#verità fili invisibili
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occhietti · 10 months ago
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Il karma ricorda.
Tutto.
Dalla A alla Z, dallo zero all'infinito.
E non accetta giustificazioni.
Ricorda il male e il bene, il falso e il vero, gli occhi sinceri, il mistero assopito nelle stelle più alte sul plotter del cielo.
Il karma ha una mente limpida, profonda e protetta da fili in acciaio armonico, invisibili agli occhi senz'anima.
Tu non sai che forma ha la sua gabbia: il tempo chiude, il tempo apre il suo unico sportello.
O dentro, o fuori.
Il karma ricorda.
Sputa il silenzio, l'eco della verità, e fa sbocciare le rose sulla neve.
Il karma ricorda.
Non si vende, non finge, non imita.
Il karma ricorda.
Ricorda anche tu… ogni passo che fai.
- Green Eyed Vincent
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susieporta · 4 months ago
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Sette di Bastoni
"Da burattini a Uomini d'Onore"
Le Energie di Settembre ci portano a rivedere il nostro Passato.
E mentre ricostruiamo interiormente a fatica "i torti e le ragioni", le "occasioni perse o lasciate", "le vittorie e le sconfitte", ci rendiamo conto che quella storia "non siamo più noi", da tempo.
I personaggi sembrano marionette che si muovono dinoccolate su un palco, incoscienti di essere tirate da un filo e governate dalle "sapienti" mani di un burattinaio.
E tutta la narrazione sembra "uguale a se stessa".
Stesso film, stesso copione, stessa dinamica.
E' commovente assistere alla scena di Pinocchio che diventa Bambino.
Ma ci dispiace per quel "pezzo di legno".
Era stato creato con tanta dedizione da Geppetto, padre materiale e spirituale di Pinocchio, che insieme alla sua creazione, matura il senso della Genitorialità come funzione evolutiva.
Nell'incoscienza, Geppetto offre il dono della Vita ad un "figlio surrogato", un burattino parlante, per riempire il proprio vuoto d'Amore. E sempre nell'inconsapevolezza, si ritrova catapultato nel viaggio verso la propria Rinascita interiore.
Per riconquistare "il diritto all'incarnazione" Pinocchio si perde tra le contraddizioni dell'Esistenza, sbattuto qua e là, nella mancanza assoluta di connessione interiore, di direzione, di radicamento, disperso nella dolorosa degenerazione dell'Io.
Ancora oggi è così.
Molti individui vivono la Vita senza provare l'Amore. Appiattiti nell'inedia, nella ipnosi del piacere compensativo fine a se stesso.
O esasperati dalla radicata mancanza di punti di riferimento, dalla ribellione, dall'autosabotaggio, dalla solitudine e dal vuoto interiore, dalla rabbia e dall'insofferenza, governati da fili invisibili che li incatenano ad uno schema disfunzionale invisibile, ma più potente di qualsiasi altra gabbia interiore.
Pinocchio incontra la Fata Turchina. Un Entità che da bambina, matura il proprio spazio energetico femminile e diventa "madre interiore".
Essa lo pone di fronte alla Menzogne che racconta a se stesso per non maturare, per non crescere nella Verità.
Lo pone di fronte alle sue scelte distruttive.
Pinocchio poi matura. E matura attraverso l'affettività e l'empatia.
Il "donarsi" all'altro con Amore e Verità, lo rende finalmente "Umano".
Rompe l'incantesimo della prigione di legno e lo trasforma in un Maschile responsabile ed "energeticamente vitale".
E' questa la Strada.
E' la Strada che ci propone di percorrere Settembre.
La Via della Responsabilità e della Maturità affettiva.
Per divenire Uomini e Donne integri, emozionalmente presenti, onesti e non più schiavi dei "fili del burattinaio".
Per divenire Maschili e Femminili energeticamente potenti e sani e "genitori interiori" consapevoli e abbondanti nell'accoglienza e nell'Amore.
Mirtilla Esmeralda
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ilquadernodelgiallo · 1 year ago
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Ah, i vecchi, quando ricordano, non fanno altro che mentire! Idealizzano il passato non avendo più alcun futuro, perciò mentono a sé stessi in maniera spudorata. Illusione e menzogna, sono queste le assi su cui si recita la commedia umana, è sempre stato così. [...] Ecco cosa rimane di tutti i nostri furori ideologici e amorosi!, ho pensato, nient'altro che una buffonata recitata da vecchie carampane, senza neppure un briciolo di vergogna o di compassione. [...] è naturale che pensi a chi ero io a quel tempo, al tempo perduto della giovinezza. E a quel punto è inevitabile che riveda agitarsi nella memoria un fantoccio tremendamente stupido e frenetico. Un pagliaccio che si ostina ancor oggi a tenere aggiornato - con implacabile e funereo masochismo - questa specie di diario dell'infamia e del disinganno. [Le scarpe di Joyce] _______________
Avvolto da fili di nebbia e pioggia, cammino attraverso l'autunno con la sensazione di camminare in compagnia di fantasmi. Di notte, li vedo nei sogni. Di giorno, mi seguono per strada indossando gli abiti delle persone più comuni. Invisibili a tutti, ma non ai miei occhi. A volte, quando me li sento alle spalle, con il fiato già sul collo, mi metto a correre all'impazzata in mezzo alla gente. Corro per sfuggire ai demoni che mi perseguitano camuffati da individui normali, ben sapendo che dietro alle loro maschere bonarie, da uomini qualunque, si celano in realtà delle terribili sfingi con la testa di falco. [Unghie sporche di sangue] _______________
I saluti che ci scambiamo all'uscita dal ristorante, le promesse assurde di incontrarci di nuovo e al più presto (addirittura di «non perderci mai più di vista»!), sono in realtà  degli addii definitivi, vere e proprie epigrafi scolpite sulla tomba del nostro comune passato. E in effetti, dopo aver guardato in faccia il passato, non resta nient'altro che ammutolire mentre gli occhi si riempiono di lacrime e di cenere. [Compagni di classe] _______________ «Tutto questo rumore assordante, lo senti? Tutto questo chiasso infernale, ti assicuro, è niente in confronto alla voce da femminuccia del mio carnefice», aveva detto al momento di salutarmi. [Una voce da femminuccia] _______________
Un petulante balbettio letterario sale molesto da ogni parte d'Italia, è quella marea di grafomani incontinenti che non hanno nulla in comune con la letteratura (cantanti, comici, politici, magistrati, alienisti, maghi, casalinghe, prostitute, conduttori televisivi, ballerine e onanisti vari) e che producono quotidianamente tonnellate di mucillagine cartacea. Tonnellate di porcherie che ammorbano l'aria e ti investono in faccia appena ci si arrischia a mettere il naso in una libreria. [...] Fortini ci confessò che quei pennini gli ricordavano un viaggio in Russia di tanti anni addietro: accogliendo lo scrittore italiano a Leningrado, alla stazione ferroviaria Finlandia, un addetto culturale russo si era sfilato dal taschino della giacca la penna e, donandogliela, gli aveva detto: «Scrivi sempre la verità!». [I pennini di Fortini] _______________
Conservo ancora una copia di La croce e il nulla, forse il suo [di Sergio Quinzio] libro più illuminante e profetico, sul cui frontespizio aveva scritto per me questa dedica speciale: caro Francesco, non conosciamo fino in fondo neppure la sofferenza e la morte se non le confrontiamo con un disperato bisogno di giustizia, di consolazione e di pace. Non perdiamolo, a qualunque costo, cerchiamo, se non altro per questo, di serbare anche la più esile memoria della gioia e della speranza. Il nulla dissolve anche la sofferenza e la morte di chi ha sofferto e di chi è morto. [Fra l'immondezzaio e l'eternità] _______________
Adesso che sono diventata cieca, io non vedrò più il demonio. Al contrario di me, tu sei condannato invece a vedere ancora a lungo i tuoi fantasmi. Ti accompagneranno fino alla tomba, te l'assicuro, i tuoi dannati incubi diurni e notturni. Perché la questione in fondo è molto semplice. Per non dire banale, ed è che tu sei vissuto finora murato vivo dentro il carcere della memoria. Sepolto sotto un cumulo di ricordi e con la mente sempre rivolta verso l'infanzia, alla fine sei diventato pazzo di nostalgia. La nostalgia dell'infanzia, è questo il tuo dramma. La tua malattia. «Una malattia subdola e regressiva che ti obbliga a rielaborare ossessivamente il lutto per la perdita della tua innocenza puerile, conservandoti così al riparo dal terrore della morte. Una malattia incurabile che ti costringe a tenere lo sguardo puntato non verso il futuro, di cui non ti è mai interessato un accidente, bensì verso il passato. Verso quei fasti inceneriti della nostra infanzia in comune, come ti ostini a chiamare con ridicola enfasi i nostri giochi infantili sulle rive verdeggianti del Tartaro, in quel piccolo eden di nome Ca' Labia.» [Negli occhi del diavolo]
Francesco Permunian, Il gabinetto del dottor Kafka
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readplayerone99 · 13 days ago
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Haruki Murakami - 1Q84
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🅰🅻🅻🅴🆁🆃🅰 🆂🅿🅾🅸🅻🅴🆁 SIETE STATI AVVISATI
Consigliato: Ovviamente sì!
