#ramoscelli
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Statua di Shiva danzante nel cortile del CERN di Ginevra.
#shiva#cern#particelle subatomiche#divenire#distruzione e rinnovamento#mantenimento della vita#la natura fa e disfa le sue opere come un fanciullo che gioca con i ramoscelli#complottismo#arte#scienza#religione#poesia
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" Aprii gli occhi e mi trovai faccia a faccia con Lucia. Una statua di marmo distesa sulla bara di vetro, come Biancaneve. L’iscrizione recitava: «Santa Lucia, vergine e martire, morta a vent’anni per amore del Signore». Infilai la mia busta nella buca della posta e le soffiai un bacio. Eppure anche quell’anno non ricevetti nulla. Temevo che in fondo mia madre avesse ragione. Inaspettatamente, l’anno seguente, a Santa Lucia ricevetti qualcosa per la prima e unica volta. Quel mattino, sullo scuolabus, raccontai a Latte e ai miei compagni tutto il ben di dio che avevo ricevuto: una biro multicolore, un quaderno, un album da colorare con le principesse, una confezione di gianduiotti. Ero talmente eccitata che non vedevo l’ora di parlarne alla maestra e a tutta la classe.
Non c’era Bebi Mia, la bambola da centocinquantamila lire sulla mia lista; e nemmeno l’orso Trudy o la casa di Barbie. Di fatto, non c’era niente di quanto avessi chiesto. Ma ero la bambina più felice del mondo. Spiegai a tutti che ero stata talmente fortunata da vedere la santa in carne e ossa. «Davvero? Dai, dicci un po’ com’è». «È vecchia», spiegai, «e ha la testa piena di ramoscelli». «Tipo treccine?». «Pensa un po’…», disse Pastasciutta, l’autista, lanciandomi uno sguardo scettico dallo specchietto retrovisore. Latte cercò di prendere le mie difese: «Guarda che è vero!». «Seeee… però le trecce le portano solo i negri», ribatté lui. «Senti un po’, non è che la vecchia negra era anche storpia?» «Veramente… sì, zoppicava…». Tutto il pulmino scoppiò in una risata. Perfino Latte non riuscì a trattenersi. «Sei proprio scema. Ma non vedi che era tua mamma? Che non è certo una santa». E per la prima volta persi un po’ della mia fede. "
Marilena Umuhoza Delli, Negretta. Baci razzisti, Red Star Press (collana Tutte le strade), 2020. [ Libro elettronico ]
#Marilena Umuhoza Delli#Negretta. Baci razzisti#libri#letture#citazioni letterarie#razzismo#leggere#Bergamo#Italia#letteratura italiana contemporanea#discriminazione#immigrati#narrativa italiana contemporanea#Lombardia#scuola#vita#festa di Santa Lucia#ricordi scolastici#cattolicesimo#povertà#nuovi italiani#dignità#disabilità#maleducazione#famiglia#Rwanda#educazione#amici#illusioni#fede
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Le nostre relazioni interpersonali, soprattutto quelle più intime e profonde, spalancano la porta sul nostro inconscio.
Sui nostri abissi interiori, sulle nostre paure, sulle nostre insicurezze e vulnerabilità.
Nel momento in cui l'altro ci fa scendere, attraverso l'amore che proviamo per lui, nelle profondità del nostro inconscio, le ferite non ancora del tutto rimarginate tornano a galla.
E ricominciano a sanguinare.
All'inizio va tutto bene, ma poi quando l'altro ci delude mostrandoci parti di sé che non ci piacciono, percepiamo delusione, mancanza di amore, sfiducia, rabbia.
In quel momento regrediamo facendo sì che la ferita emerga alla luce del sole.
Da quel momento in poi, possiamo scegliere due strade.
La prima è quella di difenderci, attaccando o scappando.
La relazione si carica di aspettative irrealistiche, di pretese, di critiche, in un continuo saliscendi emotivo, a partire dal quale si consuma il melodramma sentimentale della coppia.
