#vecchio dentro
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il mondo vedendo il dramma su damiano david:
fans dei 1D presenti nel 2013,14,15,16:
#i maneskin sotto la sony il modus operandi piu vecchio DEL globo#almeno non gli hanno fatto fare la foto dentro un armadio di vestiti#con lei sopra di lui dove si vedevano solo le gambe#😂😂😂😂 bei tempi
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Nessuno:
Io a 25 anni, quasi 26: mi esalto per l’odore piacevole di un detersivo per pavimenti, il cassonetto del cartone vuoto dopo almeno 4 giorni di attesa e così via.
A quanto pare sono già in pensione.
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PRIMA PAGINA Milano Finanza di Oggi martedì, 29 ottobre 2024
#PrimaPagina#milanofinanza quotidiano#giornale#primepagine#frontpage#nazionali#internazionali#news#inedicola#oggi dentro#centrale#inchiesta#degli#indagine#sugli#banche#vecchio#eredita#leonardo#caos#scorza#sono#fulcro#della#democrazia#plebiscito#petrolio#perche#israele#bombarda
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La tragedia della vecchiaia non è che uno è vecchio, ma che uno è giovane.
Dentro questo corpo che invecchia c'è un cuore ancora così curioso, così affamato, ancora pieno di desiderio come lo era in gioventù.
Mi siedo vicino alla finestra e guardo il mondo passare, sentendomi un estraneo in una terra straniera, incapace di relazionarmi con il mondo esterno eppure dentro di me brucia lo stesso fuoco che una volta pensava di poter conquistare il mondo.
E la vera tragedia è che il mondo è ancora così distante e sfuggente, un luogo che non sono mai riuscito a cogliere del tutto.
Albert Camus
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Ogni volta che c'e' un' alluvione, si fa la conta dei danni, 10-100-1000 milioni.. Case, cose, vestiti, scarpe, mobili, elettrodomestici, automobili, moto e biciclette... Quasi nessuno pensa ad altri danni. Quelli che non puoi vedere, non puoi toccare, quelli immateriali, quelli che fanno piegare le gambe mettendo tantissime persone veramente in ginocchio, come successo al sig. Enzo Pierini, di Bologna. Gia'.. per tanti sono solo oggetti ma per alcuni e' come sbattere la testa e perdere la memoria di botto. L'acqua che s'infiltra, il fango infame che seppellisce. Tu guardi e perdi le forze, in un attimo, invecchi. La sensazione di essere nato poco prima, nato gia' vecchio perche' hai perso tutti i tuoi ricordi, perche' ti ritrovi solo senza le "tue note", quelle note conservate anno dopo anno, perla dopo perla.. che tragedia perdere le note. Come stare dentro un corpo senza piu' il cuore..
@ilpianistasultetto
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"Quando mi sveglio ogni giorno, non lascio entrare il vecchio. Il mio segreto è lo stesso dal 1959: tenermi occupato. Non lascio che il vecchio entri in casa. Ho dovuto trascinarlo fuori perché il tipo si era già comodamente sistemato, infastidendomi tutte le ore, senza lasciarmi spazio per altro che non fosse la nostalgia. Bisogna rimanere attivi, vivi, felici, forti, capaci. È dentro di noi, nella nostra intelligenza, attitudine e mentalità. Siamo giovani indipendentemente dall'età. Bisogna imparare a lottare per non lasciare entrar il vecchio! Quel vecchio che ci aspetta stanco sul ciglio della strada per scoraggiarci. “
Clint Eastwood
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COME UN SACCO
Questo è un vecchio pozzetto di scolo delle acque, lo si incontra sulla strada che porta a Monte Trebbio. Da qui al casolare di Ca Cornio, sulle colline tra Modigliana e Tredozio, sono circa 30 minuti, ma tagliando per i monti, forse anche meno. Nell'estate del '44 Sante Piani è il contadino di Ca Cornio, ma è anche un antifascista, e in quel casolare, da alcuni giorni, ospita il partigiano più ricercato della Romagna, Silvio Corbari, insieme ai suoi fedelissimi Adriano Casadei, Iris Versari e Arturo Spazzoli. L' alba del 18 agosto i fascisti li attaccano e li annientano. Un vicenda complessa che termina poco dopo con l'esposizione dei quattro cadaveri sulla piazza di Forlì. Anche Piani cade dentro questa storia; prima che i corpi giungano a Forlì, viene costretto dai militi a caricarli e trascinarli su una treggia in direzione Castrocaro, per la pubblica impiccagione. Lungo la strada, giunti all'altezza di questo pozzetto, viene intimato l'alt. Lì vicino partono gli automezzi perciò la treggia, e soprattutto il vecchio contadino, non servono più. Piani viene ucciso, forse anche perché riconosce tra i fascisti un volto familiare. Il suo corpo viene gettato come un sacco giù per lo scolo. Ora c'è una lapide che lo ricorda, anche se quasi illeggibile. Ottant'anni dopo, ho pensato fosse giusto ricordare anche lui.