Voto: 9\10
Spiegare 1Q84 non è facile, è una storia talmente intricata, ma allo stesso tempo affascinante, sembra Quasi un sogno...forse lo è davvero.
Questa è la storia di due persone, due anime diverse, ma complementari. Lui, Tengo, vive con il padre, un uomo molto severo che tratta il figlio con inspiegabile durezza. Lei, Aomame, la cui famiglia fa parte della Società dei Testimoni, una setta religiosa. Entrambi si incontreranno a dieci anni. Sarà un incontro breve, ma che segnerà le esistenze di entrambi per il resto della loro vita. Gli anni passano e le loro strade si dividono. Ormai adulti, Tengo lavora come insegnante di matematica in una scuola preparatoria, mentre Aomame, che intanto ha lasciato definitivamente la setta, lavora come personal trainer. Nonostante non si siano mai dimenticati e il sentimento che provano l'uno per l'altra non si sia mai spento, le loro vite sono come due binari destinati a non incontrarsi mai. Se non fosse che entrambi, benché con due compiti diversi, viaggiano sullo stesso treno, che li porterà nella stessa destinazione: quella dell' 1Q84, un mondo parallelo, dove ci sono due lune e dove piccoli uomini invisibili, i Little People, tessono i fili di questa trama, come tessono i fili della Crisalide d'aria, da loro stessi creata. Crisalide d'aria è anche il titolo del romanzo su cui Tengo lavora come ghostwriter, il cui vero autore è in realtà la bella ed enigmatica Fukaeri, fuggita dalla pericolosa setta del Sakigake, contro cui la stessa Aomame (che è anche una killer professionista), ed in particolare con il suo Leader, dovrà combattere.
Il romanzo è tutto un gioco di dualità. tra ciò che è palese e che è necessario mostrare davanti a tutti, per esempio per Aomame è avere un corpo perfetto ed eseguire gli ordini con estrema precisione, o per Tengo avere una vita tranquilla, priva di affetti stabili; in questa esistenza, persino il sesso, diventa semplice godimento occasionale privo di amore (nel caso di Tengo, sembra più un appuntamento settimanale dal dentista); però vi è anche ciò che celato, e qui entrano in gioco i due protagonisti, il loro sentimento che, nonostante i vari ostacoli che si presentano sul loro cammino, non vacilla neanche di poco.
Non tutti amano Murakami, io personalmente ho trovato questo romanzo meraviglioso, più simile ad un sogno, che avvolte si trasforma anche in un dolce incubo, che però non spaventa. Anche le scene di sesso più estreme (devo dirvi la verità, sono molto pudica come persona 😅), non sono così diverse da una poesia delicata.
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poetyca · 2 years ago
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Verità - Truth
🌸Verità 🌸Sono davvero tantele anime in ricercache non si riconoscononelle vie traversetracciate da altri con l’abile l’intreccio dei fili invisibili della manipolazioneStrappato il velosottile dell’ingannosanno ben guardaredove la verità risiede ed aperte le alivolano dove vivono cuore e ragione specchiando se stesse24.10.2022 Poetyca 🌸🌿🌸#Poetycamente 🌸TruthThere are so manysouls in searchthat do…
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scogito · 5 years ago
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Non si temono mai le distanze, se devi temere qualcosa è perché devi attraversarla. E raggiungerla.
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tulipanico · 3 years ago
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I numeri mi hanno sempre affascinata, sin da piccina ho trovato stimolanti i giochi di logica e della matematica continuo ad amare il fatto che poi tutto torni. Se trattati con dedizione e delicatezza, i numeri si susseguono docili, tornano, stanno alle regole iniziali, sempre. Mi trovo spesso a pensare che, se avessi costantemente a che fare con i numeri, la vita sarebbe più lineare, ed è forse per questo che, poi, finisco sempre per farci caso. Erano le tredici e zeroquattro quando mi sono seduta a tavola per il pranzo: il piede destro si è infilato, in automatico, sotto alla natica sinistra. Subito dopo, come un moto di spirito o una presa di coscienza, sento una scossa alla spalla e, rapida come un animale ferito, spingo la gamba al suo posto, la stendo vicino alla sinistra. Mi chiedo se certi movimenti del corpo siano in qualche modo disegnati nel corredo genetico al pari della forma degli occhi. 
Quando noto certe somiglianze mi arrabbio, mi addosso la colpa di assomigliargli, è un po' come se alla pelle fossero attaccati fili invisibili che ci muovono allo stesso modo, ed allora mi arrabbio anche con quel burattinaio stanco che ci tiene, inevitabilmente, uniti. Mi sento alla costante ricerca di un modo per esorcizzare questa rabbia, che scorre vischiosa sotto alla pelle chiara, che mi appesantisce, che mi inchioda a terra. Vorrei che non avesse un tale potere su di me, che le sue parole dette male mi scivolassero addosso: la verità è che potrebbe fare qualsiasi cosa, letteralmente, ed io non riuscirei a vederci del bello. Dicono che il tempo aggiusti le ferite, io penso che lo scorrere dei giorni, dei mesi, degli anni serva solo a cicatrizzare lì dove il coltello ha lacerato la carne. La cicatrice diviene sempre più sottile, chiara, ma rimane; se si è fortunati a volte ce la si scorda. Quando c’è brutto tempo, mamma dice che, nonostante gli anni passati, sente la ferita del taglio cesareo tirare, questa funziona allo stesso modo: quando piove, brucia.
