimo campo e ad alcune sue applicazioni.
Mondo in pillole | Foto di jniittymaa0 su pixabay
Sono numerose, infatti, le invenzioni che contribuiscono al progresso di tale ramo, tra cui ci sono: “Theraoptix”, “Sea Hero Quest VR” e un pacemaker per il cervello. La prima è una lente a contatto creata da alcuni ricercatori della Scuola Medica di Harvard, in grado di rilasciare dei farmaci sull’occhio che fungono da terapia per diverse malattie oculari (ad esempio il glaucoma). Questa proprietà è dovuta al fatto che la lente è stata creata con un materiale, approvato dall’FDA, che contiene al suo interno una piccola pellicola polimerica che forma una striscia attorno alla lente stessa e rilascia lentamente la medicazione.
Risulta molto efficace e non cura solo la parte “esterna” dell’occhio ma è in grado di arrivare al suo interno in modo tale da prevenire anche la degenerazione maculare, la retinopatia diabetica e l’occlusione venosa retinica. “No eye drops, no injections - just one lens” è stato ciò che ha detto Lokendra Bengani, membro del gruppo dei ricercatori, ovvero “Niente gocce, niente iniezioni - solo una lente”.
Per quanto riguarda "Sea Hero Quest VR", invece, si tratta di un gioco in realtà virtuale creato apposta per poter prevenire, o almeno rallentare, la demenza senile, una malattia neurodegenerativa, che può sfociare nel morbo di Alzheimer che colpisce più di 50 milioni di persone al mondo. È stato sviluppato da Glitchers in collaborazione con Deutsch Telekom e l’aiuto di alcuni neuroscienziati.
Il gioco non è tanto complicato in quanto bisogna guidare una barca, facendola passare attraverso diversi checkpoint che scompariranno man mano che si va avanti. Oltre 4,3 milioni di persone hanno già scaricato Sea Hero Quest VR fornendo ai ricercatori dei dati e delle informazioni corrispondenti a 176 secoli di lavoro se si fosse proceduto con i modi tradizionali. Dai risultati del gioco emerge che le navigazioni peggiori siano state effettuate dalle persone con il gene APEO4 che è considerato come una causa della malattia.
Infine è stato inventato un pacemaker per il cervello, ovvero un dispositivo che ha come obiettivo quello di ridurre e rallentare la degenerazione dei processi cognitivi di chi soffre di Parkinson, epilessia e Alzheimer. Questo studio è stato condotto dall’Ohio State University Wexner Medical Center.
Logo dell'OSU Wexner Medical Center | Fonte:Wikimedia commons
I fili di questo strumento sono attaccati ai lobi frontali del cervello per determinare se l’uso dell’apparecchio possa migliorare le abilità funzionali e comportamentali delle persone affette dalle malattie. Il Dottor Douglas Scharre, direttore dell’Instituto Neurologico del Medical Center sostiene che ci sono molti strumenti per allenare la memoria ma che ciò non basta. Bisognerebbe trovare qualcosa in grado di migliorare le “skills” dei pazienti; fondamentali per realizzare azioni giornaliere quali il farsi il letto, decidere cosa mangiare…Ed è questo ciò che si propone di realizzare.
Livia Di Rao Marotta
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Digital education: tecnologia al servizio della didattica
Tablet, lavagne digitali, lezioni in streaming e registri elettronici, lo sviluppo informatico si è messo al servizio della comunità cambiando il modo di gestire l’insegnamento in ogni livello del sistema scolastico. Le nuove tecnologie al servizio di alunni e insegnanti posseggono un’interminabile serie di vantaggi, ma non mancano le critiche degli addetti ai lavori.
Esempio di LIM | Fonte: Creative Commons
In Italia, l’introduzione di nuovi metodi digitali per l’insegnamento è avvenuta sicuramente in ritardo rispetto ad altri paesi sviluppati, durante la prima metà di questo decennio, e con una certa diffidenza, poiché uno dei problemi principali è stato aggiornare il corpo-docenti verso l’uso e le potenzialità di questi strumenti. Tra le prime novità che le scuole italiane hanno introdotto, come parte attiva delle classi, figurano le LIM (Lavagne Interattive Multimediali), alternative Touch-Screen alle classiche lavagne in gesso, con l’obiettivo di rendere quanto più varie e complete le lezioni in classe.
