#relazioni Russia e Uzbekistan
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pier-carlo-universe · 20 days ago
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La missione di K.F. Butenev nell’Emirato di Bukhara: un capitolo significativo delle relazioni russo-bucarese. Esplorazioni, diplomazia e prospettive minerarie nell’Asia centrale del XIX secolo
Esplorazioni, diplomazia e prospettive minerarie nell’Asia centrale del XIX secolo. Un contesto di sviluppo economico e relazioni rafforzate.
Un contesto di sviluppo economico e relazioni rafforzate. A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, il Khanato di Bukhara e la Russia hanno rafforzato le loro relazioni economiche e politiche. La crescente importanza del commercio internazionale e la transizione della Russia verso un’economia capitalistica favorirono la creazione di contatti più solidi tra le due potenze. Nel 1841, su iniziativa…
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kneedeepincynade · 2 years ago
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It's clear that soon enough, the US will no longer be able to bully anyone but its own citizens. For all nations will have an alliance against imperialism to protect them
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⚠️ COOPERAZIONE TRA L'ORGANIZZAZIONE DEL TRATTATO DI SICUREZZA COLLETTIVA (CSTO) E L'ORGANIZZAZIONE PER LA COOPERAZIONE DI SHANGHAI (SCO) | VERSO UN POLO DI SICUREZZA EURASIATICO ⚠️
☑️ Il 31 Marzo, Yuri Shuvalov - Rappresentante del Segretariato della CSTO, l'Alleanza Militare della Federazione Russa - ha affermato che Imangali Tasmagambetov - Segretario Generale della CSTO - ha fissato compiti specifici per organizzare un incontro con la Dirigenza dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ☑️
💬 "Dopo gli eventi di marzo, quando Aljaksandr Lukašėnka, Presidente della Bielorussia, ha visitato Pechino e Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, ha visitato Mosca, possiamo dire che si stanno formando relazioni assolutamente nuove tra la CSTO e la Cina", ha affermato Shuvalov ⭐️
🌐 Secondo Shuvalov, il Mondo sta subendo una profonda trasformazione, e sta emergendo una "nuova configurazione di sicurezza" 🌱
💬 "Intendiamo costruire insieme un potente polo di sicurezza in gran parte del Continente Eurasiatico. Tale Partenariato rafforzerà senza dubbio il potenziale della CSTO, e diventerà il formato dell'opposizione congiunta alle sfide e alle minacce per gli Stati membri" ⭐️
✍️ Il 05/10/2007, fu firmato a Dushanbe, Capitale del Tajikistan, un Memorandum d'Intesa tra i Segretariati della SCO e della CSTO 🤝
🧾 Il Documento delineava punti d'accordo per l'instaurazione e lo sviluppo di relazioni di cooperazione paritaria e costruttiva tra i due Segretariati nel garantire Sicurezza e Stabilità a livello Regionale e Internazionale, contrastare il terrorismo, combattere il narcotraffico, interrompere il traffico illegale di armi e combattere la criminalità organizzata transnazionale 🤝
💕 Ora, nel 2023, dopo che i Paesi del CSTO si sono avvicinati sempre di più alla Cina, e la Cina si è avvicinata sempre di più al CSTO, si sono formate le condizioni per poter scrivere un nuovo capitolo nelle relazioni Cina-CSTO, legandole con l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, di cui la Bielorussia entrerà a far parte 🤝
☑️ Membri del CSTO: Armenia 🇦🇲, Bielorussia 🇧🇾, Kazakistan 🇰🇿, Kirghizistan 🇰🇬, Russia 🇷🇺, Tajikistan 🇹🇯
☑️ Membri della SCO: Cina 🇨🇳, India 🇮🇳, Kazakistan 🇰🇿, Kirghizistan 🇰🇬, Russia 🇷🇺, Pakistan 🇵🇰, Tajikistan 🇹🇯, Uzbekistan 🇺🇿, Iran 🇮🇷
