#un altra laurea magistrale
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Stavo pensando che è davvero lungo finire il proprio percorso di studi a trent'anni ma poi mi sono ricordata che l'aspettativa di vita si aggira sui novant'anni quindi direi che altri sessant'anni di vita dopo il percorso accademico sono tantissimi comunque. Perché ci mettono tutta questa pressione per entrare nel mondo del lavoro??
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Nel processo (mezzo disperato) di concludere la seconda laurea sto davvero pensando di prendermene una terza, non perché sono un genio o perché voglio essere una di quelle persone stra fighe con tipo cinque lauree, ma perché con una laurea triennale e una magistrale nonbriesco a trovare uno straccio di lavoro decente che non includa lo sfruttamento e comunque 1.50€ sul conto a fine mese.
Questo o trovo il coraggio di mollare tutto e me ne vado da qualche parte dall' altra parte del mondo (con un 1,50€ sul conto).
#pizzafarcita#così#diariodibordo#diaridibordo#vita#così a caso#pensavo#ma#questo#blog#fa#curriculum#?#non#credo#sono#abbastanza#famosa
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15/09/2024 • Da studente a lavoratore Pt.1
Inizio a scrivere quello che volevo raccontare da tempo. Ritorniamo all'estate del 2023: dopo aver terminato con sacrificio la sessione estiva, mi sono concesso un periodo di totale relax. Studio zero e due vacanze, non avevo sbatti di organizzare qualcosa di complicato all'estero anche se il pensiero mi ha sfiorato. Ne ho fatta una in Cilento e una in Abruzzo, mi sono piaciute molto entrambe. La fine della pacchia giunge con l'inizio di settembre. Grazie ai miei sacrifici precedenti non mi sono portato nessun esame nella sessione autunnale: era arrivato il momento di scrivere la tesi. Eh sì, un tempo erano gli altri più grandi di me che dovevano fare questa cosa complicata, ma era arrivato anche il mio momento. Affronto questo periodo con flashback di tutti i miei percorsi di studio, e dei bei momenti passati con i miei compagni di università, consapevole che con quasi tutti si sarebbero persi i rapporti perché abitiamo lontani. Che nostalgia l'ultima lezione insieme! Ci siamo fatti una foto, la custodirò con amore. Ritornando alla tesi, il problema principale era: e mo come si fa?! Mai letta una tesi, non sapevo come si scriveva, non conoscevo le regole di battitura e stesura, non sapevo usare tutte le funzioni del Word tipo l'indice interattivo, e la parte peggiore era tutto ciò che aveva a che fare con le ricerche da fonti certificate, la bibliografia e il rischio di plagio. Rotture di palle immense. L'argomento e la relatrice mi sono state consigliate da una persona presente dove studiavo, e sinceramente era un po' noioso come argomento ma mi ero ripromesso di renderlo più piacevole. Un passo alla volta ricercavo, parafrasavo, scrivevo io con mie conoscenze, allegavo immagini con fonti, modificavo il formato, la calligrafia, gli spazi tra i righi, quelli a bordo pagina, aggiungevo le note a piè di pagina, aggiornavo l'indice interattivo, continuavo a trovare altri argomenti, segnavo ogni volta le fonti e creavo note bibliografiche e una bibliografia finale. I problemi non mancavano di certo, ovviamente, come mi avevano già anticipato orde di meme sui social, la relatrice non rispondeva spesso, quando lo faceva non le andava bene quello che avevo scritto, mi inviava libri o mi mandava da qualcuno a prendere altro materiale, giustamente quasi alle scadenze. Ricordo ancora una notte passata in bianco per questi motivi. Altra noia Er ail frontespizio, non si capiva quale fosse quello giusto e alla fine abbiamo superato anche questo ostacolo. Senza altri dettagli, ho finalmente finito di scrivere il contenuto della tesi, la metto sui CD non so nemmeno io come (altra palla) e consegno CD e altra documentazione in segreteria. Non è finita con la tesi, mancavano i ringraziamenti finali, la scelta del colore della copertina, lo stile, il colore delle scritte...faccio tutto e compro online alcune copie, prevedendo che dovevano arrivare in tempo per il grande giorno. Fin'ora ho parlato della tesi, ma c'è parecchio altro da raccontare. Passiamo alla questione Laurea Magistrale. Ho scelto di continuare il percorso di studi, e per farlo dovevo superare il test di accesso che si sarebbe tenuto prima della laurea triennale. Con anche l'aiuto della mia famiglia ci siamo informati su tutto e con tanta burocrazia ho potuto fare l'iscrizione al test "con riserva" perché non ero laureato ma laureando. La mia famiglia mi ha comprato il libro di preparazione ai test, e spesso studiavo da lì o da esercitazioni sul PC, purtroppo contemporaneamente alla stesura della tesi e ad altro che dirò dopo.
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Livorno, concorso dell'Arma dei Carabinieri per l’arruolamento permanente di 12 Ufficiali per la nomina di Tenente
Livorno, concorso dell'Arma dei Carabinieri per l’arruolamento permanente di 12 Ufficiali per la nomina di Tenente. L’Arma dei Carabinieri ha indetto un concorso per l’arruolamento di 12 Ufficiali, con il grado di Tenente, da immettere in servizio permanente nel ruolo forestale. C'è tempo fino al 27 aprile 2024 per presentare la domanda di partecipazione al concorso per la nomina di Tenente del comparto forestale dell’Arma dei Carabinieri. Si tratta di un’opportunità professionale di prestigio, riservata a giovani in possesso di una laurea magistrale o a ciclo unico in varie specialità del settore delle scienze agrarie, di quelle appartenenti al campo ingegneristico, all’architettura, alle scienze, alle biotecnologie e all’area giuridica. Al concorso possono partecipare giovani sino al compimento del 32° anno di età, mentre per i posti riservati a chi è già appartenente all’Arma, nelle diverse categorie, il limite sale al 40° anno di età. I candidati selezionati, al termine delle prove, indosseranno il grado di tenente dei Carabinieri in servizio permanente. Il bando di concorso, contenente i requisiti di partecipazione ed ogni altra utile informazione sullo svolgimento delle prove, è consultabile sul sito dell’Arma raggiungibile dal link Concorso, per titoli ed esami, per la nomina di complessivi 12 tenenti in servizio permanente nel ruolo Forestale dell’Arma dei Carabinieri Presentazione domande esercitazione test dove è disponibile anche un pratico simulatore. Le domande devono essere inviate, secondo la procedura indicata nel bando, entro il 27 aprile 2024.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Avevo bisogno di sfogarmi un po' per cui ho scritto questo. Grazie a chi leggerà.
Prendo ancora tanti farmaci, li avevo diminuiti ma una ricaduta ha portato la psichiatra ad aumentarmeli di nuovo al dosaggio dell'ospedale (tranne per un farmaco). Ogni volta che provo a parlare del mio DCA con i miei terapeuti mi dicono che basta che seguo la dieta che mi ha dato la dietista, ma questo non basta. La mia testa non ci sta, ogni volta che aggiusto l'umore ho una ricaduta con il cibo e appena sistemo con il cibo crollo emotivamente.
Qualcosa in me è rotto ed è impossibile da aggiustare, non sarò mai di nuovo intera. Avrò sempre qualche pezzo mancante, qualcosa fuori posto che non mi farà vivere libera al 100%. Forse dovrei solo accettare questa cosa e conviverci, ma vivere una vita intera schiava di una malattia mentale non è ciò che voglio.
Possibile che mia sorella si laurea in magistrale e io piango perché ho paura di mangiare mezza arancia? Possibile che se mia madre mi fa notare qualcosa che non va io la prendo così tanto sul personale che preferirei farla finita? Devo accettare per forza il fatto che non guarirò mai?
Vorrei solo una via di fuga, ma se dovessi finire di nuovo all'ospedale i miei non me lo perdonerebbero mai, ne ho avuto la prova tre settimane fa. Mia madre, dopo una mia ricaduta, mi ha urlato contro le peggio cose, tra cui "un giorno io e tuo padre moriremo e tu rimarrai sola con i tuoi problemi", oppure "tu non pensi alla tua famiglia quando fai queste cose, non ci pensi proprio. Non azzardarti a parlarne con le tue sorelle, non si meritano di stare così male per te".
