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Gli strumenti umani
Ho visto giocare Vincenzo Sarno al “Silvio Piola” di Novara due volte.
La prima volta militava in una squadra che indossava in trasferta la seconda maglia, quella rossa. Noi, invece, avevamo addosso la nostra maglia, quella azzurra. Quella contro la Pro Patria non è mai stata una partita come le altre, credetemi. In poco più di venti chilometri, da Novara a Busto Arsizio, l'elettricità dell'attesa diventa palpabile sin dall'inizio della settimana sportiva che ne fa da intrecciato preludio. Tra lavoro, studi, provincia, spostamenti, regioni, province, dialetti, fiumi, freddi paesaggi, itinerari di pesca, bevute, la sfida contro la Pro Patria è una omnisciente occasione sociale da non perdere. Era fine febbraio, anno 2010. Noi andavamo veramente forte ma in partite come quelle non si può mai sapere come potrà andare a finire: semplicemente perché anche i giocatori lo sentono, il clima diverso. Nei bar, nelle strade, nella luce negli occhi della gente. Nonostante il cielo grigio, nonostante gli alberi rinsecchiti che, dietro al settore Distinti, sembravano chiedere al cielo invernale attenzione e soprattutto nonostante i palazzi che contornavano l'ovale, denunciando una totale mancanza di comprensione da parte della loro città capoluogo e punto di riferimento. Vincenzo Sarno, il protagonista di questa storia, prese palla dalla trequarti alta destra, nel primo tempo gli avversari vestiti di rosso attaccavano sotto alla nostra curva. La partita era cominciata da poco ma noi stavamo già lasciando troppo spazio tra centrocampo e difesa, sembravamo già stanchissimi, con Motta che iniziava a vagare troppo senza assicurarsi che Shala coprisse i gap verdi sintetico alle sue spalle. Prese palla dalla trequarti alta destra, si accentrò, superò un centrale in uscita senza deviare il suo percorso e calciò verso la nostra curva. Il tiro, di sinistro, colse la traversa, quasi incrocio dei pali. Fu una doccia gelida nel gelo della catinella grigia del Silvio Piola. Tutti noi ci accorgemmo che Sarno fosse uno che tirava, non importava come e quando. Lui calciava, in maniera pazzesca, come se non ci fossero altre alternative per svoltare la giornata, come se lo sforzo fosse l’ultimo. Calciò puntiglioso, provocatore. Coraggio,aveva solamente preso la traversa. Poco prima della fine della prima frazione di gioco, invece, fece centro. O meglio, calciò verso il suo personalissimo centro e verso ciò che lui considerava tale: l'incrocio alto a sinistra, sempre sotto la nostra curva, la Nord. Calciò su punizione dritto davanti a sè, o almeno, quello è ciò che si vedeva da dietro la rete di protezione tra la Curva e il campo, oltre il fossato. Calciò forte e preciso, non si sentì la classica botta rimbombante bensì un colpo soffuso e maligno, quando impattò il pallone. Sarno segnò di sinistro su punizione in maniera fredda e al contempo fanatica, e ne rimasi subito incantato.