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A volte sento la mancanza dei cd musicali, scaricare e masterizzare i dischi per poi ascoltarli con il lettore a casa o quello portatile a pile… in verità ho nostalgia di tante cose ma la nostalgia è come una malattia, come un cancro che si diffonde e ti annichilisce sempre di più.
#cd#musica#vecchi tempi#nostalgia#malattia#pezzi di vita#riflessioni#pensieri#tristezza#piccole cose belle#mi sento vecchio dentro
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Il tempo è strano, non è vero? Ti si insinua dentro e ti cambia poco a poco finché il nuovo te e il vecchio te sarete diventati due che faticano a riconoscersi.
(Il tempo è uno scagnozzo, vero? Lascerai che quell'idiota ti prenda in giro? Jennifer Egan, il tempo è un bastardo)
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Appunti
Via, via, via. Devo uscire da qui. Inseguire le nuvole. Andare. Cuffie nelle orecchie, rayban, maglietta dei Black Sabbath. Fuori. Aria frizzante. Magari mi sveglio. Magari. Un passo. Due... e via. Gente col cappotto mi guarda passare in maglietta. Guardatemi meglio: sto pure sudando. Ho caldo. Caldo dentro. Sono una supernova. Passo davanti al 138 e sorrido. Dov'è la mia primavera? Cammino a tempo di un blues. Lampi di luce escono dalle mie dita. Come onde le mie mani. Cosatifareicosatifareicosa. Aria fredda nei polmoni. Sto bene. Cammino. Sto bene. Guardo le panchine dove dovevo fermarmi e riprendere le energie fino a un paio d'anni fa. Ora vado, cazzo, vado spedita verso non so dove. Fuori dalla farmacia un vecchio, vicino alla sua bicicletta, piange. Una donna gli stringe il braccio. Tra una canzone e l'altra sento che lei gli dice: "Mi spiace per Giovanna, ma non sei solo. Possiamo venire a trovarti?" Lui tira su col naso e annuisce facendo cadere due lacrime. Supero la chiesa. I Kingdom Come dicono "All that I want is you to be with me..." Ufficio postale. Inizia Everybody here wants you. Jeff Buckley vuole che mi sieda e che mi guardi in giro. Prova tu a non ondeggiare. Che voglia di scrivere adessoadessoadesso. Che voglia discrivertiaddosso. E poi fuori a vedere un Magritte in un albero contro il cielo e la voglia di ballare nei piedi. Ma non vedete che cielo? Sento il diverso peso delle nuvole che passano sopra la testa. Penso a come rendere pavel un dio. Rido da sola. Chissà se vedrò mai realizzati i lavori. Quelli da toccare. Sono sola. Cammino, sono sola e ballo la danza delle parole nella mia testa.