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⚠️ COOPERATION BETWEEN COLLECTIVE SECURITY TREATY ORGANIZATION (CSTO) AND SHANGHAI CO-OPERATION ORGANIZATION (SCO) | TOWARDS A EURASIAN SECURITY POLE ⚠️
☑️ On March 31, Yuri Shuvalov - Representative of the Secretariat of the CSTO, the Military Alliance of the Russian Federation - said that Imangali Tasmagambetov - General Secretary of the CSTO - has set specific tasks to organize a meeting with the Leadership of the Organization for Cooperation of Shanghai ☑️
💬 "After the events in March, when Aljaksandr Lukašėnka, the President of Belarus, visited Beijing and Xi Jinping, the President of the People's Republic of China, visited Moscow, we can say that absolutely new relations are being formed between the CSTO and China", said Shuvalov ⭐️
🌐 According to Shuvalov, the world is undergoing a profound transformation, and a "new security configuration" is emerging 🌱
💬 "Together we intend to build a powerful security pole across a large part of the Eurasian Continent. Such a Partnership will undoubtedly strengthen the potential of the CSTO, and will become the format of joint opposition to challenges and threats for member states" ⭐️
✍️ On 05/10/2007, a Memorandum of Understanding between the Secretariats of the SCO and the CSTO was signed in Dushanbe, the capital of Tajikistan 🤝
🧾 The Document outlined points of agreement for the establishment and development of relations of equal and constructive cooperation between the two Secretariats in guaranteeing Security and Stability at the Regional and International level, countering terrorism, combating drug trafficking, interrupting the illegal trafficking of weapons and fight transnational organized crime 🤝
💕 Now, in 2023, after the CSTO countries have become closer and closer to China, and China has become closer and closer to the CSTO, the conditions have been formed for us to write a new chapter in China-CSTO relations, tying them with the Shanghai Cooperation Organization, which Belarus will join 🤝
☑️ CSTO Members: Armenia 🇦🇲, Belarus 🇧🇾, Kazakhstan 🇰🇿, Kyrgyzstan 🇰🇬, Russia 🇷🇺, Tajikistan 🇹🇯
☑️ SCO Members: China 🇨🇳, India 🇮🇳, Kazakhstan 🇰🇿, Kyrgyzstan 🇰🇬, Russia 🇷🇺, Pakistan 🇵🇰, Tajikistan 🇹🇯, Uzbekistan 🇺🇿, Iran 🇮🇷
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purpleavenuecupcake · 7 years ago
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SACE: in calo i rischi di mancato pagamento; i rischi d’instabilità e violenza politica l’incognita 2018
SACE, che insieme a SIMEST costituisce il Polo dell’export e dell’internazionalizzazione del Gruppo CDP, pubblica la nuova edizione della Mappa dei Rischi e presenta lo scenario atteso in cui si muoveranno le imprese italiane nel Focus On “Mappa dei Rischi 2018: Adelante con juicio”. Il quadro delineato dal nuovo studio è quello di un miglioramento complessivo dei livelli di rischiosità determinato da una crescita globale in ripresa, con effetti positivi sull’andamento degli scambi internazionali e sull’economia italiana, in particolare sull’export che nel 2017 ha segnato un balzo inaspettato. Permangono, tuttavia, alcuni elementi di instabilità: elevati livelli di indebitamento e incertezza sulla ripresa del ciclo delle commodity pesano soprattutto sugli emergenti, mentre instabilità e fenomeni di violenza politica si diffondono in aree nuove del globo. Le imprese italiane si troveranno quindi a operare in un contesto in miglioramento, che resta tuttavia fragile e in cui si dovranno muovere con cautela, diversificando le geografie e dotandosi di strumenti di mitigazione del rischio. “Il 2017 è stato un anno positivo per l’economia globale che ha spinto anche la ripresa del commercio internazionale - spiega