#sposarsi con un ricordo non fa bene
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"I vecchi hanno solo un diritto: quello di morire."
“Potrei dire che chi l'ha detto è un cretino, ma invece dirò che è stato utile: ha rotto una ipocrisia, perchè è vero che diamo fastidio. L'ipocrisia sui vecchi è tremenda, se non ci salviamo da soli, è l'inferno".
-«La gente è diventata troppo seria, io ho 91 anni ma ho la fortuna di essere molto ironica, così non mi accorgo della presenza della morte che mi osserva da vicino pronta a prendermi, e la mattina continuo ad alzarmi contenta».
«Che gli anziani non servissero a mandare avanti il Paese forse poteva essere vero un tempo ma se oggi guardo all’età di molti grandi industriali, architetti, professori, scienziati, spesso vedo settantenni e anche ottantenni.
Ci chiamano nonnini, nonnetti, a parole ci vezzeggiano ma poi ci mettono nelle Rsa, prima di metterci nella tomba».
«Che diamo fastidio perché costiamo, perché siamo una spesa medica e sociale, perché prendiamo le pensioni, perché occupiamo posti negli ospedali e case o abitiamo in quelle dei figli e magari abbiamo la colpa di continuare a fare un lavoro. Io ho una rubrica delle lettere sul “Venerdì di Repubblica”, a un certo punto qualcuno ha cominciato a scrivermi, una minoranza per carità, che era tempo che lasciassi posto ai giovani. Nello stesso momento lo stesso pensiero è passato per la testa di colleghe più giovani. Io non mi considero inamovibile, se mi dicessero che le mie cose non interessano più, che sono rimbambita, non più capace di scrivere o fuori tempo allora farei subito un passo indietro, ma non per una questione anagrafica, non perché sono vecchia. Non è una colpa».
«Ho la fortuna di aver sempre lavorato e risparmiato e di poter essere ancora indipendente, ma te lo ripeto: i vecchi danno fastidio e la gente non accetta che possano ancora lavorare. Dieci anni fa, quando avevo appena passato gli 80, un giorno un giovane tassista che aveva sentito che parlavo di impegni di lavoro al telefono, alla fine della corsa mi chiese: “Ma lei ancora lavora? Ma non è tempo di smettere e riposarsi? Che cosa fa?” Risposi: “Sa, sono una cuoca, continuo a cucinare”. A quel punto lui disse: “Ah, allora ok”. Se stai in cucina può andare bene, non disturbi troppo…».
«Ti regalo una notizia: non tutti i vecchi sono sordi! Questa è un’altra cosa che mi fa impazzire, ti parlano e gridano o scandiscono le parole, come se fossi sorda o rincretinita. Ci trattano come i bambini e ogni frase finisce con il sorriso. Poi ci sono quelli che vogliono rassicurarti e con tono consolatorio ti dicono: “Dai, che vivrai fino a cent’anni”. Ma fatti gli affari tuoi, io non ho futuro ma ho un bellissimo passato, ho vissuto nell’Italia meravigliosa della ricostruzione e del boom economico e sono piena di memorie che mi tengono compagnia, non ho bisogno di compassione».
«Io, da giovane, i vecchi nemmeno li vedevo, non ho mai conosciuto i miei nonni e vivevo sempre tra i miei coetanei. Quando avevo 16 anni ricordo che i miei amici erano tutti innamorati di una ragazza bellissima che di anni ne aveva 26, io ero stupita e continuavo a chiedere: ma come fa a piacervi una così vecchia?! Quante cose ho visto, durante la guerra ho assistito al matrimonio di una mia amichetta che aveva 14 anni e che aveva avuto la dispensa dal vescovo per sposarsi con un ragazzo che partiva per il fronte. Mi piacciono tanto le storie del passato, le conservo con cura, ma senza alcun rimpianto».
«Porto sempre con me il bastone quando esco, mi aiuta a camminare ma serve anche molto, non tanto per difesa quanto per offesa, mi è utile con i giovanotti maleducati o con i vecchi che non sanno stare al mondo. Poche settimane fa, durante il mio piccolo giro intorno a casa, ho dato dei soldi a un ragazzino africano. Un signore mi ha vista e ad alta voce ha cominciato a criticarmi, dicendo che venivano dall’Africa per colpa di gente come me che li mantiene e li foraggia; gli sono andata incontro mentre continuava a criticarmi, ho alzato il bastone e gliel’ho messo sotto il mento e gli ho detto soltanto: “Non permetterti di dire un’altra parola, fascista”. Si è dileguato».
«Vivo alla giornata, la mia vita comincia la mattina quando mi sveglio e finisce quando vado a letto la sera, sperando sempre di morire nel sonno. Sai, io non sono vecchia, non sono un’ottantenne, io sono ultra-vecchia, penso spesso che potrei avere un figlio di più di settant’anni».
«A chi è giovane oggi vorrei dire: “Svegliatevi, informatevi, leggete libri, è una cosa che costa poco, puoi fare da solo e riempie di gioia”. Non è mai tempo perso!»...
Natalia Aspesi
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23.06.24
Se ci penso migliorerà a breve questa sensazione devastante. Mi attanaglia ed io penso seriamente di non aver mai passato un periodo così nella mia vita.
Mi distrugge, anche se la sera un po' si ammortizza, ma poco.
Oggi il tempo non è granché.
Alle 18.30 mi vedo con mia cugina per quell'incontro tra cristiani.
Sinceramente so che non dovrei, ma mi sento con un piede nella fossa.
Ognuno ha i suoi momenti no, ma Dio santissimo questo mi uccide.
Mancano 23 giorni all'inizio del nuovo lavoro, non so se ho fatto bene a dare 15 come data di inizio, forse dovevo bruciarmi le vacanze, forse ho fatto bene non so sinceramente, ma oramai quel che è fatto è fatto.
E se quella davvero ci prende con le tempistiche entro questi 23 giorni ne stanno 21 corrispondenti a 3 settimane.
L'ipotesi era 2-4 quindi che dire.
Non so se andarmene in palestra ma credo di sì (?) a questo punto.
Stasera esco con Miriam e appunto prima con mia cugina.
Ma sono ancora 6 ore da "sopravvivere".
Non sto mangiando bene, difficilmente mangio possiamo dire.
Ho fatto un sogno lucido stanotte, ho chiamato nonno, nonna e mamma. Nonno dice che sto sempre al telefono, nonna stava un po' così e mamma non ricordo.
Poi c'era Gabriele, ci siamo baciati e lui piangeva mentre gli dicevo che era la persona che amerò per sempre.
Assurdo che stia per sposarsi.
Rimpianti no, ma certo è un po' come metterci una vera croce pesante sopra.
Lo paragonerei a quando sono stata male per Damiano, ma per quanto dolorante fosse, mh era comunque differente.
C'è da dire che 10 anni di differenza fanno.
Non pensavo di starci così, anche perché mi sono vista con altre persone nel mentre.
E poi la cosa assurda direi, è che non piango, perché se uscisse qualcosa da questo corpo lo scaricherei. Ma non esce niente, rimane nello stomaco.
Domani sera ho la visita ADHD e questo è un ottimo passo avanti, poi dopo il 10 farò l'altra e finalmente dovrei avere la mia ricetta, ma non prima di aver fatto degli esami a quanto pare.
Vediamo se riesco a partire per Parigi quei 3 giorni, vorrei tanto.
Poi finalmente il 16 parto e devo trovare qualcuno che mi tenga i gatti.
Penso che lavorare mi aiuterà tantissimo, sarà proprio riprendersi la propria vita.
Certo un po' di paura ci sta, ma penso sia normale.
Avere le medicine prima di quel giorno significa fare tutto in 5 giorni.
Farò del mio meglio, ma non dipenderà solo da me.
Poi dipende che esami, spero di poterli fare all'Artemisia.
Quindi domani commercialista e ad un orario mai sentito prima, le 22.20, la visita con lo psichiatra.
Sono shockata da questo orario meschino.
Poi l'Universo mi sta proprio sfidando, mi dà un amico come Francesco e poi me lo fa partire per tutto sto tempo.
Si tratta in primis di resistere fino al 10 che è lo stipendio, quindi 17 giorni.
Madonna mi sembra un tempo immondo ed infinito.
E poi lavorare.
Voglio essere positiva e dire che mi entusiasma molto l'idea di partire per lavoro, e poi vedrò Verona che non ho mai visto e mi sembra pazzesco.
Sono le 12.30, non ho fame purtroppo.
Amira mi ha dato buca per il 29 che ovviamente è festa ed io non so che fare.
Troverò una quadra anche a questo.
Sicuramente martedì e giovedì andrò a fare zumba, forse dovrei appunto fare più corsi in palestra.. mi aiuterebbe.
Marco mi dava una strana stabilità che seppur non mi faceva stare in modo eccellente, appunto mi stabilizzava.
Erano anni che non mi sentivo così semmai mi ci sia sentita.
Ieri tutto il giorno a casa da dopo pranzo di papà.
Vorrei piovesse con i fulmini, mi rasserenerebbe.
Oggi sarei potuta andare a Rainbow MagicLand, da una parte bene perché sovrascrive un ricordo dando molteplici forme al luogo e non focalizzandolo, es. su Marco, dall'altra quella comitiva mi stressa da morire ed è su un livello dove io non sono attualmente, appunto stressandomi.
Ti direi che se tornasse lo prenderei così, senza pensarci due volte, ma si creerebbero le basi per un malessere doppio a quello che sto vivendo.
E sinceramente non voglio sfidare questa cosa.
Fra 2 settimane sarà 7 luglio e là sarà un mese che non ci vediamo.
Per lui giugno è stato una giostra, fra viaggio, matrimonio e compleanno, ma figurati.
Quindi quando le acque si saranno calmate si darà, credo, il tempo di riflettere sull'emozione, sulla mancanza.
Più di 10 se non 15 persone diverse hanno detto che tornerà e non è chiusa. Devo crederci.
Ma devo anche lavorare sul presente che comunque non c'è.
Ma il fatto assurdo è che il problema è ciò che lui ha rappresentato più che lui di per sé. È questo che mi ha distrutta, ovvero: ciò che lui è mi ha portato anche ad associarlo ecco.
Siamo vicini alle 13 ed ho fatto una sciocchezza da mangiare.
Lo stomaco è ancora sotto stress, ho sentito Giorgia e forse ci vediamo dopo.
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Le zanne affondavano nella carne serrandosi tra loro in una morsa letale. Nella danza macabra della morte, il predatore non diede neppure un attimo di respiro alla vittima che giaceva a terra, inerme ed ormai rassegnata ad accogliere un destino che non offriva alcuna via di scampo.
L’animale restò lì brandendo tra le fauci lembi di carne e sangue, il muso ormai ingozzato di cremisi e l’aspetto più ferale che mai. Le iridi, ormai mutate nell’aspetto e nel colore, apparivano gialle quasi dorate e di umano non avevano più nulla. Per un attimo, uno soltanto, l’animale dovette faticare a placare sé stesso e l’istinto che lo spingeva a fare a pezzi la vittima ormai inerme, poi il ricordo di una sinfonia lontana, le note quiete delle corde di un violino, si imposero tra le pieghe della mente felina e la bestia parve lasciar spazio alla coscienza della donna che concesse una tregua al corpo maciullato. Si voltò lentamente, fletté le zampe anteriori e restò immobile ad osservare il volto dell’altro uomo ancora in piedi. Il braccio ferito e l’odore del suo sangue fu inconfondibile per l’animale, che dette l’impressione di dover sondare l’entità del danno subito.
La voce di Helyas giunse atona come in ogni circostanza, dava sempre l’impressione di non essere interessato a ricevere alcuna risposta e Ophelia stentava a concederne.
Era un rapporto atipico il loro. Destinati per scelta altrui, vincolati da un accordo che non avevano scelto e che era stato loro imposto. Avrebbero dovuto sposarsi per mantenere la continuità dei marchi e dei cacciatori ed Ophelia aveva accettato quel “destino” senza opporsi.
Non conosceva Helyas così bene, lui era un tipo silenzioso ed Ophelia era abbastanza riservata. Erano molto diversi, forse anche troppo, tuttavia Ophelia si era abituata alla presenza di lui quasi che fosse già una parte della propria vita. Una costante a cui non aveva ancora dato un nome né la giusta importanza.
Nella forma animale, Ophelia non era in grado di parlare ne di compiere qualsiasi altro gesto meramente umano. Manteneva un certo grado di consapevolezza, quando l’istintualità non prendeva il sopravvento sulla razionalità. Gocce di pioggia scesero provvidenziali dal cielo lavando via lo scempio di sangue tutt’intorno, il felide parve rendersene conto a stento, tornò al moto e si allontanò nel vicolo fino a nascondersi dietro qualche cassonetto dlla spazzatura.
Il marchio bruciò ancora ed Ophelia abbandonò le spoglie di bestia per fare ritorno a quelle di donna.
-Mi passeresti lo zainetto, per favore?