Attraverso questo gioco relazionale fatto di punzecchiature, fughe, chiusure, raffreddamenti e riaccensioni emotive, conflitti e separazioni a singhiozzo, i partner si consumano tra di loro come due ramoscelli accesi, che si toccano dandosi fuoco reciprocamente.
La relazione si consuma fino allo sfinimento, finché uno dei due partner non decide di mollare la presa e di chiudere.
L'altra strada, quella più ardua ma anche quella più carica di possibilità evolutive, è quella della crescita personale.
Della esplorazione di sé, attraverso e con l'altro.
In questo secondo caso uno dei due partner, o entrambi, decidono di mettersi in gioco, e di iniziare un percorso di crescita personale. Da soli o in coppia.
Essi comprendendo un fatto puro e semplice.
E cioè che reagendo ai loro bisogni affettivi così dolorosi, stanno proiettando l'uno sull'altro ombre mai viste prima.
Stanno proiettando sull'altro ferite e modi di essere, fatti di umiliazione, vergogna, impotenza, che non conoscevano e che nascondevano a loro stessi.
Da questa esplorazione del Sé , uno o entrambi i partner possono uscirne liberati.
Liberati dai loro demoni, dalle loro catene, dalle loro ferite profonde.
Ma il percorso sarà lungo e spesso doloroso.
Alla fine del viaggio, possono decidere se rimanere insieme, vedendo, accettando e apprezzando l'altro per quello che realmente è, scevro dalle loro proiezioni su di lui.
Oppure possono separarsi, riconoscendo una incompatibilità di fondo, e andare ognuno per la propria strada.
Ma questa seconda scelta, è ormai non necessaria, non obbligatoria, non più avvolta da un'aura di drammaticità.
Dato che hanno recuperato loro stessi, la loro è una scelta totalmente libera, consapevole, e reale.
Abbracceranno l'altro perché lo amano, e non perché ne hanno bisogno per far parlare i loro demoni.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
#armaturainvisibile #consapevolezza
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Il problema di Perseo è dove posare la testa di Medusa. E qui Ovidio ha dei versi (Iv, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza d’animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri:
“Perché la ruvida sabbia non sciupi la testa anguicrinita (anguiferumque caput dura ne laedat harena), egli rende soffice il terreno con uno strato di foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati sott’acqua e vi depone la testa di Medusa a faccia in giù”.
Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è l’eroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell’essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile, fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla terribile testa.
~Italo Calvino
La nostalgia dell’esule
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Lo studio era pervaso dal ricco profumo delle rose e, quando la brezza estiva frusciava lievemente tra gli alberi del giardino, dalla porta aperta penetrava l’intenso effluvio dei lillà o la fragranza più delicata delle rose canine. Dall’angolo del divano di cuoio orientale sul quale era sdraiato, fumando come suo solito innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton intravedeva lo scintillio dei fiori dei maggiociondoli – del colore e della dolcezza del miele –, i cui tremuli ramoscelli parevano appena in grado di sopportare il fulgore di tanta bellezza. A tratti, fantastiche ombre di uccelli in volo guizzavano sulle lunghe tende di seta tirate davanti all’ampia finestra, e creavano un fuggevole effetto giapponese che gli ricordava quei pittori di Tokyo dal viso di pallida giada che, con i mezzi di un’arte fatalmente statica, tentano di esprimere sulla tela il senso del movimento e della velocità. Il cupo ronzio delle api – che si facevano largo tra i fili d’erba alta non falciata o roteavano con monotona insistenza intorno agli aghi impolverati d’oro dei caprifogli sparsi in terra – rendeva la sensazione d’immobilità ancora più opprimente.
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#Sapiens #sapeviche
🌺The Euphorbia pulcherrima, (Latin name meaning "most beautiful of the euphorbias") and more commonly called "Christmas Star",
it is a native plant of Mexico, where it can reach 4 meters in height.
