#spezzare le catene
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“Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è.” – Marguerite Duras
#frase del giorno#marguerite duras#resistere al cambiamento#cambiare si può#liberarsi#cambiare vita#cambiare abitudini#raggiungere obiettivi#paura del cambiamento#libertà interiore#schemi mentali#spezzare le catene#inerzia#pensiero del giorno blog#riflessioni mattutine#trasformazione interiore#zavorre
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Chi trascura l'ascolto,
trascura l'amore.
Nel dedalo delle relazioni umane, esiste una violenza silente, impercettibile ai radar convenzionali, ma devastante nella sua essenza: L'arte simulata dell'ascolto, dove le parole sono udite ma non accolte.
Rivela una mancanza di generosità nell'attenzione, un deserto emotivo che supera la semplice avarizia di tempo o risorse materiali.
Non c'è crudeltà superiore a quella di far sentire gli altri trasparenti, ignorati da chi sembra presente, ma in realtà, ha la mente altrove, impaziente di fuggire verso altri impegni.
Il dolore di essere trascurati, di dover mendicare frammenti di presenza autentica, è un'umiliazione che rafforza il senso di solitudine e inadeguatezza.
Questo tipo di disattenzione, quando si è costretti a supplicare per quell'interesse che dovrebbe essere offerto liberamente e con piacere, cristallizza la violenza in un solo attimo.
È spesso l’ultimo segnale di allarme, l’indicatore finale che qualcosa nel tessuto di quella particolare relazione si è irrimediabilmente strappato.
La dinamica della non-curante superiorità, travestita da normale distrazione, è una danza macabra attorno al fuoco dell'egoismo assoluto, dove la fiamma dell'autoconservazione brucia ogni speranza di connessione autentica.
Eppure, in questo scenario di apparente desolazione, emerge un sentiero di resistenza, non pavimentato di inutile rancore, ma di autostima.
All’ennesima e ultima richiesta di attenzione non concessa la consapevolezza di sé come entità indipendente, la cui stima non dipende più dall'ascolto altrui, diventa un bastione contro l'indifferenza.
Inizia allora un percorso di autoaffermazione che porta a spezzare le catene dell'elemosina emotiva, insegnandoci che la vera unione di sentimenti nasce dall'equità, non dalla supplica.
Tutte le vere crudeltà più spesso risiedono non in gesti manifesti ma in angoli dell'indifferenza.
Riconoscere questo è il primo passo per costruire un'esistenza dove l'attenzione indivisa diventa il dono più prezioso, una dimostrazione d'amore che trascende parole e persino molti altri fatti, riaffermando la sacralità dell'essere visti e sentiti, ovvero del bisogno assolutamente umano di connetterci gli uni con gli altri.
Chi trascura l'ascolto, trascura l'amore.
(Luca Pani - da "Prove di Volo: Manuale di Psiconautica Elementare")
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Nel dedalo delle relazioni umane, esiste una violenza silente, impercettibile ai radar convenzionali, ma devastante nella sua essenza: L'arte simulata dell'ascolto, dove le parole sono udite ma non accolte.
Rivela una mancanza di generosità nell'attenzione, un deserto emotivo che supera la semplice avarizia di tempo o risorse materiali.
Non c'è crudeltà superiore a quella di far sentire gli altri trasparenti, ignorati da chi sembra presente, ma in realtà, ha la mente altrove, impaziente di fuggire verso altri impegni.
Il dolore di essere trascurati, di dover mendicare frammenti di presenza autentica, è un'umiliazione che rafforza il senso di solitudine e inadeguatezza.
Questo tipo di disattenzione, quando si è costretti a supplicare per quell'interesse che dovrebbe essere offerto liberamente e con piacere, cristallizza la violenza in un solo attimo.
È spesso l’ultimo segnale di allarme, l’indicatore finale che qualcosa nel tessuto di quella particolare relazione si è irrimediabilmente strappato.
La dinamica della non-curante superiorità, travestita da normale distrazione, è una danza macabra attorno al fuoco dell'egoismo assoluto, dove la fiamma dell'autoconservazione brucia ogni speranza di connessione autentica.