Sono stanca di lottare ma a quanto pare non ho altra scelta. Ma poi, lottare per cosa? Una vita incompleta? Non so se ne vale davvero la pena
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ti sei mai lasciato trasportare indietro nel tempo da una canzone? due note, e un turbinio di ricordi ti esplode dentro, e tu non hai più 26 anni, non vivi più a Torino: sei una sedicenne , senti il profumo delle ciliegie e dentro sentila confusione più totale. e ti senti sbagliata, sopraffatta da ciò che provi, overwhelmed by yourself si dice in inglese. io sento in diffusione "I follow rivers" e sono così risucchiata nel mio mondo interiore che mi perdo e perdendomi mi lascio cullare dalle onde del mio essere, mi lascio trasportare e navigo, navigo alla deriva, non ho più il controllo. non sono mai cambiata, dentro ho sempre il caos e non comprendo me stessa anche se mi ostino tanto nel farlo. un'immagine per aiutarti: una ragazzina mora, in riva al mare al tramonto, la musica alta, la testa che ondeggia, il cuore pesante però anche leggero, il futuro che sembra lontanissimo. ero così fottutamente ingenua, e innamorata pazza. volevo tatuarmi Kurt Cobain sul braccio, non ero nè di destra nè di sinistra, pensavo che non sarei stata mai dipendente da qualcuno, figurati da un uomo. pensavo un sacco, e per sfogarmi scrivevo tutto su un quadernino con la copertina nera. mi sentivo invincibile come solo un adolescente può. 10 anni dopo, in un altra città, fumo una sigaretta alla finestra guardando la luna e con spotify in riproduzione casuale. ho tante cicatrici addosso adesso, mi sento molto fragile a volte, molto spesso. mi hanno spezzato il cuore e lo spirito due volte ma non per questo ho smesso di credere nell'amore, nel futuro, nelle persone buone, e in fondo anche un pò in me stessa. sempre fedele a quello che sento, vado avanti alla cieca, penso tanto e agisco poco forse, una laurea magistrale in giurisprudenza e un master ma del mondo lavorativo non so ancora un cazzo. gli adulti sono dei bambini cresciuti solo fuori, questo so. e siamo tutti un pò incasinati. malinconica come sempre, non riesco a scrivere un testo decente che non sia un flusso confuso e scoordinato di pensieri, cos'è che voglio fare nella vita? magistratura? l'avvocato? la giornalista? "Volevo scrivere un libro, sai". Il mio sogno nel cassetto che non ho neanche per gioco provato a realizzare. sono una cagasotto. però in realtà sono anche audace e ho rischiato tanto, ho dato il mio cuore in mano a qualcuno che me li ha distrutto due volte e continuo ancora a credere come vedi. nelle cose, nel karma, nel destino. se non è coraggio questo. ma la verità è che non potrei fare altrimenti, perchè io questa sono. oversharing love, overthinker, parole inglesi che mi descrivono perfettamente ma anche no. sole e luna insieme, una condanna e una benedizione sai. e poi l'astrologia. sono Gemelli con Luna in Cancro e ascendente Leone. egocentrica di natura, forte, regale, ma poi con il cuore di panna. perennemente nostalgica. sono stata la reginetta del ballo che poi molla tutto e si mette a scrivere su tumblr fuma tante sigarette e sta sveglia fino all'alba per pensare, in silenzio e in pace. e mi sembra una vita intera ormai che cerco qualcuno che riesca a comprendermi nel profondo e che combaci con me. l'ho trovato? boh. forse dovrei prima trovare me stessa, che mi sono un pò persa, non scrivo più come prima, non leggo più di tanto, ascolto musiche francesi e da un anno ho perso ogni logicità per questo ragazzo che come ti dicevo mi ha spezzato già il cuore. ma io credo nelle cose nelle persone in quello che sento e quindi ci sto ancora insieme. forse sono folle e ancora una sedicenne incompresa che vuole fare la dura e misteriosa ma invece ha solo il casino nella testa. e chiaramente scrivo con il telefono in mano le lucine di natale che mi fanno compagnia e la luna sempre alta nel cielo, e sciolgo un pò di pensieri senza un punto finale. quanto sono complicata. o forse poi non lo sono tanto, sono solo un tornado una tempesta che ha bisogno di porto sicuro in cui calmarsi, e fermarsi. .-e continuo a chiedermi se l'ho trovato, questo mio porto, quando invece dovrei iniziare a far pace con l'idea che la mia ancora sono e sarò sempre, io.
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Assunzioni di diplomati e laureati nel Ministero della Giustizia
Concorso Ministero della Giustizia PNRR: in arrivo 5410 assunzioni per diplomati e laureati. Nuovo concorso del Ministero della Giustizia per assumere 5.410 diplomati e laureati per il PNRR: ecco i profili, i requisiti, gli stipendi e cosa sapere sul bando. In arrivo un nuovo concorso del Ministero della Giustizia per assumere diplomati e laureati nell’ambito delle attività legate al PNRR. Il Decreto Reclutamento ha autorizzato nuove assunzioni nella Giustizia amministrativa per ben 5.410 risorse, da impiegare per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La pubblicazione del bando è imminente. Vediamo in dettaglio tutte le informazioni sul prossimo concorso in uscita, i profili richiesti, i requisiti, come si svolgerà e tutte le informazioni sul nuovo bando Ministero Giustizia per il PNRR. CONCORSO MINISTERO DELLA GIUSTIZIA PNRR PER AMMINISTRATIVI E TECNICI Il c.d. Decreto Reclutamento (Decreto Legge 9 giugno 2021, n. 80 convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113) prevede l’assunzione di 5.410 amministrativi e tecnici nella Giustizia amministrativa. I nuovi inserimenti serviranno sia a garantire la piena operatività del settore che a supportare l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Per selezionare queste risorse sarà dunque indetto un nuovo concorso pubblico rivolto a diplomati e laureati. La procedura concorsuale sarà bandita a breve e avverrà su base distrettuale, per titoli e prova scritta. Seguirà infatti le procedure di reclutamento stabilite dal Decreto per tutte le assunzioni Pubblica Amministrazione PNRR in programma, che prevedono selezioni pubbliche semplici e veloci. I vincitori saranno assunti con contratti di lavoro a tempo determinato della durata massima di 36 mesi, non prima del 1° gennaio 2022. POSTI A CONCORSO
Nello specifico, i concorsi che saranno indetti dal Ministero della Giustizia per il PNRR metteranno a bando i seguenti posti: – 1660 laureati (triennale, magistrale o diploma di laurea vecchio ordinamento), di cui: - 180 tecnici IT senior – con laurea in informatica, ingegneria, fisica, matematica, ovvero altra laurea con specializzazione in informatica o equipollenti; - 200 tecnici di contabilità senior – con laurea in economia e commercio, scienze politiche o equipollenti; - 150 tecnici di edilizia senior – con laurea in ingegneria, architettura o equipollenti; - 40 tecnici statistici – con laurea in scienze statistiche, scienze statistiche ed attuariali o equipollenti; - 1.060 tecnici di amministrazione – con laurea in giurisprudenza, economia e commercio, scienze politiche o equipollenti; - 30 analisti di organizzazione – con laurea in giurisprudenza, scienze politiche, economia e commercio, sociologia, scienze statistiche e demografiche, psicologia indirizzo psicologia del lavoro e delle organizzazioni del lavoro, ingegneria gestionale ed equipollenti; – 750 tecnici diplomati, di cui: - 280 tecnici IT junior – con diploma di istruzione secondaria di secondo grado rilasciato da Istituto tecnico – settore tecnologico – indirizzo elettronica ed elettrotecnica/informatica e telecomunicazioni o titoli di studio equipollenti; - 400 tecnici di contabilità junior – con diploma di istruzione secondaria di secondo grado rilasciato da Istituto tecnico – settore economico o titoli di studio equipollenti; - 70 tecnici di edilizia junior – con diploma di istruzione secondaria di secondo grado rilasciato da Istituto tecnico – settore tecnologico – indirizzo costruzioni, ambiente e territorio o titoli di studio equipollenti; – 3.000 operatori data entry diplomati, da assumere nel personale tecnico amministrativo con contratto a 36 mesi. LA PROCEDURA CONCORSUALE Per il concorso PNRR Ministero della Giustizia sarà utilizzata una procedura straordinaria di selezione. Sarà espletato, infatti, con modalità semplificata, in linea con le novità per i concorsi introdotte dalla riforma dei concorsi pubblici approvata dal Governo. Si tratterà di un bando di concorso pubblico per titoli e prova scritta, con possibilità di svolgere la prova presso sedi decentrate e in modalità non contestuale. La procedura concorsuale sarà gestita dalla Commissione Interministeriale Ripam, che potrà avvalersi anche dell’aiuto di Formez PA per assumere i profili professionali che non rientrano in quelli già