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Profilo Instagram per autrici, le cose basilari
Ho pensato di iniziare dalle basi, magari sono scontate e non dico niente di nuovo, ma facciamo comunque un veloce ripasso, poi ti spiego perché un profilo Instagram per autrici ti aiuta a far conoscere e vendere i tuoi romanzi. Continue reading Untitled
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Dopo tutto, l’unico modo che i libri hanno per continuare a vivere è finire nelle mani di qualcuno che voglia rianimarli. 🫱📚🫲
Cit. "Il lettore sul lettino. Tic, manie e stravaganze di chi ama i libri"
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La pubblicità di Wallapop in TV invita a vendere i libri considerati "classici" perché tanto leggerli una volta basta e avanza.
Poi mi è chiaramente risuonata in testa la famosa frase di Calvino: i classici non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire.
Ebbene, con buona pace di Wallapop io i classici me li tengo stretti.
(Angela P.)
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Attendendo, prego
Il foglio è bianco e vengo istigato a scrivere dalla barra lampeggiante. Appare e scompare, cerca di stimolarmi a buttare giù i miei pensieri ma non so come fare a dirle che ne sono privo. Mi sento svuotato. Ho la testa gravida di progetti che dovrebbero partire ma non partono. Sono una stazione piena di treni stracolmi di viaggiatori durante uno sciopero dei trasporti generale e totale in cui i sindacati si rifiutano di comunicarne la durata. Come sono finito così? Ho spremuto tutto lo spremibile forse, o sono diventato geloso dei miei pensieri e li tengo dentro di me, sperando crescano così tanto da partorirli già in grado di farcela da soli.
Se non avessi imparato dalle mie malattie croniche l'arte dell'attesa penso inizierei a preoccuparmi. È arrivato il momento di cominciare con una nuova terapia, oramai sarà la ventesima dopo diciannove fallimenti, ma i dottori non hanno fretta (quando mai ne hanno) e quindi se la prendono con calma. Il termine "paziente" credo si riferisca proprio a questo. Devi portare pazienza. Io non solo porto pazienza ma porto anche il laptop e un libro da leggere e il telefono carico. L'attesa sarà lunga e io sono sempre più un oggetto che arreda le corsie dell'ospedale.
Ogni volta che vado a presentare il mio libro in giro devo essere entusiasta, positivo, pieno di energia. Devo convincere che è un investimento di tempo sensato, anzi no, necessario, che ti cambierà la vita e ti riempirà come solo un capolavoro può farlo. Io sono così scarso a vendermi. Cioè si vede che sto mentendo. Ok l'ho scritto io e a me piace, ma boh a te potrà fare schifo che ne so. Chi sono io per dirti cosa ti deve piacere o cosa fare. Fai quello che ti pare. Non comprarlo. Non leggerlo. Lasciami in pace. Dico queste cose mentre sono sul palco, la presentatrice della serata mi guarda stranita. "Ma Matteo io non ti ho posto nessuna domanda, perché stai parlando da solo?". Ah cavolo, l'ho fatto ancora. Mi sono sabotato. Come si fa a fingere di essere interessanti? Neanche quando si tratta di amore o sesso riesco a vendermi bene. Se ti piaccio è perché hai problemi e sarebbe ora tu li risolvessi. Oppure subisci la fascinazione da una certa tipologia di ruderi. Quelli oramai quarantenni, panciuti, spelacchiati e incapaci di prendersi seriamente. Ma molto, molto bravi ad aspettare. Io sarò felice di godere del tuo amore, finché non tornerai in te e capirai che puoi avere di meglio, ecco. Io aspetto, ma nel frattempo wow, davvero posso toccare? Ok, ok. La ringrazio signorina lei è molto gentile.