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sciatu · 5 years ago
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23 MAGGIO - ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI CAPACI
Tu non eri ancora nata, ma allora era arrivata la speranza e il filo spinato della paura che ci legava, sembrava che potesse essere rotto. Non era solo paura, era il non poter dire, il non poter vivere per come avevamo diritto a vivere. Vi era sempre qualcuno a cui dovevamo cedere il passo, che dovevamo pagare, che non dovevamo nominare, o che dovevamo votare se volevamo lavorare e sfamarci vivere. Poi arrivarono loro e per la prima volta quell’oscurità fatta di sangue e soprusi incominciò a schiarirsi. Tutto apparve per come si sapeva ma non si poteva dire, tutto ebbe una misura ed un giudizio. Secoli di angherie invisibili e di sangue tangibile arrivarono a quello che sembrava un capolinea. Tutto apparve per com’era e non per come si faceva apparire. L’omertà divenne ridicola, il silenzio si dimostrò inutile, si capì la ferocia, si mostrarono le mani fatte di sangue, si contarono i morti, gli scomparsi, i traditi, gli assassini e i complici. Tutto questo grazie a loro che servirono la giustizia invece di usarla o tradirla. Loro furono il setaccio che divise chi aveva coscienza da chi perdendola era diventato solo un assassino. Loro ci fecero capire chi era solo un pupo e chi ne muoveva i fili, chi era che ordinava e chi eseguiva, chi ne godeva e chi arricchendosi diventava sempre più occultamente potente e lentamente arrivarono a toccare chi era l’origine di ogni male, chi viveva del sangue degli altri, chi bestemmiava la nostra terra in nome dell’assoluta mancanza di umanità.
Tu non eri ancora nata, non hai visto strade imbrattate di sangue e valigie di cartone, silenzi e abusi, prepotenze e anime comprate con falsi doni, il non poter dire, il non dover avere una opinione, o pensare, o parlare. Ma loro in tutto questo erano cresciuti, avevano visto, sapevano che la realtà in Sicilia nasconde mille verità e ad una ad una loro le portarono agli occhi di tutti. Per questo a maggio uccisero u Judici, perché avevano fatto troppa luce negli occhi di chi viveva di tenebre, di chi nelle tenebre reclamava l’onnipotenza di un Dio. Si, fu dolore. Disorientamento, rabbia, ma fu anche il momento in cui capimmo che gli assassini avevano più paura delle loro vittime e che solo come sempre, vigliaccamente, avevano cercato di fermarli nel sangue, agnelli sacrificali, sull’altare della giustizia, nelle braccia di una terra che i potenti hanno solo derubato o tradito. Perché alla fine anche questo ci insegnarono, che erano morti perché si stavano avvicinando sempre più al cuore del male, a chi ordinava con la pistola o negli androni delle case del potere. Questa fu la loro ultima eredità, farci capire dove erano, il mostrarci la paura dei loro carnefici, la loro inutile supponenza che la morte potesse cancellare, fermare, nascondere. Per questo, tu che ancora non eri nata sei qui, a ripetere il loro nome e ricordare il loro esempio, perché tu sei il seme che grazie a loro potrà ancora fiorire, tu sei la purezza che noi non abbiamo mai potuto difendere, la speranza che ci hanno sempre negato, perché con te loro possono ancora vivere e continuare il loro lavoro.
You weren't born yet, but with them the hope had come and the barbed wire of the fear that bound us, it seemed that it could be broken. It wasn't just fear, it was not being able to say, not being able to live as we were entitled to live. There was always someone we had to give way to, that we had to pay, that we didn't have to mention, or that we had to vote if we wanted to work and feed ourselves. Then they arrived and for the first time that darkness made of blood and abuses began to lighten. Everything appeared as it was known but could not be said, everything had a measure and a judgment. Centuries of invisible harassment and tangible blood came to what seemed like a terminus. Everything appeared as it was and not as it appeared. The silence became ridiculous, the silence proved useless, the ferocity was understood, the hands made of blood were shown, the dead, the disappeared, the betrayed, the murderers and accomplices were counted. All this thanks to them who served justice instead of using it or betraying it. They were the sieve that divided those who had conscience from those who by losing it had become only a killer. They made us understand who was only a pupet and who moved the threads, who was who ordered and who performed, who enjoyed it and who getting richer became more and more occultly powerful and slowly they came to touch who was the origin of all evil, who he lived on the blood of others, those who blasphemed our land in the name of the absolute lack of humanity.
You weren't born yet, you didn't see streets smeared with blood and cardboard suitcases to leave our island, silences and abuses, arrogance and souls bought with false gifts, not being able to say, not having to have an opinion, or think, or speak. But they had grown up in all this, they had seen, they knew that reality in Sicily hides a thousand truths and one by one they brought them to everyone's eyes. This is why in May they killed u Judici, because they had shed too much light on the eyes of those who lived in darkness, in those who in darkness claimed the omnipotence of a God. Yes, it was pain. Disorientation, anger, but it was also the moment when we understood that the murderers were more afraid of their victims and that only as always, cowardly, they had tried to stop them in the blood, sacrificial lambs, on the altar of justice, in the arms of a land that the people with power have only robbed or betrayed. Because in the end they too taught us that they were dead because they were getting closer and closer to the heart of evil, to those who ordered with the gun or in the halls of the houses of power. This was their last legacy, to make us understand where they were, to show us the fear of their executioners, their useless arrogance that death could cancel, stop, hide. For this, you who were not yet born are here, repeating their name and remembering their example, because you are the seed that thanks to them will still be able to bloom, you are the purity that we have never been able to defend, the hope who have always denied us, because with you they can still live and continue their work.
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fotopadova · 4 years ago
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Il reale e l’immaginario
di Enzo Carli 
-- Omaggio a Mario Giacomelli nel ventesimo della sua scomparsa.
Carichi di significati immensi, i dolori e i pensieri della terra sono il motivo delle fotografie di Mario Giacomelli, immagini come farfalle, dietro il vetro di una macchina fotografica. Un’infanzia breve ma che lo ha sempre nutrito; l’idea si fa pensiero itinerante della sua anima e fin dall’inizio la sua è una relazione con il fluire del tempo in un rapporto interiore come riflessione, lamento, diario. Un tempo che Giacomelli tenta di fermare come estensione e giustificazione della memoria. Immagini come autoanalisi, come specchio della sua stessa esistenza, come il “senso” del tempo. La fotografia come rievocazione di interessi che spaziano come contraddizioni, come scelta morale e culturale. Vive nel riscatto di una realtà, forse evocata, forse segnata dalla memoria e dal ricordo, nelle sue pieghe, nei suoi interstizi, nella materia e nei suoi umori, nel riscatto della forma, e nelle sue stagioni, la gioia della creazione e della conoscenza. È attratto da tutto quello che non si può esprimere con le parole della poesia, da tutte quelle vibrazioni che suscitano interrogazioni. La sua fotografia, attraverso il ricordo, con la forza della sua verità, comunicazione, realizzazione e trasformazione, permette una più ampia conoscenza di sé stessi e “…è bello pensare che tutto ciò può essere anche ricreato, trasmesso con i mezzi della nostra civiltà”.
Una sorta di operazione mimetica che pur mantenendo in sé la caratteristica del reale, spazia nel vuoto mentale più spinto. Egli vuole isolare, reificare i reperti emozionali della memoria per concretare il senso e idealizzare l’essenza. Il rapporto che ha con le immagini non è intendiamoci quello del riscatto semantico o di provocare un’operazione estetica (che ne è solo la conseguenza), bensì di essere dentro la sua costruzione, manipolando il ritorno alle cose, costruendo e modificando l’autenticità del referente; il reale immaginato con il pretesto del reale ricostruito. Insomma il rapporto che instaura con le sue immagini è quello non solo del vedere, ma dell’agire, dell’operare con esse, del ritorno alle cose.