Although it is appreciated for the intensity of the red color, the real flower is the yellow "dots" in the center surrounded by red leaves.
🌺The first export of the plant dates back to the 18th century thanks to Joel Roberts Poinsett, US ambassador to Mexico as well as physicist and botanist;
in fact, after his death on 12 December 1851, the plant was also called Poinsettia in honor of him.
🌺Although legends about the plant have been present since the times of the Aztecs, the pseudo-Christian tradition was born in the 16th century, when the young Pepita, from a poor family, not having the possibility of purchasing a bouquet of flowers to donate as a religious homage, instead composed a bouquet with grasses and twigs, including star-shaped flowers, which were known thereafter as "flor de Noche Buena".
📚 Source: Sapiens³
#Sapiens #sapeviche
🌺La Euphorbia pulcherrima, (nome latino che significa “più bella delle euforbie”) e più comunemente chiamata "Stella di Natale",
è una pianta autoctona del Messico, dove può raggiungere i 4 metri di altezza.
Nonostante sia apprezzata per l'intensità del colore rosso, il vero fiore sono i "puntini" gialli al centro circondati dalle foglie rosse.
🌺La prima esportazione della pianta risale al XVIII secolo grazie a Joel Roberts Poinsett, ambasciatore statunitense in Messico nonché fisico e botanico; dopo la sua morte infatti , avvenuta il 12 dicembre 1851, in suo onore la pianta venne chiamata anche Poinsettia.
🌺Sebbene leggende sulla pianta siano presenti sin dai tempi degli aztechi, la tradizione pseudo cristiana nasce nel XVI secolo, quando la giovane Pepita, di famiglia povera, non avendo possibilità di acquistare un mazzo di fiori da donare come omaggio religioso, compose invece un bouquet con erbe e ramoscelli, tra cui fiori a forma di stella, che vennero conosciuti da allora in poi come "flor de Noche Buena".
📚Fonte:Sapiens³
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David Hockney L’arrivo della primavera, Normandia 2020
William Boyd, Edith Devaney
L’ippocampo, Milano 2022, 168 pagine, 25 x 17,5 cm, Cartonato con swiss binding, ISBN 9788867226894
euro 29,90
email if you want to buy [email protected]
La vasta produzione di David Hockney, iniziata oltre sessant’anni fa, è marcata dalla sua insaziabile curiosità nei confronti delle tecniche e dei processi artistici innovativi. Pioniere nell’utilizzo dell’iPad, l’artista esibisce un ineguagliabile virtuosismo nella pittura su tablet. Dai ramoscelli spogli in pieno inverno ai rami carichi di fiori impalpabili, nei quattro acri del suo giardino in Normandia Hockney è riuscito a catturare il miracolo della rinascita primaverile. La coincidenza con la prima ondata della pandemia di Covid nel 2020 conferisce un significato speciale a queste immagini, luminose e dense di colori.
Un’introduzione del celebre romanziere William Boyd e una conversazione tra l’artista e Edith Devaney completano questo pregiato volume, indispensabile per gli appassionati dell’arte così personale di David Hockney. « Con L’arrivo della primavera, Normandia assistiamo all’apoteosi di un periodo della pittura definibile come pittura su schermo. La padronanza da parte di Hockney del potenziale tecnico a sua disposizione è definitivamente acquisita e ormai assoluta. » William Boyd
Coedizione con Royal Academy of Arts
16/05/23
orders to: [email protected]
ordini a: [email protected]
twitter: fashionbooksmilano
instagram: fashionbooksmilano, designbooksmilano tumblr: fashionbooksmilano, designbooksmilano
#David Hockney#arrivo primavera#iPad#pittura su tablet#Normandia#giardino#Royal Academy of Arts#art books#flower books#fashionbooksmilano
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Al mattino il sole risorge Le colline di verde dipinge. Cantano spensierati gli uccelli all'ombra dei fioriti ramoscelli. Una speranza forte risuona, un nuovo canto di fratellanza intona, Angeli terreni risplendono, preghiere supplicate stringono. Il bambino interiore gioisce da lunghi tormenti guarisce Nasce un legame indelebile, una luce soave inestinguibile. Posto all'anticamera del paradiso da un prodigio atteso e tardivo Dopo questa vita vorrei ritrovare voi che mi avete amato ed insegnato ad amare.