La seconda volta loro erano gli amaranto, e fu un anno dopo la prima. Il clima era più festoso e caldo, il Novara era ai playoff promozione dalla B alla A, era giugno, il giugno dell'estate 2011. Il risultato della partita che si stava disputando ci premiava, ci avrebbe fatto accedere alla finale per poter vedere poi la massima serie mondiale ancora più vicina. Sarno entrò sul risultato che ci stava premiando in sordina, che quasi ci stava facendo adagiare, al posto di un centrocampista, Rizzo. Mancavano venti minuti al termine ed ebbi un sussulto. Ancora lui, ancora una volta a Novara. Adagiarsi sarebbe stato fatale, da quel momento in poi. Poco dopo il suo ingresso in campo, forse in occasione della prima azione nella quale fu coinvolto, riuscì a guadagnare una palla sempre nella solita zona, in alto a destra, ma questa volta dalla parte opposta alla curva dov'ero appostato l'anno prima, nel freddo di febbraio, alla stessa altezza degli alberi rinsecchiti dal freddo. Indossava la maglia numero sette. Si accentrò, come sempre, mandando l'intera retroguardia azzurra fuori tempo con una facilità rabbiosa ed estrema, come quando colse la traversa un anno e mezzo prima. Provò quindi un no-look di sinistro cercando di smarcare la sovrapposizione del centrale di centrocampo, ma la sfera carambolò sui piedi incespicanti di un nostro difensore, andando a finire in zona Bonazzoli che da buon centravanti destro non pensò molto sul da farsi. Boom, 1-2. E ora chi ce lo diceva, che fossimo ancora in vantaggio e che stavamo per portare a casa la finale dei playoff? Nessuno. Perchè sapevo che con l'ingresso di Vincenzo Sarno le cose sarebbero cambiate, sebbene per lui fosse stata una stagione aspra e senza picchi. La partita finì con un pareggio, 2-2, grazie a un gol di Rigoni che sarebbe entrato negli annali della storia Novara Calcio 1908, e il resto lo sappiamo.
Vincenzo Sarno durante la sua carriera non si è mai dimenticato di portare avanti una lancinante indagine su se stesso. Caustica e introspettiva ma al tempo stesso eccessiva, dissacrante e allegorica, improvvisa nel suo ripetersi quotidianamente e ad ogni cambio di squadra, ad ogni approccio con alle partite da disputare, ad ogni allenatore con cui abbia espresso il suo calcio. Come se stesse vivendo un infinito “Notturno Cileno”: come se, ricalcando le orme Sebastián Urrutia Lacroix, si svegliasse ogni mattina dopo aver passato la nottata a rimuginare, ad ansimare seguendo personaggi immaginari e simulacri chiarificatori, dando lezioni di marxismo a dittatori sanguinari e sentendosi importante e vivo, seguendo gli istinti ed esaltando la propria forza di volontà. La sua complessa ed intricata intellettualità ha da sempre mosso le sue azioni in campo, nelle partite andate male come nei successi. Una doppietta al Lecce tra le mura di casa, a Foggia, non può essere solamente frutto di allenamenti e impegno sul campo da gioco. Una doppietta arrivata in quel modo, poi: punizione mirabolante dai quaranta metri (calciata anch'essa dritta per dritta, a sfiorare i montanti) e azione ripetuta, voluta, agognata in solitaria contro la difesa salentina. Entrambi oltre il novantesimo minuto di gioco, entrambi all'ultimo respiro, entrambi al cospetto di un pubblico sognante e incurante, giustamente, di ciò che il piccolo Vincenzo aveva passato prima di arrivare lì. Disprezzando i mediocri, canzonando dall'alto delle sue capacità e del suo attaccamento alla vita da calciatore gli ignavi, il branco, il gregge, Sarno ha continuato a dimostrare una spiccata attitudine antieroica. Ha avvertito chi non ha mai fatto scelte nella propria vita che, prima o poi, il conto deve essere pagato, anche se salatissimo, rischiando di perdere anche le ridicole emozioni che hanno riscaldato gli animi più banali. Anche ripetendosi, perseverando negli errori in ottemperanza ai suoi impegni di giocatore e uomo caparbio. Ripetendosi nel trovare guide e nell'evitarle, ripetendosi nell'essere decisivo: prima delle stagioni al Foggia, per esempio, risolse un paio di partite (eclatante una rimonta a Bolzano contro il Südtirol) con il Virtus Entella in Lega Pro, che nonostante i pregevoli ed importantissimi minuti giocati all'ombra del centrocampista offensivo argentino castiga-Juventus Ricchiuti, non gli rinnova il contratto una volta approdato in Serie B. Perché è così, la sua carriera è sempre parsa disseminata di occasioni concesse da altri, anche se sappiamo tutti che le cose non andarono in questo modo. Non tutto è sempre dovuto.
