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Una Famiglia Bellissima di Antonella Di Martino: Nei Sotterranei Respira il Segreto. Recensione di Alessanria today
Un romanzo che esplora il lato oscuro delle apparenze perfette
Un romanzo che esplora il lato oscuro delle apparenze perfette “Una Famiglia Bellissima: nei sotterranei respira il segreto”, scritto da Antonella Di Martino, è il primo volume della serie “Legami di sangue, legami d’amore”. Pubblicato in formato Kindle, il libro si immerge nei segreti più inquietanti di una famiglia apparentemente perfetta, rivelando come le apparenze possano celare tormenti…
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Il Viaggio di Paulo Coelho verso l’Icona Letteraria Globale
Paulo Coelho è diventato uno dei più celebri scrittori contemporanei grazie alla sua capacità di toccare corde universali con le sue storie spirituali e ricche di saggezza. Nato in Brasile, la sua vita è stata un percorso straordinario che lo ha portato da esperienze difficili a un successo globale come autore. Il suo cammino, nonostante le numerose sfide, ha ispirato milioni di lettori in tutto il mondo, e attraverso piattaforme come z.library Coelho ha visto le sue opere diffondersi tra coloro che amano la lettura digitale.
Le Origini di Coelho: Ribellione e Sogni Infranti
Il viaggio di Coelho inizia con una giovinezza turbolenta caratterizzata da una ricerca costante di libertà e comprensione. Cresciuto in una famiglia conservatrice, trovava spesso rifugio nei libri e nei sogni di diventare uno scrittore. Tuttavia, il suo spirito ribelle portò anche a difficoltà personali. Fu mandato in istituti psichiatrici dai genitori preoccupati per il suo comportamento anticonformista ma non si lasciò abbattere e usò queste esperienze come fonte d’ispirazione.
Un insegnamento nascosto nella sua esperienza adolescenziale è l’importanza della perseveranza e della ricerca di sé, valori che traspaiono in molti dei suoi scritti. È come se ogni libro fosse una parte di lui stesso riflessa tra le pagine.
Il Momento di Cambiamento: Santiago e il Pellegrinaggio
Uno dei momenti più significativi nella vita di Coelho avvenne quando decise di intraprendere il famoso cammino di Santiago de Compostela. Questo pellegrinaggio fu un’esperienza di trasformazione profonda che segnò una svolta spirituale e letteraria nella sua vita. Al termine del cammino, Coelho sentì il bisogno di condividere questa scoperta interiore attraverso la scrittura.
Il Pellegrinaggio divenne il primo romanzo in cui Coelho esplora il concetto di ricerca personale e realizzazione, un tema che sarebbe poi diventato centrale in tutta la sua opera. Per lui, scrivere non era solo raccontare una storia, ma offrire ai lettori una guida alla scoperta di sé.
L'Alchimista: Il Successo Mondiale
Con la pubblicazione de L’Alchimista, Paulo Coelho raggiunse il successo planetario. Questo romanzo, incentrato sulla ricerca del proprio destino, ha conquistato lettori di ogni età e cultura per la sua semplicità e profondità. L’alchimista ha venduto milioni di copie e ha trasformato Coelho in una figura iconica nella letteratura moderna.
La sua popolarità si basa su alcuni punti distintivi che fanno di lui un autore unico:
Storie dal linguaggio semplice e diretto
Temi universali come l’amore e la realizzazione personale
Spiritualità e filosofia accessibili a tutti
Utilizzo di personaggi che riflettono il viaggio interiore dell’autore
Inoltre, la presenza delle sue opere nelle biblioteche digitali ha permesso a sempre più persone di scoprire il suo mondo letterario senza dover andare in una libreria fisica.
Il Messaggio di Coelho: Trasformare il Dolore in Crescita
I libri di Paulo Coelho non sono solo romanzi ma veri e propri strumenti di riflessione per affrontare le sfide della vita. Coelho invita i lettori a considerare le difficoltà non come ostacoli, ma come opportunità di crescita e trasformazione. La sua filosofia si rivolge a chiunque cerchi uno scopo più profondo nella propria esistenza e riconosce che la vita è una continua evoluzione.
Riflessioni Spirituali nei Romanzi di Coelho
Le riflessioni spirituali sono il cuore della narrativa di Coelho. Nei suoi romanzi, ogni esperienza è vista come un tassello essenziale del viaggio umano. Tra visioni mistiche e insegnamenti antichi, Coelho invita ciascun lettore a esplorare la propria anima e a trovare risposte dentro di sé.
Un Esempio di Perseveranza per Scrittori Emergenti
Paulo Coelho è oggi una fonte di ispirazione non solo per i lettori, ma anche per molti scrittori emergenti che vedono nel suo percorso una prova che, nonostante le difficoltà, il successo è possibile.
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Voglia di un po' di mistero e suspense? Allora oggi ci caliamo in una lettura che possiede entrambe queste caratteristiche e che farà scatenare la vostra curiosità alla ricerca del vero colpevole. Allacciate le cinture, perché il viaggio sarà bello lungo e con un finale letteralmente col botto. Il romanzo ha come protagonista una giovane adolescente, Aurora Ríos che è anche la vittima di un crimine che avviene nell’Istituto scolastico Rubén Darío di una piccola cittadina spagnola. Aurora è la “ragazza invisibile” della scuola, perché da quando il padre ha abbandonato lei e sua madre, i pettegolezzi nel piccolo paesino non hanno fatto che fioccare e la ragazza è al centro di queste male lingue. I suoi compagni, come chiunque in paese, pretendono di conoscere la verità sulla sua famiglia e non si fanno scrupoli a raccontare frottole che feriscono molto la giovane Aurora.
"«Perché spesso la verità è meno credibile e affascinante delle bugie."
Per questo, la ragazza ha assunto un atteggiamento difensivo decidendo di allontanarsi da tutti e non parlare più con nessuno; di conseguenza appare sempre isolata e non ha nessun tipo di contatto umano. Ma ora con la sua morte, la “ragazza invisibile” non è più tale.
Un giorno di maggio, quando le lezioni stanno quasi per terminare e gli esami di fine anno sono alle porte, Aurora Ríos viene trovata morta nello spogliatoio della palestra con accanto solo una bussola. La terribile notizia non tarda a diffondersi e una delle prime ad apprenderla è Julia Plaza, anche lei alunna del Rubén Darío e compagna di Aurora. Sebbene non conoscesse bene Aurora, Julia rimane scossa dalla notizia della morte improvvisa della sua compagna e nasce subito l’esigenza di risolvere questo caso. Figlia di un medico legale e di un ispettore della polizia, Julia possiede le informazioni necessarie per poter risolvere questo omicidio e poi non ne può fare a meno da amante di Agatha Christie quale è. "Non sei tu l’amante di Agatha Christie?» «Questa è la vita reale, non è un giallo.» «Ancora più interessante. Lo scrittore non ti può ingannare con piste false messe apposta per non farti risolvere il crimine fino all’ultima pagina.»"
In questa caccia al colpevole, Julia oltre alla benevolenza dei genitori che la rendono partecipe dei passi avanti nel caso, ha dalla sua parte anche Emilio, suo grande amico e complice che come la ragazza ha un’innata vena investigativa. I due formeranno un vero team alla Sherlock – Watson pronti a tutto per scoprire chi ha ucciso Aurora. Man mano che la ricerca della verità prosegue, diventa sempre più evidente a tutti che il sospettato potrebbe essere chiunque, dai compagni di classe di Aurora fino ad arrivare ai suoi professori. Ognuno ha avuto a che fare con la vittima, seppure lei non dava confidenza a nessuno. Ma chi aveva veramente motivo per ucciderla? Julia si troverà a sospettare di tutti, anche di persone vicine a lei e con mille domande che affollano la sua mente. Gli indizi non mancano, anzi, sono numerosi come i probabili sospettati e allora a Julia non basterà che mettere insieme tutti i pezzi di questo puzzle. Una lettura bella coinvolgente che farà girare al massimo le rotelline del vostro cervello. Vi sentirete direttamente coinvolti cercando di capire chi è il colpevole e sarà veramente difficile capirlo fino alla fine, perché ognuno dei personaggi del romanzo, i cui particolari ci verranno svelati pian piano durante la narrazione, ha un possibile movente. Quindi vi ritroverete perennemente con un pugno di mosche in mano, perché le vostre deduzioni non saranno mai esatte al cento per cento. Il libro possiede un range di personaggi molto ampio, ma sono tutti facilmente identificabili, non vi confonderete insomma. Il personaggio che naturalmente mi è piaciuto di più è Julia Plaza. Una ragazza superiore ai suoi compagni per intelligenza che possiede uno spiccato spirito di osservazione e che dimostra una grande determinazione e anche coraggio nel portare avanti la sua personale indagine. Julia è una super chicca, come la ama chiamare il suo migliore amico Emilio: è in grado di risolvere in soli 55 minuti il cubo di Rubik e poi è una super giocatrice di scacchi, in grado di prevedere le mosse del suo avversario. Lei è proprio quel personaggio che in questo genere di libri non puoi non amare e con cui non puoi non identificarti. Una personalità forte e decisa che troviamo nel corpo di una diciasettenne. Mi è piaciuto anche il personaggio di Emilio, anche se è leggermente in secondo piano rispetto a Julia. Lui è proprio l’aiutante perfetto, il Watson della nostra Sherlock. Sebbene possa sembrare timido e un po' insicuro, Emilio dà quando occorre la spinta nella giusta direzione a Julia. Il suo è un personaggio fondamentale, senza il quale la storia non sarebbe la stessa. "Holmes e Watson ritornano al caso dell’Assassino della bussola. Due giovani e intrepidi investigatori in cerca della verità. Emilio sorride: è di nuovo in squadra con la ragazza più intelligente del pianeta. Anche se sa che, d’ora in poi, le cose saranno necessariamente diverse. Deve trovare una soluzione, il suo cuore gliene sarà grato."
La storia si alterna tra passato e presente, fornendo al lettore le informazioni giuste per fare le proprie deduzioni. Oltre a questo, la narrazione è intervallata anche da capitoli dove alcuni personaggi chiave del racconto ci vengono svelati in momenti ad hoc, dando così modo di conoscere meglio i nostri personaggi e mettendo nelle nostre mani indizi utili per capire. Il romanzo ha una vena prettamente investigativa, ma l’autore non tralascia di toccare argomenti seri dal bullismo fino a quello forse più spinoso dell’orientamento sessuale. Ho apprezzato molto il voler parlare di argomenti così difficili e importanti ma senza appesantire la narrazione, anzi, trattandoli con naturalezza e in maniera diretta. La storia non manca anche di un po’ di drama adolescenziale, ma non si poteva farne a meno data l'età dei personaggi. Viene anche messo il luce il rapporto genitori- figli e anche adulti- ragazzi che anche se non è centrale come tema, riesce comunque ad essere trattato come si deve. Il linguaggio utilizzato è molto semplice e rende molto scorrevole la narrazione. Forse l’unico aspetto della storia che non mi ha convinto fino in fondo è stata la facilità con cui i genitori di Julia le forniscano informazioni mettendola anche in pericolo. Sarebbe stato più convincente e anche intrigante se Julia avesse otte le informazioni da sé. Il finale è inaspettato e parecchio d’effetto lasciandoci forse già pregustare come inizierà il prossimo libro. Ho già l’acquolina in bocca nel voler leggere il seguito. La ragazza invisibile è un buon libro che sa come prendere il lettore lasciandolo brancolare nel buio ma sempre con una torcia in mano.
Recensione "La ragazza invisibile" di Blue Jeans
https://tuttacolpadeilibri.blogspot.com/2019/02/recensione-in-anteprima-la-ragazza.html
#tutta colpa dei libri#recensione#la ragazza invisibile#blue jeans#frasi#frasi belle#frasi libri#frasi tumblr#citazioni#citazioni libri#libri#emozioni#parole#estratti#teaser
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Articolo 21 Periodico d’informazione del Liceo Da Vinci Novembre – Dicembre 2020
VIBRAZIONI DELL’ANIMA
L’EBBREZZA EMOTIVA
Assaporo un liquore – Emily Dickinson
Il liquore che inebria la poetessa non è una bevanda tradizionale che si può versare in un boccale, ma proviene dalle cose più belle che possa offrire una giornata estiva: l'aria, la rugiada e il cielo.
Ne berrà fino ad esserne completamente ebbra.
Assaporo un liquore mai distillato,
da boccali scavati nella perla;
tutte le tinozze del Reno
non donano un alcole simile!
Ebbra d'aria io sono,
una baccante della rugiada
e nei giorni senza fine dell'estate
esco barcollando da cantine di liquido azzurro.
Quando gli osti scaccino l'ape ubriaca
dalla porta della digitale
e le farfalle rinuncino alle loro stille,
io berrò anche di più,
finché i serafini sventoleranno i cappelli nevosi
e i santi correranno alla finestra,
per vedere la piccola viziosa
appoggiata contro il sole.
Frontespizio a cura di Chiara Montanaro
LIBERIAMO LE EMOZIONI
La capacità di emozionarsi è una caratteristica dell' uomo, tuttavia spesso viene inibita dalle regole sociali. E' ormai quasi un' abitudine per tutti nascondere le proprie emozioni di fronte a persone con cui non si ha un rapporto profondo. Si tende a pensare che paura, rabbia o ansia siano sinonimo di fragilità, di debolezza, difetti che i social media non perdonano.