previsti dall’amministrazione giudiziaria per le annualità 2021-2026. Ecco come si svolgerà il concorso: VALUTAZIONE DEI TITOLI La valutazione dei titoli avverrà secondo quanto stabilito nel bando di concorso che sarà pubblicato a breve, con attribuzione di punteggi fissi. E’ prevista una votazione relativa al titolo di studio richiesto per l’accesso. Se il titolo di studio è stato conseguito non oltre 7 anni prima del termine per la presentazione di domanda, il punteggio previsto può essere aumentato fino al doppio. Un altro punteggio è assegnato poi per ulteriori titoli universitari conseguiti negli ambiti specifici dei profili da assumere, in particolare quelli previsti per il profilo di tecnico IT senior, tecnico di edilizia senior, tecnico di contabilità senior, tecnico statistico, tecnico di amministrazione e analista di organizzazione. Anche eventuali abilitazioni professionali per gli stessi profili possono prevedere ulteriori punteggi. Tra gli altri punteggi previsti vi sono quelli per il positivo espletamento del tirocinio presso uffici giudiziari come previsto dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98. Anche il servizio prestato per le sezioni specializzate su protezione internazionale, immigrazione e libera circolazione dell’Unione Europea per coloro che si scrivono come tecnici di amministrazione, potrebbe comportare ulteriori punteggi di valutazione. PROVA D’ESAME La prova d’esame consiste in una prova scritta unica, articolata in quesiti a risposta multipla. In caso di un gran numero di partecipanti si può svolgere in sedi decentrate e in maniera non contestuale, garantendo omogeneità tra le prove e trasparenza. CONDIZIONI DI LAVORO E RETRIBUZIONE Amministrativi e tecnici selezionati con il concorso PNRR indetto dal Ministero della Giustizia saranno inseriti a tempo determinato per massimo 3 anni. I contratti avranno decorrenza non anteriore al 1° gennaio 2022 e dovranno comunque concludersi entro il termine previsto per il completamento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che è fissato al 31 dicembre 2026. Per quanto riguarda il trattamento economico, sono previste le seguenti retribuzioni: - laureati – stipendio lordo annuo 42.297,47 euro; - tecnici diplomati – stipendio lordo annuo 36.347,31 euro; - diplomati – stipendio lordo annuo 34.422,28 euro. Se esplicitato nel bando, i 5410 assunti presso il Ministero della Giustizia potranno avere un orario flessibile e aver diritto al lavoro agile (smart working). Il personale assunto dovrà restare nella sede di assegnazione per tutta la durata del contratto a tempo determinato. QUANDO USCIRA’ IL BANDO Gli interessati al prossimo concorso Ministero Giustizia PNRR per diplomati e laureati devono attendere la pubblicazione del bando ufficiale di selezione, che uscirà a breve. LE RISORSE PER IL CONCORSO PNRR MINISTERO DELLA GIUSTIZIA Per le selezioni pubbliche e le assunzioni relative al concorso PNRR è stata prevista la spesa di 207.829.968 euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024, e pari importo fino al 2026. RIFERIMENTI NORMATIVI DECRETO LEGGE 9 GIUGNO 2021, N. 80 (Pdf 380Kb) convertito, con modificazioni, dalla LEGGE 6 AGOSTO 2021, N. 113 (Pdf 3Mb). PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA – PNRR (Pdf 4,8Mb). PIANO ASSUNZIONI MINISTERO GIUSTIZIA PNRR (Pdf 729Kb). Read the full article
#amministrativi#amministrazione#concorsopubblico#consorso#contabilità#dataentry#diplomati#edilizia#esami#FormezPAp#ITSenior#LAUREATI#lavoro#lavoroagile#ministeroGiustizia#Pnrr#smartworking#tecnici#Titoli
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Du iu spik Inglisc?
L’Accademia della Crusca è una delle istituzioni linguistiche e filologiche più importanti del mondo.
Tra il 1570 e il 1580 un gruppo di amici che si dettero il nome di "brigata dei crusconi". Già con la scelta di questo nome manifestarono la volontà di differenziarsi dalle pedanterie dell'Accademia fiorentina, alle quali contrapponevano le cruscate, cioè discorsi giocosi e conversazioni di poca importanza.Già da questi primissimi anni di attività non erano comunque del tutto assenti intenzioni letterarie, con dispute e letture di un certo impegno culturale, rivolte in particolar modo verso opere e autori volgari. Vengono tradizionalmente indicati come i fondatori della Crusca Giovan Battista Deti, il Sollo; Anton Francesco Grazzini, il Lasca; Bernardo Canigiani, il Gramolato; Bernardo Zanchini, il Macerato; Bastiano de’ Rossi, l’Inferigno, cui si aggiunse nell’ottobre 1582 Lionardo Salviati, l’Infarinato, che dette la spinta decisiva verso la trasformazione degli intenti dell’Accademia e indicò il ruolo normativo che da quel momento in poi avrebbe assunto.Lo stesso Salviati dette nuovo significato al nome di Crusca, fissando l’uso della simbologia relativa alla farina e attribuendo all’Accademia lo scopo di separare il fior di farina (la buona lingua) dalla crusca, secondo il modello di lingua già promulgato dal Bembo (1525) e ripresi poi dallo stesso Salviati che prevedeva il primato del volgare fiorentino, modellato sugli autori del Trecento.La prima adunanza in cui si cominciò a parlare di leggi e statuti dell’Accademia avvenne il 25 gennaio 1583, ma la cerimonia inaugurale dell’Accademia si svolse due anni dopo, il 25 marzo del 1585. Nel 1589, anno della morte del Salviati, furono istituite le attribuzioni dell’arciconsolo, dei consiglieri, dei censori, del castaldo, del massaio e del segretario e nel 1590 si scelse come simbolo dell’Accademia il frullone, lo strumento che si adoperava per separare il fior di farina dalla crusca, e come motto il verso del Petrarca ���il più bel fior ne coglie”(1).
il 17 Aprile uno dei gruppi di studio dell’istituzione, il Gruppo Incipit, ha prodotto un comunicato stampa dove esprime grande preoccupazione nella scrittura e nella redazione del Sillabo per l’imprenditorialità, documento che il MIUR ha diffuso nelle scuole superiori per promuovere l’educazione all’imprenditorialità. La preoccupazione maggiore della Crusca riguarda l’adozione di termini ed espressioni anglicizzanti (che) non è più occasionale, imputabile magari a ingenue velleità di “anglocosmesi”, bensì diventa programmatica, organica e assurge a modello su cui improntare la formazione dei giovani italiani (2).
L’Accademia constata che: per imparare a essere imprenditori non occorre saper lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del team building, non serve progettare, ma occorre conoscere il design thinking, essere esperti in business model canvas e adottare un approccio che sappia sfruttare la open innovation, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati pitch deck e pitch day. Più che un’educazione all’imprenditorialità, questo documento sembra promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana e delle sue risorse nei programmi formativi delle forze imprenditoriali del futuro. Pare una sorta di contraffazione paradigmatica della cultura e del patrimonio italiano: è così che si vogliono promuovere e valorizzare le eccellenze italiane, il “Made in Italy”? (3).
Il MIUR ovviamente, attraverso le parole della Ministra Fedeli (ministra è accettato dalla Crusca, per chi non lo sapesse) che sostiene: Non capisco, sinceramente, da quali documenti o atti del Miur ricaviate la presunta volontà ministeriale di 'promuovere un abbandono sistematico della lingua italiana (...) l'utilizzo di termini stranieri si rivela funzionalmente necessario quando il "prestito" consente una funzione designativa del tutto inequivoca, specie se si accompagna all'introduzione di nuove "cose", nuovi "concetti" e delle relative parole (4).
La battaglia che l’Accademia della Crusca su questo fronte è decennale, e una sentenza recente del Consiglio di Stato ha fatto esultare gli Accademici. Infatti a Gennaio 2018 il Consiglio di Stato ha confermato una sentenza già emessa dal Tar nel 2013 bocciando la decisione del Politecnico di Milano di organizzare, solo in lingua inglese, interi corsi di laurea magistrale e dottorati.
Potrebbe venire in mente che i dotti della Cruschi siano degli autarchici, ma per liberare da ogni dubbio riporto una dichiarazione di Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia: Nessuno nega l’utilità dell’inglese in determinate branche. Altra cosa è cancellare integralmente la lingua italiana, e magari farlo passare come un merito burocratico (...) il problema non è nell’uso della lingua, quanto negli eccessi che ne possono derivare. La lingua della didattica dovrebbe essere a metà via fra la ricerca e la divulgazione. Se non non divulghiamo in italiano, molti giovani non riusciranno più a pensare in italiano. Anche nelle scienze (5).