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🌺🍃🍀🌹
“Lui è chi ha cantato Cristo in croce e ha dato i dieci comandamenti al commento di Tito, uno dei ladroni appesi.
Lui ha messo in musica un prigioniero che non voleva respirare la stessa aria dei secondini.
Lui cantava con voce di pozzo l'amore dei giorni perduti a rincorrere il vento.
Lui è chi ha tradotto Leonard Cohen, Georges Brassens, Bob Dylan in quell'impossibile, perfetta versione di "Avventura a Durango", capolavoro di trasferimento da una lingua a un'altra.
Lui è chi ha scritto che a morire di maggio ci vuole troppo coraggio, ha dato musica alla cattiva strada, ha squagliato la cioccolata dei dialetti, il genovese, il sardo, il napoletano dentro le ballate.
Lui è chi è stato legato a un palo dell'Hotel Supramonte dove ha visto la neve sopra un corpo di donna amato, addolcito di fame e ha ascoltato i racconti dei banditi e ha conosciuto una loro cura che nessun detenuto di questo Paese ha provato.
Lui è chi ha perdonato con gratitudine.
Lui è chi ha visto al collo di Teresa una lametta vecchia di cent'anni, lui sa che il dolore di Franziska taglia più di un coltello di Spagna. E sa il bosco dove Sally arrivò con il tamburello e sa il bisturi che corregge il sesso di Princesa, e la ragazza che si versa un cucchiaio di mimosa nell'imbuto di un polsino slacciato.
Lui è chi ha dato cantico ai drogati perché chiedessero: "e chi, chi sarà mai / il buttafuori del sole / chi lo spinge ogni giorno / sulla scena alla prime ore".
Lui è chi ha suonato i pensieri dei suicidi, il nasone di Carlo Martello, le fregole di un vecchio professore e la più concreta offerta di un paradiso, in vendita a via del Campo.
Lui è chi ha messo un giudice nelle mani esageratamente affettuose di un gorilla e ha lasciato che un pescatore sfamasse un assassino, e tacesse ai carabinieri.
Lui è chi cantò le lapidi di Spoon River dove Jones il suonatore mai rivolse pensiero al denaro, all'amore, al cielo.
Lui è chi ha voluto bene ai cuccioli del maggio che poi avrebbero azzannato i garretti dei potenti e avrebbero stabilito il record di carcere di una generazione italiana. Invano avvertiva gli altri: "per quanto voi vi crediate assolti / siete lo stesso coinvolti". Invano, perché gli altri si sono sempre assolti, da soli e definitivamente. Coinvolti restano solo lui, i caduti e i prigionieri senza fine. Sì, è stato il più grande, non solo per iscritto e in canto, ma per carattere, per dirittura d'urto contro la macchina luccicante di successo e carriera.
Lui solfeggiava con gli sconfitti, sbriciolava il loro pane ai passeri.
Dopo di lui la specie dei selvatici si è estinta. C'è il gran bazar degli ammansiti.
Non l'ho nominato, solo enumerato. Chi ha bisogno di guardare il suo nome, ha perso tempo a leggere fin qua.
Erri De Luca. ❤
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Una forza e una generosità straordinarie sono il dono di ogni madre, e sono la base di quell’amore incondizionato che solo una madre sa offrire e che tutti dovremmo avere la possibilità di assaporare. Un vecchio proverbio napoletano recita: «Chi tene ‘a mamma, nun chiagne» (chi ha la mamma, non piange), ed è vero. Le madri sono scudo pronto a difenderci da ogni dolore, a volte persino esagerando.
La verità è che l’amore può tutto, che un sorriso, uno sguardo sincero, una carezza sono sorsi di eternità, che nel dolore la fiducia nel domani può soltanto diventare più grande.
Una terribile battaglia da combattere “un lungo addio”.. “un addio rubato..un addio mancato.. un addio finto”.
Perché tra di noi, mamma, non può esserci addio.