Le immagini sono legate da frammenti, tasselli, fili invisibili, dal ritmo modulare in un progetto globale; sia come tentativo romantico per sottolineare l’ancoraggio alle antiche memorie, sia come tentativo vitale, pieno di confuse essenze e di odori recenti, per recuperare l’esistenza. La natura è spesso adottata come matrigna sontuosa, portatrice di un pattern eroico, quello della compenetrazione delle entità e degli umori, quello dello stato puro, della vibrazione all’unisono con le cellule antropiche in un tutt’uno trionfale e benigno (Spoon River). Ma la natura si mostra ferita dalla terribile potenza devastatrice che è quella dell’uomo che ha dimenticato i suoi cicli e le sue stagioni; ecco che il riscatto di Giacomelli che la ritorna vissuta e interiorizzata per placare il fluire del tempo che ha sconvolto ritmi e passioni (Il cantiere de paesaggio).
Nelle immagini umane di Giacomelli c’è sempre questo senso di estetismo dell’angoscia che non è né morale né sociale: è il grido interno dell’uomo che si coniuga con i suoi simili, è il lamento che dà il volto tra intrecci e sovrapposizioni, come si formasse da una nebulosa variegata che mentre appare, per strati, compone l’immagine; sono più campi, più spazi convergenti verso un nucleo focale che anticipa con la sua estrema percezione, il formarsi dell’immagine (Motivo suggerito dal taglio dell’albero come i Paesaggi come le trame nei volti dei Vecchi dell’ospizio).”La vertigine giacomelliana”, potenza psicologica, è astratta per i personaggi del racconto; essi la vivono come uno stato del mondo non negativo, pur apparentemente drammatico, come incomprensibile presenza (Lourdes, l’Ospizio).
Nell’operato di Giacomelli c’è un’irresistibile espansione dinamica interiore che trasferisce nelle immagini, apparenti disordini (Favola per un viaggio verso possibili significati interiori - ferri ritorti) o sono percezioni, tracce della memoria come i Pretini (Io non ho mani che mi accarezzino il volto) che sono collocati un uno spazio fuori dalla gravità e dalla materia, in un etere impalpabile che li pone sospesi, evanescenti e fluttuanti.
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          © Mario Giacomelli, da Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961-1963
 Un Giacomelli che supera anche l’enfasi di una gestuale teatralità (Ho la testa piena mamma – Il teatro della neve) o il provocante repertorio di lacerazioni e ferite (La terra che muore; Il taglio del bosco). Ora spegne la materia, la imbriglia nei muri opachi, rigidi che si espandono su schemi geometrici, aridi, secchi. L’atteggiamento è mutato, non partecipa più alla vitalità della materia, la lascia congelare nei suoi inevitabili processi organici mentre genera come fosse spinta inerziale, il movimento. Un consapevole intervento mentale che privilegia un progetto di genesi antropologica dove Giacomelli partecipa mimando, intervenendo sulla forma che assorbe l’ambiente, attraverso un tentativo, sconcertante, di intervenire, di animare attraverso il dinamismo gestuale, di proporre cioè nuove forme di vita.
Giacomelli rigenera le immagini servendosi di esse per collocarle in una nuova dimensione della memoria, imprimendo loro quella energia, alimentata dalle passioni essenziali con cui si coniuga al mondo, necessaria a farle vivere come vorrebbe, forzandone palesemente i tempi e gli schemi di sviluppo”… …Fotografare non è solo realtà o impegno politico; io cammino per un’altra strada, con queste immagini (Passato, serie  ispirata da una poesia di Vincenzo Cardarelli e dedicata alla Madre del fotografo, morta nel 1986)  rimetto tutto in discussione. Voglio rifotografare per riprendere le cose morte e dare loro la vita; voglio rinnovare me stesso nelle contraddizioni per non ripetermi. Non cerco solo di capire la natura bensì di viverla…Vorrei che si tenesse conto del fatto che mi sono servito della terra, dell’immaginazione, degli stati d’animo…e che la macchina fotografica è un filtro tra la realtà e l’immaginazione, non uno specchio…..Alcune mie foto sono volutamente equivoche nel senso che ho percepito attraverso queste immagini qualcosa che c’è dentro la poesia; alcune foto sono la memoria della memoria; le cose sono più vecchie o più giovani e le stampe sono sfarinate dal tempo per ricreare il tempo…”.
Le idee liberano le azioni e Giacomelli, percorso da intense pulsioni, feconda la materia all’inizio del ciclo inoculando archetipi animati e mossi che provocano gli effetti sgranati e mangiati delle immagini; tende a riproporre aspetti  e forme con attenzione e affetti inediti, a volte sconvolgendo con allarmanti tecniche di ingrandimento (estraniamento e de contestualizzazione) e calando le immagini in atmosfere spettrali e rarefatte dove le stesse presenze allucinanti, vengono plasmate di propria vita si generano dal caos mentale quali forme imitative della realtà.
Giacomelli è stato sempre coinvolto dalla madre terra; dalla fascinazione e amore per la natura e l’ambiente; i suoi paesaggi, le sue terre sono lacerate, lavorate, ferite e grondanti di materia. Questi suoi immensi paesaggi-territori a loro modo esercitano un fascino sensuale e richiamano abrasioni quasi carnali; piatti paesaggi che sembrano impressi direttamente sulla lastra, schiacciati, senza dimensioni e confini richiamano un’epidermide segnata. Natura e cultura si compenetrano, manipolate dal filtro interiore dell’anima, che penetrando nei suoi pertugi, nelle sue pieghe e nei suoi meandri, ci presenta luoghi quasi umorali, densi di sensazioni, brividi e piaceri essenziali.
Giacomelli anima questi paesaggi con la cultura del saggio contadino che ha un rapporto di totale integrazione con la madre terra: egli ara, asporta, taglia, fende, incide, livella, scava ed ecco le trasformazioni come sintesi finale, abbraccio e vertigine ed è tutto l’universo che partecipa, che geme, si concentra e si anima.
La saga magica “La buona terra”, nasconde ancora il trascorrere quieto delle stagioni dove ogni cosa ha il sapore dell’antico rituale e nello stesso tempo del documento popolare come espressione ancora di un nuovo rapporto cultura/natura: il matrimonio sull’aia, il raccolto, la vendemmia, l’uccisione del maiale, i bimbi che giocano sul cortile, la sera tutti raccolti nel calore del camino. Giacomelli con spirito candido e naif fa parlare con le sue immagini la natura di sempre, quella della sua memoria o della memoria dei suoi avi. Tutta la costruzione è impeccabile, pulita, senza violenze; l’uccisione del maiale è l’apoteosi del rituale, il sacrificio obbligato di una vita piena di concretezza esistenziale dove non c’è spazio per gli stereotipi culturali o per le contaminazioni esistenziali che non siano quelle primitive, austere, pulite, forti e sicure proprie della natura nella natura.
La fotografia di Mario cerca sempre di ritrovare il rapporto con la libertà. Attraverso la sua inerzia poetica e contemplativa, cerca di riscoprire le cose leggendole non per il verso solito o per il loro comune aspetto, ma interpretandole e restituendole in altre angolazioni di lettura introducendo nuovi elementi linguistici: i bianchi bruciati, i neri aperti e organici, il mosso, il rallentato, lo sfocato. Si affida alle sue sensazioni, al suo sentire, al suo vedere e percepire. La contemplazione di sé, delle cose dentro e fuori, gli permette di cogliere attimi intensi della vita psichica e relazionale; le segrete ossessioni, il suo delirio d’amore, il suo disgusto, la sua nausea, il suo dolore producono effetti combinati che gli permettono di reinvestire entropicamente forme di energia che usualmente vanno disperse.