- scrittoresolitario - Ricordi di un’infanzia trovata a trent’anni
#poesia#amore#amicizia#fratellanza#gioia#canto#writing#ita#pensieri#parole#frasi#frasi d'amore#tumblr#scrittoresolitario
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Verso del Gibbone 🐒 Towards of the Gibbon 🐒 [EFFETTO SONORO / SOUND EFFE...
Genere di Scimmie Catarrine sul quale si basa la famiglia omonima (Hylobatidae). Specializzati per la vita nelle foreste d'alto fusto, i gibboni si slanciano da grandi altezze aggrappandosi al momento opportuno con le lunghe braccia; si nutrono di frutta, germogli, ramoscelli, insetti, occasionalmente di uova e di uccelletti; di scarsa intelligenza sono muniti di voce molto sonora.
Genus of Catarrhine Monkeys on which the homonymous family (Hylobatidae) is based. Specialized for life in tall forests, gibbons leap from great heights by holding on at the right moment with their long arms; they feed on fruit, buds, twigs, insects, occasionally on eggs and small birds; of low intelligence they are equipped with a very sonorous voice.
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I corvi e i lupi hanno un rapporto speciale, tanto che i primi sono chiamati "uccelli lupo" in diverse culture. Come molti animali necrofagi, il corvo comune (corvus corax) ha un legame con un grande predatore che può agire da preziosa fonte di cibo. I lupi forniscono l'accesso alle carcasse squarciando la pelle degli animali morti. In molti casi sono i corvi stessi a chiamare i lupi, se viene rinvenuta una carcassa. Altre volte i corvi sono presenti al momento dell'uccisione della preda del lupo. I corvi non si limitano a mangiare un po' del bottino: se ne arrafferanno il più possibile, e in alcuni casi anche in misura maggiore rispetto al lupo.
I corvi possiedono delle abilità sociali molto evolute e un complesso sistema di comunicazione, ma anche un'abilità di riconoscimento eccezionale. Quando trovano un animale morto, essi produrranno un sacco di rumore per attirare l'attenzione dei lupi. Le abilità sociali sono state osservate anche per quanto riguarda le interazioni tra lupo e corvo. Questi uccelli sono stati visti in particolare giocare con i cuccioli dei lupi, prendendo dei ramoscelli e sfidandoli al tiro alla fune. Oppure li sorvolano e li sfidano a saltare per agguantare il ramo. Alcuni esperti ipotizzano addirittura che individuali corvi formino dei legami personali con specifici lupi del branco.
|| da www.fattistrani.it
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Ogni Fanciulla e Giovane dell’Impero conosce la storia della temibile Waldhexe.
La maggior parte pensa che sia una fiaba per spaventare i bambini, ma i saggi sanno che è molto di più.
C’erano una volta tre bambini buoni che camminavano alla luce del Padre dell'Alba. Così nobili erano che i loro genitori non potevano fare a meno di guardarli con Orgoglio nel cuore. “State vicino a noi, Cari. Dite le vostre preghiere. Servite il re. E camminate sempre alla luce del sole.” E così fecero, per un po’.
Ma i bambini sono bambini, e un giorno lasciarono le preghiere e si avventurarono ai margini del bosco, così vasto e pieno di mistero. Sebbene i loro genitori avessero detto loro di non mettere mai piede nella foresta, il desiderio di conoscenza li chiamava. Ora non camminavano più alla luce del sole. Presto non poterono vedere quasi nulla. Intrecciando le mani, iniziarono a contare i loro passi: uno, due, tre, quattro, cinque…
E poi, nell’oscurità, udirono una voce. “Fame…” Davanti a loro apparve una vecchia strega scheletrica, dai capelli impastati di terra e ramoscelli.
