#senza la paura che si veda troppo
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Basterebbe solo un giorno, un'ora, un attimo. Basterebbe solo il coraggio di guardarsi nuovamente negli occhi.
z.
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Vietato tradire la parte più vera di te, quella che spesso tieni nascosta, quella che ha a che fare con la musica e con i capelli al vento, con certe scelte che fai come se tu non avessi alternative e invece un’alternativa c’è sempre, solo che a volte il cuore fa finta di niente e che bello che è, quando succede. Vietato dimenticare di quando correvi in riva al mare sperando di essere presa e portata via da qualcuno, vietato dimenticare quelle sere in cui ti addormentavi sperando che la realtà potesse assomigliare alle storie che leggevi di nascosto, pregando che tua madre non si accorgesse che eri ancora sveglia. Vietato smettere di sperare in qualcosa, qualsiasi cosa, tipo che domani ci sia il sole, che si veda la luna, che al supermercato ci siano le pesche buone, che qualcuno ti abbracci, che qualcuno si accorga della fatica che duri. Vietato smettere di durare fatica, perché quando sudi, quando arranchi, quando corri da una parte all’altra sognando un po’ di meritato riposo, è proprio allora che vivi davvero: quando ti muovi, quando poi torni a casa e tiri un sospiro di sollievo perché in qualche modo ce l’hai fatta, sei ancora tutta intera. Vietato sorvolare sulle piccole vittorie, sui dolori piccoli che come gocce d’acqua ti consumano il cuore forse anche più di quelli grandi. Vietato sorvolare in generale, fai caso alle mani della gente, agli alberi, alle nuvole, all’odore dei giornali, alle parole nuove che usano i bambini, ai ricordi che arrivano quando vogliono e non si possono ignorare. Vietato ignorare le canzoni, anche quando queste canzoni non sono dedicate a te. Vietato dire “che schifo” prima di aver provato, vietato dire “che schifo” in assoluto. Qualcosa da salvare c’è sempre, allora tu trovalo e tienilo da parte. E poi, se puoi, non fare l’errore che facciamo tutti, prima o poi: non aver paura di condividere la bellezza. La bellezza non si consuma se la doni agli altri. La bellezza, se la spargi in giro, cresce rigogliosa. Vietato smettere di commuoversi guardando un film stupido, di piangere di fronte ad una stella che cade, di esprimere un desiderio spegnendo una candelina sulla torta. Vietato smettere di fare qualcosa solo perché c’è chi ti trova ridicola, vietato rimanere in silenzio quando qualcosa dentro di te urla, vietato dire “vado via” per timore di soffrire troppo. Per amore, resta. Per amore, resta quella che sei. Per amore, difenditi, ma per favore: non esagerare. Perdersi tra i pensieri e le smorfie ed i modi di dire e le abitudini e i rimpianti e i baci e le speranze di qualcuno è un bel modo di stare al mondo. Vietato dire a qualcuno “non piangere”, “non ridere”, “non andare via”. Se ci riesci, lascia correre, lascia scorrere la vita e le persone, perché poi vedrai, ce ne saranno alcune che non riuscirai a perdere nemmeno quando ti ci metterai d’impegno. Guarda le previsioni, ma non proprio tutte le mattine, ogni tanto lasciati sorprendere dalla pioggia, o dal sole. Porta i fiori a chi sai tu, o dedicale il mare ogni volta in cui avrai la fortuna di guardarlo. Ricordati che ci sei e che questo è un potere magico incredibile, che se mi dicessero “vorresti essere invisibile, teletrasportarti o esistere?” io risponderei senza alcuna esitazione “esistere”. Perché se esisti sei parte di qualcosa, puoi provare nostalgia, puoi provare a essere felice.
Vietato dimenticare che tutto quello che ti circonda non è un ostacolo, ma un’opportunità.
Susanna Casciani
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Cioa ho visto quello che hai scritto dove posso scriverti in privato? Grazie del consiglio e sto cercando una pscicologa ma non ho ancora iniziato.
Grazie davvero non ho nessuno con cui parlarne mi tengo tutto dentro e dopo scoppio.
Bene, allora non preoccuparti. Quando inizierai il percorso con la psicologa pian piano vedrai che andrà meglio!
Questo blog è un blog gestito da più persone per cui i direct non funzionano. Vorrei davvero aiutarti ma più di tanto non posso fare: più che dirti quello che ti sto dicendo già ora non posso. E anche prendermi i pesi degli altri in questo momento non credo di poterlo sopportare. Sono già in un periodo complesso per me stessa. Spero che tu possa capire... Ci ho messo tanto ad imparare a dire di no, a capire che non è egoismo ma rispetto di me stessa e non posso cedere proprio ora che ho bisogno di me e del mio aiuto. Altrimenti, come faccio poi ad aiutare davvero voi quando posso? Non avrei la forza. Non posso più svuotarmi o annullarmi, fare finta di non avere delle necessità, dei bisogni. Li ho anche io. Ma non vuol dire che non veda i tuoi... e il tuo sentirti sola e abbandonata (mi spiace davvero soprattutto per questo: ma te lo ripeto, non sei sola anche se ora non ti sembra così). Sto solo riconoscendo i miei limiti.
Quindi tu non tenerti tutto dentro. Se non hai nessuno di cui ti fidi, mentre attendi di iniziare questo percorso, prendi un quadernino/blocco/foglio (o qui nei draft, nelle note sul cell) e scrivi, scrivi tutto quello che ti passa per la testa. Non deve essere in ordine, o avere senso. Scrivi di getto, senza pensare a niente se non a quello che senti o hai sentito. Qualsiasi emozione va bene, non ce ne sono di negative (come Inside Out ci insegna), non importan cosa ci dicono gli altri: anche la rabbia va benissimo, ci segnala che qualcosa non va, che ci è stato fatto un torto o che siamo stanchi e frustrati o cose così e dobbiamo acoltarla. Scrivi delle lettere a te stessa, alla te che andava a scuola, o qualsiasi te che ha sofferto. Scrivi anche ai tuoi professori o a chiunque tu abbia qualcosa di dire. Svuotati.
Però non fare tutto di corsa: ricordati di prendere delle pause da tutto questo e VIVERE. Intendo vivere nel presente la tua vita. Tu sei qui, adesso. E da nessuna altra parte. Per cui esci, passeggia, stai nella natura, prenditi una pianta da accudire o prenditi cura di te in qualsiai modo ritieni opportuno. Fai qualcosa per te stessa, qualcosa che vuoi fare, vedere, leggere... anche dormire: ci si stanca un sacco a stare in quel limbo, per cui ascolta il tuo corpo e la tua mente e falli riposare quando te lo chiedono o dai loro ciò che ti chiedono. Prova un hobby o qualsiasi cosa ti rilassi, un bagno caldo, un tè, e muovi il tuo corpo (balla, vai in palestra, fai dello stretching o altro: il corpo assorbe tanto lo stress e i vari mal di schiena, le gambe e spalle rigide, i mal di stomaco spesso sono segni di tutto questo... liberatene più che puoi muovendoti). Disegna, colora... ci sarà qualcosa che ti piace in particolare? Se non c'è non importa, basta solo che a volte ti fermi, pianti i piedi bene in terra e senti di essere qui. Guarda il cielo, le piante, il sole, gli uccelli che volano o anche la pioggia che batte sul vetro. E ti concentri su quello. E sulle cose belle, perché anche se ce le dimentichiamo quando le cose vanno male, ci sono anche quelle, sempre.
Non avere fretta, non lasciarti prendere troppo dal male e dal dolore. Rallenta quando senti che stai perdendo il controllo. Va bene se non riesci a fare tutto subito, ci vuole tempo. Tanto tanto.
Un'ultima cosa: non avere paura di piangere o urlare. Anche questo va benissimo: scoppi e ti sfoghi. Ti liberi dal male. Va benissimo. Come fai i bisogni per liberarti dalle tossine del corpo (è così :P), così piangi e urli per liberare quelle della mente e del cuore. Non ascoltare chi dice che non va bene... sono solo persone che non sanno gestire o accettare le proprie emozioni. Tu vivile e abbracciale tutte, nessuna esclusa. Non ci sono emozioni brutte. Sta tutto nel modo in cui le vedi. Non chiuderle fuori, non chiuderti fuori da te stessa. Tu sei anche quello e va benissimo. Ricordati che non sei solo una cosa, sei tante cose. E ogni volta che senti di trovare un difetto o qualcosa di brutto su di te, ricordati dei tuoi pregi e delle cose positive che hai fatto: bilancia il modo in cui ti parli, ci vuole molto allenamento per farlo naturamente ma fa una grandissima differenza. I giorni sono fatti metà di luce e metà di buio e anche noi siamo così, anche la vita è così. E non paragonarti troppo agli altri e a quello che hanno raggiunto e fatto: non vediamo mai la situazione nel suo complesso, non sappiamo mai esattamente la verità su di loro. Sappiamo solo la nostra. E va bene così: è questa che importa a noi per la nostra vita, è questa l'unica che possiamo controllare. Non possiamo controllare altro che noi stessi e le nostre reazioni a quello che accade o a quello che sentiamo/vediamo dagli altri. Siamo tutti diversi, con diversi aspetti, e non ci si può paragonare mai per davvero.
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Fai mai domande in anonimo?
Non ricevevo una domanda dal 2015, credo. Rileggendo mi accorgo di star scrivendo un sacco per gli standard che potrebbero avere alcune persone, sono entrato nella modalità in cui uso fin troppo tempo per scrivere una cosa per bene, quindi aggiungo qui che se vuoi la risposta breve puoi leggere questo, il prossimo "paragrafo" e l'ultimo.
Sì, io scrivo in anonimo ogni tanto. Non direi che sia una cosa che faccio in modo regolare, però in genere capita che io voglia aiutare/far parlare le persone che seguo qui sopra senza farmi riconoscere. Aiutare non è l'unico motivo che mi spinge, a volte voglio semplicemente bene alla persona. Spesso scrivo in anonimo a persone che non seguono a loro volta il mio blog, perché sento di non avere il permesso di interagire. È raro che io scriva senza anonimo, anche se è successo e può succedere. Essenzialmente perché ho paura: ho paura di dare fastidio; di sbagliare, anche se dovrei accettare più tranquillamente questa possibilità. E perché a volte parlare con una persona che non si conosce è una cosa buona.
Un mio messaggio anonimo fissato in alto di proposito è un esempio che mi ricorda che interagire con gli altri non porta solo problemi.
Poi non è che io ci riesca sempre, ad aiutare, a volte provo a comportarmi in maniera diversa, senza neanche pensare più di tanto a quello che scrivo. Mi dimentico che il fatto che io veda certe persone come vicine, perché le leggo praticamente tutti i giorni, non significa che loro conoscano me. Soprattutto se sto dietro l'anonimo. Ci sta.
Sì, scrivo in anonimo. Ovviamente volendo avere una conferma che un messaggio sia mio dovete chiedere esplicitamente e fidarvi almeno un pochino di cosa dico, perché sicuramente non sono l'unica persona che lo fa.
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“Vorrei essere invisibile” ti ho detto mentre ti riportavo a casa “non voglio più che il mondo sappia di me, vorrei essere qui ma senza che nessuno mi veda, perché ora tutto mi ferisce, tutto è troppo e io sono stanca”.
“Stanca di cosa?” Mi hai chiesto.
“Stanca di dovermi spiegare sempre, stanca di dover portare tutto il peso specifico della mia vita interiore addosso, stanca che il resto del mondo non se ne accorga.”
“Ci credo che non se ne accorge” mi hai risposto sorridendomi come se fosse del tutto ovvio.
“Perché dici questo?” Ti ho domandato confusa.
“Perché tu sei fatta così, tu le tue crepe non le mostri mai davvero a nessuno, tu sei quella su cui tutti si poggiano, quella forte, decisa, che ha le soluzioni pronte ai problemi della vita di tutti. Quella che sorride sempre. Non ti sei mai concessa il lusso di farti vedere per quella che sei, hai troppa paura che ti ferisca, sei terrorizzata alla sola idea che qualcuno possa sapere dove si incrina la tua corazza per poi sferrare il fendente e beccarti. Zac. Colpita.”