Beniamino Quintieri, Presidente di SACE -. Prevediamo un 2018 ancora in crescita, ma non privo di rischi. Sarà importante tenere sotto stretto monitoraggio variabili esogene come l’evoluzione delle relazioni degli Stati Uniti con Russia, Medio Oriente e Corea del Nord, le scelte del governo cinese e gli esiti di alcune importanti tornate elettorali che potrebbero destabilizzare equilibri regionali in America Latina o in Africa. Export e internazionalizzazione continueranno a svolgere un ruolo chiave per la nostra economia, ma l’esperienza recente ci ha insegnato a non sottovalutare nessun indicatore. Diventa, quindi, sempre più importante per le imprese saper riconoscere e valutare i rischi, avere una buona diversificazione dei mercati di destinazione del loro export e ricorrere agli strumenti di copertura messi a disposizione dal Polo SACE SIMEST”. Goldilocks economy: come nel 2007? La crescita globale si è consolidata nel corso del 2017 (+3,6% atteso), con le economie emergenti a fare da traino (+4,6%) e un netto miglioramento anche dei mercati avanzati (+2,2%). La congiuntura favorevole si è riflessa sulla dinamica degli scambi internazionali, che hanno ricominciato a crescere a ritmi sostenuti (+4,5% nei primi 10 mesi del 2017) dopo il rallentamento osservato nel periodo post crisi. Effetti positivi non hanno tardato a mostrarsi anche per l’Italia, in particolare per il nostro export (+7,8% nei primi 11 mesi del 2017). A dieci anni dallo scoppio della crisi finanziaria globale, alcuni indicatori sembrano richiamare le dinamiche positive pre-crisi: crescita robusta, inflazione sotto controllo, condizioni finanziarie favorevoli, bassa volatilità dei mercati e “inversione” del ciclo delle commodity. La tenuta dell’economia mondiale a queste condizioni, tuttavia, si realizzerebbe solo in caso di una crescita moderata, né troppo forte né troppo cauta. Caratteristiche che rimandano al cosiddetto scenario da Goldilocks economy, dalla fiaba nordica dove la giovane Riccioli d’Oro afferma di preferire il porridge della giusta temperatura, né troppo caldo né troppo freddo. È necessario, quindi non sottovalutare alcuni rischi latenti: elevati livelli di indebitamento, soprattutto nei Paesi emergenti volatilità dei prezzi delle commodity, che influisce sulla tenuta delle economie dei Paesi esportatori instabilità politica diffusa. Migliorano gli indici di rischio di credito Osservando la Mappa di SACE è evidente un generale miglioramento del rischio di mancato pagamento. Sui 198 Paesi analizzati, sono 32 quelli che hanno migliorato la loro categoria di rischio SACE e 156 quelli che sono rimasti stabili (in totale questi rappresentano circa il 91% dell’export italiano, ovvero circa 380 miliardi di euro) . Mentre le economie che hanno peggiorato la propria categoria di rischio sono 10 e rappresentano 38,5 miliardi di euro di export e pesano per il 9%.
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Dei 156 Paesi rimasti nelle proprie categorie di rischio SACE, 57 hanno indicatore invariato, 50 leggermente migliorato e 49 leggermente peggiorato. Gli upgrade più significativi coinvolgono in particolare gli avanzati (4 punti in media): Portogallo, Islanda, Slovenia mostrano una variazione positiva superiore alla media. Tra le geografie emergenti si segnalano gli upgrade di Egitto, Russia, Brasile, India e Argentina (quest’ultima su livelli di rischio comunque elevati). Peggiorano invece la Cina, che sconta le preoccupazioni sull’elevato livello di indebitamento, e il Sudafrica, caratterizzato da un’economia ancora stagnante e su cui pesa l’incertezza politica legata alla nomina del nuovo presidente.