Domandò rivolgendosi ad Helyas ed ancora parzialmente nascosta dall’ombra del cassonetto. Era decisamente l’inconveniente più grande della sua capacità innata ed Ophelia aveva dovuto cercare un modo alternativo per superare quella difficoltà.
Lei ed Helyas avevano spesso svolto missioni insieme e lui era abituato a quel genere di difficoltà. Ophelia invece non si sarebbe mai abituata a fronteggiare l’imbarazzo che la inondava ogni volta, soprattutto quando si trovava in missione con Helyas.
-Il braccio ti fa male? Ho qualcosa per il primo soccorso… sempre nello zainetto…
H&O; Chapter II
"L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui"
All’esterno dell’accademia, la vita gli era sempre sembrata diversa. In un certo senso, Helyas provava invidia verso l’umanità che, ignara di tutto il male che si annidava tra le ombre della notte, si limitava a vivere, a respirare, a ridere e a piangere… seguendo semplicemente l’istinto del momento, l’emozione guida di cui lui era sempre spoglio.
Fosse nato soltanto umano, Helyas sarebbe stato come loro, proprio come uno di quei ragazzi che se ne stavano con la schiena a ridosso della porta del locale, con una bottiglia tra le mani e il sorriso ben stampato alle labbra.
Il destino, però, aveva riservato a Helyas un'altra prospettiva, lui era il vigilante della notte, lui badava che tutta quell’umanità non si dissolvesse sotto la falce dei demoni e no, non poteva permettersi distrazioni.
Così, come accadeva di consueto quando non aveva missioni particolari da svolgere, Helyas si limitava a vagare per le strade e ad assicurarsi che il male dormisse un altro po’.
In quel vicolo in particolare, le tettoie alte dei palazzi gli impedivano di scorgere sprazzi di cielo, se non saltuariamente, e un po’ questo gli faceva mancare l’aria. Helyas portava su di sé il marchio della tempesta e la sua dimensione ideale era all’aperto, alla mercé della terra e del cielo – soprattutto – eppure in quegl’ultimi giorni, qualcosa stava cambiando.
Ad ampie falcate attraversò la strada e si ritrovò sul marciapiede opposto al locale, se ne allontanò a malapena, quanto bastava affinché una poderosa luna piena riuscisse a far mostra della sua argentea perfezione… e le iridi scure di lui si levarono a guardarla in tutta quella magnificenza.
Forse non si era mai accorto di quanto potesse essere bella, la luna, per cui fu costretto a fermarsi e a fissarne le sfumature impercettibili, e come ultimamente gli accadeva spesso, il marchio della tempesta cominciò a dolergli.
Helyas digrignò i denti e fu costretto a sollevare la manica del giubbotto: i contorni del marchio si erano arrossati, come se sotto vi pulsasse il fuoco, e bruciavano… tanto che fu costretto a premere la pelle lesa contro la stoffa della manica.
E poi, un vociare sospetto ne attirò l’attenzione, più avanti, in un vicoletto poco più buio, uno strisciare viscido e dei versi strani, si rivelarono appartenere a una creatura demoniaca, lì pronta a divorare la preda che aveva già perso i sensi.
- Hey, mostro!
Col braccio che non gli doleva, Helyas afferrò il calcio della pistola già carica di proiettili di adamantio e la estrasse dalla fondina, puntandola immediatamente alla creatura che, resasi conto della presenza scomoda alle sue spalle, si volse schiudendo le fauci ghermite di denti aguzzi e lingue biforcute…
Ma prima che il marchiato potesse aprire il fuoco, la creatura mormorò qualcosa in quel linguaggio oscuro e antico e, stranamente, Helyas riuscì a comprenderne perfettamente il significato “Senti il richiamo della luna, vero?…” Helyas aggrottò la fronte a quelle parole e per un attimo, uno soltanto, esitò… tenendo l’arma ancora tesa verso la creatura rivoltante che, approfittando di quel momento di smarrimento, scattò verso Helyas afferrando il braccio armato tra le lingue per disarmarlo.
@ophelia-northwood
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Mi piace scavare dietro le obiezioni delle persone per capire cosa le conduca realmente a compiere una decisione, si nasconde sempre qualcos’altro e ti accorgi che nessuno è sincero, mai. Non per chissà quale bisogno, c’è una tal vergogna al mondo che ti chiedi cosa viviamo tutti a fare. Non so perché io piaccia alla gente, forse avvertono che tanto capisco comunque e quella maschera non serve.
A proposito di persone che non sono sincere mai, ogni giorno mi ritrovo a dovermi rapportare con una persona la cui miglior definizione mai rilasciata è: se le chiedessi l’ora e lei ti rispondesse, ti verrebbe comunque naturale guardare l’orologio al polso per trovar conferma. Credo che quando tutto sarà finito ne uscirò macchina della verità, probabilmente potrò raccontare storie per sempre: di quella madre settantenne che è caduta in depressione perché l’unico figlio se n’è andato di casa per sposarsi (e mentre mi parlava mi ricordava tanto Lydia Brenner ne Gli uccelli di Hitchcock, aspettavo l’attacco da un momento all’altro), di quello che ha mandato via di casa tutta la famiglia e consegnato i suoi avere a una setta (film che farei dirigere a Tarkovskij), di quei due fratello e sorella che hanno fatto morire il proprio vecchio di stenti e quanto vorrei facessero la puntata di un giorno in pretura, potrei ben testimoniare che quella fu l’unica casa in cui non resistetti più di venti secondi (questo magari lo farei dirigere a Cronenberg).
Mi chiedo sempre come possano condurre la propria esistenza, persone poco curiose. Quelle che appena gli nomini qualcosa che non conoscono non corrono subito a cercare. Io avrò anche una qualche forma di patologia, d’accordo. A ben pensarci, le mie uniche patologie sono nella testa, a parte una. Undici anni fa iniziai a soffrire di acufeni bilaterali cronici in seguito a un’otite curata poco bene. L’otite se ne andò e mi lasciò in eredità i fischi. Inizialmente sottovalutai la cosa e non ci pensai, ma dopo qualche mese cominciai a fissarmi e un anno e mezzo dopo non riuscivo più a dormire. Ogni visita fu inutile. Ricordo che mi colpì molto la storia di una donna olandese, madre di due adolescenti, che per una forma molto grave di acufeni arrivò a chiedere l’eutanasia. Le venne concessa. Cercando possibili modi per uscirne che non implicassero la morte, arrivai alla soluzione di coprire quel suono fastidioso con un rumore bianco, almeno di notte, per addormentarmi. E da allora è così. Ma siccome non mi piace perdere senza portarmi neanche un insegnamento a casa, capii quant’è suggestionabile il cervello umano. Gli acufeni li sento solo se mi concentro sulla loro presenza. Se una cosa non la penso, allora non esiste.
Che la gente si metta a filmare uno che sta morendo non mi stupisce, voglio dire, non avete mai visto black mirror dai?
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Era domenica, ero sdraiata per terra a guardare le ombre delle foglie sul muro sopra il divano, quelle che compaiono dopo le sei di sera perché gira il sole, a giugno, io ero sdraiata per terra e avevo la gatta che mi girava intorno finchè non ha visto anche lei le foglie sul muro e quindi è corsa sul bordo del divano ad osservarne il movimento, incantata. Eravamo io e la gatta da sole a casa, io ero sdraiata per terra e la gatta sul bordo del divano e guardavamo le foglie che si muovevano, stavo approfittando del momento, dalle finestre entrava aria, una sorta di venticello, una tregua dal caldo atroce ormai incessante. Erano circa le sette di sera di una bella giornata di giugno in cui eravamo io e la gatta da sole in casa, io sdraiata per terra e lei sul divano ad osservare le ombre sul muro e mi son forzata di ricordare il momento perché mi sentivo in pace, una profonda pace. Domenica era la penultima domenica di giugno, di un giugno più caldo, molto più caldo di tutti i giugno che ricordo. No forse no, giugno del 2002 fu caldissimo, ricordo che io vivevo a Roma perché frequentavo il secondo anno di università e mia cugina doveva sposarsi al nord, praticamente a pochissimi chilometri rispetto a dove vivo adesso. Quell’anno, quel giugno, faceva davvero tanto caldo, talmente tanto caldo che al ritorno dal matrimonio mi venne un’afta per lo stress e altra gente aveva addirittura preso la febbre a causa degli sbalzi di temperatura tra dentro con aria condizionata e fuori con muro di umidità. Nel 2002 a giugno faceva tanto caldo, io avevo dato l’esame di diritto privato, avevo preso 27 e poi ero partita per il matrimonio di mia cugina, vent’anni fa. Adesso che ci penso a Roma a giugno di solito faceva caldo in effetti, tanto caldo e noi eravamo degli studenti squattrinati e quindi privi di aria condizionata, chiaramente usavamo studiare nelle aule universitaria perché lì si stava bene, ma quando toccava stare a casa, per esempio nei weekend noi ci si preparava pomodori, peperoncino, aglio e basilico a pranzo, così sudavamo tutto il sudabile e poi ci restava l’illusione che facesse meno caldo. Delle volte quando eravamo tutti e due a casa e magari non eravamo presi troppo dallo studio, noi con tutto quel caldo, io e Silvio, facevamo sesso, anche quattro volte di fila, eravamo giovani, ma faceva caldo, talmente caldo che lui quando stava sopra mi faceva sgocciolare il sudore addosso, vedevo le gocce che partivano dalla sua testa e scendevano e mi cadevano addosso e io non facevo nulla per evitarlo, aspettavo che mi arrivassero sul collo, sulle spalle, in faccia e non mi asciugavo nemmeno, Silvio sudava tantissimo.
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"I vecchi hanno solo un diritto: quello di morire."
“Potrei dire che chi l'ha detto è un cretino, ma invece dirò che è stato utile: ha rotto una ipocrisia, perchè è vero che diamo fastidio. A parole ci vezzeggiano, ma poi ci mettono nelle RSA, prima di metterci nella tomba.L'ipocrisia sui vecchi è tremenda, se non ci salviamo da soli è l'inferno".
-«La gente è diventata troppo seria, io ho 91 anni ma ho la fortuna di essere molto ironica, così non mi accorgo della presenza della morte che mi osserva da vicino pronta a prendermi, e la mattina continuo ad alzarmi contenta».
«Che gli anziani non servissero a mandare avanti il Paese forse poteva essere vero un tempo ma se oggi guardo all’età di molti grandi industriali, architetti, professori, scienziati, spesso vedo settantenni e anche ottantenni. Potrei dirti che chi lo ha detto è un cretino, ma invece ti dirò che è stato utile: ha rotto un’ipocrisia, perché è vero che diamo fastidio. Ci chiamano nonnini, nonnetti, a parole ci vezzeggiano ma poi ci mettono nelle Rsa, prima di metterci nella tomba. L’ipocrisia sui vecchi è tremenda, se non ci salviamo da soli è l’inferno. Ogni giorno vedo ciò che accade intorno a me e come vengono considerate le persone della mia età».
«Che diamo fastidio perché costiamo, perché siamo una spesa medica e sociale, perché prendiamo le pensioni, perché occupiamo posti negli ospedali e case o abitiamo in quelle dei figli e magari abbiamo la colpa di continuare a fare un lavoro. Io ho una rubrica delle lettere sul “Venerdì di Repubblica”, a un certo punto qualcuno ha cominciato a scrivermi, una minoranza per carità, che era tempo che lasciassi posto ai giovani. Nello stesso momento lo stesso pensiero è passato per la testa di colleghe più giovani. Io non mi considero inamovibile, se mi dicessero che le mie cose non interessano più, che sono rimbambita, non più capace di scrivere o fuori tempo allora farei subito un passo indietro, ma non per una questione anagrafica, non perché sono vecchia. Non è una colpa».
«Ho la fortuna di aver sempre lavorato e risparmiato e di poter essere ancora indipendente, ma te lo ripeto: i vecchi danno fastidio e la gente non accetta che possano ancora lavorare. Dieci anni fa, quando avevo appena passato gli 80, un giorno un giovane tassista che aveva sentito che parlavo di impegni di lavoro al telefono, alla fine della corsa mi chiese: “Ma lei ancora lavora? Ma non è tempo di smettere e riposarsi? Che cosa fa?” Risposi: “Sa, sono una cuoca, continuo a cucinare”. A quel punto lui disse: “Ah, allora ok”. Se stai in cucina può andare bene, non disturbi troppo…».
«Ti regalo una notizia: non tutti i vecchi sono sordi! Questa è un’altra cosa che mi fa impazzire, ti parlano e gridano o scandiscono le parole, come se fossi sorda o rincretinita. Ci trattano come i bambini e ogni frase finisce con il sorriso. Poi ci sono quelli che vogliono rassicurarti e con tono consolatorio ti dicono: “Dai, che vivrai fino a cent’anni”. Ma fatti gli affari tuoi, io non ho futuro ma ho un bellissimo passato, ho vissuto nell’Italia meravigliosa della ricostruzione e del boom economico e sono piena di memorie che mi tengono compagnia, non ho bisogno di compassione».