“Chi sei, Megera, e cosa fai in questi boschi?”
Chiese uno dei tre bambini.
“Io sono questi boschi, Bimba. Io sono la terra e anche le montagne. E ho fame, quindi credo che mangerò uno di voi.”
“Oh, ti prego, Megera, i nostri genitori ne morirebbero di dolore!”
“Devo mangiare, perché la terra possa prosperare. Se non posso mangiare uno di voi, allora mangerò una parte di tutti voi.” I bambini, immobili per la paura, guardavano la Waldhexe che avanzava, un coltello di pietra in mano. Dal primo bambino, tagliò gran parte della mente, e la mangiò, e i suoi pensieri non furono più suoi. Dal secondo, una bambina, prese un occhio, e questo, pure, la Waldhexe mangiò, e la bambina non vide mai più in modo chiaro la verità. E dall’ultimo inghiottì il cuore, e lui non conobbe mai più l’amore. “Ora sono sazia, Bambini. E la terra fiorirà e il grano crescerà. Potete andare, a patto che mi mandiate i vostri figli, e i figli dei vostri figli. Così il vostro sangue e le vostre ossa nutriranno la terra, e il vostro regno potrà continuare a crescere.”
E così è stato, anno dopo anno, fino a questo giorno.
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C'era una volta, nei freddi boschi del Nord, una giovane fanciulla che, presa dal sopravvento di una troppo breve giornata di sole, perse il sentiero di casa e si ritrovò a contatto con la natura più glaciale. Nel corso della notte fece conoscenza di tutti gli spiriti del bosco, i quali la ammaliarono con le loro dolci e desiderose parole. Con la forza della persuasione, riuscirono a trascinare la povera fanciulla nel cuore della foresta, dove lo spirito della montagna la immolò.
Una leggenda in 5 capitoli… questo è Bergtatt, il primo capolavoro degli Ulver. Un album talmente completo, stupefacente e innovativo, che a tutt'oggi si impone, nel panorama della musica estrema, come un gioiello più unico che raro. Un disco che mescola, nel modo più sorprendente, black metal e folklore, rabbia e malinconia, creando un canone esemplare che verrà ammirato da moltissimi fan (non solo del mondo metal).
L'anno della pubblicazione era il 1995 e gli Ulver avevano (auto)prodotto solo un demo, Vargnatt, che già faceva gridare alla novità: partiture di chitarra classica e folk su sezioni ritmiche rock registrate in bassissima qualità ("Tragediens Trone", "Ulverytterens Kamp"…) ed estranianti voci pulite che mandavano fuori di testa l'ascoltatore. Più di tutti mandarono fuori di testa Metalion (della famosa Slayer mag.), il quale, grazie alla sua Head Not Found, permise alla band di entrare agli Endless Studio per registrare il loro debut.
Le qualità avanguardistiche dell'album si notano dai primi attimi di I troldskog faren vild: la pienezza delle melodie è data dall'armonizzante accostamento delle due chitarre ritmiche, le quali forniscono un ottimo e armonioso tappeto per la trascendentale voce pulita di Garm -che manterrà questo registro per tutta la durata della canzone, ricordando quasi un canto gregoriano. Le dolci e malinconiche note sono un lungo coro, una folcloristica pastorale, che descrive la presa di coscienza della ragazza, la quale si rende conto di essersi perduta e di essere totalmente in balìa degli spiriti. I grandi rintocchi del basso di Skoll percorrono il brano dalla ritmica semplice e schematica. Poi i suadenti assoli di Aismal e di Håvard dipingono l'immagine della passione della poveretta:
Dai ramoscelli degli alberi, alla testa della fanciulla; goccia a goccia come il sangue da l corpo di Cristo.
Infine il primo epilogo, contrassegnato dall'intreccio delle due chitarre acustiche, per poi proseguire su toni più aggressivi e minacciosi, esplicitando la condizione dello smarrimento:
Ahimé… da sola e sperduta nella foresta… stanotte, sento e temo che nessuno si ricorderà di me.