“Non posso permettermelo di lasciarmi andare, lo sai...”
“Ti proteggi così, certo, lo capisco, ma lasci anche fuori tutto il resto e questo mondo, che tu lo creda o no, non è tutto da buttare.”
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parole di una lettera. - ..ma quale lettera? non serve più a niente ma quante volte lo vorrei sai cosa succede a una persona che guarda troppo avanti? che poi non sa come tornare a guardare indietro perché sa bene che non esiste la strada opposta avendo capito di aver trovato quella giusta, senza troppi dissesti tu ora stai solo studiando ma ne sei proprio sicuro? secondo me ci provi ancora a fare quello che vuole giocare con le altre senza saper giocare perché poi il telefono nasconde storie o viene dato all’amico che risolve i casini che combini ma non è così ogni cosa che tocchi credi che tutto ciò che fai si diffonde a macchia d’olio forse perché non trovi le persone giuste per te che aprono le porte una sola volta trovi gente stupida nel senso che ti apre le porte per un ‘per sempre’ vorrei chiederti tante cose, vorrei chiederti se una come me ti manca ma non come fidanzata vorrei chiederti cosa pensi di tutti quei tuoi compagni che hanno una persona con cui poter essere se stessi ma ho paura talmente paura da reprimere ogni cosa che scrivo ogni mio pensiero che non ti porta a riflettere ma ad avere paura ma tu non ci pensi mai alle coincidenze? una volta mi hai detto son felice se conosci qualcuno che ti rende felice con quella paura negli occhi di chi scappa ed è vero alla fine mica è una colpa la colpa è mia perché potrei davvero credere di farmi bastare qualcuno con cui galleggiare ma la verità è che vorrei davvero nuotare e le persone con cui nuotare sono così poche e allora uno pensa alla sua vita così piena però non tutte le persone che incontri richiedono tempo alcune si accontentano di alzare la cornetta soltanto per sentirti respirare e non per forza di sapere la tua giornata semplicemente esserci e avere voglia di non parlare così tanto quante spiegazioni devo dare alla gente? che noia ma la verità è che stare da soli ti permette di non giustificarti e serve davvero? gli unici legami che vedo durare sono proprio quelli in cui ci si accetta e basta e sono i più veri comunque da quando ti conosco abbiamo un’altra cosa in comune il fatto che quando ho voglia di scrivere robe e dirtele le mie amiche prendono il telefono mi dicono di smetterla perché tu sicuramente sei scocciato e hanno ragione perché certi rapporti sono mossi dai pregiudizi
pregiudizi e basta come quando io ti scrivo cose perché so che sai leggerle ma sai di cosa? boh, ti disturbo? pensi che sia innamorata di te? pregiudizi del cazzo e allora non voglio dare un’idea diversa dalle tante che non riesco a smentire così spesso quindi tengo tutto per me ma faccio fatica perché per quanto fragile ed insicura sono un vulcano assurdo ma le mie energie si sono spente ed è meglio così voglio essere un vulcano per chi lo vuole però faccio molta più fatica di quanto non si veda a trattenere quello che ho da dare soltanto perché verrebbe sgualcito e se un briciolo di te ho capito ti starai chiedendo perché vado sempre a capo delle frasi ma i grandi scrittori non si fanno troppi problemi lo fanno e basta e tu ora stai ridendo perché ho ragione e se non stai ridendo allora ho capito meno di quanto credessi su di te credi davvero a tutte le mie puttanate? perché se è così ho una retorica che fa paura ma quanta realtà c’è in quella retorica? scherzo, è retorica vera ma che serve più a te che a me perché continuo ad essere buona e a credere che qualcosa che ti smuova ci sia persino se parte dalla scopata più bella della tua vita che io non avrei mai potuto darti ma che forse può servire tu ci credi? secondo te le persone possono davvero scopare e arrivare alla parte più intima di sé stesse per poi scoprirsi dopo? ed io che ho sempre fatto tutto al contrario ci vuole proprio fegato a starmi dietro pensando che il sesso serve ma amore e amicizia fanno sempre metà dell’opera è davvero un difetto pensare il contrario di tutto? mettersi in discussione? ma se ci pensi è questo che mi porta alle persone tutte le volte ho preso un telefono nuovo sai? molto deludente un po’ come ogni mia aspettativa così insaziabile quindi mi accontento e cerco di adeguarlo a quel sogno di telefono top che avevo nel cassetto per farti stare tranquillo e sereno sappi che ho conosciuto un tipo quando sono scesa a casa quindi non avere paura delle mie parole non nascondono nessun tipo di intenzione velata niente di niente sono semplici e arrivano insomma questo tipo sai quelle persone che non ti dicono niente? però le mie amiche mi hanno spinta tutta la sera ed io ho provato a buttarmi senza pentirmene perché non avevo nessun tipo di stimolo che noia poi però mi dicono vuoi credere ancora di trovarlo nel tuo mondo uno normale? ed in effetti hanno proprio ragione chi cucina i tuoi bastoncini findus stasera?
#non so come sto#sfogo personale#sfoghi#lettori#afternoon#scrivere#screencaps#scrittrice#scrittura#lui e lei#lui#quotes#love quote#frasi e citazioni#frasi amore#followers#female writers
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Selvatica - 11. Ti aiuto io
Corinna mise in tasca i soldi che le aveva dato Vittorio per la serata e finalmente uscì dal locale. Aveva le gambe e i piedi distrutti, pesanti. Per il resto della serata era stata felice e la fatica si era fatta sentire meno, per poi ricaderle addosso tutta insieme quando aveva preso le sue cose e si era seduta insieme agli altri camerieri ad aspettare Vittorio. Le si chiudevano gli occhi. Erano le tre passate e in giro non c'era anima viva. Infilò il cappello di lana nero per coprirsi dal freddo pungente e si incamminò. Non era molto lontano da casa sua e non le aveva mai fatto paura tornare a casa da sola in piena notte, però quella notte si sentiva inqueta quando lasciò gli altri ragazzi e attraversò la strada.
Guardò indietro più volte prima di dire a se stessa che probabilmente era solo colpa della tensione eccessiva che aveva accumulato in quei giorni. La strada era completamente deserta. Si voltò di nuovo prima di prendere la traversa che l'avrebbe portata dritta a casa. C'era qualcuno.
Un ragazzo, forse, col cappuccio e la testa bassa. Corinna accelerò il passo. Mancava davvero pochissimo al portone di casa. Tirò fuori le chiavi dalla tasca. Il tipo era dietro di lei, lo sentiva avvicinarsi. Non voleva voltarsi di nuovo, non voleva attirare la sua attenzione. Infilò la chiave nella serratura e aprì il portone ma il tizio le bloccò il braccio.
Corinna cacciò un urlo prima che quello le tappasse la bocca.
«Non voglio farti niente, voglio solo parlare. Non urlare, per favore.»
Corinna lo riconobbe, era lo scagnozzo di Antonio. Con lo sguardo gli fece capire che non avrebbe urlato. Lui tolse la mano e lei lo spintonò, o almeno era quello che voleva fare. Il ragazzo non si mosse di un millimetro. Le stava addosso impedendole di andare in casa.
«Che cosa vuoi? Mi stavi pedinando, porca miseria?» Che altro voleva Antonio?
«Era l'unico modo per poterti parlare senza che nessuno ci veda.»
«Senti, lasciami in pace. Sono stanca e domani ho un esame.» Abbandonò qualsiasi tipo di atteggiamento di difesa. Era esausta, non le importava più di nulla, voleva solo essere lasciata in pace.
«Corinna, ero serio quando ti ho detto che voglio aiutarti.»
Alla luce del lampione il tatuaggio sul volto spiccava come un monito. Lui era come Antonio, non voleva aiutarla, voleva qualcosa da lei. «Perché?» Anche le mani erano ricoperte di tatuaggi, numeri, parole, le vide scomparire nelle tasche del giubbotto.
«Tu non sei come le altre...»
Corinna sbuffò e cercò di scansarlo per poter rientrare. Lui le afferrò il polso. «Fammi finire di parlare, cazzo. Non sei come le altre ragazze che gestisce Antonio. So per quale motivo sei finita lì e voglio darti una mano a uscirne.»
Lei sollevò le sopracciglia, con aria di sfida. «Chi ti dice che non sono come le altre?»
«Credimi, le conosco fin troppo bene.»
«Quindi ti faccio pena?»
«Non è questo.» Sembrò a disagio, spostò lo sguardo altrove, poi a terra. «So tutto di te, mi sono informato.»
E questo doveva farla sentire meglio? Era inquietante! «Dimmi che cosa vuoi e facciamola finita.»
Lui la ignorò. «So di tua mamma e non mi è piaciuto il modo in cui ti ha ricattato Antonio. Sai, io sono spregevole, faccio cose brutte continuamente, anche alle ragazze se necessario, ma certe cose per me non si toccano.» Tornò a guardarla. «Dimmi quanto ti ha chiesto Antonio, te li do io.»
Corinna rimase un attimo a fissare quegli occhi marroni, duri e schietti. Stava dicendo sul serio. «E in cambio cosa vuoi?»
«Niente.»
Lei si passò le mani in faccia. Non aveva senso, nessuno se ne andava in giro a regalare soldi. Soprattutto non un tipo come lui. Poteva anche avergli fatto pena ma di sicuro voleva qualcosa da lei. «Non ci vengo a letto con te.»
Lo sentì ridacchiare e alzò di nuovo lo sguardo su di lui. «Non sei il mio tipo, puoi stare tranquilla. Quanto ti ha chiesto?»
«Ventimila» disse lei. Non capiva. Chi diavolo era quel ragazzo? Perché voleva aiutarla senza niente in cambio? «Ma non li voglio da te. Non voglio più essere in debito con nessuno.»
«E quindi che vuoi fare, andare con lui a Dubai?» la canzonò con un sorrisetto sulle labbra.
Lei esitò. Sembrava davvero l'unica soluzione possibile. Ma aveva promesso a se stessa che non sarebbe mai arrivata a quel punto. Mai.
«Bene. Mi farò vivo io.» Si allontanò di poco per permetterle di aprire il portone. «Mi chiamo Carmine, comunque.» Infilò le mani in tasca e andò via.
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Ci siamo sempre scontrati per i nostri caratteri così diversi o forse troppo simili. Perché è facile ferire chi ha un animo troppo sensibile. Forse, ed è brutto ammetterlo, a volte si cresce anche così: calpestando i sentimenti degli altri senza nemmeno volerlo. La paura di perdere le persone a cui tieni, spesso ti fa venire dei nodi in gola e ti mette pesi sul petto. Ho perso il conto delle notti insonni, perchè mi sta lacerando l'anima il solo pensiero che le cose quando cambiano non ritornano mai più come prima. La mia più grande paura è che qualcuno migliore di me lo veda come lo vedo io.È facile stargli vicino quando è in mezzo alla gente e trattiene i suoi pensieri,ma quando è solo è un uragano di emozioni.Facile stargli vicino quando ha le sue caramelle preferite e il mc,ma quando si ritrova da solo il cibo passa in secondo posto.Facile stargli vicino quando è distratto dai suoi mostri o quando si consola con le battute.Facile stargli vicino quando i capelli sono ben sistemati con il gel e quintali di lacca e la musica che sente è forte,quando si preoccupa degli altri,anche di chi non conosce e incontra per strada un giorno qualunque.Facile stargli vicino quando ti supporta e ti sopporta,ma quando volano brutte parole in preda dalla rabbia nei momenti dove vediamo nero e predomina il voler ragione,quando è arrabbiato,quando si sente sottovalutato,non capito amatelo perché io so che nonostante tutto continuerò a farlo,io ne sarei sempre capace,lo capirò e gli resterò ugualmente al suo fianco,anche da lontano anche se non mi vedrà,io ci sarò.
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Dopo tanto tempo oggi mi è comparso un tuo post, credo sia il tuo compleanno, non saprei, non ricordo con precisione, ma ricordo bene i momenti passati insieme.
Tu eri quella bella, quella ricca, quella con una famiglia che ti ama e che ti sostiene in tutto, tu eri quella con molti amici che aveva la possibilità di fare e vedere tante cose.