In procedimenti del genere sta il succo della “nuova oggettività”: ritrovare come è dovere di ogni ricerca artistica l’autenticità dei rapporti con tutti gli aspetti della vita e della creatività.
Giacomelli sa affrontare temi pesanti e gravi, riportarli nella loro essenza poetica, dignità e sensibilità, senza incorrere nel rischio del retorico ideologico o in stilemi accademici. Rifugge dalle presunzioni; sa bene che non si può chiudere un periodo, che esistono aldilà dei corsi e ricorsi, sintomatiche influenze, che il già visto o il già fatto appartengono alla nostra memoria storica culturale.
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          © Mario Giacomelli, da La notte lava la mente, 1994-1995
Gli annebbiamenti, le dissolvenze, le alterazioni servono per recuperare alcune funzioni di un tempo che Mario chiama in causa quando gli diventa vitale respirare quell’aria. Ecco l’artificio e l’incantesimo; un Giacomelli presente in un tempo indifferente, cattura le immagini, il loro “corpus”, se ne impadronisce, le filtra con la macchina del tempo da dove riescono ectoplasmi evocati e materializzati sulla tela- carta sensibile; affronta il problema del movimento tirando e allungando i soggetti, caricandoli di bianchi bruciati per sfocarli poi nelle linee di contorno che delimitano i soggetti creando degli strani effetti cinetici. Una sorta di “scatto esistenziale” che sottrae i soggetti all’immobilità prolungata della posa, alla staticità della morte, fornendoli di nuova attualità e presenza, reificati dal loro originario valore. Così negli altri procedimenti; la distanza ottica volutamente sbagliata, lo sfocato, il mosso, il rallentato producono effetti sorprendenti e ci avvicinano di più al grande universo di Giacomelli: nel volto della vecchina all’ospizio le rughe e le trame dello scialle propongono un’unica texture, facendoci perdere d’impatto la nostra sicurezza dell’estetica delle forme chiare e distinte;  in  più questa nuova oggettivazione simbolica si lega al paesaggio, alle pieghe della terra, alle figure che emergono dal taglio dell’albero.
Si ripete in Giacomelli (Il teatro della neve) la necessità di riprendere particelle fotografiche spogliate di ogni referente semantico e di riproporle in una trascrizione di realtà e immaginazione carica di nuovi significati. Con il procedimento di ingrandimento, nella sua nuova riproposizione, cadono tutti i referenti di realtà e gli stati dell’immaginazione vengono liberati su questa nuova acquisizione di territorio e di spazio. Così un particolare di un vecchio pavimento – e non a caso della sua tipografia- diviene uno stupefacente paesaggio che acquisisce propria promozione ontologica ed estetica, liberato da ogni sistema di riferimento e provenienza. Questa voluta trasformazione dell’immagine da particolare banale in nuovi campi di interpretazione e di sensazioni, fanno cadere ogni nesso con il referente reale. Giacomelli, aprendoci a nuove dimensioni di conoscenza, per proporci il suo reale immaginario, in fondo opera con il procedimento inverso di trasferimento reale: il sortilegio si compie in camera oscura dove tutto viene trasformato, filtrato dalle sue pulsioni e dalle sue emozioni. Un reale immaginario tanto più magico quanto più comune è la provenienza delle immagini.
Giacomelli cavalca le sue intense passioni e propone nuovi procedimenti senza mai rinnegare l’effetto di fotografia e cioè della restituzione sul materiale sensibile di un reale sia pure trasformato ed elaborato; una sorta di recupero della scrittura della luce in un’accezione polivalente, interdisciplinare, contemporanea con l’arte e la cultura.
Voglio sinceramente augurarmi che Mario Giacomelli sia ora e per sempre nella “realtà inutile della poesia”, quel luogo che non ha mai smesso di cercare, e dal quale tornava ogni volta con i racconti dell’anima.
Per non dimenticare, libo a te con una coppa di vino rosso, il sangue della tua terra (quel Lacrima di Morro d’Alba che tanto amavi). Ave atque vale caro e amato Maestro
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          Enzo Carli, Jean-Claude Lemagny e Mario Giacomelli, 1995
 Biografia essenziale:
Enzo Carli, sociologo, giornalista e fotografo per vocazione e necessità ha organizzato e partecipato a mostre, dibattiti e convegni sulla fotografia in tutt’Italia e all’estero. Affettuoso allievo e amico di Mario Giacomelli è stato consulente per Enti Pubblici e Privati e direttore artistico del progetto Europeo di Fotografia Human work con Italia, Germania, Spagna e Romania. Già direttore della scuola di restauro della Provincia di Ancona , è stato docente di cultura e sociologia della Fotografia all’Università di Camerino –facoltà di architettura- e di Fotografia per la moda all’Università di Urbino-Dipartimento di Comunicazione- già  Direttore del Dipartimento Comunicazione della FIAF ha partecipato come consulente per conto della Biblioteca Nazionale di Francia, BNF, alla mostra internazionale su Mario Giacomelli-Metamorfosi e come coordinatore del catalogo critico ce per la mostra di Giacomelli a Tokio, Museo della Fotografia/Galerie Berthet Paris. Coordinatore del gruppo fotografico I fotografi del Manifesto dal 1995 al 2008, delle verifiche e le relative mostre e manifestazioni a livello nazionale è stato insignito del Premio nazionale di fotografia Gentile da Fabriano 2013 per il Manifesto Passaggio di Frontiera, del Premio nazionale della Critica, Nettuno Fotofestival 2015 e del premio internazionale Nicola Ciletti per la didattica della fotografia 2020. Autore di numerose pubblicazioni di cultura, storia e didattica della fotografia (Fabbri Edizioni, Alinari, Charta, il Lavoro Editoriale, Gribaudo, Adriatica Editrice, Quattroventi, Istituto Poligrafico,Mediateca delle Marche, Comunità Europea, Lussografica,Regione Marche, Musinf, Ideas, Metropolitan Museum of Photography di Tokyo, Ed. NADiff conversation, Japan ecc.) ha esposto le sue fotografia in Italia e all’Estero. Durante l’inizio della pandemia è stato direttore artistico di ViVi, Fotografia Virtuale. Collabora a Fotopadova dal 2016.