La mia persona più amata si dissolve lentamente in piccoli pezzi, ed è impossibile andare a ripescare quale sia stata l’ultima conversazione. Struggente ed emozionante, «il segreto della vita».
Tutto ruota intorno ai ricordi e alla memoria, al loro disperdersi e riemergere continuo e imprevedibile, trasportando tutti in una sorta di infinito presente. Una storia di cui non conosco né l’inizio né la fine, ma di cui ho vissuto e vivo intensamente ogni giorno con dolore, paura, rabbia, fatica, solitudine, curiosità, ostinazione. Facile perdersi in questo guazzabuglio di emozioni. Non so dire con precisione quando quel processo abbia avuto inizio. Sono stata incapace di cogliere i primi segnali quotidiani. E mi sono trovata direttamente a decidere quanti scatoloni avrebbero occupato i ricordi della mia infanzia e della mia adolescenza, riempiendoli ad una velocità molto superiore a quella delle mie emozioni, che mi soffocavano la gola. “Questo è il momento più difficile”, mi racconto ma intanto sto tatuando il mio cuore. In maniera indelebile.
Figlia unica di un genitore non autosufficiente, come la definisce la USL.
Il muro che ho dovuto attraversare per trovare il mio binario è fatto di rifiuto, disoriento.
Dovevo combattere con i fantasmi del mio passato, guardare negli occhi una persone che non mi riconosceva piu e specchiarmi nelle sue paure. Una micidiale danza di emozioni contrastanti: l’eterno presente senza ieri e senza domani il passato remoto improvvisamente prende vita catapultandoti in una dimensione surreale e spiazzante. Mi trito il cuore cercando di cogliere un’espressione diversa sul volto, un lampo negli occhi, un gesto, ma lei ė in un'altra dimensione e questo fa male. Come tenere tutto dentro.
Ecco come vedo, assisto e vivo questo lento perdersi. Un lento svanire. Spegnersi poco a poco, spettatore di questa surreale esibizione della vita. Dove il regista è il tempo e la trama è composta dalla memoria, dai ricordi, che a tratti riemergono da quel luogo fuori dallo spazio e dal tempo. Sono sempre lì. Sono sempre loro. Solo nascosti in qualche angolino. Basta aspettare il momento giusto... ed eccoli.
Un viaggio nei legami affettivi più forti, nelle nostre paure e nei nostri bisogni di amare, alla ricerca della felicità anche nelle situazioni apparentemente più avverse.
A 52 anni proprio non me lo aspettavo. Di figli ne avevo già uno, ormai grande, proiettato verso un futuro luminoso insieme alla famiglia che si era creato.
Ed io, invece, ecco che mi ritrovo, inaspettatamente, a dover fare i conti con la dolorosa esperienza di diventare “madre di mia madre", nel suo lento declino fisico e mentale.
Eppure il suo sguardo, di tanto in tanto, torna per un fugace momento (tanto fugace che, a volte mi chiedo se sia veramente successo) a fissarsi su di me, limpido e cosciente. Come se davvero fosse tornata a vederMi...tornata ad essere mia madre. Quella che si preoccupava per me. E si prendeva cura di me, sempre con un sorriso sulle labbra. Non so bene come spiegarmi. C’è da non trovare le parole quando hai a che fare con una persona che se ne sta andando lontano, sempre più, suo malgrado. C’è da augurarselo di non trovarle, mettere in fila i pensieri richiederebbe di voler vedere quello che si ha davanti e io non voglio.
“Mamma, sono io, sono Francesca”. Te lo ricordo, te lo ripeto, non perderlo il mio nome. Non lasciarmi andare. Nei tuoi pensieri troncati, assillanti, confusi non sei persa, perché non si può affogare in una pozzanghera, e non sei rinchiusa finché fai di tutto per stare a galla. Attaccati a me, aggrappati all'amo, salda più che puoi, con le mani e con lo sguardo, che ti tiro verso di me, non smettere di respirare.
