#testi autobiografici
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“ Immaginatevi un vasto cortile, di un duecento passi di lunghezza e centocinquanta circa di larghezza, tutto recinto all'intorno, in forma di esagono irregolare, da un'alta palizzata, cioè da uno steccato di alti pali, profondamente piantati ritti nel suolo, saldamente appoggiati l'uno all'altro coi fianchi, rafforzati da sbarre trasverse e aguzzati in cima: ecco la cinta esterna del reclusorio. In uno dei lati della cinta è incastrato un robusto portone, sempre chiuso, sempre sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle; lo si apriva a richiesta, per mandarci fuori al lavoro. Di là da questo portone c'era un luminoso, libero mondo e vivevano degli uomini come tutti. Ma da questa parte del recinto ci si immaginava quel mondo come una qualche impossibile fiaba. Qui c'era un particolare mondo a sé, che non rassomigliava a nessun altro; qui c'erano delle leggi particolari, a sé, fogge di vestire a sé, usi e costumi a sé, e una casa morta, pur essendo viva, una vita come in nessun altro luogo, e uomini speciali. Ed ecco, è appunto questo speciale cantuccio che io mi accingo a descrivere.
Appena entrate nel recinto, vedete lì dentro alcune costruzioni. Dai due lati del largo cortile interno si stendono due lunghi baraccamenti di legno a un piano. Sono le camerate. Qui vivono i detenuti, distribuiti per categorie. Poi, in fondo al recinto, un'altra baracca consimile: è la cucina, divisa in due corpi; più oltre ancora una costruzione dove, sotto un sol tetto, sono allogate le cantine, i magazzini, le rimesse. Il mezzo del cortile è vuoto e costituisce uno spiazzo piano, abbastanza vasto. Qui si schierano i reclusi, si fanno la verifica e l'appello al mattino, a mezzogiorno e a sera, e talora anche più volte durante il giorno, secondo la diffidenza delle guardie e la loro capacità di contare rapidamente. All'interno, tra le costruzioni e lo steccato, rimane ancora uno spazio abbastanza grande. Qui, dietro le costruzioni, taluni dei reclusi, più insocievoli e di carattere più tetro, amano camminare nelle ore libere dal lavoro, sottratti a tutti gli sguardi, e pensare a loro agio. Incontrandomi con essi durante queste passeggiate, mi piaceva osservare le loro facce arcigne, marchiate, e indovinare a che cosa pensassero. C'era un deportato la cui occupazione preferita, nelle ore libere, era contare i pali. Ce n'erano millecinquecento e per lui erano tutti contati e numerati. Ogni palo rappresentava per lui un giorno; ogni giorno egli conteggiava un palo di più e in tal modo, dal numero dei pali che gli rimanevano da contare, poteva vedere intuitivamente quanti giorni ancora gli restasse da passare nel reclusorio fino al termine dei lavori forzati. Era sinceramente lieto, quando arrivava alla fine di un lato dell'esagono. Gli toccava attendere ancora molti anni; ma nel reclusorio c'era il tempo di imparare la pazienza. Io vidi una volta come si congedò dai compagni un detenuto che aveva trascorso in galera venti anni e finalmente usciva in libertà. C'erano di quelli che ricordavano come egli fosse entrato nel reclusorio la prima volta, giovane, spensierato, senza pensare né al suo delitto, né alla sua punizione. Usciva vecchio canuto, con un viso arcigno e triste. In silenzio fece il giro di tutte le nostre sei camerate. Entrando in ciascuna di esse, pregava dinanzi all'immagine e poi si inchinava ai compagni profondamente, fino a terra, chiedendo che lo si ricordasse senza malanimo. Rammento pure come un giorno, verso sera, un detenuto, prima agiato contadino siberiano, fu chiamato al portone. Sei mesi avanti aveva ricevuto notizia che la sua ex-moglie aveva ripreso marito, e se ne era fortemente rattristato. Ora lei stessa era venuta in vettura al reclusorio, lo aveva fatto chiamare e gli aveva messo in mano un obolo. Essi parlarono un paio di minuti, piansero un poco tutti e due e si salutarono per sempre. Io vidi il suo volto, mentre tornava nella camerata... Sì, in questo luogo si poteva imparare la pazienza. “
Fëdor Dostoevskij, Memorie dalla casa dei morti [Testo completo]
NOTA: Questo romanzo, pubblicato negli anni 1861-62 a puntate sulla rivista Vremja, pur non essendo un resoconto è fedelmente autobiografico. Nel 1849 l'autore era stato condannato a morte per motivi politici e, dopo un'orribile messa in scena che tra l'altro peggiorò la sua epilessia, la sentenza di morte fu commutata in condanna ai lavori forzati a tempo indefinito; ottenne la liberazione per buona condotta nel 1854 ma le sue condizioni di salute erano ormai irrimediabilmente compromesse.
#Fëdor Dostoevskij#Memorie dalla casa dei morti#letture#libri#letteratura russa del XIX secolo#leggere#campo di prigionia#testi autobiografici#confino#carcere#romanzi#lavori forzati#prigionieri politici#esilio#Russia#popolo russo#pazienza#letteratura europea dell'800#umanità#sofferenza#assassinio#eodoro Dostojevski#inferno#dannazione#Siberia#libertà#narrativa del XIX secolo#coscienza#rimorso#pentimento
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Talkin’ Chaos - Il nuovo singolo “Do I Care?”
Un grido di rabbia rivolto alle persone che giudicano
La band Talkin’ Chaos pubblica il suo nuovo singolo “Do I Care?”, disponibile dal 20 settembre 2024 sugli stores digitali e nelle radio in promozione nazionale. Si tratta di un testo interamente in inglese, un grido di rabbia e disgusto verso quelle persone che fanno sentire inferiori di proposito, come se fossero sopra ad un piedistallo. La rabbia della band, poi, si trasforma in indifferenza, che fa rispondere con un semplice “I don’t care”.
