#ricordi scolastici
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" Aprii gli occhi e mi trovai faccia a faccia con Lucia. Una statua di marmo distesa sulla bara di vetro, come Biancaneve. L’iscrizione recitava: «Santa Lucia, vergine e martire, morta a vent’anni per amore del Signore». Infilai la mia busta nella buca della posta e le soffiai un bacio. Eppure anche quell’anno non ricevetti nulla. Temevo che in fondo mia madre avesse ragione. Inaspettatamente, l’anno seguente, a Santa Lucia ricevetti qualcosa per la prima e unica volta. Quel mattino, sullo scuolabus, raccontai a Latte e ai miei compagni tutto il ben di dio che avevo ricevuto: una biro multicolore, un quaderno, un album da colorare con le principesse, una confezione di gianduiotti. Ero talmente eccitata che non vedevo l’ora di parlarne alla maestra e a tutta la classe.
Non c’era Bebi Mia, la bambola da centocinquantamila lire sulla mia lista; e nemmeno l’orso Trudy o la casa di Barbie. Di fatto, non c’era niente di quanto avessi chiesto. Ma ero la bambina più felice del mondo. Spiegai a tutti che ero stata talmente fortunata da vedere la santa in carne e ossa. «Davvero? Dai, dicci un po’ com’è». «È vecchia», spiegai, «e ha la testa piena di ramoscelli». «Tipo treccine?». «Pensa un po’…», disse Pastasciutta, l’autista, lanciandomi uno sguardo scettico dallo specchietto retrovisore. Latte cercò di prendere le mie difese: «Guarda che è vero!». «Seeee… però le trecce le portano solo i negri», ribatté lui. «Senti un po’, non è che la vecchia negra era anche storpia?» «Veramente… sì, zoppicava…». Tutto il pulmino scoppiò in una risata. Perfino Latte non riuscì a trattenersi. «Sei proprio scema. Ma non vedi che era tua mamma? Che non è certo una santa». E per la prima volta persi un po’ della mia fede. "
Marilena Umuhoza Delli, Negretta. Baci razzisti, Red Star Press (collana Tutte le strade), 2020. [ Libro elettronico ]
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1. Nome e cognome?
