#uxoricida
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aspirazioni
La maggiore tra queste narratrici, Marie-Catherine Le Jumel de Barneville, baronessa d'Aulnoy, era un'aspirante assassina, che non riuscì ad ammazzare il marito, e diventò amica di un'altra assassina, regolarmente decapitata per uxoricidio - segno che il cielo lussuoso e luminoso delle narratrici di fiabe nascondeva le passioni più tremende. da P. Citati, Le favole di Basile, in La luce della notte
#citazioni#citati#pietro citati#la luce della notte#le favole di basile#d'aulnoy#uxoricida#assassina
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PILLOLE DI CRONACA by Matryoshka
•Antonella Di Massa, è ancora un mistero cosa sia successo durante i dieci giorni dalla sua scomparsa. La donna, il cui corpo è stato rinvenuto ad #Ischia, in un posto già perlustrato in precedenza, da due giornalisti di #ChiL'haVisto, avrebbe lasciato un biglietto.
La Procura ha disposto l'autopsia.
• Vincent Plicchi: il padre del giovane #tiktoker noto come #InquisitorGhost vuole riaprire il profilo del figlio morto suicida lo scorso 11 ottobre per far luce sulle cause del #suicidio.
• Sara Buratin: ancora nessuna notizia sulla sorte di #AlbertoPittarello, marito ed uxoricida. Tra le ipotesi suicidio ma anche depistaggio e l'ombra della premeditazione.
• Strage di #Erba: scatta l'ora X per i coniugi #RosaBazzi ed #OlindoRomano, all'ergastolo per gli omicidi di Raffaella #Castagna, suo figlio di due anni, sua madre ed una vicina di casa. Domani prenderà il via l'udienza che potrebbe portare al processo di revisione del caso.
(Foto: web)
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Il Frantioio su www.homeway.it
Era un siciliano strano. Era alto, vestito con una camicia di lino costosissima e un jeans firmato come le scarpe che portava. Lo precedeva un costoso profumo di Armani o forse Dolce e Gabbana con un sentore di limone. Aveva i capelli scurissimi pettinati tutti all’indietro e tenuti in quella posizione da una cera che li rendeva lucidi, Gli occhi erano scuri come i capelli e i baffetti a vederli erano ridicoli. Sembrava nel complesso Marcello Mastroianni nel film “Divorzio all’italiana”, preciso uguale al barone uxoricida. In aggiunta sull’avambraccio braccio sinistro, abbastanza muscoloso per rivelare che non aveva mai studiato, c’era il tatuaggio di una trinacria, quasi in evidenza. Lei pensò che sembrava quasi ostentare il fatto che era siciliano, cosa che generalmente nessun isolano ha bisogno di evidenziare. Si presentò all’appuntamento di fronte casa sorridendo chiedendo se voleva parlare in inglese, francese o tedesco. Lei scelse l’inglese e lui incominciò in un inglese con l’accento delle città del nord dell’Inghilterra. “vieni – disse sorpassando le due colonne gialle dell’ingresso - questo è un antico frantoio della mia famiglia. Vedi laggiù dove c’è la piscina? li c’era una cisterna d’acqua che in siciliano chiamiamo con una parola araba “Gebbia”. L’acqua viene dalla sorgente che era l’unica ricchezza della mia famiglia. Con essa davamo acqua agli ulivi quando serviva e loro ci davano delle ulive grosse e paffute piene di succo. Entra. Il soffitto è ancora con i tronchi di secoli fa, la dispensa è quella vecchia della nonna e dove c’è il divano c’era il frantoio: due grosse pietre tonde mosse da Ciccio, il piccolo asino che avevamo. Vieni - disse salendo al piano superiore - questo è ancora il letto dei nonni. Allora i materassi erano pieni di un’erba che sembrava crine di cavallo ma che d’estate teneva freschi. D’inverno scendevamo al paese perché nessuno poteva stare nella casa piena di spifferi. Quando il lavoro era tanto e nonni e genitori lavoravano fino a tardi, io salivo fino quassù e dormivo nel materasso pieno di gobbe con Lampu, il nostro cane. Vieni, andiamo in cucina. Il portapiatti è quello della nonna. L’ho recuperato pulendolo e dipingendolo. Il lavabo è una pietra che il nonno ha trovato quassù e che ha scavato con le sue mani. Lui era forte, aveva due braccia grosse ed enormi. Mio padre mi ha detto che partito per la guerra e non è più tornato. Mio padre prese il suo posto e continuò a fare olio. DI la si esce nel patio. Qui mettevamo le olive ad asciugare prima di spremerle. Lì c’era un enorme tavolo dove mangiavamo nelle feste. Eravamo trenta e a volte quaranta parenti. Un signore che chiamavamo ziù Peppe suonava la fisarmonica così che a volte ballavamo. Vieni. Da qui si vede il mare e quando c’è il tramonto capisci che questo posto è magico e che andare via è un peccato mortale”. Restò un minuto in silenzio con lo sguardo perso nell’insenatura che avevamo di fronte. “Io sono andato via presto. Eravamo troppi per poter vivere decentemente. Ho fatto il cameriere in Germania, il pizzaiolo a Lione ed ora ho un ristorante a Glasgow e non ho problemi di soldi. Sono tornato e ho comprato dai miei fratelli la loro quota della casa e l’ho arredata come vedi. Qui intorno vi sono solo case vuote e anche al paese vi sono case in cui ormai da anni non vive nessuno. Ora se dovessi far venire i miei a mangiare quassù, basterebbe un tavolo piccolo piccolo. Per questo l’affitto per le vacanze. Non mi interessano i soldi, voglio che la casa torni a vivere.” Tornò a stare in silenzio con lo sguardo perso ad osservare il mare dove le barche partivano per la pesca con la lampara. Era un siciliano molto strano