Ascolta il brano
https://open.spotify.com/intl-it/artist/2e0aDR6SmZOfp3fhpynq2Qsi=ADlg_WKORkOmPne2c1pbMQ
Storia della band
Talkin’ Chaos è una band alternative-rock di 4 membri della provincia di Vicenza fondata nel 2018. La musica proposta è un connubio tra sonorità punk-rock, grunge e indie, con testi in inglese principalmente autobiografici e dalle note malinconiche. Talkin’ Chaos sono Tommaso Moretto (voce/chitarra), Giacomo Moserle (chitarra), Lorenzo Stella (basso), Jacopo Bidese (batteria). Tra le influenze principali ci sono band storiche come The Cure, Blink-182 e The Smashing Pumpkins, ma anche band della scena italiana come LA SAD e Naska. Nel 2022 pubblicano il loro primo EP “OK, Whatever” mentre, a maggio 2024, iniziano a rilasciare i singoli che faranno parte del loro primo album, in uscita nel 2025, ottenendo un discreto successo sulle piattaforme di streaming musicale. I primi due singoli “Sit in silence” e “Let me sleep” hanno superato 1k ascolti solo nella prima settimana dall’uscita su Spotify, entrando anche in svariate playlist, tra le quali Release Radar. Oltre ai vari live in provincia, durante l’estate del 2024 la band ha suonato al Hard Rock Cafe di Milano e un’altra data è prevista per Settembre.
Instagram: https://www.instagram.com/talkinchaosband
YouTube: https://www.youtube.com/@talkinchaos Facebook: https://www.facebook.com/talkinchaosband
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Annarita Risola (PaiseMiu / «Visti da vicino») intervista Davide Morgagni a proposito dell’anteprima e dell’uscita della tetralogia “Il rifiuto” (Musicaos Editore)
(Il 23 gennaio 2024, sul Canale YouTube di «PaiseMiu» viene pubblicato il video, per la rubrica «Visti da vicino» a cura di Annarita Risola, dell’intervista a Davide Morgagni, sulla nascita e il senso della tetralogia «Il rifiuto», si riporta qui di seguito la trascrizione dell’intervista, disponibile integralmente qui:
youtube
“Visti da Vicino” incontra Davide Morgagni per parlare del suo ultimo romanzo: “Il Rifiuto” (Musicaos Editore - balbec 1 - 2023), presentato lo scorso 22 dicembre ’23, presso la storica sede di Astràgali Teatro a Lecce. In tale circostanza l’autore ha dialogato con Fabio Tolledi (Direttore artistico e regista di Astràgali Teatro), Simone Giorgino (Docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università del Salento, Presidente del Centro Studi Phoné e membro del Centro Studi “Vittorio Bodini”) e Luciano Pagano (Editore). “Il Rifiuto”, punto d’arrivo di un lungo percorso narrativo che Morgagni realizza in dieci anni di scrittura, ironica e libera, accoglie a sé tre dei suoi precedenti romanzi a cui si aggiunge l’inedito “Finché c’è rabbia”. Davide Morgagni nasce a Lecce nel 1977. Si laurea in filosofia. È autore, regista, scrittore e attore di numerose pieces teatrali. Pubblica “I pornomadi” (2014) e “Strade negre” (2017), entrambi con Musicaos Editore. “La nebbia del secolo”(Leucotea Editore-2019), “Finché c’è rabbia” l’inedito che termina il grande affresco narrativo: “Il Rifiuto” (Musicaos Editore -2023). [l'articolo completo e il video qui]
Annarita Risola - Benvenute e benvenuti, oggi siamo in compagnia dello scrittore, attore, regista, Davide Morgagni. Benvenuto.
Davide Morgagni - Buon Natale.
AR - Vorrei chiederle come nasce il suo amore per la scrittura.
DM - Non so se si tratti di amore, forse è più una forma patologica o forse un desiderio clinico, comunque certamente da ragazzino ho sentito questa forma di possessione che purtroppo ancora alla mia età mi perseguita.
AR - Il suo modo di scrivere è stato paragonato a quello di Joyce, Artaud. Come, da chi, e se, trae ispirazione?
DM - Ma, credo che l’ispirazione nasca non solo da Joyce che è un classico, insomma, di tutto il secolo precedente fino a oggi, con Artaud sicuramente c’è un profondo legame rispetto al processo di scrittura. Stiamo parlando comunque di una letteratura che nonostante anche Joyce sia un classico, appartiene comunque a una letteratura minore, quindi a un concetto di letteratura minore come diceva il grande pittore, “la letteratura appartiene al popolo”, e poi, quale popolo, il popolo, che non sono gli spettatori, quindi diciamo una letteratura minore e se posso citare, per esempio, c’è un bellissimo testo di Deleuze e Guattari che appunto si intitola proprio “Per una letteratura minore”, dove Deleuze come anche in altri testi riprende alcune frasi di Artaud riguardo la scrittura proprio lì dove Artaud dice, io scrivo, cioè bisogna scrivere per gli analfabeti, dove quel per gli analfabeti è un po’ come lo stesso concetto di “per una letteratura minore”, cioè dove quel “per” vale non tanto “a favore” o “dalla parte”, ma più che altro “al posto”, in questo caso “al posto degli analfabeti”, e in francese à la place…
AR - … dando voce…
DM - … ripeto, in francese è proprio à la place, quindi è veramente un movimento attoriale, che è un movimento che appartiene allo scrittore, ma appartiene all’artista tout court secondo me.
AR - Nei suoi romanzi descrive luoghi, persone… reali… autobiografici?
DM - Beh, io penso appunto che, si è già detto che ogni biografia è immaginaria…. diciamo che c’è una sorta di ritornello, una sorta di protagonista, che attraversa tutte le pagine di tutti e quattro i libri, che compongono in questo caso «Il rifiuto», l’ultimo romanzo, dove più che altro è una sorta di esploratore, ecco, che attraversa degli spazi dei campi lisci o degli spazi striati, metropolitani, e quindi ne fa, diciamo, di questo attraversamento, ne appunta, ecco, descrive un po’ questo passaggio da un punto di vista veramente clinico, quindi tutti i personaggii luoghi incontrati e attraversati appartengono, ahi noi, a qualcosa che ormai è scomparso, cioè la realtà.
AR - Lei lo ha appena citato e parliamo de «Il rifiuto», da poco pubblicato con Musicaos Editore, è il suo ultimo romanzo, una tetralogia che comprende i suoi precedenti lavori, I pornomadi, Strade negre, La nebbia del secolo, e l’inedito Finché c’è rabbia. Io partirei proprio dal titolo, perché ha scelto di chiamarlo «Il rifiuto».
