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costituire e ampliare reti sociali indipendenti
INSISTO, anche sulla scorta del continuo #shadowbanning / #censura che i social generalisti operano nei confronti delle notizie dal medio oriente e ovviamente dalla #Palestina: è pressoché indispensabile e sicuramente URGENTE costituire e ampliare #comunità online e #retisociali altrove, direi soprattutto su #Mastodon, che al momento sembra raccogliere il maggioor numero di #partecipanti (basta…
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AD UN ANNO DALL'INIZIO DELLA GUERRA IN UCRAINA: RIEMPIAMO LE PIAZZE CONTRO LA GUERRA E IL MILITARISMO
Contro tutte le guerre, per un mondo senza eserciti e frontiere.
È trascorso un anno da quando la guerra è tornata ad infuriare nel cuore dell’Europa, con un coinvolgimento diretto del nostro paese. Il governo italiano si è schierato in questa guerra inviando armi, moltiplicando il numero di militari impiegati in ambito NATO nell’est europeo e nel Mar Nero, aumentando la spesa bellica sino a toccare i 104 milioni di euro al giorno.
Dal quel 24 febbraio è partita una corsa al riarmo su scala globale, perché la guerra in Ucraina ha nel proprio DNA uno scontro interimperialistico di enorme portata.
Il rischio di una guerra devastante su scala planetaria è sempre più forte. Il prezzo di questa guerra lo pagano le popolazioni ucraine martoriate dalle bombe, dal freddo, dalla mancanza di medicine, cibo, riparo.
Lo pagano le popolazioni russe, sottoposte ad un embargo devastante. Lo pagano oppositori, sabotatori, obiettori e disertori che subiscono pestaggi, processi e carcere.
Lo paghiamo noi tutti stretti nella spirale dell'inflazione, tra salari e pensioni da fame, fitti e bollette in costante aumento.
La guerra in Ucraina è solo un tassello di un mosaico molto più complesso.
Lontano dai riflettori tante altre guerre investono vaste aree del pianeta, dove gli interessi scatenati dalla crisi energetica e dalla voracità per le materie prime innescano una sempre maggiore spirale di violenza. In Africa, dove l’Italia è impegnata in 18 missioni militari, la bandiera con il cane a sei zampe dell’ENI sventola accanto al tricolore.
Nel Mediterraneo la guardia costiera libica rifornita di mezzi e foraggiata dal governo italiano respinge i migranti in viaggio verso le frontiere chiuse dell’Europa. Le leggi varate dal governo Meloni contro le navi delle ONG servono a rendere più difficile il salvataggio dei naufraghi.
Mentre la guerra rende sempre più precarie le nostre vite, il business delle armi non va mai in crisi. Anzi. I profitti dell’industria bellica sono in costante aumento e si moltiplicano gli investimenti nella ricerca con un coinvolgimento sempre più forte delle università.
Giocano la carta del ricatto occupazionale, facendo leva su chi fatica ad arrivare a fine mese.
Occorre capovolgere la logica perversa che vede nell’industria bellica il motore che renderà più prospero il nostro paese. Un’economia di guerra produce solo altra guerra. Il benessere, quello vero, è altrove, nell’accesso non mercificato alla salute, all’istruzione, ai trasporti, alla casa fuori e contro la logica feroce del profitto.
Provate ad immaginare quanto sarebbero migliori le nostre vite se la ricerca e la produzione venissero usate per per la cura invece che per la guerra.
L’industria bellica è il motore di tutte le guerre.
In Russia e in Ucraina c’è chi rifiuta la guerra e il militarismo, chi getta la divisa perché non vuole uccidere e non vuole morire per spostare il confine di uno Stato.
Migliaia e migliaia di persone dalla Russia hanno attraversato i confini disobbedendo all’obbligo di andare in guerra, affrontando la via dell’esilio, rischiando anni di carcere.
Dal febbraio 2022 in Ucraina le frontiere sono chiuse per tutti gli uomini tra i 18 e i 60 anni. La debole legge sull’obiezione di coscienza in Ucraina è stata sospesa e le 5.000 domande di servizio civile respinte.