Stamattina ho fatto una cosa che stavo rimandando da troppo tempo: mi sono pesato. Le cose che rimando da troppo tempo sono: - pesarmi e rendermi conto quanto mi sono lasciato andare - aprire la app del conto in banca e osservare il baratro - la risonanza magnetica (ma quella l'ho prenotata) - chiedere quanti libri ho effettivamente venduto alla casa editrice - rasarmi completamente la testa e archiviare i capelli come esperienza passata - comunicare alla padrona di casa che me ne vado e vendere tutto quello che ho collezionato in 11 anni di vita a Vienna Rimando perché tutto è ancora piuttosto stabile, rassicurante, come un edificio in piedi dopo un terremoto devastante. Mi sono pesato e in effetti eccoli lì quei chili di troppo che rendono difficile chiudere i pantaloni. Poi però, per non affrontare questa consapevolezza da solo, sono andato a prendere il gatto e ho pesato anche lui che è bello cicciotto e allora ecco amico mio, siamo in due a doverci dare una regolata, si torna a fare sport e mangiare sano. Ma mica lo facciamo subito, eh no, si aspetta. Ti faccio vedere io come attendere.
Il foglio è meno bianco, o meno nero, dipende dalle impostazioni del vostro schermo. Nel mio caso dovrei dire che è meno nero. Se lo dico ad alta voce, nel bar dove sono, che sono felice tutto sia meno nero mi danno del razzista e mi cacciano via. Anzi no, non credo, con la situazione politica attuale finisce che mi danno un ministero. Meglio se sto zitto, io di lavorare non ho voglia. Ho voglia di aspettare di trovare il lavoro giusto e il lavoro giusto per me è attendere.
Mi immagino insieme a degli anziani in qualche sala d'attesa, ascoltare i loro discorsi mentre la segretaria aspetta di ricevere ordini dal dottore curante per convocarli. Potrei imparare a fare a maglia. Aiutare con i cruciverba. Sentire gossip sulla vita amorosa di alcuni vip che pensavo morti da un decennio. Forse sono morti ma fanno lo stesso l'amore, cioè mica solo io mi merito di essere fortunato eh. Aspetterei l'esito delle analisi e poi troverei un modo per abbracciare, sostenere, diventare spalla su cui piangere. Potrei stare vicino alle persone che aspettano una risposta a una mail "Non ti preoccupare, potrebbe anche non arrivare mai la risposta ma ora siamo insieme, sono al tuo fianco, ti faccio vedere cosa altro si può fare di utile con il tuo computer, hai mai sentito parlare dei siti porno?". Potrei viaggiare con chi odia stare fermo in un treno e giocare a "trova la mucca" salvo poi rendermi conto che stiamo viaggiando verso Milano e al massimo si vede a pochi metri di distanza causa smog. Povere mucche lombarde, con quel loro latte dal sapore affumicato quanto un whisky disgustoso.
Vivere per me è diventato applicare ogni giorno, quando mi sveglio, la frase motivazionale "aspetta e spera". Lo dico a Ernesto, quando mi salta in faccia per reclamare la sua porzione di pappa. "Aspetta e spera bello mio". Lo dico a me stesso quando mi ricordo che ancora non hanno deciso di finanziare il mio prossimo progetto. Era meglio essere un lavoratore dipendente e odiare colui che fu il mio capo? O essere un libero pensatore che come hobby parla con il gatto e odia il suo di capo? Inteso come testa, perché rende impossibile riuscire a fingere entusiasmo per le cose.
Per questo idealizzo gli anziani. Anche loro ne hanno le palle piene di fingere. Per questo faccio schifo alle presentazioni del mio libro o quando invio richieste di finanziamento, perché dai, i vostri soldi potreste investirli in qualcosa di più utile. Tipo una campagna di riqualificazione dei piccioni come animali da compagnia.
Fossi nato ricco avrei sperperato tutta la mia fortuna in carte Pokémon. Lo so. In quello e in allucinogeni, che poi sono la stessa cosa. Però la bellezza di dire "Ehi, vuoi salire da me a vedere la mia collezione di carte Pokémon?" e sentirsi rispondere cavolo sì, che bello, sono curiosa. Poi magari deludo anche lì. Magari illudo e pensavi che il mio Pikachu fosse molto più grosso, però dipende da come lo usi, se aspetti un po' magari si evolve. Ti chiederei "Sai a che livello si evolve Pikachu" e tu risponderesti "Non so, al 50?" e io ti caccerei di casa perché Pikachu si evolve tramite pietratuono non avanzando di livello e non mi concederò mai a una persona così ignorante. Che disgusto.