He was a strange Sicilian. He was tall, dressed in a very expensive linen shirt and designer jeans like the shoes he wore. An expensive Armani perfume or perhaps Dolce and Gabbana with a hint of lemon preceded him. He had very dark hair combed all back and held in that position by a wax that made them shiny, the eyes were dark as hair and the mustache to see them were ridiculous. He seemed on the whole Marcello Mastroianni in the film "Italian Divorce", exactly the same as the Uxoricidal baron. In addition on the forearm left arm, muscular enough to reveal that he had never studied, there was a tattoo of a trinacria, almost in evidence. She thought it almost seemed to flaunt the fact that he was Sicilian, which generally no islander needs to highlight. He showed up at the appointment in front of the house, smiling, asking if he wanted to speak in English, French or German. She chose English and he began in English with the accent of the cities of northern England. "Come - he said passing the two yellow columns of the entrance - this is an ancient oil mill of my family. See over there where the pool is? there was a water cistern which in Sicilian we call with the Arabic word "Gebbia". The water comes from the spring which was the only wealth of my family. With it we gave water to the olive trees when needed and they gave us big and plump olives full of juice. Come in. The ceiling is still with the trunks of centuries ago, the pantry is the old one of the grandmother and where there is the sofa there was the oil mill: two large round stones moved by Ciccio, the little donkey we had. Come - he said going upstairs - this is still the bed of the grandparents. Back then the mattresses were full of grass that looked like horsehair but kept cool in summer. In winter we went down to the village because nobody could stay in the drafty house. When there was a lot of work and grandparents and parents worked late, I went up here and slept on the mattress full of humps with Lampu, our dog. Come on, let's go to the kitchen. The plate holder is that of the grandmother. I recovered it by cleaning and painting it. The sink is a stone that grandfather found up here and he dug with his own hands. He was strong, had two big and huge arms. My father told me I left for the war and never came back. My father took his place and continued to make oil. From here you go out onto the patio. Here we put the olives to dry before squeezing them. There was a huge table where we ate at parties. We were thirty and sometimes forty relatives. A gentleman we called Ziu Peppe played the accordion so we sometimes danced. Come. From here you can see the sea and when there is sunset you understand that this place is magical and that leaving it is a mortal sin. " He remained silent for a minute with his gaze lost in the inlet in front of us. “I left early. We were too many to live decently. I was a waiter in Germany, a pizza chef in Lyon and now I have a restaurant in Glasgow and I have no money problems. I came back and bought their share of the house from my brothers and I furnished it as you see. Here around there are only empty houses and also in the village there are houses where no one has lived for years. Now if I had to bring my relatives up here to eat, a small table would be enough. For this I rent the house for the holidays. I don't care about money, I want the house to come back to life.” He went back to being silent with his gaze lost, looking at the sea where the boats left for fishing. He was a very strange Sicilian
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Terzigno: Dichiarazioni choc di un potenziale uxoricida
Terzigno: Dichiarazioni choc di un potenziale uxoricida #confessionechoc #uxoricida
” Volevo uccidere mia moglie come hanno fatto gli altri” questa la confessione choc pronunciata dall’ uomo 44enne di Terzigno.
Il comandante della locale stazione è rimasto senza parole a questa folle dichiarazione fatta dal militare incensurato della cittadina vesuviana.