Questo numero del nostro periodico intende affrontare il tema delle emozioni a tutto tondo, mettendo in evidenza il ruolo importantissimo che esse hanno nella crescita psico-fisica di ognuno di noi, e vuole essere un invito a diventare più aperti verso l' altro, più disposti a condividere i propri stati d' animo.
Inoltre, le emozioni, quando si ascoltano, ci possono guidare verso strade inesplorate, come è successo ad un'ex allieva del nostro Istituto, Valeria Pecorari, che ha saputo condividerle con i lettori nel suo primo romanzo, "Forse non era destino". I protagonisti non riescono a confidarsi il loro amore perché trattenuti dal timore di manifestare ciò che sentono.
Buona lettura!
A SCUOLA DI OTTIMISMO
È difficile essere ottimisti, quando tutto sembra remare contro di noi, eppure l'ottimismo, lungi da slogan propagandistici, è proprio il sale della nostra vita, poiché, senza di esso, l'esistenza umana si traduce in mera sopravvivenza.
Esiste una "ricetta" per l'ottimismo?
In via teorica, lo psicologo americano Robert Plutchik che dedicò anni alla ricerca sulle emozioni, sembrò suggerirne una.
A parere di Plutchik, la combinazione tra aspettative/attese e gioia/serenità può dare, come risultato, l'ottimismo.
Ora, per le attese, non sembra esserci alcun problema, ma la gioia o anche solo la serenità sono ingredienti emotivi veramente molto rari e lo sapevano bene Leopardi e Schopenauer.
Nella società contemporanea, si è disposti a perseguire certe emozioni anche a caro prezzo, purtroppo.
Ma il segreto di ogni dieta, si sa, consiste nell'equilibrio, perciò come dicevano i nostri avi: "est modus in rebus!"
Non è indispensabile, insomma, "un'abbuffata di gioia" per gustare un po'di sano ottimismo.
Basta, piuttosto, saper guardare ai piccoli momenti quotidiani ed è sufficiente saper godere di tanti minuscoli piaceri, poiché il loro insieme centellinato, ma costante nel tempo è, senza dubbio, più proficuo di una momentanea e passeggera "scorpacciata".
Basandosi sulle sue ricerche, Robert Plutchik elaborò un solido (a forma di cono) delle emozioni; successivamente, determinò una sezione trasversale che illustrava i risultati derivanti dalla combinazione delle emozioni primarie.
In foto, un tentativo di riproduzione a mano libera.
INVITO ALLA LETTURA
The Program – Suzanne Young
Questo romanzo è ambientato negli Stati Uniti d'America, dove, negli ultimi tempi, il tasso di suicidi fra gli adolescenti sta aumentando vertiginosamente.
Si ipotizza, perciò, il cosiddetto "Programma", un progetto di prevenzione e recupero di soggetti a rischio che prevede l' internamento in una clinica specialistica e, soprattutto, la cancellazione di ricordi legati a momenti di dolore, tristezza e rabbia in modo da debellare la presunta “malattia”. I giovani, però, ne hanno paura, perché coloro che escono dalla clinica non sono più gli stessi di prima e appaiono come esseri confusi, svuotati da ogni ricordo e privi di emozioni. Protagonista di questa storia distopica è la diciassettenne Sloane, costretta non solo a dover reprimere le proprie emozioni e fragilità ma, soprattutto, a dover fare i conti con il dolore legato alla morte del fratello Brady, che si è tolto la vita davanti ai suoi occhi.
Fortunatamente, però, la ragazza non è sola: può infatti contare sull'appoggio del fidanzato James, il migliore amico del fratello che, oltre a condividere il dolore per la perdita di Brady, le promette che qualunque cosa accada le starà sempre accanto e la proteggerà. Purtroppo, però, le promesse, di fronte al programma di recupero, non sono destinate a rimanere tali. Infatti, quando il loro caro amico Miller si suicida, James cade in uno sconforto e disperazione tali da allarmare i vertici del potere, che, in un secondo momento, lo faranno internare.Sarà così lui a cancellare dalla memoria perfino i suoi sentimenti nei confronti di Sloane.
La giovane capisce di non poter più fuggire e si prepara a lottare per difendere a qualunque costo i propri ricordi. Decide, così, dapprima di essere ricoverata con la forza e, una volta nella clinica, di nascondere sotto il materasso del suo letto una fotografia di Brady, una di James e un anello che quest'ultimo le aveva regalato come pegno d'amore.
Il Programma è spietato e, giorno dopo giorno, Sloane comincia a perdere i ricordi di una vita a cui non avrebbe mai voluto rinunciare. Una volta dimessa, anche lei è confusa, piena di domande e paure, dal momento che non è più in grado di riconoscersi. Tuttavia, solo la mente può dimenticare, il cuore no. La ragazza sente di aver amato in passato qualcuno così intensamente da non poter essere cancellato definitivamente. Il ritrovamento degli oggetti, che precedentemente aveva nascosto, fa riaffiorare in lei parte delle sensazioni ed emozioni del passato. Nella nuova realtà Sloane e James si ritrovano a frequentare la stessa classe e, pur non ricordando nulla, si avvicinano sempre più e comprendono di non essere semplicemente “compagni di classe”. Il finale lascia intendere che la vicenda di Sloane e James, ai tempi della dura realtà del Programma, proseguirà e si articolerà, per l’appunto, nel romanzo successivo di quella che si profila come una vera e propria saga.
Ho amato la lettura di questo libro che, solo all’apparenza, può sembrare uno dei tanti romanzi che trattano le vicende di amore adolescenziale. L’ autrice, Suzanne Young, grazie al registro colloquiale e ad un lessico molto semplice, è in grado di far immedesimare il lettore nel racconto stesso e di far assaporare le varie emozioni dei protagonisti. Slone e James sono due adolescenti, proprio come noi, e si trovano costretti a dover accantonare la loro sfera emotiva per paura di essere segnalati e, perciò, privati di ogni ricordo. È davvero sorprendente come il "Programma" possa intervenire esclusivamente sulla mente dell’individuo, ma non sul cuore. Sloane, nonostante sia stata sottoposta ad uno “svuotamento emotivo”, sente dentro di sé di aver provato un forte sentimento per qualcuno, a riprova che si può agire sul cervello, ma non sul cuore e sulle sue emozioni.
Monica Grillo
INVITO ALL’ASCOLTO
This is me
This is me è un brano tratto dalla colonna sonora del film The Greatest Showman, proiettato per la prima volta nel 2017 in tutte le sale cinematografiche. Dopo il suo debutto è stato arrangiato da diversi artisti come Kesha, Anne-Marie e James Arthur. Inoltre, anche il coro del Liceo Musicale sta lavorando ad un rifacimento di questo pezzo eccezionale. Nel film questa canzone è interpretata da Keala Settle, una cantante caratterizzata da una voce estremamente potente e melodiosa, che definiremmo unica. Abbiamo scelto questo brano perché, dal primo momento in cui l’abbiamo ascoltato, ci ha colpite per il suo insieme di voci e armonie, per la moltitudine di concetti che il testo esprime e per un messaggio molto importante che vuole trasmettere a grandi e piccini: continuare a lottare per non lasciarsi emarginare dal resto del mondo, nonostante si venga appellati in modo dispregiativo e si arrivi a dubitare di sé stessi. This is me parla, infatti, di come trovare il coraggio di mostrarsi esattamente così come si è. Gli attori che hanno recitato e cantato questo brano rappresentano le persone escluse dalla società a causa dei loro difetti fisici ed estetici che li portano ad essere definiti “mostri”. All’inizio del testo si fa riferimento a come essi vengano invitati a nascondersi, a vergognarsi delle loro cicatrici, delle loro ferite e delle loro parti “rotte” perché tanto nessuno li amerà mai. Essi, tuttavia, combatteranno per essere accettati; risponderanno dicendo che non lasceranno che siano ridotti in polvere, perché sanno che c’è un posto nel mondo anche per loro. Il testo trasmette moltissime emozioni e noi lo abbiamo trovato toccante e personale. Il ritornello “I am brave, I am bruised, I am who I’m meant to be, this is me” che tradotto significa “sono coraggioso, sono ferito, sono quello che dovrei essere, questo sono io” è un principio in cui tanto proviamo a credere ogni giorno, soprattutto noi giovani, cioè capire il valore di noi stessi e di quanto le diversità siano realmente i nostri punti di forza. In conclusione, diciamo che questo brano ha diverse sfumature musicali come la dinamica forte che si sente durante l’affermazione “This is me!” (questo sono io) che rappresenta un grido alla libertà di essere noi stessi indipendentemente dal fatto di piacere o no alle altre persone. Sappiamo che le parole degli altri possono recare tanto dolore, ma con questa canzone siamo riuscite a sentirci un po’ meno giudicate e un po’ più potenti, e speriamo che possa far sentire anche voi nello stesso modo. Vi diciamo solo: Siate coraggiosi! Non scappate! Perché tanto la vita è questa e così sarà per sempre. Ma non bisogna mai abbattersi, bisogna sempre sapersi rialzare e non bisogna mai permettere a nessuno di sminuirci, perché “siamo gloriosi” nonostante i nostri difetti.
Cecilia De Ieso, Yasmine Salik e Clara Smeriglio
INVITO AL CINEMA
Inside out, pellicola dal titolo ossimorico realizzata da Disney-Pixar per la regia di Peter Docter e Ronnie del Carmen, è un film di animazione, il primo nel suo genere a descrivere e decodificare le emozioni primarie: paura, rabbia, disgusto, gioia, tristezza. Si porta sul grande schermo una storia comune: quella di Riley, una ragazzina di undici anni che si trova a dover fronteggiare il disagio di un trasferimento dal semplice ambiente del Minnesota - dove ha sempre vissuto - alla caotica San Francisco. La piccola prova un profondo senso di nostalgia e vive un grande conflitto interiore, reso esplicito e scenograficamente tangibile attraverso piccoli buffi pupazzetti che non sono altro che le personificazione delle sue emozioni, dalla solare gioia, tanto presente nei primi anni di vita trascorsi nel paese d'origine, alla blu malinconia. Riley, aiutata dai suoi genitori, riuscirà a capire come l'essere umano sia speciale proprio perché concepito come un insieme di elementi, spesso in contrasto. Dov’è quindi la FELICITÀ? Dentro (INSIDE) o fuori (OUT) di noi? Il film mantiene questa doppia via, dentro e fuori il cervello della ragazzina per far capire come gli eventi sono in grado di condizionare fino ad un certo punto le nostre emozioni, le cui basi più profonde risiedono nella consapevolezza che tutto ciò che ci accade appare meno spaventoso, se elaborato e accolto nel giusto modo.
Matilde Bortolai
LA PAROLA AGLI ESPERTI
Aquilone è un Centro Clinico privato con all’interno 24 Professionisti (logopedisti, psicologi, psicoterapeuti, educatori, terapisti espressivi, medici...) che lavora con tutte le fasce di Età. Nasce nel 2000 e ad oggi si trova a Guarene Frazione Vaccheria. www.centro-aquilone.com
Cinque anni fa nasce anche la Onlus Cascina Aquilone realtà a sé stante e senza fini di lucro che si occupa di ragazzi e adulti con gravi disabilità cercando di farli lavorare al termine della scuola superiore.
La redazione ha intervistato la Dottoressa Alessandra Borgogno, psicologa e responsabile del Centro, che, abituata a relazionarsi con giovani e giovanissimi, ha risposto con gentilezza e disponibilità alle curiosità dei ragazzi.
Quanto è importante saper esprimere le proprie emozioni, ma, al tempo stesso, "controllarne" alcune?
Le emozioni positive o negative che siano ci appartengono, fanno parte di ognuno di noi. Fondamentale è riconoscerle e saperle gestire. Per la loro gestione utili sono sia le regole sociali che le capacità individuali di autocontrollo. Spesso le difficoltà si incontrano con le emozioni che hanno maggiormente connotazione negativa... (rabbia, gelosia, paura ecc..). Si vorrebbe eliminarle o non sentirle in realtà possono essere di aiuto anche quelle nella gestione del comportamento e delle nostre azioni. Un esempio su tanti: la paura insegna a considerare maggiormente le conseguenze in ciò che si affronta. Nell’era moderna con il grande utilizzo dei social il riconoscimento delle emozioni e la loro gestione è diventata maggiormente difficoltosa perché i mezzi virtuali mediano le manifestazioni emotive. Un esempio per tutti in positivo scrivere messaggi e fare foto con la possibilità di correggerli e pensarci non aiuta il self control e la gestione individuale concreta della manifestazione delle emozioni stesse nell’immediato.
Esiste un segreto per riconoscere le emozioni degli altri?
Riconoscere le emozioni degli altri non è così scontato, immediato e semplice. Occorre che ci sia una sintonizzazione sull’esterno e sulle persone con cui ci rapportiamo. La base fondamentale per provarci ed eventualmente riuscirci può essere di sicuro l’ascolto. Spesso siamo molto concentrati sui nostri stati d’animo e sulle risposte che dobbiamo dare all’esterno che non ci poniamo in ascolto e non ci diamo il tempo di osservare chi si ha di fronte. La sintonizzazione affettiva nasce sin dai primi anni di vita e dipende molto dalle relazioni primarie di ognuno di noi. Comunque sicuramente relazionarsi con calma il più possibile, sapere osservare e ascoltare anche la “pancia” non solo la testa, possono essere elementi facilitatori nel riconoscimento delle emozioni altrui.