Lo sviluppo è avvenuto, parallelamente, anche dal lato degli studenti, sia attraverso lo sviluppo di aule multimediali, sia con l’efficace avvento dei Tablet e IPad, la cui diffusione tra gli alunni (prevalentemente di superiori e università) è in crescita con modi diversi: secondo l’annuale rapporto della testata Skuola.net, in merito all’uso delle tecnologie a scuola, a circa il 22% degli studenti viene fornito gratuitamente un Tablet ad uso didattico, mentre un ulteriore 6% lo riceve attraverso un contributo pattuito con la scuola. Dati più promettenti rispetto a quelli del 2017, ma che, purtroppo, peggiorano nel Mezzogiorno, dove si aggiunge che quattro studenti su cinque non hanno mai affrontato corsi sull’uso di software e strumenti per l’istruzione.
Nel mondo universitario, al contrario, il colpo d’occhio mostra che sempre più studenti scelgono proprio i Tablet (prevalentemente Apple IPad) per sostituire il normale carico di materiale cartaceo, spesso incredibilmente scomodo, costoso e soprattutto “pesante” per l’ambiente (uno dei pro più importanti di queste innovazioni). Le nuove avanzatissime tecnologie di scrittura su schermo permettono di riprodurre con estrema fedeltà i classici quaderni di appunti, per rendere l’esperienza quanto più “comoda” possibile, ma quali sono i contro di questa scelta?
Tecnologia per lo studio | Fonte: Pixabay
Una prima evidente nota negativa viene dal contatto visivo che gli occhi hanno per diverse ore con l’innaturale luce dello schermo, mentre secondo molti esperti del settore il digitale non aiuta, anzi peggiore, l’efficacia dello studio in generale, trattandosi di uno strumento che non permette il normale contatto fisico con il materiale: addirittura spesso viene sconsigliato l’uso del pc per prendere appunti, in quanto è stato osservato che con esso lo studente non rielabora ciò che ascolta sul momento, e non ottiene la classica “infarinatura” della lezione.
Naturalmente l’Italia si sta muovendo in una direzione “digitale” nel mondo dell’istruzione, seppur con una modesta rapidità, ma possiamo aspettarci in futuro un uso sempre più diffuso, efficace e consapevole di queste nuove tecnologie nell’ambito educativo.
Luca Abatianni
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Il ruolo delle Fake News sulla Brexit: il caso Ebbw Vale
L’avvento di Internet ha prodotto degli ottimi effetti, come ad esempio lo scambio istantaneo di informazioni tra miliardi di persone. Al giorno d’oggi, siamo infatti in grado di venire a conoscenza di un evento appena esso accade, o quasi. Viviamo nell’era dell’informazione, delle notizie in tempo reale, del tutto e subito.
Ma non è tutto oro ciò che luccica. Infatti, grazie alla velocità ed alla facilità con cui le informazioni viaggiano e si diffondono nel web, allo stesso modo lo fanno anche le fake news. Fino a qualche anno fa, le nostre fonti di informazione erano principalmente le testate giornalistiche, mentre ora è il Web a sommergerci di notizie. Prima ci affidavamo a giornalisti autorevoli, invece con Internet abbiamo perso i nostri punti di riferimento. Non è quindi semplice distinguere il vero dal falso.
Giornale delle Fake News di rawpixel | Pixabay
È ciò che è successo ad Ebbw Vale, una piccola cittadina nel Galles meridionale. Nei giorni successivi al referendum britannico sulla Brexit, la giornalista dell’Observer, Carol Cadwalladr, si è recata in questa comunità gallese, famosa per le sue miniere di carbone. La chiusura di queste ultime devastò l’economia della comunità locale.
Ebbw Vale è uno dei distretti elettorali in cui si è registrata la più alta percentuale per il “Leave”: il 62% della popolazione ha votato per lasciare l’Unione Europea. Fino a qui non c’è nulla di strano, vero?