L’uomo, in aspettativa, è un soldato dell’E.I. ed è stato fermato a bordo di un Audi A 3 armato di un revolver 357 magnum con…
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Review party "La vendetta degli Dei" di Hannah Lynn, Newton Compton. A cura di Barbara Amarotti
Review party “La vendetta degli Dei” di Hannah Lynn, Newton Compton. A cura di Barbara Amarotti
Clitennestra. Ricordate questo nome, quando pensate al perché siamo qui oggi. Clitennestra, moglie uxoricida di Agamennone, la conosciamo tutti. La sua vicenda viene studiata a scuola, durante l’ora di mitologia, ma davvero ne comprendiamo appieno le sorti? Eschilo, Sofocle ed Euripide ce la descrivono come vittima e come arpia. Vittima di un marito violento che le uccide prima un marito e un…
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Uxoricida all'ergastolo,a marzo si decide revisione processo
Uxoricida all'ergastolo,a marzo si decide revisione processo
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O Teatro de Sabbath: uma reflexão sobre a vida, a morte e a hipocrisia de todos nós
O livro conta a história do sexagenário Mickey Sabbath. Quando sua amante o proíbe de ter sexo com outras mulheres e depois ainda comete a deselegância de morrer, o homem entra em uma crise existencial que o acompanha até o final do livro (e dos seus dias, com certeza), agravando-se a partir daí a espiral amalucada e desenfreada de insanidades que tem sido sua vida.
Philip Roth, que morreu em 2018, foi um dos escritores que com mais lucidez escrutinou os escaninhos da alma humana
O livro conta a história do sexagenário Mickey Sabbath. Quando sua amante o proíbe de ter sexo com outras mulheres e depois ainda comete a deselegância de morrer, o homem entra em uma crise existencial que o acompanha até o final do livro (e dos seus dias, com certeza), agravando-se a partir daí a espiral amalucada e desenfreada de insanidades que tem sido sua vida. Para que os pudicos leitores sintam o tom do livro e abandonem desde já a leitura deste texto, a primeira frase é aquela dita por Drenka Balich, a amante, para proibi-lo de fornicação longe dela: “Ou você abre mão de trepar com as outras ou o nosso caso está encerrado”.
Nosso homem na América era titereiro, ou seja, trabalhava com aqueles bonequinhos controlados por cordas presas aos dedos. Depois do estopim da crise, o livro segue suas aventuras mescladas com lembranças de sua vida. Claro, há muito sexo, mas só quem lê mal se importa com isso (eu jogo no time dos que gostam. Apetece-me e sabe-me bem, cândidos leitores). A propósito: é curioso que mesmo depois de Lolita e de Sexus, Nexus e Plexus ainda houvesse (o livro é de 1995) possibilidade de escândalo por causa de narrativas sexuais (Sabbath tampouco entende o ultraje que causa e a demissão de “uma escola superior de humanidades por ter ensinado uma mulher de vinte e um anos a falar obscenidades, vinte e cinco anos depois de Pauline Réage, cinquenta e cinco anos depois de Henry Miller, sessenta anos depois de D.H. Lawrence, oitenta anos depois de James Joyce, duzentos anos depois de John Cleland, trezentos anos depois de John Wilmot, o segundo conde de Rochester — para não falar de quatrocentos anos depois Rabelais, dois mil anos depois de Ovídio e dois mil e duzentos anos depois de Aristófanes”).
A vida de Sabbath é um longo acúmulo de fracassos. Ele teve uma primeira esposa que desapareceu (muitos suspeitam que ele a teria assassinado), e a segunda é alcoólatra (enche a cara por dois motivos, segundo Roth: “por tudo aquilo que não havia acontecido e por tudo aquilo que havia acontecido”. É justo, digo eu). A amante morre de câncer pouco tempo depois do diagnóstico da doença. E ele ficou artrítico, o que, para um titereiro, é uma condenação. Caiu também em desgraça ao ser gravado fazendo sexo por telefone, como dizemos atualmente, com uma jovem, digamos, bastante jovem — mas não chegou a ficar com ela “nudus cum nuda iacebat” ou “in eodem lecto”, como ensinavam meus velhos professores de Direito Penal quando explicavam o crime de adultério (a propósito de nada: sinto-me um dinossauro quando escrevo essas coisas). Roth, que não foge à luta, coloca toda a conversa entre Sabbath e a jovem em notas de rodapé ao longo de 23 páginas. Depois, socorrido por um amigo que o hospeda, ele afronta seu anfitrião de todas as maneiras possíveis e é expulso de sua casa. Por fim, no inverno de sua desesperança, Sabbath pensa constantemente em suicídio. Eis o resumo do livro de 507 páginas — a moldura, por assim dizer, do que nos é apresentado nas profundezas da escrita de Roth.