2. Quanti anni hai?
3. Dove vivi?
4. Single?
5. Com'è la tua famiglia?
6. La stanza preferita di casa tua?
7. Ti senti sicuro a casa tua?
8. Vivi nella stessa casa in cui hai passato l'infanzia?
9. Quali nomi daresti ai tuoi figli?
10. Ti piacciono i bambini?
11. Ti piacciono gli animali?
12. Top 3 animali che preferisci?
13. Quale animale ti rappresenta meglio?
14. Quale animale ti spaventa di più?
15. Quali sono le tue paure più grandi?
16. Hai mai superato una tua paura nella vita?
17. Qual è la cosa più folle che hai fatto per amore?
18. Ti vorresti sposare?
19. Meglio lasciare o essere lasciati?
20. Meglio amare o essere amati?
21. Nel sesso, meglio dare o ricevere?
22. Qual è l'ingrediente segrete per del buon sesso secondo te?
23. Il posto ideale per fare l'amore?
24. Mai provato attrazione per qualcuno del tuo stesso sesso?
25. Mai provato attrazione per qualcuno del sesso opposto al tuo?
26. Lingerie o nudità?
27. Pagheresti mai per fare sesso?
28. Legalizzeresti droghe e prostituzione?
29. Ti trasferiresti in un'altra nazione se ne avessi la possibilità?
30. Se ti costringessero a lasciare l'Italia, in quale Paese andresti?
31. Cosa ne pensi della politica?
32. Qual è l'ingiustizia più grande del mondo secondo te?
33. Le guerre sono sempre sbagliate secondo te?
34. Quale sarebbe la tua reazione se una persona ti dicesse che è vittima di violenza in famiglia?
35. Cosa pensi dei bulli?
36. Ricordi con piacere i tuoi anni scolastici?
37. Qual era la tua materia preferita a scuola?
38. Avevi un buon rapporto con i professori?
39. Quali tecniche usavi per saltare le interrogazioni?
40. Come si chiamavano i tuoi compagni di banco?
41. Maglio scuola o lavoro?
42. Che lavoro fai?
43. Che lavoro vorresti fare?
44. Sei un procrastinatore seriale?
45. Lavori meglio da solo o in team?
46. Come hai vissuto il periodo della pandemia?
47. Come te la cavi in cucina?
48. Dolce o salato?
49. Quale tipo di pasta preferisci?
50. Frutta o verdura?
51. Quale panino ordini più spesso al McDonald's?
52. Sei vegetariano o vegano?
53. Sei astemio?
54. Il tuo drink preferito?
55. Meglio vino o birra?
56. L'ultima cosa che hai mangiato?
57. Ti va di descriverti fisicamente?
58. Ti va di descriverti caratterialmente?
59. Vai in terapia?
60. Credi che la terapia di coppia sia utile?
61. Ti fidi dei medici?
62. Hai mai messo i punti per qualche ferita?
63. Cosa credi che succeda dopo la morte?
64. C'è qualche caro morto che vorresti riabbracciare?
65. Con quale personaggio storico vorresti passare 24h per conoscerlo meglio?
66. Consigliami tre film
67. Consigliami tre serie TV
68. Consigliami tre videogiochi
69. Consigliamo tre giochi in scatola
70. Il tuo personaggio preferito del signore degli anelli?
71. Il tuo personaggio preferito della Marvel?
72. Il tuo personaggio preferito Harry Potter?
73. Hai mai fatto teatro/cinema?
74. Hai qualche talento nascosto?
75. Meglio lodare o essere lodati?
76. Che modello di telefono hai?
77. A quanto sta la tua batteria?
78. Quale invenzione già esistente avresti voluto inventare tu?
79. Collezioni qualcosa?
80. Hai una morning routine?
81. Sei una persona disordinata od ordinata?
82. Quale lingua vorresti saper parlare?
83. Quale laurea vorresti avere?
84. Di quale sport vorresti essere campione del mondo?
85. Ti piacciono le persone muscolose?
86. Ti piacciono le persone alte?
87. Ti piacciono le persone in carne?
88. Il tuo orientamento religioso?
89. Che ruolo ha Dio nella tua vita?
90. Qual è un difetto che non sopporti negli altri?
91. Qual è un pregio che apprezzi sempre negli altri?
92. Meglio parlare od ascoltare?
93. Quale social usi di più?
94. C'è qualcuno che ti manca?
95. C'è qualcuno che vorresti ti lasciasse in pace per sempre?
96. Cosa diresti al te di dieci anni fa?
97. Quale stagione preferisci?
98. Qual è il tuo colore preferito?
99. Qual è un cartone della tua infanzia?
100. Dimmi a quale domanda vorresti rispondere così te la faccio
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Facciamo un breve viaggio ai nostri anni scolastici e ricordiamo alcune lezioni di matematica e fisica. Ti ricordi cosa equivale il numero π? E cos'è π al quadrato? Anche questa è una domanda strana. Certo, sono le 9.87. E ti ricordi il valore dell'accelerazione dovuta alla gravità, g? Naturalmente, quel numero è stato perforato nella nostra memoria così a fondo che è impossibile dimenticare: 9,81 m/s². Naturalmente, può variare, ma per risolvere i problemi scolastici di base, in genere abbiamo usato questo valore.
Misteriosa uguaglianza
E ora, ecco la prossima domanda: come diavolo è che π² è approssimativamente uguale a g? Si potrebbe dire che tali domande non vengono poste nella società educata. Prima di tutto, non sono esattamente uguali. C'è già una differenza nella seconda cifra decimale. In secondo luogo, π è un numero adimensionale, mentre g è una quantità fisica con le proprie unità.
Eppure, non importa come lo guardi, questa non può essere solo una semplice coincidenza.
Non così semplice come sembra
Iniziamo dando un'occhiata da vicino al lato destro. Il valore di 9,81 è in m/s². Ma queste sono tutt'altro che le uniche unità di misura. Se esprimi questo valore in qualsiasi altra unità, la magia scompare immediatamente. Quindi, non è un caso: approfondiamo i metri e i secondi.
Cos'è esattamente un "metro" e come potrebbe essere correlato a π? A prima vista, per nitto. Secondo Wikipedia, un "metro è la distanza che la luce percorre nel vuoto durante un intervallo di tempo di 1/299.792.458 secondi". Fantastico, ora abbiamo i secondi coinvolti, bene! Ma non c'è ancora niente in π.
Aspetta un attimo, perché esattamente 1/299.792.458? Perché non, per esempio, 1/300? Da dove viene questo numero in primo luogo? Sembra che dobbiamo approfondire la storia dell'unità di lunghezza stessa per capirlo meglio.
Uno standard per ogni commerciante onesto
In passato, le persone non si preoccupavano molto degli standard: si preoccupavano solo di ciò che era conveniente per la misurazione. Per esempio, perché non misurare la lunghezza in cubiti umani? Potrebbe non essere preciso, ma era economico, affidabile e pratico. E il fatto che i cubiti di tutti fossero di diverse lunghezze? A volte era persino utile. Se avessi bisogno di comprare più vestiti, chiameresti la persona più alta del villaggio e gli faresti misurare il tessuto con i loro cubiti.
Più tardi, ovviamente, la gente ha iniziato a pensare alla standardizzazione. Hanno iniziato a creare vari standard. Ma questo si è rivelato scomodo e ingombrante: non si poteva sempre correre a un unico standard per la misurazione. Così, cominciarono ad apparire copie degli standard. E poi copie delle copie...
Le persone serie hanno deciso che un tale caos stava ostacolando gli affari seri, quindi hanno fissato un obiettivo: trovare una definizione di un'unità di lunghezza che non dipendesse da alcuno standard arbitrario. Dovrebbe dipendere solo da costanti naturali, in modo che chiunque abbia alcuni strumenti di base possa riprodurlo e misurarlo.