Aspetto mio nipote cresca un altro po' così da poter finalmente avere una conversazione decente con lui senza desiderare di stropicciargli quelle guanciotte tonde e rosa pesca che si ritrova. Oppure questo non accadrà mai e io, inquanto zio, lo vedrò sempre come un esserino piccolo e carino e gli stropiccerò le guanciotte il giorno del suo matrimonio.
Un treno, nella metaforica stazione dei miei pensieri, è partito. Con incalcolabile ritardo. Sarebbe più pratico i miei pensieri fossero aerei. Volerebbero da te. Si schianterebbero a pochi metri da casa tua spaventando i vicini. Ma gli aerei mi terrorizzano ancora, quindi i miei pensieri viaggiano su lente, prevedibili rotaie. Poi io ci tengo al pianeta, non lo voglio distruggere, è il posto ideale dove passare il tempo aspettando nella fine del mondo.
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In questo periodo si insinua nei meandri dei miei neuroni che si stanno riattivando dopo anni di blackout l'idea di dedicarmi alla scrittura creativa. Diciamo che essermi sentita dire dalla psicologa, donna acuta e che stimo (forse l'unica donna che trovo acuta e che stimo), che ho un modo di esprimermi "bello" nel senso di accurato e riallacciando questo se posso considerarlo complimento o almeno considerazione a quello che mi disse anni fa un tumblero e cioè che dovrei sfruttare questa cosa che scrivo tanto. Ecco questi due episodi, ma non gli unici, che ho riallacciato grazie anche all'effetto soporifero e annebbiante della quetiapina, mi hanno fatto avere un pensiero assai insistente: butta giù e scrivi qualcosa, fosse pure solo per diletto, per intrattenimento (mio). Ecco mi piacerebbe scrivere saggi, scrivere di sesso e di corpi, mi piacerebbe anche sapermi vendere e fare la vittima ed iniziare a costruirci un romanzo sulla mia vita... sì esatto la mia inutile e banale vita, ché basta solo saper dire le quattro frasette giuste e sapertela vendere nel modo giusto che diventa super interessante, la vita di una ragazza siciliana che lotta contro il patriarcato ecc ecc già appena metti patriarcato è like assicurato, poi magari ci mettiamo qualche e satanista al contrario per non urtare la sensibilità di nessunə ed il gioco è fatto. Se solo si campasse di libri, insomma, sarei già ricca. Comunque tutto questo per dire che poi mi capita di aprire tumblr e di leggere certi post diciamoli creativi, di sesso perlopiù perché è il sesso che ancora non smette di interessare pure se scontatissimo (tira più il pelo di una fessa... ecc ecc) e torna ai miei neuroni la voglia di suicidarsi perché penso: se devo mettermi a scrivere banalità del genere, zozzerie nemmeno volgari che almeno sortirebbero qualche effetto ma proprio idiote, preferisco rinchiudermi in un mutismo selettivo eterno. Poi mi dico però che la mia reazione è altrettanto stupida come quei post e come la convinzione della gente che li scrive perché almeno loro fanno e sappiamo che nel nostro mondo capitalistico l'importante è fare.
Certo, la psicologa mi diceva di sfruttare questa mia capacità di espressione lavorando magari nel campo dell'editoria tipo correttrice di bozze o cose simili. Io punto al ghost writer perché poi chi cazzo ce la mette non solo la faccia, ma proprio a dover dare spiegazioni a gente che fondamentalmente manco legge.