Eppure, in questo scenario di apparente desolazione, emerge un sentiero di resistenza, non pavimentato di inutile rancore, ma di autostima.
All’ennesima e ultima richiesta di attenzione non concessa la consapevolezza di sé come entità indipendente, la cui stima non dipende più dall'ascolto altrui, diventa un bastione contro l'indifferenza.
Inizia allora un percorso di autoaffermazione che porta a spezzare le catene dell'elemosina emotiva, insegnandoci che la vera unione di sentimenti nasce dall'equità, non dalla supplica.
Tutte le vere crudeltà più spesso risiedono non in gesti manifesti ma in angoli dell'indifferenza.
Riconoscere questo è il primo passo per costruire un'esistenza dove l'attenzione indivisa diventa il dono più prezioso, una dimostrazione d'amore che trascende parole e persino molti altri fatti, riaffermando la sacralità dell'essere visti e sentiti, ovvero del bisogno assolutamente umano di connetterci gli uni con gli altri.
Chi trascura l'ascolto, trascura l'amore.
Luca Pani
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Il Negativo di Lucifero
Il bel verbificare m'è sempre caro in ore di tedio. E mi pare doveroso far sì che si manifesti chiara una cosa: io mi vedo dinanzi al foglio come tintor di tele astruse e invere, ebbre di senso e pregne di mistica estetica. Non colgo torto nel giocar con i figmenti di parlato per generare pesati sintagmi. Per esempio, il torto è colto poichè è ambedue scovato e da me raccolto nella misura in cui è strappato dai fasci d'erba. Questo è quanto mi premeva testimoniare in merito al bel verbificare, e si badi che dico testimoniare in quanto mi faccio vicario del mio pensiero ermeneuticamente convoluto: per cui non mi si venga a dire che vi sia sproposito vanitoso. Il bilancio dell'estetica e del suo senso intrinseco è imperativo. Che termini l'odiosa lamentazione.
È doloroso ammetter la ragione del mio fu compagno Lon per una volta ennesima sulle questioni della vita. In questo breve scritto non farò che dichiarare quanto finalmente ho compreso sull'essere microcosmico e terrestriale, quello di noi uomini, e tratterò della struttura che ho deciso di chiamare Negativo di Lucifero.
Non mi considero un uomo di scienze, seppur vi creda indubbiamente, poichè quel che penso danza per paradossali passi eccessivi, ma ho convinzione ferma e irremovibile che il tutto sia nella logica meccanico - mi si potrebbe puntar contro il dito, alla volta dell'incoerenza, ma so che il discorso di Dio non perisce nè fa perire nulla; che sia dato tempo al tempo, e la soluzione del divin enigma sarà parola -, ed il suo essere meccanico è materia dell'episteme della vita umana.
La vita è di per suo orribile e nefasta, dal momento che i meccanismi chimici delle nostre cervella son così intricati da darci parvenza di un'entità superiore del concepire, che in realtà è non vera. Si vive in un mondo intrinsecamente grigio, nella misura in cui tale è reso dai meccanismi terribili autogenerati in noi; una camera riecheggiante.
È quindi sia sbagliato che giusto affermare questa colorazione delle cose.
Conseguenza di questo paradosso è il male di vivere degli umani.
Le due vie percorribili sono, meramente, quella del paradiso infernale e quella dell'inferno paradisiaco.
In una, la prima, si vive secondo il grigio, nell'altra, la seconda, si osserva il Negativo di Lucifero. Procederò ad illustrarle entrambe.
Chi vive la prima vive più felice, poiché soddisfa la meccanica natura delle cose. Sfama i propri bisogni, adempie ai propri dettami, accetta la realtà e la imbraccia sfruttandone il vero.
Chi vive la seconda è invece più affranto. Immola la sua percezione al Dio Esteta, vive di un maligno mascherato da agnello che si ribalta nel suo realizzarsi, vive la vita falsa ma fa qualcosa che chi vive alla giusta maniera non può fare: le assegna un senso, seppur falso. Ma la sua falsità differisce dal grigio solo qualitativamente.
Ho intensamente ponderato su cosa sia meglio, a livello soggettivo, ed ho trovato la seconda vita migliore. L'unico senso di vivere è trovare un proprio falso senso, falso quanto il suo colore originale poichè mera percezione.