«Io, da giovane, i vecchi nemmeno li vedevo, non ho mai conosciuto i miei nonni e vivevo sempre tra i miei coetanei. Quando avevo 16 anni ricordo che i miei amici erano tutti innamorati di una ragazza bellissima che di anni ne aveva 26, io ero stupita e continuavo a chiedere: ma come fa a piacervi una così vecchia?! Quante cose ho visto, durante la guerra ho assistito al matrimonio di una mia amichetta che aveva 14 anni e che aveva avuto la dispensa dal vescovo per sposarsi con un ragazzo che partiva per il fronte. Mi piacciono tanto le storie del passato, le conservo con cura, ma senza alcun rimpianto».
«Porto sempre con me il bastone quando esco, mi aiuta a camminare ma serve anche molto, non tanto per difesa quanto per offesa, mi è utile con i giovanotti maleducati o con i vecchi che non sanno stare al mondo. Poche settimane fa, durante il mio piccolo giro intorno a casa, ho dato dei soldi a un ragazzino africano. Un signore mi ha vista e ad alta voce ha cominciato a criticarmi, dicendo che venivano dall’Africa per colpa di gente come me che li mantiene e li foraggia; gli sono andata incontro mentre continuava a criticarmi, ho alzato il bastone e gliel’ho messo sotto il mento e gli ho detto soltanto: “Non permetterti di dire un’altra parola, fascista”. Si è dileguato».
«Vivo alla giornata, la mia vita comincia la mattina quando mi sveglio e finisce quando vado a letto la sera, sperando sempre di morire nel sonno. Sai, io non sono vecchia, non sono un’ottantenne, io sono ultra-vecchia, penso spesso che potrei avere un figlio di più di settant’anni».
«A chi è giovane oggi vorrei dire: “Svegliatevi, informatevi, leggete libri, è una cosa che costa poco, puoi fare da solo e riempie di gioia”. Non è mai tempo perso!»...
Immensa e unica Natalia Aspesi
-- Autore sconosciuto
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di famiglia e cambiamenti sociali, discussioni e politiche
Oggi mentre correvo pensavo alla discussione di poco prima in ufficio con alcuni colleghi. Si parlava di coppie omosessuali e della possibilità o meno di adottare o fare figli con fecondazione assistita e altri sistemi. “O meno” perchè qualcuno dei miei colleghi (siamo tra i 30 e 40 anni) non è convinto che sia una cosa giusta. E sul momento si cerca di ragionare, si cerca di far capire, si cerca di portare a fondo la logica che se ammetti alcune premesse, non puoi escludere delle conseguenze, a meno di dichiararti ipocrita. E se ti rifai ai modelli naturali sbagli, perchè viviamo in una società, con delle regole condivise, gli antibiotici e l’aspirina, e i limiti della natura li abbiamo superati da un bel po’. E se ti rifai alla famiglia tradizionale, ti stai appigliando ad un‘illusione, perchè di modelli di famiglia le varie tradizioni nel mondo ne hanno tantissime e quello del gruppo nucleare padre-madre-figli è un modello relativamente recente e spesso illusorio. Ma non è facile discutere, specie di venerdì sera, e anche se siamo rimasti su toni civili, alla fine chi la pensava in un modo non credo abbia cambiato idea. Però almeno ora so dove si spinge l’ipocrisia e sono venuti fuori esplicitamente alcuni dei “ma” del classico “per me possono avere gli stessi diritti, ma...”
E mentre correvo pensavo a questa cosa della discussione perchè c’era una ragazza che fa coppia con uno dei ragazzi (non fa statistica, ma eravamo tre ragazze della stessa idea da un lato e tre ragazzi del “ma” dall’altro) e diceva “se la pensi così mi dispiace ma non possiamo stare insieme, se pensi che le coppie omosessuali non abbiano il diritto di adottare o di cercare di fare figli con la fecondazione assistita, non possiamo continuare a stare insieme”. E pensavo a questa cosa del confronto, della discussione, del ragionamento, dell’intolleranza all’opinione diversa. Alle varie cose lette sull’intolleranza all’intolleranza, a quello che mi diceva da piccola mio padre sulle idee che si condividono così invece di averne una ciascuno ne possiamo avere due ciascuno, pensavo al fatto che se smetti di ragionare e di parlare e di cercare di convincere il tuo interlocutore della tua posizione, delle tue ragioni, quello se ne andrà per i fatti suoi, con la sua idea (che tu reputi sbagliata) e tu resterai con la tua. Ma se tu sei in minoranza, con questa idea, resterai minoranza. Se tu vuoi che la gente la cambi, l’idea, ci devi discutere, non puoi fare muro, non puoi dare ultimatum.
E pensavo alla famiglia tradizionale, a questo concetto che è un’illusione recente, e ancora prima di correre mi ero messa a sfogliare i pochi libri di demografia e storia sociale che ho, dagli esami che ho fatto anni fa, perchè mentre discutavamo ho accennato al fatto che la genitorialità delle persone omosessuali in passato si esprimeva già, anche se magari più spesso in modo diverso, perchè le famiglie del passato erano diverse, perchè c’erano nipoti, cugini, zii, figli di matrimoni precedenti, tanta gente in casa o comunque in famiglia, che poteva creare un legame parentale anche senza un legame di sangue diretto. E pensavo, quali sono le fonti, dove lo trovo qualcosa da fare leggere ai miei colleghi, avrò detto una cavolata? Come la so, questa cosa? Ci sono tante cose che so, che considero corrette, come informazioni, ma che non saprei giustificare con una fonte autorevole (no, il Tumbrl non è una fonte autorevole XD anche se è un’ottima risorsa per allenare la testa al ragionamento). Sarà che ho appena finito di scrivere la tesi (appena rispetto al mio calendario personale, ovvero mesi fa a fronte di una carriera universitaria ultradecennale XD) ma l’idea di sostenere qualcosa senza fonti mi fa storcere il naso.
E pensavo anche alla condizione dei bambini, alla storia dell’infanzia, al fatto che essere figli oggi non è come essere stati figli 30 o 60 o 100 anni fa. A quanto dura l’infanzia ora, rispetto a quello che poteva essere la vita di un bambino o di un ragazzino dell’Ottocento o dei primi del Novecento. E allora che significava fare il genitore o il figlio a quel’epoca? Ha senso fare un confronto con quella che dovrebbe essere o potrebbe essere la famiglia di oggi? E pensavo alle differenze tra classi sociali e a quelle tra famiglie in campagna e famiglie in città e al lavoro minorile e al lavoro femminile e ai diversi modi di intendere il lavoro e la semplice esistenza nell’ambito di una famiglia che magari ha una fattoria o una bottega, a mia nonna che era andata a 8 anni da sua zia a passare l’estate a vendere gelati, a sua madre che era andata a 11 anni in Francia a servizio di una famiglia di una signora che quando se ne andò le regalò la toeletta che sta ancora in camera dei miei, a mio padre che andava a pescare con suo nonno e in casa quando era piccolo non avevano stanze separate per i suoi genitori e i tre bambini.
Mentre correvo pensavo e come al solito molti pensieri ora che scrivo mentre bevo il frullato prima della doccia non me li ricordo più o non mi ricordo come ci sono arrivata, qual era il filo conduttore.
Pensavo che se il timore ufficiale di fronte all’ipotesi di affidare un bambino ad una coppia omosessuale è che possa essere in qualche modo condizionato dalle difficoltà che potrà incontrare “in quanto” figlio di una coppia di quel genere, è una questione di posizione sbagliata, ti stai ponendo in modo sbagliato di fronte al problema. Come per i figli di coppie miste dal punto di vista razziale o di italiani e immigrati o di divorziati, se andiamo indietro nel tempo c’è sempre qualcuno che ha fatto da apripista ed ha passato delle difficoltà, come coppia e come figlio di una coppia (o come figlio di quella che non è più una coppia). Pensavo che la legge è figlia della politica che è figlia del sentimento comune. E se tu pensi che il sentimento comune sia ostile, sia sbagliato, devi fare delle scelte politiche e delle leggi che vadano incontro al cambiamento che vuoi. Finchè non fai le leggi per consentire alle persone di praticare delle scelte diverse, finchè non ratifichi con una legge la correttezza, la “giustezza” di una scelta personale, lascerai un freno attivo al cambiamento che vorresti. Ma lo vuoi, questo cambiamento? O in realtà non lo vuoi e il sentimento comune ostile è quello che consideri in fondo in fondo corretto? Perchè se invece il tuo timore è che possano essere influenzati dai genitori nel senso che possano “scegliere di diventare” omosessuali pure loro (come era venuto fuori in ufficio ad un certo punto), al di là del fatto che non hai capito bene come funziona la cosa, il tuo punto allora è che non sei d’accordo con l’esistenza stessa delle persone omosessuali? O temi forse che questi figli possano essere “traviati” e si convincano di essere omosessuali... e se anche fosse? Quale sarebbe il problema? "Che avranno una vita difficile e non è giusto”. Un salto carpiato triplo della logica, davvero. (da cui è venuto fuori che l’adozione ancora ancora ok perchè l’alternativa sarebbe l’orfanotrofio ma guai mai la fecondazione assistita o l’utero in affitto perché “è contro natura”)
Mentre correvo pensavo alla logica e agli estremi a cui porta, all’ipocrisia e alle svolte che aveva preso la discussione di prima, a volte portata fuori strada da esempi estremi o assurdi e ora penso ai leoni marini e alle trappole dell’oratoria. Quando dicevo ad uno dei miei colleghi che sono vent’anni che penso a questi argomenti in realtà forse mi sbagliavo, forse sono di più. Le prime discussioni le feci con i miei, prima di finire la scuola superiore, e mi ricordo ancora le lacrime di stupore e frustrazione nel constatare che i miei genitori, che per tanti aspetti erano estremamente progressisti, su questo argomento non la pensavano come me. Nel tempo hanno cambiato idea, ma la prima volta che affrontammo l’argomento sembrava una questione fuori discussione. Sposarsi ok, ma figli no. Non potevo capire e ancora oggi onestamente faccio fatica a comprendere “come mai” le persone abbiano questo blocco mentale, specie quelle che non si appigliano a giustificazioni relative alla chiesa o al volere supremo di un dio che avrebbe vietato qualcosa ma non qualcos’altro.
Pensavo alla politica, al consumismo, a quello che si era detto di giocattoli e fratelli, di quello che si dovrebbe cercare di ottenere con certe decisioni. Al fatto che per avere bambini felici non dovrebbe importare cosa succede in camera da letto dei loro genitori, tranne che per il fatto che la tendenza ormai è quella di non avere fratelli e questo è uno dei grossi cambiamenti della vita dei bambini moderni, il fatto di non avere dei pari con cui confrontarsi in casa. O di non avere degli spazi in cui giocare liberamente con gli amici fuori, di non avere autonomia nei loro giochi, quando i loro compagni di giochi sono prevalentemente degli adulti. Si parlava della scelta di regalare una barbie ad un ipotetico bambino che la chiedesse in regalo. E perchè non una barbie e un ken insieme, se proprio si ha il timore di “influenzarlo” troppo? Pensavo a mia nipote che ha un po’ di barbie e nessun ken, forse ora che ci penso addirittura nessun pupazzo dalle sembianze o dall’identità al maschile. E’ piccola, nei suoi giochi non c’è spazio per l’altro sesso dal punto di vista romantico, non con me almeno (a memoria, l’unica volta che mi ha fatto impersonare una principessa che doveva accettare la proposta di matrimonio del principe appena conosciuto alla festa, io ho rifiutato dicendo che ero innamorata del panettiere che conoscevo da più tempo e faceva delle brioche buonissime - forse si è scoraggiata XD).
Pensavo a quello che avevo detto e a quello che non avevo avuto modo di dire, al progresso che dovrebbe essere una questione di scelte, di accesso alle scelte, di possibilità nell’ambito della rete di vincoli in cui ci muoviamo inevitabilmente, che non è possibile sciogliere con una bacchetta magica, che non è stretta come una volta forse per certi aspetti, ma ne ha messi altri a bloccare delle strade, a recintare degli spazi d’azione. Pensavo alla nostra generazione, a quello che si dice a proposito del fatto che siamo i primi ad avere prospettive peggiori dei nostri genitori. Ai miti che hanno guidato certe politiche, certe pianificazioni, quando delle pianificazioni sono state fatte e il percorso intrapreso non è stato semplicemente lasciato al caso o al destino o al profumo dei soldi immediati. La bolla più evidente è quella ambientale, ma non è l’unica che comincia a mostrare i limiti della poca lungimiranza. C’è chi si può permettere di diventare genitore, chi fa una scelta impulsiva, chi pesa e soppesa le sue opportunità e i suoi limiti. Il progresso dovrebbe essere l’allargamento delle scelte, l’allargamento a più persone possibili di compiere certe scelte, non l’illusione dell’allargamento, ma il cambiamento effettivo della struttura che vincola e limita la possibilità concreta di mettere in azione la scelta. Non basta dire “puoi fare un figlio”. Se non hai garanzie al lavoro, se non hai scuole affidabili, se non hai spazi urbani, domestici e comuni, adatti a crescere un figlio. O due. Facciamo lavorare le donne, facciamo lavorare fino a 65 anni, chiediamo flessibilità ai lavoratori, facciamogli fare i pendolari, ok, cosa significa nel concreto, cosa cambia, cosa è cambiato nelle ultime generazioni? Chi c’è in casa con i minori fino a 14 anni? Dove sono i nonni? In quale città?