Io ero quella sempre fuori posto, quella silenziosa, sola, occhi praticamente neri, capelli sempre legati, pochi amici, un padre che mi mandava da te perché non sapeva che farne di me e una madre che ricordo nella mia vita come un fiore appassito e portato via dal vento.
A casa mia le ombre rimanevano dietro di me, ogni tanto mi soffocavano, non mi lasciavano mai sola, nell'"altra" casa le ombre mi soffocavano sempre, dovevo scappare per fare in modo che mi lasciassero, nella casa che mi ha scelto, la tua, non mi sentivo più tanto sola, le ombre erano silenziose e spesso le dimenticavo ma mi sentivo anche strana, troppo fuori posto, io nero tu rosa shocking, io all star logore tu tacchi alti, io il cattivo tu la principessa da salvare.
Poi sono cresciuta e mi sono accorta che eri una ragazzina sola, che viveva in un piccolo appartamento in una zona brutta della città, ai cui compleanni non c'era quasi mai nessuno, il cui padre tornava a casa solo nei fine settimana e la cosa più emozionante della giornata ero io che venivo a finire i compiti da te per scappare dalle ombre dietro la porta di fronte alla tua in cui avrei dovuto sentirmi al sicuro.
Sono cresciuta per fortuna, mi capita ancora di sentirmi come all'ora e odio sentirmi così, odio che ovunque io veda e provi amore in realtà non ce ne sia abbastanza per me ma le ombre non sono più qui per farmi paura, ma compagnia, i miei occhi sono più chiari, i capelli più liberi, le catene ai polsi si sono rotte e ne ho fatto collane. Sarò sempre quella strana, cupa e fuori posto per molte persone, quella che ti tira su da terra nel bel mezzo di una figura di merda plateale, che ti sorride e poi scompare, quella nell'angolo della classe che si fa i suoi, che incuriosisce e intimidisce, quella gentile che porta un panino ad un senza tetto ma anche il mostro che ti fa male se tocchi le persone sbagliate e purtroppo proprio le persone sbagliate lo hanno alimentato rendendo il lavoro per domarlo mille volte più difficile ora, ma sono cambiata anche in questo, prima me ne andavo pur di salvare le persone che amavo, ora per amore voglio imparare a essere migliore, non voglio più scappare ma restare per dimostrare a me stessa che vale la pena amarsi e farsi amare dalle persone giuste.
Questa volta della principessa da salvare mi sono innamorata più di quello che avrei potuto immaginare e va bene così, anche i cattivi sanno amare e io la voglio amare, la voglio proteggere, dagli altri e da me.
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Piastrellato ROSA
Fine ottobre, forse già Novembre. Sono per le strade intorno al mio quartiere, a Milano, che cammino con una giacca troppo leggera, i pantaloni della tuta e sotto solo una magliettina, per farmi sbollire l’incazzatura. E’ sera, inizia a fare freddo, e io parto da isola e inizio a camminare, cammina cammina, spingendomi sempre più in là, fino a quando la città diventa diversa, i palazzi si allontanano tra loro e in giro ci sono solo persone come me, pazze e sole. In Viale Valtellina a un certo punto riconosco l’Alcatraz, mi fermo pensando a tempi migliori in cui mi ci ero divertito un sacco, poi proseguo incuriosito dalle stranezze della via, tipo un palazzo piastrellato in ROSA, o alcune voragini aperte tra gli edifici in vista di nuove costruzioni che con sto covid chissà quando verranno terminate. Mi sento un po’ umarell.
A pochi passi da questo palazzo rosa, davanti a un palazzotto in vetro e acciaio, c’è una costruzione molto più anonima con davanti una di quelle postazioni comunali con le bici. E appoggiato alla postazione scorgo un ragazzo; sembra giovane, ha il telefono in mano e dà l’idea di essere un “bullo”. Sembra stia aspettando la ragazza sotto casa per farci un giro, tipo quando sei adolescente e ti infratti per un pompino o cose così. Ha una giacca di pile troppo leggera e pantaloni della tuta, pure lui, che sembrano fatti apposta per tirare giù l’elastico e far scavallare il cazzo teso.
Lo guardo, perchè purtroppo quando uno mi piace non riesco a fare a meno di mangiarmelo con gli occhi, e pure lui mi guarda con fare interrogativo. Decido di proseguire, e di nuvo mi perdo in mille vie, viali e viuzze, senza mai sapere bene dove mi trovo perchè la geografia di Milano non mi entra in testa, non è un bel reticolo come Barcellona, non è a cerchi concentrici come Amsterdam, o meglio lo è ma i cerchi sono inframmezzati da troppi viottoli casinari. Miei unici punti di riferimento sono i luoghi che vedo camminando: una banca, un palazzo, una casa che avevo visitato quando ancora ero alla ricerca... cose così.
Dopo una mezz’ora buona passo vicino a un’Intesa San Paolo (credo) con tanto di fontana, mi giro e mi rendo conto di essere a 100-150m dal punto in cui ho visto quel bel ragazzo. Inizialmente scrollo le spalle e proseguo, ma poi come una forza invisibile mi fa girare e tornare verso quel posto, senza nessun intento preciso, sicuro di non trovarci più nessuno. E invece eccolo lì, che mi vede ripassare nella direzione opposta, di nuovo guardandolo, con ancora più insistenza.
Anche lui mi sta guardando, sempre con una espressione stupita/divertita negli occhi, sempre con il telefono in mano. Come ho già fatto mille altre volte nella vita decido di essere sfrontato, lo supero e mi giro di continuo a guardare. Lui mi sta ancora fissando, io proseguo per una ventina di metri, sempre girato all’indietro verso di lui che mi guarda interrogativo. Poi mi fermo, mezzo coperto dal tronco enorme di un albero del viale. Non c’è quasi nessuno in giro, poche macchine che passano; mi metto in modo che lui mi veda parzialmente, quando lo decido io, e che nel frattempo mi vedano anche le auto in marcia, nel caso la situazione si facesse rischiosa. Per ora è solo eccitante.
Ora ci fissiamo a distanza, lui sta iniziando a fare gesti con viso e mani tipo “cazzo vuoi?”, io lo guardo insistentemente, e con la testa gli faccio segno di avvicinarsi. Ho paura in quel momento, ma sono in un posto abbastanza aperto, posso scappare, farmi vedere... chi lo sa. Lui non se lo fa ripetere due volte, e io faccio un passo verso la carreggiata delle auto, per non restare nella mezz’ombra. Quando è vicino mi dice “COSA VOI?” con un forte accento straniero. Visto in azione forse non è bello come mi pareva, ha un po’ di panciotta da adolescente, e è un po’ più basso di me. Però ha questa faccia un po’ balcanica, ipotizzo potrebbe essere Rom, e un’espressione strafottente.
Gli dico che non voglio niente, ma lui non ci crede: “SE VOI QUALCOSA DIMMI”
- tipo cosa?
-QUELO CHE VOI!
-...tipo potrei farti una sega
- SI VA BENE ANDIAMO!
E così iniziamo a passeggiare senza meta, con lui che mi dice di essere etero ma di andare per soldi con uomini e mi chiede se ho qualcosa per lui. Io sono sinceramente convinto di essere uscito senza soldi, e gli dico che ho solo qualche monetina, ma lui non se ne va, anzi mi cammina sempre più vicino. Nell’imbarazzo generale ricordo di aver messo nella tasca interna un 20euro che mi han dato di resto, e per rompere il ghiaccio (non ho mai pagato nè contrattato nulla di tutto ciò, non so come si faccia nè sono interessato a farlo) glielo sventolo davanti e gli dico che ho solo quello. Lui tutto contento mi dice che va bene, che ci possiamo divertire, e continuiamo a camminare in cerca di un posto.
Io in realtà sono un po’ preoccupato, nel mondo dei sogni avrei fatto di tutto in mezzo alla strada con un ragazzotto etero ed eccitato, nella vita reale sono ipocondriaco e voglio vederci chiaro, quindi sto all’erta e mi dico da subito che al massimo gli farò una sega. E poi mi fa strano la cosa del pagare, è come se mi trovassi in un sogno e volessi vedere dove si va a finire, qualsiasi cosa è meglio della prostrazione psicologica e fisica che mi ah portato ad uscire di casa senza soldi, senza telefono, poco vestito.
Lui comunque è simpatico, parla abbastanza bene l’italiano, dice di avere 18anni, di essere turco, di essere arrivato in italia da un annetto con genitori e nonni. Non studia ma durante il giorno fa il dogsitter, e la sera verso le nove si mette in strada e vede di arrotondare. Sei gay? Bisex? NO, ETERO, MA NON HO RAGAZZA. Usi il preservativo? NO, e alza le spalle.
Per un po’ giriamo nelle vie intorno a Viale Valtellina, ma c’è sempre qualcuno, magari qualche sbandato seduto per terra, o luci accese nelle case di fronte. A un certo punto mi tocca il culo, mi si avvicina da dietro e mi sussurra entusiasta “MI PIACE SCOPARE”. Però se gli tocco il pacco non sento granchè duro. Alla fine gli viene in mente un parcheggio isolato, proprio dietro a quel palazzo di vetro e acciaio, dove tra l’altro ero già passato prima. Ci mettiamo sotto a un albero, in piedi. Gli apro la zip della felpa di pile e mi scaldo contro il suo panciotto. Lui tira fuori il pisello che ora è ben duro: nulla di che, saranno 12-13cm. Non voglio baciarlo, gli lecco solo un po’ il collo e sento un odore che non capisco se è il suo, di maschio poco lavato, o se è il mio, di sudore, lacrime, moccio colato ovunque mentre ero in casa e urlavo come un pazzo al telefono. Non è sgradevole, ma non voglio troppo contatto. Lui cerca di mettermi le mani nelle mutande ma glielo impedisco, prendo in mano il suo pisello e lo sego lentamente, mentre lui si lamenta, dice che mi vuole scopare, e mi stringe a sè.
Sego per un po’ ma oggettivamente sopno già stufo del giochino, già appagato di aver trovato un per strada e avergli visto il cazzo, senza app di mezzo, così per un colpo di fortuna. Lui mi prega di inginocchiarmi e succhiarlo, almeno di bagnarglielo un po’, perchè è tutto secco, e io mi inumidisco la mano e lo lubrifico con la mia saliva segandolo. Lui apprezza molto, è duro come non mai, mi dice che una volta verrà a casa mia e mi scoperà duro, e io annuisco distrattamente, in realtà a casa vorrei già esserci, non ho più voglia di stare lì, mi fa fatica anche l’idea di dover camminare indietro.
A un certo punto ritiro fuori i 20 euro dalla tasca, glieli dò:
-Dai grazie, per me stasera è abbastanza, ci si vede
Me ne vado, lui mi dice di dargli il numero, ma non esiste proprio allora mi dice di ripassare dilì, perchè lui tutte le sere sta in quel posto, ma io mi sono già girato con un cenno di saluto.
Lì per lì non mi ha fatto nè piacere nè dispiacere questa esperienza: ero molto triste, lo ero da tempo e lo sono stato ancora per giorni, ma almeno per una mezzoretta avevo pensato ad altro. Oggi se ci ripenso ho sentimenti contrastanti, per lo più mi eccito, ma non credo lo rivedrei.