O Teatro de Sabbath, de Philip Roth (Companhia das Letras, 512 páginas, tradução de Rubens Figueiredo). O livro causou furor à época da publicação
Leio-o, entre outras coisas, como uma reflexão sobre a vida e a morte, e por isso o texto é profundamente humano, demasiado humano. Sabbath, aliás, é um estudioso da morte, leitor inveterado de livros sobre o tema, e a epígrafe do livro, que vem de “A Tempestade”, de Shakespeare, recorda-nos nosso fim comum (“Próspero: a cada três pensamentos, um será dedicado ao meu túmulo”). Percebemos que a vida é uma sequência de ruínas para Sabbath e para todos nós, um caminho certo para o pó que voltaremos a ser. Sabbath é um fracassado no amor, um fracassado profissionalmente (depois de algum sucesso) e ainda um fracassado moral. Mas, ao fim e ao cabo, todos somos fracassados. E, como grande parte da literatura de primeiro time, o livro pode ser lido também como um berro estridente de “ubi sunt?” (a saudade do irmão e da mãe perpassa algumas páginas pungentes). Só que Sabbath se diverte mais do que nós na busca do que acredita ser a vida real: libertário, farsante, sátiro, anti-herói, “admirador da incoerência humana”, demolidor de tabus, Dom Quixote que luta contra os moinhos da hipocrisia da repressão de comportamentos, manipulador (é um mestre da palavra), clínico-geral das safadezas próprias e dos semelhantes, profeta da anarquia, “evangelista da fornicação” sem qualquer ideologia política (“nada fez a favor de Israel” é o fecho do obituário que imagina para si mesmo), ele não se detém diante de nenhuma convenção. Alexander Portnoy, protagonista de outro grande romance de Roth, O Complexo de Portnoy, é fichinha para o desbragamento desse pregador das virtudes da fornicação que, mesmo sendo titereiro, não consegue controlar, contudo, as marionetes internas dos sentimentos e emoções (ou Sabbath seria Portnoy envelhecido?). Porém, se tudo caminha para a ruína, a pulsão vital (é assim mesmo, ó discípulos do austríaco maluco e onipresente?) ganha: o último parágrafo do livro é um credo de amor à vida (sim, amor) que constantemente repito para mim mesmo — “Não podia morrer porra nenhuma. Como é que ia deixar tudo isso para trás? Como é que podia ir embora? Tudo o que ele odiava estava aqui”. Imagino o Marquês de Sade olhando por cima dos ombros de Roth, inflado de orgulho, enquanto ele leva a sua filosofia da alcova ao extremo, e Rabelais aplaudindo os dois.
Philip Roth: um dos escritores que com mais lucidez escrutinou os escaninhos da alma humana
Mencionei que há muito sexo no livro, mas não se trata de literatura erótica, não é uma sequência de orgasmos. O sexo me parece mais um contraponto à morte. Que Eros e Thanatos gostam da companhia um do outro é fato conhecido desde a Antiguidade — e isso ainda não se tornou um clichê. Nunca se esqueça o desatento leitor do Teorema de Marcelo: se alguém escrever sobre sexo, invariavelmente aparecerá algum crítico de meia-tigela, como eu mesmo, para dizer que o autor está na verdade colocando no papel inspirações transcendentes sobre a indesejada das gentes. E não só é um contraponto à morte, mas, além disso, ou exatamente por isso, o sexo em “O Teatro de Sabbath” é um sexo melancólico, e alguns dos que resenharam o livro perceberam essa melancolia, que nem sempre é evidente à primeira vista. Para confirmar meu Teorema, há passagens que misturam claramente sexo e morte, pois Sabbath é dado a visitar o túmulo de Drenka, onde pratica atos não muito católicos (ou bastante católicos, a depender da perspectiva…). Note também o ordeiro e cívico leitor que, se é verdade que um nome em um romance jamais é apenas isso, os nomes dos antagonistas de Sabbath são extremamente informativos sobre quem são seus verdadeiros inimigos: por exemplo, Matthew (Mateus), filho da amante Drenka, e Christa, a jovem que seduz sua esposa (o catolicismo como barreira ao sexo livre, dizem talvez esses nomes). Em suma: há muito sexo, mas, se está amplamente estabelecida a ideia de que a sociedade burguesa existe para refrear cruelmente nossos instintos (o que ao menos nos dá desculpas para nossos comportamentos inadequados na vida adulta), Sabbath se impõe a tarefa de ser o catalisador da desordem. E não é que não haveria Roth sem Freud: sem a precedência do austríaco, o norte-americano com certeza seria uma espécie de Freud avant la lettre, um desbravador. Já Harold Bloom encontraria, se é que já não o fez, ecos de Falstaff em Sabbath.
(Sobre os excessos sexuais, uma nota curiosa: Sabbath, o especialista, aprendeu muito na nossa Bahia, que visitou quando era marinheiro. Baianos, o reconhecimento de vossa terra inzoneira — Bahia que não me sai do pensamento — como a quintessência do erotismo agora é internacional e literário!)