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Ho letto che a te la tua triennale non piaceva, come hai fatto a tirare avanti? Anche a me la mia triennale non piace molto, in compenso c'è una magistrale che mi stuzzica anche se si distacca dal mio ambito. Però è dura, perché tutti mi dicono che dovrei seguire con il percorso naturale della mia laurea per avere più lavoro e da altra parte ho già avuto un percorso complicato con tanto di cambio e temo di complicarmi sempre di più la vita e non arrivare da nessuna parte con le mie scelte.
Dipende dalla personalità.A livello relazionale, ho lasciato un sacco di cose a metà.A livello di impegno, di ambizione, di studio e di lavoro non lascio mai nulla a metà.La triennale era una sfida, al termine della quale avrei deciso se continuare nello stesso posto o se cominciare da capo.Ho trovato il mio stimolo e ho voluto proseguire e non me ne pento.Quello stimolo, ahimé, si è rivelato un bluff, però io ne ho interiorizzato le cose belle e ho capito che non sono le orme di qualcuno, né le dicerie del prossimo, né le sensazioni di chi mi sta accanto, né i consigli di chi vorrebbe sapere, meglio di me, quale sia la mia inclinazione naturale.Io sono semplicemente Valentina.Sono testarda, autoironica, permalosa e un sacco rompicoglioni e mi sto bene così.E quello stimolo che prima era esterno, ora sono io.A fine mese mi abilito (SPERIAMO) e inizierà una nuova vita, per me, una salita immensa.Ho paura, però questa è la mia scelta e, nonostante quello che pensano gli altri, non la rinnegherò mai.Quindi posso darti un unico consiglio: oggi parlare di lavoro è utopico ed estenuante per qualsiasi ambito, soprattutto quando sei ancora nel pieno del tuo percorso, perciò, più che pensare a questo tuo futuro, cerca di essere felice ora.Cerca di stare dalla tua parte ora.Cerca di volerti bene ora.Non esistono percorsi naturali.Non esistono percorsi semplici.Non esistono cose fattibili.Nulla avviene senza sofferenza.La vita è complicata ed è in mezzo a tutto questo casino che imparerai a maturare, non dar retta a chi ti dice cosa fare: pensa con la tua testa e non avere mai il terrore di non farcela.Vedrai che, nonostante le difficoltà, il non rinnegarti mai sarà la sensazione più bella del mondo.Buona fortuna per tutto.
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Sono nella merda. Tre anni fa ho scelto (male informata) odontoiatria, senza avere nè parenti nè conoscenze strette che svolgessero la professione, e tra l'altro frequento una facoltà di una cittadina, la quale fa cagare (università e cittadina). Sono stata informata solo adesso (da ragazza furba quale sono) che in realtà non è tutto rose e fiori come ancora molti pensano, (1/2)
soprattutto se vieni da una facoltà non proprio d'élite come la mia, inoltre la laurea è poco riciclabile e ho paura di non riuscire a trovare lavoro. Sto considerando di cambiare indirizzo di studi, o almeno sede universitaria, ma ho paura che sia troppo tardi e di aver buttato tutto nel cesso (2/2)
hmmm allora andiamo n’attimo per ordine.
se hai scelto tre anni fa dopo la maturità adesso hai.. 21 anni? 22? non ti preoccupare che sei giovane e hai tutto il tempo del mondo per ovviare a rimedi
non avere il parente che ti fa trovare lo studio avviato effettivamente è una rottura ma d’altra parte fare il dentista se riesci paga abbastanza. mo io non so assolutamente la situazione nel campo o come funzioni ma insomma credo che sia più facile fare il dentista che un sacco di altre cose
ora, cambiare la sede potrebbe non essere una cattiva idea perché se ti fa schifo la facoltà e non ti pare buona un posto che ti forma meglio e dove ti senti meglio sicuro ti rende più bendisposta (io ancora piango su non aver cambiato sede per la magistrale avrei assolutamente dovuto farlo) quindi lo prenderei in considerazione se ovviamente puoi farlo, ma il punto è anche un altro
ovvero: ti piace sta facoltà o no? nel senso, io ho fatto quello che ho fatto più o meno cosciente del fatto che era una scelta suicida dal punto di vista lavorativo perché mi piaceva e ancora non me ne sono pentita anche se avessi fatto la commercialista ora probabilmente non starei a smadonnare appresso a COME FACCIO AD ANDARMENE DA CASA ma vabbé, ma se una cosa non ti piace e le prospettive di lavoro non ti convincono puoi anche cambiare con qualcosa dove magari ti riconoscono gli esami e così tagli tempo. poi guarda conosco gente che faceva filosofia che partiva da economia che voglio dire è molto più da mercato del lavoro ma non la reggeva quindi boh se hai resistito tre anni evidentemente qualcosa ti piace?
secondo me devi prima di tutto chiederti, voglio fare il dentista? se vuoi fare il dentista e ti piace quello che fai ma ti fa cagare l’uni cercatene una decente dove ti danno una preparazione buona magari in un posto che non fa cagare e sicuramente cambia l’aria.
se la risposta è no ma ti piace il campo, domanda: che vuoi fare? perché immagino che con gli esami che hai di odontoiatria c’è altra roba che puoi provare a fare. c’è qualsiasi cosa di queste che ti piacerebbe di più/ti pare meglio? buttati lì.
se la risposta è no mi fa schifo tutto, a sto punto considera cambiare completamente ma lì ovviamente devi tenere in conto che in italia con la triennale lavori o se hai culo o se fai tipo l’ingegnere o il commercialista o roba simile. cioè, se fai l’avvocato non lavori necessariamente perché l’italia pullula di avvocati e la concorrenza è grande, gli architetti languono e se fai lo scienziato finirai a fa ricerca e in italia non la si finanzia quindi se sei bravo finisci fuori (triste cosa), con le materie umanistiche mangi solo entrando nella scuola pubblica e sul resto si contratta (a meno che non esci dalla privata con gli agganci ovviamente) quindi se il punto è che vai all’uni per lavorare dopo e non perché ti piace da morire la letteratura ugrofinnica (ok forse con quella ci lavori effettivamente essendo quattro gatti) non è detto che con altre cose lavori di più che con odontoiatria.
a questo punto ovviamente è decisione tua e non è che posso mettermi di mezzo io ma diciamo che generalmente penso che se proprio non ti fa schifo tutto tanto vale che almeno il primo ciclo lo finisci visto che hai iniziato e sono tre anni che stai lì - ma lo dico in generale. ma se hai 21/22 anni ha tutto il tempo del mondo di cominciare un’altra facoltà eh, cioè finisci la triennale a 25? sai che perdita, c’è gente che si laurea fuoricorso a tipo 30 XDDD ti direi stacca e pensaci tu e poi ovviamente decidi ma se decidi di mollare tutto e cominciare un’altra cosa non è assolutamente troppo tardi.
PS: tutta la gente che conosco che lavora bene pagata bene e che ha casa/paga il mutuo senza scapicollarsi/non ha bisogno di aiuti extra per spese serie in grande parte è tutta o laureata triennale (ingegneria o gli è andata di culo) o proprio non è proprio andata all’università. anzi tutta la gente che conosco che adesso fa quello che ha sempre sognato di fare/ha coronato le sue aspettative o le sta coronando o l’uni proprio non l’ha finita o l’ha finita ma poi è andata a fare altro e comunque era nel campo da prima e la laurea non contava niente. se il punto è il *lavoro* delle volte la laurea manco ti serve. però lì devi saperlo tu ecco XD
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Curatorial Practices London Calling. Ma l’Italia non va buttata via. Una conversazione di Camilla Boemio con Francesco Dama (IT only)
Francesco Dama è un giovane critico e curatore indipendente che lavora a Londra. Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di curatori ed artisti italiani hanno deciso di trasferirsi all'estero. Diventa inevitabile affrontare l'argomento, e indagare come stia cambiando Londra, dopo l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea.
Camilla Boemio - Puoi parlarci del tuo percorso curatoriale? «Ho studiato storia dell’arte a Firenze e a Roma, città in cui ho maturato esperienze lavorative in gallerie d’arte pubbliche e private.