IL CERVELLO EMOZIONALE
Da sempre il cervello affascina l’uomo; pesa circa 1500 grammi ed è appena più grande di un pugno, ma è l’organo più importante del nostro corpo.
È costituito da un’intricata rete di cento miliardi di cellule nervose ed orchestra ogni più piccolo aspetto della nostra vita: dal nostro pensiero al nostro comportamento; è il cervello che definisce quello che siamo e le nostre emozioni.
L’amigdala, un piccolo gruppo di cellule a forma di mandorla, situato nel lobo temporale, costituisce uno dei centri del cervello emozionale del sistema limbico.
Questo organo è in grado di favorire il ricordo che ha provocato un dolore; memorizza ricordi associati ad eventi ed è responsabile del condizionamento dovuto alla paura, elaborando gli stati emotivi e analizzando tutto ciò che deriva dai sensi. La sede delle passioni risiede nella memoria emozionale.
J. LeDoux, direttore del Center for the Neuroscience of Fear and Anxiety di New York, definisce questa struttura neuronale come il “grilletto” delle emozioni perché ci fa scappare davanti alla paura, ci fa arrabbiare per le ingiustizie, ci rende gelosi e ci fa arrossire per l’imbarazzo.
Studi recenti hanno rilevato inoltre che l’amigdala è anche la struttura chiave per l’apprendimento vicario, ossia la capacità di apprendere per emulazione dai nostri simili; l’elemento cruciale di questo apprendimento sono i neuroni a specchio che sono anche alla base dell’empatia, cioè della capacità di rapportarsi agli altri e di comprenderli.
Empatia significa dunque entrare nei panni degli altri affinché il nostro cervello si sintonizzi con quello di chi ci sta intorno, promuovendo l’apprendimento e i ricordi.
In conclusione, il cervello non produce solo calcoli e equazioni, ma permette anche lo sviluppo di emozioni complesse e in ultima istanza la creazione di rapporti sociali.
Professoressa Paola Biglino
LE OLIMPIADI DELLE NEUROSCIENZE
Le Neuroscienze hanno ampliato le conoscenze sul funzionamento cerebrale, sull’origine delle malattie e sulla loro evoluzione. Un sofisticato arsenale di strumenti e di tecniche permette di applicare le nozioni acquisite e di accelerare il progresso nella ricerca cerebrale. Le Neuroscienze sono state, infatti, tra le discipline scientifiche a maggior crescita nell'ultimo decennio al punto da determinare la nascita delle Olimpiadi delle Neuroscienze, il cui principale obiettivo è proprio quello di diffondere queste conoscenze
Le Olimpiadi delle Neuroscienze costituiscono le fasi locale ,presso i singoli istituti che aderiscono , e nazionale della International Brain Bee Competition: una gara altamente competitiva che mette alla prova la conoscenza nel campo delle Neuroscienze tra gli studenti delle scuole superiori di secondo grado. Ragazze e ragazzi di tutto il mondo competono duramente per stabilire chi ha il “miglior cervello” su argomenti come l’intelligenza, la memoria, le emozioni, lo stress, l’invecchiamento, il sonno e le malattie del sistema nervoso. L’iniziativa ha, come scopo principale, quello di aumentare fra i giovani l’interesse per la Biologia in generale e le Neuroscienze in particolare, accrescendo la loro consapevolezza nei confronti della parte più “nobile” del loro corpo.
Nello scorso anno scolastico (2019/20) un gruppo di ventiquattro allievi delle quarte e quinte del Liceo Da Vinci ha partecipato alla fase locale delle Olimpiadi delle Neuroscienze. Le prime cinque classificate (Martina Montanera ex 5AL, Matide Morello 5DL, Serena Bertolusso 5BL, Erica Pellegrino ex 5DL e Alyssa Corbo 5BL) avrebbero dovuto affrontare in marzo 2020, la fase regionale presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Torino. Purtroppo a causa della pandemia da Covid-19 la competizione è stata annullata, così come l’organizzazione di quella per l’anno scolastico in corso.
Sono fiduciosa di poter partecipare alla prossima edizione con una nutrita squadra di studenti del Da Vinci, che mostrano passione per le Neuroscienze.
Professoressa Paola Biglino
LA FUCINA DELLE IDEE
L'autunno è un crogiuolo di emozioni
Cristalli scendenti dalle nubi argentate
appoggiatosi con grazia sui fiori dormienti
goccioline brinate su foglie calate
cocci pigri su suoli accoglienti
esserini assonnati nei nidi piccini
picchiettando bricioline sui suoli spogli
intrecciati legnosi bastoncini
e come addobbi rigogliosi quadrifogli
fiumiciattoli giacenti nei loro letti
funghi nascenti coi loro cappelletti
in paese tanti rigogliosi banchetti
i campi giallastri dinnanzi la mia vista
paiono tavolozze d’un artista
la voglia di ispirarsi è la protagonista
Kristel Canuto
Nostalgia
Nel campo c'erano molti fiori
Che riflettevano le luci di mille colori
La spiga di grano dondolava
Ogni volta che il vento soffiava
Quando il sole calava
E le nuvole sembravano panna
La bambina si incamminava
Verso casa a fare la nanna
La luna nel cielo risplende
Come raccontano le antiche leggende
E il suo riflesso mi sorprende
La bambina ormai dormiva
E nel fondo del suo cuore sentiva
La brezza di una notte estiva.
Rebecca Rosso
Che rabbia, che rabbia, che rabbia!!!
Ci risiamo, ci siamo di nuovo ritrovati ad essere chiusi in casa. Abbiamo tanto sperato di poter tornare a scuola, e per un po’ di tempo ci siamo anche riusciti… questo rende la nuova chiusura ancora più difficile da accettare rispetto a quella dello scorso febbraio. Siamo nuovamente costretti a vederci e parlarci on line. Io trovo questa situazione ingiusta, forse necessaria, ma sicuramente non facile da mandare giù. Mi manca tanto il contatto con le persone, che siano le mie compagne, i professori o anche solo le persone che incontravo nei corridoi. In questa situazione non è facile scherzare, ridere, chiacchierare, ma ci dobbiamo provare. Tutti insieme. Per cui, grazie a tutti i professori che ci lasciano un po’ di tempo, anche solo 10 minuti, tra una lezione e l’altra, per interagire e scambiare due parole in libertà. È importante poter dire cosa si ha dentro e confrontarsi con gli altri, anche se non si può di persona! Speriamo che tutto questo finisca presto per poter tornare alla normalità!
Valentina Gioetti
Il correre delle emozioni
“Le emozioni più belle sono quelle che non puoi spiegare”: è difficile descrivere un’emozione… Un’emozione si sente… si prova… un’emozione nasce da qualcosa di inaspettato e tanto, tanto forte che dà una scossa al cuore… alle volte pensiamo ad un momento particolare, alle volte ci scontriamo con qualcosa che ci fa fermare, ci fa riflettere e ferma la vita in un batter di ciglio e ci accorgiamo di quante emozioni alle volte perdiamo per la nostra fretta… per il nostro eterno correre.
Sofia Drocco
Quelle nuvole leggere
Vivere senza emozioni è un po' come vivere senza colori, senza sfumature. La cosa non sempre facile da accettare è che non possiamo creare né sopprimere i nostri sentimenti, perché nascono spontaneamente, all’improvviso, e viaggiano per la nostra testa come nuvole leggere nel cielo. A volte sarebbe così utile separare le emozioni dal pensiero razionale, riuscire a controllarle a pieno e decidere fino a dove influenzeranno le nostra vite. A volte penso che siano un limite per le persone. Ogni tanto rifletto e penso a quante capacità abbiamo e quanto spesso siamo limitati dalla paura, dall'odio. Quanto spesso siamo incatenati alla tristezza e alla solitudine, decidendo di sbirciare dalla finestra quando potremmo uscire e correre liberi nel buio, sotto la pioggia, correre via da futili problemi che ci macinano i cuori e distorcono la visione del mondo. Ma, d’altro canto, le emozioni riscaldano anche le nostre vite; esistono legami che le emozioni possono creare e che nemmeno le rispettabili scienze potrebbero realmente spiegare.
Un sorriso inaspettato dalla persona più inaspettata può davvero cambiare in meglio la nostra giornata. Il potere di una singola frase può far crollare muri insormontabili di paura che ci siamo costruiti attorno, può farci avvicinare di più agli altri, o a qualcuno.
Una singola parola o un gesto gentile verso qualcuno può davvero salvare delle vite. Essere gentili cura la solitudine, perciò è importante essere gentili con qualcuno che porta avanti delle battaglie silenziose.
Le emozioni agiscono misteriosamente su di noi come individui e come comunità. Certo, è possibile stabilire che un profondo stato di tristezza o malinconia può essere dovuto a bassi livelli di serotonina nel cervello, ma può qualcuno rispondere con altrettanta fermezza al perché le emozioni ci rendono chi siamo e ci definiscono così tanto? Può qualcuno rispondere al perché le emozioni sincere nascono e muoiono indipendentemente da ciò che noi desideriamo o ripudiamo?
Stefan Huru
Note e annotazioni dalle pagine del mio diario
Spesso in questi ultimi tre anni mi fermo a pensare.
Penso a tutto quello che mi è successo, alle piccole sfide che ho dovuto affrontare e che ho vinto.
E’ vero, forse dall’ottica di un adulto potrebbe sembrare una passeggiata, ma non sempre per me lo è stato.
In particolare, in questo periodo mi sto misurando con le mie emozioni. A tratti sono accese, come se cercassi di controllarle ma in qualche modo continuassero a scivolare via dalle mie mani. A volte però non provo nulla. C’è spesso questo vuoto che non capisco, cerco irrefrenabilmente il controllo sui miei sentimenti e sono cosciente del fatto che sia sbagliato, ma non riesco a capirmi. Da sempre sono molto riflessiva, penso tanto, forse troppo.
Quando mi capita di essere giù di corda scrivo, ed è come una liberazione perché mi sembra di parlare con qualcuno che mi capisce in tutto e per tutto. Devo ammettere che mettere per iscritto quello che provo mi aiuta tanto. Se dovessi spiegare a qualcuno quali sono gli argomenti che prediligo nei miei testi non saprei rispondere, l’unica mia guida sono le emozioni. Quando sono triste mi capita di scrivere anche più volte al giorno. Ultimamente non sono quasi mai felice, mi sento spesso malinconica. Le persone a cui voglio bene sono lontane da me, mi sembrano così tanto irraggiungibili e questa cosa mi fa davvero male. Mi manca moltissimo la mia vecchia routine, è come se tutto si fosse fermato e ho bisogno di ripartire, il prima possibile. Fortunatamente riesco ad adattarmi quasi sempre a quello che vivo, sono riuscita a fare “amicizia” con il dolore, almeno, per quello che ho provato finora. L’introspezione è qualcosa che fa inevitabilmente parte del mio carattere. Ci sono ovviamente dei lati positivi nel saper “guardarsi dentro”. Ho imparato ad apprezzare i momenti di gioia, che ogni tanto mi sorprendono perché possono entrare nella mia giornata da un momento all’altro.
Forse sono questi piccoli istanti che mi fanno rendere conto che la vita è un percorso formato da salite e discese. Oltre alla scrittura, un altro “mezzo di introspezione” per me è la musica, che mi permette di restare in bilico su quel filo che è la ragione. Forse questa è solo la visione di un’appassionata, ma non credo che per tutti i musicisti il concetto di musica sia come il mio. Più che un passatempo per me a volte è terapia. Mi permette di aprire la mente a trecentosessanta gradi, è una vera e propria compagna di vita. Mi ha spesso aiutato a superare periodi negativi della mia vita, o di quello che ne è stato finora. Tornando al discorso che riguarda la scrittura, purtroppo mi sono fatta l’idea che a volte la conoscenza porti dolore ed io spero che chiunque legga questo testo da una parte si riveda in quello che scrivo. Più che altro, anche al di là dei progetti, ho sempre desiderato avere un pubblico di lettori, anche se mi rendo conto che non tutti forse facilmente riusciranno ad immedesimarsi. Non mi sono mai aperta così tanto in un testo la cui destinazione non fosse nel “dimenticatoio” del mio quadernino, ma questa volta ho deciso di mettermi in gioco.
Chiara Calissano
ODI?
“Ascolta, ascolta”. Ripeteva il poeta ad Ermione, mentre i due amanti si addentravano nel pineto, sotto lo scrosciare della pioggia.
L’ invito ad ascoltare la natura ed a tacere, per meglio avvertirne i suoni, viene reso dal poeta con una continua ricerca della musicalità nei suoi versi. Ed è proprio l’aspetto melodico della lauda che consente al lettore di immedesimarsi nella visione del poeta.
Tramite la musica, linguaggio universale, ci è concesso aprirci a noi stessi e al mondo esterno, in un modo unico nel suo genere: producendo arte.
Questa manifestazione della nostra interiorità si estrinseca in differenti generi.
Vi è mai capitato di commuovervi , ascoltando musica o di provare rabbia, incondizionata felicità o tranquillità? Ecco, in quei momenti vi siete sentiti rappresentati, attraverso la combinazione di suoni sapientemente elaborati e armonicamente miscelati.