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Permangono elevati livelli di indebitamento. Il tanto auspicato processo di deleveraging non si è ancora messo in moto: lo stock di debito globale è continuato ad aumentare nel corso dell’anno e a settembre 2017 era pari a 233 mila miliardi di dollari (+7,4% rispetto alla fine del 2016), di cui 61 mila nei Paesi emergenti e 172 mila negli avanzati. Nonostante l’aumento in valore assoluto, la diffusa crescita economica ha contribuito alla quarta riduzione trimestrale consecutiva del rapporto debito/Pil globale, che a settembre del 2017 ha raggiunto il 318%, tre punti percentuali in meno rispetto al record storico del 2016. Dalla crisi finanziaria il debito contratto dalle imprese nei mercati emergenti è più che triplicato e, a settembre 2017, ha superato i 28 mila miliardi di dollari. Questa crescita in assenza di una congiuntura favorevole potrebbe causare difficoltà nel ripagare i debiti da parte delle imprese già indebitate, con ripercussioni sui fornitori, anche esteri, e sugli istituti bancari. Si “inverte” il ciclo delle commodity? Il 2017 si è mostrato un anno positivo per numerose materie prime e le previsioni per l’anno in corso sono complessivamente ottimistiche. Lo si può già in parte riscontrare in un’attenuazione degli indici di rischio SACE in diversi mercati emergenti fortemente dipendenti dalle commodity. Tra questi, segnano un netto calo del rischio di mancato pagamento da controparte sovrana: Iraq, Argentina, Indonesia, Arabia Saudita, Russia, Brasile ed Emirati Arabi. Non mancano però le eccezioni come il Venezuela, ancora scosso da crisi interne, e la Mongolia. Tra i fattori principali che influenzeranno i prezzi delle commodity ci sono l’evoluzione dell’industria dello shale oil negli Stati Uniti e il ruolo sempre più rilevante della Cina come consumatore di materie prime industriali. Per quanto riguarda i prezzi del petrolio (il Brent è aumentato del 50% nella seconda metà del 2017), SACE si è dotata di un proprio scenario di prezzo per valutare la tenuta dei mercati, cercando di mitigare l’impatto delle fluttuazioni di breve periodo: le nostre attese si posizionano tra i 54 e i 62 dollari al barile per il Brent. Attenzione ai rischi politici Nello scenario per il 2018 evidenziato dalla Mappa anche i rischi di natura politica registrano un miglioramento a livello globale, in particolare il rischio di confisca ed esproprio (che passa da 52 a 50) e di mancato trasferimento e convertibilità (che migliora da 47 a 46). Questi miglioramenti riflettono in parte i progressi economico-finanziari dei Paesi che hanno migliorato la propria attrattività nei confronti degli investitori esteri (come Colombia e Vietnam), in parte al graduale rialzo del prezzo del greggio che ha avuto impatti positivi su alcune economie petrolifere (come Nigeria, Azerbaijan, Uzbekistan). Il rischio di violenza politica è invece l’unica fattispecie che riporta un lieve peggioramento a livello globale, passando da 44 a 45. Non mancano zone più circoscritte dove questi rischi restano ancora critici (Afghanistan, Libia, Pakistan, Venezuela). Medio Oriente e Nord Africa (Mena) e Africa sub-sahariana restano le aree più instabili con una media di rischio rispettivamente pari a 58/100 e 56/100. Nell’area Mena, ai conflitti già esistenti (Siria, Yemen) si sono aggiunti nuovi potenziali focolai (Qatar, Libano, Iran), mentre in Africa Subsahariana l’alto potenziale di crescita del continente sconta gli effetti negativi di situazioni critiche oramai cronicizzate (Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan) e di nuove minacce terroristiche. L’apertura del ciclo elettorale in America Latina (Brasile, Colombia, Messico e Venezuela) potrebbe portare a scenari d’instabilità con l’ascesa di forze populiste. La nuova tendenza, avviata nel 2017 e prevedibile nel corso di quest’anno, riguarda l’incremento del rischio di violenza politica in alcuni Paesi considerati “insospettabili”. Infatti, gli indicatori di rischio evidenziano un aumento degli episodi di violenza politica in Paesi non caratterizzati da conflitti sistematici, ma dove la presenza di tensioni religiose, sociali e politiche hanno prodotto il deterioramento del livello di sicurezza (è il caso delle Filippine, del Bangladesh e dell’India, ma anche dell’Armenia, dell’Azerbaijan, della Serbia e del Kosovo).