#storie
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Eclisse
L'intera storia è stata ispirata da questa splendida canzone, vi consiglio caldamente di ascoltarla: https://youtu.be/0iU5Snr_D44
•~•~•~•= Atto I =•~•~•~•
Sul calar della sera, quando il sole già si distendeva pigramente sull'orizzonte del mare e la bianca sagoma della luna emergeva dal cielo in fiamme, una donna senza nome, senza onore né virtù, cadde in ginocchio sul ciglio di una scogliera, le braccia spalancate e innalzate verso il cielo. Pregò il sole di risponderle, mentre la tenebra si allungava dietro di lei e le ombre si facevano più dense. La foresta alle sue spalle era animata dai suoni striduli e inquietanti della fauna notturna; un brivido per percorse la colonna vertebrale e poi le scapole. Ciononostante rimase lì, con le ginocchia nell'erba, a pregare. Poi improvvisamente ci fu calore, un immenso e bruciante calore proprio davanti a lei, oltre il bordo della scogliera, ma non osò alzare gli occhi dal terreno. Una voce risuonò nella sua mente, profonda, imperiosa...pericolosa. Le chiese cosa volesse, perché lo disturbasse in un momento come quello. <È per amore>, rispose lei, <Lo rivoglio indietro> <È la Luna che devi pregare per questo, non me> La donna scosse rapidamente la testa, tentando di calmare il tremore che le stava prendendo la voce. <Non c'è più tempo! Sta per abbandonarmi> <Dovresti davvero rivolgerti alla Luna, che non ha pretese. Io esigo un pagamento> <Qualunque cosa! Sono disposta a dare qualunque cosa> Ci fu uno scoppiettio improvviso, come fuoco che divora all'istante un ciocco rinsecchito, o una risata, difficile dirlo. Poi silenzio e quando la voce riprese a parlare, il suo tono era velato dalla più sottile e invisibile punta di rabbia. <Non mentire. Voi umani avete sempre qualcosa che non osereste mai cedere. Siete fatti di desideri e per natura peccate di egoismo, in continuazione. Che cos'è che sei disposta a sacrificare?> <Tutto! Basta che lui torni da me> <Sciocchezze! Non osare mentirmi, donna. Lo vedo nel tuo animo, vedo ciò a cui non rinunceresti mai con assoluta chiarezza> <Qualunque cosa!> <Allora dammelo, dammi l'unica cosa a cui sembri tenere nel tuo piccolo e insulso cuore. Dammi il tuo primo figlio quando nascerà> La donna si fermò, sentì di respirare aria gelida e le mani persero in un'istante il loro calore, nonostante sentisse quell'aura spaventosa bruciarle la pelle e le vesti. Esitò, combattuta.
Poi un'ombra le scivolò lentamente lungo il braccio e comprese di non avere davvero più tempo. La disperazione la vinse in breve tempo.
<Lo farò. Rinuncerò a mio figlio, al secondo, al terzo, a tutti loro, se questo renderà degna di considerazione la mia supplica> Seguì un silenzio così lungo che la donna ebbe paura di essere rimasta sola. Alzò velocemente la testa, ma gridò per il dolore quando si ritrovò accecata da una luce splendente oltre ogni immaginazione. Cadde all'indietro, ansimando e coprendosi gli occhi con le mani, piangendo e lamentandosi, pregando di non aver perso la vista. Poi sentì nuovamente la voce, ora priva di qualsiasi emozione. O forse era solo lei che non riusciva a concentrarsi su qualcosa di diverso dai suoi occhi brucianti. <Il patto è fatto. Ora va' e fa che non ti veda mai più, creatura senza cuore, se non il giorno in cui affiderai la tua prole a mani più capaci> Così disse e la donna, senza farselo ripetere due volte, scappò via, incespicando nella vegetazione oscura. Il Sole alzò lo sguardo e vide la Luna, sempre più visibile nel cielo buio. Stava lì, muta e attenta. Una gran seccatura. <Quanto hai visto?>, chiese. L'astro non rispose subito, poi ad un certo punto una voce maschile, piuttosto preoccupata, riempì i suoi pensieri. <Ne sei proprio sicuro, DIO? Avrei potuto accogliere io quella supplica se le avessi concesso ancora un po' di tempo> Quello non disse nulla, semplicemente fissò l'orizzonte e la minuscola porzione di Sole che ancora resisteva oltre la linea del mare. <Soffriranno>, disse ancora la pallida Luna. L'altro si spinse con leggerezza oltre la scogliera, lasciandosi cullare dal vento della montagna, mentre ancora fissava la spada di luce che divideva in due la superficie marina. <Nessuno può pretendere di avvicinarsi tanto al Sole e non scottarsi almeno un po', non è vero?> Poi si adagiò sull'orizzonte e si abbandonò al sonno, lasciando che la luna iniziasse il suo turno come custode dei desideri degli uomini.
•~•~•~•= Atto II =•~•~•~•
Accadde durante una notte di primavera. Un pianto di bambino si levò da una bella casa in aperta campagna e la Luna, sentita la nuova voce, si inclinò per sbirciare tra le tende. Nella stanza illuminata da un camino pieno di legna scoppiettante la donna giaceva esausta in un letto morbido. Accanto a lei un uomo stringeva tra le braccia un neonato. I raggi pallidi non riuscirono a raggiungere il nuovo arrivato e così la Luna non poté vederlo. Tutto quello che fece fu controllare la stanza con attenzione fino al mattino. Quando le prime luci dell'alba proiettarono ombre sulla campagna, l'astro era già sprofondato in un sonno agitato.
Un mese più tardi accadde la tragedia. La Luna osservò impotente la lite sbocciare e poi degenerare attraverso le tende aperte. Il bambino stava nella culla, un dito puntato contro di lui, l'altra mano del genitore stringeva un coltello. L'uomo gridò ancora, facendo sempre la stessa domanda: come può mio figlio avere riccioli biondi e occhi azzurri? Effettivamente, neanche la luce lunare poteva schiarire abbastanza le ciocche castane di entrambi i genitori o illuminare i loro occhi scuri di blu. La donna stava piangendo, fissava il coltello, poi il marito, poi il bambino, e poi di nuovo il coltello. Farfugliava, inventava scuse, ma raramente la Luna aveva visto qualcuno di così poco credibile. Ed era lui di solito a essere testimone di tutti i segreti e le bugie troppo scottanti per essere confidati alla luce del giorno, per cui quello era tutto un dire. La tragedia accadde quando l'uomo si avventò sulla moglie. Non le diede neanche il tempo di gridare prima che lei cadesse in terra senza vita, un taglio profondo le squarciava la gola. Poi l'uomo, tremante e in lacrime, si girò di scatto verso il bambino. La Luna ringraziò il chiarore che già illuminava l'orizzonte. Appena il Sole fece capolino da dietro i dolci pendii la Luna gridò. Gridò così forte che persino le stelle la sentirono, nonostante fosse ormai praticamente scomparsa dal cielo albeggiante. <Il bambino!>
Un uomo correva senza fiato attraverso un bosco, il terreno era in salita e il peso tra le sue braccia gli rendeva ancora più difficile respirare. Raggiunse il bordo della scogliera quando il Sole era già sorto per metà. Lo vedeva all'orizzonte e la sua luce gli deriva gli occhi. Guardò per un'ultima volta il bambino che stringeva al petto: minuscolo, paffuto, bei ricci biondi come il grano e occhi grandi, blu come il cielo a mezzogiorno. Il piccolo lo guardava tranquillo, la testolina inclinata di lato come se non capisse realmente quello che stava accadendo. E come biasimarlo? Non era neanche riuscito a capire perché sua madre fosse improvvisamente caduta per terra. Così tanta innocenza, così tanta purezza. Ma era così sbagliato. <Figlio di un tradimento>, mormorò l'uomo. Tese il braccio in avanti, oltre il bordo. Il bambino stava in equilibrio nelle fasce. Il Sole splendeva all'orizzonte, il freddo vento della notte soffiava forte attorno a lui. Aprì le dita. Una freccia dorata gli trapassò il cranio. Il bambino cadde con un piccolo grido. L'uomo schizzò all'indietro e rotolò nell'erba. Grandi mani calde circondarono il corpicino sospeso oltre la scogliera. Le avide mani della morte reclamarono l'anima dell'uomo negli inferi. Una figura abbagliante fece alcuni passi sull'erba, facendola ingiallire leggermente. Il Sole guardò il bambino nelle sue mani, così piccolo da entrare nei suoi palmi uniti, così simile a lui da spaventarlo. Gli stessi capelli, la stessa pelle chiara, lo stesso sguardo profondo. Rimase a fissarlo in preda all'incertezza per più tempo del previsto, ma si riscosse quando la creaturina gli afferrò un pollice e iniziò a stringerlo tra le sue manine, piegandolo in varie posizioni. Il sentimento che fiorì dentro di lui lo lasciò senza parole. Un calore che non gli apparteneva gli incendiò il petto e sentì l'ebbrezza della vera felicità annebbiare la sua mente e offuscare il suo giudizio. Il bambino rise mentre provava a mordergli sperimentalmente il dito. Non aveva pensato a questo quando aveva esaudito la preghiera di quella donna, non si era immaginato in questo ruolo. Il piccolo mise da parte il pollice e si rivolse direttamente a lui, e poi, sorprendendolo come mai nulla prima di quel momento aveva fatto, gli sorrise. A quel punto DIO pensò davvero di aver perso la testa, ma se la ricompensa per quella follia era un tale, autentico amore, allora forse avrebbe potuto rischiare di allontanarsi un po' dalla retta via. Rivolse lo sguardo all'orizzonte e, vedendo il cerchio brillante ergersi sul mare, si volse di nuovo verso il bambino. Lo sistemò ben bene nelle coperte per proteggerlo dal freddo, poi se lo portò al petto e lo strinse forte. Una sola lacrima di gioia cadde sull'erba mentre sorrideva. <Ciao, Giorno>, disse e pensò che dal quel momento il mondo fosse diventato un posto più luminoso.
•~•~•~•= Atto III =•~•~•~•
Un uomo camminava canticchiando nella campagna, un bambino di poco più di un anno sonnecchiava sereno tra le sue braccia. L'alone pallido e delicato che circondava l'uomo sembrava non disturbare il suo sonno. La Luna sorrise. Cullò ancora il piccolo, cantando una ninna-nanna di cui neanche lui ricordava bene tutte le parole. Ma il suono era piacevole e questo bastava. Alzò lo sguardo verso il cielo puntellato di stelle e le sue vesti candide si mossero nel venticello caldo dell'estate. Presto il Sole sarebbe sorto e Giorno si sarebbe svegliato. <Jonathan> Una voce lo chiamò e non ebbe bisogno di girarsi per sapere chi era. <DIO>, mormorò, <È un po' presto, non trovi?> <Come sta?> Jonathan sorrise. Non era ancora riuscito a trovare le parole giuste per descrivere quanto fosse contento di quella situazione. Il suo cuore vibrava di felicità e sapeva che era lo stesso per la stella del giorno. <Tutto bene, è con me dopotutto. Se continuerai a essere così protettivo con lui, temo che presto o tardi comincerà ad odiarti> Il silenzio che seguì poteva solo essere un segno della preoccupazione dell'altro dopo aver udito quelle parole. Allora Jonathan si voltò, allungò una mano e la posò sulla spalla del Sole, stringendo delicatamente. La sua espressione insicura lo turbò più del necessario. <Va bene, stavo solo scherzando. Stai andando bemissimo> <Lo pensi davvero?> La Luna annuì con convinzione. <Certo. Lui è felice, noi siamo felici. Non vedo lati negativi in tutta questa storia> DIO non sembrava convinto. Girò la testa di lato e lasciò che il suo sguardo vagasse sui profili delle case in lontananza. <Io...spero solo di non aver commesso un errore> Jonathan stava per rispondere, ma Giorno lo batté sul tempo. Il piccolo, svegliatosi probabilmente a causa dei discorsi dei due, si divincolò dalla presa dell'altro e si allungò verso DIO, sul volto rotondo aveva un'espressione piena di determinazione. Il Sole lo afferrò e lo strinse a sé, Giorno si tirò su e gli piantò un tenero bacino sulla guancia. Quello rimase stordito. <Pap��>, disse solo il piccolo con decisione. Jonathan sorrise e desiderò poter immortalare quel momento mentre DIO, con un sorriso più radioso del sole di mezzogiorno, baciava il pargoletto sulla fronte e lo stringeva al petto come se fosse una parte della sua anima.
•~•~•~•= Epilogo =•~•~•~•
Il Sole teneva il bambino di giorno, lo faceva giocare e gli insegnava tutto ciò che c'era da sapere sul mondo; la Luna lo cullava di notte, leggendogli favole e insegnandogli a sognare. Dall'alto le stelle guardavano i tre e ogni tanto si avvicinavano per stare col bambino, riempiendo il cielo di frecce argentee e spingendo gli uomini a rivolgere ad esso le loro preghiere.