Personalmente ritengo che non vi sia realizzazione o senso migliore della Passione, esplicata nel mio flusso di coscienza precedente.
Chi osa solo proferir parola contro i venti di questa è uno schifoso schiavo del paradiso infernale, vincolato a catene sovrastrutturali che bramo spezzare come se le mie mani fossero tenaglie.
Covo ineffabile odio per coloro che mal interpretano quanto detto.
Se ogni colore fosse unito, non ne verrebbe che grigio. E quel grigio è unto di maligno più di quello naturale.
È il peggiore di ogni colore.
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Ecco quale fu l’esperienza del risveglio del Buddha: dopo sette anni di ascetismo portato agli estremi (digiunando, giacendo su letti di chiodi, dormendo su pietre appuntite e così via), avendo svolto tutte queste pratiche per spezzare l’egocentrismo, per acquisire il distacco e per annientare il proprio desiderio di vita, egli si rese conto della futilità di tutto ciò. Un giorno, Gautama interruppe la propria pratica e accettò una ciotola di latte da una bambina che stava governando le mucche. E, improvvisamente, provando un acuto senso di tranquillità, andò a sedersi sotto un albero e capì che tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento seguiva un sentiero sbagliato. Non si può cavare sangue da una rapa. Nessuno sforzo sarà mai sufficiente a far diventare veramente altruista una persona che crede di essere un io individuale. Fintanto che si crede e si sente di essere racchiusi in un involucro di pelle – e che questo è tutto – non c’è assolutamente alcuna possibilità per comportarsi con altruismo. Certo, si può imitare l’altruismo. Si possono attuare molte forme raffinate di altruismo, ma si resta comunque legati alla ruota del divenire dalle catene dorate delle buone azioni, proprio come le persone indiscutibilmente cattive vi restano legate dalle catene di ferro delle loro cattive azioni. Questo si manifesta in molti modi: dalle persone gravate da orgoglio spirituale che credono di possedere l’unico vero insegnamento, a quelle che sostengono di essere le più tolleranti, inclusive e accoglienti, il che rappresenta solo un gioco chiamato essere più tolleranti, inclusivi e accoglienti di chiunque altro. Un essere egocentrico è sempre vittima della propria trappola. Il Buddha vide che tutte le sue pratiche yoga e le sue forme di ascetismo avevano rappresentato solo un modo per cercare di sottrarsi alla trappola per salvarsi la pelle, per trovare la pace interiore. Realizzò che quella è un’impresa impossibile, perché la motivazione che sta dietro a tutto invalida il progetto stesso. Il Buddha scoprì che non esisteva alcuna trappola a cui sottrarsi, eccetto se stesso: la trappola e l’intrappolato sono un’unica cosa. E quando lo si capisce, non sussiste più alcuna trappola. Quindi, in base a questa esperienza, formulò quello a cui diede il nome di dharma, il suo metodo. Alan Watts art by Lim Chung Hee
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In passato ho avuto una storia
che mi stava distruggendo.
Non mi sentivo trattato come meritavo.
Non stavo bene.
Ero infelice.
Eppure non riuscivo ad uscirne.
“Come si fa a lasciare andare?”
Me lo chiedete in tanti.
Beh, io ci sono riuscito quando
ho avuto il coraggio di dire
“Non voglio più”.
Quello è stato l’attimo in cui
ho sentito il mio cuore tornare
ad aderire con me stesso.
A volte sottovalutiamo quanto
gran parte della nostra felicità
stia nell’avere il coraggio
di dire queste tre parole.
“Non voglio più” è il primo passo verso di te.
È il momento in cui scegli
di non seguire più le mappe altrui,
ma di disegnarne una tua.
Con i tuoi sogni, i tuoi errori,
le tue scoperte.
“Non voglio più” è il rifiuto di piegarti
sotto il peso di aspettative che non sono tue.
Il coraggio di spezzare le catene
che non ti appartengono.
“Non voglio più” è smettere
di indossare maschere che non ti calzano,
il diritto di dire la tua verità
anche quanto ti trema la voce.
“Non voglio più” è l’arte di cancellare
i “dovrei” e sostituirli con “voglio”.