Una rilassante chitarra acustica duetta con un rassicurante flauto dolce, intonando note alla notte silènte di Sølen gåer bak åse ned; (lacune frasi forse appartengono alla tradizione norvegese visto che Satyr le ha riutilizzate nel suo progetto Storm) una notte che sta partorendo le più vili crudeltà che madre natura possa concepire. Infatti i riff scorrono improvvisamente veloci e stridenti e la batteria incide i suoi blast-beat sotto le urla di Garm.
Tra le rocce cala il sole, e le ombre si stanno allungando, presto viene la notte con la sua mòle, già mi sta legando e imprigionando.
I cori si fanno ancora più suadenti (questa canzone contiene a mio avviso le più belle parti cantante degli Ulver) dipingendo una natura evanescente nella sua foschia e nei suoi substrati; tutto è dosato nei minimi particolari: la registrazione è più che eccellente (per l'epoca, per il messaggio, per il budget e a confronto del resto delle uscite contemporanee), le voci pulite sono sempre raddoppiate creando perfette consonanze e le chitarre acustiche vengono aggiunte sempre al momento giusto.
E sono sempre le bonàrie chitarre acustiche che lasciano trasparire i bassi e calmi cori nell'incipit di Gråblick blev hun vaer; è la temporanea calma di quando uno si desta dal sonno e ancora un po' sbattuto e con la mente non perfettamente a fuoco, cerca di capire, silenziosamente, dove si trova. E poi lo shock di quando ci si rende conto di essere stati spiati per tutto il tempo. Le chitarre dissonanti rivelano la terribilità degli esseri notturni, i quali si divertono con la bambina rapita, illudendola di mostrarle il sentiero verso casa, mentre invece verrà solamente sbattuta da un lato all'altro del bosco. I rintocchi del basso suonano una melodia parallela, analoga al parallelismo figurato del brano: la chitarra acustica e l'arpa presto faranno da colonna sonora all'annaspare della poveretta, la quale corre sulla ghiaia e sulle foglie secche del bosco, zigzagando invano verso un tentativo di scampo…
Tutta sola e smarrita; batte forte il suo cuore; e il suo sangue si ghiaccia.
I toni si incupiscono per l'ennesima volta, e i tamburi della batteria scandiscono le risate di scherno del bosco, fissando sulla tela la disperazione dell'innocenza:
Su quelle guance rosa e su quella bocca priva di alcun sorriso, un fiume di lacrime scorre libero, mentre tutto il mondo, nel sonno è intriso.
Il quarto capitolo, "Een stemme locker", vede la fanciulla al cospetto dello spirito della Montagna; quattro minuti di chitarra acustica che rintocca all'infinito mentre i fraseggi secondari accompagnano il dialogo fra la poverina e il grande Spirito (esecuzione formale che anticipa il futuro lavoro, totalmente acustico, Kveldssanger). I suadenti e lontani cori femminili attirano la fanciulla al cuore della montagna come i compagni di Ulisse cedettero inermi ai cori delle sirene.
La storia (e il disco) si conclude con il quinto capitolo Bergtatt - Ind I fjeldkamrene. I riff riprendono leggermente i toni del primo capitolo, sono però sempre più spesso ritoccati da chitarre acustiche, mentre i cori vengono quasi del tutto cancellati, in favore del climax finale della storia.
La fanciulla chiese di essere liberata, ma per le sue preghiere non fu ascoltata… Ancora una volta una fanciulla è scomparsa… fecero di ella ciò che volevano, e senza alcun riguardo o gentilezza la trattarono.
La coda del brano è percorsa da lunghi soliloqui di chitarre suonate quasi come strumenti ad arco, gli ululati di Garm descrivono la definitiva azione della notte, che ingloba in sé la ragazza, in una voluttuosa violenza; e dopo la pioggia e la tempesta, gli ultimi rintocchi di chitarra classica descrivono l'alba di un nuovo giorno che si lascia alle spalle il sacrificio appena compiuto, senza la certezza però, che l'inestinguibile sete della Montagna sia appagata.