Il fondatore dell’estetica, Alexander Baumgarten, riteneva che nel momento in cui l’occhio umano vede un oggetto della natura, prepotentemente bello, non riesce a farne un uso razionale. Infatti, tramite la bellezza di quell’oggetto, all’uomo è consentito attingere ad un atto conoscitivo della sensazione che sta provando.
Allo stesso modo ritengo che tale considerazione possa essere applicata all’ascolto di una melodia universalmente bella.
Penso, soprattutto, ad uno dei miei brani preferiti: la “Consolation No.3 in re bemolle maggiore” di Liszt, in particolare nella versione eseguita da Vladimir Horowitz.
Considero questo un brano dalla forte carica emotiva.
Attraverso le note, il compositore riesce ad esprimere sentimenti, a creare nell’immaginazione dell’ascoltatore luoghi e attimi passati della vita.
Ritengo che ci sia consentito instaurare un dialogo intimo, tramite l’ascolto; attribuiamo uno specifico valore a ciò che sentiamo, e l’intensità delle sensazioni provate ci permette di compiere una riflessione. Dialoghiamo con noi stessi, e riusciamo a dare sfogo alle nostre emozioni.
Penso che quello che ho descritto sia un metodo definibile maieutico e utile per aprirci al dialogo con noi stessi, ascoltando “parole più nuove”: quelle della nostra anima.
Miriam Sacco
Emozionando
Provare emozioni è tipico degli esseri umani e esse fanno parte della vita di ognuno di noi; ce ne sono di tanti tipi: gioia, tristezza, nostalgia, amore; la cosa più bella è che davanti ad una stessa situazione ogni persona può reagire diversamente, ma non esistono emozioni giuste o sbagliate.
In questo periodo, io provo soprattutto la tristezza e l'ansia :tristezza per quanto sta accadendo, per la pandemia che sta sconvolgendo il mondo e la nostra vita; ansia, poiché tutti siamo un po' più soli e noi ragazzi sentiamo di non poter vivere bene la nostra adolescenza. E pensare che è proprio in questa fase della vita che iniziamo a compiere esperienze significative.
Non possiamo cambiare ciò che proviamo né tantomeno reprimerlo, però alcune volte invece di aprire il nostro bagaglio emotivo facendo capire il nostro stato d’animo, lo teniamo chiuso con un lucchetto per apparire imperturbabili.
Spesso, viceversa, ci facciamo sopraffare troppo dalle emozioni e a volte tendiamo ad agire d’istinto, rischiando di compiere azioni di cui potremmo pentirci.
Forse, come per ogni questione, basterebbe non ostinarsi a trascinare da soli questo fardello, ma farsi aiutare dalle persone più care, perché tutto il nostro vissuto diviene più leggero, accettabile e perfino gratificante se condiviso nel modo giusto con chi ci ama.
Alice Silvestro
Riflettere su sé stessi
Cosa sono le emozioni?
“Ho paura”, “Ti amo”, “Ti voglio bene”...
Sono piccole frasi che ci capita di sentire ogni giorno ormai, dal primo momento in casa, con la famiglia, trascorrendo la giornata, fino a sera.
Il mondo è pieno di persone e ogni persona porta qualcosa dentro di sé, un bagaglio unico ed inimitabile, composto di esperienze e momenti belli e brutti che, alla fin fine, non l'abbandoneranno mai. Vista l’importanza di questo pacchetto che sempre abbiamo dentro di noi, viene spontaneo porsi una domanda: “come ci condizionerà nella nostra esistenza?”.
Molti filosofi e studiosi si sono interrogati su questo, spesso senza trovare una risposta concreta; ci sono quelli che sostengono che provare emozioni forti sia un male, in quanto spesso alterate dalle circostanze e capaci di farci prendere scelte sbagliate, mentre altri sono talmente certi che il sentimento sia un qualcosa di così profondo e puro, da arrivare ad affermare che una vita senza emozioni non sia degna di essere vissuta e che sia necessario seguire costantemente ciò che “ci dice la pancia”, in quanto frutto del nostro modo di essere.
Possiamo davvero permetterci di classificare le emozioni, però? Abbiamo davvero la facoltà di raggruppare barbaricamente, noi, le sensazioni che proviamo ogni giorno e definire se siano abbastanza valide per essere vissute?
Non credo, o per lo meno non lo so.
Spesso mi capita di pensare a cosa un certo evento abbia suscitato nel mio corpo, a come quell’avvenimento abbia modificato il mio modo di vivere, ma ciò che ottengo non è altro che ulteriore confusione.
Le emozioni sono prodotti complessi, scientificamente reazioni chimiche di vari liquidi e sostanze che, come nel laboratorio di uno scienziato pazzo, si mescolano all’impazzata in conseguenza dello stato fisico del corpo.
Ma se le emozioni fossero molto di più?
Si può dire con certezza che un’emozione non sia altro che una mescolanza incontrollata e temporanea di ormoni, feromoni, cellule e quanto più?
Perché allora esistono patologie basate su un’emozione scura che non se ne va più, a meno che non si cerchi aiuto medico? E perché ci sono “l’amore eterno”, la positività, la codardia?
E se i sentimenti fossero davvero delle creature che, come l’Incubus di Füssli, si appoggiano sul nostro corpo e non si staccano, fin quando noi, aiutati o meno, non li eliminiamo volontariamente?
Forse sono solo discorsi insensati, infantili addirittura, ma per ora rimango comunque con una domanda:
Cosa sono le emozioni?
Alessandro Cauda
La magia del Natale - ph. Prof.ssa Stefania Sarlo
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25 lug 2020 19:03
“SE DOBBIAMO CHIAMARE ASSESSORA UNA DONNA, IL MIO DENTISTA UOMO DEVO CHIAMARLO DENTISTO?” - LEGGERE E CONSERVARE L’INTERVISTA ALLO SCRITTORE GIUSEPPE CULICCHIA CHE FA A PEZZI IL POLITICAMENTE CORRETTO E I SUOI APOSTOLI: “DA UN LATO SI RIVENDICANO LE DIFFERENZE DELLE MINORANZE, DALL'ALTRO VIENI ATTACCATO SE DICI CHE LE DIFFERENZE ESISTONO. GLI SLOGAN PREVALGANO SUL TENTATIVO DI CAPIRE E NON VEDO NELLA SINISTRA LO STESSO IMPEGNO PER DIFENDERE I DIRITTI CIVILI ANCHE NEL PROMUOVERE I DIRITTI DEL LAVORO…”
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Maurizio Caverzan per “la Verità”
L'ultimo libro di Giuseppe Culicchia, E finsero felici e contenti. Dizionario delle nostre ipocrisie (Feltrinelli), è un saggio talmente lucido e godibile che andrebbe letto nelle scuole, corso di educazione civica, oppure adottato nelle facoltà di Scienze politiche e Scienze della comunicazione. Cinquantacinque anni, torinese, autore di Tutti giù per terra, da cui è stato tratto l'omonimo film con Valerio Mastandrea, da libraio Culicchia è diventato scrittore, saggista, traduttore dall'inglese e dal francese. La sua satira demolisce uno a uno i luoghi comuni dello storytelling da salotto, non necessariamente televisivo.
Cominciamo da lei, Culicchia: genitori?
«Mio padre, nato a Marsala, arrivò ventenne a Torino nel 1946. Essendosi innamorato della fidanzata di un suo amico, volle allontanarsi da quella storia. Mia madre era un'operaia tessile piemontese, figlia di un'operaia tessile. Si conobbero a metà degli anni Cinquanta e si sposarono».
Infanzia dura?
«Ero il figlio del barbiere meridionale. Diciamo che ho sperimentato sulla mia pelle una forma di razzismo senza peli sulla lingua. Ma ho avuto la possibilità di gustare gli agnolotti e il cous cous».
È vero che ha fatto il libraio prima di diventare scrittore?
«Per dieci anni. Ho scritto Tutti giù per terra nel 1994, ma fino al '97 ho continuato a stare in libreria. Non ero sicuro di riuscire a mantenermi con le parole».
Era partito piuttosto bene.
«Sì, ma avrei potuto gestire meglio la situazione. A 28 anni ero già felice di aver pubblicato il mio primo libro. Non avevo un agente e non ce l'ho tuttora».
Formazione?
«Sono stato ventenne nel 1985, l'epoca dei paninari. Doveva ancora arrivare la prima ondata migratoria di nordafricani. Torino era molto diversa, c'era stata la marcia del 40.000 e si avvertivano i primi effetti della crisi».
Amici, politica?
«Frequentavo gli ambienti punk e i tifosi del Toro. Ascoltavo i Clash, i Sex pistols, creste verdi o rosso ciliegia».
Che cosa le ha ispirato questo libro?
«Ero in vacanza in Baviera nel 2005 e iniziavano a infastidirmi certi vocaboli che leggevo sui giornali. Le riforme del lavoro che in realtà erano controriforme. Le bombe intelligenti e le vittime civili chiamate danni collaterali. In alcune università americane fu bandito Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain».
Che lei aveva tradotto.
«La censura di Twain scattata per l'uso della parola "negro" era una follia. Twain era un abolizionista, si era arruolato nell'esercito sudista, disertando dopo due settimane. Mi tornò alla mente la profezia di George Orwell sulla neolingua».
Da allora, anni di raccolta di storpiature linguistiche e doppiopesismi?
«Adesso il tema è molto sentito. Quando Feltrinelli ha deciso di pubblicare il dizionario non erano accaduti fatti che l'hanno reso ancora più attuale».
Che cos' è l'ipocrisia?
«C'entra con il mestiere di attore, con la recita che inizia dopo che ci siamo guardati allo specchio e andiamo in ufficio. Per di più ora, ciò che un tempo si diceva al bar diventa di dominio pubblico tramite i social, che trovo molto antisocial. La signora che ha postato un vecchio scatto alle Maldive la incontriamo sotto casa; per cercare lavoro miglioriamo il curriculum. Tutti vogliamo mostrarci meglio di ciò che siamo».
È una maschera che riguarda anche il pensiero?
«Ci si uniforma alle mode e ci si astiene da esprimere il proprio per non essere criticati».
L'omologazione è frutto di superficialità o del potere del pensiero unico?
«Il condizionamento è forte. Qualche anno fa nel quartiere Aurora di Torino alcuni cittadini pakistani si organizzarono in ronde per fronteggiare lo spaccio degli africani. Se fossero stati italiani, avremmo letto titoli sbrigativi. Invece, siccome erano pakistani si scriveva: poveracci, non possono avere gli spacciatori sotto casa. Un caro amico che vive in piazza Vittorio a Roma, modello d'integrazione, mi ha raccontato che poco alla volta la convivenza si è complicata e ora c'è un comitato antidegrado: "Mia moglie, appena vede qualcosa che non va, chiama la polizia: sarà mica diventata improvvisamente fascista?". Ecco, mi sembra che gli slogan prevalgano sul tentativo di capire».
Di fronte a certi argomenti scatta il riflesso condizionato.
«Un gigantesco cane di Pavlov. Se Dolce e Gabbana, di sicuro non due omofobi, si dichiarano contrari all'utero in affitto cadono sotto la pubblica esecrazione. Chi non si allinea è fascista. Lo sarà anche Marco Rizzo, uno degli ultimi orgogliosi comunisti, per aver detto che la maternità surrogata è mercificazione del corpo della donna?».
Il personaggio meno ipocrita e quello più ipocrita di oggi.
«Il più ipocrita è sicuramente il premier olandese Mark Rutte che dice peste e corna dell'Italia e condona le tasse ai grandi marchi della new economy. Uno che non si è mai preoccupato di essere politicamente corretto è Sinisa Mihajlovic. Ha riscosso unanime solidarietà quando si è saputo che aveva la leucemia, ma appena ha detto che in Emilia Romagna avrebbe appoggiato la candidata di Matteo Salvini è stato sommerso di critiche».
Un altro capolavoro è stata l'idea di Michela Murgia di sostituire patria con matria?
«E pazienza se esisteva già madrepatria. A volte l'ideologia ci fa coprire di ridicolo. Se dobbiamo chiamare assessora una donna, il mio dentista uomo devo chiamarlo dentisto?».
Per l'omicidio delle donne si parla di femminicidio perché è un fenomeno diffuso?
«Il trattamento linguistico specifico non è una questione di quantità. A questo punto adottiamolo per tutte le minoranze: migranticidio, gaycidio, lgbtqicidio, diversamentabilicidio. Nelle intestazioni delle lettere tipo cari/e compagni/e c'è chi comincia a usare l'asterisco car* compagn*. Ma un conto è leggerlo, un altro pronunciarlo».
Per il sesso valgono mille sfumature.
«Una docente inglese ha raccontato sul Guardian di esser stata rimproverata da una sua apparente studentessa perché le si è rivolta con il pronome femminile "she", mentre, siccome ha una personalità multipla, avrebbe dovuto usare il plurale, "them". Alla fine ha dovuto scusarsi e spiegare che non voleva mancarle di rispetto. Ormai si cammina sulle uova... Ma c'è una cosa che mi preme dire».
Prego.