In Russia c’è un esodo che si è intensificato da quando il governo ha annunciato il richiamo dei riservisti.
Molti altri restano e lottano, nonostante la durissima repressione che colpisce antimilitaristi e pacifisti in entrambi i paesi.
In Ucraina c’è chi su posizioni non violente, anarchiche o femministe ha scelto di non schierarsi, di non combattere in questa guerra costruendo reti di solidarietà materiale con le vittime dei bombardamenti, con chi ha perso il lavoro o è obbligat* dalle leggi di guerra del governo Zelensky a turni massacranti spesso senza paga.
In Russia e in Ucraina c’è chi lotta perché le frontiere siano aperte per chi si oppone alla guerra.
Noi facciamo nostra questa lotta contro le frontiere, per l’accoglienza di obiettori, renitenti, disertori da entrambi i paesi.
Noi non ci stiamo. Noi non ci arruoliamo né con la NATO, né con la Russia.
Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. L’antimilitarismo, l’internazionalismo, il disfattismo rivoluzionario sono stati centrali nelle lotte del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici sin dalle sue origini. Sfruttamento ed oppressione colpiscono in egual misura a tutte le latitudini, il conflitto contro i “propri” padroni e contro i “propri” governanti è il miglior modo di opporsi alla violenza statale e alla ferocia del capitalismo in ogni dove.
Le frontiere sono solo linee sottili su una mappa: un nulla che solo militari ben armati rendono tragicamente reali.
Nel nostro paese l’opposizione alla guerra è rimasta molto forte, nonostante la propaganda militarista martellante. C’è chi, pur avendo operato per la guerra cerca di intercettare i consensi persi nelle urne. Sono i pacifisti con l’elmetto, che in occasione del primo anniversario della guerra, torneranno a fare capolino nelle strade invocando il cessate il fuoco, senza opporsi all’invio delle armi, all’uso delle basi, alle missioni all’estero, all’aumento della spesa militare.
Noi non ci stiamo. Invocare il cessate il fuoco senza opporsi al militarismo è un mero esercizio retorico.
Opporsi alle guerre, all’aumento della spesa militare, all’invio di armi al governo Ucraino, lottare per il ritiro di tutte le missioni militari all’estero, per la chiusura e riconversione dell’industria bellica, per aprire le frontiere ai disertori, agli obiettori e a tutti i migranti, è un concreto ed urgente fronte di lotta.
Per fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dai nostri territori, dove ci sono fabbriche d’armi, caserme, poligoni di tiro, porti ed aeroporti militari.
Gettiamo sabbia nel motore del militarismo!
Scendiamo in piazza il 24 e il 25 febbraio!
Sosteniamo le manifestazioni lanciate dagli antimilitaristi a Niscemi,
Pisa, Livorno, Torino…
Assemblea antimilitarista
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Le giovani femministe hanno scosso il governo del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador (AMLO), manifestando in modo deciso contro l'aumento dei femminicidi e degli omicidi di donne - in media 10 casi al giorno -, le sparizioni, le violenze maschili, e per aver inserito la questione all'ordine del giorno dei media.
Hanno intensificato una ribellione femminile colorata e senza precedenti contro la violenza patriarcale in Messico. Sono l'espressione più alta della lotta e hanno scosso il Paese ricorrendo all'"azione diretta": forme di azione al di fuori delle istituzioni o della legalità, alcune molto radicali, utilizzate dai movimenti di emancipazione - come quello delle suffragette britanniche - per contrastare l'ordine sociale.
Le azioni dirette - sopracitate - delle giovani donne messicane sono consistite in proteste, spettacoli, il sanzionamento vetrate e l'imbrattamento di monumenti iconici, l’occupazione di strutture educative per chiedere l'espulsione dei molestatori sessuali, la distruzione o l'incendio di uffici pubblici (come la Corte di Giustizia di Sonora) e il blocco delle strade, tra le altre cose, per le quali sono state accusate dal presidente stesso di vandalismo o di essere infiltrate di destra.