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APPROFONDIMENTI: SACE, controllata al 100% da Cassa depositi e prestiti, offre servizi di export credit, assicurazione del credito, protezione degli investimenti all’estero, garanzie finanziarie, cauzioni e factoring. Con € 87 miliardi di operazioni assicurate in 198 paesi, SACE sostiene la competitività delle imprese in Italia e all’estero, garantendo flussi di cassa più stabili e trasformando i rischi di insolvenza delle imprese in opportunità di sviluppo. SIMEST, controllata al 76% dalla SACE e partecipata da primarie banche italiane e associazioni imprenditoriali interviene in tutte le fasi dello sviluppo estero delle imprese italiane, con finanziamenti a tasso agevolato a sostegno dell’internazionalizzazione, con contributi agli interessi a supporto dell’export e attraverso l’acquisizione di partecipazioni. SACE insieme a SIMEST costituisce il Polo dell’Export e dell’Internazionalizzazione del Gruppo CDP.   Read the full article
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jamariyanews · 7 years ago
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La “Grande Eurasia” di Putin: prospettive e limiti
16 maggio 2017 Dal Mediterraneo all’Estremo Oriente, passando per Ucraina e Siria. La Russia continua ad allargare la propria sfera d’influenza. Ma fin dove può spingersi? di Rocco Bellantone Nel suo celebre romanzo 1984 lo scrittore britannico George Orwell individuava nell’“Eurasia” una delle tre superpotenze in lotta per il dominio sul mondo al termine della guerra atomica scoppiata negli anni Cinquanta del secolo scorso. Retta da un governo “neobolscevico” sorto dall’implosione del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, nell’immaginario di Orwell l’Eurasia abbracciava l’Europa intera – a eccezione del Regno Unito – spingendosi lungo l’Asia settentrionale fino allo stretto di Bering, la striscia dell’Oceano Pacifico che separa la Russia dagli Stati Uniti. Nella visione geopolitica del presidente russo Vladimir Putin, la “Grande Eurasia” è destinata a espandere la propria influenza oltre i confini orwelliani: a sud dell’Europa nel cuore del Mediterraneo; in Medio Oriente verso la Siria; in Asia Centrale ed Estremo Oriente, dove l’obiettivo è raggiungere una convivenza win-win con il gigante cinese. Muovendosi nella direzione opposta rispetto a Stalin, Putin sta spostando gli interessi strategici della Russia verso Oriente, riportando in auge il vecchio sogno degli Zar. È un piano ambizioso, che il presidente russo spolvera con saggia periodicità rinfocolando lo spirito nazionalista del suo elettorato e, al contempo, allontanando lo spettro della crisi economica che attanaglia la Russia da diversi anni a questa parte complice il crollo dei prezzi degli idrocarburi. Per inquadrare il piano putiniano della “Grande Eurasia” è pertanto necessario tenere conto di una serie di scenari, dai cui sviluppi dipende non solo il futuro della Russia ma anche quello di Asia e Europa, nonché i futuri rapporti con gli Stati Uniti.
La ricomposizione del puzzle post-sovietico
Il piano di Putin è partito anni fa con il graduale rientro nell’orbita di Mosca dei Paesi dell’ex Unione Sovietica. La manovra di riallineamento si è concretizzata con la fondazione nell’ottobre del 2014 dell’Unione Economica Eurasiatica (EEU), di cui oggi sono membri oltre che la Russia anche Bielorussia, Kazakhstan, Armenia e Kirgyzistan, con Tagikistan e Uzbekistan a coprire per il momento il ruolo di osservatori. Obiettivo dell’EEU è creare uno spazio economico unificato a cavallo tra Europa e Asia, al cui interno il Cremlino detiene ovviamente un ruolo determinante.
 (I leader dell’Unione Economica Eurasiatica riuniti ad Astana, ottobre 2015)
Putin usa questo organismo economico con due scopi: da una parte esercita pressione sul versante est dell’Europa, mettendo sul piatto partnership economiche appetibili per quei Paesi “contesi” con l’UE; dall’altro prova a ritagliarsi un peso negoziale sempre maggiore in Asia, favorendo una fusione su più livelli tra i Paesi dell’EEU e quelli che aderiscono allo SCO (Shanghai Cooperation Organization, l’accordo sulla sicurezza che riguarda principalmente Cina e Russia coinvolgendo però anche gli interessi di altri attori strategici come Iran, Pakistan, India e Afghanistan) e all’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico). Ponendosi al centro di questa estesissima rete di relazioni diplomatiche e commerciali, Putin coltiva non soltanto i rapporti con Pechino ma anche quelli con le altre grandi potenze dello scacchiere asiatico: in primis Iran, Giappone e India, Stati con i quali sono sempre più solide le partnership nei settori energetico e militare.