#jojo#jjba giorno#giorno giovanna#dio brando#jonathan joestar#giorno giovanna's mother#giorno giovanna's stepfather#jojo au#gods au#sun and moon#song based#mudad#son and father relationship#dio x jonathan but it's almost invisible
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LE POESIE DELLO SCRITTORE FRANCESE
Paul Verlaine, le poesie più belle del poeta maledetto
Paul Verlaine è stato uno dei massimi esponenti della poesia francese del Novecento assieme a Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud

MILANO – Paul Verlaine (1844-1896) è riconosciuto come il maestro dei giovani poeti del suo tempo, nonché come uno dei massimi rappresentanti della poesia simbolista francese. La sua breve vita fu estremamente travagliata e drammatica, dalla relazione omosessuale con Arthur Rimbaud (che gli valse la nomea di poeta maledetto), all’incarcerazione, fino alla conversione al cattolicesimo e alla morte di tifo a soli 52 anni. Oggi ricorre l’anniversario della morte del poeta e lo ricordiamo con le sue poesie più belle.
La poesia e la musica
La poesia di Verlaine ebbe un effetto dirompente nel panorama poetico francese del tempo. Sulla scia di Baudelaire, Verlaine sente l’esigenza di rompere gli schemi delle metriche tradizionali, con i loro ritmi regolari e simmetrici, e si dedica alla creazione di versi liberi, irregolari, estremamente musicali. Secondo Verlaine la Parola è un simbolo, incapace di descrivere esaustivamente la realtà, ma capace di evocare immagini potenti dietro a cui risiede il senso profondo delle cose. La sua poetica pone al centro l’esigenza della musicalità, assimilando i componimenti poetici ai testi musicali attraverso il rifiuto dell’eloquenza, della rima e delle strutture metriche tradizionali. La poesia, dunque, necessariamente deve essere vaga, e non limitarsi alla semplice descrizione di eventi ed emozioni, ma trasmettere immagini, alludere, evocare sensazioni, proprio perché il senso profondo delle cose risiede al di là della Parola.
Arte poetica
La musica prima di ogni altra cosa,
E perciò preferisci il verso impari
Più vago e più solubile nell’aria,
Senza nulla in esso che pesi o posi…
È anche necessario che tu non scelga
le tue parole senza qualche errore:
nulla è più caro della canzone grigia
in cui l’Incerto al Preciso si unisce.
Sono dei begli occhi dietro i veli,
è la forte luce tremolante del mezzogiorno,
è, in mezzo al cielo tiepido d’autunno,
l’azzurro brulichio di chiare stelle!
Perché noi vogliamo la Sfumatura ancora,
non il Colore ma soltanto sfumatura!
Oh! la sfumatura solamente accoppia
il sogno al sogno e il flauto al corno.
Fuggi lontano dall’Arguzia assassina,
dallo Spirito crudele e dal Riso impuro,
che fanno piangere gli occhi dell’Azzurro,
e tutto quest’aglio di bassa cucina.
Prendi l’eloquenza e torcile il collo!
E farai bene, in vena d’energia,
a moderare un poco la Rima.
Fin dove andrà, se non la sorvegli?
Oh, chi dirà i torti della Rima?
Quale fanciullo sordo o negro folle
ci ha forgiato questo gioiello da un soldo
che suona vuoto e falso sotto la lima?
Musica e sempre musica ancora!
Sia il tuo verso la cosa che dilegua
che si sente che fugge da un’anima che va
verso altri cieli ad altri amori.
Che il tuo verso sia la buona avventura
Sparsa al vento increspato del mattino
Che porta odori di menta e di timo…
E tutto il resto è letteratura.
Spleen
Le rose erano tutte rosse
e l’edera tutta nera.
Cara, ti muovi appena
e rinascono le mie angosce.
Il cielo era troppo azzurro
troppo tenero, e il mare
troppo verde, e l’aria
troppo dolce. Io sempre temo
– e me lo debbo aspettare!
Qualche vostra fuga atroce.
Dell’agrifoglio sono stanco
dalle foglie laccate,
del lustro bosso e dei campi
sterminati, e poi
di ogni cosa, ahimé!
Fuorché di voi.
.
Viviamo in tempi infami
Viviamo in tempi infami
dove il matrimonio delle anime
deve suggellare l’unione dei cuori;
in quest’ora di orribili tempeste
non è troppo aver coraggio in due
per vivere sotto tali vincitori.
Di fronte a quanto si osa
dovremo innalzarci,
sopra ogni cosa, coppia rapita
nell’estasi austera del giusto,
e proclamare con un gesto augusto
il nostro amore fiero, come una sfida.
Ma che bisogno c’è di dirtelo.
Tu la bontà, tu il sorriso,
non sei tu anche il consiglio,
il buon consiglio leale e fiero,
bambina ridente dal pensiero grave
a cui tutto il mio cuore dice: Grazie!
.
Vola, canzone, rapida
Vola, canzone, rapida
davanti a Lei e dille
che, nel mio cuor fedele,
gioioso ha fatto luce
un raggio, dissipando,
santo lume, le tenebre
dell’amore: paura,
diffidenza e incertezza.
Ed ecco il grande giorno!
Rimasta a lungo muta
e pavida – la senti?
– l’allegria ha cantato
come una viva allodola
nel cielo rischiarato.
Vola, canzone ingenua,
e sia la benvenuta
senza rimpianti
vani colei che infine torna.
.
.
Il clown
Saltimbanco, addio! Buona sera, Pagliaccio! Indietro, Babbeo:
Fate posto, buffoni antiquati, dalla burla impeccabile,
Fate largo! Solenne, altero e discreto,
ecco venire il migliore di tutti, l’agile clown.
Più snello d’Arlecchino e più impavido di Achille
è lui di certo, nella sua bianca armatura di raso:
etereo e chiaro come uno specchio senza argento.
I suoi occhi non vivono nella sua maschera d’argilla.
Brillano azzurri fra il belletto e gli unguenti
mentre, eleganti il busto e il capo si bilanciano
sull’arco paradossale delle gambe.
Poi sorride. Intorno il volgo stupido e sporco
la canaglia puzzolente e santa dei Giambi
applaude al sinistro istrione che l’odia.
.
.
Noi saremo
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?
Nell’amore isolati come in un bosco nero,
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.
Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.
Uniti dal più forte, dal più caro legame,
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.
Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
per noi ha stabilito, cammineremo insieme
la mano nella mano, con l’anima infantile
di quelli che si amano in modo puro, vero?
.
..
Le conchiglie
Ogni incrostata conchiglia che sta
In quella grotta in cui ci siamo amati
Ha la sua propria particolarità.
Una dell’anima nostra ha la porpora
Che ha succhiato nel sangue ai nostri cuori
Quando io brucio e tu a quel fuoco ardi;
Un’altra imita te nei tuoi languori
E nei pallori tuoi di quando, stanca,
Ce l’hai con me perché ho gli occhi beffardi.
Questa fa specchio a come in te s’avvolge
La grazia del tuo orecchio, un’altra invece
Alla tenera e corta nuca rosa;
Ma una sola, fra tutte, mi sconvolge.
.
.
Poiché l’alba si accende
Poiché l’alba si accende, ed ecco l’aurora,
poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
a ritornare a me che la chiamo e l’imploro,
poiché questa felicità consente ad esser mia,
facciamola finita coi pensieri funesti,
basta con i cattivi sogni, ah! Soprattutto
basta con l’ironia e le labbra strette
e parole in cui uno spirito senz’anima trionfava.
E basta con quei pugni serrati e la collera
per i malvagi e gli sciocchi che s’incontrano;
basta con l’abominevole rancore! Basta
con l’oblìo ricercato in esecrate bevande!
Perché io voglio, ora che un Essere di luce
nella mia notte fonda ha portato il chiarore
di un amore immortale che è anche il primo
per la grazia, il sorriso e la bontà,
io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
camminare diritto, sia per sentieri di muschio
sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;
sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
verso la meta a cui mi spingerà il destino,
senza violenza, né rimorsi, né invidia:
sarà questo il felice dovere in gaie lotte.
E poiché, per cullare le lentezze della via,
canterò arie ingenue, io mi dico
che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
e non chiedo, davvero, altro Paradiso.
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RACCONTI SEGRETI
ilramorubato - Come un viaggio "Vogliamo scender nell'abisso, giù nel covo,
fino a bruciarci il cranio: Inferno o Cielo, che importa?
Fino in fondo all'ignoto per trovare del nuovo."
(C. Baudelaire)
E' un preciso istante quello in cui una donna ed un uomo escono così tanto dai loro binari esistenziali, da legarsi l'un l'altro. E' l'ardito superamento di una linea rossa. Un attimo infinito ed assieme sfuggevole in cui due anime si marchiano vicendevolmente del proprio fuoco. Una frazione infinitesima di eternità in cui esse, senza accorgersene, scivolano assieme nella stessa irragionevole contraddizione.
Sfido il traffico per rubare minuti al mio incolpevole ritardo. Parcheggio la macchina. "Sto per arrivare. Spegni il tuo cellulare, bambina mia, e metti la benda sugli occhi." Riempio l'inestinguibile sete di denaro del parchimetro per quattro ore. Non bastano. Frugo tra le tasche fino a trovare altri due euro. Serviranno anche quelli.
E' come un salto nel vuoto. Un passo che fai oltre il precipizio. Il piacere di una caduta improvvida e pericolosa. Una scoperta che attendi di compiere da molto tempo. Ho rubato il tuo sonno, assieme alla tua ragione. Ho demolito certezze. Smantellato dogmi. Aperto dubbi. Ed ora hai paura di te, delle emozioni che ti percuoteranno. Hai paura di me. Di ciò che faremo. Paura di provare troppo piacere. Di sprofondare nelle sabbie mobili del rimorso. Ti sei detta cento volte "no". Che alla fine non saresti venuta. Che ti saresti sentita in colpa verso di lui. Ma se i tuoi desideri e le tue virtù non fossero in questo continuo tormentato conflitto tra loro, non ti troverei così interessante.
E' come il racconto che ho scritto per te, bambina mia. Dopo tanti mesi che l'hai cullato e letto, lo vuoi vivere sulla tua pelle. E ora tu mi stai aspettando. Col batticuore che sembra musica tribale. Seduta sul letto di un albergo, in una città lontana centinaia di chilometri da casa tua. Dopo aver fatto carte false per trovare il tempo e il modo di venire qui. Tu sei l'emozione di un'imprudente scommessa fortemente voluta e infine conquistata, una sfida aperta con te stessa che ora voglio farti vivere fino in fondo.
Oltre il muro del lecito. Oltre i paletti precisi ed ordinati con cui si recinta la quotidianità.
Hai lasciato la porta chiusa, senza accorgertene. Busso. Tu sei bendata. Non puoi vedere. Cammini nel buio. Ti fai strada a tentoni. Cerchi con le mani la porta. Mentre quasi ti manca il fiato per l'emozione. Tutto ciò ti sembra irreale e divino. Assurdamente piacevole ed assieme temibile. E' come un gioco. Una moscacieca proibita che ci rende assieme complici e bambini disobbedienti. Un nascondino di anime sconosciute dentro un luogo altrettanto sconosciuto. E' il gioco del silenzio, in una città mai vista. In una strana deviazione delle nostre esistenze dal loro destino.
Chiudo lentamente la porta alle mie spalle, mentre tu resti in piedi in attesa. Lascio dietro di essa tutte le ragioni per le quali noi non dovremmo essere qui.
Respiri forte davanti a me, senza dire nemmeno una parola. Come a prendere coraggio. Come a prendere aria, prima di una lunga e profonda immersione dentro di te. Io ora non sono più un sogno. Non sono più un racconto. Non sono più la fantasia irrequieta che tante volte ti ha rapita nelle mie parole. Per la prima volta, senza che tu mi veda, ti sto toccando. Oggi sono fatto di carne, e non più di parole.
Ti aggiusti la benda, prima che ti scivoli. E intanto senti le mie mani che ti cingono il ventre. Che ti accarezzano dolcemente i fianchi, per poi salire ai tuoi seni. Mi metto dietro di te. Afferro le tue spalle, le tengo delicatamente strette, come se fossero un delicato manubrio di vetro. Come se la mia forza mal calibrata potesse spezzarti in due. Fatti guidare, bambina mia. Segui i miei passi. Segui le frequenze di questo tuo abbandono. Siediti qui, su questo letto. Penserò a tutto io.