Le loro azioni si aggiungono a quelle di un movimento emergente di donne, con posizioni contrastanti sulle azioni violente dirette, che, rendendo visibile la violenza di genere sulla mappa dell'insicurezza nazionale, hanno minato la notorietà del presidente che ha avuto il più grande sostegno popolare nella storia democratica del Paese.
La loro radicalità è proporzionale alla violenza a cui sono esposte, essendo cresciute in un paese invaso dalle fotografie dei volti delle donne scomparse che vengono diffuse negli spazi pubblici attraverso annunci di ricerca, note di cronaca sui mezzi di comunicazione e richieste di aiuto sui social network.
In Messico ci sono più di 15.000 casi di donne scomparse registrati dal 2006 ad oggi. Quattro casi su 10 hanno un'età compresa tra i 15 e i 24 anni, secondo i dati ufficiali.
Con la mia inchiesta ho scoperto che molte delle femministe radicali hanno meno di 25 anni, provengono dalla classe media o dalla classe operaia, utilizzano i mezzi di trasporto pubblici e fanno parte di gruppi di composizione specificatamente femminile.
Pensavo che avrebbero fatto parte di una nuova generazione di cellule anarchiche, come quelle insurrezionaliste che agivano clandestinamente nei governi degli ex presidenti Felipe Calderón ed Enrique Peña Nieto, con una presenza prevalentemente maschile, e che ho documentato nel mio libro “Crónica de un país embozado 1994-2018”.
Tra queste cellule, per lo più maschili, l'eccezione era stata il “Comando Femenino Informal de Acción Antiautoritaria” (Comando d'azione antiautoritaria femminile informale), l'unico composto da donne, che dal 2014 al 2017 ha piazzato bombe artigianali nelle strutture del governo e della chiesa contro la pederastia sacerdotale.
Ma quando ho intervistato le "morras", come vengono chiamate colloquialmente le ragazze in Messico e come si autodefiniscono queste femministe radicali, ho notato che, sebbene alcune di loro mettano in pratica concetti anarchici come l'orizzontalità, l'autogestione estranea alle istituzioni politiche e ai partiti, utilizzino il classico simbolo della “A” racchiusa in cerchio, o si vestano e si coprano il volto di nero, la maggioranza non segue la filosofia anarchica, né ha alcuna ideologia.
Dall'ottobre 2019 decine di loro, tra cui adolescenti delle scuole secondarie, hanno preso con la forza - in alcuni casi con il sostegno dei loro coetanei maschi - 13 campus dell'Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), la più grande università dell'America Latina, chiedendo più sicurezza e sanzioni contro i molestatori sessuali.
Da un colloquio collettivo che ho avuto con le "morras" che dal 30 gennaio hanno occupato la Facoltà di Scienze Politiche dell'UNAM, senza partecipazione maschile, ho avuto la conferma che la maggioranza di loro aveva circa vent'anni e non hanno alcuna formazione anarchica o femminista pregressa.
Non sono femministe teoriche bensì legate ad esperienze vissute. Si sono appropriate di un termine storicamente stigmatizzato e ne hanno attribuito un nuovo significato che hanno reso popolare per la rabbia espressa di fronte alla violenza machista e per la sororidad (fratellanza solidale femminile) che a partire dalla violenza sono andate a costruire con le donne della propria famiglia, dell’ambiente circostante e del loro paese. Una scritta su un muro della facoltà rivela la forza viva che le guida: “Ci hanno tolto tanto, che hanno finito per toglierci anche la paura”.
La loro bellicosità comincia a trascendere il loro terreno di intervento. Yesenia Zamudio, la cui figlia, María de Jesús Jaime, è un caso di femminicidio impunito, affermò, dopo le critiche alle incappucciate per le loro azioni violente dirette, che lei stessa si pensava femminista: “Ho tutto il diritto di appiccare il fuoco e distruggere! Non chiederò a nessuno il permesso per distruggere qualcosa in memoria di mia figlia! E quelle che vogliono distruggere, distruggano! E quelle che vogliono dare fuoco a qualcosa, che lo facciano! E quelle che non vogliono, che non si mettano sulla nostra strada!”.
La risposta di AMLO al movimento è stata lo sdegno o le accuse della presenza di forze conservatrici dietro ad esso, ma all’interno del governo l’allarme è comunque scattato.