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mariaceciliacamozzi · 4 years ago
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Indignazione
Oggi INDIGNARSI va a braccetto con l' oscurità. Una volta era sinonimo di disapprovazione, di risentimento, ci si indignava per esprimere una rabbia "sana", costruttiva, che auspicava a un cambiamento... Ora invece è usata per farti cadere nella frustrazione, nella desolazione, nella rabbia... quella inutile però, che ti mostra come un intero pianeta possa essere totalmente controllato, e portato al limite della sopportazione, della tolleranza, dell' incoerenza, appunto della dignità degli esseri... ed è qui che  l' indignazione entra in scena, trovando il suo miglior appetibile sciocco sostenitore in chi ancora è mosso da speranza, o da tenera visione utopistica di un mondo migliore. Ormai, ogni giorno, "pane e indignazione" si siede a tavola con noi e ci racconta sempre le stesse favole, terribili e angoscianti... una natura morente, un cielo grigio avvelenato, una terra contaminata, catastrofi ambientali giornaliere, animali torturati a milioni... e poi bimbi abusati, povertà, ingiustizia e violenza, e non per ultimo una solitudine dilagante, una vera piaga sociale... Ogni tanto viene offerto uno zuccherino, giusto per mantenere il livello di indignazione sufficientemente alto affinché faccia il suo lavoro di sfornare rabbia inutile e distruttiva e che muova quel tanto di malessere  emozionale per mantenere tutti in uno stato di sospensione mista a torpore, come un povero ubriaco che sbraita contro i suoi nemici immaginari fendendo l' aria di fronte a sé. L'indignazione è la nuova arma mediatica insieme alla paura che mette tutti al proprio posto come soldatini ammaestrati. Quasi tutti. Del resto, come non indignarsi vedendo tutto questo scatafascio mondiale... dove andremo a finire, si domandano tante persone. E così il mondo, apparentemente va avanti a testa bassa, mosso da fili invisibili che si muovono  follemente sopra di lui, che decidono e pianificano in una danza brutale e ipnotizzante, dove ogni passo viene ripetuto esattamente uguale in una infinità di palcoscenici, in una infinità di cicli, giorno per giorno, anno per anno. Sinceramente è già da tempo che non mangio più indignazione, ho fatto un passo indietro e sono scesa dalla giostra di questo circo patetico e delirante. Osservo questo spettacolo penoso seduta in un posto privilegiato, abbastanza vicina per registrare ogni cosa ma sufficientemente lontana per non esserne più travolta. Apparentemente immersa nelle cose del mondo. La crepa nel muro continua il suo percorso silenzioso e destabilizzante, e in questo suo cammino tortuoso ma solido, nel suo solco di VERITÀ, porta con sé tutte quelle Coscienze che hanno cominciato a ricordare che l' unico gioco vincente su questo pianeta è NON giocare. Non ti indignare, non esporre il fianco, rimani in quel potere magico in cui la mente non ha accesso, non può entrare. Permettile di guardare ma niente di più. Continua a girare in questo pazzo luna park ma non salire su nessuna giostra. Sviluppa la divina indifferenza. Tu che puoi.. dimentica abbastanza per andare OLTRE e ricorda abbastanza perché non succeda più! La liberazione è vicina. E per gli altri..tranquilli..e' settembre...e fra tre mesi è Natale!!
Iside Suberati
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mamihlapinatapai-yet · 6 years ago
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Tutto è più complicato di quanto pensi,tu vedi solo un decimo di quello che è vero. Ci sono un milione di piccoli fili invisibili legati ognuna alle scelte che fai. Puoi distruggere la tua vita ogni volta che scegli,ma non capire dove hai sbagliato per vent'anni oppure non arrivare mai all'origine del tuo errore,e hai un'unica possibilità di giocartela. E dicono che il destino non esiste,si che esiste è quello che crei tu! E anche se il mondo va avanti per millenni e millenni,tu sei qui solo per una frazione di una frazione di secondo. Passi molto più tempo a essere morto o non ancora nato,ma quando sei vivo,aspetti invano sprecando anni. Una telefonata o una lettera o una sguardo di qualcuno o una cosa che metta tutto apposto e non arriva mai,o sembra che arrivi però non è così. E tu passi il tuo tempo in un vago rimpianto o nella vana speranza che qualcosa di buono stia per arrivare,qualcosa che ti fa sentire connesso,qualcosa che ti fa sentire completo,qualcosa che ti fa sentire amato. Ma la verità è che io mi sento arrabbiato. La verità è che io mi sento talmente triste. La verità è che mi sono sentito cosi ferito per così tanto tempo e che per tanto tempo ho fatto finta di stare bene solo per andare avanti,solo per...non lo so perché...forse perché a nessuno va di ascoltare le mie sofferenze visto che tutti hanno già le loro. Vaffanculo a tutti
Riflessioni
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2myla · 6 years ago
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E’ difficile davvero descrivere l’emozione che si prova dopo aver visto ‘Your Name’. Una trama sicuramente che non ti aspetti, un volare nel cielo tipico di certa letteratura giapponese ma anche l’accurata descrizione dei luoghi, delle inquadrature come se ‘fosse vero’. E lo è, vero. Sono veri i sogni, le paure, la fantasia, la magia, la realtà, il dolore. Si ride all’inizio per l’adolescenza, la nostra, le ridicolaggini che abbiamo vissuto e poi si piange per la crudeltà degli avvenimenti della vita quando poi affrontiamo la giovinezza. Si è sospesi quando ci ritroviamo assieme al protagonista, impotenti, davanti a certe scelte, a certe costrizioni, a certi avvenimenti incontrollabili. Possiamo controllare la nostra vita? Dobbiamo affidarci al filo rosso del destino? Fili colorati e intrecciati secondo la tradizione sempre nello stesso modo. Dovremmo tutti avere fiducia mettendolo nei capelli.
Il tempo e le tempistiche e tutte quelle porte scorrevoli di cui non sapremo mai nulla, le coincidenze di cui non ci accorgiamo... tutto, tutto questo condensato nell’amara verità. A volte ci vuole testardaggine e un pizzico anzi un bel tocco di follia per riuscire. E’ questo che voglio che mi insegni questo film: non cedere nemmeno davanti a difficoltà assurde e certamente più grandi di noi. E se qualcosa deve accadere, accade. E se qualcosa non doveva accadere, non sarà mai accaduta. E tutto perché ci sono fili invisibili che legano le persone e l’universo ci spinge a capire questo, costantemente e prepotentemente. E’ una favola? No, è una metafora, per riflettere su quello che siamo, siamo stati e saremo. Mai e dico mai, dare tutto sempre per scontato. 2myla
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viaggiatricepigra · 4 years ago
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Opinione: Truthitch (Witchlands 1), di Susan Dennard
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Tutto ciò che Safiya e Iseult vogliono è essere libere di vivere le loro vite come un'avventura continua, ma le ombre della guerra si addensano sulle Lande Stregate.
Nelle lande stregate ci sono infiniti tipi di magia: tanti quanti i modi per mettersi nei guai, come ben sanno due giovani donne molto speciali. Safiya è una Strega della Verità, ha il dono di riconoscere le menzogne. C'è chi ucciderebbe per avere quel potere, e così lei lo tiene ben nascosto, se non vuole essere usata come una pedina nello scontro tra gli imperi. Iseult invece è una Strega dei Fili: sa vedere i legami invisibili che uniscono le persone attorno a lei, ma non riesce a percepire i sentimenti che la riguardano direttamente. Le due ragazze hanno personalità complementari – impulsiva e focosa Safi, fredda e prudente Iseult – e soprattutto sono inseparabili. Tutto ciò che vogliono è essere libere di vivere le loro vite come un'avventura continua, ma le ombre della guerra si addensano sulle Lande Stregate. Con l'aiuto dell'astuto principe Merik, Safi e Iseult si troveranno a combattere contro imperatori, mercenari e uno Stregone del Sangue votato alla vendetta, decisi a tutto pur di dominare il potere di una Strega della Verità.
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Lettura estremamente piacevole e scorrevole, ma con troppe lacune. 
Un romanzo quasi superficiale in cui compaiono elementi potenzialmente interessanti, ma non sfruttati come meriterebbero.
Se mi seguite su Instagram ve ne avevo parlato un po' nelle Stories.
Partiamo dai personaggi. 