Tra le labbra e la gola. A mezza via tra una dirompente paura e il desiderio di superarla. Trattieni parole che non sanno se uscire. Contieni faticosamente la pioggia battente di emozioni che ti sta sommergendo. E' un silenzio rumoroso, quasi assordante, carico di pensieri delicati. Un ponte sospeso tra la realtà e il desiderio di superarne i limiti. Mentre ti esploro, tra la pelle ed i vestiti, sento che ti stai lasciando andare.
Qualcosa in te ha iniziato a volare lontano. Con i tuoi sensi dilatati. Con le mie ali protettive e assieme impure.
E' come un viaggio, bambina mia. E' come il percorso delle mie mani sopra al tuo corpo. Dentro di te. Dentro di me. Alla ricerca di quel fugace niente che da solo sa dar senso ad un'intera esistenza. Oltre quei limiti di oscuro che io e te, da sempre, ci portiamo dentro. E' come un viaggio, lontano da noi. Fuori dal tempo. Fuori dalle nostre vite. Fuori da ogni logica di compromesso. Un appuntamento con te stessa, a cui stavolta non sei mancata. Un allontamento infinito e istantaneo dalla tua vita, prima di un nuovo rientro in essa
Segui i miei baci, mentre ti spoglio. Cerchi le mie labbra ogni volta che ti tolgo un indumento. Mentre scorrono le maniche della maglia sulle tue braccia. Mentre combatto con il ferretto del tuo reggiseno. Mentre ti sfilo le tue mutandine impazientemente bagnate. Resti vestita solo della tua benda rossa e di un incondizionato abbandono alle mie mani.
E' come un quadro di Mirò, bambina mia. Fatto di corde e di lenzuola. Di carne viva e di odori peccaminosi. Di ombre e di pensieri impuri. Dissemino emozioni primordiali su questa tela. Disordinatamente. Appassionatamente. Inquietamente. Vi muovo consapevolemente le mie fantasie. Vi ripongo le promesse che mi hai distillato. Tengo i fili di questo gioco impuro e proibito, come se stessi componendo la tua perdizione.
Senti i miei morsi scavare nelle tua pelle, e la mia lingua piovere sui fuochi del tuo corpo. Senti la vertigine di un cammino sempre più proibito e pericoloso. Senti che le mie mani fanno delicato scempio delle tua intimità. Assaggi il mio sapore, con la punta della lingua, con la delicatezza con cui scopriresti un vino nuovo. Mi sorridi, sotto la benda rossa. E in quell'istante ti desidero infinitamente.
E' fatta di carezze e di regole infrante questa nostra strada. Di poesia e di sregolatezza. Di desiderio e inquietudine. Accoglimi in te, bambina mia. Sommergimi di te. Contienimi dentro fino all'estremo delirio di questa nostra follia.
E' come una musica, il piacere che sale nell'unione dei nostri corpi. Come un incalzante Bolero di Ravel che cresce avidamente, nutrendosi di quanto ha intorno. Mi risucchi dentro di te, con voracità e delicatezza. Mi trattieni in te. Mi fai vibrare coi tuoi respiri. Col la mia carne che struscia dentro la tua. Morbidamente. Mentre i tuoi seni ballano dello stesso ritmo del mio corpo. Mentre i nostri respiri, crescendo, si confondono e si avvicinano indefinitamente.
Ti guardo, distesa e ancora legata. Gioco con la tua benda. La scopro, la ricopro nella penombra. Scherzi con me, con la delicatezza di una bambina. Calo la benda. Mi guardi. Ti guardo. Ed è la prima volta.
E' come il parto di una tua nuova esistenza. Travagliato, voluto e assieme combattuto. Conquistato con il coraggio di una lucida follia. Come una prova del fuoco. Come se, nella tua schiena fossero spuntate le ali di un nuovo proibito sentire. Come una farfalla appena germogliata dalla sua tranquilla crisalide.
Alterniamo le parole alle carezze, ai baci. Dolcemente gioco con i tuoi seni, con la pelle della tua schiena, con il tuo magnifico sedere, mentre parliamo delle nostre vite lontane. Porteremo nel tempo il ricordo di questi momenti impuri, bambina mia. A volte li ricorderemo con vergogna e distacco. Altre volte con quella dirompente nostalgia che strappa i pensieri dal cuore e li proietta nell'indefinito ricordo della felicità.
Entro in te per l'ultima volta. Ti metti in ginocchio sul letto, e appoggi i polsi sui cuscini. Ti mordo le spalle, mentre allarghi lentamente le gambe. E penso al tuo corpo come ad un magnifico dono che mi offri. Incondizionato e senza pudore alcuno. Ti sento, per un secondo e per sempre, come quella frazione di te che esiste per me e per nessun altro.
Consumiamo negli ultimi abbracci il sapore dell'estasi. Mi lasci un disegno che hai fatto per me. E nulla di più prezioso potevi affidarmi, di un pezzo della tua anima.
Mi guardi. Ti guardo. Ed è già l'ultima volta, prima che centinaia di chilometri e due differenti destini, ci riportino alle nostre realtà. Senza davvero sapere se mai ci rivedremo. Senza nemmeno la certezza del solo risentirci.
Per un giorno. Per anni. Per un solo minuto. Tu non lo sai per quanto e come. Non lo so nemmeno io. Sorrido, mentre la porta della tua camera si chiude alle mie spalle come un sipario calante. E' proprio questo, bambina mia, il preciso istante in cui io e te stiamo legandoci: mentre chiudo questa porta, e tu stai rivedendo quello che abbiamo appena vissuto. Mentre ci siamo lasciati come per un "addio", ed entrambi invece, silenziosamente, stiamo adesso capendo che sarà un "arrivederci".
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Oggi volevo aprirmi una volta per tutte, con voi. E volevo farlo sul mio blog. Grazie a chi leggerà la mia storia.
Martina
Mi chiamo Martina, ho sedici anni.
Nella vita il mio unico sogno è scrivere un libro, è l’unica cosa che probabilmente mi riuscirebbe bene fare. Forse un giorno lo farò, e se tu stai leggendo questo testo significa che sei una delle poche persone alla quale dedicherò il mio libro.
Uso questo momento per scrivere sotto una sinfonia di Beethoven, per lasciare libero sfogo ai miei pensieri.
Tu, che probabilmente sarai l’unica persona a me vicina che leggerà questo testo, forse ora riuscirai davvero a capire chi è Martina.
Mi chiamo Martina, ho sedici anni. Non sono mai stata la figlia che i miei genitori avrebbero voluto, mi hanno sempre etichettato come colei che gli disobbediva, tornava tardi la sera, gli rispondeva male. Sono sempre stata etichettata come una delusione, nonostante io mi impegnassi a portare a casa quei voti straordinari, ai quali loro non hanno mai dato importanza.
Fin da piccola, sono sempre stata derisa da tutti, specialmente per il mio aspetto fisico. All’asilo ero l’unica bambina che per non stare in classe si faceva i bisogni addosso per poi andare a girovagare con la bidella intorno alla scuola. Cinzia, la mia salvezza fin dall’asilo. Cinzia sapeva che Martina odiava stare in quella classe, a fare cose di cui non aveva interesse.
Ho imparato a leggere a casa, nel periodo dell’asilo, da sola. Alle elementari sapevo già leggere e quasi scrivere. Non mi è mai servito l’aiuto di nessuno. Sono sempre stata sola, fin dall’asilo.
Alle elementari probabilmente ero un pochino più felice, ma nemmeno troppo. C’erano già all’epoca quelle persone che mi prendevano in giro per il mio aspetto fisico, avevo dei salsicciotti al posto delle gambe e delle braccia, probabilmente mi vestivo anche male, ma non perdonerò mai queste persone. L’unica cosa che mi rincuorava anche se è brutto dirlo, come scoprirai, era la presenza di un mio compagno di classe, che aveva probabilmente qualche problema. Lui toccava le parti intime di quasi tutte noi ragazze, anche le mie, e allora lì mi sentivo più contenta, magari qualcuno, anche se in un modo schifoso, mi apprezzava.
Alle elementari ho incontrato uno spiraglio di luce, Marta. Marta è stata per me il motivo per cui vivevo, quasi ogni pomeriggio, oltre a scuola, stavamo insieme. E’ stata l’unica persona che per un periodo della mia vita conosceva tutto di me, Marta non mi ha mai giudicato. E questo per me è stata una liberazione, poiché già a quei tempi avevo paura del giudizio degli altri.
Marta purtroppo non fa più parte della mia vita, a causa di un mio errore, non l’ho calcolata per molto tempo, per pensare al mio fidanzatino dell’epoca, la capisco, ha fatto bene a lasciarmi da sola.
Il periodo delle medie è stato il periodo più brutto della mia vita.
Per i miei genitori ero una bambina strana, tornavo da scuola e mi chiudevo in camera fino al giorno dopo. Non si sono mai chiesti come stava Martina, hanno sempre pensato che fossi una ragazza antipatica, che ti aggrediva appena avresti osato dirle qualcosa.
In classe venivo ogni giorno derisa, venivo chiamata cicciona, obesa di merda, e chi più ne ha più ne metta. Quelle voci mi risuonavano in testa in ogni momento, ero diventata folle, folle e depressa. La sera mi addormentavo col desiderio di non risvegliarmi più, ma puntualmente la mattina mi svegliavo. Vedevo già tutto nero, mi vestivo, mi mettevo le cuffie e sentivo Nitro, Nitro e Mecna. Entravo in macchina sempre con le cuffie, senza ascoltare nessuno, scendevo a scuola e andavo a sedermi sulle scalette, stavo lì fin quando non suonava, dopodiché entravo in classe e le offese ricominciavano. Non ce la facevo più. Avrei voluto uccidermi istantaneamente, e quante volte ci ho provato. Passavo ore e ore sul balcone, provando a buttarmi, ma ogni volta ripensavo alla mia famiglia, quella che non mi ha mai amato.
Nonostante non mi abbia mai amato, non mi sono uccisa pensando a non dare un altro problema ai miei genitori. Io ero già abbastanza.
Oltre tutto, in quel periodo non avevamo i soldi, a volte non mangiavo. I miei genitori litigavano ogni giorno, non sono mai andati d’accordo. E quante volte io rimanevo fuori la porta sentendo le loro grida. Sentivo sia le grida nella mia testa che le loro, qualcosa di straziante.
Mi sentivo brutta, grassa. Molte volte prendevo le forbici, credendo di poterli tagliare quei rotoli di pancia che ho. Rompevo temperini per quella lametta che c’era dentro, per tagliarmi le braccia. Pensando che il dolore fisico avrebbe sovrastato quello psicologico, ma infondo non era così.
Una persona che, alle medie, mi ha aiutato in quel periodo è stato Luca. Luca mi diceva ogni giorno che ero bellissima, e non meritavo di stare così. Ma io e Luca eravamo uguali, ci sentivamo alla stessa maniera. Ci guardavamo negli occhi e vedevamo dolore su dolore negli occhi dell’altro. Un giorno uscii con Luca, provò a baciarmi ma mi discostai. Mi discostai poiché all’epoca avevo un altro fidanzatino di cui ero cotta, Nicolò. Nicolò non mi ha mai apprezzata, in classe nemmeno mi parlava, lui era amico di coloro che mi prendevano in giro, ma io ero pazza di lui. Nicolò in chat mi diceva tante belle cose, dal vivo non mi parlava. Insomma, Luca non l’ho baciato per colpa sua, e mi tengo questo rimorso ormai da anni. Luca non fa più parte della mia vita. Ma è stato l’unico a sapere del mio blog e io l’unica a sapere del suo.
Ci siamo rivisti una volta, di nascosto, quest’estate. Quando a me era di nuovo crollato il mondo addosso, questa volta per colpa di Matteo. Luca mi aveva fatto credere di volermi vedere per parlare e stare insieme, ma quello che poi voleva era scoparmi. Ci siamo baciati però, ma non era un momento magico come lo sarebbe stato alle medie. Non ci ho scopato, me ne sono andata. In quel momento, proprio in quel momento, ho smesso di credere nell’essere umano. Come può una persona che sa del tuo dolore, fare ciò?
Ora quando lo vedo per strada nemmeno ci salutiamo, abbassiamo la testa. Ma sappiamo entrambi come stiamo, forse non cambieremo mai, questo dolore ci sovrasterà sempre.