È la magia di ascoltare quello
che sente il tuo cuore.
“Non voglio più” è il coraggio di chiudere
porte che non ti portano da nessuna parte.
È trovare la forza di aprire finestre nuove,
quelle che danno su paesaggi bellissimi
ma che richiedono un salto nel vuoto.
“Non voglio più” è il poter decidere
ogni giorno chi vuoi essere.
È il coraggio di non cadere
in vecchie trappole camuffate da comfort.
“Non voglio più” è dire di No
a chi vuole decidere per te.
“Non voglio più” è il tuo nuovo inizio,
quello che comincia da te
e che stavolta ha un finale
che ti somiglia di più.
“Non voglio più” è il momento in cui capisci
che al mare puoi portarti anche da solo.
(R. Bertoldi)
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Ebano- Modena City Ramblers
Una canzone del 2004 dei Modena City Ramblers, che narra la vicenda di una giovane africana, i cui sogni sono morti nel naufragio della vita.
Tutti dicevano che ero bella come la grande notte africana / E nei miei occhi splendeva la luna, mi chiamavano la Perla Nera... / A sedici anni mi hanno venduta, un bacio a mia madre e non mi sono voltata / Nella città con le sue mille luci per un attimo mi sono smarrita... / Così laggiù ho ben presto imparato che i miei sogni eran solo illusioni / E se volevo cercare fortuna dovevo lasciare ogni cosa. Comincia così il viaggio di una giovane africana raccontato dal brano Ebano, dei Modena City Ramblers. Un viaggio che porta in sé, sin dalla partenza, i germi di una drammatica fine, racchiusa tutta in tre sole parole - bella, venduta, smarrita - che pesano sulla vita della giovane come una maledizione che non lascia scampo. Perché l’avvenenza può essere una sciagura per una donna povera del Sud del mondo, un'ineluttabile condanna a una vita spesa a soddisfare gli uomini. E il tradimento della famiglia, disposta a venderla per sopravvivere, è una sorta di maleficio a cui non si può sfuggire.
È un naufragio esistenziale, dunque, quello che porta la giovane ad approdare fortunosamente in Italia. La ragazza non trova ad attenderla qualcuno che la accolga, che la faccia sentire non estranea, che si comporti «da fratello». No, lei si scontra prima con il duro lavoro nei campi, sfruttato dai «caporali», e poi, dopo un'altra fuga e un successivo naufragio, con l'amicizia interessata di una donna che la trascina con sé sulla strada, avviandola alla prostituzione. Era bella questa giovane, una Perla Nera, ma un lungo, lungo cammino l'ha fatta approdare sui marciapiedi di una città italiana, schiava senza catene visibili da spezzare e per questo senza possibilità di affrancarsi. Ed è sulla strada che la lasciamo, senza più sogni, senza speranze. Disincantata, delusa, senza futuro.
Non ha lieto fine questo brano della band emiliana, come non hanno lieto fine tante vicende simili. E’ il destino di molte ragazze giunte in Italia con una promessa e destinate a divenire merce. E’ il destino di tanti migranti, partiti con la speranza negli occhi e giunti a destinazione in un sacco di plastica.
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Luca Amoroso: l'oscurità degli anni '90 portata nel 2024
Pensate a tutto ciò che di lento, oscuro e pesante hanno portato gli anni ’90. Ora aggiungete un azzeccato cantato in italiano e suoni a metà strada tra il lisergico, l’acustico e il caustico. Il tutto senza dimenticare la tradizione nostrana guidata dai Diaframma.
Ecco, siete quasi riusciti a visualizzare l’ultima fatico di Luca Amoroso.
Con il suo nuovo album “Gli Angeli Torneranno A Prenderci”, Luca Amoroso trasforma profondi dilemmi esistenziali in arte, guidando l’ascoltatore attraverso un viaggio musicale che esplora il delicato rapporto tra gli esseri umani, la religione e la loro stessa spiritualità. Attraverso undici tracce, Luca Amoroso intreccia testi complessi e significativi con arrangiamenti musicali che sanno essere tanto evocativi quanto emotivamente potenti. Ogni brano è costruito con una cura straordinaria per i dettagli, bilanciando perfettamente melodia e tematiche.