DM - Allora questa è un’operazione editoriale… io sono molto grato all’editore Luciano Pagano per aver compreso quando gli ho consegnato l’ultimo romanzo Finché c’è rabbia, il legame tra i quattro libri, il legame tra i quattro libri naturalmente era un’operazione editoriale che io personalmente speravo accadesse, magari dopo la morte, è vero ma è così, nel senso che è un’operazione un po’ inedita, solitamente non accade, però Luciano ha una mente molto molecolare, brillante, intuitiva e quindi abbiamo deciso insieme di fare questa operazione del Rifiuto. Che cos’è «Il rifiuto», per dirla in breve, direi che è una questione che riguarda… è una questione etica, «Il rifiuto» è una questione etica, una questione etica intendo proprio da un punto di vista anche estetico, assolutamente diciamo spinoziana, ecco, nel termine proprio più preciso del termine, cioè è un’operazione dove c’è un’etica che rifiuta la morale, rifiuta un certo tipo di morale, forse tutta la morale, rifiuta tutti i moralisti, che in questo attraversamento di queste pagine sono anche gli scrittori, le scrittrici, le poetesse, i poeti, le attrici, gli attori, gli artisti tout court un po’ tutti. Ecco, un po’ tutti i moralisti… di questo moralismo c’è un rifiuto totale che appartiene appunto a una filosofia del rifiuto un po’ flaianiana direi, perché è molto ironica e comica quindi direi quasi porno.
AR - Diciamo che il suo è un romanzo non propriamente da leggere in una notte, però, molto molto interessante e benché abbia una scrittura anche molto particolare, approfondisce dei temi anche molto forti legati allo scarto, perché lei non ha voluto sottolineare che il termine rifiuto è anche legato a un suo modo di concepire la vita e di parlare attraverso questi romanzi anche di un certo tipo di società.
DM - Sì, questa è una scrittura un po’ fuori dalle righe, è una scrittura, non so in quanti ne carpiranno diciamo delle tracce teatrali, nel senso che è una scrittura fatta di intensità, di densità, che dà spazio alle voci, allo spazio, alla luce, e c’è proprio un movimento intensivo, ecco, in questo lavorio sulla lingua… qual era la domanda?
AR - Mi dovrebbe parlare degli strati sociali in particolare che lei vuole mettere in luce.
DM - Ripeto, ho parlato prima di etica, e quindi non tanto di antimoralista, assolutamente, ma di non concepire un certo moralismo, che è anche politico, certamente, riguardo appunto gli strati sociali, non so se chiamarli proprio strati sociali, forse dovremmo cominciare a usare parole nuove che ancora non esistono, forse delle analisi meno sociologiche. Finché c’è rabbia per esempio è un romanzo, dove appunto parla di una rabbia che è un po’ in certi momenti vista appunto come la rabbia di Gesù, è come la rabbia di un Gesù stremato che vaga fra gli stremati. Ecco in quel senso è sempre…
AR - … legata anche agli ultimi…
DM - Sì, se vogliamo chiamarli ultimi, sì più che altro è legata, diciamo, a una macchina che non ne vuole sapere di cambiare le sue dinamicità. Al di là diciamo delle propagande politiche, è una macchina che non… uff, che bella domanda…
AR - … mi permetto di dire che ho utilizzato il termine ultimi, semplicemente in riferimento al suo, che ha citato Gesù…
DM - … sì, sì, sì, però più che altro è con Gesù appunto che dice, il regno dei cieli è dentro di noi, è un “al di qui” che comunque viene celebrato e anche sottolineato, cioè, Finché ci rabbia attraversa anche gli ultimi anni che abbiamo vissuto un po’ tutti…
AR - …legato al Covid, nel periodo del Covid…
DM - … legato in questi ultimi anni dove ci sono stati degli stravolgimenti politici, economici, c’è stata anche tanta indifferenza, è venuta a galla un po’ l’idea di futuro che hanno i nostri politici, o i vostri politici.
AR - A proposito di futuro volevo chiederle, quali sono i suoi progetti futuri?
DM - Beh, progetto diciamo più certo, sicuramente la morte.
AR - Benissimo…
DM - … e poi, continuerò…
AR - … prima della morte magari…
DM - … sì, prima della morte c’è qualche idea, sì, diciamo ancora, lavoro sul teatro ormai da parecchio tempo, quasi 15 anni che tento di smettere quotidianamente, e quindi si continuerà a lavorare su quel versante teatrale.
AR - Lei ha concluso nel 2021 una residenza con la presentazione di un progetto teatrale,«Il mucchio», una residenza svolta con Astràgali Teatro, avete altri progetti insieme da realizzare?
DM - Sì, «Mucchio» è stato un lavoro su Samuel Beckett, che come tutti sanno è un autore che non si può affrontare per i prossimi quarantasei anni per motivi di diritti, se non affrontandolo nell’integrare, quindi non si possono fare delle operazioni teatrali su quel testo, noi comunque ce lo siamo permesso, me lo sono permesso comunque, con Astràgali Teatro ci sono state tantissime collaborazioni in questi ultimi anni, conosco molto bene il direttore Fabio Tolledi, è una delle menti più colte del Teatro del Sud Italia, non a caso ho avuto, anche, appunto questo tipo di rapporto, perché per me il teatro è stato sempre un qualcosa legato alla dimensione filosofica, alla dimensione religiosa, alla dimensione del corpo inteso come appunto un corpo in preghiera, un corpo in trance… quindi negli ultimi anni sì, mi è capitato di scrivere molto per il teatro… forse un progetto
AR - … siamo riusciti
DM - … non so se possiamo dire…
AR - … diciamolo dai…
DM - … non so, forse meglio, ok, lo diciamo, anzi no, un progetto per esempio, una cosa che mi piacerebbe un giorno magari quando riuscirò ad avere un po’ più di chiarezza, su alcuni punti, avendo sempre scritto per il teatro in questi ultimi anni, mi piacerebbe scrivere magari sul teatro, questa è sicuramente un’idea che ho, sono un accanito studioso, io dico sempre che ho cominciato a studiare dopo l’università, dopo la laurea, quindi ho una ricerca persistente in questi decenni, mi piacerebbe un giorno, diciamo avere il tempo, la possibilità di scrivere un testo sul teatro.