Francesco Dama - Dopo la laurea magistrale mi sono trasferito a Londra, dove vivo tutt’ora. Qui curo le mostre per una galleria d’arte contemporanea, scrivo e lavoro a progetti indipendenti. Le gallerie commerciali sono molto attente alla curatela delle proprie mostre - che è indispensabile - nonostante non vi pongano troppa enfasi. Mi piace l’idea di lavorare a fianco degli artisti e a ritmi sostenuti, ma nell’ombra.
C.B. - Sembra ormai che per occuparsi d'arte (e non solo) con un certo rigore, e una tranquillità, sia indispensabile lavorare all'estero. Quanto è diverso il sistema dell'arte Inglese rispetto a quello Italiano?
F.D. - «Non sono pienamente d’accordo. Conosco molte persone in Italia che si occupano d’arte con competenza, professionalità e rigore, nonostante le difficoltà economiche e burocratiche. Certo, il sistema dell’arte Italiano è molto diverso da quello Inglese, che è a sua volta diverso da quello londinese. La capitale britannica vive una realtà eccezionale, diversa da quella del resto del Paese e da qualsiasi altra capitale europea. A Londra si concentra una buona parte di quell’establishment internazionale che forma il mondo dell’arte: collezionisti e art advisors - per lo più colti e attenti - gallerie private con fondi spesso maggiori dei pur ottimi musei pubblici della città, case d’aste, ecc. Ovviamente, questo non favorisce gli artisti più giovani, che hanno difficoltà ad affrontare le spese di uno studio, per esempio. C’è poi una cospicua disparità in termini di risorse fra Londra e il resto del Paese. Èl un problema generale – forse il più grave in U.K. – che ha ripercussioni anche sul sistema dell’arte. Fortunatamente, da qualche anno una serie di iniziative pubbliche e private sta cercando di bilanciare questa irregolarità, nonostante recenti tagli ai fondi pubblici stiano cominciando ad avere effetti negativi. Non è difficile prevedere come la Brexit aggraverà ancora di più la situazione. Dal canto suo, l’Italia ricopre un ruolo marginale all’interno del mondo dell’arte contemporanea, per motivi economici e culturali. Il nostro Paese non è abituato a ragionare e a riflettere sull’arte contemporanea, in primis perché non la conosce e forse perché è distratto dall’enorme responsabilità di occuparsi della conservazione del suo straordinario patrimonio artistico. Ciò non preclude affatto lo sviluppo di realtà qualitativamente eccellenti in ambito contemporaneo, che di solito sono a iniziativa privata. Anzi, credo che proprio questa posizione marginale crei dinamiche interessanti. Le pressioni del mercato tipiche di città come New York o Londra, semplicemente non esistono in Italia, e questo è un fatto del tutto positivo».
C.B. - L'attuale fase socio-politica internazionale è una graduale degenerazione di un sistema verso il massimo disordine e l'ordine Istituzionale conservatore. Come sta rispondendo il sistema dell'arte Inglese alla Brexit? Come stanno cambiando gli investimenti d'arte, nelle gallerie e nelle Istituzioni?
F.D. - «Qualche settimana prima del referendum sulla Brexit, Wolfgang Tillmans inaugurava una mostra da Maureen Paley fortemente politica. L’ingresso della galleria era tappezzato da posters contro la Brexit, disegnati da numerosi amici artisti britannici, fra cui Antony Gormley, Bob e Roberta Smith, Martin Creed. È stata una fra le reazioni più intelligenti e sensibili al problema che abbia visto. Dal punto di vista del mercato, la sterlina debole ha significato un maggiore interesse dei collezionisti internazionali verso le gallerie britanniche. Le aste a Londra immediatamente successive all’esito del referendum, lo scorso giugno, sono andate particolarmente bene, ad esempio. La maggior parte dei musei e delle istituzioni pubbliche andrà incontro a una sorte diversa, perché dovrà fare a meno delle sovvenzioni Europee. In ogni caso, la questione Brexit è ben lontana dall’essere risolta ed è quasi impossibile fare previsioni. Resta un senso generale di smarrimento e incertezza che è difficile da gestire, in arte come in ogni altro ambito culturale».
C.B. - Quali sono secondo te le mostre museali più interessanti da visitare in questo periodo a Londra, e le tre mostre da non perdere assolutamente nelle gallerie?
F.D. - «Wolfgang Tillmans alla Tate Modern, senza dubbio, e Alex Baczynski-Jenkins da Chisenhale Gallery. Nella gallerie: Urs Fisher da Sadie Coles, Simon Dybbroe Møller da Laura Bartlett e Do Ho Suh da Victoria Miro».
C.B. - Quali sono gli artisti emergenti più interessanti secondo il tuo giudizio?
F.D. - «Prem Sahib e Celia Hempton fanno parte di un gruppo di artisti/amici che ha studiato e lavora a Londra, scambiandosi opinioni e consigli. Sono molto attento al lavoro del fotografo Paul Mpagi Sepuya, che ha una personale in corso a Yancey Richardson Gallery, New York. Gli americani Grear Patterson e Charlie Roberts lavorano con il loro retaggio culturale con leggerezza e intelligenza, mettendo in discussione l’identità americana. In Italia, fra gli altri, seguo il lavoro di Gianni Politi e Gabriele de Santis».
C.B. - Come stanno evolvendo le pratiche curatoriali?
F.D. - «Non sono sicuro stiano evolvendo in meglio, di certo cambiano, e cambiano continuamente, come è naturale che sia. Nell’ultimo periodo il ruolo del curatore si è estremamente dilatato. Il concetto stesso di curatela è stato rivisto e ridiscusso, al punto da diventare un fenomeno culturale. Il verbo "curare” si applica a tutto, da Instagram alle playlists di musica, dalle ricette di cucina ai vestiti. È uno dei termini più amati dalla pubblicità. Il rischio è di svuotare la parola del suo significato, dimenticandosi del valore professionale del curatore. Tornando alle pratiche curatoriali, al momento si discute molto sulla discriminazione di genere nell’arte contemporanea. È paradossale come il mondo dell’arte, per quanto liberale, sia ancora fortemente discriminatorio nei confronti delle artiste donne. In questo i curatori, soprattutto in ambito istituzionale, assumono un ruolo di rilievo, dovendo affrontare numerosi problemi etici e di metodo. La recente espansione della Tate Modern, ad esempio, ha spinto il museo a ripensare l’ordinamento della propria collezione, per adottare un approccio più inclusivo ed equo, aumentando il numero di lavori di artiste donne e di artisti non occidentali. Tali decisioni curatoriali affrontano alcune problematiche fondamentali della storia dell’arte, contribuendo a ridiscutere i filtri culturali con cui interpretiamo e studiamo le opere stesse (basti pensare, in primis, al canone modernista, composto esclusivamente da uomini bianchi occidentali). Nonostante le buonissime intenzioni, il riallestimento del museo spesso confonde i visitatori, che sono travolti da una successione infinita di opere d'arte prive di una narrazione coesa».
Pubblicato su Exibart, 29 Marzo 2017
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Il grande riflesso: dal Mondo dei robot ai nuovi Ospiti, benvenuti a Westworld
di Fabio Scala
Potrebbe cominciare da più spunti un'analisi dei dieci episodi ideati da Jonathan Nolan e Lisa Joy basati sull'omonimo film diretto da Michael Crichton quarantaquattro anni fa. Dal record d'incassi in casa HBO all'inaspettato ritorno a mani vuote dalla 74° edizione dei Golden Globe, Westworld ha saputo far parlare di sé anche a distanza di quattro mesi dalla conclusione della sua prima stagione che, alle ore 21:00 del 4 dicembre 2016, ha raccolto intorno al tenace focolare della tv cable più di 2.2 milioni di spettatori statunitensi. Questo colpo di reni ha permesso a HBO di vincere la battaglia in termini di ascolti che impervia ormai da quattro anni contro il vero innovatore della fruizione contemporanea, ovvero Netflix. HBO ce l'ha fatta, tuttavia, utilizzando la carta dell'adattamento televisivo, già efficacemente rodata da molti altri broadcast e players multimediali. Risulta sempre più impossibile ignorare il crescente numero di soggetti cinematografici che da cinque anni a questa parte vengono tradotti, rielaborati o semplicemente adattati al piccolo schermo. Un piccolo schermo che ci ha mostrato più volte la sua tendenza a riflettere sul suo progenitore, il mezzo cinematografico, ma che meno frequentemente si è soffermato a riflettere sul proprio statuto, in questo caso quello seriale, continuando invece ad adottare e far suo quell'apparato tecnico e narrativo che il cinema ha saputo sviluppare, sfruttare e respirare per oltre un secolo. Ed è proprio in questi decenni definiti da interpreti del calibro di Dustin Hoffman come i più bui del cinema statunitense, che la serialità televisiva americana e globale ha saputo risorgere con una capacità attrattiva, produttiva e creativa che, prima degli anni Novanta, trovavamo solo nei grandi serial cinematografici degli anni Dieci del novecento. Un percorso di nobilitazione che è stato possibile sempre e soltanto grazie al rapporto biunivoco tra televisione e cinema, cinema e televisione, medium e linguaggi inscindibili tra loro e uniti da linguaggi, immagini, narrazioni, stazioni mediane continuamente in sviluppo e in reciproco dialogo. Tra le stazioni più notevoli, nonché nostro caso di studio, troviamo proprio il prodotto seriale e la natura transmedia che lo caratterizza fin dalle sue origini.