Roth é, evidentemente, um narrador estupendo: escreve sempre com mestria ímpar. Publicou outros livros notáveis, mas “O Teatro de Sabbath” é, para mim, sua obra-prima. Há várias passagens memoráveis. A partir da página 103 da última edição da Companhia das Letras, ele descreve o ódio entre Sabbath e sua esposa, ódio que somente casais que estão juntos há muito tempo conseguem sentir. É perturbador. Depois, hospedado na casa de um amigo, ele ataca a esposa dele, equipada com todos os extras que o agradam, e mais tarde se diverte com a roupa de baixo da filha do casal, numa sequência de páginas que nos deixa tontos com sua loucura que segue num crescendo sem barreiras. Suas reflexões sobre a morte durante a visita a um cemitério são também magníficas (seu epitáfio será “Morris Sabbath. Mickey. Amado cliente de puteiros, sedutor, sodomita, corruptor de mulheres, destruidor de virtudes, perversor de jovens, uxoricida, suicida. 1929-1994”). E sim, sempre o sexo, em passagens muitas vezes mais engraçadas do que propriamente eróticas (pérola de Sabbath: “o maquinário do êxtase das mulheres teria deixado Tomás de Aquino desnorteado, caso os sentidos do santo tivessem experimentado a sua economia”.)
Para os politicamente corretos, o livro, com muito sexo e comentários sexistas, integra uma lista negra. Uma tal de Carmen Callil (a famosa quem?), editora de uma revista chamada “Virago” (!), é a bête-noire de Roth, a quem não considera como escritor. Eu tampouco li suas críticas, mas aposto minha coleção de edições da “Playboy”: com certeza ela se ressente muito mais do heterossexualismo convicto dos personagens de Roth, como Alexander Portnoy, Sabbath, David Kepesh e Nathan Zuckerman, do que dos excessos sexuais e da linguagem sem peia de manual de anatomia descritiva. Callil com certeza foi à loucura ao ler a parte em que Sabbath se apresenta na clínica onde sua esposa alcoólatra tenta se salvar e, com discursos para todos os que cruzam seu caminho, vai confirmando, conscientemente, ser um opressor fálico. Mas a mulher desponta para o anonimato, e ela não entende (pois é, abespinhados leitores, julgo-a sem tê-la lido) que o virtuose da palavra que Roth é faz com que o livro, mais que repulsivo, seja engraçado e, vá lá, um tanto magnético (sim, há grande literatura com humor, que o digam Swift e Sterne). E Philip Roth é, com certeza, um dos escritores que com mais lucidez escrutinou os escaninhos da alma humana, o que é confirmado pelos livros que escreveu sobre a velhice (às vezes não tão lúcido, pois resolveu fazer críticas de jardim-de-infância a respeito de George W. Bush). Alguém já disse que Roth é o grande notário das obsessões próprias e alheias. Com efeito: as vilezas de Sabbath encontram eco no pântano interior de nós leitores, mas, na oposição disciplina-liberdade, Sabbath fica com a liberdade para que nós possamos, tristemente, ficar com a disciplina.
É literatura de altíssimo nível, é o salto triplo carpado de Roth, é talvez o grande romance dos anos 1990, mas é também a súmula de nossa hediondez e a epopeia de nossas depravações. Com certeza, é leitura obrigatória — um daqueles livros que, uma vez terminada a última página, começa imediatamente a nostalgia da leitura. E, mais do que estar entre os meus preferidos, é também um dos poucos que eu gostaria de ter escrito, rindo comigo mesmo ao pensar na artilharia pesada que receberia por publicar esse dedo inquisidor apontado para a hipocrisia perene de todos nós.
O Teatro de Sabbath: uma reflexão sobre a vida, a morte e a hipocrisia de todos nós Publicado primeiro em https://www.revistabula.com
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Il codice di Giuda
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Il codice di Giuda
Milano, marzo 2018. Il corpo di un sacerdote appeso a una trave, un sacchetto con trenta monete, uno scritto che richiama il Vangelo apocrifo di Giuda e una catena di delitti inquietanti sotto la Madonnina. Per fare luce su una scia di sangue e orrori il commissario Ardigò, il predatore di assassini, dovrà ricorrere a tutto il suo acume e appoggiarsi all’intelletto di uno psichiatra uxoricida che lui stesso ha fatto rinchiudere nei raggi di San Vittore. Una mente crudele e lucida che lo condurrà sulle tracce di un assassino che uccide interpretando il Vangelo più scomodo e difficile da accettare, quello che ribalta la figura del traditore Giuda trasformandolo in martire.
Fabrizio Carcano (Milano 1973), giornalista professionista, scrive per «Il Giorno» e per «Superbasket». Tra gli scrittori milanesi più amati dal pubblico, racconta nei suoi noir il lato oscuro della metropoli. Gli angeli di Lucifero, il suo primo libro, è stato il più scaricato nell’iniziativa «Milano che legge». Gli altri romanzi sono: La tela dell’eretico (2012), Mala Tempora (2014), L’ultimo grado (2014), L’erba cattiva (2015), Una brutta storia (2016), Il Mostro di Milano (2017) e In nome del male (2018), tutti editi da Mursia.