Bivio tra UE e Brexit di Tumisu | Pixabay
Il dato risulta bizzarro ed incomprensibile quando la giornalista, nel suo talk al TED di Vancouver, espone tutti gli investimenti fatti dall’UE ad Ebbw Vale, per risollevare la zona dopo la chiusura delle miniere di carbone e acciaio. Investimenti da milioni e milioni di sterline, come college, centri sportivi, tratti stradali, nuove stazioni e linee ferroviarie. E tutto ciò non è avvolto da un velo di segretezza: gli abitanti di Ebbw Vale possono rendersene conto alzando lo sguardo dal proprio smartphone e guardando gli innumerevoli cartelli che ricordano gli investimenti europei in Galles.
College di Ebbw Vale finanziato dall'UE, di Chris Sampson | Flickr
Allora cos’ha portato i cittadini del posto a votare per il “Leave”? Dall’indagine di Carol emerge che i cittadini sostengano che l’UE non abbia fatto nulla per loro, che non ne possono più di immigrati e rifugiati, e che, stufi della situazione, vogliano riprenderne il controllo. Ciò appare ancora più strano perché, dalle statistiche, risulta che Ebbw Vale ha uno dei più bassi tassi di immigrazione del Galles.
E allora da dove derivano queste informazioni? Dal dialogo con i cittadini è venuto a galla che avevano letto tutto ciò su Facebook. Immagini, video e fake news impressionanti sull’immigrazione hanno influenzato il voto di un’intera città, dipingendo Ebbw Vale ed i suoi abitanti come vittime e l’Unione Europea come l’antagonista.
E’ questo il dato sconvolgente. La realtà che ci circonda conta meno del mondo virtuale. Ci affidiamo a ciò che leggiamo online e dubitiamo di ciò che ci accade intorno. Dovremmo invece aprire gli occhi ed essere sempre più scettici, scavando affondo alle news che leggiamo online ed indagando sulle loro fonti, per riuscire a distinguere la realtà dalla finzione.
Andrea Casaluci
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Smart, un termine digitale?
Il termine "smart", è una parola inglese che connota degli aspetti umani tipicamente positivi, per cui una persona è intelligente, veloce, e con un aspetto elegante. Cosa accadrebbe se ci riferissimo con questo termine ad un oggetto, in particolare, ad una macchina?
Proprio in questo campo infatti, questo termine, oltre ad assumere le caratteristiche umane, ha assunto un nuovo significato: indipendente.
Al giorno d'oggi siamo circondati da tecnologie smart, e ci stiamo sempre più proiettando verso un futuro con un utilizzo ancora più ampio.
Queste tecnologie sono un fulcro dell' "Era digitale". Un primo esempio chiave, è lo smartphone, dispositivo nato come telefono e diventato "smart" grazie all'aggiunta di capacità come quella di calcolo, di memorizzazione dati e in fine di connessione ad una rete, caratteristiche che lo rendono performante e molto utile nella vita quotidiana.
Altri due oggetti che sono stati resi "smart", sono televisori e frigoriferi, diventati smart-tv e smart-refrigerator. Questi oggetti infatti sono stati dotati di accesso ad internet e come per gli smartphone dotati di processori, grazie ai quali possono offrire sempre più servizi. Un esempio è la possibilità di riprodurre video da piattaforme streaming direttamente sul proprio televisore quindi con uno schermo solitamente più grande di quello del proprio computer, oppure la possibilità di essere avvisati dal proprio frigorifero che un prodotto sta terminando.
Questi ultimi però sono delle piccole componenti di un campo più ampio ancora in sviluppo: la domotica, un scienza nella quale si stanno sviluppando tecnologie smart adatte alla casa. Grazie ad essa, si vuole rendere migliore la qualità della vita, poiché la propria casa diventerebbe interamente smart, e quindi capace di ottimizare vari aspetti, partendo dai consumi energetici fino a persino rendere la propria abitazione un ambiente più sicuro.