Sogni luminosi di standardizzazione e gravità insidiosa
Una definizione "senza standard" per il contatore è stata effettivamente proposta nel XVII secolo. Il meccanico, fisico, matematico, astronomo e inventore olandese Christiaan Huygens suggerì di usare un semplice pendolo per questo scopo. Si prende un piccolo oggetto e lo si sospende su una corda. La lunghezza della corda dovrebbe essere tale che il pendolo completi un'oscillazione completa (ritorna alla sua posizione originale) in esattamente due secondi. Questa lunghezza della corda era chiamata "misura universale" o "metro cattolico". Questa lunghezza differiva dal metro moderno di circa mezzo centimetro.
La proposta è stata ben accolta e adottata. Tuttavia, i problemi sono sorti presto. In primo luogo, Huygens si occupava di quello che chiamava un "pendolo matematico". Questo è un "punto materiale sospeso su una corda senza peso e inestensibile". Un punto materiale e una corda senza peso non sono certo i semplici strumenti che ogni commerciante avrebbe a portata di mano.
In secondo luogo, si scoprì rapidamente che la lunghezza della corda del pendolo variava in diverse parti della Terra. La gravità diminuì astutamente man mano che ci si avvicinava all'equatore e non si collaborava con il brillante sogno di standardizzazione dell'umanità.
Un'equazione sorprendente
Ma torniamo alla nostra misteriosa equazione. Per trovare il periodo di piccole oscillazioni di un pendolo matematico in funzione della lunghezza della sospensione, si usa la seguente formula:
Ed eccolo qui: il nostro π! Sostituiamo i parametri del pendolo di Huygens in questa formula. La lunghezza della stringa l nel pendolo di Huygens è uguale a 1. L'oscillazione T - è uguale a 2. Collegando questi valori alla formula, otteniamo π²=g.
Quindi, abbiamo trovato la risposta alla nostra domanda? Beh, non proprio. Abbiamo già visto che l'uguaglianza è solo approssimativa. Non sembra giusto equiparare esattamente 9,87 e 9.81. Questo significa che il contatore è cambiato da allora?
Con saluti rivoluzionari dalla Francia
Sì, in effetti, è cambiato! Ciò avvenne durante la riforma delle unità di misura avviata dall'Accademia francese delle scienze nel 1791. Le persone intelligenti hanno suggerito di mantenere la definizione del metro attraverso il pendolo, ma con il chiarimento che dovrebbe essere specificamente un pendolo francese, alla latitudine di 45° N (approssimativamente tra Bordeaux e Grenoble).
Tuttavia, questo non è andato bene con la commissione responsabile della riforma. Il problema era che il capo della commissione, Jean-Charles de Borda, era un fervente sostenitore della transizione verso un nuovo sistema (rivoluzionario) di misurazione dell'angolo, utilizzando i grad (un grad è un centesimo di angolo retto). Ogni laurea è stata divisa in 100 minuti e ogni minuto in 100 secondi. Il metodo del pendolo dei secondi non si adattava a questo concetto pulito.
Il vero e ultimo metro
Alla fine, si sono sbarazzati con successo dei secondi e hanno definito il metro come un quarantamilionesimo del meridiano di Parigi. O, in alternativa, come un dieci-milionesimo della distanza dal Polo Nord all'equatore lungo la superficie dell'ellissoide terrestre alla longitudine di Parigi. Questa misurazione differiva leggermente dal misuratore "pendolo". La commissione, senza falsa modestia, ha soprannominato il valore risultante come il "vero e ultimo metro".
L'idea di uno standard universale accessibile a tutti salutava e svanì nel tramonto. Hai bisogno di uno standard accurato per il contatore? Nessun problema! Tutto quello che devi fare è misurare la lunghezza di un meridiano e dividerlo per qualche milione. A proposito, i francesi in realtà lo hanno fatto: misuravano fisicamente una parte del meridiano di Parigi, l'arco da Dunkerque a Barcellona. Hanno disposto una catena di 115 triangoli attraverso la Francia e parte della Spagna. Sulla base di queste misure, hanno creato uno standard in ottone. Per inciso, hanno commesso un errore: non hanno tenuto conto dell'appiattimento polare della Terra.
Conclusione
Torniamo ancora una volta alla nostra equazione. Ora sappiamo da dove viene l'inaccuratezza: π² e g differiscono di circa 0.06. Se non fosse per l'ennesimo tentativo di riformare e migliorare tutto, ora avremmo un valore leggermente diverso per il metro e l'elegante equazione π² = g. Più tardi, gli scienziati sono tornati a definire il misuratore attraverso costanti naturali immutabili e riproducibili, ma lo standard del contatore non era più lo stesso.
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Non sono l'anonimo di prima. Non voglio fare polemica. Pirandello aderì al fascismo più per convinzione o per necessità? (non è una scusante, è una constatazione, mi sembra di ricordare che aderirono al fascismo la maggior parte dei docenti universitari ). Ciò che scrive è tutto da buttare? (Secondo me no, però mi interessa la sua opinione) Voglio dire, da quel poco che ho letto mi sembra che dalle sue opere emerga una visione nichilista e assurda della realtà più che una visione ideologica "in linea" con gli ideali fasciste di ieri e ahimè di oggi (dio, patria, famiglia, identità, ecc. ecc). Ora che glielo scrivo mi viene il dubbio che il nichilismo sia fascista (non lo so, non credo, non tutto almeno! i no vax sì, cioè sì loro sono fascisti, ignoranti ma non nichilisti, non credo) cazzo, mi sono perso. Scusi il disturbo, buona serata. Grazie. Complimenti per il blog, è molto bello a partire dall'aggettivo "italianissimo" che m ricorda il cioccolato novi che adesso che è stato comprato da una multinazionale svizzera o francese è diventato ancora più italiano di prima. ecc ecc. Grazie, buonasera.