E insomma, mentre correvo pensavo a tutto questo e sicuramente molti pensieri li ho lasciati per strada. Ora sono qui che puzzo come un undici perchè mi sono messa a scrivere per fermare quelli che ancora erano rimasti nella mia testa sudata. Ma ci tenevo a metterli nero su bianco e chissà che non riesca a trovare anche qualche posto dove sono scritti meglio e in modo ufficialmente presentabile a chi incontrerò alla prossima occasione di discussione.
#cose mie#pensieri#politics#running#in questi giorni#lgbtq#parenthood#era da un po' che non correvo e avevo molto da pensare evidentemente XD
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allora mio nonno era leone, motivo per cui aveva due mogli. Cioè sarebbe meglio dire aveva una moglie e un’amante, ma in realtà aveva proprio una vita parallela con questa, quindi meglio moglie. Allora, spieghiamo meglio, mio nonno, diamogli un nome, Aldo, conosce mia nonna Graziella e ogni domenica la rimorchia fuori dalla chiesa, tipo che andava a prenderla con la macchinozza e faceva il Leone menoso. In contemporanea a mia nonna, conosce quest’altra donna, se non sbaglio Rosa, e rimorchia pure questa. Vabbè fatto sta che se le bomba tutt’e due, ed entrambe rimangono incinte. A quel punto lui doveva scegliere con chi cazzo sposarsi, e sceglie mia nonna, non so bene su quali basi. Forse perchè Rosa aveva due fratelli pugliesi pronti a menarlo ad ogni pranzo di Natale. Vabbè si sposano, nasce mio padre, nasce la sorellastra, e lui decide di mantenere entrambe le famiglie. E così è andato avanti per 35 anni, più o meno. Alternando i Natali. Poi si è ammazzato. E solo a quel punto mio padre ha scoperto che c’era un’altra erede. Ma questo è un altro discorso. La sorellastra si chiama Sandra, simpatica, scorpione forse? Non so, non mi ricordo, l’ho vista due volte di numero. Vabbè questa fa la farmacista, anche qui, non perchè fosse un suo sogno, ma perchè mio nonno puntava ad accasarla con uno coi soldi. E così è andata. E ancora oggi lei sta con questo farmacista e hanno tipo 4 farmacie e stanno pieni di soldi, si comprano le mountain bike e vanno a spasso sui monti. Questi due hanno due figli maschi, e indovinate cosa fanno? Si! I farmacisti!! Non capisco perchè questa cosa mi faccia incazzare, forse perchè di base sono due coglioni che sorridono con i denti nei selfie con dietro i paesaggi. O forse perchè non capisco come sia possibile che l’unica strada che questi due poveri cristi hanno potuto percorrere sia stata quella tracciata dai loro bisnonni per loro e per i loro figli. O forse perchè non capisco se loro, dato che sono ormai genitori, obbligheranno i loro figli a fare i cazzo di farmacisti. bo non lo so c’è qualcosa che mi turba ci devo pensare
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Goong
Ho visto questa serie dietro consiglio di @dilebe06, che me ne ha parlato come di un drama must che bisogna assolutamente vedere. È un po' datato - del 2006 - ma posso assicurarlo: ne vale la pena.
Certo, la qualità visiva è inferiore rispetto a quella dei drama di oggi, ma una volta abituata alle immagini "vecchio stampo" mi sono totalmente immersa nella storia e nei suoi personaggi.
Sono una a cui piace molto vedere dei personaggi ben caratterizzati e con delle buone evoluzioni, anche se questo può significare danneggiare la serie su altri fronti, come quello della trama. Più di una volta ho visto serie asiatiche che per dare spazio all'emotività e ai personaggi hanno sacrificato chiarimenti relativi alla storia. È una cosa che mi fa un po' porconare sul momento, ma spesso quelle sono le serie che più mi sono rimaste nel cuore.
Ad essere sincera, devo ammettere che Goong fa un buon lavoro sia con i personaggi, sia con la storia, sia con le emozioni. Ci sono vari momenti molto frustranti, altri molto divertenti, e alcuni anche commoventi.
Goong parla di una ragazza qualunque, Chae-kyung Shin, che da un giorno all'altro si ritrova ad essere la promessa sposa del Principe Ereditario in una Corea contemporanea in cui ancora esiste la monarchia.
Sembra una favola, ma Chae-kyung non è la Cenerentola della situazione e di certo il principe Shin non è il principe azzurro.
Costretti a sposarsi per l'accordo preso dai rispettivi nonni, i due devono imparare a conoscersi, ad andare d'accordo, a rispettarsi. Essendo sulla stessa barca, dovrebbe sostenersi e aiutarsi a vicenda, ma Shin all'inizio non è molto collaborativo.
E mentre loro non sono contenti dei ruoli che devono ricoprire, c'è chi mette in piedi intrighi e complotti per appropriarsi - o riappropriarsi dal loro punto di vista - proprio di quelle posizioni: tornati all'Inghilterra dopo quindici anni di assenza, l'ex principe ereditario Yul e sua madre sono determinati a conquistarsi quello che un tempo spettava a loro.
In tutto ciò si mette in mezzo anche una second lead, Hyo-rin, che prima rifiuta la proposta di matrimonio di Shin per inseguire il suo sogno, poi capisce quanto in realtà tiene a lui e fa marcia indietro.
Questi quattro protagonisti sono contornati dalle due famiglie principali della serie: la famiglia della lead - quindi la famiglia dei poveri - e la Famiglia Reale - i ricconi.
La prima è una famiglia semplice, allegra e modesta ma, appunto, con problemi di denaro (ti pareva), ed è questo ciò che inizialmente spinge Chae-kyung ad accettare di entrare a palazzo.
Della Famiglia Reale invece ho avuto all'inizio un'impressione molto fredda e distaccata, a partire dal principe Shin e da sua madre la Regina, poi anche il Re, e poi ci sono tutte quelle regole di corte che bisogna attentamente e severamente seguire. Gli unici membri della famiglia reale ad essere più sciolte e calorose sono la Nonna e la sorella di Shin.
In Goong quindi c'è un po' di tutto: amore, amicizia, famiglia, gioco del trono, vendetta, intrighi. Goong parla di reali, ma alla fine i personaggi che vediamo in scena non sono delle persone speciali, sono degli esseri umani come tutti noi, con i loro pregi e i loro difetti.
Penso che il punto focale della serie siano proprio questi adolescenti alle prese con i primi amori, con i loro sogni, con i loro dubbi riguardo il futuro. C'è chi ha un buon rapporto con i genitori e chi invece deve fare i conti con rapporti più freddi e distanti. C'è chi fa amicizia facilmente e chi deve imparare a comunicare come si deve.
Al di là di essere o meno dei reali, le tematiche portate in campo sono tutte molto umane e realistiche, e questo è un gran punto di forza di Goong.
Ed essere reali non è tutto rose e fiori, ANZI. Non siamo in un film Disney dove diventare principessa significa ballare in un bellissimo castello con un abito magnifico. Qui la regalità porta a vivere una vita difficile e scomoda, sempre sotto controllo. La carica di Principe Ereditario, quindi, può risultare indesiderata.
I personaggi sono caratterizzati molto bene e alcuni di loro compiono delle evoluzioni davvero belle e ben fatte. Il mio preferito, e credo sia anche quello fatto meglio, è stato Shin. Mi ha ricordato molto Daoming Si di Meteor Garden per la sua scontrosità e l'incapacità di comunicare come un essere umano decente. La differenza è che Daoming Si era pieno di rabbia, mentre Shin di tristezza e amarezza, e anche lui come Daoming Si compie un percorso molto umano fatto di alti e bassi.
Mi è piaciuta tantissimo anche la regina, la vera avversaria della madre di Yul. Queste due donne hanno entrambe giocato bene le loro carte e sono state molto intelligenti. È stato anche interessante per me vedere queste due donne da un punto di vista materno. La regina, da madre fredda e severa compie una bella evoluzione di comprensione e addolcimento. Mentre è interessante notare come la madre di Yul sia disposta a tutto pur di incoronare il figlio, ma senza rendersi conto che sono proprio i suoi complotti che possono completamente rovinarlo.
La storia d'amore principale è bella perché umana: litigi, battibecchi, incomprensioni, ma anche romanticismo, parole dolci, scene in cui la ship è letteralmente VOLATA.
Riguardo il finale, mi è piaciuto molto per come va a finire con i due lead, l'ho trovata una conclusione logica e coerente. Mi è piaciuta anche la second lead. Mentre mi ha abbastanza infastidita il finale riguardante Yul e sua madre, non mi sono sentita soddisfatta.
Bellissima la colonna sonora.
Voto: 7.9
Spoiler vari:
- Il principe Shin è di certo uno dei miei personaggi preferiti di quest'anno, e penso proprio che sia tra i papabili per vincere il premio del protagonista maschile preferito. All'inizio non mi piaceva: simpatico quanto un'ortica, mi sembrava più morto che vivo da quanto era depresso. Mi ricordo di aver pensato "speriamo che non rimanga così fino alla fine sennò fa venire la depressione pure a me".
E infatti è cambiato. In modo lento, naturale, umano, iniziando ad affezionarsi alla lead e sentendo sempre di più di aver bisogno di lei, e allo stesso tempo continuando a sbagliare e a fare errori. Anche alla fine non è che diventa un raggio di sole, non è nel suo stile, ma decisamente non è più lo stesso ragazzo che conosciamo nei primi episodi.
Da ragazzo scontroso e chiuso in stesso, abituato a soffrire in silenzio da solo, con un'infanzia negata alle spalle e un futuro infelice davanti, Shin lotta tra le difficoltà di palazzo, la freddezza della sua famiglia e il combattuto rapporto con Chae-kyung (i loro battibecchi sono meravigliosi). Col tempo impara cosa vuol dire affezionarsi a qualcuno e sentire la sua mancanza, impara a parlare dei suoi sentimenti, impara a essere onesto con se stesso e capisce cosa vuole davvero nella vita.
La scena negli episodi finali in cui Chae-kyung gli dice di amarlo non per tenerezza o compassione perché è un principe infelice, ma per quello che lui è, mi ha fatta commuovere tantissimo. Era quello che aspettavo perché sono le parole che Shin aveva bisogno di sentirsi dire. E vederlo finalmente aprirsi, ammettere ad alta voce il suo desiderio di averla sempre al suo fianco, è stato bellissimo.
- Il Re e la Regina. Uno mi ha fatta porconare, l'altra l'ho adorata. La Regina è uno di quei personaggi che compie una bella evoluzione, e per quanto mi sia piaciuta la lead, lei mi è piaciuta di più. Esattamente come Shin, all'inizio accoglie con freddezza e severità la povera Chae-kyung, per poi diventare mano a mano più comprensiva, fino ad ammettere di essere invidiosa di lei, perché la ragazza, a differenza sua, è riuscita a mantenere il suo spirito nonostante la difficile vita di palazzo. Vedere poi Chae-kyung chiamarla "madre" mi ha fatto versare qualche altra lacrima.
Ho stimato la Regina per essere stata la più intelligente della famiglia nell'intuire i sotterfugi della sua rivale, e mi è dispiaciuto per lei quando si rende conto di non essere mai riuscita ad arrivare al cuore del marito, non potendo così svolgere il suo ruolo di moglie.
Ecco, parlando del marito, io a quest'uomo lo avrei preso a sberle più volte. Innanzitutto il mio sogno era vedere la relazione tra lui e la mamma di Yul sbandierata dappertutto, ma in questo modo ci avrebbe rimesso tutta la famiglia reale, Shin compreso, quindi forse è meglio così.
Ma la cosa che mi ha davvero infastidita è stato il suo modo di rapportarsi con Shin: è come se in lui vedesse prima il principe reale che deve comportarsi bene, e dopo il figlio bisognoso di affetto, ascolto e comprensione.
Capisco la posizione dell'essere Re e le preoccupazioni riguardo l'immagine della famiglia reale, ma per 24 episodi non l'ho mai visto chiedere al figlio un semplice "come stai" oppure "che cosa ne pensi di questo? Come la stai vivendo questa cosa? Quali sono i tuoi sogni?". In 24 episodi non li ho mai visti passare un pomeriggio insieme come due normalissimi padre e figlio.