La traccia di apertura, “Crocifiggetemi”, pone le fondamenta di questo viaggio spirituale. Partendo dalla sofferenza della crocifissione per arrivare alla rinascita, la musica riflette questa dualità con un arrangiamento intenso, alternando momenti cupi a impennate di luce sonora simboleggiando la liberazione. Con “Gli stessi giorni”, Luca Amoroso utilizza un arrangiamento ipnotico di chitarre acustiche amplificando il senso di monotonia e appartenenza a cicli ripetitivi. Questa atmosfera condensa l’alienazione descritta nel testo, rendendo palpabile il desiderio di una guida per spezzare quelle catene invisibili per esplodere in un ritornello dai toni grunge d’altri tempi.
L’apice emotivo arriva con “Dolore, Comprensione e Sangue”. Qui si evoca l’agonia e la speranza dell’episodio biblico a cui si ispira. Il mix è profondo e avvolgente, con un uso sentito e profondo della voce dell’artista che sa passare da accenti drammatici a toni quasi sussurrati, coinvolgendo l’ascoltatore in una sorta di cine-sonoro spirituale.
Canzoni come “Il tuo rossetto sul parabrezza” e “La lamentela delle quattro e un quarto” aggiungono una vena più intima e personale, affrontando temi universali come l’amore tossico e il tradimento. Gli arrangiamenti, in questo caso, si fanno più essenziali, enfatizzando i testi e creando un dialogo diretto con chi ascolta. L’album termina con “Apocalisse 18:33”, una traccia conclusiva che unisce tutti i fili tematici in una catarsi sonora. La chitarra elettrica torna protagonista e si mescola a una ritmica quasi mistica, evocando una fine che è al tempo stesso distruttiva e rivelatrice.
Con “Gli Angeli Torneranno A Prenderci”, Luca Amoroso offre non solo un’esperienza musicale stratificata, ma anche un invito all’introspezione e alla riflessione. Un album che colpisce l’anima con la stessa forza con cui accarezza l’orecchio.
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Casa.
Forse Cuorespina ha trovato una sua nuova casa. Un luogo dove crescere, prendere forma, partire per posti lontani e toccare gli interessi di spiriti affini.
Quando si riceve l'opportunità preziosa di fare il nido in una nuova casa, credo venga d'istinto il desiderio di aggiungerci qualcosa di nostro, qualcosa di intimo e vero. Ora, di intimo per quella nuova casa c'è già Cuorespina stesso, con tutto ciò che rappresenta, chiaro. Ma ho sentito il bisogno di metterci anche altro, una chiusura, un segno, una nota.
Quindi, eccomi qui a ipotizzare quali potrebbero essere le parole, nere su bianco, sotto il titolo Nota dell'autrice. Ecco un'idea:
"Ho scritto Cuorespina perché ero arrabbiata.
Ci sono vari modi di uscire da una situazione del genere, o di spogliarla almeno un po’ delle sue spine. Scrivere è stato per me uno dei più efficaci.
Questo libro riporta dei ringraziamenti a una persona specifica, ed è giusto così. Ma la verità cruda è che io questo libro l’ho scritto per me stessa. E l’ho scritto anche per chi ha bisogno di leggere una storia in cui la protagonista è una giovane donna tutt’altro che amabile che cerca di spezzare le catene invisibili che la soffocano.
Non è una storia edificante, anzi, bensì è un racconto di liberazione rabbiosa e imprecisa. È un romanzo per chi ha bisogno di sentirsi dire, senza moralismi o retorica, che a volte si può voltare pagina solo se si ha il coraggio di piantare un pugnale nel cuore del problema, letteralmente.
Chi cerca una vera e propria crescita personale, con tanto di auto-critiche e lezioni arricchenti, qui non ne troverà.
Rimanderò tutto quello, se mai ne sentissi la necessità, a un altro momento, perché questa è stata la mia ora di urlare e arrabbiarmi. E credo sia la stessa ora per tanti, ma soprattutto tante."
. . .
E nulla, ecco qualche lacrimuccia che se ne va. A volte, le cose succedono. Per davvero.