«Non vedo nella sinistra lo stesso impegno per difendere i diritti civili anche nel promuovere i diritti del lavoro. Oggi, per un figlio che si è laureato si spera in uno stage da 400 euro al mese, 3 euro all'ora. Poi ci lamentiamo se i migliori se ne vanno all'estero. Su questi temi la sinistra è scomparsa. Anzi, sei contestato se ricordi che la legge che ha introdotto il precariato l'ha fatta il primo governo Prodi. L'Italia ha compromesso il futuro delle giovani generazioni, che cosa ne sarà tra vent' anni? In Germania lo Stato rimborsa alle famiglie tutto quello che hanno speso per la formazione dei giovani perché la loro istruzione riguarda il futuro del Paese».
Perché se si promuovono tutti, la scuola non deve lasciare indietro nessuno e i genitori 1 e 2 spianano la strada ai ragazzi aumenta il disagio adolescenziale?
«Forse sarebbe stato meglio pensarci prima di abolire il voto di condotta. Quando s' inizia ad andare a scuola si entra in un'istituzione pubblica e si compie il primo passo da cittadino. La messa in discussione del principio di autorità ha portato alla deriva attuale dell'uno vale uno. Ma qui ci vorrebbe un altro libro».
È davvero convinto che quando Martina Navratilova si dichiarò omosessuale c'era più tolleranza di oggi?
«Fu molto coraggiosa a esporsi, ma aveva vinto nove volte Wimbledon ed era una figura di riferimento. A confronto con l'ossessione attuale per la correttezza gli anni Settanta erano più liberi. C'era un giornale come Il Male che faceva vignette con il Papa in piscina. La satira era accettata. Di recente quando la Navratilova ha detto che le tenniste transgender sono avvantaggiate rispetto alle donne, una cosa scontata, è stata espulsa dalle associazioni Lgbt».
Con la cancel culture siamo oltre il politicamente corretto: cosa pensa del manifesto dei 150 intellettuali di Harper' s Magazine?
«Penso che ci voleva una presa di posizione così in America. E forse non solo lì. Cosa significa che chi non è di colore non può scrivere un romanzo sul razzismo? Se è esistito, di sicuro Omero non ha partecipato alla guerra di Troia. Isaac Asimov era un robot anche lui? Se la letteratura fosse solamente scrivere di sé sarebbe davvero triste, non tutti gli scrittori hanno la vita di Ernest Hemingway. Però Halle Berry non ha potuto interpretare il ruolo di un trans perché non appartiene a quella minoranza. E all'ultima Festa del cinema di Roma Martin Scorsese è stato accolto dalle proteste delle femministe perché nei suoi film non ci sono donne protagoniste. Trovo intollerabile l'intolleranza di chi si professa tollerante».
Nel suo libro nota che dire «ho anche amici gay» vuol dire essere omofobi: è indispensabile il ddl Zan per tutelare le persone omosessuali?
«Di sicuro l'Italia, Paese mediterraneo, cattolico e legato a una certa idea di famiglia, non è tra i più tolleranti nei loro confronti. Non conosco il decreto nel dettaglio, ma una legge non può risolvere la questione alla radice perché chi si esprime in modo irrispettoso, certo non cambia modo di pensare perché sanzionato».
La parola chiave del nuovo conformismo è inclusività?
«Il paradosso sta nel fatto che da un lato si rivendicano le differenze delle minoranze, dall'altro, se dici che le differenze esistono vieni attaccato perché dobbiamo essere tutti uguali».
Com' è stata accolta dagli editori l'idea di questo dizionario?
«Senza problemi. Non hanno eccepito su nulla, ma si sono augurati che i lettori fossero dotati di autoironia. È un libro divertente, ma non accomodante. Credo che alcuni possano essere in disaccordo, ma anche che il confronto sia un'occasione di arricchimento. Vale aldilà del mio libro».
Non sarà troppo ottimista?
«Forse sì, il mio è un auspicio».
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Nipotini di Flaubert
Alcuni di voi ricorderanno che, tra gli altri, avrei pubblicato un saggio sull’Amore. Una sorta di catalogo degli aspetti dell’amore, come lo intendiamo nel terzo millennio (Amore 3.0, La compagnia del libro).
L’argomento mi affascina per la caratteristica di fissazione che assume tra gli umani. Così, ogni tanto, da queste colonne, ritorno sul tema.
La Madame Bovary della copertina - che si lascia morire per amore - è, sebbene parossisticamente, il simbolo della nostra idealizzazione del Vero Amore, quello che molti di noi, nipotini di Flaubert, inseguono (spesso invano) per tutta la vita.
Probabilmente Madame era troppo imbevuta di romanzi e sognava fasti e sontuosità mondane, che il mite ma solido marito Charles non le sapeva dare.
Eppure - spoiler! - il vero amore non è passione smodata, ché quella finisce, talvolta anche molto presto, bensì è amicizia, complicità e ottime conversazioni.
Molti di noi capiscono tardi che il ‘modello Bovary’ non è valido. Taluni altri non lo capiranno mai, anche perché spesso, più che delle persone, sono semplicemente (o forse unicamente) innamorati della sensazione di rimescolamento e onnipotenza che un nuovo amore regala.
Molte delle canzoni dei Pooh - che inconfessabilmente piacciono a molti - hanno sovente raccontato dei nuovi secondi (terzi, quarti) amori, di gente attempatella, la quale vuole ancora provare il brivido dell’innamoramento adolescenziale, ben fissati attorno al totem del Vero Amore. Spesso i testi narrano di adulteri e di amanti, come veicoli di libertà dalle trappole di unioni diventate spente e /o noiose.
Le persone cambiano - affermava Lillian Hellman - ma dimenticano di comunicarlo. Perfino a sé stesse, aggiungo io, e così ci si convince che sia l’altro/a ad averci intrappolato.
Gustave Flaubert scrisse anche un romanzo (a situazioni, privo di vera trama) dal titolo L’educazione sentimentale, raccontando come il protagonista, incaponitosi per tutta la sua vita sul rimpianto adolescenziale di un amore mai corrisposto, non avesse per rimpianto mai realmente amato nessuna delle sue successive donne.
Un dibattito sulle vicende di Frederic - il personaggio flaubertiano - assumerebbe proporzioni enormi, a cominciare da un’analisi freudiana del testo, fino ai risvolti da soap. Flaubert - come anche Goethe, ne Le affinità elettive - plasmava i personaggi sulle pressioni sociali del tempo, che, scavando a fondo, ritroviamo ancora come retaggi in certi nostri pregiudizi inconfessabili, di stampo cattolico-penitenziale, talvolta anche bigotto.
(Vi svelo che per anni e anni rimasi innamorata di un mio compagno di scuola, conosciuto alle medie. Non seppe mai di questa mia silenziosa devozione. Grazie a questa mia rassegnata esperienza, mi sono vaccinata dai danni dell’innamoramento tumultuoso.
Non so immaginare come la mia vita sarebbe cambiata se ci fossimo trovati allora. Non ho rimpianti. Non l’ho mai più cercato. Conosco gente (invero, un po’ scriteriata, a mio parere) che - come il Frederic di Flaubert - cerca di riprodurre l’amore adolescenziale, magari rintracciando colei (o colui) per cui hanno pianto le notti giovanili. Sappiate che nella quasi totalità dei casi è una pessima idea, che funziona solo nei film. Punto.
Il totem del Vero Amore è difficile da abbattere. Inoltre, il totem del Vero Amore è ancora legato all’idea di (unico) Matrimonio.
Non se ne esce facilmente da questi due miti. A meno che non s’intenda qualcos’altro per ‘educazione sentimentale’.
Leggevo - la settimana scorsa, su Quartz - che più delle qualità umane ‘soft’ (rispetto a quelle digitali ‘hard’), nonché più dell’intelligenza emotiva (cui Daniel Goleman ha dedicato cospicui studi), quello che conta per vivere e ritrovarsi nel mondo sarebbe un’educazione sentimentale, di tipo non-flaubertiano però.
L’auspicabile nuova educazione sentimentale ci consente di amare il mondo, la sua varietà, nonché riconoscere e dare un nome a tante emozioni che pure proviamo.
Prendete l’Altschmerz, che è il tedesco per un ‘vecchio dolore’, quella sensazione di aver già provato quel dispiacere. Oppure il midding, che identifica il piacere che si prova mentre si avvicina il momento dell’incontro con gli amici, o con famigliari cari, o i compagni di scuola di un tempo.
Parcellizzare e nominare grani di emozione allarga la nostra vita, allargando la nostra esperienza sensoriale.
Educazione sentimentale è imparare a riconoscere il piacere dell’occasionale e salvifica solitudine, come pure della conversazione. Tutta roba che sta benissimo anche in una relazione affettiva, considerata come un fiume dai mille affluenti e non un altare da venerare.
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Vita di Leonardo Sciascia, “un uomo di lettere”, l’intellettuale inesorabile
A Leonardo Sciascia non piaceva il termine intellettuale, lui si definiva solamente “un uomo di lettere”. Il compito morale e culturale che si diede era quello di far emergere i mali che attanagliavano una società. La sua figura di scrittore e polemista è stata paragonata a un’altro intellettuale a lui coevo: Pasolini. Caratterialmente molto diversi, Pasolini provocatore ed egocentrico, Sciascia riservato e composto, ma tutti e due uniti dalla lotta contro l’ipocrisia ed il falso moralismo: “Sono nato a Racalmuto in provincia di Agrigento, l’8 gennaio del 1921. E nelle scuole elementari di Recalmuto ho insegnato fino al 1957” (Le Parrocchie di Regalpetra).
Queste le poche righe autobiografiche di presentazione che Sciascia inserì nella nota introduttiva in occasione della pubblicazione del suo primo libro, Le parrocchie di Regalpetra, pubblicato nel 1956. L’opera si inserisce in un contesto in cui lo scrittore ha voluto dipingere la realtà siciliana, limitatamente a Regalpetra, nel cui nome di pura fantasia si riconosce la cittadina di Racalmuto.
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La fase di adolescenziale di Leonardo coincide con la propria formazione intellettuale per mezzo delle prime letture: Hugo, Dumas, Manzoni. Proprio dalla lettura de I promessi sposi, Leonardo capì del potere che aveva la scrittura come “azione-morale”.
Grazie alla passione per la letteratura sentirà nella propria coscienza il dovere di partecipare a quanto accade nella penisola italiana ed in Europa durante l’instaurarsi dei regimi totalitari. A ventinove anni pubblica il primo libro di racconti pubblicato a proprie spese, intitolato Favole della dittatura, ispirato alla Fattoria degli animali di Orwell. L’opera venne recensita positivamente da Pier Paolo Pasolini nel 1951 per il giornale La libertà d’Italia. L’articolo di Pasolini diede inizio ad un’amicizia e convergenza intellettuale tra i due. La riflessione sociologica sulla Sicilia prosegue con la raccolta di racconti intitolata Gli zii di Sicilia, pubblicata nel 1958 per ‘I Gettoni’ Einaudi, collana diretta da Elio Vittorini.
Nell’analisi della società siciliana, Sciascia si trova sin da subito ad affrontare uno degli aspetti più deturpanti, il fenomeno mafioso, che in quella terra ha origini arcaiche e nel corso dei secoli si è adeguata ai diversi contesti. Lo scrittore ha affrontato per la prima volta il tema della mafia già nelle Parrocchie di Regalpetra; il tema del fenomeno mafioso rappresenta soltanto l’antefatto dell’analisi che lo scrittore affronterà successivamente. Nelle Parrocchie di Regalpetra, vengono distinti due tipi di mafie: una fatta di “atteggiamenti” e l’altra di “ammazzamenti”.
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Il Giorno della Civetta pubblicato nel 1961 per Einaudi, è annoverato nel genere poliziesco, fu il primo a trattare esplicitamente il tema della mafia. Lo spunto del romanzo è tratto da un fatto di cronaca avvenuto a Sciacca nel gennaio del 1947 in cui venne ucciso il sindacalista Accursio Miraglia. Nella nota introduttiva in un’edizione del 1971, Sciascia dichiarò che prima dell’uscita del romanzo, il fenomeno mafioso fosse coperto e negato dalla politica nazionale. Solamente dopo il successo del romanzo, venne deciso di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. Le due figure chiave del romanzo sono il mafioso Mariano Arena e il capitano Bellodi, ispirato dalla figura di Renato Candia, ufficiale dei Carabinieri a Caltanissetta e amico di Sciascia. Le due figure vengono rese iperboliche dall’autore seppur senza togliere nulla al loro carattere di veridicità. A don Mariano Arena lo scrittore ha fornito segni di figura epica, rappresenta il simbolo di una mafia invisibile e che non si lascia scalfire dai tempi nuovi. Egli è sempre efficiente, in grado di reagire ad ogni avversità. L’ufficiale dei carabinieri possiede in sé i caratteri di una letterarietà sulla quale agisce profondamente la radicata convinzione dell’inferiorità del siciliano di fronte all’uomo che proviene dal nord.