Faccio due premesse, la prima è che rispondevo ad un anon (che ha visto i tag di altri utenti al mio post) e quindi ho presupposto che il problema principale con la figura di Pirandello fosse l'adesione al fascismo, la seconda è che ho ricordi "scolastici" dello scrittore, nulla di più nulla di meno, quindi chiedo scusa se dirò boiate o inesattezze (e siete liberi di commentare). Comunque facendo una ricerca veloce su internet pare ci siano varie tesi a riguardo la sua adesione al fascismo, c'è chi dice che fosse sfiduciato dalla classe politica del tempo, chi invece pensa che il fascismo gli ricordasse gli ideali del risorgimento (di cui era ammiratore), quindi oserei dire che fosse più per convinzione che per necessità...? Sostanzialmente lui è un personaggio che in genere si collega poco al fascismo perché è morto nel 36 e non ha visto gli anni più bui del ventennio, e perché pare che nelle sue opere non sia presente l'ideale fascista (ora non so se dirti se in tutte o no), perché appunto come dici era conosciuto più per il nichilismo, ma dalle sue opere sembrava anche anarchico, anti-sistema, e queste cose qua facevano storcere il naso ai fascisti (ed è stato anche censurato dal regime se non erro).
Quindi da ignorante direi che no, non è tutto da buttare se l'ideale fascista non compare nella stragrande maggioranza dei suoi scritti, però preferisco non esprimere un'opinione più approfondita perché davvero, ammetto la mia ignoranza a riguardo e ho paura di dire stupidaggini.
Grazie per i complimenti <3, buona serata anche a te! (e per favore non darmi del lei, mi sento vecchia)
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Film italiani in uscita a novembre
La guerra del Tiburtino III (Luna Gualano) 02/11
Tiburtino III, periferia di Roma. Una sera un meteorite arriva nel quartiere dal cielo e viene raccolto da Leonardo de Sanctis che lo porta a casa. Di notte però avviene qualcosa di strano: un verme esce dal meteorite ed entra nella narice di Leonardo. L’uomo diventa il leader di altri abitanti, anche loro invasati, e con loro decide di alzare le barricate e non far entrare più nessuno nel quartiere.
À la recherche (Giulio Base) 02/11
Un omaggio a Marcel Proust ed un particolare tributo a Luchino Visconti e al cinema italiano degli anni '70.
Il meglio di te (Fabrizio Maria Cortese) 09/11
Antonio è un uomo di successo, Nicole è una donna brillante. I due si sono amati intensamente e sono stati gli interpreti perfetti di una favola. Tuttavia, prima di arrivare al "vissero per sempre felici e contenti", il loro mondo è esploso e i due si sono trovati lontani, dispersi, pieni di rabbia, di colpa e di delusione. L'inevitabile separazione dura qualche anno e traccia un confine molto netto tra le loro vite. Ma il destino ha spesso una trama nascosta da tirare fuori al momento più opportuno.
Soldato Peter (Gianfilippo Pedote, Giuliano Carli) 09/11
1918, Altopiano di Asiago, pochi giorni prima della fine della Grande Guerra. Il giovane soldato austro-ungarico Peter Pan oltrepassa le linee nemiche. Solo, spaventato, in fuga, durante il suo percorso non incontra nessuno tranne una pattuglia di soldati italiani di cui fa parte il Capitano Don Chisciotte che però lo nota a malapena. Il paesaggio del territorio straniero gli fa tornare in mente alcuni nitidi ricordi d'infanzia dove ci sono la madre e il suo amico Maty morto in guerra. Sono i rari momenti di serenità. Poi Peter riprende il cammino. Il desiderio è quello di ritrovare un'isola in mezzo al mare che non esiste nel mondo reale.
Ancora volano le farfalle (Joseph Nenci) 09/11
La storia raccontata nel film prende ispirazione dalla vera vita di Giorgia Righi, una giovane ragazza pesarese affetta da una rara malattia ereditaria: l'Atassia di Friedreich. Il film, sebbene racconti un dramma, è in realtà una storia di rivincita e riscatto sulla vita stessa.
Lubo (Giorgio Diritti) 09/11
Lubo Moser è un nomade del popolo Jenisch. Nella Confederazione Elvetica del 1939 gira di luogo in luogo esibendosi nelle piazze insieme alla moglie Mirana e ai loro bambini. Fino a quando la Seconda Guerra mondiale incombente fa sì che il governo dichiari la mobilitazione degli uomini per la difesa delle frontiere. Lubo, mentre è in servizio, viene a sapere che i figli sono stati prelevati e portati in un istituto mentre la moglie, nel tentativo di proteggerli, ha trovato la morte. Da quel momento il senso della vita per lui consiste nel conseguire un duplice obiettivo: ritrovarli e vendicarsi.