Bergtatt è un album che si impone come un'opera d'arte totale, dall'artwork del libretto, ai testi stilati rigorosamente in lingua-madre e in rima, come fosse una tragica ballata da accompagnare alle pitture del nazionalromanticismo norvegese (Johan Dahl, Adolph Tidemand…). L'approccio musicale e lirico è quanto di più anomalo e poetico si possa trovare nel black metal e, oggettivamente, nel mondo della musica estrema. L'assetto innovativo e persistente nel tempo, fanno di questo disco le qualità più importanti: le stesse qualità che in tempi recenti lo hanno fatto apparire perfino sulle pagine di webzine non addette al metal, e le stesse qualità che lo hanno portato ad essere amato da tutti gli ascoltatori di musica che riescono a mettere appena il naso nel mondo underground.
https://www.metallized.it/recensione.php?id=4434
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autunno
XLIII - El otoño Ya el sol, Platero, empieza á sentir pereza de salir de sus sábanas, y los labradores madrugan más que él. Es verdad que está desnudo y que hace fresco. ¡Como sopla el Norte! Mira, por el suelo, las ramitas caídas; es el viento tan agudo, tan derecho, que están todas paralelas, apuntadas al Sur. El arado va, como una tosca arma de guerra, á la labor alegre de la paz, Platero; y en la ancha senda húmeda, los árboles amarillos, seguros de verdecer, alumbran, á un lado y otro, vivamente, como suaves hogueras de oro claro, nuestro rápido caminar. da J. R. Jiménez, Platero y yo
Già il sole, Platero, comincia a sentir pigrizia di uscire dalle lenzuola, e i braccianti si alzano prima di lui. È vero che è nudo e che fa fresco. Come soffia il nord! Guarda, per terra, i ramoscelli caduti; il vento è così tagliente, così dritto, che sono tutti paralleli, rivolti a sud. L'aratro va, come una rozza arma da guerra, alla gioiosa fatica della pace, Platero; e sull'ampio sentiero umido, gli alberi gialli, sicuri di rinverdire, illuminano, da una parte e dall'altra, vividamente, come morbidi falò d'oro chiaro, il nostro rapido cammino. da J. R. Jiménez, Platero e ioTradotto con DeepL.com (versione gratuita)
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Realizzo modelli 3D di aghi di conifere per esplorarne gli effetti sul clima Studi sulla luce solare e le conifere: il progetto di ricerca Un ricercatore dell’Università di Tartu in Estonia sta realizzando modelli 3D di aghi di conifere per esplorare gli effetti della luce solare sulla Terra. I modelli potrebbero rivoluzionare la comprensione del clima. L’importanza della geometria delle conifere La geometria unica delle conifere complica l’interpretazione dei dati satellitari. La loro struttura influisce sull’assorbimento e sulla diffusione della luce solare. Questo impatta direttamente sul clima globale. La fotogrammetria per la creazione dei modelli 3D Utilizzando la fotogrammetria, il ricercatore unisce immagini 2D per creare modelli 3D dettagliati di ramoscelli di conifere.
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Librarsi dolcemente su sogni infranti.
Dita rigide che scivolano,sulla dentatura di un piano forte.
Foglie corte su ramoscelli.
Tutto e niente.
L’amore come là neve attenua i frastuoni del mondo.
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Anche a Sassari celebrata la Domenica delle Palme
Sassari. Celebrata anche in città la Domenica delle Palme, con la tradizionale benedizione dei ramoscelli d’ulivo. Un evento che introduce la Settimana Santa con un fitto calendario di processioni e iniziative che ricalcano rituali del periodo medioevale e poi dei secoli di governo spagnolo. Domenica la cerimonia di benedizione di palme e ramoscelli d’ulivo è stata officiata in piazza Fiume…
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