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Un altro grande successo letterario accade con A ciascuno il suo, pubblicato nel 1966 in cui l’autore conduce un’indagine psicologica che va oltre l’intreccio poliziesco. Anche questo romanzo è ispirato da un fatto di cronaca avvenuto nel 1960 ad Agrigento che ebbe un grosso risalto nell’opinione pubblica. Un commissario di polizia locale, Cataldo Tandoj venne ucciso mentre passeggiava per le vie della città con la moglie. Quest’ultima aveva una relazione extraconiugale con un noto psichiatra di Agrigento, il professor Mario La Loggia. Contemporaneamente all’uccisione del commissario venne ucciso dagli stessi killer un giovane studente che per caso passava vicino il luogo dell’omicidio. Vennero subito arrestati la moglie del commissario e il suo amante, La Loggia, ma subito dopo vennero scarcerati perché la pista passionale venne scartata in favore di quella mafiosa. Le successive lettere anonime inviate agli inquirenti, le reticenze che coprivano la semplice verità che metteva in mostra i disvalori della borghesia della cittadina di provincia siciliana.
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Grazie al successo delle sue opere, Sciascia diventò una sorte di totem per gli scrittori, saggisti ed intellettuali siciliani. La porta della sua casa sarà sempre aperta a lettori, scrittori, magistrati, e amici che volevano scambiare un parere o che cercavano un consiglio sulla stesura di un romanzo, racconto. Nel 1970, Sciascia si trasferisce a Palermo insieme alla sua famiglia. Nella capitale siciliana è testimone di due fenomeni tra loro collegati: l’abusivismo edilizio che ridisegnò Palermo, il cosiddetto “Sacco di Palermo” ad opera dell’allora assessore ai lavori pubblici del comune Vito Ciancimino, che nello stravolgere il piano regolatore permise a varie aziende edili tutte riconducibili a boss mafiosi di ottenere appalti per la costruzione di interi quartieri, e i numerosi omicidi causati dalle vendette di mafia tra le diverse cosche palermitane. Questa realtà fatta di violenza ispira Sciascia alla composizione del nuovo romanzo intitolato Il contesto, in cui viene analizzata la fase storica che stava subendo l’Italia, fondata sulla collusione dei poteri istituzionali con la criminalità. La denuncia contro la politica del compromesso e sull’utilizzo strumentale della religione cattolica ad uso politico viene effettuata da Sciascia tramite il nuovo romanzo intitolato Todo modo, pubblicato nel 1974. Nel 1976 Elio Petri tramuterà il romanzo in un film che però si discosta molto dalla trama del libro. Petri incentrò il film su una denuncia ai danni della politica dell’intrigo della Democrazia cristiana.
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Dopo la morte di Pasolini è rimasto Sciascia ad impersonare il ruolo dell’“intellettuale dissidente”. Il rapimento di Aldo Moro, avvenuto il 16 marzo del 1978 ed il suo assassinio impone di analizzare a fondo la vicenda per ricercare la verità. Sciascia lo fa scrivendo un saggio pubblicato a puntate sul Corriere della sera, un breve pamphlet scritto dopo due mesi la morte del presidente della Democrazia cristiana.
Lo scrittore analizza a fondo le lettere scritte da Moro all’interno della “prigione del popolo” e recapitate ai dirigenti del suo partito, dandone un’interpretazione diversa da quella data da ‘amici’ di Moro della DC, che ritenevano le lettere scritte sotto costrizione psicologica da parte dei suoi carcerieri, quindi non attendibili. Per Sciascia il rapimento di Moro favoriva “l’acquietamento e quella concordia per cui il quarto governo presieduto dall’onorevole Andreotti veniva approvato senza discussione in aula”. Lo scrittore siciliano fu il primo intellettuale a dichiarare apertamente che Moro sarebbe potuto essere stato salvato, che gli esecutori morali della sua evitabile condanna erano i suoi stessi colleghi di partito, appoggiati dal Partito Comunista fautore della politica della ‘fermezza’. Il saggio pubblicato prima in Francia e poi in Italia generò una miriade di polemiche. Tra tutte quella di Eugenio Scalfari in un editoriale su Repubblica che accusò Sciascia, senza mezzi termini, di aver scritto un saggio soltanto per attirare l’attenzione su di sé.
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Nel 1979 si svolgono le elezioni politiche ed europee. Marco Pannella, segretario del Partito Radicale va a Palermo per cercare di arruolare Sciascia come capolista per il Parlamento italiano tra le file del suo partito. Pannella dichiarò allo scrittore di voler costruire l’agenda politica secondo i dettami etici che Sciascia mostrava nei suoi libri. A questa proposta lo scrittore rimase interdetto, non si aspettava che un partito politico potesse stilare un programma sulle idee di un intellettuale. Accettò la candidatura. I risultati delle elezioni furono straordinari. Il Partito Radicale vide quadruplicare i propri seggi. Lo scrittore venne eletto alla Camera dei deputati. L’onorevole Sciascia prese alloggio a Roma all’Hotel Nazionale per tutto il periodo della legislatura. Il primo discorso di Sciascia alla Camera dei Deputati avvenne il 10 agosto del 1979, motivando il voto sfavorevole alla fiducia del governo Cossiga.
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Nel frattempo, da Palermo giungono notizie sempre più drammatiche. Prima l’uccisione del capo della squadra mobile Boris Giuliano, e pochi mesi dopo quella del giudice e parlamentare Cesare Terranova che Sciascia conosceva personalmente. Solo in seguito all’omicidio del segretario del PCI siciliano Pio la Torre, avvenuto nel 1982, Sciascia si rese conto dell’ormai avvenuto mutamento che aveva avuto l’organizzazione mafiosa. In un articolo sul Corriere della sera, scrisse che le indagini si dovevano concentrare sull’analisi dei conti correnti nelle banche.
Il 10 gennaio del 1987 il Corriere della sera pubblicò l’articolo di Sciascia intitolato I professionisti dell’antimafia, che scatenerà una miriade di violente e infinite polemiche. L’articolo si apriva con l’analisi intorno a un saggio dello storico anglosassone Christopher Duggan sulla commistione tra fascismo e mafia. Nella seconda parte lo scrittore voleva mettere in guardia da chi faceva dello slogan della lotta alla mafia una mera propaganda per scopi di carriera, pur di fatto non combattendo la mafia. Nell’articolo lo scrittore citò come esempi emblematici del carrierismo il sindaco di Palermo Leoluca Orlando che organizzava manifestazioni, convegni, propugnando valori antimafiosi ma non interessandosi ai reali problemi del comune che amministrava e Paolo Borsellino che era stato appena nominato procuratore di Marsala dal Csm , pur non avendo i requisiti dell’anzianità di servizio. Dopo qualche mese dall’uscita dell’articolo, Sciascia e Borsellino s’incontrarono in una manifestazione pubblica a Marsala. I due ebbero modo di chiarirsi e da lì ne nacque un’amicizia. Qualche anno dopo, Borsellino sosterrà che l’articolo di Sciascia fu strumentalizzato da chi voleva ridimensionare il pool antimafia di Palermo in occasione della mancata nomina di Giovanni Falcone e della sostituzione di Procuratore capo di Palermo Antonino Caponnetto.
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In quegli anni Sciascia inizia a accusare diversi disturbi alla salute, un dolore a una vertebra che si fece cronico dopo essere caduto nella sua casa qualche anno prima e continui attacchi di tosse, che altro non erano se non i segni di una malattia incurabile che avanzava inesorabilmente, ma nulla riesce a fermare la sua scrittura. Scrive articoli per La Stampa e un nuovo romanzo, che sarà anche l’ultimo, Una storia semplice, pubblicato il 20 novembre del 1989 il giorno dopo la sua morte. Nel racconto che a tutti gli effetti è il suo testamento morale, lo scrittore mantiene il genere del giallo, dove esprime tutta la sua concezione sulla giustizia italiana, riassunto nell’incipit nella massima di Dürrenmatt: “Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”. Con questo romanzo si chiude la carriera di scrittore e la vita di Leonardo Sciascia. Scrittura e verità, un binomio inscindibile per chi come Sciascia ha fatto della scrittura un mezzo per la ricerca della verità, anche quando questa è scomoda. Questa è la lezione del maestro di Regalpetra.
Lorenzo Bravi
*In copertina: Leonardo Sciascia nel 1986, photo Angelo Pitrone
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"Anima Nuda" di Filippo Flocco, confessioni di uno stilista di successo
(di Francesco Di Vincenzo) Edgar Allan Poe sosteneva che un libro intitolato “Il cuore messo a nudo” avrebbe assicurato gloria eterna al suo autore. «A patto, però», aggiungeva scettico, «che questo libro mantenga fedelmente le promesse del titolo». È possibile che “Anima nuda” (Ricerche & Redazioni, 2020, pagg. 222, € 20), titolo pressoché identico a quello ipotizzato da Poe, non assicurerà al suo autore la gloria eterna, ma una nomination, quantomeno, dovrebbe garantirglielo: Filippo Flocco si è davvero messo a nudo in questo suo brillante esordio letterario, e non solo nella disinvolta foto di copertina. Lo fa con un linguaggio sapido e vivace, venato d’ironia e disincanto, ma capace d’addensarsi in passaggi di dolente intimità («Giorno dopo giorno avevo costruito una fortezza di ferro attorno al cuore, dove faccio entrare solo chi voglio io») o di lasciarsi andare a pittoreschi sarcasmi trivial-chic, come in questo ritratto delle ragazze punk di Londra: «Ruttano come lavandini sturati e si ravanano davanti come se avessero un festival di piattole nelle mutande». Flocco ripercorre tutta la sua ancor giovane vita privata e professionale, ma sarebbe riduttivo considerare “Anima nuda” un’autobiografia. É piuttosto un memoir, una delle declinazioni più fortunate della forma romanzo. Dell’autobiografia, “Anima nuda” non ha l’ossessione della ricostruzione lineare, cronachistica dei fatti (date, luoghi, nomi, contesti ben definiti, etc.). La narrazione di Flocco comunica una verità emotiva più che una verità fattuale, come fa con esemplare evidenza quando, in un passo particolarmente toccante, egli rivela una sua mancata paternità (la ragazza perse il bambino poco prima del parto). Flocco non dice quando è successo, non dà alcuna informazione sulla ragazza. Dice questo: «Perdere un bambino poco prima della nascita vuol dire andare avanti ogni giorno immaginando come sarebbe stato (...) Puoi immaginarne i giochi, i sorrisi, le lacrime che avresti asciugato, gli amici, le storie d’amore, qualsiasi cosa, perché perdere un figlio non nato ti lascia la libertà di soffrire come vuoi e quanto vuoi, per sempre.» Un episodio che forse sorprenderà chi conosce lo stato civile di Filippo Flocco, congiunto anche formalmente, grazie alla legge Cirinnà sulle unioni civili, con l’uomo con il quale convive da oltre vent’anni. «La natura è ampia, differente, piena di sfumature», scrive Flocco, «e il sesso, fluido». Parte da lontano il racconto della sua “Anima nuda”, da molto prima che lui nascesse: dall’antico avo fatto barone per i suoi meriti di crociato, al nonno ricco e gaudente, dal padre Romano, generale dell’esercito che lo picchiava «con la cinghia dalla parte della fibbia», alla madre Edda, ostetrica, che guidava la macchina, fumava, portava i pantaloni, adorava la moda e non esitò a sostenere il figlio quando il giovane Filippo decise di aprire in un palazzetto quattrocentesco del centro storico di Teramo il raffinato atelier che porta il suo nome. Prima c’era stato l’umile ma prezioso apprendistato adolescenziale a Roma, nella maison delle mitiche sorelle Fontana («raccoglievo le pezze»). La sua innata creatività, la sua mano per il disegno («Avevo iniziato a disegnare in maniera ossessiva, dovevo esprimere quello che sentivo dentro») e la sua capacità di proporsi con la sfrontatezza di chi è sicuro del proprio talento, gli aprirono presto molte porte nel mondo dell’alta moda. Arrivarono i primi cospicui guadagni e le lunghe permanenze a Roma, Milano, Londra, Parigi, New York, Miami, Los Angeles. «Avevo messo a punto una tecnica infallibile per “diventare lo stile” che la Maison o il brand desiderava. Iniziavo studiando la vita del creatore, ne assimilavo i pensieri, poi passavo a esaminare lo storico delle vendite, per capire come orientare la collezione. Rispettavo i codici di riconoscibilità, ma inserivo piccole parti di me, un po’ d’anima vagabonda. Solo sussurrando, rendendo il tutto impercettibile a un primo sguardo.» Alle permanenze nelle grandi capitali della moda, Filippo alterna, appena può, fughe improvvise e un po’ folli in località piccole e, allora, ancora appartate (Ibiza, Mykonos, Antibes, Gammarth) ma non meno glamour, per ragioni ben diverse, delle metropoli frequentate per ragioni innanzitutto professionali. Intanto, continua a proporre la sua creatività alle più prestigiose e all’apparenza inarrivabili case di alta moda («Magari potrei aiutarvi a diventare ancora più grandi» scrive sfrontatamente ad una di queste). E così, il giovane stilista abruzzese entra nelle grazie di un Gran Capo di una delle maison parigine più famose. Per venti giorni costui lo manda ogni mattina, in treno, alla reggia di Versailles. «Il mio compito era solo osservare, guardarmi attorno». Infine il Gran Capo gli annuncia: «Versailles sarà il tuo prossimo tema di collezione. Fammi una vita di corte in chiave contemporanea.» Read the full article
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ASCOLI PICENO – Un amore a distanza, 313 chilometri che dividono due ragazzi innamorati, la cui storia avrà una fine tutt’altro che scontata. È un tema delicato e romantico, quello del romanzo di Nicolas Paolizzi, edito da Rizzoli, che l’autore presenterà presso il Mondadori BookStore del Centro Commerciale Città delle Stelle di Ascoli Piceno, giovedì 12 dicembre, dalle 18.30.