Da qui Westworld, una serie che parla di serie attraverso una riflessività transmediale delle più tradizionali, ovvero l'adattamento. Senza scomodare troppo Linda Hutcheon e altri grandi studiosi della teoria degli adattamenti, della trasposizione di un contenuto gli adattamenti, la trasposizione di un contenuto tra un medium ed un altro è mossa anzitutto dallo scopo economico. Trasportare Jane Austen su grande schermo, piccolo schermo o graphic novel è un successo mediamente assicurato. Lo stesso vale da sempre per altri grandi titoli della letteratura e del teatro, i cui repertori sono stati smontati e rimontati, elogiati e violentati dal cinema e da altri mezzi in più e più forme e contenuti. Come anticipato, oggi è invece crescente l'interesse della serialità televisiva nei confronti di soggetti cinematografici e di loro singole suggestioni. Nei mesi scorsi abbiamo preso in considerazione il caso Stranger Things (2016-oggi, Netflix) e Scream: the TV Series (2015-oggi, MTV) ma avremmo potuto rifarci nello specifico a Fargo (2014-oggi, FX), Hannibal (2013-2015, NBC), o From Dusk till Dawn (2013-oggi, El Rey Network). Abbiamo dunque scelto Westworld per quella che potremmo definire una “consapevolezza del dispositivo” affrontata da numerosi studiosi in relazione a diversi mezzi e recentemente toccata da Pier Maria Bocchi nella sua ultima impresa rivendicatrice Invasion USA. Idee e ideologie del cinema americano anni '80, quando parla del ripiegamento su sé stesso e di uno scioglimento contenutistico del cinema horror anni Novanta (vedi Scream, Craven, 1996-2011). In questa sede abbiamo modo di trasportare nella nostra contemporaneità e nel contesto produttivo seriale quello che Bocchi individua come un passo indietro del cinema di genere rispetto al decennio precedente (anni '80) e vederlo invece come un ulteriore sintomo della nobilitazione in atto della serialità televisiva contemporanea. Da qui Westworld, una serie che parla di serie attraverso una riflessività transmediale delle più tradizionali, ovvero l'adattamento. Senza scomodare troppo Linda Hutcheon e altri grandi studiosi della teoria degli adattamenti, la trasposizione di un contenuto tra un medium ed un altro è mossa anzitutto dallo scopo economico.
Westworld è una serie che parla di serie, abbiamo detto. L'inventore del Parco porta il nome di Ford e i cosiddetti Ospiti (hosts) vengono assemblati con un sistema produttivo analogo a quello della catena di montaggio. Le vicende degli hosts si svolgono lungo delle storylines intrecciate tra loro e scritte da un giovane, ambizioso ed arrogante sceneggiatore (Lee Sizemore) la cui figura pare suggerire l'idea di un autore moderno alle prese con il potente strumento che oggi rappresenta la narrazione seriale. Si annida l'idea di un avvertimento nei confronti dei futuri autori, ma anche dello spettatore: come la hollywood degli anni d'oro, oggi la serialità televisiva è un orizzonte prospero e in continua fase di sviluppo. Ma proprio come il cinema classico, anche nel caso dell'odierna industria seriale non è tutto oro ciò che luccica e il nuovo spettatore, quello attivo, consapevole e desideroso di contenuti narrativi e di potenza dell'immagine, non può permettersi di non saper distinguere tra un prodotto tra i prodotti e un prodotto invece nobilitato da un'esposta consapevolezza di sé e nobilitante per chi usufruisce dei suoi contenuti tecnici, estetici e narrativi. L'Uomo in nero, figura quanto mai vicina al consumatore seriale contemporaneo, insaziabile divoratore ed esploratore di storie, accusa il Parco di mancata autenticità. Nelle storylines di Sizemore è infatti tutto concesso ma solo fino a un certo punto, laddove al visitatore è permesso di uccidere ma non di restare ucciso. Solo l'intervento di Ford, simulacro della produzione/narrazione in serie, darà al pubblico l'autenticità richiesta. Ciascuno dei dieci episodi della prima stagione di Westworld è dunque intriso e seminato di esplicite tendenza all'autoriflessività e di quella “consapevolezza del dispositivo” che, nonostante la sua natura di adattamento, rende la serie un prodotto autonomo e indipendente dall'opera originale da cui è stata tratta. L'annullamento degli spazi (i laboratori della Dalos non hanno identità) l'incertezza del tempo e la complessità narrativa di cui ogni episodio è caratterizzato sono il risultato dell'abilità degli autori nel maneggiare lo strumento di cui sono in possesso e di ragionare attorno all'era del mezzo entro cui stanno operando.
C'è infine l'ombra di una coscienza riformista tra le pieghe del contenuto drammaturgico e referenziale di Westworld. Ford decide di rivoluzionare e in parte distruggere l'assetto da egli stesso (e dal collega Arnold) messo in piedi. Distruggerlo non perché ritenuto obsoleto, bensì per ovviare al tentativo dei nuovi squali della filiera economica/produttiva (William, Sizemore, Theresa, Charlotte Hale) di depredare i risultati fino ad ora ottenuti. È un coraggioso quanto pericoloso affronto della serialità televisiva contemporanea, l'idea di una chiusura col proprio passato e con quello condiviso con altri media, laddove sino ad ora si è sempre parlato di una reciproca e fruttuosa continuità. In questo Westworld si distingue da qualsiasi altra serie fino ad ora prodotta. Un adattamento che anziché riflettere a fondo sullo mezzo da cui attinge, coglie l'occasione di ripensare sé stesso e il proprio statuto derivato. Robert Ford (interpretato dal premio Oscar Anthony Hopkins) e Arnold Weber sono in qualche modo i genitori/mezzo cinematografico di fronte all'indipendenza consapevolmente distruttrice e inglobante della progenie Dolores/Ospite/serialità televisiva, la quale, dopo il labirintico percorso di nobilitazione/consapevolezza di sé, cambierà per sempre un determinato modo di concepire il mondo.
Twitter - @HommeDLune
Fabio Scala, Corso di Laurea Magistrale in Cinema, Televisione e produzione Multimediale, Università di Bologna
#fabio scala#westworld#serial#serie tv#cinema#serial cinematografici#transmedia#cinema televisione e produzione multimediale#università di bologna
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SFOGHI DI UNA VITA Con oggi ho avuto la conferma che la mia facoltà è qualcosa di meraviglioso e devo chiedere innanzitutto scusa a me stessa per essermi sentita inferiore perché ho scelto una professione sanitaria. Sì, mi devo proprio chiedere scusa e devo chiedere scusa anche a chiunque faccia un'altra professione sanitaria diversa dalla mia. Questo perché persone, sia a me care e che reputo intelligenti, sia che non sono mie amiche mi hanno fatto sentire un'imbecille: "beh sono tre anni, cosa vuoi che sia"/"eh capirai una volta bastava un diploma". È vero, verissimo anzi. Non sono 10 come medicina o 5 come giurisprudenza, non ho esami di analisi come Ingegneria; comunque sia volendo posso fare la magistrale, il master e l'erasmus come una qualsiasi altra facoltà. Il fatto poi di studiar tre anni non vuol dire che non si fa niente o che non si studia; ognuno ha le sue. Riguardo al diploma..appunto una volta era un diploma, ora è una laurea a tutti gli effetti e comunque non penso che a parte quello di medicina, un ingegnere o uno di lettere o chissà cosa che ha una laurea "vera" sia in grado di farti una flebo o metterti un catetere per esempio, o far nascere un bambino come un'ostetrica o farti una risonanza come un tecnico di radiologia, altro esempio. Come io (ma nemmeno il medico) non saprò difendere qualcuno in aula o costruire una parte di macchina o di ponte. E per di più non credo nemmeno che l'università spenda soldi per aprire una facoltà che non serve a niente. Ma al di là di queste cose, la mia professione consiste nel prendere sotto di me persone con malattie mentali più o meno gravi, che possono passare da una lieve forma di depressione a una forma di bipolarismo e schizofrenia, e cercare di farle accettare di nuovo dalla società grazie a un percorso difficile attraverso colloqui, e laboratori come arteterapia, musicoterapia, teatro, canto, giardinaggio e far riprendere in mano la loro vita. Ma voi riuscireste a immaginare una persona che ha tentato il suicidio più volte, una persona bipolare o una con manie ossessive o schizofreniche gestire ristoranti, bar, segreterie e farlo bene, grazie praticamente al vostro lavoro e a quello di altre persone? Io sì perché le ho conosciute. Questo sarà il mio lavoro si spera in futuro. Lavoro estremamente difficile perché comporta una forza d'animo immensa, ma non avete neanche la più pallida idea delle enormi soddisfazioni che può regalare. Insomma tutto sto discorso per dire che non dovreste mai e dico mai giudicare le scelte di vita altrui, che con me lo potete fare che tanto frega a sé e ultima cosa di stare attenti perché un giorno potreste avere bisogno di me e potrei non riabilitarvi
hounavoraginenellanima
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Cosa lega un romanzo famoso, un film di culto e il profumo di un brand cool come By Kilian? Un nome decisamente evocativo, Liaisons Dangereuses, ma molto altro ancora….