In questo testo non nominerò tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita, ma quelle che mi hanno reso quella che sono oggi.
Alle medie ho creato il mio blog, su tumblr, dove mi seguono circa mille persone. Pensa, mille anime che leggono i pensieri di Martina, qualcosa di straordinario per me. Quel blog non è diventato famoso, poiché molto spesso non scrivevo, avevo troppo dolore dentro. E tutt’ora l’ho lasciato un po’ andare.
Come ho raccontato, non sono mai stata una persona felice.
Quel periodo straziante però in parte l’ho superato, da sola, dopo molto tempo, dopo pianti ininterrotti, occhi gonfi, faccia viola. Sì, quando piango a volte non respiro, entro in apnea, a volte sento di svenire, ma poi riesce ad entrare di nuovo un po’ d’aria nei miei polmoni.
La depressione è un mostro bruttissimo. La depressione è qualcosa di straziante, ti porta a vedere tutto nero, ti porta ad ucciderti se non riesci a rialzarti.
Purtroppo o per fortuna io sono ancora qui. Ma dalla depressione non sono guarita del tutto. Rivivo, molto spesso, quel dolore che non andrà mai via da me.
Ho passato e passo una marea di brutti periodi. Spesso non mangio, non tocco cibo, arrivo a svenire, ma questo non lo sa mai nessuno. E ogni volta spero di non risvegliarmi più dopo essere svenuta. Ma invece non è così. Il dolore non passa vomitando o non mangiando, nemmeno svenendo. Le ho provate tutte, ma non sono mai riuscita a farla finita.
Il periodo del Liceo è stato il periodo in cui sono stata “meglio” poiché non piangevo tutti i giorni. Ho avuto i miei primi fidanzatini, Italo e Matteo, che mi hanno salvato, dopodiché mi hanno ributtato giù. Non sto qui a raccontare quanto sia stata male e ciò che mi abbiano fatto, forse ne parlerò nel mio libro. Dopo di loro sono diventata quello che sono ora: un verme.
Sono un verme, mi definisco così. L’essere umano mi ha deluso, e mi ha ucciso, ha ucciso tutti i bei sentimenti che provavo. Ora ciò che mi fa sentire libera è una scopata. Ma perché della mia scopata non ne parlo con nessuno? Poiché ho paura del giudizio degli altri, potrebbe uccidermi una volta per tutte.
Le ragioni per cui sono diventata un verme penso le avrai capite, ora non mi importa più degli altri, non mi importa più niente.
Ho scopato senza sentimento, sì, ma non mi sono sentita sporca, mi sono sentita bene. Bene perché forse è l’unica cosa che mi rimane da fare per avere dei momenti in cui non soffro.
Ogni giorno Martina invece di vivere, SOPRAVVIVE. Voglio farla finita ogni fottuto giorno, ma puntualmente non lo faccio mai, il motivo è sempre lo stesso.
Perché voglio farla finita? Perche mi sento fottutamente sbagliata, in un mondo di merda. Vivo con un perenne peso in petto, dentro ho un dolore straziante, ma fuori sorrido, mai nessuno è entrato dentro di me da capire come io veda il mondo. Vedo il mondo tutto nero, non ho un motivo per andare avanti. Sfogo questo dolore scrivendo, tirando cazzotti al muro, piangendo. Non so più che fare. Sono esasperata. Nessuno mi conosce, mi giudicherebbero tutti come un’autolesionista di merda se sapessero queste cose, come una che non sa quali sono i veri problemi della vita. Io invece penso di conoscerli. So cosa significa non avere nulla da mangiare, stare senza soldi, avere continue liti in casa, essere la delusione dei tuoi genitori, essere bullizzata, sfortunatamente conosco tutto ciò e anche qualcosa in più.
So, perché lo vivo ogni giorno, cosa significa sperare di non svegliarsi più, ma puntualmente ritrovarsi a vivere questa vita di merda. So cosa significa guardarsi allo specchio e odiarsi talmente tanto da scoppiare a piangere. Nessuno lo sa. Da fuori sembro la solita narcisista che si ama alla follia, che si fa le foto al culo credendosi bella. Forse sì. Bella molto spesso mi ci sento, ma poiché sopravvivendo ho imparato ad accettarmi, e a capire che sono così. Con quei chili in più, col culo grosso e le braccia cicciotte. Sono io, sono Martina.
Con questo testo non voglio sembrare una vittima, ma voglio far capire realmente perché oggi, sono quella che sono.
Sono lacerata dentro, e spero che un giorno tutto questo finirà.
Un giorno dissi a mia madre:”Mamma, voglio scrivere un libro.” Cosa mi rispose? Di stare zitta poiché sono una buona a nulla. La mia passione derisa a nulla, quanto dolore provai.
Non ho parlato della morte di mio nonno poiché sarebbe davvero straziante. Martina ha visto il suo corpo morto sul letto, senza versare nessuna lacrima. La mia anima, se ne avevo una, è andata via con lui. Il mio angelo.
L’unica persona che merita di essere ringraziata, tra tutti, è Simone. Non so se leggerai mai questo testo, ma sei l’unica persona che mi ha permesso, almeno per un attimo, di vedere uno spiraglio di luce in questo periodo. Questo spiraglio si chiama Simone. Meriti tutto il bene del mondo, che io in questo momento e in questo stato non sarò mai in grado di darti, ma spero che un giorno tu sarai felice. E magari vedendoti così, il mio male si attenuerà davvero. Poiché tu per qualche istante sei riuscito ad attenuarlo.
Questa è Martina, quella che nessuno conosce.
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Vietato tradire la parte più vera di te, quella che spesso tieni nascosta, quella che ha a che fare con la musica e con i capelli al vento, con certe scelte che fai come se tu non avessi alternative e invece un’alternativa c’è sempre, solo che a volte il cuore fa finta di niente e che bello che è, quando succede. Vietato dimenticare di quando correvi in riva al mare sperando di essere presa e portata via da qualcuno, vietato dimenticare quelle sere in cui ti addormentavi sperando che la realtà potesse assomigliare alle storie che leggevi di nascosto, pregando che tua madre non si accorgesse che eri ancora sveglia. Vietato smettere di sperare in qualcosa, qualsiasi cosa, tipo che domani ci sia il sole, che si veda la luna, che al supermercato ci siano le pesche buone, che qualcuno ti abbracci, che qualcuno si accorga della fatica che duri. Vietato smettere di durare fatica, perché quando sudi, quando arranchi, quando corri da una parte all’altra sognando un po’ di meritato riposo, è proprio allora che vivi davvero: quando ti muovi, quando poi torni a casa e tiri un sospiro di sollievo perché in qualche modo ce l’hai fatta, sei ancora tutta intera. Vietato sorvolare sulle piccole vittorie, sui dolori minuscoli che come gocce d’acqua ti consumano il cuore forse anche più di quelli grandi. Vietato sorvolare in generale, fai caso alle mani della gente, agli alberi, alle nuvole, all’odore dei giornali, alle parole nuove che usano i bambini, ai ricordi che arrivano quando vogliono e non si possono ignorare. Vietato ignorare le canzoni, anche quando queste canzoni non sono dedicate a te. Vietato dire “che schifo” prima di aver provato, vietato dire “che schifo” in assoluto. Qualcosa da salvare c’è sempre, allora tu trovalo e tienilo da parte. E poi, se puoi, non fare l’errore che facciamo tutti, prima o poi: non aver paura di condividere la bellezza. La bellezza non si consuma se la doni agli altri. La bellezza, se la spargi in giro, cresce rigogliosa. Vietato smettere di commuoversi guardando un film stupido, di piangere di fronte ad una stella che cade, di esprimere un desiderio spegnendo una candelina sulla torta. Vietato smettere di fare qualcosa solo perché c’è chi ti trova ridicola, vietato rimanere in silenzio quando qualcosa dentro di te urla, vietato dire “vado via” per timore di soffrire troppo. Per amore, resta. Per amore, resta quella che sei. Per amore, difenditi, ma per favore: non esagerare. Perdersi tra i pensieri e le smorfie ed i modi di dire e le abitudini e i rimpianti e i baci e le speranze di qualcuno è un bel modo di stare al mondo. Vietato dire a qualcuno “non piangere”, “non ridere”, “non andare via”. Se ci riesci, lascia correre, lascia scorrere la vita e le persone, perché poi vedrai, ce ne saranno alcune che non riuscirai a perdere nemmeno quando ti ci metterai d’impegno. Guarda le previsioni, ma non proprio tutte le mattine, ogni tanto lasciati sorprendere dalla pioggia, o dal sole. Porta i fiori a chi sai tu, o dedicale il mare ogni volta in cui avrai la fortuna di guardarlo. Ricordati che ci sei e che questo è un potere magico incredibile, che se mi dicessero “vorresti essere invisibile, teletrasportarti o esistere?” io risponderei senza alcuna esitazione “esistere”. Perché se esisti sei parte di qualcosa, puoi provare nostalgia, puoi provare a essere felice. Vietato dimenticare che tutto quello che ti circonda non è un ostacolo, ma un’opportunità.
©Susanna Casciani
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«Dove mi porti?»
Alza gli occhi sulle cabine del London Eye, che girano a una lentezza degna di una lumaca. Abbassa di nuovo lo sguardo su quell`accumulo di nastrini, stivali di gomma e colori scazzottanti e sorride: «da lassù si vede meglio il tramonto»
Sta davvero capitando di nuovo? Un appuntamento, una ruota panoramica e le sue vertigini?
«Ne sono sicura» che da lì sopra si veda meglio il tramonto. Gli occhi che tornano su di lui con un principio di supplica terrorizzata; prima che il gigante di ferro abbia di nuovo tutta la sua attenzione. «E` chiaro... cioè, è-è sicuramente una bella metafora: la ruota, le giostre, la lentezza simile a quella del bruco ma vedi... c`è una differenza fondamentale fra il bruco è una fottutissima ruota panoramica!» Il respiro comincia ad accorciarsi e il tono a salire di qualche isterica ottava. «Il bruco STRISCIA» pausa ad effetto per sottolineare il concetto «A TERRA!»
«Come sta il bruco?»
«Sta…bene» Arriccia le labbra in un sorriso a stento trattenuto, prima di tornare con l`attenzione sulle boccette. Come sa essere fastidiosamente riservata su questa cosa, è davvero insospettabile per una chiacchierona come lei. Ma forse è stato il sorriso sincero di Katrine a convincerla a sbottonarsi un pelino di più. «E` diventato una ruota panoramica, adesso. Procede ugualmente lenta, ma… con la difficoltà aggiunta dell`altezza».
«Eh sì, dall`alto ci si può fare male, ma una volta raggiunta la cima la vista è da spezzare il fiato e a volte ne vale proprio la pena».
Un sospiro profondo mentre la osserva reggersi, aggrapparsi, e sporgersi leggermente per guardare quello che c`è fuori la cabina. Il mondo, Wilson. Solo che quello più importante, al momento, è tutto in una cabina ovale a cinquanta, cinquantasette, ora sessanta metri da terra.
«Quanto hai detto che dura?» «Non l`ho detto, Wilson»
L`accoglie a sé, tenendola stretta neanche ci fosse il pericolo di cadere davvero. E quando lei gli sorride anziché rifilargli un secondo pestone, lui non può far altro che sciogliersi in un sorriso pulito, genuino, sincero. Deglutisce. La schiena nuda le lei va ad appoggiarsi sulla giacca dello smoking. Deglutisce. E quell`abbraccio viene accolto da Harry, che con fare protettivo la avvolge con le braccia fasciate dal tessuto morbido dell`abito. Quei capelli di camomilla si mischiano all`odore acre della rosa maculata; lasciandosi andare, avvicina il naso a quei fili dorati. Apre la bocca per parlare. La richiude. Inspira. Deglutisce. Si dimentica di buttar fuori l`aria dai polmoni. Dirlo o non dirlo? «Pensavo, no... che le colline rosse saranno anche divertenti... ma le ruote panoramiche ti concedono un panorama mozzafiato da cui non vorrei mai staccarmi». La stringe più forte. Espira.