Non tutto è perduto (Francesco Bellomo) 09/11
Francesco è una ex promessa del calcio, con un passato nelle giovanili di una squadra di Serie A. Dopo vari insuccessi scolastici, suo padre lo ha costretto ad abbandonare il suo sogno. Nonostante tutto, lui non ha mai smesso di giocare a calcio, anche se solo per diletto, con gli amici. Il suo percorso s'incrocia con quello di Bala, il responsabile di un campetto di calcio a cinque: costui, impressionato dalle sue doti, contatta un procuratore sportivo e riesce ad organizzare un provino per Francesco. Bala organizza così una partita con i vecchi amici del ragazzo, per impressionare il procuratore, al fine di offrire a Francesco la seconda possibilità che la vita, spesso, in modo fortuito, riserva.
Codice Carla (Daniele Luchetti) 13/11
La pratica biografica è uno dei grandi fenomeni cinematografici (e letterari) contemporanei. La narrazione di una vita e l'enunciazione di una verità a proposito di quella vita rappresenta anche il cuore del nuovo progetto di Daniele Luchetti. Due anni dopo la morte di Carla Fracci, l'autore pesca nei suoi ricordi di infanzia quel primo incontro causale con l'étoile italiana, avvenuto anni prima a Cinecittà sul set di Verdi di Renato Castellani.
La festa del ritorno (Lorenzo Adorino) 13/11
Un racconto di formazione che racchiude in sè il rapporto tra padre e figlio, sospeso tra assenze e ritorni e l'incanto che nasce dallo sguardo di un bambino.
Mimì - il principe delle tenebre (Brando De Sica) 16/11
Mimi` e` un adolescente orfano nato con i piedi deformi che lavora in una pizzeria a Napoli. Un brutto giorno incontra Carmilla, una giovane ragazza convinta di essere una discendente del conte Dracula. Insieme decidono di fuggire un mondo cinico e violento.
La Sedia (Gianluca Vassallo) 16/11
Pietro torna in Sardegna in seguito alla morte del padre. Il suo obiettivo è incontrare il fratello Andrea, che non vede da molto tempo, per decidere a chi spettano i due oggetti che il genitore ha lasciato loro: una pistola e una sedia. Nel suo peregrinare in una Sardegna assolata ha modo di fare diversi incontri. In un film realizzato in assoluta indipendenza Vassallo porta sullo schermo la tensione esistenziale di un uomo che si confronta con il suo passato.
L'altra via (Saverio Cappiello) 16/11
Siamo sulla Costa degli Aranci, all'altezza di Catanzaro Lido. Questa è un'estate diversa, italiana, quella delle Notti Magiche, dei Mondiali di Italia '90. Lo è anche per Marcello, ragazzino di origine arbëreshë che vive con la madre Tereza nel quartiere popolare dell'Aranceto. E se gli stadi della Nazionale sono lontani, quello dell'U.S. Collidoro, la squadra locale, è invece dietro l'angolo. Qui gioca Andrea Viscomi, capitano, trentacinquenne romano trapiantato da anni in Calabria e alla sua ultima stagione come professionista. Andrea è piagato dagli infortuni, spremuto dalla criminalità, amareggiato dalla vita. Marcello e Andrea si incontrano, forse qualcosa in loro cambierà. Quanta semplicità e quanta appartenenza in questa opera prima che mostra un Sud pieno di malinconia universale.
Misericordia (Emma Dante) 16/11
Da qualche parte in Sicilia, in un borgo marinaro e fatiscente, le donne fanno le mamme di giorno e le puttane di notte. A governarle tutte è un miserabile guercio, che ha ucciso a botte la madre di suo figlio, Arturo, anima semplice e altrove, cresciuto a giri di maglia e di amore da Betta e Nuccia. Tra miseria e mare un giorno arriva Anna, giovane prostituta a cui piace soltanto la cioccolata. Naïf e bellissima, fa corpo con Betta e Nuccia contro il predatore che chiede la pelle di Arturo. Ma a quel ragazzo antico, dervisci che gira sulla spina dorsale del (loro) mondo, le mamme putative hanno apparecchiato un futuro migliore.
Una preghiera per Giuda (Massimo Paolucci) 23/11
Cosa si è disposti a fare per proteggere il proprio onore? Quando diventa troppo tardi per essere artefici del proprio destino? Questi e altri interrogativi animano le vicende del film, la storia di due boss rivali che, a seguito della strategica scarcerazione di uno dei due, scateneranno un turbine di eventi, travolgendo, inevitabilmente, i membri delle proprie famiglie. Una lotta per l'onore e la vendetta che sarà prepotentemente ostacolata da un Colonnello dei Carabinieri testardo e ligio al dovere, che cercherà eroicamente la giustizia in un'originale - e a tratti divertente - alleanza con una ambiziosa agente della CIA in incognito.
L'odore della notte (Claudio Caligari) 20/11
Roma, tra novembre 1979 e febbraio 1983. Remo Guerra, un ragazzo di borgata, è un poliziotto che di notte aggredisce per strada persone benestanti derubandoli. Con lui ci sono Maurizio, amante della vita lussuosa e delle belle donne, e Roberto che Remo aiuterà a comprarsi un bar. I suoi complici sono inaffidabili. Così Remo deve far entrare nella sua banda Marco Lorusso, detto "il Rozzo", di cui però non condivide i metodi violenti. Remo è sempre più tormentato e desidera una vita normale accanto a una donna a cui però non può rivelare la sua identità. In più, capisce che la fine è vicina e non può sottrarsi al suo destino.