Nella smart house sarà possibile controllare tutti i vari dispositivi tramite un unico sistema e quindi coordinare varie funzionalità degli elettrodomestici, o anche utilizzare il sistema di riscaldamento/raffreddamento in base alle necessità di chi è presente all'interno della casa tramite il riconoscimento facciale. Molto importante in questo campo sono gli assistenti vocali, cioè delle intelligenze artificiali con cui si può interagire,e se collegate ad una rete, possono eseguire dei comandi vocali.
Connettività delle smart house Fonte :Pixabay di Geralt
Pensando ancora più in grande al progresso tecnologico, giungiamo alle smart city. Queste rappresentano ancora oggi uno scenario poco presente, ma al quale ci si sta avvicinando sempre di più. L'obiettivo è quello di sfruttare la tecnologia per rendere le città migliori per i cittadini da vari punti di vista. Grazie alla connessione tra varie strutture, come quelle della mobilità o dell'efficienza energetica, e l'utilizzo di vari software di analisi dati indipendenti dal controllo umano,come le intelligenze artificiali, si vuole rendere le città meno inquinate e più efficienti.
Smart city Fonte :Pixabay di Tumisu
Queste ultime però ancora avranno bisogno di tempo per potersi vedere completate poiché in questo periodo, nonostante la volontà di portarsi verso questo tipo di città, ci sono ancora limiti, tra cui vuoti normativi, limiti tecnologici ed economici che ne impediscono la realizzazione.
Luca Castellana
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Un click-un sogno: la mia prima esperienza con Internet
“E tu cosa vuoi fare da grande?” “Ma è ovvio! Prima voglio fare l’insegnante, poi la dogsitter, poi…be’ almeno una volta sulla luna ci devo andare quindi dovrò fare anche l’astronauta per un po’ di tempo, poi…vediamo… mi piacerebbe fare l’agente segreto. Sì! Dev’essere proprio un lavoro stupendo!” “Wow! Quindi non ti annoierai mai insomma.” “Assolutamente no, anche perché questi lavori li farò i primi anni, poi diventerò famosa” “Come?” “Facendo la cantante”
Bambina che pensa | Fonte: pixabay
Queste erano le tipologie di risposte che davo, fino ai 10/11 anni, a tutte le persone che mi chiedevano che lavoro volessi fare da adulta. Ma che cosa c’entra tutto questo, vi starete chiedendo, con l’effetto che la tecnologia sta generando sulla società? Con i cambiamenti che sta producendo? Sull’impatto che ha sulle persone?
Questo post, in realtà, è un po’ diverso dalle tematiche che tratteremo sul blog in quanto vi racconterò della prima esperienza che ho avuto con internet. Anche se le idee che avevo da piccola potevano sembrare un po’ esagerate e soprattutto irrealizzabili, sulla parte del “diventare famosa facendo la cantante” ero molto sicura, forse fin troppo. E quale poteva essere il miglior metodo per realizzare quel sogno? Ovviamente quello di andare su YouTube e ascoltare per ore e ore le stesse canzoni.
Il lavoro, però, non era così semplice come sembrava! Prima di tutto dovevo risalire al titolo di un pezzo, cosa per nulla facile dato che, poiché dovevo fare le cose per bene, non potevo mica imparare una canzone italiana…Altrimenti come potevo pensare di diventare famosa? Insomma, si sapeva che le persone veramente conosciute erano quelle che sapevano parlare l’inglese!
Allora mi affidavo a Google e sulla barra di ricerca scrivevo tutte le parole che mi ricordavo e che possibilmente facessero parte della canzone che volevo imparare. Bastava un briciolo di fortuna che venivo reindirizzata direttamente al video che mi interessava e da lì iniziava il vero e proprio divertimento!
Microfono | Foto di hnt6581 su flickr
Con una spazzola per capelli in mano e lo schermo del computer su cui apparivano le parole davanti a me, cantavo per ore e ore finché mia mamma non entrava nella stanza e non mi chiedeva se gentilmente potessi finire il mio concerto perché era già da troppo che andava avanti. Mi ricordo che per un po’ di tempo desideravo e avevo chiesto se i miei genitori mi potessero regalare un microfono vero, il quale purtroppo non è mai arrivato e mi chiedo ancora il perché.