«Il rifiuto» (Musicaos) di Davide Morgagni, sul sito della casa editrice Musicaos Editore
«Il rifiuto» (Musicaos) di Davide Morgagni, su Amazon
#ilrifiuto#davidemorgagni#musicaos#narrativa#romanzi#scrittura#deleuze and guattari#james joyce#samuel beckett#astragaliteatro#astragali#news#intervista#paisemiu#annaritarisola#vistidavicino#Youtube
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Nuovo post su Atom Heart Magazine
Nuovo post pubblicato su https://www.atomheartmagazine.com/balade-nuovo-singolo-alien-kills/
Alien Kills torna con un nuovo singolo che mescola Parigi e Torino
Alien Kills: “BALADE in francese significa passeggiata, il pezzo é nato appunto mentre camminavo per Madrid ed esprime pensieri personali e autobiografici“.
Chi è Alien Kills
Luca Saffiotti in arte Alien Kills è una giovane promessa del rap Torinese classe 1997.
Nel 2019, spinto dall’assenza di opportunità e la voglia di affermarsi si trasferisce a Parigi dove inizia a coltivare la sua musica insieme al producer Wokem Bemo pubblicando nel 2021 il sui primi due singoli “Compro Oro” e “Level Up” che ottengono un ottimo riscontro.
Successivamente si trasferisce a Madrid ed attualmente è a lavoro al suo primo mixtape ufficiale, da cui viene estratto il primo singolo “Balade”, prodotto dal crew Burnt Youth, uscito con un video ufficiale girato a Parigi l’1 dicembre 2023.
BALADE, il nuovo singolo di Alien Kills
“BALADE in francese significa passeggiata, il pezzo é nato appunto mentre camminavo per Madrid ed esprime pensieri personali e autobiografici. Da piccolo scoprii il rap per puro caso e sono subito stato rapito dal sound, dell’energia dei beat e delle voci, senza preoccuparmi molto del significato; crescendo i testi son diventati parte fondamentale come ascoltatore ma successivamente anche come artista, per cui è nata una continua ricerca di nuovi vocaboli e connessioni di immagini sonore con cui esprimere il mio flusso di coscienza“. Afferma Alien Kills.
BALADE – Il video
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Credits
“Balade” è stata scritta da Alien Kills, prodotta da Bluesquare e Burnt Youth. È stata registrata da Davide Dell’Amore e mixata da Matteo Scarchilli presso Elefante Bianco Studio di Roma. Il master è a cura di Burnt Youth. L’artwork della copertina è stato curato da Alixs. Photo by Daniele Pace. Il videoclip è stato diretto da Lorenzo Tricase e montato da Valerio Coccia per Alixs.
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Bettanini, il 7/11 a Milano la presentazione alla Libreria della Natura
"L'Icona di San Pietroburgo" (Il Canneto, Genova, 2023) di Antonio Bettanini verrà presentato il 7 Novembre, alle ore 18:00 a Milano, alla Libreria della Natura di Via Achille Maiocchi 11.
L'autore presenterà il suo libro insieme a Livia Pomodoro, Presidente Spazio Teatro No'hma, e Giannino della Frattina, capo cronista de Il Giornale La lettura dei testi sarà curata dall'attore e regista Marco Carniti.
L'ICONA DI SAN PIETROBURGO, DI ANTONIO BETTANINI
(IL CANNETO, GENOVA, 2023)
Il protagonista è sempre e ancora lui, Brando Costa; dopo aver attraversato gli anni delle stragi di mafia, poi dell'attacco terroristico al cuore dell'Europa infine dello scollamento tra Russia e Nato: in questo terzo libro, "L'Icona di San Pietroburgo"-Il Canneto, Genova 2023, Antonio Bettanini sceglie infatti come sfondo la crisi georgiana, tra complotti, intrighi e tacite alleanze che attraversano una relazione, quella tra Russia e Italia, destinata a conoscere le prime frizioni, dopo la decisione di dar vita ad un fronte comune antiterrorismo (celebrata nel 2002, in Italia, a Pratica di Mare con il protocollo Russia-Nato) . Il pretesto del racconto non è così distante dalla realtà, in un ponte ideale che collega episodi autobiografici dell'autore e fantasie dello scrittore che rivela, ma non svela.
E' una storia avvincente, che evoca le atmosfere del mondo letterario russo e che torna a celebrare, in Pietroburgo, la Prospettiva Nevskij, vero e proprio teatro di un racconto che parla di una Professoressa italiana mandata dal nostro ministro degli Esteri a dirigere una sezione della Dante Alighieri e improvvisamente sparita, a Mosca , in circostanze misteriose. L'imbarazzo di Russia e Italia, le cui delegazioni si scoprono attraversate da alleanze opache dedite al traffico di icone, è decisamente grande. La "colpa" della Professoressa è di aver scoperto questo "mercato nero" scatenando l'inevitabile reazione. Tocca a Brando, quindi, raggiungere Mosca e da lì Pietroburgo alla ricerca della Professoressa scomparsa e forse rapita. Incidenti e colpi di scena, incontri istituzionali e incontri segreti disegnano la missione di Brando che gioca su diversi piani narrativi.
Il racconto Si snoda su tre piani di narrazione, l'oggi rappresentato da un giovane diplomatico che si rivolge a Brando Costa, al passato della sua esperienza ed al presente della sua importante testimonianza, alla ricerca della pistola fumante che serve al suo ministro per riesumare una vicenda opaca per i Russi - appunto il rapimento della Professoressa che ha scoperto un traffico di icone e opere d'arte- e farsi bello con gli Stati Uniti.
Siamo infatti, come anticipato, ai primi segnali della rottura tra Russia e Occidente, dopo la luna di miele della lotta comune al terrorismo. Lo ieri: alimento, cuore e origine della storia di cui Brando è stato appunto testimone e protagonista: su incarico del suo ministro ha infatti dovuto raggiungere Pietroburgo, via Mosca, alla ricerca della Professoressa. Uno ieri che Brando riporta a galla su richiesta del giovane funzionario . Ricorrendo, però, ad una memoria selettiva perché se il suo intento, almeno in parte, è certamente quello di aiutare il diplomatico di cui è stato collega, per un'altra e grossa parte, di custodire gelosamente tutti gli artifici ed i patti cui è ricorso per tenere in piedi e tessere il telaio della diplomazia e della relazione con la controparte russa. Alla ricerca di un difficile lieto fine. Ed è qui che si nasconde quello che potremmo definire come un importante altro ieri narrativo.
Russia e Italia, ieri e oggi.