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### Sinossi
Milano, marzo 2018. Il corpo di un sacerdote appeso a una trave, un sacchetto con trenta monete, uno scritto che richiama il Vangelo apocrifo di Giuda e una catena di delitti inquietanti sotto la Madonnina. Per fare luce su una scia di sangue e orrori il commissario Ardigò, il predatore di assassini, dovrà ricorrere a tutto il suo acume e appoggiarsi all’intelletto di uno psichiatra uxoricida che lui stesso ha fatto rinchiudere nei raggi di San Vittore. Una mente crudele e lucida che lo condurrà sulle tracce di un assassino che uccide interpretando il Vangelo più scomodo e difficile da accettare, quello che ribalta la figura del traditore Giuda trasformandolo in martire.
Fabrizio Carcano (Milano 1973), giornalista professionista, scrive per «Il Giorno» e per «Superbasket». Tra gli scrittori milanesi più amati dal pubblico, racconta nei suoi noir il lato oscuro della metropoli. Gli angeli di Lucifero, il suo primo libro, è stato il più scaricato nell’iniziativa «Milano che legge». Gli altri romanzi sono: La tela dell’eretico (2012), Mala Tempora (2014), L’ultimo grado (2014), L’erba cattiva (2015), Una brutta storia (2016), Il Mostro di Milano (2017) e In nome del male (2018), tutti editi da Mursia.
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La raccolta delle "Interviste" di William Burroughs è una vera e propria controstoria privata del secondo Novecento americano [Interviste][William Burroughs] Pistolero intellettuale, pecora nera di una ricca famiglia di fabbricanti di calcolatrici, disinfestatore di blatte e cimici, pittore a mano armata, esule uxoricida, tossico impenitente, profeta della paranoia, esploratore del queer, protagonista di oracolari cammei cinematografici e - soprattutto - autore di alcuni dei più stranianti romanzi sperimentali della letteratura americana: se è vero che ogni uomo vive molte vite durante la sua esistenza, quelle di William Burroughs sono state di più.
#2018#AIDS#B. Alessandro D&039;Onofrio#gay#gaylit#Il Saggiatore#Interviste#libri gay#nonfiction#Silvia Albesano#Sylvère Lotringer#USA#William Burroughs
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"Diversamente italiani" è un'inchiesta shock sull'Islam italiano, una raccolta di interviste, scottanti rivelazioni, testimonianze ed esperienze dei cosiddetti "convertiti". Stampa e letteratura danno sempre voce all' #islam arabo, violento, terrorista, uxoricida e patricida. I #musulmani #italiani sono invece costantemente ridotti al silenzio, all'invisibilita', nonostante costituiscano oramai una realtà che conta più di un milione di persone. #conversione #islamico #islamismo #italia #inchiesta #libro #libri #libros #culturaislamica #book #books #islamitaliano #silvialaylaolivetti #pages #pagine #consiglidilettura #libriconsigliati #libridaleggere #nonfiction #nonfictionbooks #libreria #library #corano #convertiti #religione #religion #italy🇮🇹 https://www.instagram.com/p/Bn1dKz_Hmva/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=ryv38ytgak12
#islam#musulmani#italiani#conversione#islamico#islamismo#italia#inchiesta#libro#libri#libros#culturaislamica#book#books#islamitaliano#silvialaylaolivetti#pages#pagine#consiglidilettura#libriconsigliati#libridaleggere#nonfiction#nonfictionbooks#libreria#library#corano#convertiti#religione#religion#italy🇮🇹
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Considerazioni intorno alla parola “Femminicidio”. Da quando esiste, ogni uomo è un potenziale maniaco e tra maschi e femmine è in atto una guerra colossale, biblica. Tutta propaganda
Non vi è dubbio, anche le parole invecchiano, il tempo le deteriora, le sfianca. Quella parola che un tempo avrebbe acceso fuochi, provocato esplosioni e avrebbe aizzato uomini in battaglia, ora a stento produrrebbe un rutto o un borborigmo.
Qualcosa di simile, per esempio, è accaduto alla parola anima che una volta traduceva la greca psyché. Al suo risuonare nell’aria era tutto un fissare attonito di sguardi, un sordo sfrigolare di intimità, un metafisico farneticare. Ma poi la parola fu dispersa definitivamente in quel territorio ostile e inospitale che è l’inconscio e, tra le tante, divenne psicoanalisi.
Alcune parole hanno più fortuna di altre, è vero. Si attaccano al palato e si lasciano accarezzare dalla lingua, poi, quando è il momento, schizzano oltre la barriera dei denti e scuotono le labbra. Il loro suono riempie l’aria circostante e un nonsoché di miracoloso si compie.