Quanto fa male trasformarsi. “Sono io, mamma, sono Francesca”. “Lo so,” mi rispondi. Sei arrabbiata. In te c’è ancora forza...non molli, non cedi, ti ribelli. Mi prenderesti a schiaffi. Ti vedo, seduta sul divano. Ti stringi, ti rimpicciolisci, scompari, eppure io ti trovo sempre. So dove cercarti. So dove trovarmi. Anche se potremmo essere il gioco dei contrari io e te. Tu, che sei tanto diversa da me eppure ti assomiglio. Ho paura..e nello stesso tempo ho Il bisogno di non far vedere agli altri che sto male.
Ho tanti sensi di colpa: sono una mamma, come te. Quanta malinconia c’è, quanto mi ricordo di te..ricordi che si diluiscono. All’inizio mi concentro sul come fare per catturarti e quando ti ho catturata penso a come trattenerti; quando sto per perderti cerco di invogliarti a restare con un nuovo stratagemma; quando ti ho persa iniziano i propositi per fare meglio la volta dopo. Ricomincio, riprovo, non mollo mai. I tentativi si susseguono senza sosta. Non c’è fine, non c’è pausa. Ci pensi anche quando non lo fai. Ci deve essere da qualche parte una linea di confine che, se oltrepassata, è un cambio perenne di stato. E ci pensi mentre fai la spesa o sei in fila dal dottore, mentre parli al telefono con un’amica e perfino mentre ti fai la doccia. Quando sei sotto il getto dell’acqua tiepida piangi per il fallimento: non importa quanto poco ti consoli l’esserci per accudirla. L’acqua si miscela alle lacrime nel gorgo dello scarico e dovrebbe andare giù, lasciarti, non tornare, giusto? No, non va giù. La lacrima stagna, imputridisce. Si deposita. È l’acqua delle pozzanghere. Non conosce colore, non conosce fine. Non riflette tutto il cielo, non è nemmeno una finestra. Non bisogna scoraggiarsi.. ma mi mancano le forze o forse il coraggio. A volte ricordo i tempi piu felici che sono anche i più taglienti.“Eccomi! Ciao, come stai oggi? Hai visto che è arrivata l'estate???....
Guardami,
"sono Francesca, mamma
Mamma❤”.
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Sunao Yoshida)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Prologo
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
La luce della luna brillava attraverso le meravigliose vetrate colorate, facendo sembrare la tempestosa notte invernale ancora più scura.
“Amen! Questo pasto che ho preparato è il mio nutrimento. In questa Santa Notte io dico grazie”. La voce del vecchio, prostrato in segno di reverenza, risuonò dolcemente all’interno della cappella. Sembrava quasi piena di compassione.
Ma gli occhi della suora - le cui braccia e gambe erano legate all’altare e la cui bocca era stata imbavagliata - erano spalancati per la paura.
Forse non sarebbe stata tanto spaventata se si fosse trovata davanti un semplice assassino. Dopotutto, un assassino l’avrebbe solamente uccisa. Un assassino almeno sarebbe stato umano.
“Grazie per la tua pazienza Suor Angelina. Ora è il momento della Sacra Comunione.”
La suora sussultò.
Quando il vecchio si voltò, la luce della luna si riflettè sulla lama argentata stretta nella sua mano rugosa. Aveva usato quella lama innumerevoli volte per tagliare le ostie da dare ai devoti, quando ancora era un mortale. Era una lama sacra. Ma ora essa aveva assunto un sinistro colore marrone ed emanava uno sgradevole odore di ruggine.
“Mangiate questo pane, poiché esso é il mio corpo”
Nel silenzio risuonò il suono della veste della giovane suora che veniva strappata. I seni ancora poco sviluppati e una semplice biancheria intima rimasero esposti.
“Bevete questo vino, poichè esso è il mio sangue… Ah, Angelina! Voi diventerete una parte di me. Dentro di me vivremo insieme in una notte eterna”.