L’alleanza con la Cina e il rapporto con Trump
Nel corso del forum “One Belt One Road initiative”, in programma a Pechino il 14 e 15 maggio, Putin ha rimarcato il sostegno al piano di cooperazione internazionale varato nel 2013 dal presidente cinese Xi Jinping. La mission cinese prevede la realizzazione di due “Nuove Vie della Seta”: una terrestre, l’altra marittima. Mosca si pone come partner privilegiato nella costruzione del collegamento ferrato che unirà i traffici commerciali che partiranno dalla Cina, transiteranno lungo le ex repubbliche sovietiche fino a raggiungere la Germania. Per Putin Oriente significa soprattutto Cina, come dimostrano gli ultimi numeri degli scambi bilaterali tra i due Paesi: il fatturato è stato di 69,5 miliardi di dollari nel 2016 (+2,2% rispetto al 2015), mentre nel primo bimestre del 2017 la crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno è stata del 37,1%.
(Putin e Xi Jinping in un summit a Shanghai nel maggio 2014)
Buona parte di questo volume d’affari dipende dal gas. Il contratto firmato tra le due nazioni nel maggio del 2014 ha un valore di 400 miliardi di dollari. È prevista una fornitura trentennale di metano (pari a 38 miliardi di metri cubi all’anno) da parte della Russia, con il gas che passerà attraverso un gasdotto lungo 2.200 chilometri che collegherà la Siberia alla Cina orientale. L’intesa tra Russia e Cina va però oltre l’economia, allargandosi a una strategia geopolitica che fa sentire il proprio peso in ogni angolo del pianeta. Negli anni del raffreddamento dei rispettivi rapporti con gli Stati Uniti durante i due mandati di Barack Obama, Mosca e Pechino hanno infatti fatto valere il proprio potere di veto in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, soffocando ogni tentativo di fuga in avanti del blocco atlantico guidato dagli USA. La definitiva archiviazione del “Pivot to Asia” di Obama con l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump apre adesso su questo fronte una nuova partita. Dalla nuova conformazione degli equilibri nel triangolo USA-Russia-Cina dipendono gli assetti internazionali dei prossimi anni in tutti gli scacchieri che contano. Per quanto riguarda nello specifico le relazioni con gli Stati Uniti, all’ombra del Russiagate l’«amore clandestino» tra Trump e Putin – per come lo ha definito Lookout News – potenzialmente potrebbe portare a dei risultati concreti nell’ottica di una maggiore stabilità generale. Due di questi risultati si stanno già vedendo. Nel Pacifico Trump ha chiesto e ottenuto l’appoggio non solo della Cina ma anche della Russia per arginare la minaccia nordcoreana ed evitare un attacco militare nella penisola. In Siria, invece, è stata una telefonata tra Trump e Putin a sdoganare l’accordo di inizio maggio per la formazione di quattro zone cuscinetto. Sempre in Siria, solo attraverso una strategia condivisa da Stati Uniti e Russia sarà possibile stringere definitivamente la morsa attorno allo Stato Islamico e, successivamente, far sedere allo stesso tavolo gli attori nazionali e regionali direttamente interessati (siriani, turchi, iraniani, curdi) alla futura spartizione del paese in aree d’influenza.
Il ruolo in Medio Oriente e nel Mediterraneo
Come detto, nel progetto di “Grande Eurasia” di Putin riveste grande importanza il nuovo posizionamento della Russia in due aree strategiche come il Medio Oriente e il Mediterraneo. In entrambi i contesti, Putin negli ultimi anni ha giocato una partita abilissima. Marciando sulle rovine del finale di mandato di Obama, il presidente russo ha realizzato il sogno degli Zar di garantire alla Russia degli affacci sul Mediterraneo. In Siria, con l’intervento risolutivo a sostegno del governo del presidente Bashar Assad, Mosca ha rafforzato enormemente la propria presenza militare lungo la costa del Paese e oggi dispone della base navale di Tartus, di quella aerea di Humaymim, oltre che della stazione SIGINT (Spionaggio di segnali elettromagnetici) di Latakia. In Libia, ponendosi quale sostenitrice della prima ora del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, si è assicurata spazi di manovra nel Mediterraneo impensabili fino a pochi anni fa.