Ho ottenuto informazioni riguardanti Ricardo Peralta, sottosegretario di governo, che tra altri funzionari di primo livello, ha tenuto degli incontri con i vertici delle imprese giornalistiche per chiedere loro di diminuire il numero delle notizie di violenze contro le donne, così come delle critiche alla riffa dell’areo presidenziale e la costruzione del Tren Maya nel sud-est messicano, con la promessa di ricevere i contratti di pubblicità ufficiali che sono state tagliate da questo governo per ragioni di austerità.
Le proteste delle morras hanno occupato diverso spazio all'interno della stampa, specialmente quando hanno realizzato azioni dirette contro il mandatario. Quando AMLO affermò di fronte alla stampa che non voleva che il tema del femminicidio oscurasse l’aver ricevuto un assegno da parte della Fiscalía General che avrebbe usato per pagare i premi della lotteria dell’areo presidenziale, gruppi di femministe hanno realizzato scritte, preso a calci e tentato di incendiare la porta della sua casa: il Palazzo Nazionale.
Tra gli obiettivi delle femministe ci sono anche gli organi di informazione. Dopo il femminicidio di Ingrid Escamilla, una giovane di 25 anni squartata dal suo compagno, le morras organizzarono delle proteste a seguito della pubblicazione delle foto del cadavere da parte dei giornali Reforma e La Prensae durante le quali incendiarono un furgone.
Nelle ultime settimane ho chiacchierato con femministe accademiche e istituzionali e alcune di loro rifiutano di credere che queste morras siano delle femministe genuine e che contribuiscano alla lotta delle donne.
Ma la realtà è che stanno rompendo la corazza istituzionale che ha protetto i molestatori scolastici in questi giorni e la loro lotta sta dando una risposta senza paragone.
Il rettore della UNAM, Enrique Graue, ha dovuto creare la Coordinación de Igualdad de Género per affrontare i casi di violenza di genere, tra le varie misure. E recentemente ha tolto dal proprio incarico un accademico accusato di tentato stupro.
Queste misure scolastiche contro i molestatori si sono estese anche a cinque facoltà dell’Universidad Autónoma del Estado de México, che hanno già portato a dieci sospensioni di professori, una destituzione, un licenziamento e sei persone sono state sollevate dal loro ruolo. In altre istituzioni, come la Universidad Autónoma de Nuevo Léon le giovani sono ricorse all’hastag #MeToo da far girare nelle reti sociali ottenendo la creazione di una Unidad de Género che è riuscita a espellere quattro accademici e uno studente.
Inoltre, alcuni media di comunicazione, in maniera interna e discreta, stanno ridefinendo le loro linee editoriali e cercando consulenti per fare un giornalismo con una prospettiva di genere.
In una relazione pubblica, la dottoressa in antropologia Marcela Lagarde, artefice del termine femminicidio, di fronte a una platea femminile affermò che il femminismo cerca l’uguaglianza includente tra donne e uomini ed esortò le partecipanti ad ascoltare e prendere in considerazione le morras. Ha detto loro: “Io le convoco affinché siano voce, sostentamento, appoggio, certezza per queste giovani che si sono prese il testimone”.
Staremo a vedere se la sua convocazione verrà ascoltata e accolta. E anche se le femministe della vecchia e della nuova guardia si nutriranno in comune e daranno sostegno all’emergente e ampio movimento di donne nel paese. Si vedrà se il presidente continuerà a sminuire le loro esigenze e ad attizzare la loro rabbia e fino a dove le morras continueranno con la staffetta nella loro corsa rivolta contro l’ordine patriarcale. "¡Se va a caer! ¡Lo vamos a tirar!", avverte il motto della lotta dell’impetuosa quarta onda femminista messicana.