Alla fine non compie nemmeno una reale evoluzione, perché dire a Shin che crede in lui dopo che Yul ha confessato i suoi crimini, mi sa tanto da presa in giro.
- la Nonna mi ha fatto molta tenerezza e mi ha fatta sorridere un sacco. Dolce, comprensiva, ingenua, è stata l'unica della famiglia ad accogliere con calore Chae-kyung fin dall'inizio e anche l'unica a non accorgersi dei piani strategici della madre di Yul. Il rapporto tra lei e la lead mi è piaciuto molto, e la scena sul finale della loro separazione è davvero commovente.
- la second lead è stata un personaggio davvero ben fatto. Mi ha fatta arrabbiare all'inizio quando torna indietro per cercare di conquistare Shin, ma ho poi apprezzato la forza e la dignità con cui affronta l'isolamento e il bullismo dei compagni di scuola, e mi è piaciuta molto la sua presa di consapevolezza del dover lasciar andare Shin perché gli stava solo rovinando la vita. Davvero un bel percorso.
- piccola nota: mi ha fatto molto sorridere il rapporto tra Chae-kyung e le sue due dame di corte, dispiaciute per lei quando veniva sgridata e pronte a divertirsi con lei nei momenti liberi, come quando giocano all'hula hop davanti ad un perplesso principe Shin. Quest'ultimo ha davvero avuto ragione quando ha constatato che "non è la principessa ad adattarsi al palazzo, ma il palazzo che si adatta a lei."
- Ho amato come è andata a finire tra Chae-kyung e Shin. Pensavo che il destino di Shin sarebbe stato quello di diventare Re, e ho tifato per lui nella corsa al trono, quindi mi ha piuttosto stupita la scelta finale di abbandonare il trono per cederlo alla sorella. Ma è un finale coerente con il personaggio di Shin, che non si è mai mostrato interessato agli affari di corte e non ha mai espresso un reale desiderio di essere principe ereditario, quindi mi piace molto la sua scelta di allontanarsi da palazzo per cercare la sua strada nel mondo.
Avrei però preferito che alla sorella fosse stato lasciato un po' più di spazio, visto che alla fine diventa la Regina di Corea. Per tutta la serie non ha nemmeno mai detto se desidera o meno il trono, come faccio a sapere se adesso è felice?
Comunque, questo finale rimane troppo aperto a tante domande: che cosa faranno adesso Chae-kyung e Shin nella vita? Lei diventerà una stilista? Lui studierà a Parigi per diventare regista? Come sarà la loro famiglia? Che tipo di genitori saranno?
Insomma, IO AVREI VOLUTO UNA SECONDA STAGIONE.
- Non mi ha invece soddisfatta il finale riguardante Yul e sua madre: dopo tutti gli intrighi che hanno tirato su per distruggere la famiglia reale, tutto si conclude con Yul che si prende la colpa dei crimini della madre per proteggere la donna, cosa che è coerente con il personaggio e con il legame tra madre e figlio, ma davvero poco soddisfacente per me.
Avrei voluto che venissero scoperti e puniti in qualche modo, e il tentato suicidio di lei, mi dispiace, ma non è abbastanza, anche perché non è disperata per i sensi di colpa, ma perché ha perso la sua battaglia di mettere il figlio sul trono.
Concludo con una gif di questa scena che mi ha fatto morire dalle risate:
#goong#princess hours#yoon eun hye#ju ji hoon#song ji hyo#kim yeong hoon#yoon yu seon#lee yoon ji#k drama#drama korea#korean drama#crown prince#crown princess#korean crown
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la fine del sogno, io sono pronto?
Cosa rimarrà dei nostri intraducibili anni zero?
Esce questa canzone dei Cani, così, in mezzo alle vacanze, quando nessuno più se l’aspettava, ignorarla tutto il giorno e poi quando accendi il pc per programmare delle mail prima di andare a dormire eccola che ti ricordi. Eh, è un casino però. Non eravamo cresciuti? E se siamo cresciuti, siamo pronti?
No, premessa, io non sono pronta a fare i conti con tutte le pagine della nostra incredibile giovinezza, l’adolescenza, la preadolescenza e tutte le cose inconsapevoli che abbiamo fatto in giro per l’Italia quando alla fine c’era sempre un sogno, c’era sempre. Insomma no, non credo di essere pronta alla fine di quel sogno, di quel modo di vivere, di abbandonare pre-adolescenza, adolescenza e post-adolescenza, non se ne parla proprio, siamo proprio ancora qui in mezzo al sogno, o forse almeno vorremmo, vorrei.
Ci siamo immaginati un bel po’ di cose che puntualmente si sono verificate secondo altre forme e modalità, cosa che puntualmente non ci è piaciuta abbastanza da godere tutta la pre - ado - post abbastanza come meritava, ma non importa quello era il nostro personaggio, quello che avevamo sapientemente scelto e che le circostanze avevano modellato, quello che oggi ci resta di quel lasso di tempo che è stato tra tra il 2006 e qualche tempo non quantificato fa.
Ci sognavamo tante cose, pogavamo ai concerti e ci credevamo tantissimo, forse ci crediamo ancora tantissimo. Nel frattempo qualcuno medita di sposarsi, qualcun’altro si esalta con uno stipendio sostanzioso e qualcun’altro ancora conta le bollette.
In mezzo un sacco di dischi, canzoni e immagini sul futuro che verrà, la volontà di immaginarsi qualcosa di nuovo e che ci scaldi, una casa precaria che ci piaccia, che poi chissà da dove è venuta quell’estetica confortante.
Sono stati begli anni, non c’è niente da dire a riguardo, qualcosa da dire sul fatto che debba concludersi in qualche modo o in qualche modo si, ecco. Che alla fine i nostri gruppi preferiti saranno solo i gruppi preferiti dei trentenni e poi dei quarantenni e così via e di tutta la nostra adolescenza, considerata in termini ampi, chissà cosa rimarrà: foto che non avremo stampate perchè era finita l’epoca dei rullini, abbiamo visto l’alba di Instagram ed il tramonto di My Space, anche se alle medie qualcosa di MySpace abbiamo visto, rimarranno dischi e magliette che avremmo voluto comprare dopo i mille mila concerti che abbiamo visto - davvero quanti? - e che poi non avevamo mai abbastanza soldi, ma aspetta adesso abbiamo i soldi e non abbiamo i concerti allora vai ti iscrivi su Discogs e sembri tuo padre quando tu eri bambina che comprava i dischi dei suoi vent’anni e via così. Poi su quello tante cose sono andare diversamente.
La nostra adolescenza (pre e post). Alcuni appunti
Inizialmente erano le amichette delle medie che avevano internet e che scaricavano da emule la decina di canzoni che scrivevi sui foglietti, poi tutti i cd masterizzati e le chiavette con tutto quello che capitava, che davvero cosa non c’era. Quella volta che ti avevano passato la canzone giusta che dopo più 15 anni ti ricordi l’esatto momento in cui l’hai ascoltata per la prima volta (fermata del 17 mentre scendevo) e anche la prima volta che l’hai fatta sentire (Irene Beppe Gambetta).
Sono arrivati gli mp3 e dio li benefica, la fnac, i cd a 9 euro, la primavera dei dischi - nota bene, non dei vinili, quelli sono tornati qualche anno dopo, all’epoca noi ragazzini neo classe media, figli di una classe povera e poco radical chic aveva tantissimi CD - quel semiinterrato che ha visto tutta la tua formazione musicale - letteraria e culturale, fondamentale al pari dell’analisi logica e dell’aritmetica, che Dio benedica pure la Fnac di via Venti settembre ovunque si trovi oggi. E pure quella di Milano che all’epoca ci sembrava qualcosa di impossibile da raggiungere, come Milano, del resto. La nostra educazione sentimentale a suon di chiavette - mp3, padri devoti alla causa, Trl, cd masterizzati e le cuffie della Fnac. Amen.
9 Euro e avevamo 12 tracce, è vero a quel prezzo c’erano quelli già un po’ vecchiotti ma noi potevamo aspettare, tranne che con i Simple Plan che volevo tantissimo e feci addirittura spendere 19 euro, inutile parlare del senso di colpa sebbene sia ancora lì, nello stesso posto, bellissimo. Avevamo lo sportelletto del pc, del fisso ancora tante volte in cui potevi masterizzarlo e moltiplicarlo e oggi quanto mi manca lo sportelletto del cd in questi pc nuovi, perchè non ce l’abbiamo più vi prego ditemelo. Ad ogni modo, 9 euro e niente pubblicità e scorrevano quelle tracce li, esattamente come erano state pensate, esattamente con un senso. Temo drammaticamente il momento di quando non avremo più lettori cd sulla faccia della terra. Sarà orrendo.
Poi è arrivato internet in molte delle nostre case, era la terza superiore, i telefonini a colori e che a volte facevano pure delle foto, è arrivato facebook msn e tutto di nuovo cambia.
Poi è arrivato Instagram, Irene è stata una pioniera di Instagram, l’ha scoperto quasi subito per seguire i nostri idoli di allora, che poi tanto idoli non erano, ma avevano qualche anno più di noi e ciò bastava a renderli tali. Io era in quarta superiore, lei in quinta. Ricordo quel 2011 ancora, come uno degli apici della mia vita felice. Anche se forse, non ne ero pienamente consapevole, semplicemente perchè, proprio come adesso, volevo tutto e quella felicità non mi è mai bastata.
Poi è arrivata l’Università e tante altre cose, Youtube, qualche anno di Spotify premium, i soldi illusoriamente miei e che non bastano mai. Milano che era più vicina, quell’idea di mondo così come volevamo realizzare a portata di mano, eppure ancora incertezze e quella vita simbolica che sembrava non realizzarsi.
Di tutto questo vorrei solo qualche foto stampata in più.
La paura della parola fine
Alla fine del sogno
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Romance senza nobili: oh my!
Dopo la lista di libri romance che somigliano in qualche tratto alla serie Bridgerton di Julia Quinn, dopo la lista dei miei Duchi, Marchesi, Conti e Visconti preferiti all’interno del genere romance, la mia amica Manu fa: Mary, dovresti proprio fare anche una lista dei tuoi romance preferiti senza nobili! Mi sembra giusto, no?
E io ho pensato avesse ragione, ma la categoaria non nobili è un tantino ampia, infatti contiene soldati, figli illegittimi, padroni di case da gioco, cortigiane, pirati, pugili, steward, imprenditori, poliziotti, proprietari di saloon, indiani e se poi aggiungiamo tutti i romance ambientati in America che di solito non hanno nobili chi la finisce più?
Perciò in questo caso, per rendere la lista breve, mi sono data una super regola: vi consiglierò solo i romance cartacei in italiano senza nobili che ho in libreria. Stop.
Più avanti in altre liste riguardanti argomenti (plain jane o carovane) o autrici specifiche (tipo Pamela Morsi) troverete presenti molti altri romanzi senza personaggi di alto lignaggio, ma stavolta la lista riguaderà solo ciò che posseggo in cartaceo e quindi sarà breve, perchè ormai leggo per lo più in ebook.
Ecco i romance storici senza nobili (e senza elementi paranormal) in lingua italiana che ho in libreria:
Titolo: Una nuova vita
Titolo originale: The Bridal Season
Autore: Connie Brockway
Link: https://amzn.to/38y8atP
Trama: 1890 Letty Potts, figlia illegittima di un visconte e di una cameriera, si guadagna da vivere facendo l’attrice, ma al momento è disoccupata e si vede costretta a lasciare Londra. Il destino, però, ha in serbo un regalo speciale per lei: un biglietto del treno buttato ai suoi piedi da una donna che organizza matrimoni per personaggi altolocati. Letty approfitta immediatamente dell’occasione: prende l’identità della donna e parte per un viaggio che ha come destinazione l’avventura. E, forse, una delle tappe sarà l’amore…
La mia opinione: uno dei romanzi più famosi di Connie Brockway e a ragione. Mi era piaciuto molto. Sì, è vero, gioca molto sugli equivoci e sui giochi di ruolo, ma la protagonista cerca davvero di organizzare bene il matrimonio dei suoi clienti con tutta se stessa, il lettore percepisce come voglia veramente cambiare vita e non può che tifare per lei, nonotante ne capitino di tutti i colori. Commedia degli equivoci, ma anche romantica. La consiglio caldamente. Anche perchè la trama si discosta dai soliti romance.
Titolo: Un sentimento splendido
Titolo originale: Somebody Wonderful
Autore: Kate Rothwell
Trama: America Fine 1800. Incontrando il rude poliziotto irlandese Mick McCann a Timona Calverson, ricca e famosa fotografa, bastano solo pochi attimi per rendersi conto che è quello l’uomo a cui vuole donare il proprio cuore. Ma Mick, persuaso che sono troppo diversi e che non potranno essere felici, fa di tutto per resisterle. Toccherà a Timona convincerla del contrario. Con qualsiasi mezzo.