Il contesto mobile de L'icona di San Pietroburgo ricostruisce fedelmente nei tre tempi- passaggi che abbiamo evocato una simpatia e un'attitudine indubbie al dialogo con il mondo russo, che l'Italia ha sempre avuto e che hanno attraversato le alternanze di governo della seconda Repubblica, ma che già affondano le proprie radici nel capitalismo italiano tra le due guerre e naturalmente nel mondo politico della sinistra comunista e democristiana dell'Italia repubblicana. Dobbiamo all'autore la difficile tenuta - quella, sembrerebbe, di un tennista che non molla mai - di un amore e di un rispetto per il mondo russo che va certo oltre la seduzione di Pietroburgo e il suo incanto pur così contestato. Dagli stessi Russi (da ultimo con Stalin). La guerra in Ucraina e gli orrori dell'oggi sembrano infatti voler rovesciare il cannocchiale della memoria e rendere sempre più sfocati e lontani, relazioni e sentimenti che ora - allo sguardo della cronaca - sembrano appunto del tutto immotivati quasi a configurare una sorta di "intelligenza con il nemico" in chi si accosti con empatia al mondo culturale russo. Un mondo che ha, in San Pietroburgo, importanti radici italiane proprio a cominciare dai gioielli della sua architettura che prima Pietro e poi Caterina vollero, per aprire,con la nuova città, "una finestra sull'Europa" . Un mondo che ancora recentemente è stato celebrato nelle parole del Santo Padre, Papa Francesco, che, al rientro dal suo viaggio in Mongolia, ha voluto ricordare e ribadire, rispondendo ad una polemica di parte ucraina, che: "La cultura Russa non va cancellata per motivi politici"; la cultura russa è d'una��bellezza, di una profondità molto grandi. L'eredità russa è molto buona e molto bella nel campo
delle lettere, della musica, dell'arte".
La città. Il libro accompagna e affascina il lettore anche nella scelta dei luoghi: narrati e descritti con dovizia di particolari. Eccone alcuni, a cominciare da Il cavaliere di bronzo , il grande monumento equestre che celebra lo zar Pietro I il Grande (1682-1725). Si trova nella piazza del Senato o dei Decabristi a San Pietroburgo, opera dello scultore francese Étienne Maurice Falconet e anche titolo di un poema dedicato alla statua, scritto da Aleksandr Sergeevič Puškin nel 1833 e pubblicato postumo nel 1837. Considerato tra le opere più significative della letteratura russa, il poema in virtù del suo successo finì per dar nome alla statua e ne fece uno dei simboli della città.
Il Taleon Imperial Hotel - qui si rifugia Brando alla ricerca della Professoressa - con le sue facciate avvolgenti, neoclassiche, bianche e rosa, un edificio d'angolo, morbido, pastello,all'intersezione tra il fiume Moika e la Prospettiva Nevskij, la grande arteria che attraversa la città, resa celebre da Nikolaj Gogol' nei suoi Racconti di Pietroburgo (1836). Non mancano Palazzo Stroganoff, il museo in cui opera segretamente la Professoressa, che si affaccia sul ponte Aničkov. Poi soprattutto, Ulica Rossi
la via del teatro Aleksandrìnskij, strada/gioiello dell'architettura neoclassica, realizzata tra il 1828 ed il 1834, in soli 3 mesi e mezzo, grazie alla posa di 18 milioni di mattoni. E' intitolata al grande architetto italiano Carlo Domenico Rossi. Ma il racconto ci accompagna poi ancora sulla Prospettiva: a Casa Singer (art nouveau e metallo, uno schiaffo all'architettura tradizionale autorizzato da Nicola II), all'Eliseyev Emporium, gioiello glorioso di art nouveau ed in molti altri luoghi magici.
Una curiosità. Brando scopre - sono i suoi contatti russi a metterlo sull'avviso - di assomigliare moltissimo ad un famoso anchor man della tv russa, Vladimir Pozner. Scoperta questa sua somiglianza cercherà di avvalersene per facilitare contatti e relazioni. Fino ad un certo punto però...
bio Autore Tonino (Antonio) Bettanini (Genova, 1946) dopo la Laurea in Filosofia e un inizio di attività come ricercatore in Sociologia del Linguaggio, interrompe nel 1990 la sua carriera universitaria per diventare esperto di comunicazione e relazioni istituzionali, temi ai quali ha dedicato numerose pubblicazioni. Ha attraversato le istituzioni italiane della Prima, Seconda e Terza Repubblica: dalla Presidenza del Consiglio alla Presidenza del Senato. Ha lavorato presso la Commissione Europea e ha insegnato all'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Ha pubblicato per il Canneto editore Contro tutte le paure (2021), Bruxelles, la Pelouse des Anglais (2022). Questo è il suo terzo romanzo.
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Bettanini, il 7/11 a Milano la presentazione alla Libreria della Natura
"L'Icona di San Pietroburgo" (Il Canneto, Genova, 2023) di Antonio Bettanini verrà presentato il 7 Novembre, alle ore 18:00 a Milano, alla Libreria della Natura di Via Achille Maiocchi 11.
L'autore presenterà il suo libro insieme a Livia Pomodoro, Presidente Spazio Teatro No'hma, e Giannino della Frattina, capo cronista de Il Giornale La lettura dei testi sarà curata dall'attore e regista Marco Carniti.
L'ICONA DI SAN PIETROBURGO, DI ANTONIO BETTANINI
(IL CANNETO, GENOVA, 2023)
Il protagonista è sempre e ancora lui, Brando Costa; dopo aver attraversato gli anni delle stragi di mafia, poi dell'attacco terroristico al cuore dell'Europa infine dello scollamento tra Russia e Nato: in questo terzo libro, "L'Icona di San Pietroburgo"-Il Canneto, Genova 2023, Antonio Bettanini sceglie infatti come sfondo la crisi georgiana, tra complotti, intrighi e tacite alleanze che attraversano una relazione, quella tra Russia e Italia, destinata a conoscere le prime frizioni, dopo la decisione di dar vita ad un fronte comune antiterrorismo (celebrata nel 2002, in Italia, a Pratica di Mare con il protocollo Russia-Nato) . Il pretesto del racconto non è così distante dalla realtà, in un ponte ideale che collega episodi autobiografici dell'autore e fantasie dello scrittore che rivela, ma non svela.