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La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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La Couture Epinglée
Voyages aux pays de la Mode
Hyppolyte Romain
Ed.Plume - Callman Levy, Paris 1990, 126 pages, 21x28cm, broché, illustrations en noir & couleurs, ISBN 978 2702 119 280
euro 30,00
email if you want to buy [email protected]
Nato nel 1947 a Parigi, nel quartiere di Montmartre , Romain lavora fin da giovane nella salumeria di quartiere, contemporaneamente pratica il karate e inizia a disegnare per vendere i suoi disegni per strada. Notato dal direttore di Vanity Fair, gli vengono offerte quindici pagine sulla moda a Milano. Dal 1980 Hippolyte Romain collabora a Libération, Rock and Folk, L’Express. Più che testimoniare la moda, ama metterne in satira il mondo, le sfilate, le addette. Ha pubblicato i libri Simple mais couture, Les dessous de la mode e La Couture épinglé, voyages au pays de la mode.
Hippolyte Romain, né le 28 août 1947 à Paris, est un illustrateur, peintre et écrivain français. Il travaille d'abord dans les milieux de la mode et de la couture, se spécialisé dans la connaissance du xviiie siècle, et sa vie et son travail se partagent entre la France et la Chine. Né dans le quartier de Montmartre, il travaille très jeune dans la charcuterie, comme représentant en salaisons, en même temps qu'il pratique le karaté et commence à dessiner pour vendre ses dessins dans les rues. Remarqué par la rédactrice en chef du magazine Vanity Fair, il se voit offrir quinze pages sur la mode à Milan. Il dessine dans les défilés et se lie avec les grands couturiers. Il passe toutes ses nuits à dessiner au Palace dès sa création en 1980. Il illustre divers ouvrages, et en écrit et illustre lui-même plusieurs sur des sujets comme la mode, les voyages ou l'art de vivre au xviiie siècle.
23/01/24
#Hippolite Romain#illustrateur français#défilées#grands couturiers#Gaultier#Ralph Lauren#Lacroix#Sonia Rykiel#Anna Piaggi#fashionbooksmilano
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Davvero da amante di vinili riusciresti a venderne? Io da bibliofila non riuscirei mai e poi mai a vendere libri…
Pee questo lo prendo in doppia copia: una la tengo io e l'altra la rivendo nel tempo
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Di domande retoriche
Oggi sono andato per mercatini dell'usato. A casa ho scoperto che uno dei libri acquistati aveva una particolarità (oltre a quella d'essere datato assai). In alto le pagine erano ancora attaccate. Questo per me significa che chi l'ha portato a vendere non l'ha letto. Altrimenti sarebbe andato di taglierino, risparmiando a me la rottura di palle. La domanda - chiaramente retorica - è quella di sempre. Cosa vai ad acquistare un libro se poi non lo leggi nemmeno? Ma che senso ha? A meno che non si tratti di un regalo. Ma in quel caso, il donatore poteva anche fare lui lo sforzo di separare le pagine attaccate. Per lo meno, io l'avrei fatto. Ma io sono io. Buonanotte a tutti.
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Come promuovere il tuo libro - parte 1
Oggi ho pensato di dedicare un post a “Come promuovere il tuo libro”, di cui vedo parlare molto spesso. Si leggono buoni consigli, ma diciamocelo, gira che ti rigira sono sempre gli stessi. Riguardiamoli e poi andiamo oltre. Continue reading Untitled
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Se devo morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia, per vendere le mie cose per comprare un pezzo di stoffa e delle stringhe, (fai che sia bianco con una lunga coda) cosicché un bambino da qualche parte a Gaza - guardando il cielo negli occhi aspettando suo papà che se n'è andato in una esplosione senza dire addio nemmeno alla sua carne, nemmeno a lui- veda l'aquilone, l'aquilone che tu hai fatto, volare lassù e possa pensare per un momento che si tratti di un angelo intento a riportargli l'amore che ha perduto. Se devo morire, lascia che porti speranza, lascia che sia una racconto.
Refaat Alareer (Poeta palestinese)
Ph Motaz Azaiza
(Fotoreporter Palestinese)
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Rispondo all'appello.