“Ti avrei dato tutto” è la storia di una giovane quindicenne abruzzese, Nicole e di Marco: lui vive a Roma e s’incontrano per la prima volta in spiaggia. Nasce così una storia d’amore adolescenziale, che sboccia quando i due si ritrovano su Facebook e che si sviluppa nonostante l’enorme distanza che li separa. Anzi, l’ostacolo più grande non sembra quello, ma l’ansia che ad un certo punto assale Nicole, quella di non “essere abbastanza” per Marco. Lui, presto, si troverà a un bivio: perderla per sempre oppure riportarla a casa, rendendo il loro amore finalmente perfetto.
Nicolas Paolizzi, che sarà presente al Mondadori BookStore e dialogherà con tutti coloro i quali vorranno saperne di più sul suo romanzo, è nato nel 1999 in provincia di Teramo, dove ha frequentato gli studi. Attualmente è seguito da più di 800.000 followers su Instagram: ha esordito autopubblicando “Cara te… amati”: “Ti avrei dato tutto” è il suo primo romanzo.
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Trentino Book Festival: con i libri si fa festa
Prestato oggi Trento il ricco calendario del Trentino Book Festival il cui leitmotiv è la post-verità. La kermesse letteraria in programma a Caldonazzo dal 15 al 18 giugno è stata illustrata nell'ambito della piattaforma di comunicazione Cultura Informa. Il programma degli eventi è stato presentato da Pino Loperfido, direttore artistico, da Marina Eccher, assessore alla cultura del Comune di Caldonazzo dal presidente dell'Azienda per il Turismo Valsugana –Logorai, Stefano Ravanelli e da Giampiero Passamani, consigliere provinciale di zona.
Sono intervenuti all'incontro con i giornalisti il dirigente del Servizio attività culturali della Provincia autonoma di Trento, Claudio Martinelli e Andrea Robol, Assessore alla Cultura di Trento che ha riferito ai presenti i titoli dei quattro libri semifinalisti del contest “Un libro, una città”.
Conoscere, confrontare, approfondire, verificare diventano una necessità, in un tempo nel quale fake news e post-verità sono temi all’ordine del giorno. Un compito educativo immane del quale si prende carico anche la cultura a livello locale. La settima edizione del Trentino Book Festival di Caldonazzo (15-18 giugno 2017) si pone perciò un ambizioso obiettivo dandosi come titolo «Nei dintorni della verità. Cosa rimane di oggettivo in un’epoca di bufale, dicerie e disinformazione».
Il fine settimana lungo dedicato ai libri viene sostenuto da istituzioni e fondazioni provinciali, dalla promozione turistica locale e dalla cooperazione. In particolare segnaliamo il Comune di Caldonazzo, la Cassa Rurale Alta Valsugana e la Fondazione Caritro. Partner artistico di quest’anno la Fondazione Trentina Alcide De Gasperi diretta da Marco Odorizzi.
Giovedì 15 giugno si parte con l’inaugurazione di mostre, come quella delle biblioteche della Valsugana (“Nati per leggere”) e dei lavori del Liceo artistico Depero di Rovereto (“Un sacchetto di biglie”) in piazza Vecchia. Alle 18.15 nella Casa della Cultura inaugurazione di “Storie di legno, di ferro e di pietra”, della Bunker Art Gallery. Quindi presentazione di tre testi dedicati alla storia. Nadia Beber presenterà il suo “A casa nel mondo” (19, Casa della cultura), la banalità del male spacciata per realismo da Auschwitz alla Siria. Luca Girotto parlerà de “Il lago della morte”, raccontando la battaglia per Monte Colo del maggio 1916 (20.10, Bar Miralago). Infine, sempre al Miralago, il Corpo bandistico di Caldonazzo chiuderà la serata in musica e con una raccolta di immagini fotografiche della propria storia. Il collegamento tra il centro di Caldonazzo ed il Bar Miralago sarà garantito da una navetta.
L’inaugurazione ufficiale del #tbf17 sarà venerdì 16 giugno alle 16.30 in piazza Municipio. Passerà da Caldonazzo il concorso lanciato dal Comune di Trento “Un libro, una città”. I lettori esprimeranno la loro preferenza fra “Il nome della rosa” di Umberto Eco, “Le città invisibili” di Italo Calvino , “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern e “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Si riaprirà il voto con nuove schede, ma negli stessi luoghi e con le consuete modalità, per arrivare alla scelta del romanzo vincitore il 22 giugno, durante le Feste Vigiliane.
Molto interessante l’incontro con il libro postumo di Sergio Reolon, “Kill Heidi”, in cui si parlerà di cultura della montagna con Monica Morandini, Annibale Salsa e Riccardo Giacomelli.
Ad affrontare la questione del ritorno dei nazionalismi ci sarà quindi Gad Lerner (17.50, Corte Trapp), nell’incontro dal titolo «Il nazionalismo in cui ogni altro pensiero affoga». Alle 20.30 in piazza Municipio sarà al Tbf Alessandra Sardoni, inviata del Tg La7, con il suo libro “Irresponsabili”: il potere italiano e la pretesa dell’innocenza”. Chiusura di giornata alle 21.30 nella Corte Trapp “Smith&Wesson”, lettura scenica dall’omonimo libro di Alessandro Baricco realizzata dall’associazione Chiamaleparole e dal Corpo bandistico di Caldonazzo.
Un ricchissimo sabato vedrà ospite alle 18.30 alla Casa della Cultura Antonella Beccaria, che presenterà “Morire al Cairo”, in collaborazione con Amnesty International Trento. Un libro che parla dei troppi perché che stanno dietro all’uccisione del ricercatore Giulio Regeni. Il vulcanologo dell’Ingv Alessandro Amato alle 11 (Casa della Cultura) con il suo “Sotto i nostri piedi” si occuperà del tema delicato della scienza e della disinformazione. Si possono prevedere i terremoti? Nel programma anche il caso letterario “Medusa” (12.15, Blue Coffee) di Luca Bernardi, romanzo di formazione nel quale crudeltà e intelligenza ballano avvinghiate sul confine tra comicità e tragedia. Alle 17 al Teatro San Sisto Silvia Avallone indicherà “Da dove la vita è perfetta”, mentre dalle 17.30 in Sala Marchesoni della Biblioteca laboratorio ludico-didattico e lettura per bambini dai 6 anni “Faccio quello che posso: racconto la mia storia”.
Ancora guerra con “Mondo spezzato. L’Austria felix muore sugli Altipiani”, storia di uomini e sentimenti proposta da Massimiliano Unterrichter (14.30, Pineta). Con Dacia Maraini (15.30 Corte Trapp) torna un tema molto trattato durante l’edizione 2016 del Trentino Book Festival, quello della violenza sulle donne con il libro “L’amore rubato”.
Ricco programma anche per il Tbf Junior, il festival per i bambini, all’interno del quale ci sarà anche Bruno Tognolini con “Il tamburo nascosto” (15.30, Giardino di viale Stazione), giochi di parole che servono per comprendere la vita. Alle 18.30 al Blue Coffee Andrea Nicolussi Golo propone il suo romanzo dedicato al terrorismo anni Settanta “Di roccia di neve di piombo”.
Ancora poesia con Davide Rondoni (20, Blue Coffee) e “La natura del bastardo”. Quindi chiuderà la giornata Antonello Dose (21.30 Corte Trapp), voce conosciuta de “Il ruggito del coniglio” di Radio 2. Dose racconterà il suo incontro con il buddismo in “La rivoluzione del coniglio”.
La domenica al Festival di Caldonazzo avrà inizio con Katia Bernardi e le sue “Funne” (12.15, Casa della Cultura), le celebri donne di Daone che hanno visto il mare di Croazia e hanno avuto una fama internazionale con la loro storia semplice ma straordinaria.
Poesia al Festival con Vivian Lamarque (11, Blue Coffee) e “Madre d’inverno”. Uno degli appuntamenti più “pop” del #tbf17 sarà con il giornalista Andrea Scanzi (20, Palazzetto dello sport) ed il suo romanzo “I migliori di noi”.
In agenda quindi Francesco Vidotto (14.30, Pineta), che porta al Festival una storia dalle Dolomiti, quella di “Fabro”. Altro grande ospite sarà quindi Moni Ovadia (15.45, Palazzetto), che presenterà “Il coniglio Hitler e il cilindro del demagogo”, per poi chiudere il festival in serata (20.30 Teatro San Sisto) con la lettura del 26esimo canto dell’Inferno di Dante (ingresso 20 euro), nel quale emerge la figura di Ulisse. Veronica Pivetti (18.30, piazza Municipio) con il suo “Mai all’altezza” vuole spiegare come sentirsi sempre inadeguata e vivere felice.
Da non perdere a partire dalle 16 al Teatro San Sisto il monologo “Oscar e la dama in rosa” di Eric E. Schmitt interpretato da Janna Konyaeva, spettacolo adatto anche per bambini dagli 11 anni in su, meglio se accompagnati (ingresso 5 euro). Ultimo appuntamento per piccoli alle 16.45 in Sala Capricci (dai 3 ai 6 anni di età) ed in biblioteca (da 0 a 3 anni) con “Che bella storia essere piccoli”, letture all’interno dell’iniziativa “Nati per leggere”. Target adolescenziale e giovanile per Cleo Toms, la prima Youtuber che partecipa al Tbf per presentare alle 17 “La magia delle #piccolecose” al Blue Coffee. Alle 17 nella Casa della Cultura il tradizionale appuntamento in collaborazione con Soroptimist, “Se mi tornassi questa sera accanto” di Carmen Pellegrino.
La “cerimonia di chiusura” del Tbf17 sarà al solito in musica, in piazza Municipio alle 21.30 con i Car Wash e Riccardo Gadotti ed una libera interpretazione di “Sarà una bella società” di Shel Shapiro ed Edmondo Berselli dal titolo “Ma che colpa abbiamo noi. Come il rock ha cambiato le nostre vite”.
Info dettagliate su www.trentinobookfestival.it e sui principali social network.
Per i lettori più piccoli…
Come di consueto, sono molti gli appuntamenti che il festival riserva alle famiglie e ai più piccoli. A partire da venerdì 16 giugno, alle 20.30 al Teatro San Sisto dal romanzo di Joseph Joffo “Un sacchetto di biglie”, spettacolo con età consigliata dai 6 anni, biglietto d’ingresso 5 euro. Una piece che sta avendo molto successo, al punto che la compagnia, Bam Bam teatro, è stata invitata al prestigioso Festival di Avignone.
Sabato 17 giugno, alle 11, in Sala Marchesoni, un evento a cura di Promolettura Giunti Editore, Giunti Junior, Editoriale Scienza, intitolato “Faccio quello che posso: racconto la MIA storia“. Un laboratorio ludico-didattico e lettura. Età consigliata: dai 6 anni.
Alle 15.30 nel Giardino di Via Stazione arriva il grande Bruno Tognolini con “Il tamburo nascosto”.
La domenica dei piccoli di Caldonazzo avrà inizio con Adriano Vianini (10.30, Giardino di viale Stazione) e “Filotondo”, libro di canzoni illustrate. Età consigliata: dai 3 agli 8 anni.
Alle 16.45 in Sala Capricci, Piazza vecchia e Biblioteca Comunale, ecco “Che bella storia essere piccoli. Nati per Leggere al Trentino Book Festival”: letture per bambini dai zero ai sei anni a cura delle bibliotecarie della Valsugana e delle Volontarie Nati per Leggere. Età: Sala capricci (3-6 anni). Biblioteca comunale (0-3 anni).
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Ligabue, la rock star che diventò (nelle intenzioni) il “Raymond Carver italiano”. Gita tra poesie imbarazzanti e libri facilmente dimenticabili
“Non abbiamo un Raymond Carver italiano. Mi correggo, non avevamo un Raymond Carver italiano. Ora c’è e si chiama Luciano Ligabue. Non parlo delle sue canzoni. Anche se versi come: «Certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei». O come: «C’è la notte che ti tiene tra le sue tette, un po’ mamma un po’ porca com’è». O, soprattutto, come: «Ci han concesso solo una vita / soddisfatti o no, qua non rimborsano mai» a Carver non sarebbero dispiaciuti”. (Antonio D’Orrico, Corriere della Sera).
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Come sappiamo, la sinistra italiana ha sempre lavorato per mantenere la supremazia in campo culturale: questo è un dato di fatto ormai metabolizzato e storicizzato. Una supremazia che ha visto iniziare il suo declino con l’avvento degli anni 2000, con la rivoluzione digitale, con la diffusione della Rete e i rivolgimenti socio-globali a cui stiamo ancora assistendo. Già in quella fase di forti cambiamenti, destinati a farsi sempre più veloci, l’egemonia della sinistra si è sentita minacciata e ha cercato le vie possibili per mantenere l’occupazione del campo. Cosa c’entra in tutto questo Luciano Ligabue, un rocker che a un certo punto ha sfruttato il successo regalatogli dalle vaste platee di fans per tentare una collaterale carriera letteraria? Sappiamo che il suo esordio risale al 1997, con la raccolta di racconti Fuori e dentro il borgo, che vinse il Premio Elsa Morante e il Premio Città di Fiesole: un artista della scena musicale che si scoprì “narratore delle pianure”, sulla scia del padre nobile Gianni Celati, nella terra situata “tra la via Emilia e il West”. L’anno dopo seguì il suo esordio come regista con il film Radiofreccia, che vinse la bellezza di tre David di Donatello, due Nastri d’argento, un Globo d’oro e tre Ciak d’oro.