*
Nei nostri tempi bui a tenere banco e a compiere miracoli è la parola femminicidio. Non vi è discussione che riguardi la donna e la sua condizione sociale in cui essa non faccia capolino almeno una volta. Cosicché, quando ciò accade, il dissenso si spegne, le cosiddette coscienze critiche improvvisamente tacciono, il miracolo si compie e un nuovo lessico si impone. Tutta la concione, insomma, non fa che riproporre ossessivamente quel dibattito a ciclo continuo che ruota intorno a un solo tema: la violenza sulle donne, chiamata anche violenza di genere o, peggio ancora, femminicidio.
*
È vero, nessuna levità attraversa i discorsi che riguardano le donne, né quelli al bar con gli amici né gli interminabili sproloqui nei nostrani salotti televisivi. Dei rotocalchi, poi, com’è risaputo, le specialità sono il pettegolezzo, l’illazione e le basse insinuazioni. La donna, insomma, genera parola, dibattito, narrazione. Tuttavia – sia detto senza provocazione o dispregio – la sonnolenza che accompagna certe discussioni che del femminicidio fanno il tema centrale è seconda soltanto a quella che sopraggiunge dopo il coito (sempre che a sua volta non sia preceduta da quella tristezza che già gli antichi avevano osservato anche negli animali: post coitum omne animale triste est).
*
Non occorre ostentare cinismo per rifiutarsi di partecipare all’agape della stupidità ed evitare di abboccare all’amo dei pregiudizi. Anzi, cum grano salis chiunque riuscirebbe a capire che l’archetipa distinzione di genere maschio-femmina non si traduce affatto nella perversa idea che il primo viva con l’unico scopo di sopraffare la seconda. Tuttavia il messaggio che il termine femminicidio veicola e che fa di ogni maschio l’aguzzino di una donna inerme e impotente farebbe sorridere se non fosse allo stesso tempo preoccupante e pericoloso. È proprio questo il punto. Con il suo sovrabbondante uso il termine femminicidio ha instaurato il delitto di genere, cosicché un efferato crimine adesso ha la sua consacrazione in una voce da dizionario e ogni donna quello nel martirologio delle vittime. Ma poi, mi domando: cosa se ne fa la nostra lingua di una così rozza cacofonia, di un termine che, oltre a essere osceno, semina zizzania? (Aveva ragione lei, Herr Wittgenstein, i limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo).
*
È necessario ripeterlo? I fatti sono sotto gli occhi di tutti: gli oltraggi alle donne avvengono quasi sempre in quella avvelenata riserva di sentimenti malati e repressi che per lo più è la famiglia. In questo luogo astratto, concettuale e pre-metafisico che nessuno sa bene cosa sia (quando lo si chiede a qualcuno, infatti, si ricevono risposte che assomigliano a quello che sant’Agostino nelle Confessioni scriveva a proposito del tempo: “Se nessuno me ne chiede, lo so bene; ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so”), il risentimento e l’odio hanno sbocchi facili, occasioni a bizzeffe. Dopotutto è là, nella famiglia, che si costruiscono le guerre e, per svariati motivi, il più prepotente prevarica sull’altro. (Non erano famiglie anche quelle dei Borgia, di Agamennone e di Amleto?).
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La questione è nota: spesso la gelosia acceca, una separazione deprime, l’alcol instupidisce, i figli frenano le ambizioni individuali, i debiti umiliano, e nelle liti familiari dalle parole esasperate si passa presto alle vie di fatto. Per molto meno Pozdnyšev ammazzò la moglie ne La Sonata a Kreutzer di Tolstoj. Il femminicidio si consuma in famiglia, sì, là dove il vecchio adagio voleva si lavassero i panni sporchi. In quella cupa trincea, l’esecrabile delitto aveva la riconoscibilità di un segno e la fosca dignità di un nome proprio, si chiamava uxoricidio. Ma è stato detto, certe parole non hanno fortuna. Eppure l’uxoricidio diceva già tutto di sé e non faceva distinzione di genere. Anzi, era uxoricida il marito che pugnalava la moglie, e lo era la moglie che avvelenava la minestra del marito. Anche nel male, insomma, vi era parità e uguaglianza.