Livia Di Rao Marotta
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La magia dietro allo schermo: il mio primo abbraccio ad Internet
Sebbene possa sembrare scontato, al giorno d’oggi, introdurre i ragazzi all’uso di internet anche in tenera età, io provengo da una generazione, quella dei “nativi digitali”, che ha sperimentato il suo potenziale nel momento di maggiore crescita, e durante la mia infanzia buona parte del mondo in cui vivevo non era online: il computer, con il World Wide Web, allora, era una scatola magica, un po' come poteva essere stato il televisore per i nostri nonni tanti anni fa, e la sua ricchezza era tutta da scoprire.
Bambina che gioca con un computer | Fonte: Wikimedia commons
Avrò avuto circa 6-7 anni quando i miei genitori decisero di mettere su una “postazione-ufficio” in casa, comprando un Pc Desktop nuovo di zecca e installando, per la prima volta, la cosiddetta ADSL, quell’oramai antiquata tecnologia che, attraverso l’uso di un semplicissimo cavetto, poteva introdurti in questo regno sempre crescente. Iniziai da lì, da quella scrivania e quello schermo quadrato, a cercare, curiosare e sperimentare.
Ciò che ritorna più facilmente alla memoria sono state, sicuramente, le decine di ore spese su tra Paint e le applicazioni Microsoft Office, o girovagando tra le impostazioni e le “Risorse del computer”: adoravo sperimentare con PowerPoint, perché permetteva di fare delle piccole presentazioni arricchite da una vasta gamma di animazioni ed effetti grafici, che seppur minimali, erano davvero sorprendenti alla mia giovane età.
Internet, naturalmente, non ci ha messo molto ad arrivare. Non ho ben vivido un ricordo preciso della mia prima esperienza, ma una serie di piccole abitudini che assimilai col tempo. Come per diversi miei coetanei, il primo approccio è stato con Wikipedia, anche grazie al fatto che iniziò a facilitare le prime ricerche scolastiche; poi a seguire con il piccolo mondo di Yahoo.it, i primi giochi online assieme ad amici, e l’avvento straordinario di YouTube, che iniziai a “frequentare” sin dai primi tempi della sua diffusione su larga scala. Decisi, più tardi, di creare anche un indirizzo mail personale, che usai per le prime piccole comunicazioni con i miei amici, e che, in un certo senso, forniva una sorta di recapito personale, una semplicissima identità digitale.
Logo di Yahoo.it | Fonte: Pixabay
Quello schermo che mi ha affascinato così spontaneamente, è un ricordo che senz’altro sarà difficile da dimenticare: ha formato il mio grande interesse per l’informatica, la tecnologia e l’evoluzione digitale, e rimarrà sempre il fondamento di questa mia grande passione.
Luca Abatianni
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“Scatole” o Computer? I miei primi passi su Internet
Il mio primo approccio all’universo di Internet è basato su un primo contatto indiretto. Mi spiego meglio: quando ero ancora un bambino, ignaro del mondo tecnologico e digitale, passavo gran parte del mio tempo libero con mio cugino, di qualche anno più grande di me.
Bambini con laptop di sasint | Pixabay
Un bel pomeriggio, dopo essermi recato a casa sua come da prassi, lo trovai intento a fissare una scatola che aveva dei pulsanti ed uno schermo. Ai miei occhi sembrava un piccolo televisore. I suoi genitori gli avevano regalato un computer! Mentre lui mi spiegava cosa fosse questa “scatola”, io scrutavo con occhi meravigliati il nuovo oggetto del desiderio, come se fosse uno di quei nuovi giocattoli che vengono pubblicizzati in televisione.
I pomeriggi volavano mentre utilizzavamo quel vecchissimo (allora nuovo!) HP, senza che noi ce ne accorgessimo. Passavamo la maggior parte del tempo giocando ad un browser game, Habbo Hotel, nel quale ci si crea un proprio avatar, attraverso il quale si può comunicare con altri personaggi appartenenti agli altri utenti online. Il gioco è ambientato in un hotel virtuale, in cui ogni giocatore può creare le proprie stanze ed arredarle tramite i “crediti”, la valuta virtuale del gioco.