La mia opinione: Non lo ricordo perfettamente, l’ho letto tempo fa, ma mi sembra che la trama, piuttosto confusa, si riducesse a una serie di scuse che l’eroina cercava per rimanere a vivere col poliziotto e convincerlo a portarla a letto. E il poverino non sapeva più che pesci pigliare per fare la cosa onorevole perchè lei lo martellava senza fine. Lei non mi era piaciuta come personaggio, ma lui sì. Poveraccio.
Titolo: Un’eredità peccaminosa
Titolo originale: The Bequest
Autore: Candice Proctor
Link:https://amzn.to/3oA5zFD
Trama: West fine 1800. Gabrielle Antoine conduce una vita serena nel convento di New Orleans, che la ospita da quando era bambina. Un giorno, però, scopre di aver ricevuto in eredità una casa nel Colorado. Giunta sul posto, ha un'amara sorpresa: la casa è adibita a bordello e bisca. E Gabrielle ha addirittura un socio in affari, il cinico avventuriero Jordan Hays. Pur determinata a trasformare il bordello in una scuola, ben presto Gabrielle si accorge di volersi arrendere all'amore e al fascino di quell'uomo sconosciuto.
La mia opinione: Non aspettatevi qualcosa di meraviglioso come i libri di La LaVyrle Spencer, ma Candice Proctor in questo libro è stata brava. Se non ricordo male, mi era piaciuto. Certo bisogna che a uno piacciano le trame Western di un certo tipo, ma lo consiglio.
Titolo: La lezione di piano
Titolo originale: Weeping Angel
Autore: Stef Ann Holm
Trama: West fine 1800. Il proprietario di un saloon, Frank Brody e la maestra di musica Amelia Marshall ordinano entrambi un pianoforte. Ma purtroppo in città ne arriva solo uno. Nessuno dei due vuole cedere, e Frank propone lo usino a turno. Ma frequentarsi non porterà certo nulla di buono per persone così diverse. O forse no?
La mia opinione: Questo non lo ricordo per niente. Vuoto totale. Ma la trama sembra carina e potrebbe essere divetente. Magari lo rileggerò.
Titolo: Fra le tue braccia
Titolo originale: Harmony
Autore: Stef Ann Holm
Trama: West, fine 1800 circa. Sospesa dall'insegnamento solo perchè ha cercato di fare in modo che le sue alunne non arrivassero del tutto ignoranti dei fatti della vita fino all’altare Truvy Valentine decide di prendersi una pausa, allontanarsi da Boise e andare a far visita a una cara amica nel Montana. Lì conosce Jake Brewster, proprietario di una palestra, grande, grosso, e aspirante bodybuilder. Sebbene conosca le regole che accompagnano la scelta del marito di una ragazza della buona società, Truvy è totalmente disarmata di fronte a Jake Brewster, a cui sembra importare solo della boxe e del poker. Ma il destino ha ancora le carte coperte...
La mia opinione: lo ricordo poco. L’ho letto anni fa, almeno dieci annio fa per l’esattezza, ma mi sembra fosse carino e ironico.
Titolo: Proposta di passione
Titolo originale: An Improper Proposal
Autore: Patricia Cabot
Trama: Payton Dixon è stata educata come un uomo, nel suo petto però batte il cuore di una vera donna. Il capitano Condor Drake è l’uomo dei suoi sogni e ora sta per sposarsi con Becky. Solo alla vigilia delle nozze, un bacio appassionato rivela quei sentimenti che tra loro per troppo tempo erano rimasti celati… Il matrimonio è annullato, Becky si imbarca per fuggire ma Drake, uomo d’onore, la segue. E quando la nave del capitano viene attaccata dai pirati, sarà Payton a portarlo in salvo, rischiando tutto per il vero amore
La mia opinione: Senza dubbio il mio preferito della lista. Una storia romantica e super sensuale tra pirati incapaci, naufragi in isole deserte, fratelli ubriachi e molta passione. Io lo trovo spassoso ed avvincente e se avete amato i film I pirati dei Caraibi o Laguna Blu è consigliatissimo.
NOTA BENE: questi non sono (a parte Proposta di passione che lo è) i miei romance preferiti senza nobiltà presente, sono solo quelli che avevo in libreria. I miei preferiti sono altri, li ho in ebook sul mio kindle e molti di loro (ma non tutti) sono inediti in italiano. Ne parlerò in futuro in altra sede. Intanto mi fa comunque piacere averbi presentato questi romanzi poco famosi che io stessa ricordavo poco, avendoli lettti molti anni fa.
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25 agosto 2020
Credo di essere arrivata al mio limite. Basta una sola goccia a far traboccare il vaso. Vorrei che il tempo si fermasse così da poter riprendere fiato e riposare. Vedo le vite frenetiche e divertenti degli altri su instagram e mi chiedo cosa non va in me. So che instagram non è la verità, ma vedere la felicità o almeno la finta felicità che le persone pubblicano mi rattrista. Vedo persone crescere, sposarsi, avere figli, (è comunque troppo presto per me), ma anche guardando a cose più semplici, vedo la gente che ha un obbiettivo nella vita, si impegna, studia, lavora. Poi ci sono io.
L’unica cosa che vorrei fare è stare a letto a guardare la tele e dormire. Vorrei essere una ameba, senza responsabilità e senza il dovere di avere il sorriso in faccia per gli altri.
L’università mi sta lentamente uccidendo. è come avere una ferita aperta sul petto. Continua a fare male, anche nei momenti in cui penso di aver finalmente staccato la testa. Devo finire gli esami. Devo studiare. Devo pensare a finire il laboratorio e scriverci la tesi. Devo pensare a cosa voglio fare in magistrale. Tutto questo mi sta asfissiando. Ho un cappio al collo che continua a stringere e non so come liberarmene.
Non ho mai sentito un peso così grande per lo studio. All'inizio, quando ho cominciato a studiare per la sessione estiva, mi dicevo “è la quarantena che ti ha distrutta. Devi riassaporare la libertà per un po’, ma poi rimetterti al lavoro”. Ma ora non credo che sia così. Non so cosa sia, so solo che non posso continuare così.
è due giorni che cerco di studiare. Ieri mi è sembrato non finisse mai. Ho guardato la tele tutto il giorno e non sentivo neanche il senso di colpa per non aver studiato niente. Sono arrivata al punto che non mi interessa più. Non mi interessa se non passo questi ultimi esami del cazzo e non mi interessa neanche più laurearmi. Come faccio a ritrovare la voglia? Non solo di studiare, ma di vivere.
Ieri sono sparita. Non ho parlato con nessuno e visto nessuno. Sono partita dal mare alle 8:30. Ho salutato i miei e non ho più parlato. Sono stata in silenzio tutto il giorno. Da un lato è rinvigorente. Nel senso che si riesce a togliere quella facciata che si mostra al mondo. La facciata socievole e sorridente. Dall’altro è spaventoso: sono stata me stessa ieri. Sola, triste e indifferente. Ho sentito tutto quello che avevo dentro e che stavo nascondendo da un po’. Ha rimbombato nelle mie orecchie e non riuscivo a ignorarlo.
Spero che il prossimo weekend in montagna mi faccia bene. Non pretendo di essere felice veramente, vorrei solo non pensare a tutti i problemi. Con felice veramente intendo quella sensazione nel petto che non ti fa smettere di sorridere e che ti da una leggerezza nella mente. Quando sono felice mi sembra di fluttuare. Da questo fine settimana chiedo solo un pizzico di serenità, anche perché non ricordo neanche più quando è stata l’ultima volta che sono stata felice. Sti cazzi. è una cosa orribile. Come ho fatto a finire così?
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Ventidue anni.
Ritornare a casa è un po’ come ritornare al passato. La casa in cui sei cresciuta, le strade che hai percorso per anni andando a scuola, gli stessi vicini da vent’anni, il parco dove passavi i pomeriggi con gli amici. È un tuffo nei ricordi e nelle immagini che la tua mente ha fotografato.
Ritornare a casa significa anche vedere che tutto è ancora come prima. Niente è cambiato. Certo, ci sono nuovi bambini e nel frattempo qualcuno se n’è andato permanentemente ma, generalmente, tutto è ancora fermo così come lo avevi lasciato.
Negli ultimi sei anni ho vissuto in quattro nazioni diverse. Sono partita per gli Stati Uniti a 16 anni, a 18 avevo finito il trasferimento a Groningen, nei Paesi Bassi, mentre a 21 preparavo le valigie per Salamanca, in Spagna. Il giorno del mio ventiduesimo compleanno ho sistemato i miei vestiti nella mia nuova camera a Bologna.
Negli ultimi sei anni ho vissuto la Vita, con la v maiuscola. Ho incontrato le persone più strane, con gli accenti e il colore della pelle più diversi che mai. Ho conosciuto stili di vita che neanche credevo esistessero e mangiato cibi di culture che venivano dalla parte opposta della Terra. Ho imparato ad ascoltare sempre, senza mai giudicare. Ho capito che la comprensione è l’unica risposta a molti problemi. Soprattutto, gli ultimi sei anni mi hanno dato la possibilità di avere nella mia vita delle persone essenziali, che ogni giorno mi insegnano cose nuove e che mi spingono a migliorarmi, tramite il loro esempio. Persone che (a me piace descriverle così) portano la primavera. E che, quando ci parli, ti trasmettono una sensazione di calore. Non credo che molte persone capiscano la percezione che sto descrivendo, perciò mi ritengo fortunata.
Tuttavia, queste relazioni non sono la cosa più importante che gli ultimi sei anni mi abbiano portato. Gli ultimi sei anni mi hanno portato a me stessa.
Prima di partire per gli Stati Uniti ho vissuto una vita all’interno della mia zona di comfort. La maggior parte della gente lo fa. È la vita dentro una routine: mi alzo, faccio colazione, vado al lavoro, stessi colleghi, pranzo, esco da lavoro, mi fermo al bar, stesse persone da 20 anni, torno a casa, cena in famiglia, serata davanti alla tv, letto. Molte sono le persone che vivono questa vita e molte sono le persone soddisfatte da questa vita. A 16 anni, io, avevo voglia di qualcosa di più. Avevo voglia di più gente e più diversa, di più posti da esplorare, di più opzioni. Così, mi sono buttata fuori dalla mia zona di comfort, ovvero ho sfidato me stessa, infilandomi in situazioni in cui non mi ero mai messa prima. In queste condizioni di incertezza, in cui ero costretta a chiedere a me stessa quale passo fare o che strada prendere, sono cresciuta, perché ho scoperto i miei istinti, i miei desideri e i miei punti deboli. Soprattutto, ho imparato a tirarmi fuori dai guai, dalle situazioni più difficili e dagli imprevisti da sola, e con successo. Tra i vari eventi, uno in particolare me lo ricordo bene, perché mi ha ricordato le abilità che ho sviluppato negli anni. A gennaio 2018 mi sono ritrovata da sola, bloccata da una tempesta di neve all’aeroporto di Madrid, alle nove di sera. La mia destinazione era Salamanca (a due ore di bus dall’aeroporto), e due giorni dopo avrei dovuto dare un esame. Se non mi fossi presentata al test, con molta probabilità la data della mia laurea sarebbe stata posposta. Senza panico o ansie, ho chiamato mia mamma per aggiornarla e ho risolto la situazione. Se fosse successo qualche anno prima, sono sicura che, prima di capire cosa fare, avrei pianto un’ora, diventando poi dipendente dall’aiuto delle altre persone.
Scrivo tutto questo perché sono molto orgogliosa dei miei ultimi sei anni. Ci sono stati momenti difficili, come in ogni situazione in cui si vive fuori dalla zona di comfort, e molti altri momenti di massima felicità. Anzi, oserei dire che la felicità è l’andamento principale, perché io sono Felice, con la f maiuscola. E gli ultimi anni hanno sicuramente contribuito al mio stato mentale.
Conosco persone che non hanno mai fatto un passo fuori dalla zona di comfort e oggi si sentono intrappolate nelle loro vite. Ci sono altre che sono felici perché amano la stabilità. Altre che sono felici nella routine, o nel sistema sociale del crescere – (studiare)- incontrare qualcuno – trovare un lavoro – sposarsi – avere figli – comprare casa – andare in pensione - morire. Se si è genuinamente felci della propria vita, allora non posso che essere contenta per queste persone. Tuttavia, quello che voglio sottolineare è che non tutti scelgono questo schema. Io, ad esempio e per il momento, non l’ho scelto, perché non voglio schemi. Le cose migliori che mi sono successe sono sempre state inaspettate, e per questo scelgo la strada dell’incertezza. La strada che mi porta ad essere emozionata ogni mattina per le possibilità che il giorno nuovo mi porterà.