** Ph. Credit Una protesta feminista a las afueras de Palacio Nacional, casa y oficina del presidente de México, Andrés Manuel López Obrador, el 14 de febrero de 2020. (Ginnette Riquelme)
** Traduzione a cura di Camilla Camilli e Francesca Stanca dell'Associazione Yabasta! ÊdîBese!
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Milano, petardo in guardiola e agenti contusi: assalto degli anarchici a San Vittore
L’appello è stato diffuso negli ultimi giorni di dicembre e in pochi giorni è rimbalzato su tutte le pagine web delle reti anarchiche: «Questa è una richiesta per una notte turbolenta di forte solidarietà con quelli imprigionati dallo stato in una delle notti più rumorose dell’anno». A Milano l’appello è stato raccolto da una quarantina … Continue reading “Milano, petardo in guardiola e agenti…
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A Udine da un mese a questa parte la repressione sta assumendo nuove forme, tanto da costituire, per quanto ci risulta e almeno a livello locale, un precedente inedito.
Le persone che presentano notifiche alla questura o ai vigili finiscono per ritrovarsi nomi, cognomi, fotografie, e pure gli indirizzi sistematicamente pubblicati su internet dall’addetto stampa del comune (ufficialmente un giornalista), voluto al suo posto dal sindaco fascio-leghista Fontanini insediato a maggio. Questo infatti, vicino ai fasci e ai nazi locali, dalla fine di novembre ha già pubblicato in quattro occasioni i dati personali di attivist* e militanti sia sul suo profilo facebook che sul suo blog, tra le altre cose noto per essere fra i primi a livello nazionale quale fabbricatore e diffusore di fake-news (Il Perbenista).
In questo modo, var* compagn* si son ritrovat* espost* tra le reti dell’estrema destra cittadina a chiaro scopo intimidatorio. Non è certo una novità l’attitudine infame e vigliacca di questi pennivendoli né il loro fondamentale contributo alla criminalizzazione di movimenti, istanze e intere lotte. Tuttavia, il fatto che dati in possesso degli sbirri o uffici comunali che siano, vengano catapultati nel giro di 12 ore in rete da un figuro come quello descritto lascia immaginare l’inaugurazione di un certo nuovo modus operandi in chiave repressiva.
E’ evidente che in una città in cui la neo-giunta non perde tempo ad uniformarsi all’aria che tira un po’ dappertutto e dà il via a una serie di misure in chiave securitaria – coprifuoco mirato alle attività gestite dai migranti, ronde di vigilantes privati finanziate dal comune, proposta di dotare i vigili urbani di manganello e taser, sperimentazione di telecamere di riconoscimento biometrico in zona stazione – quest’ultima novità non risulti nulla di particolarmente scandaloso al fine di minacciare e isolare qualsiasi tentativo di dissenso.
Non saranno vecchi sbirri e nuovi servi a preoccuparci
Anarchiche e anarchici
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Pubblichiamo alcuni stralci - in due parti - dal lungo rapporto del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute, Mauro Palma, uscito agli inizi dell'anno. Organizziamo il 19 giugno in ogni città presidi, iniziative ai Tribunali e alle carceri - A Roma proponiamo un presidio al Ministero della Giustizia Facciamo notare come nel rapporto venga in particolare sottolineata la gravissima situazione del carcere de L'Aquila e in particolare la condizione delle donne detenute - Nadia Lioce è da 14 anni in regime di 41bis. Vari presidi sono stati fatti presso questo carcere per la difesa delle condizioni di vita, No al 41bis per Nadia Lioce, liberazione per tutti i prigionieri politici rivoluzionari. Ieri un altro presidio si è svolto per le due compagne anarchiche Silvia e Anna, trasferite in questo carcere-tomba e dal 29 maggio in sciopero della fame. RAPPORTO SUL REGIME DETENTIVO SPECIALE EX ARTICOLO 41-BIS (2016 – 2018) Le persone detenute sottoposte a tale regime sono 748 (incluse 10 donne e 4 sono in posizione definitiva). Casa circondariale di Cuneo: 44 Casa circondariale di L’Aquila: 163 (di cui 10 donne) Casa circondariale di Novara: 67 Casa di reclusione di Opera (Milano): 97 (di cui 9 al Sai) Casa circondariale di Parma: 77 (di cui 9 al Sai e 3 in sezioni per persone con disabilità) Casa circondariale di Roma-Rebibbia: 42 Casa circondariale di Bancali (Sassari): 87 Casa di reclusione di Spoleto: 83 Casa circondariale di Terni: 27 Casa circondariale di Tolmezzo: 12 e 5 internati Casa circondariale di Viterbo: 49 Il Rapporto qui presentato si focalizza sulla valutazione di come l'applicazione del 41bis non rispetti i parametri di legittimità indicati dalla Corte costituzionale e altresì di come la sua reiterazione, spesso per un numero cospicuo di anni, a carico della singola persona, possa esporsi al rischio di incidere sull’inderogabile principio di tutela dei diritti umani di ogni persona. “Aree riservate” - all’interno delle sezioni speciali di cui all’articolo 41-bis o.p. Tali sezioni sono separate dalle altre che accolgono le persone sottoposte a tale regime e sono destinate alle figure ritenute apicali dell'organizzazione criminale di appartenenza. In tali “Aree” si applica un regime detentivo di ancor maggiore rigore rispetto a quello derivante dall'applicazione delle regole dell’articolo 41-bis o.p. Tale modalità applicativa a volte porta a un quasi sostanziale isolamento della persona detenuta (alla data odierna in 4 casi, a L’Aquila, Novara, Parma e Opera). Per evitare la violazione formale delle norme che regolano l’istituto dell’isolamento, viene spesso collocato nell'area riservata anche un altro detenuto, sempre in regime speciale, che non avrebbe titolo a starvi ma che svolge una funzione “di compagnia” nei momenti di “socialità binaria” e durante i passeggi: soluzione che determina l'applicazione di un regime particolare del tutto ingiustificato a una seconda persona oltre a quella destinataria della specifica cautela. Tuttavia, la disposizione a due non è, a parere del Garante, di per sé accettabile perché, nel caso di un eventuale provvedimento disciplinare di isolamento di uno dei due si determina inevitabilmente l’isolamento dell’altro. Tale situazione è vietata perché in contrasto con il principio di responsabilità personale, nonché con il principio espresso dalla regola delle Regole penitenziarie europee. Il garante raccomanda pertanto che si ponga fine alla previsione di apposite sezioni di “Area riservata” all’interno degli Istituti che ospitano sezioni di regime speciale di cui all’articolo 41-bis o.p. E’ inoltre assiomatico che una persona non possa essere detenuta per mesi o addirittura anni in regime di totale isolamento, senza che si determini il rischio una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea… L’impropria socialità binaria - Particolarmente preoccupante la situazione delle donne, detenute nell’unica sezione speciale femminile nell’Istituto di L’Aquila. Il loro numero ristretto, unito alla provenienza territoriale e in un caso alla indisponibilità a partecipare a tali gruppi, determina che la composizione di quasi tutti i gruppi è limitata a due persone e almeno in un caso si ha una detenzione individuale, senza alcuna socialità… il Garante nazionale… raccomanda che siano abolite sezioni o raggruppamenti costituiti da meno di tre persone detenute. ...il regime ex articolo 41-bis o.p. ha trovato effettiva applicazione anche nei confronti di persone che hanno concluso l’esecuzione della pena... nell’Istituto di L’Aquila: le persone erano ristrette con un regime identico a quello delle persone detenute, in condizioni materiali peggiori, all’interno di locali strettamente detentivi e fatiscenti, senza alcuna effettiva proposta di lavoro che giustificasse la denominazione della misura applicata. La sezione si caratterizzava per l’insufficienza di luce naturale e artificiale. Le finestre, infatti, erano oscurate con ‘gelosie’ e reti che impedivano alla luce e all’aria di entrare in maniera adeguata... Prolungamento del regime stesso - senza che né la misura né la sua modalità esecutiva inerissero al reato. Inoltre le reiterate proroghe della misura di sicurezza estendono illogicamente un determinato regime... La prolungata reiterazione di misura di sicurezza in regime speciale non ha risparmiato neppure il caso di chi dopo una lunga pena espiata e con palesi patologie che più volte hanno determinato il ricovero in un Sai e che presentano seri profili di disturbi comportamentali che non consentono neppure un dialogo continuativo, continua a essere sottoposto per periodi singolarmente brevi e continuamente ripetuti a tale misura, in un