La Chimera (Alba Rohrwacher) 23/11
Ambientato negli anni '80, nel mondo clandestino dei "tombaroli", il film racconta di un giovane archeologo inglese coinvolto nel traffico clandestino di reperti archeologici.
Cento domeniche (Antonio Albanese) 23/11
Antonio Riva, operaio specializzato in prepensionamento, si reca in banca per prelevare dal conto su cui ha messo tutto ciò che ha. Non si è reso conto di aver tramutato le sue obbligazioni sicure in azioni a rischio, passando da risparmiatore ad azionista su consiglio di quella banca dove gli impiegati erano di famiglia, e che aveva sostenuto lo sviluppo dell’intero paesino sul lago di Lecco dove è nato e cresciuto. Quella banca, poi, mica può fallire, perché se fallisse “andrebbero a gambe all’aria tutti quanti”.
Il paese dei jeans in agosto (Simona Bosco Ruggieri) 23/11
Carlo Arato (Pasquale Risiti) ha 26 anni, ex concorrente di reality, ex vip, ora @IlCarlito, sedicente influencer alla perenne ricerca di soldi per farsi notare, altalena le sue giornate fra il ricordo di tempi migliori e le lamentele per un paese cafone che, come suo padre, non lo apprezza quanto dovrebbe. Luisa (Lina Siciliano), invece, di anni ne ha 28 ed era prossima alla laurea, fino a quando non si è ritrovata alla mercé del paese in perenne attesa che le accada qualcosa. Per uno strano caso del destino l'uno capiterà all'altra e viceversa: lui piace, ma non ha un soldo; lei ha i soldi, ma non piace. È così che @IlCarlito e @LaRosetti insieme decidono di puntare a tutto.
In fila per due (Bruno De Paola) 23/11
In un piccolo paese alle falde del Vesuvio, Germano (Andrea Di Maria), trentacinquenne pigro dal futuro lavorativo incerto, vive una tormentatissima storia d'amore con Sonia, sua coetanea tanto bella quanto gelosa e possessiva. Una scossa di terremoto di origine vulcanica, fa scattare il piano di evacuazione che prevede il trasferimento degli abitanti del paese verso un altro Comune gemellato. Abitando Sonia (Francesca Chillemi) in un comune diverso da quello di Germano, il giovane vede l'evacuazione come un'ottima opportunità per allontanarsi dalla gelosissima fidanzata che lo perseguita. La follia di Sonia, la noncuranza degli abitanti verso le regole di evacuazione, rendono il viaggio di Germano una vera odissea ricca di paradossali ed esilaranti situazioni, mete inaspettate ed incontri sorprendenti.
Mary e lo spirito di mezzanotte (Enzo D'Aló) 23/11
Mary è una bambina di undici anni appassionata alla cucina. La nonna la sostiene sempre, anche quando esaminatori saccenti non apprezzano i suoi piatti. Ma la nonna è anziana e subisce un ricovero in ospedale. Mary ne è addolorata ed aumenta nei suoi confronti le attenzioni da nipote affezionata, sostenuta in questo da una misteriosa giovane donna che è comparsa all’improvviso sul suo cammino.
Casanova opera pop - il film (Red Canzian) 27/11
Lo spettacolo di teatro musicale ideato, composto e prodotto da Red Canzian.
I limoni d'inverno (Caterina Carone) 30/11
Pietro Lorenzi è un professore di lettere in pensione e dopo il divorzio dalla moglie vive da solo in un bell’appartamento romano con un terrazzo che accudisce con cura, dedicandosi alle sue piante. Nell’appartamento di fronte a quello di Pietro si trasferisce una coppia più giovane: Luca, fotografo d’arte contemporanea, ed Eleonora, che ha studiato pittura e disegno all’Accademia ma ad un certo punto ha smesso di creare, “perché non era abbastanza brava”. Luca ed Eleonora custodiscono un dolore segreto e non riescono a parlarsi più: lei pensa che lui la dia per scontata, lui la vede sempre “incazzata col mondo”. Quando Luca parte per preparare una personale a New York, Eleonora e Pietro cominciano a frequentarsi, fra terrazzi e orti botanici, il bar sotto casa e un ristorante d’atmosfera
Palazzina Laf (Michele Riondino) 30/11
1997. All’ILVA di Taranto è appena avvenuta l’ennesima morte sul lavoro, ma Caterino Lamanna, operaio addetto ai lavori di fatica nell’industria siderurgia, è pronto a darne la colpa ai sindacati. Caterino è un cane sciolto che pensa al suo imminente matrimonio con la giovane albanese Anna e si fa i fatti suoi, finché Giancarlo Basile, dirigente dell’ILVA, non lo recluta per “farsi un giro e dirgli quello che succede” in fabbrica, e resoconti in particolare le attività del sindacalista Renato Morra, che infiamma gli animi degli operai e li spinge alla ribellione. Basile offre a Lamanna la promozione a caposquadra e l’auto aziendale, ma Caterino chiede di essere mandato alla Palazzina Laf pensando che sia un luogo di privilegio riservato a pochi eletti. In realtà è un edificio in disarmo, incrocio fra una riserva indiana, un manicomio e una prigione, dove sono rinchiusi in orario di lavoro i dipendenti qualificati che hanno fatto l’onda, e che quindi sono invitati a licenziarsi o ad accettare un incarico demansionato e incoerente con la loro preparazione.