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Il ruolo “di sfondamento” di Luciano Ligabue nella letteratura prende corpo nel 2004, quando pubblica il primo romanzo intitolato La neve se ne frega nella collana “I canguri” Feltrinelli: il libro viene presentato a Torino da Francesco Piccolo, a Roma da Alessandro Baricco, a Milano da Fernanda Pivano. È la mobilitazione di questo stato maggiore di “mostri sacri” della nostra cultura gauche a far capire il disegno sotteso all’operazione, una mossa di marketing decisa e orientata, che voleva farsi anche messaggio politico che legittimasse la posizione di questa intellighenzia verso un pubblico il più ampio possibile, allargato anche alla sfera pop e adolescenziale. Dunque, non un semplice disegno commerciale in termini di classifica, vendite e denaro, ma molto di più. Si tenga presente che solo due anni dopo Alessandro Baricco avrebbe pubblicato sul quotidiano la Repubblica il saggio I barbari, un tentativo di analisi della grande mutazione in atto nella cultura occidentale, presentato come l’opera filosofico-antropologica del momento.
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Dunque, l’esigenza della sinistra di muoversi, di reagire alla deriva in atto era ben presente, ed è verosimile che questi esponenti dell’élite intellettuale abbiano pensato di eleggere un “campione” dal forte appeal mediatico, sfruttandone la forza derivante dalla sua grande popolarità, per mandarlo a presidiare l’area minacciata. Ecco allora che Luciano Ligabue viene letteralmente imposto in campo letterario – a suon di presentazioni prestigiose, di condizionamenti alle librerie e di ospitate nei salotti televisivi di Stato – con La neve se ne frega, un romanzo futuristico la cui realizzazione, a nostro avviso, non dovette comportare sforzi particolari. Nulla di più semplice, infatti, che ricopiare l’ambiente orwelliano di 1984 e riproporre lo stesso tema di Il tempo imperfetto (dove le persone nascono vecchie e ringiovaniscono fino a morire neonate) che Francesco Piccolo aveva copiato quattro anni prima da Counter-clock World di Philip. K. Dick (dove un fenomeno siderale ha invertito la freccia del tempo facendo ripercorrere la vita a rovescio) pubblicato nel 1967, il quale a sua volta aveva ripreso in forma fantascientifica il tema del celebre racconto di Francis Scott Fitzgerald The curious case of Benjamin Button, dove un bambino nasce vecchio e ringiovanisce fino a estinguersi.
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Dunque, un topos molto sfruttato quello di La neve se ne frega; ma l’autore si è sforzato di ovviare all’ovvio con l’invenzione stilistica:
«Usi il blu e fai sentire un po’ di dio o dei suoi affini. Usi il giallo per dire che il sole non lo si può guardare in faccia. Il giallo per il potere. Il giallo per il volere. Usi il rosso per l’incombenza del sangue, la dipendenza dal sangue, l’intraprendenza del sangue. Usi il rosso per le radici. Usi il bianco per accendere la luce. Usi il nero per spegnerla. Per accendere l’ombra. Oppure li mescoli e abusi delle migliaia di nuove possibilità».
«Io e la pazienza giriamo la faccia dall’altra parte quando ci incrociamo». «Io e la pazienza abbiamo strappato le foto in cui eravamo insieme». «Io e la pazienza, ora, ci stiamo inviando qualche cartolina».
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Naturalmente, per affermarsi in modo pieno serviva anche l’impegno politico, e Luciano Ligabue ha fatto il possibile per coprire anche questo aspetto. Restano scolpite nella memoria la sua partecipazione al concerto del Primo maggio 2006, anno in cui la canzone Una vita da mediano diventa la colonna sonora della candidatura di Romano Prodi a Presidente del consiglio; la sua adesione al Vaffanculo-Day di Beppe Grillo nel settembre 2007, dove in un videomessaggio su maxischermo critica davanti alla platea grillina il sistema politico italiano; la sua firma all’appello per la libertà di stampa lanciato due anni dopo dai giuristi Cordero, Rodotà e Zagrebelsky sul quotidiano la Repubblica; la sua solidarietà a ricercatori e studenti nelle proteste del 2010 contro la riforma della scuola, espressa dichiarando che, finalmente, i giovani stavano manifestando l’angoscia per il proprio futuro. Un’attività politica a cui Ligabue era già avvezzo, essendo stato nel 1990 consigliere comunale a Correggio, prendendo parte a sole sei sedute consiliari in due anni, prima di dimettersi e imboccare la strada del successo come artista.
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Una volta che il campione della sinistra è stato lanciato, la strada è aperta: si sono occupate le sotto-aree del cinema, della narrativa, della politica, e ora resta da occupare l’area cruciale della poesia. Perché è la poesia a essere rivoluzione, a rivoltare le coscienze, a tracciare significati per la psiche. Anche qui il compito è apparso semplice: basta slegare le parole dalla musica, ragionare in un tono diverso e il gioco è fatto. La collana Einaudi Stile Libero è pronta come braccio armato del progetto, a fianco dei grandi promotori: esce così nel 2006 la raccolta di 77 poesie dal titolo Lettere d’amore nel frigo, con la prefazione di Nico Orengo, che viene presentata con successo in molti atenei italiani. L’incipit:
guardiamo gli insetti sbattere sulle lampadine li vediamo friggere diciamo non ce la fanno a entrare nella luce quegli stupidi
Ora, per quanti sforzi di condiscendenza si possano fare, come venne rilevato da più parti, queste “poesie” risultano chiaramente un prodotto fuori fase rispetto all’arte che si vorrebbe esprimere. Apparentemente scritte di getto, come farebbe un adolescente sul suo diario, fattualmente prive di punteggiatura – forse per rivendicare la provenienza artistica dalla composizione di testi musicali – risultano inespressive, inconcludenti, senza un briciolo di sostanza lirico-letteraria.
è uno come tanti che ha le sue lettere d’amore nel frigo e nello scomparto frutta tiene la matrice dei biglietti per lo spettacolo del per sempre se ne ha comprati tanti è perché gli spettacoli durano quel che durano così compra altri biglietti con sopra la scadenza
Non c’è ritmo, non c’è respiro, manca una direzione emotivo-evocativa, e anche un’ipotesi di impianto semantico è inesistente. L’autore, dopo una serie di mestieri diversi, è approdato alla musica rock-autoriale e da lì ha formato le proprie competenze, in linea con l’arte che stava praticando. Ma esercitare la poesia presuppone un’inclinazione e una formazione ben fondate nell’intimo della persona, non può ridursi a un accostamento di parole e correlazioni intese a creare suggestione. Non basta saper andare sul palco con la chitarra elettrica, se non si è Jim Morrison.
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la mosca che si posa sulla tela e la va a cambiare sembra mandata da qualcuno che ha deciso di disturbare il pittore proprio lì nel punto d’illusione d’eternità
È con imbarazzo che riportiamo queste citazioni, e chiediamo comprensione. D’altronde, un’idea concreta di cosa si stia parlando bisogna offrirla, se si vuol fare un discorso organico. Ma lasciamo la parentesi in versi per affrontare la fase successiva del progetto Ligabue: rinvigorire il genere letterario dei racconti, per dare impulso a questa forma narrativa spesso negletta. E qui entra in campo il celebre “book-jockey” del Corriere della Sera, l’uomo che conserva la capacità di entusiasmarsi con l’infantilismo stupefatto (non nel senso che assuma stupefacenti, ovviamente) di chi è pronto a gridare al capolavoro ogni volta che si emoziona per un libro: il famigerato Antonio D’Orrico, rimasto nella storia per il panegirico che dedicò a Giorgio Faletti su “Sette” con il titolo-slogan: «Non ci crederete ma oggi quest’uomo è il più grande scrittore italiano».
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Puntualmente, per la raccolta di racconti Il rumore dei baci a vuoto (Einaudi 2012), Antonio D’Orrico è arrivato a sparare: «Non abbiamo un Raymond Carver italiano. Mi correggo, non avevamo un Raymond Carver italiano. Ora c’è e si chiama Luciano Ligabue». Ora, senza entrare nel merito di un’affermazione tanto spavalda quanto ingenuamente miope, ci limitiamo a qualche osservazione. Qui ogni racconto è caratterizzato da un “finale aperto”, che – dopo una perdita, una scelta incomprensibile, un errore, un segreto svelato, una lettera da aprire, il passato che ferisce – lascia comunque intravedere la speranza dell’assestamento, del riscatto, della redenzione. Sfortunatamente, queste concessioni al “buon esito” del mondo – lasciato solo intuire, per le esigenze di “letterarietà” delle intenzioni – non sono sufficienti per reggere la scarsa consistenza del testo. Le storie faticano a trovare un senso, a volte una giustificazione, mentre i personaggi raccontati non riescono mai ad acquisire uno spessore. Il messaggio che Luciano Ligabue riesce a veicolare con i testi della sua musica, quando passa attraverso i racconti non riesce a configurarsi, sia per la maggior complessità insita nell’atto del narrare, sia per l’assenza dell’atmosfera necessaria a sostanziare un significato d’insieme.
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«Chiudo la zip del giubbino. È in pelle rovinata. Mi piace perché fa pendant con la mia. Tutto il resto mi è largo. Scarpe, calzini, calzoni, maglietta, maglione. Tutto largo. Avevo bisogno di spazio. Ma in quello spazio si infila più agevolmente il freddo blu di questo novembre. Freddo secco. Cielo terso. Cosa c’entrano con noi a novembre? Dov’è finita la nebbia?
E se anche le stelle non sono ancora cadute vedrete che nei prossimi tre minuti ne sfrecceranno almeno un paio ma, se così non fosse, tutto sommato possono pure stare ferme, se vogliono. Che siamo più sicuri. Perché, a conti fatti, mamma e papà, volevo dirvi che me lo merito questo mondo. E addirittura, forse, lui merita me».
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Naturalmente, la casa editrice Einaudi continua a fare da braccio armato al brand Luciano Ligabue, che però ha perso lo smalto potenziale che i suoi illustri promotori intravedevano più di quindici anni fa. I tempi sono irrimediabilmente trascorsi, i mutamenti hanno travolto, e l’intento iniziale ha perso senso. Con la successiva raccolta di racconti Scusate il disordine, pubblicata nel 2016 nella collana “I coralli”, troviamo un esercizio narrativo simile a quello di tanti autori che stentano a trovare visibilità e non godono dei privilegi di una rock star. «Amore, sesso e musica sono le tre emozioni che saldano la partitura immaginifica di questi racconti folgoranti e misteriosi», scrive l’editore. Ritenendo qui superfluo analizzare l’opera, e mancando qualsiasi indicazione critica, ci limitiamo a riportare – senza interventi redazionali – i giudizi che i lettori hanno lasciato sulla pagina di vendita di Amazon:
Libro impeccabile: ogni singolo racconto è una scoperta del lato sensibile di questo fenomenale artista poliedrico. I racconti sono stupendi, la particolare rilegatura gli dona un aspetto piu “intimo” e gradevole. Il libro è stato letto anche da mia mamma (MOLTO più obbiettiva di me) e l’ha trovato altrettanto bello. CONSIGLIATISSIMO a tutti i fan e non fan di Luciano.
*Un buon libro è sempre utile invece di perdersi nell’utilizzo dei social. L’autore poi è una garanzia di qualità! Consiglio l’acquisto per l’ottimo prezzo proposto e per i tempi di consegna rapidi grazie ad amazon Prime!
*Ho acquistato questo libro sotto consiglio di un’amica che ama moltissimo Ligabue, ero un po’ scettico sul Liga scrittore anche perchè non ho avuto mai modo di leggere altre sue opere, ma alla fine mi sono convinto, d’altro canto compone delle bellissime canzoni. Non me ne sono pentito belle storie
*A me è piaciuto. È carino, le storie un po’ strane ma al tempo stesso intriganti. Liga scrive col suo solito modo diretto, lineare, senza troppi fronzoli. Da leggere.
*Scusate il Disordine…Libro carino a me è piaciuto…letto in pochi giorni…Storie strane ma che ti Emozionano, ti intrigano…Fra’ Fantasia e Realtà… Liga non si smentisce mai…Spedizione perfetta…Grazie…
*Premetto che a me piacciono molto i libri di racconti. La scrittura di Ligabue è asciutta diretta lineare. Le trame sono varie ed alcune fantasiose ma non strampalate. Fanno meditare.
*Per me che sono fan di Luciano Ligabue da quando sono bambino era impossibile non completare la mia collezione con uno dei suoi libri
*Un libro piacevole e interessante, che si legge d’un fiato. Gli appassionati di Ligabue, in particolare, ritroveranno tantissimi riferimenti alle canzoni più o meno datate. Consigliato.
Paolo Ferrucci
L'articolo Ligabue, la rock star che diventò (nelle intenzioni) il “Raymond Carver italiano”. Gita tra poesie imbarazzanti e libri facilmente dimenticabili proviene da Pangea.
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