E’ sicuramente il più affascinante tra i creatori di brand di profumi: giovane, carismatico, cosmopolita e rampollo di una delle famiglie più influenti di Francia. Ai profumi è arrivato per caso, complice la tesi di laurea sulla semantica degli odori. Perchè Kilian Hennesy, nipote del co-fondatore del colosso del lusso LVMH, è cresciuto nelle cantine delle distillerie di famiglia, quelle del cognac Hennessy. Dopo un decennio trascorso nelle più importanti maison del settore, e appreso tecniche e segreti dai migliori nasi, ha lanciato la sua linea di fragranze di nicchia “By Kilian”. Materie prime di alta qualità, packaging super sofisticato e anima green, tra refill e custodie che si trasformano in clutch da sera. Finanche una particolare attenzione ai nomi delle sue creazioni, diverse delle quali si chiamano come un famoso brano musicale o un film, vedi Liaisons Dangereuses. Una pellicola cult degli anni ’90 (in italiano Le Relazioni Pericolose, e in inglese Dangerous Liasons) adattamento cinematografico dell’altrettanto famoso romanzo epistolare di Pierre-Ambroise-François Choderlos del 1782: Les Liaisons Dangereuses. Il libro, considerato un capolavoro della letteratura francese ha ispirato diversi registi, primo tra tutti Roger Vadim a cui si deve la prima trasposizione cinematografica nel 1959, nel 1988 tocca a Stephen Frears, a cui segue nel 1989 Milos Forman, con Valmont, mentre nel 1999 Roger Kumble ne ha dato un’interpretazione contemporanea con Cruel Intentions.
La versione più celebre però rimane quella diretta nel 1988 da Stephen Frears, con un cast stellare: Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, e Keanu Reeves. Il film ci presenta due irresistibili canaglie: la Marchesa de Merteuil (Glenn Close) e il suo partner in crime ed ex amante, il visconte di Valmont ( John Malkovich). Per Valmont e la Marchesa, la vittoria è il massimo piacere: l’unico piacere, che si combatte a suon di intrighi, usando la seduzione come arma. La Marchesa soffre per essere nata donna in una società dove gli uomini hanno il potere, e la sua rabbia é il motore che la spinge. “Ho sempre saputo di essere nata per dominare il tuo sesso e vendicare il mio”, dice Glenn Close, ovvero La Marchesa de Merteuil, al visconte Valmont, e non c’è mai motivo di dubitare della sua affermazione per tutta la durata del film. Gelosia, invidia, vendetta sono i sentimenti che la dominano e il suo impulso è quello di esercitare la sua influenza nel mondo, grazie al suo indiscutibile carisma e la sua abilità nell’intrigo con cui manipola la vita altrui, insieme al suo complice. Sperando di vendicarsi di un ex amante, la Marchesa sfida Valmont a sedurre Cecile de Volanges (Uma Thurman), una vergine che andrà in sposa al suo nemico e che è stata scelta espressamente per la sua purezza. Anche se la ragazza è molto bella Valmont ritiene il compito un insulto. È troppo facile. Ha un picco più alto da scalare, una donna virtuosa e fedele, Madame de Tourvel (Michelle Pfeiffer) e scommette con la Marchesa che riuscirà nella sua impresa. Il regista ci mostra la complessità delle strategie usate dai complici e rivali che operano per la distruzione della purezza e dell’innocenza, così come la cinica ricerca del piacere a scapito del dolore degli altri. E così quella che nasce come una sfida e un divertimento si trasforma in un dramma. Un film assolutamente da vedere per la storia, tutt’ora moderna, i costumi meravigliosi, l’interpretazione magistrale dei suoi attori e il finale a sorpresa…..
Ma qual’è il fil rouge che lega la famosa pellicola, libro e profumo a parte il nome? Diversi i punti in comune senza dubbio. Il profumo ben rappresenta le personalità delle tre protagoniste grazie alla rosa, cuore e nota olfattiva sui cui é costruita la fragranza. La rosa è l’unico fiore infatti a vantare significati e simbologie diverse, in base all’epoca, luogo di riferimento, e al colore. Rosa che rappresenta l’amore passionale ma nello stesso tempo la purezza, così come un segreto (vedi l’espressione sub rosa), sensualità, vanità, bellezza e decadenza. Ed ecco la virginale Madam de Tourvel, la carnale Cecile e la vanitosa e altera Marchesa. Altra cosa che lega il profumo al film, e al libro, é l’interpretazione di questa rosa data dal profumiere, Calice Becker. Non si tratta di una rosa carnale, narcotica e decadente ma di una rosa succosa e vivace, una rosa tentatrice, che seduce e crea addiction, grazie alle note di ribes, pesca e prugna. Una rosa che dopo averti attirato non ti lascia più andare e ti avvolge con le sue note sensuali di muschio, sandalo, vaniglia, vetiver e note boisé. Proprio come una seduttrice o quelle relazioni che sembrano nascere per gioco e in cui ci si accorge che é troppo tardi per fuggire.
La mia review: Appena ho spruzzato Liaisons Dangereuses sulla mia pelle ho sentito subito la rosa, una rosa fresca, con delle sfumature verdi, per intenderci come il profumo in un roseto la mattina presto, quando il sole è basso all’orizzonte. Dopo cinque minuti, sparita la componente verde, e subentrata una parte più fiorita, fresca, non narcotica, la sensazione é quella di camminare in un prato fiorito in primavera mentre soffia una leggera brezza. Dopo dieci minuti ho iniziato ad avvertire qualcosa di succoso e dolce, ma non stucchevole, qualcosa che vien voglia di mordere. Dopo un ora sulla pelle ho un mix molto sensuale e femminile che profuma di rosa di frutti ma dalle sfumature legnose. Mi da una sensazione di morbidezza di calore, ma inteso come qualcosa di solare. Liaisons Dangereuses é un profumo che consiglio a chi ama le fragranze alla rosa, ma anche le fragranze femminili complesse, di grande personalità. Il sillage poi è notevole. Liaisons Dangereuses é perfetto per il giorno ma soprattutto la sera, con un abito castigato davanti ma con un scollo vertiginoso schiena e stilletto d’ordinanza, perché questo non è il classico profumo da seduttrice stereotipata ma di una donna che ama sedurre non solo con il corpo ma soprattutto con la testa.
Cosa lega un romanzo famoso, un film di culto e il profumo di un brand cool come By Kilian? Un nome decisamente evocativo, Liaisons Dangereuses, ma molto altro ancora.... Cosa lega un romanzo famoso, un film di culto e il profumo di un brand cool come By Kilian?
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“Bisogni e aspettative dei detenuti in vista del loro rientro in società: uno studio esplorativo”
Presentazione del libro di Elena Rossi e visita guidata del Museo del Carcere “Le Nuove” di Torino - Torino, 23/11/2017
Giovedì 23 novembre 2017, presso il Museo del Carcere “Le Nuove” di Torino, si è tenuta la presentazione del libro della Dott.ssa Elena Rossi. Il testo, dal titolo “Bisogni e aspettative dei detenuti in vista del loro rientro in società: uno studio esplorativo”, è una pubblicazione di Antonio Stango Editore.