“Perchè non vengono i saldatori? Perchè ritardano gli aggiustatori?”: questo continuo contorcersi è ben descrivibile tramite questi versi di Vittorio Sereni. Già, poiché se a Sereni rincresceva amaramente il non aver potuto partecipare alla resistenza in Italia, avendo passato due anni di prigionia in Algeria da poco prima l'Armistizio, immaginatevi come possa sentirsi il protagonista di questa storia, un ragazzo di Secondigliano che ad appena undici anni veniva venduto al Torino, settore giovanile, con le migliori promesse da mantenere. Per questo motivo penso a Sarno in un continuo, irritato e bolaniano struggimento, immerso in un perpetuo flusso di coscienza in cerca di conflitto più che di pace reale. Un flusso di coscienza concentrato sulle persone che pensa e ha paura di aver deluso e illuso, ma anche su coloro che ha reso felici (come i suoi tifosi e le persone che gli sono sempre state vicine) o semplicemente partecipi delle sue giocate, spingendoli alla riflessione. Proprio come me, che tremai e riflettei grazie a lui, da fiero e dichiarato avversario, almeno due volte in vita mia.
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⚽️ WALKING FOOTBALL 🥅 📌Domenica 7 aprile allo #stadioPiola arriva il #walkingfootball con un incontro internazionale tra rappresentative dell’Italia 🇮🇹 e dell’Inghilterra 🇬🇧 Over 50 e Over 60. Ecco alcune immagini della conferenza stampa di alcuni giorni fa, alla quale ho partecipato come delegato allo #sport per la #ProvinciadiNovara. L’evento accenderà i riflettori su #Novara dal punto di vista mediatico, visto che le partite saranno trasmesse da diverse emittenti televisive. Si tratta di una bellissima forma di promozione dell'immagine della città e del suo territorio provinciale, dov'è nato di fatto il Progetto Calcio camminato, come luogo ideale per la pratica dello sport. 👉In campo ex-campioni di casa nostra come DOMENICO VOLPATI, che fa parte della rappresentativa ospitante. NON MANCATE! (presso Comune di Novara) https://www.instagram.com/p/Bv4FRYklfr1/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1jope34qmvskx
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Pro Vercelli Hellas Verona "ovunque tu sarai io ci sarò" #hellasverona #pecchiamerda #8scudettiincampo #hvfc #stadiopiola #vercelli #butei #arrivoinanticipo #sempreconte #gialloblu (presso Stadio Silvio Piola (Vercelli))
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Cheick Keita e il non parlarne di sabato
Federica, la mia ragazza, era via. Andava una volta al mese a Bologna, frequentava un seminario e studiava durante la settimana, sempre. Non le mancava molto per la laurea, anzi. I sabati che passavo senza di lei iniziavano con una sua chiamata la mattina presto, quando il Freccia Bianca era a Modena. Le spiegavo cosa avrei fatto durante la giornata, programmando al secondo le chiamate che ci saremmo scambiati. Quel sabato di metà settembre le dissi "Guarda che c'è Novara- Entella, ci vado."
Dormii ancora un paio di ore, poi spesa per la settimana. Il mezzogiorno arrivò in un batter d'occhio ma avevo già fame da ore. Da quando, praticamente, chiusi la chiamata con Federica. Un altro caffè e mi misi a cucinare, spaghetti aglio e olio, i Descendents e i Sick of it All mentre cercavo qualcosa in TV che parlasse di calcio. Perché è così, anche se abiti a pochissimi chilometri dallo stadio e manca quasi niente al fischio d'inizio vorresti essere lì da sempre. E quindi cazzo, volevo sentir parlare di calcio, quel sabato mezzogiorno. La pasta è quasi pronta e inizio ad assiepare lì, sul divano proprio accanto alla posta d'ingresso, felpa, maglietta e sciarpa. Non farà ancora così tanto freddo, penso. Niente giubbotto allora, nemmeno quello leggero. Arrivano le immagini dell'anticipo di serie B giocato la sera prima, mentre ero ancora con la mia ragazza.