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Non so a chi possa interessare ma da oggi lavoro solo con l'esorcista. È una collega che in un periodo buio mi inviò un video contenente un esorcismo per spezzare le catene del Maligno.
Premetto che era un periodo in cui i miei problemi erano causati da lei.
Attendo l'arrivo degli altri colleghi che compongono la squadra.
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"Le catene della falsità" di Riccardo Rescio
Una Donna, tutte le Donne sono madri, anche senza figli. Un indispensabile concetto da acquisire, per spezzare le catene delle falsità. https://www.instagram.com/reel/C63KPf_C2dn/?igsh=MTVldzZtdHFqdHI4bQ== Per secoli, le donne sono state oggetto di norme sociali oppressive che le obbligavano a conformarsi a rigide aspettative, tra cui la pressione costante affinché diventassero madri per…
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Cavaliere di Spade.
"Il coraggio di tornare a Casa".
La grande fatica di questo periodo è la "ricaduta" negli aspetti più oscuri della nostra fragilità emotiva.
Per "vedere" la distorsione del nostro campo affettivo, siamo costretti a rivivere le proiezioni del trauma originale.
E' la parte più complessa del Viaggio.
Perché si affrontano schemi prettamente umani, legati a questo specifico piano di Coscienza, alle nostre "memorie generazionali".
E seppur muniti di strumenti di comprensione e fronteggiamento molto più sofisticati ed evoluti rispetto agli esordi, è comunque doloroso ripercorrere le strade della dipendenza affettiva, del vittimismo, del giudizio, della perdita.
Tornare ad osservare e vivere sulla carne gli automatismi del trauma, per chi ci lavora a livello terapeutico da anni e per chi ha ereditato disfunzioni di un certo calibro, non è mai una passeggiata.
Solo che stavolta è evidente la funzione di "chiusura definitiva" che manifestano determinati avvenimenti che stiamo vivendo.
Stiamo resettando la base dell'automatismo.
Stiamo modificando lo schema associativo che ci ha inchiodati per anni allo stesso palcoscenico, con lo stesso ruolo, obbligati a recitare le stesse battute e con lo stesso copione sgualcito e deteriorato tra le mani.
Per chi abbia una minima idea di cosa significhi, si renderà perfettamente conto della Rivoluzione che questo ultimo atto di trasformazione e chiusura porterà nei prossimi avvenimenti della nostra Vita.
Le Luci dell'Antico Teatro sono spente da mesi. Ma qualcosa dentro di noi sta ancora funzionando come se quel palcoscenico fosse ancora illuminato dagli stessi personaggi di sempre.
Tutto questo sta per esaurirsi.
Saremo a breve proiettati nel Nuovo. E il Corpo e la Mente ci seguiranno. Si allineeranno ai battiti del Cuore. Senza più remare contro la volontà autentica dell'Io o boicottare il potente anelito dell'Anima.
Niente di più liberatorio.
Il fallimento dei tentativi di chiusura con il Passato, che all'oggi sembra ancora così pervasivo, inquinato e ripetitivo, ingiusto e frustrante, lascerà spazio a nuovi modelli interiori di manifestazione e di creazione attiva della Realtà che ci circonda.
Novembre viene a "chiudere definitivamente", a spezzare con forza e audacia le Catene che ancora ci rendono imprigionati ai residui delle dimensioni disfunzionali e dei codici traumatici di funzionamento.
Non lo fa con delicatezza.
Ci prende e ci sbatte la Verità sul tavolo. E ci chiede di affrontarla. Di renderla conscia ed elaborarla emotivamente.
Non come facevamo prima. Non con le tribolazioni, non con i lavori di privazione e astinenza infiniti e devastanti che ci imponevamo nel Passato.
Ma con i nuovi mezzi che abbiamo a disposizione, con gli innovativi aiuti terapeutici che copiosi ci giungono dall'esterno, con la sacra volontà di partecipare attivamente alla fine dei Tempi.
Dobbiamo fortemente volere la Guarigione Emotiva.
Essa ci chiede di poter ripristinare funzionamenti maturi, responsabili e coscienti.
Non si passa da nessuna parte se l'Emotivo non ci segue in questa trasformazione.
Si resta incastrati nell'Illusione e nella Pesantezza.