E' una storia avvincente, che evoca le atmosfere del mondo letterario russo e che torna a celebrare, in Pietroburgo, la Prospettiva Nevskij, vero e proprio teatro di un racconto che parla di una Professoressa italiana mandata dal nostro ministro degli Esteri a dirigere una sezione della Dante Alighieri e improvvisamente sparita, a Mosca , in circostanze misteriose. L'imbarazzo di Russia e Italia, le cui delegazioni si scoprono attraversate da alleanze opache dedite al traffico di icone, è decisamente grande. La "colpa" della Professoressa è di aver scoperto questo "mercato nero" scatenando l'inevitabile reazione. Tocca a Brando, quindi, raggiungere Mosca e da lì Pietroburgo alla ricerca della Professoressa scomparsa e forse rapita. Incidenti e colpi di scena, incontri istituzionali e incontri segreti disegnano la missione di Brando che gioca su diversi piani narrativi.
Il racconto Si snoda su tre piani di narrazione, l'oggi rappresentato da un giovane diplomatico che si rivolge a Brando Costa, al passato della sua esperienza ed al presente della sua importante testimonianza, alla ricerca della pistola fumante che serve al suo ministro per riesumare una vicenda opaca per i Russi - appunto il rapimento della Professoressa che ha scoperto un traffico di icone e opere d'arte- e farsi bello con gli Stati Uniti.
Siamo infatti, come anticipato, ai primi segnali della rottura tra Russia e Occidente, dopo la luna di miele della lotta comune al terrorismo. Lo ieri: alimento, cuore e origine della storia di cui Brando è stato appunto testimone e protagonista: su incarico del suo ministro ha infatti dovuto raggiungere Pietroburgo, via Mosca, alla ricerca della Professoressa. Uno ieri che Brando riporta a galla su richiesta del giovane funzionario . Ricorrendo, però, ad una memoria selettiva perché se il suo intento, almeno in parte, è certamente quello di aiutare il diplomatico di cui è stato collega, per un'altra e grossa parte, di custodire gelosamente tutti gli artifici ed i patti cui è ricorso per tenere in piedi e tessere il telaio della diplomazia e della relazione con la controparte russa. Alla ricerca di un difficile lieto fine. Ed è qui che si nasconde quello che potremmo definire come un importante altro ieri narrativo.
Russia e Italia, ieri e oggi.
Il contesto mobile de L'icona di San Pietroburgo ricostruisce fedelmente nei tre tempi- passaggi che abbiamo evocato una simpatia e un'attitudine indubbie al dialogo con il mondo russo, che l'Italia ha sempre avuto e che hanno attraversato le alternanze di governo della seconda Repubblica, ma che già affondano le proprie radici nel capitalismo italiano tra le due guerre e naturalmente nel mondo politico della sinistra comunista e democristiana dell'Italia repubblicana. Dobbiamo all'autore la difficile tenuta - quella, sembrerebbe, di un tennista che non molla mai - di un amore e di un rispetto per il mondo russo che va certo oltre la seduzione di Pietroburgo e il suo incanto pur così contestato. Dagli stessi Russi (da ultimo con Stalin). La guerra in Ucraina e gli orrori dell'oggi sembrano infatti voler rovesciare il cannocchiale della memoria e rendere sempre più sfocati e lontani, relazioni e sentimenti che ora - allo sguardo della cronaca - sembrano appunto del tutto immotivati quasi a configurare una sorta di "intelligenza con il nemico" in chi si accosti con empatia al mondo culturale russo. Un mondo che ha, in San Pietroburgo, importanti radici italiane proprio a cominciare dai gioielli della sua architettura che prima Pietro e poi Caterina vollero, per aprire,con la nuova città, "una finestra sull'Europa" . Un mondo che ancora recentemente è stato celebrato nelle parole del Santo Padre, Papa Francesco, che, al rientro dal suo viaggio in Mongolia, ha voluto ricordare e ribadire, rispondendo ad una polemica di parte ucraina, che: "La cultura Russa non va cancellata per motivi politici"; la cultura russa è d'una bellezza, di una profondità molto grandi. L'eredità russa è molto buona e molto bella nel campo
delle lettere, della musica, dell'arte".
La città. Il libro accompagna e affascina il lettore anche nella scelta dei luoghi: narrati e descritti con dovizia di particolari. Eccone alcuni, a cominciare da Il cavaliere di bronzo , il grande monumento equestre che celebra lo zar Pietro I il Grande (1682-1725). Si trova nella piazza del Senato o dei Decabristi a San Pietroburgo, opera dello scultore francese Étienne Maurice Falconet e anche titolo di un poema dedicato alla statua, scritto da Aleksandr Sergeevič Puškin nel 1833 e pubblicato postumo nel 1837. Considerato tra le opere più significative della letteratura russa, il poema in virtù del suo successo finì per dar nome alla statua e ne fece uno dei simboli della città.
Il Taleon Imperial Hotel - qui si rifugia Brando alla ricerca della Professoressa - con le sue facciate avvolgenti, neoclassiche, bianche e rosa, un edificio d'angolo, morbido, pastello,all'intersezione tra il fiume Moika e la Prospettiva Nevskij, la grande arteria che attraversa la città, resa celebre da Nikolaj Gogol' nei suoi Racconti di Pietroburgo (1836). Non mancano Palazzo Stroganoff, il museo in cui opera segretamente la Professoressa, che si affaccia sul ponte Aničkov. Poi soprattutto, Ulica Rossi
la via del teatro Aleksandrìnskij, strada/gioiello dell'architettura neoclassica, realizzata tra il 1828 ed il 1834, in soli 3 mesi e mezzo, grazie alla posa di 18 milioni di mattoni. E' intitolata al grande architetto italiano Carlo Domenico Rossi. Ma il racconto ci accompagna poi ancora sulla Prospettiva: a Casa Singer (art nouveau e metallo, uno schiaffo all'architettura tradizionale autorizzato da Nicola II), all'Eliseyev Emporium, gioiello glorioso di art nouveau ed in molti altri luoghi magici.