Dalle labbra scolpite in un sorriso malvagio, apparvero zanne troppo lunghe per essere semplici denti. Incapace di tenere a freno la sua sete di sangue, il vecchio puntò la lama sacra contro il petto candido di Angelina, facendo agitare il suo cuore con un unico respiro—
Dall’oscurità si udì un sussurro. “Ita missa est. La messa é finita, Padre Scott”
“Cosa?!”
A lato di un crocefisso congelato che emetteva un bagliore bluastro stava una figura avvolta nell’ombra. Il suo volto, rivolto verso il basso, era nascosto nell’oscurità e non era possibile vederlo, ma era chiaro che si trattava di un uomo piuttosto alto.
“Reverendo Alxander Scott, ex Vescovo di Londinium… nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo la dichiaro in arresto con l’accusa di sette omicidi e furto di sangue.”
“Ma chi saresti tu in nome di Dio?!”
“Mi scusi, non mi sono presentato a dovere. Vengo da Roma—“
Fu un errore accordare al vampiro una qualche cortesia. Istantaneamente, il coltello attraversó la distanza tra i due con una velocità al limite dell’impossibile. La mira era perfetta, e la lama andò a conficcarsi esattamente nel petto dello sconosciuto.
“Ah! Non so chi tu sia ma non ti permetterò di interferire con questo sacro rito!”
Il vecchio vampiro, vestito con l’abito sacerdotale, rise sarcastico con le zanne che scintillavano nell’oscurità, proprio davanti all’altare da dove aveva prestato servizio come Vescovo fino al mese prima.
“A causa della tua ignoranza sarai punito con la morte…”
“Non le sembra terribilmente maleducato interrompere una conversazione in questo modo?”
“Ma cos…” Padre Scott non poteva credere ai suoi occhi. Il coltello si era conficcato a fondo nel cuore dell’uomo nell’ombra, eppure lui rimaneva in piedi come se niente fosse.
“Ho ascoltato uno dei suoi sermoni una volta… Predicava che gli esseri umani fossero le uniche creature capaci di credere in loro stesse. Avrei voluto poterle mostrare compassione, ma…”
“Im…impossibile!” Il vecchio prete, che aveva barattato la sua morale e la luce del sole con la forza e il potere datogli dal male immortale, ora indietreggiò, in preda al panico. “Sei un vampiro anche tu?”
“No. Io sono…”
Questa volta la voce fu interrotta dal suono del metallo in frantumi. La lama sacra che era rimasta conficcata nel petto dell’uomo, emise uno strano suono ed si andò ad affondare tra le vesti dell’ex Vescovo.
Il vampiro gemette. “Ho sentito parlare della tua specie, quando ancora ero umano. Si dice che a Roma, nel quartier generale del Vaticano, ci sia una setta di preti che custodiscono un mostro. E quando il Vaticano ha problemi che vanno oltre le capacità umane, mandano lui a risolvere la situazione. Sei tu quel mostro?”
“AX—per la precisione. Sta per Arcanum Cella ex Dono Dei. Sono del Dipartimento Segreto della Segreteria di Stato Vaticana. Vede, al mio capo non piacciono gli scandali. Non le farebbe per nulla piacere che si spargesse la voce che un prete si sia ‘trasformato’”.
Dal nulla l’uomo avvolto nell’ombra sollevò in aria una enorme falce dalla doppia lama.
Quando Padre Scott vide la falce urlò di terrore. “Maledetto! Sei il cane da guardia di Caterina, il suo boia ufficiale!”
Il suo urlo fu inghiottito da una folata di vento invernale.