 (Assad e Putin a Mosca, ottobre 2015)
In parallelo, dopo aver messo piede in Siria il Cremlino ha assunto saldamente le redini del conflitto: ha garantito la sopravvivenza del governo del presidente Bashar Assad fiaccando la resistenza dei ribelli; ha preso il comando delle operazioni militari contro i gruppi jihadisti presenti in Siria (ISIS e i qaedisti di Jabhat Fateh al-Sham, ex Jabhat Al Nusra); ha sfilato alle Nazioni Unite la titolarità delle trattative che contano sul futuro del Paese. In questa manovra avvolgente, Putin ha modulato secondo i propri interessi i rapporti con la Turchia. Nell’arco degli ultimi due anni Ankara è passata da “nemico giurato” – dopo l’abbattimento di un jet russo al confine con la Siria – a partner strategico con cui Mosca è tornata a intensificare gli affari (vedi l’inizio dei lavori di costruzione del gasdotto Turkish Stream).
I rischi per l’Europa
Turchia e Ucraina sono i due avamposti che la Russia sta tentando di scalfire per estendere la propria influenza in Europa. Tramontata ormai definitivamente la possibilità di veder aderire Ankara all’UE, per il governo turco potrebbe diventare allettante la controproposta russa: adesione all’Unione Economica Eurasiatica e allo Shanghai Cooperation Organization, passaggio quest’ultimo però più remoto poiché confliggerebbe con il ruolo della Turchia all’interno della NATO. Per quanto riguarda l’Ucraina, a pagare il prezzo del regime sanzionatorio imposto alla Russia per il suo coinvolgimento militare nel conflitto nel Donbass non è solo Mosca ma tutta l’Europa. Basti pensare che il “Made in Italy” in Russia ha subito un forte ridimensionamento nell’ultimo triennio, passando dai 10 miliardi di euro del 2013 ai 6,5 miliardi di euro del 2016.
(Gelida stretta di mano tra Putin e il presidente ucraino Poroshenko a Minsk, agosto 2014)
Indubbiamente rafforzata dalla vittoria alle presidenziali francesi di Emmanuel Macron, l’UE è chiamata adesso a fare i conti con la Russia affrancandosi rispetto ai diktat degli Stati Uniti e riscrivendo una nuova pagina di dialogo con Mosca. Da ciò dipendono la tenuta economica di buona parte dei suoi Paesi membri e le stesse sorti del conflitto in Ucraina, che di certo non potrà essere risolto con il continuo assembramento di truppe NATO lungo i confini dell’Europa dell’est con la Russia.
I limiti della Russia
Il primo ostacolo a cui sta andando incontro il piano della “Grande Eurasia” di Putin è l’estrema fragilità della struttura economica della Russia, messa fortemente in crisi negli ultimi anni dal ribasso dei prezzi di petrolio e gas. L’ultimo accordo dei Paesi OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) sul taglio alle produzioni dovrebbe garantire alla Russia una chiusura del 2017 migliore rispetto a quella del 2016 (-0,2%) e del 2015 (-3,7%), con il tasso d’inflazione contenuto al 4%. Ma ciò, unito ai profitti derivati dalle esportazioni di armi (15 miliardi di dollari l’anno), non può bastare per garantire l’aggressività necessaria al progetto espansionistico di Putin. La dimensione reale a cui la Russia può obiettivamente ambire è dunque quella di nazione al centro della “Grande Eurasia”, ma non come forza divisiva bensì come Paese ponte in grado di favorire proficui collegamenti commerciali ed energetici tra l’Asia orientale e l’Europa. Putin si accontentarsi di quanto ottenuto finora? Preso da: http://ift.tt/2A0HBKU http://ift.tt/2Bbn72u
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