Diabolik - chi sei? (Marco Manetti, Antonio Manetti) 30/11
Catturati da una spietata banda di criminali, Diabolik e Ginko si trovano faccia a faccia. Rinchiusi in una cella, senza via di uscita e certi di andare incontro a una morte inevitabile, Diabolik rivela all'ispettore il suo misterioso passato. Intanto, Eva Kant e Altea sono alla disperata ricerca dei loro uomini. Le strade delle due rivali si incroceranno?
La Guerra dei Nonni (Gianluca Ansanelli) 30/11
Gerri (Vincenzo Salemme) è un nonno attento e premuroso, vive con la famiglia della figlia, aiuta in casa e si prende cura dei suoi amati nipoti. In questo perfetto equilibrio familiare irrompe nonno Tom (Max Tortora), che dopo anni vissuti all'estero torna in Italia per trascorrere un po' di tempo con i nipotini. Esuberante e chiassoso, nonno Tom è pronto a infrangere ogni regola stabilita da nonno Gerri pur di realizzare i desideri dei bambini e conquistare il loro amore. Dall'incontro tra Gerri e Tom nascerà un'accesa competizione che darà vita a una serie di esilaranti sfide tra nonni, senza esclusione di colpi... e colpi di scena.
Con la grazia di un dio (Alessandro Roja) 30/11
Tornato a Genova dopo venticinque anni per partecipare ai funerali del migliore amico della sua giovinezza, Luca ritrova i vecchi compagni di un tempo. Tutti sembrano convinti che quella morte sia l'esito scontato di una vita di eccessi; tutti tranne Luca, che vuole vederci chiaro, indagare, capire. Scavando nella memoria, e in una città cambiata almeno quanto lui, lascerà riaffiorare fantasmi e verità che sembravano sepolte, insieme alla propria vera natura, che pensava di aver domato per sempre.
Doppia Coppia (Igor Biddau) 30/11
Il film parla di come sia difficile per due coppie di amici, amanti del trekking, avventurarsi sui ripidi sentieri dell'amore senza perdere per sempre l'amicizia. Così come, nel tentativo di conoscere meglio l'altro finiamo per conoscere meglio noi stessi, i quattro personaggi scopriranno quanto siano forti i legami che li uniscono solo quando questi sentimenti verranno messi alla prova.
Il paese del melodramma (Francesco Barilli) 30/11
Carlo Gandolfi (Luca Magri) è un bravissimo cantante lirico, la cui carriera si è bruscamente interrotta dopo la morte della moglie e della figlia. Da allora è un uomo alla deriva, in preda al vizio dell'alcol. La Morte in persona (Luc Merenda) decide che è il momento per lui di tornare a calcare le scene del palcoscenico: vuole che interpreti il "Macbeth" di Verdi e che sia perfetto. Altrimenti, lo porterà con sé nel suo regno.
Documentari
X Sempre Assenti (Francesco Fei) 03/11
Il film segue la rock band Verdena nella loro vita privata e nella preparazione del tour di Volevo Magia, disco che segna il loro rientro sulle scene dopo sette anni di silenzio.
Roma, santa e dannata (Roberto D'Agostino, Marco Giusti, Daniele Ciprì)
Un viaggio tra le notti romane in una città pazza e in continuo cambiamento.
Negramaro back home - ora so restare (Giorgio Testi) 06/11
Dopo 20 anni di successi, i Negramaro tornano a casa, a Galatina, in Salento, dove tutto è cominciato.
Giotto e il sogno del Rinascimento (Francesco Invernizzi) 06/11
L'arte visionaria di Giotto, il pittore che rivoluzionò la pittura a fresco con la propria narrazione figurativa a dir poco mozzafiato
Enigma Rol (Selma Dell'Olio) 06/11
Gustavo Rol chi è, soprattutto, cosa era costui? Il documentario si propone di ricostruire, attraverso molteplici testimonianze e ricostruzioni, sia di fiction che di animazione, la vita e l'attività di un uomo che per molti (e anche illustri) amici e frequentatori è stato dotato di capacità paranormali e per altri è stato soltanto un abile illusionista. Anselma Dell'Olio affronta un personaggio che, in qualche misura, ha riassunto in sé pregi e difetti di quelli che erano al centro dei suoi documentari precedenti. La regista lascia spazio sia a chi ne descrive le sorprendenti doti (utilizzate anche per proteggere la popolazione di San Secondo di Pinerolo dalle azioni dei tedeschi occupanti) sia a chi sta più dalla parte di Piero Angela che lo definì "un mediocre illusionista".