All’evento, iniziato alle ore 17:00, è seguita la visita guidata del criminologo Antonio De Salvia al Museo del Carcere “Le Nuove”.
A moderare la presentazione è stato Paolo Girola, giornalista e direttore di Letter@21. Girola ha introdotto la serata, presentando i relatori e lasciando subito la parola all’autrice.
Per presentare il libro sono intervenuti:
- Gian Paolo Zancan, avvocato penalista;
- Antonio Pellegrino, medico psichiatra e coordinatore regionale della Rete dei Servizi Sanitari Penitenziari del Piemonte;
- Marco Bozzi, psicoterapeuta presso la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino;
- Giovanni Cellini, assistente sociale e docente universitario presso l’Università degli Studi di Torino.
L’evento è stato organizzato con la partecipazione dell’Associazione Avvocati nella Polis e ha avuto il patrocinio della Regione Piemonte. Sono stati riconosciuti dall’Ordine degli Avvocati di Torino due crediti formativi per gli avvocati che vi hanno assistito. Inoltre, la presentazione del libro è stata trasmessa in diretta streaming su Facebook da CriminalMente (www.criminalmente.com).
Elena Rossi ha preso subito la parola illustrando il suo studio. Il libro, infatti, nasce come una tesi di laurea magistrale e l’idea è sorta dalla sua esperienza in Svezia con il progetto Erasmus. In Svezia ha reperito informazioni sul funzionamento di due Associazioni di ex detenuti, sostenute dallo Stato svedese, che si occupano del reinserimento nella società dei detenuti.
La Dott.ssa Rossi ha continuato con una riflessione sul carcere, luogo che non è poi così distante come si può immaginare, ma fa parte della società così come tutti gli altri edifici, come il Tribunale o il supermercato. Un ulteriore pensiero che l’ha colta durante il periodo di stesura della tesi è di essersi sentita privilegiata, e, come afferma, la speranza riguarda il fatto che la sua tesi, come quella di altri che si sono interessati al carcere, non rimanga solo un libro ma qualcosa da cui si possa prendere spunto.
L’autrice ha terminato il suo intervento, lasciando la parola a Paolo Girola, esprimendo una sua profonda convinzione: «è più probabile finire in galera che vincere al superenalotto».
Dopo questa apertura di Elena Rossi, il primo intervento è stato quello di Gian Paolo Zancan. L’avvocato ha iniziato ringraziando l’autrice in quanto, con il suo libro, ha dimostrato «amore per il problema». Zancan, nell’esercizio della professione, si è recato più volte nel Carcere sede dell’evento in questione e ha ammesso di avere molto a cuore il problema carcerario.
Ha raccontato diverse storie su com’era in passato il carcere e sulla differenza con l’attuale sistema carcerario, evidenziando che la libertà conta più di ogni altra cosa. Ha riportato poi degli esempi sulle diverse tipologie di detenuti, affermando che non c’era la varietà di reati presenti oggi, ha ricordato i colletti bianchi e gli extracomunitari come categorie molto rare all’interno delle mura del penitenziario; i reati di stalking, il 416-bis e i reati colposi stradali non esistevano. Ha descritto come si stanno facendo dei passi in avanti per alcuni versi, ma per altri si torna anche indietro, come per il fatto che in passato, in caso di reati contro la persona, per andare in Corte d’Assise era obbligatoria una perizia psichiatrica.
L’avvocato Zancan ha terminato la sua relazione affermando: «Quando è necessario il carcere? Quando si devono evitare pericoli ai singoli e alla società! Senza quel pericolo attuale non ci deve essere il carcere».
La parola è stata poi ceduta ad Antonio Pellegrino che racconta il suo incontro e il percorso affrontato con la Dott.ssa Rossi. Afferma che il tema, inizialmente sentito come lontano rispetto all’ambito sanitario o psicologico, ha poi suscitato una serie di curiosità. Ha riflettuto sul fatto che le aspettative per il dopo sono presenti e possono condizionare l’equilibrio psichico di una persona. In carcere è comune che i detenuti stiano male, manifestando ansia, insonnia, depressione, soprattutto in prossimità dell’uscita. C’è la paura dell’ignoto, fenomeno descritto anche in letteratura.
«Il carcere è il luogo dell’attesa, attesa dell’uscita, attesa che si aprano i cancelli» secondo Pellegrino. Nei discorsi di chi lavora in carcere, in ambito sanitario, il dopo non c’è; dalla tesi di laurea di Elena Rossi è emerso, contrariamente, che c’erano dei punti in comune tra il durante e il dopo e che lavorando sul durante si lavora anche sul dopo.
Altri concetti espressi dall’intervento di Antonio Pellegrino riguardano il lavoro e gli affetti. Ha affermato, il relatore, che a Torino si crede molto nella funzione del lavoro per i detenuti, poiché permette di mantenere vivi i ruoli familiari all’esterno e garantisce disciplina, intesa come rispetto delle regole, degli orari, della gerarchia. Non vanno poi neanche trascurati gli affetti, è importante lavorare anche su questa parte, anche se spesso tendono a essere tenuti nascosti agli altri. Per questo sono stati istituiti dei progetti, come l’“ICAM”, “Da Dentro” e “Uscita Si-Cura”, per garantire una continuità degli affetti all’interno del carcere.
L’ICAM, l’istituto a custodia attenuata per detenute madri, permette alle madri di tenere i bambini in una struttura diversa dal carcere, con agenti in borghese e sistemi di sicurezza discreti.
Da Dentro permette, invece, a psicologi e a educatori di accompagnare i bambini a visitare i parenti detenuti, quando non può provvedere un familiare o una persona vicina al detenuto che ha diritto ai colloqui.
Uscita Si-Cura, il terzo progetto menzionato da Pellegrino, consiste nel sostenere le famiglie durante il periodo di carcerazione di un familiare. Degli operatori forniscono attività di gioco ed intrattenimento per i bambini, attività di accompagnamento e sportelli di ascolto.
Secondo Pellegrino, il merito che ha avuto la Dott.ssa Rossi è stato quello di mettere insieme i due mondi: chi lavora solo sul presente e chi lavora solo sul dopo.
Pellegrino ha terminato il suo ragionamento fornendo una sua risposta alla domanda posta da dei detenuti a Elena Rossi sul perché si sia interessata a loro. La sua risposta è stata semplice: «ci si interessa del carcere per passione».
È stata ceduta poi la parola a Marco Bozzi il quale ha dapprima rappresentato il piacere di aver assistito alla discussione della tesi di laurea di Elena Rossi. Ha quindi affermato come nel titolo “Bisogni e aspettative dei detenuti in vista del loro rientro in società” vi sia un rimando ai detenuti, alle persone, ma anche alla società in genere. Si parla di un discorso attuale e aperto, perché spesso le persone ritornano in carcere e, quando ciò accade, deve essere rivisto ciò che si è fatto.
Ha aggiunto che il carcere separa un prima e un dopo e i detenuti hanno bisogno di tempo per prepararsi a uscire, tendono a isolarsi dal gruppo e sembra che gli altri detenuti capiscano il momento e lo rispettino.
Affrontare l’integrazione del detenuto vuol dire affrontare anche l’integrazione del mondo interno e il mondo esterno, tra il dentro e il fuori. Fintanto che sono mantenuti divisi, si finiscono per separare anche i concetti di detenuto e persona normale.
L’ultimo intervento è stato quello di Giovanni Cellini, assistente sociale con esperienza nel settore penitenziario.
La sua relazione parte da uno studio di Pietro Buffa, che è stato per molto tempo il direttore del carcere di Torino. Secondo questo studio numerosi detenuti si mobilitano per migliorare le proprie condizioni all’interno del carcere, ma non fanno investimenti per la futura uscita, come si può capire dal fatto che molti di loro non hanno una casa, una famiglia, un domicilio, né un lavoro.
Ha anche lodato il libro di Elena Rossi, per aver affrontato un argomento d’ombra, una zona poco studiata. Cellini ha concluso dicendo che sarebbe interessante, per il seguito di questo studio, analizzare l’intreccio tra politiche sociali e penali, se esiste, e se viene data attenzione nelle politiche sociali a questa zona d’ombra.
Paolo Girola ha, infine, ceduto la parola all’autrice del libro, che ha terminato la presentazione con una serie di ringraziamenti e con una citazione per lei significativa di San Francesco d’Assisi: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile, e all’improvviso vi sorprenderete a fare l’'impossibile».
(Resoconto degli interventi dei relatori a cura di Francesca Guidi di CriminalMente)
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