Abbiamo Safiya, una giovane donna dell'alta società che però è cresciuta lontana dalla corte, che ha imparato a cavarsela da sola e che è in possesso di un dono così raro da metterla in pericolo, se venisse rivelato: è una Strega della Verità. 
Un potere che fa gola a tantissimi e potrebbe ridurla in schiavitù o portarla alla morte affinchè nessuno la possa avere. 
Un dono che però non sembra così utile, da come appare a noi lettori. Lei può capire se quando qualcuno parla dice o no la verità, ma ci sono limiti che rendono questo potere "inutile" se vogliamo. Infatti può essere ingannato e lo scopriremo durante la lettura.
Una giovane donna troppo impulsiva, che prima agisce e poi ragiona. 
L'opposto di Iseult, una Strega dei Fili, il cui potere è il veder i fili che legano le varie persone oltre al loro colore, che indica lo stato emotivo o il legame fra le persone che sono legate da questi fili. Un potere che la costringe ad essere molto fredda e distaccata, per poterne mantenere il controllo. Oltre a tutto ciò, lei fa(/faceva) parte di una comunità di nomadi che sono estremamente mal visti. Infatti è vittima di continuo razzismo. 
Iseult e Safiya hanno stretto un rapporto davvero solido fra di loro, qualcosa che le unisce molto più in profondità dei legami familiari. Inseparabili e pronte a metter l'altra come priorità rispetto a se stesse, anche in fatto di incolumità. 
Oltre a loro, come voci narranti, avremo anche Merik e uno Stregone del Sangue. 
Merik è un principe che cerca in ogni maniera di creare commercio e riportare al suo vecchio splendore la sua terra. Lo Stregone del Sangue ha un dono estremamente raro che lo porterà ad inseguire le due ragazze, ma c'è molto di più dietro anche se all'apparenza non sembra, cosa che scopriremo solo alla fine di tutto. 
A sfondo della faccenda una pace siglata dai vari regnanti che fanno parte delle Lande Stregate, dopo una guerra che ha portato molta distruzione. Questo contratto sta per scadere dopo vent'anni dalle varie firme, nonostante al momento nessuno lo abbia infranto, e sono tutti molto tesi e preoccupati di cosa potrebbe accadere alla fine di tutto ciò.
Ma resta davvero tutto estremamente marginale, o almeno in questo volume.
Per il resto, la trama sembra un susseguirsi di situazioni caotiche, quasi campate lì, che permettono alle due protagoniste femminili di andare dall'inizio alla fine del romanzo, da una situazione A ad una situazione B, ma senza "qualcosa" di più che mandi avanti la trama. O almeno, parlo principalmente di loro due perchè gli altri sono legati a cosa fanno le ragazze, quindi tutto è strettamente legato a ciò che compiono. 
Lo so, è difficile anche da spiegare cosa intendo. 
Ci sono romanzi caotici in cui però il tutto assume un senso logico durante la lettura, che quì però ho avuto la forte sensazione di mancanza. 
Succedono cose. Punto. 
Manca, anche se nel caos, un senso di continuità che non le faccia sembrare eventi senza senso che però le portano dove "dovrebbero". 
Stendiamo un velo pietoso sulla love story e su un'altra che sicuramente si troverà nei seguenti volumi: scontate, prevedibili, noiose. 
Insomma, un primo romanzo decisamente deludente date le potenzialità.
Si, è scritto abbastanza bene, scorre molto veloce, però troppe lacune per definirlo una bella lettura e consigliarlo a chiunque. 
Anche visti i costi (nonostante i cartacei appaiano davvero ben fatti; dell'ebook non mi esprimo, i prezzi sono costantemente folli!). 
Probabilmente se mi capiterà occasione potrei leggere anche i seguiti, ma non so ancora se lo farò o meno. Dipenderà se avrò tempo e/o mi serve una lettura estremamente leggera. 
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aleannanxx · 5 years ago
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.          ─  ᴄᴜʀʀᴇɴᴛ ᴍᴏᴏᴅ    #sᴛᴀʏᴛᴜɴᴇᴅ          @ cameronboyle ⟡ monologue w/           « C’è? Non c’è? Me lo sono chiesto lungo il tragitto e più volte la macchina ha rallentato. Torno indietro o continuo? Lo ammetto, credevo di trovare questa stanza occupata da un altro straniero e invece mi sorprendi. Dopo giorni, settimane, di silenzio mi aspettavo di trovarti altrove, lontano da New York e da noi. Lontano da chiunque capace di influenzare la tua decisione, così non si spiega la grande distanza che hai messo tra te e la tua compagna. O forse sono semplicemente io che mi sto illudendo, forse non contiamo così tanto come vogliamo credere. »  Cameron si fa avanti, una smorfia tirata gli costringe le labbra in un sorriso di circostanza. Cosa si aspetta da quell’incontro? Non lo sa, come non sapeva delle precedenti occasioni. Con Alistair tutto sembra essere sempre soggetto al caso, amante del caos non ama offrire alcuna certezza e come al solito si rivelano essere incalcolabili le sue mosse. Lo scozzese cammina fino a raggiungere il piccolo spiazzale che rientra nei confini della proprietà. Il motel dispone di una piscina di cui i clienti possono usufruire con la stagione estiva. La larga buca levigata è ora vuota, sporca però di terriccio e foglie secche, i residui di un inverno ormai alle porte. Alistair è seduto, occupa una delle poche sedie bianche che riescono a sorreggere il peso di un uomo, dubita delle restanti e dopo una breve ricerca decide di appoggiarsi al tavolino. Un bottiglia di birra quasi vuota, un diario e un giornale, tra la carta si confondono i vari spezzoni ma nota gli appunti ai margini liberi scritti da un pugno che andava di fretta, dal tratto tremolante e lineare, comprensibile solo al suo autore.  « Sono qui, sono lì, sono un po’ ovunque. Oggigiorno la distanza la si abbatte facilmente. Basta alzare un telefono, scrivere al computer, inviare una lettera ad esempio... Sono le lancette dell’orologio quelle che continuano a scorrere, Cameron. Si rincorrono in un circolo vizioso che nessuno – neanche Dio – è riuscito a spezzare. Pensaci: siamo come in balia delle onde che ti buttano giù, ti trascinano sul fondo e spengono la luce che dalla superficie ti richiama. L’hai mai provata questa paura? Ho speso la mia vita tra le acque e nulla può un gigante di mare quando la tempesta ti colpisce. Sei come attaccato a dei fili invisibili. Fai avanti e indietro e ti aggrappi a qualsiasi cosa. Qualcuno cade, qualcuno si fa male, altri si rivolgono al cielo e nel mentre le onde continuano a colpirti. Non sfuggi. L’acqua s’insidia ovunque, arriva a penetrarti fino alle ossa e ti congela, ti paralizza e rende vittima. Non si placa e quando lo fa non si ritira, è lì che ti mostra i danni che ha creato. Nel mentre ti accorgi che è passato così poco tempo... e in realtà ti è sembrato un’eternità ed eccolo che si prende gioco di te! Oltre il danno la beffa. Ma la sua crudeltà non ha fine, dopo la tempesta sopraggiunge la calma, i venti smettono di soffiare e il silenzio si spezza solo di quei secondi scanditi. Sei solo, lo realizzi in quel momento. Tu contro il tempo. È sempre stato così. Il tempo definisce la tua venuta al mondo. Il tempo agita la tua esistenza. Il tempo richiama la tua morte. È l’unica – fottuta – costante. »  Un sorso di birra e lascia all’altro la possibilità di terminare la bottiglia inaugurata. Cameron si rivede in quella lotta e come lui molti altri giungono alla medesima consapevolezza di Alistair.  « Il tempo non ti è mai amico. » Si umetta le labbra e tira fuori dalla tasca una sigaretta, una di quelle che ha rubato ad Arlene dalla scorta che conserva. Tra le mezzelune intrappola il filtro bianco mentre il cugino sbuffa una risata e si guarda intorno. « Però io non riesco a credere alla tua buona fede, Alistair. Forse non ci ho capito un cazzo di te in quaranta anni di vita o forse ti ho capito troppo bene, così tanto da sapere che ti stai spegnendo. Vogliamo parlare di buone azioni e di un mito crollato, una ribellione e la scoperta della verità ma io so che a te manca il brivido, a te manca la folle adrenalina di un’esistenza spesa tra vita e morte, ora ci sei e dopo no, un secondo sì e l’altro no. Una vita scandita dal tuo più acerrimo nemico che oggi ha deciso di metterti all’angolo. Il Tempo ti fa un dono e tu lo rifiuti, lo sfidi in una lotta che potrebbe spingerti nell’abisso. Ne usciresti comunque vincitore poiché sfuggito alle sue regole. È difficile capirti. La tua è una mente contorta, deviata. Nelle tue buone azioni si nasconde la brutalità dell’istinto animale perché non posso credere un santo chi ha il dovere di tacere su ogni aspetto dalla propria carriera lavorativa, non riesco a credere allo scintillio dell’oro delle medagliette che collezionate. » Socchiude gli occhi nel soffiare fuori la boccata di fumo aspirata, lo scozzese tiene le iridi fisse sulla piscina vuota e un sorriso gli schiude le labbra, sollevando un angolo verso l’alto.  « Ho visto Gretel. » Una dichiarazione, un’ammissione che vede il più grande sollevare lo sguardo lentamente e a Cameron non serve voltarsi, avverte su di se l'occhiata sorpresa, accusatrice. « Ti somiglia. Bella, spericolata, senza vergogna. Affronta la vita di petto. Nei suoi video continua a scivolare sulle rampe così ricurve. » Si avvicina di qualche passo al bordo della vasca. « No, lei non indossa i pattini. Mette mano al suo skate e si lascia andare. Qualche volta cade ma è pronta a rialzarsi. »   « Come hai fatto? »   « Parliamo di un’accurata ricerca. Ora tu dimmi: come puoi costringerti ancora a questa lontananza? » Si volta a guardarlo, le iridi lo inchiodano alla sedia e nel silenzio che scorre, Cameron scuote il capo.  « Sono questi i momenti in cui mi chiedo cosa effettivamente mi resta da salvare. »   « Tu non capisci... »   « Beh, allora menomale che capisci tutto tu, Alistair! Menomale che hai una risposta a tutto perché altrimenti saremmo fottuti. Io ci ho provato ma a quanto pare ho fallito. “Tu non capisci” questo è tutto ciò che continui a rifilarmi e nel mentre ti vedo scrivere, cosa stai facendo ora? Raccogli le tue memorie e le spedisci a qualcuno? Tutto questo rasenta il ridicolo. »   « Come hai trovato il suo nome? »  La sua preoccupazione è evidente. La paura lo ossessiona ma al contempo lo anima, gli dona quella scossa che lo porta a scattare. Si alza dalla sedia e Cameron lo vede avvicinarsi, lo sente e la scia di fumo si mescola a quella di alcol. È pungente, gli fa arricciare il naso.  « Non hai scavato a fondo nelle tue stesse cose, il nome era su un disegno. Ce l’ho io a casa. Non è stato trovato altro. » Sembra rassicurarsi ora, gli strappa la sigaretta di mano e ne aspira una profonda boccata.  « Questa guerra non deve finire nel sangue, Alistair. »   « E che differenza fa? Ne abbiamo già versato tanto. »   « Sei un uomo intelligente, sei un ottimo stratega. Pensa. Sai giocare con le parole, sei un abile manipolatore della realtà. Confondila e confondili. Denuncia senza realmente farlo. Lotta ma proteggiti con un’armatura. »  Ha lanciato l’amo, in attesa che abbocchi Cameron torna a prendersi la sigaretta, la finisce e la lascia cadere a terra, spegnendola con la punta della scarpa.  « So che arriverai ad una tua conclusione. Hai lavorato per anni nell’ombra, continua a farlo. Esistono tanti modi efficaci. Sii l'autore della tua storia senza realmente esserlo. Instilla il dubbio e rendilo logorante. »
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poetyca · 3 years ago
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Tempo sospeso – Suspended time
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Tempo sospeso
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Un intrigo di attese come fili invisibili che legano strettamente soltanto aspettative silenti È tutto adesso non si può programmare quel che accade dopo anche se la verità ferisce Ed è un passo importante sciogliere ogni nodo finalmente respirare liberandosi del tempo sospeso 15.02.2022 Poetyca
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#Poetycamente
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Suspended time An intrigue of expectations like invisible threads which bind tightly only silent expectations That’s all now it cannot be programmed what happens next even if the truth hurts And it is an important step untie every knot finally breathe getting rid of suspended time 15.02.2022 Poetyca
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shinynymph · 8 years ago
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Tre parole Incontro. Attesa. Ritorno. Narrano una storia, possiamo farla nostra Forse -in parte- già c'appartiene Si parla di legami Cos'è un legame? Come nasce? Fili invisibili legati ai nostri polsi Attorcigliati intorno all'anima Fili di diamante, indissolubili Cosa chiediamo alla vita? Cosa desideriamo dalla vita? Intessiamo legami Li ricamiamo sulla pelle Ma alcuni hanno il potere di entrarci dentro, a quella pelle Pensaci. Non tutte le carezze sortiscono le stesse sensazioni Ci sono carezze, e carezze Ci sono le carezze di chi vuole godere Legami meno resistenti Effimeri, caduchi Ci sono le carezze di chi s'entra dentro Di chi s'incammina alla ricerca della purezza, della verità Le carezze che toccano ossa, smuovono organi, scovano il midollo Le carezze di chi fa l'amore Le carezze che trasformano in amore Fare l'amore non è mero atto fisico, non è similitudine di sesso Fare l'amore è svestirsi di panni che non sono vestiti Non è spogliarsi È denudarsi Fare l'amore è dire: 《Mi metto nudo, nudo di tutto ciò che mi protegge, di tutto ciò che mi fa sopravvivere nella mia quotidianità ; Mi metto a nudo, e a te m'affido Trovami, scovami, e curami》 Quelle carezze che tremano e fanno tremare Singulti, non solo sospiri ansimanti È ansimare e godere per l'intensità con cui quell'anima, quella sola anima, dolcemente ti carpisce Non c'è interscambio È mischiarsi Le carezze di quando non senti il gelido freddo, nonostante le fragili nudità Parliamo di intimità, d'intimità profonda Ho avuto paura, ma ho assaggiato il cielo Quelle carezze hanno il sapore dell'eternità Legano, e non permettono la dissolvenza È stato così? È stato davvero ciò che penso? Quelle carezze trovano la commozione e la avvolgono Le permettono di esprimere se stessa in tutta la sua violenta forza Parlavamo di legami Ci siamo incontrati Poi ci siamo attesi Ci siamo trovati, ognuno nelle carezze dell'altro Come se ci stessimo specchiando, ci siamo riconosciuti Infine Ritorneremo? Ritorneranno, quelle carezze?
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