Tre cose vorremmo sapere di te:
1. Il giorno più bello che ricordi dei tempi delle tue scuole elementari;
2. Se esiste un tessuto che ti piace particolarmente, e perché;
3. Se quella di oggi è stata una buona giornata.
Che bella richiesta, grazie!
1 non ne ricordo uno particolarmente felice ma ho ben in mente quella volta in cui qualcuno si mise a vendere dei libri in accordo con la scuola. Ne avevo scelto uno di 9€ e avevo pagato con la dieci, sapevo che a quel punto mi avrebbe dovuto dare un euro di resto ma quel momento non arrivò mai. E io sono stata lì ferma davanti al banchetto per un sacco di tempo senza chiedere niente perché mi vergognavo.
2 mi piacciono i tessuti morbidi e lisci(?) non sono pratica quindi forse non mi sono spiegata (tipo quei tessuti vecchi conservati negli scatolini dei fazzoletti).
3 si è stata un ottima giornata. Ha piovuto, il cielo era grigio, io ero tranquilla.
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L’ansia mi attanaglia, un serpente velenoso che continua a stringere attorno al mio collo, come a spingermi ad osare a volere di più, più aria, più possibilità.
La verità è che non sono in grado di fare niente, non sono in grado di lavorare, di prendere ed uscire di casa in maniera regolare e non sentire questa sensazione alla bocca dello stomaco di essere uno sbaglio. I miei me lo hanno fatto capire fin da ragazzina che io lo fossi, ed ho interiorizzato così tanto questa cosa da sentirmi una completa idiota.
Da sentirmi poco, costantemente.
Ci sono pochi modi di fare soldi senza andare a lavorare, ho provato a vendere libri, quelli che erano parte di me, che amavo più di ogni altra cosa al mondo.
Ho provato anche con Of, in passato, ma non riuscivo ad essere costante nemmeno lì, ad essere la persona giusta per disinteressarmi abbastanza, ho provato a scrivere, ad essere ciò che ho sempre voluto.
La verità è che sto provando, anche se alla mia maniera ad essere qualcosa, a non essere un peso, un macigno alla base dello stomaco delle persone che amo.
Ma non ci riesco.
E mi odio, mi odio così profondamente da continuare a farmi male da sola, un giorno un po’ di più, forse perché una parte di me non vede niente oltre al domani.
Forse perché una persona che non riesce a fare nulla, è semplicemente un peso morto.
- C.M.
#porca troia#citazioni mie#tristezza#sfogo personale#sfogo#compagnia#frasi ad effetto#frasi tumblr#poesie#una semplice ragazza
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“ Diceva Eschilo che «la prima vittima della guerra è la verità». Ma la seconda è la logica. Putin affermava di voler «denazificare l’Ucraina», ma usava le bombe e i carri armati, cioè gli stessi metodi con cui Hitler nazificava l’Europa. Gli atlantisti ribattevano che «non si tratta col nemico»: semmai si tratta con l’amico, ma su cosa? Boh. Joe Biden dava del «macellaio» e del «genocida» a Putin, epiteti decisamente appropriati, soprattutto il primo. Ma un tantino indeboliti dal pulpito da cui provenivano: quello del padrone della macelleria (che ha fatto molte più guerre e molti più morti di Putin e al massimo potrebbe assumerlo come garzone). Bill Clinton coglieva l’occasione della guerra di Putin per vantarsi di aver allargato la Nato a Est «pur consapevole che i rapporti con la Russia potevano tornare conflittuali», perché «l’invasione russa dell’Ucraina dimostra che era necessario». Che è un po’ come dire: l’ho preso a calci in culo e lui mi ha spaccato la faccia, quindi avevo ragione io a prenderlo a calci in culo. I trombettieri delle Sturmtruppen ripetevano due mantra. 1. «La Nato è un’alleanza difensiva» (ma non spiegavano come mai nella sua storia abbia aggredito mezzo mondo). 2. «La Nato difende i valori della democrazia» (ma non spiegavano perché vanti tra i suoi soci la Turchia di Erdoğan e abbia appena fomentato un golpettino in Pakistan per cacciare un premier non gradito). Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky intimava all’Ue di rinunciare al gas russo «sporco di sangue», «finanziando il genocidio»: lui però continuava ad acquistarlo tramite Paesi vicini e società svizzere, pagandolo profumatamente, «finanziando il genocidio» e per di più incassando da Putin 1,4 miliardi l’anno «sporchi di sangue» per i diritti di transito del gasdotto russo sotto il suolo ucraino.