Esempio di schermata di Habbo Hotel di Eduardo Yanquen | Flickr
Tutto ciò appariva come qualcosa di meraviglioso agli occhi del me bambino, ed il “computer” divenne subito un chiodo fisso nei miei desideri. Per questo pregai i miei genitori di regalarmene uno, così insistentemente da farli arrivare all’esasperazione. Ottenni ciò che desideravo. Mi venne regalato un piccolissimo, ma praticissimo, Acer AspireOne da 10’’. Era talmente piccolo da sembrare effettivamente un giocattolo finto, come quei telefonini in plastica che spesso si regalano ai bambini. Però per me era perfetto, l’ho amato fin da subito.
Acer Aspire One | Wikipedia (Wikimedia Commons)
Da quel momento iniziò la scoperta di un nuovo mondo, quello del web. Miliardi di siti, miliardi di informazioni, miliardi di persone online, il tutto facilmente accessibile persino ad un bambino.
Ciò, però, comporta anche dei rischi che non devono assolutamente essere trascurati. Esporre un bambino ai pericoli che si celano nel web è molto rischioso ed azzardato, se ciò non viene fatto controllando le azioni che si svolgono online. Proprio per questo motivo, i miei genitori hanno sempre fatto attenzione a ciò che facevo navigando in internet, insegnandomi ad evitare tutto quel che di pericoloso avrei potuto incontrare. Infatti, anche grazie a loro, non ho mai avuto problemi in rete e me la sono sempre cavata bene.
Non ho altri ricordi specifici della mia infanzia riguardanti la scoperta di Internet, però ricordo chiaramente che rimasi parecchio affascinato da questo mondo, e forse questo è uno dei tanti motivi che mi hanno spinto a scegliere ingegneria informatica come percorso di studi.
Andrea Casaluci
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Primo approccio ad internet: fortuna o desiderio? La mia esperienza
Al giorno d'oggi, nei Paesi sviluppati, la maggior parte dei bambini, già in tenera età, ha avuto un primo rapporto con il mondo dell'internet. Questa tecnologia, infatti, è all'interno di quasi tutte le case, e moltissime persone, adulti o meno, sono in grado di utilizzarla.
Bambina alla scoperta di internet Fonte :Pixabay di Finelightarts
"La rete " ha avuto un processo di sviluppo molto veloce. Per questo motivo, a distanza di soli 12 anni sono cambiate radicalmente le tipologie dei primi approcci delle persone ad essa. Per quanto riguarda la mia esperienza, non c'è stato un vero e proprio primo avvenimento, ma più una serie di eventi in cui, tra curiosità e necessità, mi sono affacciato all'utilizzo di questa tecnologia.
La prima volta in cui ho scoperto internet è stato in maniera passiva, infatti in casa era presente un vecchio computer e, vedendo mio padre utilizzarlo per lavoro, mi sono incuriosito su come funzionasse. Successivamente, la mia prima esperienza diretta fu nel dover realizzare un powerpoint dopo una gita scolastica e quindi dover cercare nel web immagini e informazioni relative alla località visitata.
In quella situazione mi trovai a dover comprendere i meccanismi di quella complicata tecnologia in completa autonomia e, chiedendo ogni tanto qualche consiglio a mia sorella più grande, o provando a cliccare qua e là, riuscii a completare tutte le ricerche. Quell'esperienza fu solo l'inizio del mio rapporto con internet. Successivamente, crescendo e appassionandomi sempre di più, iniziai ad utilizzarlo anche in altre forme: facendo ricerche su wikipedia, guardando video su youtube e anche giocando online a giochi di ruolo.
Penso che questo tipo di esperienza sia stata molto formativa, poiché tutta questa serie di episodi in cui ho conosciuto il mondo del web mi ha fatto avvicinare sempre di più ad un mondo affascinante. Per questo motivo ora sono iscritto al corso di Ingegneria Informatica, e ho una grande passione verso i computer.
Luca Castellana
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