Una curiosità. Brando scopre - sono i suoi contatti russi a metterlo sull'avviso - di assomigliare moltissimo ad un famoso anchor man della tv russa, Vladimir Pozner. Scoperta questa sua somiglianza cercherà di avvalersene per facilitare contatti e relazioni. Fino ad un certo punto però...
bio Autore Tonino (Antonio) Bettanini (Genova, 1946) dopo la Laurea in Filosofia e un inizio di attività come ricercatore in Sociologia del Linguaggio, interrompe nel 1990 la sua carriera universitaria per diventare esperto di comunicazione e relazioni istituzionali, temi ai quali ha dedicato numerose pubblicazioni. Ha attraversato le istituzioni italiane della Prima, Seconda e Terza Repubblica: dalla Presidenza del Consiglio alla Presidenza del Senato. Ha lavorato presso la Commissione Europea e ha insegnato all'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Ha pubblicato per il Canneto editore Contro tutte le paure (2021), Bruxelles, la Pelouse des Anglais (2022). Questo è il suo terzo romanzo.
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La prima settimana del Catania Off Fringe Festival edizione 2023, anticipata da una spumeggiante presentazione al galà del 17 sera al Teatro Sangiorgi praticamente sold-out, è giunta a conclusione registrando un efficace afflusso negli spazi in cui chi c’è stato ha potuto assistere ad un girotondo di esibizioni ciascuna di enorme pregio drammaturgico e recitativo. Spaziando dai vantaggi di una non nascita, di una inadeguatezza genitoriale; raccontando di un pomeriggio in una sala var, ricordando un writer famoso, così tanto che fu fatto sparire; la performance muta della muta di un rettile, ricostruzioni di crimini mafiosi e politici, valori e cose che si perdono per strada, reinterpretazioni della commedia dell’arte, enorme tela bianca come uno specchio digitale, teatro danza che fugge da Mozart, Amleto punk che ha molto da dire al mondo dello spettacolo, metateatro ed interazione, spazi in cui il gioco creativo fa esistere tutte le cose, il giardino di Alice che diventa ospedale, cicli della vita in cui chiunque può identificarsi; danza, parole mute, gesti eloquenti, tributi musicali, musica generata da strumenti quasi magici.
La prima settimana del Fringe a Catania ha portato una ventata di freschezza (sebbene le temperature si mantengano su medie estive) e promette un interessante secondo segmento di programmazione da giovedì 26 a domenica 29 ottobre, ultimo turno alle h. 22,00. Trentatré gli spettacoli in scena in undici spazi performativi catanesi: CUT - Centro Universitario Teatrale, Piccolo Teatro della Città, Zō Centro Culture Contemporanee (Sala Grigia e Sala Verde), OPEN - Creative Work Space, Le Stanze in Fiore, I.O.S. Angelo Musco (scuola), Sala Hernandez, Piazza Scammacca, Teatro "Sala De Curtis", Salmastra, Four Points by Sheraton. Tre scelte orarie che permettono di pianificare tranquillamente la propria serata e l’incastro con altri impegni; la rotazione che dà agio di recuperare laddove il progetto di assistere a quasi tutto non possa essere portato a temine nella stessa giornata. Il Fringe non ha solo il merito di produrre e supportare quei validi lavori indipendenti che si collocano nell’orlo, nel margine, ma anche di offrire alle strutture di essere scoperte da chi non avesse ancora avuto l’occasione di conoscerle. Dunque, restano pochi giorni ancora per concorrere all’aumento dei livelli di Felicità Interna Lorda, per chiudere l’estate che ancora non se ne va con una scorpacciata proficua ed edificante di teatro diffuso ed arti performative, comicità intelligente, che sì fa ridere ma anche riflettere; testi impegnati, musicali e clowneschi; storie vere per mantenere vigile la memoria collettiva su fatti storici e storie contemporanee, testi autobiografici o immaginari. Tanti anche gli eventi collaterali al Village del SAL di Via Indaco.
La nostra città risponde, la curiosità per questa seconda edizione del Catania Off Fringe Festival cresce.
Il programma completo con tutti gli eventi e gli spettacoli è pubblicato sul sito: www.cataniaoff.com.
Aspettiamo tutti i Catanesi, certi del loro interesse già risvegliato dalla prima settimana di programmazione.
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Les Longs Adieux, underground è tutto ciò che rifugge il conformismo
La pubblicazione del primo disco dei Les Longs Adieux sancisce un risultato che ha atteso diversi anni. Periodo di sperimentazione, ricerca, analisi per ottenere esattamente il sound desiderato. Il risultato è un cd variegato, con molte influenze differenti, cantato rigorosamente in italiano. In questa intervista la band si racconta attraverso le parola della cantante Federica Garenna. Una lunga chiacchierata ricca di interessanti spunti di riflessione. Tutta da leggere.
Una presentazione per chi non vi conosce, nome e ruolo:
Federica Garenna: voce, synth e programmazione, missaggio e autrice e compositrice principale; Frank Marrelli, chitarre, basso; Trinity, synth, cori gestione programming live; Valerio Michetti, batteria.
Come è nata la band?
Io e Frank, all’epoca amici di vecchia data, ci siamo incontrati nel 2020 appena dopo la prima fase di lockdown con l’intento di scrivere musica originale ispirata alla darkwave anni ’80, straniera ma soprattutto italiana. Complice quel frangente di clausura, entrambi ci eravamo appassionati all’home recording e unendo le competenze di entrambi ci siamo divertiti a fare qualche cover per ambientarci nel nuovo genere.
Parallelamente, i pezzi originali si sono sviluppati in fretta, ma abbiamo deciso di aspettare anni per pubblicare il nostro primo album, sapendo che prima ci sarebbe piaciuto esplorare e sperimentare, cambiando spesso direzione. Dopo 5 singoli un po’ lontani dalla proposta attuale, una raccolta di cover e un ep, “Veleni Dalla Corte Del Re”, si sono inseriti Trinity e Valerio Michetti, membri anche de La Grazia Obliqua, il Ciclo di Bethe e altri. Una volta raggiunto il sound che sognavamo, eccoci qua a proporvi la nostra creatura.
Suonare è una necessità o solo uno sfogo?
Una necessità e uno sfogo. Non riesco a scrivere senza implicare tante cose intrappolate dentro che non riuscirei a esternare in nessun altro linguaggio. Personalmente trovo la composizione la miglior terapia possibile se si è disposti a lasciarsi un po’ andare.
Ho trovato il vostro disco molto interessante per la scelta stilistica. C’è dentro un po’ di tutto con una forte influenza della musica italiana di nicchia. Scelta o casualità?