Arrivai alla biglietteria in un mare di precoci foglie ed infida umidità nonostante il sole. Inizia a rimpiangere il mio giubbotto leggero rimasto sull'attaccapanni mentre la gente iniziava a sedersi sulle transenne urlando e ridendo ed era giusto così. Lo sgabbiotto del bigliettaio imbrattato di bombolettate mentre dallo stadio arrivava la musica, arrivavano le pubblicità locali, argomentando ferramenta e odontoiatri. L'Entella non avrebbe dovuto essere una rivale così difficile ma non si sa mai, la gente montava a ripetizione dubbi sulla voglia di Galabinov e davanti giocava la coppia Masucci – Caputo che più attaccanti di loro non si può. I liguri, poi, giocavano chiusissimi in trasferta, con una difesa a quattro nella quale giocava uno sconosciuto terzino sinistro magro, il maliano Keita, che sin dal fischio d'inzio iniziò a correre a più non posso dalla parte opposta alla mia, dove ero seduto io. Partita mogia e disillusa, noi la partita non riuscivamo proprio a farla e Galabinov continuava ad essere oggetto di critiche. Contrasti, rimpalli, ma dal lato sinistro dell'Entella Keita non faceva passare un ago. A tratti sembrava instabile e flebile, ma era solamente un'impressione: diligente e accurato, il suo difendere risiedeva soprattutto nel non mettere i compagni di squadra nella condizione di sbagliare prima o appena dopo la mediana. Nel secondo tempo si spostò sotto al mio lato di tribuna e sì, davvero, non sbagliava un passaggio o una rimessa, non lasciava che la nostra ala si accingesse a crossare, non gli era nemmeno fondamentale vincere rimpalli o contrasti. La difesa a quattro di serie B dovrebbe essere sempre così, col terzino arretrato e marcatore, a cui non serve essere una scheggia o forte fisicamente, a cui basta essere ponderato, preciso ed elegante. Quando avanzava era sempre sicuro che alle sue spalle qualcuno avesse preso il suo posto, altrimenti non si accingeva nemmeno a superare la linea di metà campo, quando chiudeva lo faceva stringendo, anche da solo, verso la rimessa laterale.
Quella partita la vincemmo con un gol da fuori area di Manconi, che fu abilissimo a raccogliersi e girarsi per calciare in porta nello spazio concessogli dai due difensori centrali, dopo un calcio piazzato e la successiva mischia. Keita era in marcatura, ancora in area, e si vide passare il tiro a pochi centimetri dal piede sinistro, che per tutta la partita aveva usato di piatto con una raffinatezza e una calma assurde. Non si lamentò coi compagni, in tutta la partita non disse una parola.Il match rotolò sino alla fine con quel risultato, e forse mi ricordo di Cheick Keita in questo modo perché, alla fine, la mia squadra vinse.
Ho da poco saputo che Keita sia stato ceduto al Birmingham, squadra di Championship inglese, l’equivalente della nostra serie B, per intenderci. Questione, immagino, di budget per la piccola realtà calcistica ligure indicata da molti come la maggior sorpresa dell’anno, per ora, nel variopinto panorama del calcio italiano. Ma una cosa è certa, Aglietti lo ha sempre fatto giocare bene con il resto della squadra e soprattutto lo ha sempre fatto giocare tanto in quel ruolo, da terzino esile e tecnico, che spesso calcia di piatto.
A partita finita, mandai un sms a Bologna e fui entusiasta di annunciare la vittoria. Poi passai al bar e raccontai del gol di Manconi e dell'impegno di Galabinov. In coda al Bancomat, vedendomi indossare la sciarpa bianca e blu, un ragazzo mi chiese del risultato e gli risposi che fosse ovvio che avremmo vinto alla fine, seppur soffrendo, sorridendo. Ma una volta in macchina e a casa, ricominciai a pensare a quel terzino marcatore del Virtus Entella, che non aveva sbagliato un passaggio in tutta la partita e che avrebbe potuto rappresentare la chiave di volta difensiva per almeno tre quarti delle squadre della serie cadetta, la serie che seguivo da vicino.
Il calcio è così, noi tutti lo sappiamo.
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