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La questione è delicata, me ne rendo conto. Lo intuì persino Hegel quando argomentava sull’essenza umana di un assassino: “Può ben esserci della gente che, quando udrà tali cose, dirà: costui vuole scusare quell’assassino” (G. W. F. Hegel, Chi pensa astrattamente?). Perciò è bene che io chiarisca il punto. L’uxoricida – lungi da me intonargli un peana o giustificarne gli atti – non disprezza le donne se non nella misura in cui la sua, e soltanto la sua, le rappresenta tutte. (E con ciò aggiungo anche che se un tale vigliacco allunga le mani sulla sua donna non per questo tutti gli uomini sono violenti e fanno lo stesso). L’odio, la gelosia, il rancore che prova per lei è circoscritto alla sola universalità del suo corpo. Per tale motivo nessuno di questi rozzi criminali ripete o compie più volte lo stesso delitto. Vi è singolarità e non serialità nel loro scellerato atto. A memoria d’uomo non credo si ricordi un uxoricida a piede libero che abbia minacciato la serenità o l’integrità fisica di una donna che con lui non abbia avuto un’affinità parentale o una relazione di tipo sentimentale. Instaurando il femminicidio, invece, ogni donna è tenuta a sentirsi minacciata, tutte esposte alle angherie violente degli uomini. Per contro, ogni uomo è un potenziale maniaco, un violento prevaricatore, un aguzzino, un vessatore di professione. Una colossale guerra di tutti gli uomini contro tutte le donne, uno sterminio biblico, insomma. In un’altra epoca tutto questo avrebbe avuto il nome ignobile di propaganda. Ma quell’epoca triste è tramontata e la parola propaganda, anch’essa come altre, ha esaurito destino, resistenza e fortuna.
Vincenzo Liguori
*In copertina: Artemisia Gentileschi, “Giuditta che decapita Oloferne”, 1612-13
L'articolo Considerazioni intorno alla parola “Femminicidio”. Da quando esiste, ogni uomo è un potenziale maniaco e tra maschi e femmine è in atto una guerra colossale, biblica. Tutta propaganda proviene da Pangea.
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Choc in Spagna: uxoricida liberato uccide la sua avvocatessa e si suicida. I due avevano una relazione 19 Gennaio 2019 Era stato condannato per l’omicidio della moglie. Uscito dal carcere grazie alla libertà condizionata, ha ucciso l’avvocatessa che lo aveva difeso e con la quale nel frattempo ... http://bit.ly/2RVZgyT
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Uxoricida all'ergastolo chiede nuovo processo, io innocente
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FERMO – Il Gip del Tribunale di Fermo Marcello Caporale ha convalidato l’arresto di Giuseppe Valentini, il 78enne che due giorni fa ha sparato alla moglie Silvana Marchionni, di 75 anni, durante un litigio in casa a Porto Sant’Elpidio.
L’anziano, accusato di omicidio volontario e difeso dall’avv. Carlo Brugnoli, è apparso confuso e in lacrime davanti al gip e al pm Francesca Perlini. “Non si capacita di quello che è successo – ha riferito all’Ansa il legale – e non ricorda di avere premuto il grilletto”.
Sul tragico fatto di sangue si registra l’intervento, attraverso una nota stampa, della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Fermo che riportiamo integralmente.
“I recenti gravi fatti di cronaca ed in particolar modo quello che ha sconvolto la comunità di Porto Sant’Elpidio, dove si è perpetrato l’ennesimo femminicidio ai danni di una donna per mano del proprio coniuge, ci costringono ad una doverosa riflessione.
Dobbiamo prendere tristemente atto del fatto che il nostro territorio non è immune da fenomeni di tale gravità che vedono sempre le donne vittime della violenza, frutto della mancanza di rispetto all’interno delle mura domestiche ed agita dai propri familiari incapaci di gestire delle relazioni affettive basate, appunto sul rispetto e il riconoscimento delle differenze.
E questo malgrado tutto il lavoro che si sta facendo sul nostro territorio, con la costituzione di reti fra tutti gli attori che intervengono su questo argomento, con tavoli di lavoro, di studio e di approfondimento dedicati, con interventi appositi nelle scuole e con numerose iniziative diversificate e distribuite su tutto il territorio provinciale.
Indubbiamente, dobbiamo continuare a profondere il nostro impegno, ma dobbiamo anche interrogarci su quali siano gli errori che stiamo continuando a commettere e sul perché la nostra società, nonostante tutto, permette che accadano ancora fatti di tale inaudita violenza, anche in territori come il nostro.
Non può essere dimenticato l’obbligo che ognuno di noi ha nei confronti delle donne che mai debbono essere lasciare sole, Loro che proprio nella violenza scontano il senso più profondo di abbandono e solitudine. La nostra responsabilità di Cittadine e Cittadini, quale che sia il ruolo rivestito, rimane ancora e sempre quello di vedere, capire, aiutare, infittire la rete sociale di sostegno e solidarietà e di accrescimento della cultura del rispetto.
La Commissione Permanente per le Pari Opportunità della Provincia di Fermo sta lavorando in questo senso. Anche se costituitasi da poco, non a caso aveva già messo in programmazione una riunione aperta a tutti i Sindaci e gli Assessori, Consigliere e/o Delegati alle Pari Opportunità proprio per giovedì 24 (doani,ndr) presso la sede della Provincia di Fermo, a partire dalle ore 16,00, con l’obiettivo di rafforzare quella rete sociale e istituzionale che rappresenta uno dei possibili baluardi contro fenomeni di questa natura”.
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