Effettivamente di tutti i nostri ascolti, numerosi e variegati, la parte “italiana di nicchia” è quella che abbiamo studiato più a fondo dalla nostra nascita in poi. Non mi meraviglia che il nostro album sveli queste influenze, ma soprattutto è un onore sentirselo dire.
Perché cantare in italiano?
Perché penso in italiano e non sarei mai capace di scrivere qualcosa di credibile in una lingua non mia. Poi mi piace molto la cadenza e la durezza delle consonanti, che cerco addirittura di enfatizzare, a costo di calcare troppo. La lingua italiana è piena di aggettivi, avverbi… lo stesso concetto può essere espresso in mille modi diversi e, in questo senso, nessun’altra lingua al mondo offre altrettante possibilità.
I testi in un disco sono importanti?
Dipende dal tipo di disco. Nel nostro sono importantissimi. Non abbiamo mai usato il termine “cantautorale” per un fatto di umiltà ma la proporzione tra l’importanza della musica e l’importanza dei testi è quella propria del cantautorato per noi.
I vostri da dove nascono?
Trovo i testi criptici una soluzione “paraventa” per non sentirsi troppo “a nudo” ma dire ciò che si vuole. I testi sono quasi tutti autobiografici, parlano tra le righe di infanzie tristi, bocconi mai digeriti, relazioni tossiche, depressione e via dicendo.
La musica ha ancora un compito ‘sociale’ o è diventata solo social?
Voglio credere che la musica avrà per sempre un compito ‘sociale’, aggregativo e spero che i social vengano via via riprogrammati, resi utili per gli artisti ma anche per gli utenti che si interfacciano con gli artisti. Invece di esasperare la competizione, infondere in tutti il dovere di stare al passo e al centro dell’attenzione in modi, tempi non sostenibili per tutti, si potrebbe fomentare l’ascolto piuttosto che il giudizio, si potrebbe premiare lo scritto invece che l’immagine, e così via.
Quanto contano i live per voi?
Conterebbero ancora di più se potessimo suonare sempre per un pubblico aperto mentalmente, ma il più delle volte non è così. Per il momento suoniamo live principalmente perché ci divertiamo sul palco insieme e perché ci piace proporci agli altri, anche quando ci snobbano. Di recente abbiamo suonato in Spagna e l’accoglienza ricevuta ci ha sorpreso, non ci siamo abituati.
Una band per cui vi piacerebbe aprire?
Assolutamente i Diaframma. Sono rimasta profondamente commossa sentendoli dal vivo e inoltre sia Sassolini che Fiumani sono i miei riferimenti principali per le parti cantate. Magari ci capitasse!
Una che vorreste aprisse per voi?
Di solito la band d’apertura risulta minore agli occhi degli altri…quindi piuttosto che una band mi piacerebbe aprire con una performance diversa. Per esempio una di quelle proposte da Aldo Sehmenuk, per intenderci il performer del monologo contenuto ne “La Magara”. Una versione snellita per l’occasione del suo spettacolo “Offline” mi piacerebbe e arricchirebbe un’eventuale serata.
Il vostro concetto di underground?
Underground secondo noi è tutto ciò che rifugge il conformismo, la moda, il marketing, il guadagno, l’interesse per l’aspetto economico PER DAVVERO. Adesso il rischio di trasformarsi in “alternativi conformi” è più alto visto che il successo sociale e social è l’unico traguardo raggiungibile a un livello come il nostro. Se mancano denaro da investire, occasioni gratificanti e mordente per proseguire ci si attacca a tutto e si cade più facilmente nei meccanismi dei conformi.
La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?
La mia? La bassa autostima messa in un physique du role sbagliato che mi fa sentire impacciata. La cura è scrivere musica che mi piace e sapere se tocca le corde di qualcuno.
Una band underground che consigliereste?
Per contenuti ma anche per mentalità appunto underground, oltre a La Grazia Obliqua che citavamo più su, i Sacred Legion. Con testi in inglese, un approccio deathrock e una grande attitudine, restano veramente impressi dal vivo.
Una mainstream che ancora vi stupisce?
Di recente abbiamo visto all’Olimpico il nostro bistrattato Vasco e sono rimasta sbalordita. Io, come tanti, apprezzo i vecchi dischi fino all’89 ma devo ammettere che non avevo mai visto nessuno instaurare un rapporto così profondo con un pubblico così affettuoso e numeroso. Non pensavo che nel 2023 avrei mai visto insieme 6000 persone tutte d’accordo su qualcosa, è stato cruciale per me esserci. Mi dispiace che si parli tanto male di Vasco.
Ieri l’idea, oggi il disco, e domani…
E domani tantissimi altri dischi. Registrare dischi per il solo piacere di farlo è la vita.
Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?
Che tipo di ascoltatori vorreste raggiungere? Sarebbe una domanda interessante visto che noi per primi abbiamo difficoltà a definirci e lo troviamo un aspetto positivo. Tuttavia ci siamo resi conto che usando le definizioni darkwave, new wave, mediterranean goth, abbiamo creato un tipo di aspettativa che non ci appartiene del tutto. Io e Frank abbiamo suonato hard rock, metal e altri generi per anni. Trinity e Valerio hanno influenze ancora diverse, dal prog al jazz all’elettronica e suonano a servizio della musica senza asservirsi ad alcun cliché.
Una domanda che avresti sempre voluto rivolgere all’altro?
Come abbiamo fatto a non suonare insieme per 38 anni?
Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?
Franco Battiato solo per il gusto di starlo ad ascoltare! Lui avrebbe reso interessante anche la ricetta della panna cotta e probabilmente gli avrei fatto una serie di domande da cretina proprio per constatare di persona che una grande mente come la sua avrebbe innalzato anche le argomentazioni più sciocche.
Un saluto e una raccomandazione a chi vi legge
Prima di tutto a te che ci hai dato modo di raccontarci. Un saluto e un ringraziamento a chi ci legge raccomandandogli di tenere aperta la sensibilità anche a quello che c’è adesso. Chi propone qualcosa in questo momento storico ha comunque qualcosa da dire e fa una grande fatica a confrontarsi con un pubblico diffidente, pieno di pregiudizi, educato dai talent a giudicare, a valutare solo gli aspetti superficiali, a pensare di saper fare meglio. C’è ancora tanta gente che vuole comunicare e non essere solo un argomento di conversazione.
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