Ritornare a casa, per me, significa ritornare sempre cambiata, sempre evoluta, in uno scenario che invece è fermo. È fermo nella mentalità e nell’innovazione. È uno scenario che vede il mondo attraverso il telegiornale o attraverso le parole di chi ritorna. Ritornare a un paesino, come il mio, significa anche ritornare a un paese che ha paura. Ha paura del diverso, dell’ignoto, della solitudine. Io mi sento come un pesce fuor d’acqua. È difficile descrivere come il luogo che ti ha visto crescere sia, tutto d’un tratto, così estraneo. È difficile raccontare come ti possa sentire così distaccata da delle persone con volti tanto familiari. Questa è la parte più difficile del viaggio. Non sapere che cosa dire di fronte a delle frasi fatte, costruite su degli stereotipi, o non sapere cosa rispondere di fronte a delle domande impertinenti (e aggiungerei sessiste) su come gestisci la tua vita sentimentale.
Il mio più grande augurio, per chiunque, è quello di salire in macchina e partire. Non serve andare lontano, basta partire. Mi auguro che tutti riescano a sentire, anche per un breve periodo, quello che sento io. Il fremito dell’incertezza, il desiderio per l’avventura, l’emozione della curiosità. Riscoprirete il piacere delle cose piccole, che sia una strada di campo che vi ricorda casa, una giornata di sole dopo una settimana di pioggia, o vostra sorella che vi chiama per raccontarvi la sua giornata. Riscoprirete il significato dell’affetto e dell’amore, quando sorriderete ad uno sconosciuto, conoscerete amici in posti in cui non avreste mai messo piede prima o quando dovrete sopportare di non vedere le persone a cui volete più bene per mesi. Magari vi innamorerete di altri viaggiatori o di persone qualunque per strada ed imparerete il significato vero del lasciarsi e lasciare andare. Sentirete di nuovo cosa significhi vivere, perché vi sentirete vivi in tutto il corpo. E dopo questo viaggio tornerete a casa, perdonerete chi vi ha fatto del male e abbraccerete più forte chi vi vuole bene. Vi renderete conto che la vita è così breve, che non c’è tempo da perdere dietro cose che dopodomani già non avranno importanza, ma che è necessario vivere ogni minuto come se non tornasse, perché non torna.
Spero che un giorno riusciate a provare tutte queste emozioni. Nel frattempo, continuerò a raccontarvele io.
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Caro papà
Non so se queste parole arriveranno fino a te,lassù..Ma ci provo.
Ho deciso,divorzio!!
Sarò una divorziata...Proprio come te.lo avevi previsto ancora prima che mi sposarsi.
Ricordo ancora le lacrime quando annunciai le nozze.
Avevi capito prima di me...Ma desideravo averti all altare...anche tu eri eccitato all idea.
Purtroppo te ne sei andato prima,all altare mi aveva portato mamma.
Eh si,mamma...quella che C e sempre stata anche quando tu nn c eri
Cmq
Restiamo sul pezzo
Chiedo il divorzio
Lo farò tra un mese.
Prima devo fare un'altra cosa...più bella ...Ma che dico..la migliore in assoluto..vedere mia figlia E godermi i momenti con lei.
Dopo...tra un mese lo faccio.
Ho deciso.
Mi sento sola...sola e forte allo stesso tempo
Mi sento come se ,come dice Jovanotti,con la forza di un aeroplano prendessi in mano la mia vita e la trascinassi in salvo.
In salvo anche da me
Da quella me che ero diventata vicino a lui
Quando ci penso piango
L idea di rivederlo mi fa stare male
Mi fa ripensare al periodo più brutto della mia vita
Il nostro ultimo anno insieme
Devo farlo
Devo!
Papà..almeno tu....spero che da lassù riesci a sentirmi..a vedermi
Ho gli occhi pieni di lacrime,ma DEVO!
Dammi solo la forza di affrontare la cosa..poi vado come un panzer.Mi conosci
Papà....Sarò Anch io una divorziata.
Sai bene che significa
Ma credo che,a differenza di te,non mi risposero manco pagata,sebbene il mio cuore è abitato da un'altra persona da un Po di tempo
Una persona che è entrata nella mia vita in modo strano, che ho tentato di far uscire mille volte...invece è rimasto...Non mi chiedo quanto durerà... dipende dagli andazzi.non mi illudo...Nn serve ...anche perché l'amore della mia vita,quello vero,ce l ho da 7 anni...è per lei che vivo... lei per me è TUTTO....
Divorziero'..Ma lui rimarrà sempre il suo papy,non glielo metterò mai contro!perché mai dovrei??Non mi abbasso a tanto e mai mi abbasero.
Papà...sei stato proprio tu a dirmi di nn abbassarmi mai davanti a nulla....a insegnarmi a cadere e rialzarmi piu forte di prima
Ti sento vicino.....strano ma vero.
Dammi solo la forza che mi occorre x compiere questo passo.
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Riflessione del giorno (seria, non le solite cazzate):
Se un giorno dovessi diventare madre, e diventassi una di quelle neomamme che crede di aver capito tutto della vita solo perché ha scodellato un neonato dalla passera (e questa credo sia una citazione da Juno, ma non ricordo bene...era carino Juno, dovrei rivederlo), vi prego: prendetemi per le braccia e scrollatemi forte finché non rinsavisco. Datemi pure una pizza in testa, se serve.
Credo che sia un’esperienza comune a tutte le persone che hanno tra i venti e i trent’anni, questo agghiacciante scoprire che persone che ritenevamo straordinariamente illuminate, che prendevamo ad esempio a scuola, all’università, magari al lavoro se ci abbiamo lavorato insieme, sono come...appassite e regredite, una volta diventate madri o padri.
Forse in realtà non hanno fatto altro che buttare giù la maschera approfittando del senso di (malriposta) onnipotenza data dalla maternità o paternità (più la maternità, comunque: sarà perché certe credono che essere “sopravvissute” alle doglie le abbia rese “superiori” a tutte le altre donne, anzi: a tutti gli altri esseri umani che non abbiano mai esperito il parto), ma per alcune persone il cambiamento è così radicale e sorprendente che, insomma, o per tutta la vita hanno recitato così bene che si dovrebbe notificare la loro bravura all’Academy per un Oscar ad honorem, o davvero hanno fatto un giro di 180° e sono diventate persone orribili. Forse sono gli ormoni, o la mancanza di sonno, o l’astinenza sessuale, non so, comunque qualcosa ci deve essere.
Persone che si fidavano della scienza e della tecnologia diventano antivax e complottiste (ma continuano a pubblicare centinaia di foto dei loro neonati su almeno tre social diversi, perché è importantissimo che tutti sappiano che hanno partorito o fecondato la loro compagna, a seconda).
Persone liberali o addirittura di estrema sinistra (ma estrema davvero, eh) che diventano leghiste o peggio grilline. E vi ho detto tutto.
Atei convinti o vincitori del campionato di bestemmia olimpionica “San Germano Mosconi Vergine e Martire” (di ambo i sessi, beninteso, ma anche qui: più le donne) che si svenano pur di sposarsi nella cattedrale più vicina con cerimonia celebrata dal Monsignor Tal Dei Tali (ma solo perché il Papa era impegnato, sennò matrimonio in trasferta a San Pietro eh) e battezzano i figli in pompa magna (talvolta davvero in trasferta a San Pietro), ufficialmente “per far contenti i parenti/per festeggiare” ma in realtà perché altrimenti si sentono in colpa nei confronti delle “tradizioni”, non certo perché hanno scoperto una vera fede (che sarebbe stata una cosa nobilissima, per carità).
Persone che dichiaravano di essere pro-lgbt, che magari andavano pure al Pride o frequentavano tranquillamente persone omosessuali o trans, che cominciano a mettere paletti arbitrari qua è là, roba tipo “però il matrimonio uguale a quello degli etero no”, “i figli non li devono fare né adottare” e stronzate omo-transfobiche varie mascherate da pietosa compassione per l’eventuale prole che “poverini, come crescono con due gay/due lesbiche/uno o due trans?” (risposta: meglio che con due etero antivax, razzisti e omo-transfobici, ne sono certa, ma pare che dirlo sia scortese e che si debba fare buon viso a cattivo gioco e fingere che tutte le opinioni siano legittime, altrimenti poi ti dicono che li stai “censurando” - vabbé) o per la stessa coppia che “ma che ve ne frega di essere uguali agli etero?” (e, insomma, io sono abbastanza sicura di essere etero, ma penso che il punto non sia voler essere “uguali agli etero” nella forma, ma avere gli stessi diritti nella sostanza - mi sbaglio?), mentre in realtà c’è solo la malcelata voglia di essere e sentirsi superiori per diritto di nascita (ma pare che sia scortese anche dargli dei suprematisti di merda, ti dicono che stai “discriminando al contrario”, anche se non ha senso perché, se così fosse, da etero e cis mi starei...discriminando da sola? Chi mai lo farebbe? Boh).
Insomma persone illuminate, intelligenti, progressiste che all'improvviso, da qualche parte tra il test di gravidanza positivo e il parto, diventano degli stronzi da manuale. E perpetuano quelle stesse istanze di ignoranza e discriminazione che giuravano di voler combattere. Dicendo che è per il bene dei loro figli. Ed è questo che mi fa incazzare di più, se almeno dicessero “siamo cambiati per egoismo” sarebbero sinceri, starebbero dicendo una verità che è già palese a tutti tranne che a loro.
Forse, per evitare certe delusioni, dovrei chiudere Facebook una volta per tutte o almeno evitare di esprimermi riguardo a temi “caldi” là sopra, o fare quella baggianata dell’escludere alcune persone dalla vista di certi post, o disabilitare i commenti sui miei post (si può fare? Non ricordo), insomma diventare il tipo di persona che non vorrei essere, cioè una che si tappa miseramente gli occhi e le orecchie invece di ribattere ed affermare a testa alta le proprie idee.
Ma è difficile, quando si è soli.
Tra i miei amici, ex compagni di scuola, ex colleghi di università ed anche attuali colleghi di lavoro (e meno male che non faccio un lavoro tipicamente “da ufficio” e quindi quando li vedo abbiamo davvero troppo da fare per parlare di politica o società o anche dei cazzi nostri), sono l’unica che abbia determinate idee e convinzioni. Su qualunque cosa sono sempre la pecora nera, quella che la pensa diversamente dagli altri. Quella “troppo aperta di mente”.
Detto così, come se fosse un difetto.
Finisco sempre per sentirmi ridicola quando dico quello che penso, perché loro mi fanno sentire così. Perché mi guardano dall’alto in basso, fieri dei loro muri mentali e del loro lento, inevitabile, tragico omologarsi. E la cosa peggiore è che a volte non lo fanno apposta, o per ferirmi: è un riflesso condizionato.
E allora i miei rapporti interpersonali diventano superficiali, le mie amicizie declinano verso un essere più che altro conoscenti che si radunano occasionalmente, o perché è Ferragosto e si va al mare o perché uno di loro si sposa o diventa genitore - e allora fa comodo l’amica single, o meglio zitella, e nullipara: serve a confrontarsi, a farli sentire più realizzati (col lavoro non si può più fare, siamo tutti troppo precari e spiantati) - o perché c’è un compleanno e si brinda con lo spumante che sa di tappo nella casa nuova pagata dai genitori.
Non mi sento parte della mia generazione.
Non mi sento figlia della mia età.
Non mi sento “giusta”.
#lo dico sempre che di lunedì sarebbe meglio se lavorassi#rambling#su tutto#sulla condizione adulta#sulla vita#sui social del cazzo#su facebook del cazzo in particolare
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IL POTERE DEL TRIO COINCIDE COL MIO
ma non certo con il reboot di Streghe.
In effetti, con il reboot di Streghe mi coincide, prima e soprattutto, una certa acidità di stomaco.
Quando è stato dato l’annuncio che l’avrebbero prodotto e trasmesso, da grande fan della serie originale ho accolto la notizia con lo stesso aplomb con cui Merida apprende che avrebbe dovuto sposarsi: ho sbroccato, sono scappata nella foresta e ho trasformato mia madre in un grizzly.
Suppergiù.
La vita, però, è troppo breve per guardare poche serie tv. Finché un concilio vaticano non chiarisce definitivamente la disputa dogmatica se Netflix esista o no anche nell’aldilà, ritengo sia meglio fare scorta adesso di quanti più telefilm possibili: così, ho pensato, seppur scettica ne avrei comunque visto il pilota. Se poi mi fossi ricreduta ne avrei guadagnato una serie in più da aggiungere al curriculum, e poco non è.
Come Miranda Pristley, insomma, mi sono detta provaci, corri il rischio, assumi la ragazza sveglia e grassa guarda almeno un episodio.
Come penso si sarà capito, non mi aspettavo niente.
E infatti niente mi hanno dato. Acidità di stomaco a parte, that is.
L’episodio pilota è stato terribile. Spiritualmente, ecumenicamente, grammaticalmente. La prova stessa dell’esistenza del Maligno. Se tutta la serie si attesta su questi livelli, che Dio ci aiuti.