tempo che sembra dilatarsi all’infinito. La concreta operatività dei decreti di proroga è esposta al rischio di disattendere le prescrizioni della Corte costituzionale che, a partire dal 1993 e costantemente, nelle successive pronunce, ha stabilito la necessità di adeguata motivazione per ogni provvedimento applicativo e per ogni decreto di proroga, non possono ammettersi semplici proroghe immotivate del regime differenziato, né motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualità le misure disposte». Nel corso delle visite, il Garante nazionale ha verificato la ricorrenza nei provvedimenti di proroga di motivazioni che sostanziano il fondamento della reiterazione nella «assenza di ogni elemento in senso contrario» al mantenimento di collegamenti con l’organizzazione criminale operante all’esterno. Nei provvedimenti di proroga i riferimenti sono il reato ‘iniziale’ per cui la persona è stata condannata e la persistente esistenza sul territorio dell’organizzatone criminale all’interno del quale il reato è stato realizzato. Norme regolatrici delle vita quotidiana - Una prima osservazione di fondo riguarda la definizione eccessivamente dettagliata di norme regolatrici della vita quotidiana, come il diametro massimo di pentole e pentolini (rispettivamente 25 e 22 cm), il numero di matite o colori ad acquarello detenibili nella sala pittura (non oltre 12), il numero di libri che si possono tenere nella camera (4), le misure delle fotografie (di dimensione non superiore a 20-30 cm e in numero non superiore a 30). Lasciano perplessi tale particolari, di cui sfugge il senso rispetto alla finalità del regime stesso. In che modo, per esempio, detenere nella sala pittura 15 matite anziché 12 può rappresentare un rischio rispetto all’interruzione di collegamenti e comunicazioni interni ed esterni con le organizzazioni criminali? Un altro elemento di criticità della circolare riguarda alcuni aspetti interpretativi. In particolare, quello applicato alle ore da trascorrere all’aperto: di fatto, l’ora nella sala di socialità viene sottratta alle due ore da trascorrere all’aperto... Il Garante esprime perplessità, per esempio, relativamente alla prescrizione della circolare che prevede che «la fruizione del televisore sia consentita solo in orari stabiliti, con accensione alle ore 07.00 e spegnimento non oltre le ore 24.00» con l’effetto di interrompere la visione di programmi, prima della loro fine. Se tale previsione può apparire a prima vista irrilevante, occorre invece chiedersi se tale prescrizione abbia una coerenza rispetto alla finalità del regime detentivo speciale, anche tenendo conto che la fruizione della radio è in tutte le sezioni incorporata nell’apparecchio televisivo e, quindi, di fatto si determina una compressione del diritto all’informazione nelle ore di spegnimento dell’apparecchio televisivo, assolutamente ingiustificata e sproporzionata… Colpiscono alcune previsioni di difficile comprensione. Per esempio, un cartello appeso nella sala di socialità dell’Istituto di Cuneo comunicava la possibilità di acquistare due gelati a volta, ma che era «assolutamente vietato depositare i gelati all’interno del frigo per essere consumati successivamente»: se si comprano vanno mangiati subito entrambi. A Novara veniva riferito al Garante che non si poteva andare in doccia con accappatoio e asciugamano insieme: o l’uno o l’altro; i familiari non potevano indossare magliette con una qualsiasi scritta neppure quella dell’azienda produttrice: erano costretti a toglierla e indossarla a rovescio. Oppure a L’Aquila risultavano vietate, anche d’estate e per le donne, fuori dalla stanza detentiva le scarpe aperte, a parere dell’allora Direzione per motivi di decoro... Il controllo esterno - è prioritariamente assegnato alla Magistratura di sorveglianza. Colpisce per esempio che, dopo il trasferimento collettivo in altro Istituto (15 marzo 2018) di tutte le persone precedentemente ristrette in sezioni che altrove erano state chiuse, il magistrato di sorveglianza della nuova sede non avesse fatto alcuna visita fino alla data della visita del Garante (28 giugno 2018)… non sempre le realtà locali hanno ottemperato e ottemperano alle ordinanze del Magistrato di sorveglianza... (CONTINUA)
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