L’Onu espelleva la Russia dal Consiglio per i Diritti Umani, presieduto dall’Arabia Saudita (nota culla dei diritti umani, apprezzata da Matteo Renzi, ma soprattutto da Jamal Khashoggi, da ottanta giustiziati nel mese di marzo, nonché dai 370mila morti e dai venti milioni di affamati nello Yemen). Per non dipendere dal gas e dal petrolio dell’autocrate Putin, Draghi firmava contratti per far dipendere l’Italia dall’autocrate algerino Abdelmadjid Tebboune (che reprime partiti di opposizione e sindacati, fa arrestare attivisti per i diritti umani ed è fra i migliori partner militari di Mosca) e di altri regimi autocratici che hanno rifiutato di condannare la Russia all’Onu: Qatar, Egitto (vedi alle voci Regeni e Zaki), Congo (vedi alla voce Attanasio), Angola e Mozambico. E continuava a vendere armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti (i macellai dello Yemen), all’Egitto e al Qatar. A supporto del ribaltamento della logica, si provvedeva a ribaltare anche il vocabolario, secondo i dettami del ministero della Verità in 1984 di George Orwell: «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». Putin vietava di parlare di «guerra» perché la sua era solo un’«operazione militare speciale». E chi diceva il contrario finiva in galera. Ma in passato anche i buoni occidentali, quando aggredivano militarmente questo e quello, la guerra non la nominavano mai: meglio “missione umanitaria”, “esportazione della democrazia”, “peacekeeping”. A ogni strage di civili – regolarmente attribuita ai russi, anche nei casi in cui era opera delle truppe ucraine o dei loro fiancheggiatori neonazisti del Battaglione “Azov” – si ricorreva a termini impropri come “genocidio” (distruzione sistematica di un popolo, di un’etnia, di un gruppo religioso) e a paragoni blasfemi con l’Olocausto, la Shoah, la Soluzione Finale (termini finora usati da tutti, fuorché dai negazionisti, esclusivamente per quell’unicum storico che fu lo sterminio nazista degli ebrei). Ma bastava leggere i libri di Gino Strada per sapere che le stragi di civili sono una costante di ogni conflitto e si chiamano precisamente “guerra”, visto che in ciascuna il rapporto fra vittime civili e militari è invariabilmente di 9 a 1. E quella in Ucraina purtroppo non faceva eccezione, malgrado l’indignazione selettiva dei fanatici atlantisti che – per bloccare sul nascere qualunque tentativo di portare Putin al tavolo del negoziato – si affannavano a dipingere quel conflitto come diverso da tutti gli altri per le vittime civili, le fosse comuni, le torture, le violenze gratuite e le armi proibite (anch’esse caratteristiche costanti di tutti i conflitti, inclusi quelli scatenati dai “buoni”). “
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Dalla prefazione di Marco Travaglio a:
Franco Cardini, Fabio Mini, Ucraina. La guerra e la storia, Paper First, Maggio 2022 [Libro elettronico]
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Attenta Giorgia
Secondo me la Meloni sta scherzando col fuoco. Insiste a sparare supercazzole, pur governando lei continua a prendersela con l'opposizione, fa sempre la simpatica, gira per il mondo, pubblica libri, piazza parenti... è consapevole che il proprio elettorato è composto sostanzialmente da mentecatti, tuttavia sono sì mentecatti ma anche parecchio CATTIVI. Quando questa massa di persone si sveglierà finalmente dall'incantamento - e secondo me manca poco - per lei saranno volatili senza zucchero. Altro che underdog, il rischio è che torni alla Garbatella ma a vendere il pesce.
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