Dobbiamo elaborare la perdita.
Dobbiamo perdere.
Dobbiamo stare nel vuoto di compensazione.
E' una fase fondamentale del Viaggio.
Non viviamola con i soliti lamenti. Restiamo connessi con ciò che accade dentro. Senza disperarci o arrenderci.
Sapevamo che saremmo approdati a Novembre alla fase risolutiva attraverso il passaggio tra le Ombre più recondite ed oscure.
Eppure lo stiamo facendo diversamente rispetto alle tappe precedenti del nostro Cammino.
Siamo più presenti, meno confusi, più lucidi nell'affrontare.
Approfittiamo di questo mese per accompagnarci alla fine dei Tempi con Amore e non con Giudizio, con profonda Ammirazione verso noi stessi e il nostro Coraggio.
Siamo al "conflitto finale".
Con noi stessi e il nostro Antico Mondo.
Vincerà la Guarigione.
Il nostro intero Sé è già pronto e aperto ad accogliere questa Sacra Iniziazione.
Entrate nel rito "Sciamanico" con ardore. Non vi verrà torto un capello.
Se il vostro Cuore è puro e l'intento si muove nell'onestà dei suoi battiti interiori, non soffrirete, non morirete, non vi potranno abbattere, non accadrà nulla di ciò che la vostra Mente spaventata prefigura nel suo distorto e pavido immaginario apocalittico.
Siate integri e curiosi, fiduciosi e pronti a tutto.
Qui si gioca la vostra partita più bella: il ritorno a Casa.
La vostra Casa. Quella interiore. Quella del Cuore.
Forza, allora. Si va.
Mirtilla Esmeralda
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In passato ho avuto una storia
che mi stava distruggendo.
Non mi sentivo trattato come meritavo.
Non stavo bene.
Ero infelice.
Eppure non riuscivo ad uscirne.
“Come si fa a lasciare andare?”
Me lo chiedete in tanti.
Beh, io ci sono riuscito quando
ho avuto il coraggio di dire
“Non voglio più”.
Quello è stato l’attimo in cui
ho sentito il mio cuore tornare
ad aderire con me stesso.
A volte sottovalutiamo quanto
gran parte della nostra felicità
stia nell’avere il coraggio
di dire queste tre parole.
“Non voglio più” è il primo passo verso di te.
È il momento in cui scegli
di non seguire più le mappe altrui,
ma di disegnarne una tua.
Con i tuoi sogni, i tuoi errori,
le tue scoperte.
“Non voglio più” è il rifiuto di piegarti
sotto il peso di aspettative che non sono tue.
Il coraggio di spezzare le catene
che non ti appartengono.
“Non voglio più” è smettere
di indossare maschere che non ti calzano,
il diritto di dire la tua verità
anche quanto ti trema la voce.
“Non voglio più” è l’arte di cancellare
i “dovrei” e sostituirli con “voglio”.
È la magia di ascoltare quello
che sente il tuo cuore.
“Non voglio più” è il coraggio di chiudere
porte che non ti portano da nessuna parte.
È trovare la forza di aprire finestre nuove,
quelle che danno su paesaggi bellissimi
ma che richiedono un salto nel vuoto.
“Non voglio più” è il poter decidere
ogni giorno chi vuoi essere.
È il coraggio di non cadere
in vecchie trappole camuffate da comfort.
“Non voglio più” è dire di No
a chi vuole decidere per te.
“Non voglio più” è il tuo nuovo inizio,
quello che comincia da te
e che stavolta ha un finale
che ti somiglia di più.
“Non voglio più” è il momento in cui capisci
che al mare puoi portarti anche da solo.
(R. Bertoldi)
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...è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti...
Is 58,1-9
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Liberi - Free
���Liberi🌸Sassategraffi e paroleitinerario incertoche ci imprigionaed impediscedi guardare a fondoe spezzare le catene dalla dipendenzaall’altrui giudizio16.04.2023 Poetyca🌸🌿🌸#Poetycamente🌸FreeThrow stonesscratches and wordsuncertain itinerarythat imprisons usand preventsto look deeplyand break the chainsfrom addictionto the judgment of others16.04.2023 Poetyca
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