Non male, no? Le luci di Londra, il buio che rende difficile calcolare di quanti metri stiano salendo e la sua voce che alla fine arriva a ridestarla da un momento di silenziosa meraviglia del tutto imprevisto. Resta immobile, lo sguardo ancora puntato fuori, a variare è solo il ritmo del respiro che s`è fatto appena più corto. «Oh» l`esalazione che infine abbandona le labbra dischiuse le aggrotta la fronte in un`espressione a metà fra il divertimento e la tenerezza perché: «hai appena detto colline rosse?»
Già, l`ha detto.
Le labbra si increspano in un sorriso indefinito mentre il mugolio d`assenso successivo viene dispettosamente dedicato al suo viso. Questione di tempismo e quel «mh-mh» pare per un attimo riferirsi a tutt`altro genere di panorama, anche se lei è veloce a tornare a rivolgersi al vetro e riappoggiare il capino contro il suo petto, lasciandosi stringere maggiormente. Ora le piume nello stomaco non possono davvero essere colpa solo delle vertigini, anche se quelle ci sono, assicuriamo.
Torniamo ai panorami perché lo skyline londinese, i cui tetti non sono più imbionditi dal sole, ricorda per un momento i pomeriggi e le sere passati nel campo per i lunghi allenamenti di Quidditch, le torrette del castello illuminate dagli ultimi raggi di sole e un sorriso nostalgico gli scappa. «Volare al buio con il vento che mi sferzava il viso... quello era davvero uno dei miei passatempi preferiti».
«Era? Non lo fai più?» un lieve broncio a curvarle le labbra. «Potresti ammirare panorami mozzafiato anche senza pagare un biglietto» abbozzando un sorriso divertito che sembra incoraggiarlo a valutare la cosa, la prossima volta. «Che altro?» suggerisce, rimettendosi comoda, neanche fosse una bambina in attesa di un`altra storia prima di dormire.
Che altro? Deglutisce. La tiene stretta a sé ancora. Che altro? Una rapida occhiata gli fa capire che oramai in alto ci sono arrivati. Quanto più in alto possono arrivare? L`impulso e l`irrazionalità fanno il resto. Che altro? Deglutisce. Non le dà il tempo di rimettersi comoda, perché la volterebbe, d`impulso, per rubarle ancora una volta quel dolce sapore di miele e camomilla. Questa volta in modo completamente diverso, perché le poserebbe una mano al lato del collo e l`altra le stringerebbe nuovamente la vita, attraendola a sé talmente tanto che forse per via delle diverse altezze, la schiena di lei si inarcherebbe di poco e quella di lui si curverebbe in avanti. Con più passione, andrebbe a chiudere la bocca sulla sua e poi, staccandosi ma rimanendo a pochi millimetri... «Come altro direi che sei davvero uno spettacolo con questo vestito». Ecco, gliel`ha detto. Beh, gli era concesso, no?
Il suo movimento la coglie alla sprovvista facendola trasalire, ma non esattamente solo per la paura che l`idea di perdere qualsiasi forma di sostegno fisico potrebbe causarle a 135 metri d`altezza. E` piuttosto sicura di aver appena sentito le ginocchia farsi molli e le caviglie subire un fremito poco incoraggiante su quei tacchi. Il guizzo del cuore s`accompagna a un`impensabile bruciapolmoni intenso almeno quanto la morsa che stringe piacevolmente lo stomaco quando l`irruenza di quel bacio arriva a scombussolarla più a fondo di quanto non avesse previsto. Il respiro trattenuto e la schiena che si lascia inarcare quando il corpo preme contro il suo e le braccia risalgono le sue spalle per non essere d`impiccio; laddove le dita trovano fin troppo facilmente l`attaccatura dei capelli e lei, superato l`attimo di stordimento, gli scaraventa finalmente addosso quel che questo dannato bruco le ha fatto inavvertitamente trattenere. «Oh...shut up!» Occupata ora a cercare di farlo star zitto di nuovo, sollevandosi sulle punte per cercare di raggiungere nuovamente le sue labbra, su cui schiudere le proprie per andare a una più approfondita ricerca del suo sapore e a un più accurato soffocamento di quel complimento irripetibile.
Ora che gli si è praticamente aggrappata alle spalle - quei dannati brividi lungo la schiena sono ancora lì, risvegliati da quelle dita che non riescono a stare ferme - sposta anche l`altra mano sul lato opposto del collo, così sottile che avrebbe anche paura di poterlo spezzare nella foga generale del momento. Con il pollice sfiora il bordo della mascella, come a disegnarne la figura, mentre quel bacio continua disfacendosi e ricominciando in continuazione e le bocche s`incontrano e lottano in quella dolcezza passionale, genuina, senza alcuna malizia; mordono le labbra, appoggiano appena la lingua tra i denti, giocano in uno spazio al confine tra l`odore di miele e quello lontanissimo di scotch, e poi si guardano confuse, ansimanti. Le mani si spostano poi dal collo ai capelli, immergendo le dita tra i fili dorati della strega, concedendosi una posizione più comoda per la sua altezza; accarezzano teneramente la profondità di quel caschetto fatto di luci e petali maculati. Un fremito lo fa tremare, lo fa sudare, lo fa sorridere, lo rende consapevole che in aria - a centotrenta(cinque!) metri d`altezza - si possono provare le sensazioni più belle del mondo. Ed è sicuro che quel bacio rimarrà dentro di lui, perché è più vivo che mai, quello che si dovrebbe dare ad occhi aperti per non perdersi neanche un attimo dell`incantesimo che lei gli regala. Baciando quella ragazza, e unendo per sempre quelle celestiali sensazioni al respiro fiorato di lei, la sua mente si libera infine da ogni assoluta preoccupazione. In un sussurro poi, con il fiato che si mescola al suo, uno sfiorato «sei il panorama più mozzafiato di tutta Londra» si posa silenziosamente sulle sue labbra.
Lei si sbilancia lievemente indietro nel tirarlo a sé, assecondando i suoi movimenti e ringraziando l`appoggio del vetro alle proprie spalle che supporta il selvatico tentativo d`arrampicarsi su di lui per raggiungerlo meglio. Un sorriso le increspa le labbra e si sovrappone al suo nel riprendere fiato, prima che la lingua torni ad insinuarsi alla ricerca del suo sapore e le dita - dispettose e invadenti - accarezzino i brividi che riesce a percepire fin troppo chiaramente sul profilo del suo collo e fra i capelli alla base della nuca dove sprofondano senza ripensamenti. Per poi scivolare ad intrufolarsi oltre il bordo di quel colletto inamidato: in punta di dita. Il corpo a curvarsi maggiormente contro il suo, i polmoni in fiamme e una vampata di calore a risalire ora dal basso ventre fino alle guance, scuotendola da capo a piedi con un fremito che forse è diretta conseguenza del suo. O delle sue mani che sono scivolate in quel caschetto, strappandole un mugolio di piacere che alla fine la convince a rallentare. Ancora a occhi chiusi, si lascia travolgere dalle sensazioni senza tirarsi indietro nemmeno quando si fanno abbastanza intense da mozzarle il respiro. Lo stringe solo di più, la fronte a cercare appoggio contro la sua mentre lei ansima per riprendere fiato. Quel «wow» sommesso e spezzato, arriva quasi a sovrapporsi alle sue parole; combatte con la pesantezza delle palpebre per riaprire gli occhi e incrociare i suoi, deglutendo e incamerando aria come può. Quella che le appare in viso è più una supplica schiacciata dalla dolcezza e dalla consapevolezza di riuscire a stento a ricordarsi dove si trova. «Puoi-puoi smetterla, per favore?» ma un sorriso si scioglie sul viso e se si potesse fermare l`istante in cui Harry Duffany cattura il suo prezioso boccino d`oro, a dispetto di tutto, sarebbe questo.
Sa qual è la differenza fra un cacciatore e un cercatore, signorina Wilson?
Stai sul serio pensando di rifilarmi una metafora sul Quidditch, a me?
Stia al gioco e risponda, signorina Wilson.
Va bene, a patto che la smetti di chiamarmi signorina Wilson.
Certo, senz’altro, signorina Wilson.
Nessuna! Sono entrambi due troll che inseguono palle diverse a troppi metri dal suolo perché animati da un chiaro istinto suicida che per qualche motivo il mondo magico sembra tollerare e incoraggiare!
E’ errato. Ritenti.
Perché dovrei? Tanto me lo dirai lo stesso, no? Prenditi il tuo momento di gloria, signor MacTavish.
Il cacciatore caccia per lanciare, il cercatore per tenere. Non è fondamentalmente la stessa cosa, le pare?
Is that supposed to be poetic in some kind of way?
Oh, it will be.
«Sono in quel momento in cui mi sembra una buona idea perfino chiederti di portarmi a fare un giro sulla scopa per-per quella bolidata del vento nei capelli» tanto per capire come stiamo messe. «Perciò...» ma sì, sta ancora annaspando e sorride e se lo tiene stretto prima di quello «...smettila...» che è un po` un invito a continuare all`infinito, a voler dar retta al tono.
«E allora chiedimelo» sussurra, perché tornare in scopa tra i cieli notturni londinesi, con lei aggrappata alla schiena, sarebbe paragonabile all`afferrare quel boccino e vincere il campionato mondiale.
«Non ho paura di farmi male, Warren. Ho paura... d`esser di nuovo costretta a-a correre...
«Prenditi tutti i giorni che vuoi, e quando pensi di essere pronta, mi troverai nello stesso posto».
ad accelerare i tempi e...
«Potremmo cominciare su quei trenini lenti»
i sentimenti... come se lasciarli andare naturalmente fosse sbagliato solo perché non risponde alle assurde e irrealistiche aspettative di un idiota con una scopa infilata sù per il cu-» ore. Stizzita, come se la semplice esistenza di quel timore causatole dal Signor Waleystock fosse sufficiente a renderglielo detestabile.
«Non ti costringerei mai a fare qualcosa da cui sei terrorizzata».
«E d`essere mancata di rispetto»
Chiude la bocca. Deglutisce. E allora sorride di fronte a quel capolavoro di sartoria, sulla pelle che nella penombra della sera risplende. Andrebbe perciò a prenderle quella mano prima che si adagi lungo il corpo, per baciarle il dorso con delicatezza. Il tutto inquadrato in un leggero inchino, gli occhi rimangono fissi su quelli di lei. Andrebbe poi a rialzarsi, offrendole il braccio, come una vera coppia in vena d’Opera.
«Visto?» che non era poi così spaventoso.
«Hai scelto?»
il sorriso e l`imbarazzo della scelta si fanno strada sul viso, ma alla fine è sulla boccetta delle più classiche roselline che s`allunga la manina curiosa; avvicinando il sample del fiore per annusarlo, prima di stringerlo gelosamente al petto. Conducendolo fuori dalla portata di Kat.
La squadra dall`alto verso il basso, tra guizzi dello stomaco e accenni di infarto. Non c`è un colore che si abbini ad un altro. Quegli stivali, poi... Una sberla in piena faccia, a lui e alla sua etica: per una cena di questa portata ci va il tacco, e non lo stivale giallo; ci va un vestito lungo, possibilmente nero, e non delle parigine gialle con una gonna a balze. E poi quella tracolla. Tsk. Wilson, Wilson... Però non può fare a meno di sorridere a quell`esplosione di colori, perché anche così è incredibilmente bella. «Ciao anche a te, Wilson» sfila dal taschino la Rosa Maculata e la porge alla nuova arrivata.
“Dovremmo sfatare il mito che se ti tira i capelli è perché gli piaci. Se ti tira i capelli, la verità è che non gli piaci abbastanza”.
Si avvicina ulteriormente, con l`intento di sistemarle con delicatezza il fiore tra i capelli inondati di nastrini colorati, con entrambe le mani, dopo che con quel suggerimento silenzioso lei ha sporto la testolina verso di lui. Già solo sfiorando quei fili dorati, riesce a percepire l`odore di camomilla e miele. Inspira. Al tatto appaiono così morbidi; ora, se lei lo guardasse alzando la testa - non assicuriamo in assenza di rimproveri da parte di lui - apparirebbe concentrato, con la lingua ficcata tra le labbra, ben attento a non tirare i capelli.
Inizia a piacermi questa ruota panoramica, lo sai?
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