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"quella volta il regista fu visconti. ci diceva che ci assomigliavamo, che avevamo fra le sopracciglia la stessa “v” che si increspava per la collera, per la paura di vivere, per il terrore. lui la chiamava la “v di rembrandt”, perché diceva che nel suo autoritratto questo artista si era raffigurato con la stessa “v”. adesso ti guardo dormire e la “v di rembrandt” è scomparsa. adesso non hai più paura. - ti sei sentita assalita, trafitta, violentata nella tua sfera personale. e tu, tu l’hai sempre saputo che il destino ti prendeva con una mano quello che ti dava con l’altra. - bambolina, continuo a guardarti, a guardarti ancora. con i miei sguardi voglio inghiottirti e dirti ancora che non sei mai stata così bella e così tranquilla. riposa in pace. io ci sono. da te ho imparato un po’ di tedesco. le parole: ich liebe dich. ti amo, ti amo, bambolina mia."
questa è una parte della lettera di addio di alain delon a romy schneider. nel 2017, quando ho iniziato a soffrire di depressione, ho copiato proprio questa parte su un foglietto, l'ho piegato e messo nel mio vecchio portafogli. è sicuramente ancora lì dentro, tra scontrini di posti e date importanti. queste parole le ho portate con me per un lungo periodo. mi hanno sempre tranquillizzata che le sofferenze finiscono, che prima o poi la pace arriva, che prima o poi le "v di rembrandt" scompaiono. è passato del tempo, forse queste parole non mi servono più, forse la pace la cerco in altre cose, in cose calde, in cose presenti. però hanno avuto l'intimo potere di calmarmi quando ne ho avuto bisogno e questo è quanto basta perché restino importanti per me. altrettanto intimamente, per questo nucleo di energia che anche se non ha viaggiato in mia direzione comunque mi ha incontrata e in qualche modo segnata, ricordo e ricorderò sempre alain delon, oltre il suo ruolo di attore
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In un mio precedente post (vecchio di alcuni anni fa) ho parlato dell’arte dei “diversi”, di chi aveva problemi psicologici o sociali e esprimeva nella sua arte una “vita parallela” alla “vita normale” che noi viviamo. Per questi artisti la loro arte descriveva quella “normalità” che vivevano dentro di loro, completamente assorbiti da essa tanto da descriverla in opere, che a noi cittadini ordinari, apparivano quanto meno “diverse”, “inquietanti” o “anomale”. Ora Farm Cultural Park di Favara, appare come una città di queste “vite parallele” in quanto la nostra “normalità” è ridiscussa, rielaborata, provocata e criticata. Un tipico paese siciliano, con le piccole case dei contadini, per lo più dirupate e abbandonate, rivive nella Cultural Park un “altra vita” quella senza le convenzioni, o le ipocrisie presenti vita ordinaria che vorrebbe il centro abbandonato del paese, come luogo da scartare, cancellare, dimenticare. Osservando tutte queste reali illusioni o rivisitazioni del Park, chiediamoci, prima di giudicare, con quali occhi lo stiamo giudichiamo. Quelli di un pollo di allevamento rinchiuso in una piccola gabbia di regole e obblighi o quelli di una colomba che vola altra sui roveti delle convenzioni ed i deserti del formalismo. Capire come guardi, ti farà capire in fondo come sei.
In a previous post of mine (a few years old) I talked about the art of the “different”, of those who had psychological or social problems and expressed in their art a “parallel life” to the “normal life” that we live. For these artists their art described that “normality” that they lived inside of them, completely absorbed by it so much so that they described it in works that to us ordinary citizens, appeared at least “different”, “disturbing” or “anomalous”. Now Farm Cultural Park of Favara, appears as a city of these “parallel lives” as our “normality” is re-discussed, reworked, provoked and criticized. A typical Sicilian village, with the small houses of the farmers, mostly ruined and abandoned, lives again in the Cultural Park an “other life” one without the conventions, or the hypocrisies present in ordinary life that would like the abandoned center of the village, as a place to discard, erase, forget. Looking at all these real illusions or revisitations of the Park, let's ask ourselves, before judging, with which eyes we are judging him. Those of a farm chicken locked in a small cage of rules and obligations or those of a dove that flies high above the brambles of conventions and the deserts of formalism. Understanding how you look, will make you understand deep down how you are.
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