[Piper e Leo vengono a sapere del reboot]
Badate bene: non è la nostalgia per il telefilm originale a parlare, non è un voler essere necessariamente ostile (per quanto comunque ritenga che rimpiazzare la Halliwell sia blasfemo), non è un rifiuto a priori dell’idea del reboot (per dire, quello di Sabrina, vita da strega - altra pietra miliare della mia infanzia/adolescenza - mi incuriosisce parecchio).
È che, semplicemente, ‘sto reboot in particolare fa schifo.
Tralasciando la recitazione del nuovo trio (chissà quanti “cagna maledetta” di renéferrettiana memoria saranno risuonati durante le riprese) o il fatto che le attrici sembrino totalmente ed inguaribilmente anonime, il problema risiede innanzitutto nei personaggi in sé e per sé.
Le nuove sorelle sono insipide, prive di qualsivoglia spessore e di peso drammaturgico. Dovrebbero essere le protagoniste, sembrano invece delle macchiette di contorno. Ho visto batteri di escherichia coli con più carisma di loro.
Il confronto è impietoso, ma dato che è stato il reboot stesso a volersi mettere in competizione con l’originale (dirò meglio sotto), va fatto:
io mi ricordo bene che sensazione hanno lasciato le sorelle Halliwell alla loro prima apparizione. Le loro personalità erano state delineate bene fin da subito. C’era la maggiore, Prue, che era quella più matura e responsabile, quasi rigida. C’era la sorella di mezzo, Piper, che cercava di mantenere in equilibrio i legami familiari. C’era infine la sorella minore, Phoebe, che era l’esatto opposto di Prue, immatura e scanzonata.
Poi, con la morte di Prue e l’introduzione di una nuova sorella(stra) minore, Paige, alle due sopravvissute è toccato assumere un ruolo diverso. Così, Piper è diventata la maggiore, con le responsabilità annesse, Phoebe quella di mezzo, e anche lei in qualche modo si è trovata a fare da mentore. Il tutto, comunque, si appoggiava su fondazioni gettate fin dal primo episodio della prima stagione.
Al contrario, Melanie e Maggie Vera e Macy Vaughn non sembrano tre entità adeguatamente distinte. Già il fatto che anagraficamente ci siano pochi anni di differenza non le aiuta: mi pare di capire che siano tutte e tre al college, cosa che inevitabilmente appiattisce ed uniforma lo sviluppo dei personaggi. Le quattro originali, invece, erano rispettivamente impiegata in una casa d’aste, uno chef, una studentessa poi giornalista, un’assistente sociale. Contribuivano alla storia fornendo un background variegato, perché variegate erano le vicende che emergevano singolarmente.
Per quanto riguarda la personalità, Melanie e Maggie caratterialmente sembrano molto simili. Entrambe testarde e ferme nelle loro convinzioni, giusto una più pusillanime rispetto all’altra. Macy, al contrario, è ancora indefinita. La stanghetta della sua caratterizzazione è, e non esagero, allo stato dell’arte ferma decisamente sullo zero.
Mi domando allora come possano Grazia, Graziella e Graziaarcazzo pretendere di rappresentare per le nuove generazioni quello che Prue, Piper, Phoebe e Paige sono state per noialtri vecchi. Ma con che coraggio hanno osato anche solo pensarlo? Specie con la concorrenza che si trovano ad affrontare.
E se queste sono le premesse, con le redini poste in mano a questi tre helicobacter pylori, si potrà mai eguagliare l’epicità della storia tra Piper e Leo, o il tormento di quella tra Phoebe e Cole, o il dolore di quando, tra la terza e la quarta stagione, il Trio diviene un Duo?
[Paige, giustamente, di fronte a questo scempio suggerisce di ricorrere alla violenza]
L’unico personaggio che è riuscito a destare in me un vago interesse è stato l’Angelo Bianco Harry. Vuoi perché Rupert Evans è un attore migliore di tutte le altre tre messe assieme (a me piace dai tempi di Agora, e ancora mi chiedo come - da The Man In The High Castle - possa essersi trovato qua in mezzo), vuoi perché l’episodio si è chiuso con una nota ambigua nei suoi confronti, per quanto mi riguarda è l’unica cosa che si è salvata.
Altro problema del pilota è stato che, nel giro di appena quaranta minuti, succede TUTTO senza però che venga approfondito NIENTE.
Muore la matriarca in circostanze misteriose;
Una sorella di padre diverso si presenta alla porta dal nulla e nel giro di due decimi di secondo le tre diventano una famiglia (quanto ci ha impiegato Piper ad accettare Paige? Eh? Ma quanto ci impiegherebbe qualsiasi persona ad accettare l’arrivo di una sorellastra di cui ignorava l’esistenza? Sospensione dell’incredulità un cazzo: questa è solo pigrizia in fase di sceneggiatura, perché c’era materiale per una solida trama orizzontale);
Scoprono di avere i poteri
Melanie viene mollata (fuori campo!) dalla ragazza, e ritorna insieme a detta ragazza otto secondi più tardi (trama orizzontale? Cos’è, si mangia?)
Arriva l’Angelo Bianco;
Si illustra il compito delle prescelte;
Dopo una titubanza solo proforma, decidono di abbracciare il loro destino;
Viene sconfitto un demone buttato lì totalmente a caso (col bicarbonato. Sic e sigh);
Viene sconfitto un altro demone (con un incantesimo in latino. Sigh di nuovo. Ma quando mai le Halliwell hanno usato incantesimi in latino? E soprattuto, americani, perché vi ostinate, che tanto non lo sapete pronunciare?);
Viene accennato il fatto che la fine del mondo è prossima (o qualcosa del genere, onestamente non stavo più manco a sentire);
Viene instillato il dubbio che Harry possa essere cattivo.
Mancava giusto la dichiarazione di guerra alla Francia e avevamo fatto l’en plein.
Ora, dicevo che questo aborto reboot, ancora prima della messa in onda, si è incautamente posto in competizione con la serie originale, così inimicandosi buona fetta dei fan fedelissimi, cioè un vasto bacino di pubblico potenziale.
[La reazione dei fan]
È stato infatti il network stesso a promuoverlo, e cito, come “un reboot intenso, divertente e femminista della serie originale”.
Fermi tutti. Fatemi capire.
Si vuol forse insinuare che la serie originale non fosse intensa, divertente e femminista?
Mi state davvero dicendo che un telefilm che vedeva per la prima volta tre protagoniste donne, le quali combattevano il male e intanto si realizzavano anche professionalmente, non fosse femminista? Ohibò, devo essermi persa il memo.
[I conti non tornano nemmeno a Piper]
A ben vedere, il problema di questo reboot è proprio il suo (auto)decantato ed arrogante approccio al femminismo. Secondo me, infatti, lo affronta in maniera completamente sbagliata perché, tanto per cominciare, canna del tutto una regola fondamentale della scrittura creativa: mostrare, non raccontare (show, don’t tell).
Per prima cosa, è stato il reparto marketing del canale a dire che si tratti di uno show femminista. Se permettete, è compito dello spettatore giudicarlo. Aspetta che qualcosa gli venga mostrato (ma in questo caso fa prima ad arrivare Godot) e su quelle basi decide se corrisponda o no ad un tema, ad un’idea, ad un concetto astratto. Di certo non può (e nemmeno dovrebbe) basarsi solo sulla parola di qualcuno il cui unico compito è quello di vendere un prodotto.
[Anche le sorelle Halliwell giudicano. Oh, se giudicano]
In secondo luogo, anziché farci vedere le protagoniste alle prese personalmente con il sessismo, tipo Peggy Carter (cosa che avrebbe permesso di creare un legame tra personaggi e pubblico, il quale avrebbe provato empatia - altra regola fondamentale della scrittura creativa), il reboot sembra voglia prendere la strada più facile: ce lo racconta (e pure male). Così abbiamo semplicemente Melanie che se ne va in giro per il college ad affiggere manifesti, a battibeccare con un altro studente, e a buttare lì una frase sul consenso (sacrosanta, per carità) durante la festa di una confraternita. Capirai che roba. Avanguardia pura.
Nell’episodio 7x02 di Streghe è sorto il problema dell’allattamento al seno in pubblico. Perché è stato affrontato in maniera più efficace di quanto abbia fatto il reboot sui temi che questo si è proposto? Perché la questione ha riguardato direttamente e personalmente Piper. Non una tizia a caso, ma un personaggio principale che gli spettatori conoscevano e amavano. Il trattamento discriminatorio da lei subito (un cameriere si è rifiutato di servirla) viene percepito dal pubblico come un’ingiustizia perpetrata nei confronti del pubblico stesso. Lo spettatore si sente coinvolto nella vicenda, come se fosse capitata a lui (meglio dire lei, in questo caso) personalmente.
Reboot, abbi coraggio e fammi vedere Melanie discriminata perché donna, fammi vedere che guadagna meno, a parità di lavoro, di un collega uomo, fammi sentire la sua sofferenza come se fosse la mia sofferenza, e allora ne possiamo parlare.
Non basta avere un personaggio che appiccica un volantino per far apprezzare la (supposta) componente femminista dello show (o per dimostrare che quello show sia femminista sul serio). È anche necessario che quel personaggio faccia concretamente qualcosa. Il problema è che questa Melanie sembra, di primo acchito, il classico social justice warrior: una di quelle persone che, di fronte ad una barriera architettonica, anziché rimboccarsi le maniche e costruire una rampa per disabili, si mette ad insultare chi possiede due gambe funzionanti.
Il pilota affronta (oddio, “affronta”: cita vagamente, toh) il tema delle molestie alle studentesse da parte di un professore universitario e i movimenti Time’s Up e #MeToo (di cui, tra l’altro, Alyssa Milano e Rose McGowan, cioè Phoebe e Paige, hanno avuto un ruolo centrale).
Temo, però, che questa scelta narrativa si stata fatta al solo scopo di poter dire “Ehi, guardateci, guardate quanto siamo attuali! Guardate quanto stiamo sul pezzo!”, perché credo che manchino proprio le capacità di base per sviscerare l’argomento in maniera seria e approfondita (o anche solo - almeno -artisticamente interessante).
Dicevo che Charmed 2.0. non solo non mostra, ma racconta anche male.
Di recente Timeless (serie gioiello prematuramente cancellata), nell’episodio 2x07, ha fatto un salto nella New York del 1919 e ci ha fatto vedere le proteste delle donne che reclamavano il diritto di voto.
Ad Alice Paul prima (fu alla guida del movimento suffragista) e Grace Humiston poi (avvocato e investigatrice) gli autori hanno messo in bocca queste parole:
“Signor Presidente! Signor Presidente! Mi rivolgo a coloro tra voi che credono che le donne non riusciranno, non potranno e non dovrebbero farcela. Non riuscirete a farci tacere e non vi permetteremo di ignorarci! È scritto "Noi, il Popolo", e non "Noi, i cittadini maschi e bianchi". Parla di tutto il Popolo, quello che ha costruito questa Nazione! È arrivato il momento di concedere il diritto di voto alle donne!”
“Quando restiamo in silenzio, siamo da biasimare tanto quanto quelli contro cui lottiamo. E lottare è ciò che dobbiamo fare! Per quanto tempo gli uomini possono aspettarsi che le loro sorelle, le loro madri, le loro mogli, le loro figlie debbano esigere... debbano accettare meno... di quanto la giustizia richiede? Il suffragio femminile è inevitabile. È arrivato il momento di permettere alle donne, a tutte le donne, di avere la voce che tutte noi ci meritiamo così grandemente!”
A Melanie, invece, gli sceneggiatori di Charmed hanno fatto soltanto starnazzare “Crediamo alle donne”.
Allora mi chiedo
ma de che cacchio stamo a parlà? Ma cosa mi dovrebbe rimanere? Ma vi fa così schifo metterci un minimo di impegno? Ho capito che mirate ad un target (più) giovane dell’originale, ma credo che perfino un quattrenne di un asilo di Sondrio potrebbe giudicare quella scrittura eccessivamente sciapa e annacquata.
Il reboot, insomma, pare non voler fare altro che planare dall’alto con una superficialità imbarazzante (ma millantando il contrario) su un argomento cardine di questi anni che avrebbe tanto da dire e ancora di più da insegnare.
[Ciaone: le uniche vere prescelte si lasciano alle spalle questo abominio]
Ora, giunta in dirittura d’arrivo, una cosa mi preme chiarire: il mio non è un giudizio affrettato. A chi potrebbe obiettare che “Eh, ma hai visto un solo episodio, dagli tempo, vedi se migliora” contro-obietto che il compito del pilota è quello di vendere allo spettatore un prodotto nuovo. Deve dargli una panoramica di quello che vuole trattare la serie, e convincerlo a sintonizzarsi la settimana successiva per il secondo. Deve saper essere così irresistibile da costringere lo spettatore a rinunciare a guardare un’altra serie che va in onda su un altro canale, e guardare qualcos’altro.
L’unica cosa che questo pilota mi ha convinto ad acquistare, è stato il Maalox.
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