Io, noi e Gaber (Riccardo Milani) 06/11
Chi è stato Giorgio Gaber, per la musica italiana ma soprattutto per noi, che magari “non ci sentiamo italiani, ma per fortuna o purtroppo lo siamo”? È forse da questa domanda che è partito Riccardo Milani per raccontare uno dei cantautori più originali del nostro Paese, ma anche un teatrante, un filosofo, un pensatore politico e un “operatore culturale” nel senso più alto e nobile del termine. Gaber era “un intellettuale promiscuo”, come lo descrive Serra, “raffinato e popolare, di popolo e di élite”. Perché Gaber è stato immerso nel suo tempo sapendo sempre prevederne uno futuro. Milani entra a fondo nell’utilizzo che faceva Gaber della parola, fondamentale quando “dentro c’è la nostra vita”, e del suo “corpo scenico” che in teatro “sembrava posseduto”, rendeva “la parola visibile” e si trasformava in “melodia cinetica”. Io, noi e Gaber ricorda che ogni sua canzone aveva “uno spazio di incidenza”, cioè una volontà di intervenire sul reale trasformando la sua libertà in partecipazione.
Il popolo delle donne - il film (Yuri Ancarani) 13/11
Un monologo in cui Marina Valcarenghi, giornalista e attivista, ripercorre le sue esperienze in fatto di disparità di genere.
Il guerriero mi pare strano (Alessio Consorte) 15/11
Il film è incentrato sull'autenticità della statua del Guerriero di Capestrano, simbolo della Regione Abruzzo, rinvenuta a Capestrano nel 1934 e datata dagli archeologi VI secolo A.C.
La città delle sirene (Giovanni Pellegrini) 16/11
La notte del 12 novembre 2019 Venezia è stata colpita da una serie di inondazioni che hanno sommerso la città per una settimana. Partendo dalle immagini della sua casa e del suo studio allagati il regista racconta in prima persona cosa vuol dire convivere con l'acqua alta e come la sua città affronta la catastrofe. Ne scaturisce una riflessione sul vivere nella prima linea del cambiamento climatico che minaccia di far scomparire il nostro mondo.
DALLAMERICACARUSO - Il concerto perduto (Walter Veltroni) 20/11
Il 23 marzo 1986 Lucio Dalla teneva al Village Gate di New York un concerto di cui si pensava si fossero perse le riprese che ora vengono invece proposte in un'edizione restaurata e rimasterizzata. Ad esse si aggiunge in apertura la ricostruzione della creazione di "Caruso" avvenuta pochi mesi dopo a Sorrento. Un ritrovamento prezioso che, unendosi alla rievocazione di come è nato un classico della canzone, ci ricorda la grandezza di Lucio Dalla.
Kissing Gorbaciov (Andrea Paco Mariani, Luigi D'Alife) 24/11
Andata e ritorno dal 1988, quando da Melpignano partì il tour che squarciò la cortina di ferro tra Occidente e Urss, a suon di rock e punk.
Picasso - Un ribelle a Parigi - Storia di una vita e un museo (Simona Risi) 27/11
Scopo del film è mettere al centro del racconto proprio la grande magia dell'arte e uno dei luoghi dove meglio la si può apprezzare, il Museo Picasso di Parigi.
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Il contest video "Il mio territorio tra sviluppo e sostenibilità"
L’Azione di sensibilizzazione Il Sud #InRete con l’Europa: racconta con i tuoi occhi giunge alla settima edizione e organizza il concorso video "Il mio territorio che cambia, tra sviluppo e sostenibilità". La scadenza per far pervenire i video è stata prorogata al 30 giugno 2024. L’attività è volta a creare interesse e sensibilizzare i cittadini sul ruolo dell’Europa, della Politica di Coesione e degli interventi finanziati dal PO nelle regioni di appartenenza. L’iniziativa intende, dunque, stimolare i partecipanti a ragionare sulle ricadute attese, sui cambiamenti auspicati sul proprio territorio grazie all’attuazione degli interventi cofinanziati dal PON-IR. Destinatari dell'azione Il Contest video 2024 è suddiviso in due categorie di partecipanti: - Categoria Istituti scolastici: Comprende gli studenti, i gruppi o le classi di tutti gli istituti scolastici ubicati nei territori d'interesse. - Categoria singolo partecipante: Dedicata a tutti gli appassionati residenti nei territori d'interesse, che abbiano compiuto la maggiore età. La partecipazione è aperta a tutti i residenti nelle regioni oggetto degli interventi del PON-IR: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Tema del Contest 2024 Il tema dell’implementazione e dell’ammodernamento delle infrastrutture, in modo particolare nel Mezzogiorno, è sempre al centro del dibattito pubblico e dell’agenda politica. Un uso più efficiente dei mezzi di trasporto, delle infrastrutture, quali strade, reti e stazioni ferroviarie, porti e aeroporti, un’attenzione all’utilizzo di energie rinnovabili e al risparmio energetico nonché un controllo accurato delle reti idriche, consentono di perseguire l’indispensabile sostenibilità ambientale, senza la quale, siamo ormai tutti consapevoli, non sarà assicurato un degno futuro alle nuove generazioni. Si chiede ai partecipanti di realizzare un video che abbia come oggetto l’interpretazione del cambiamento, reale, avvertito o sperato, ispirato dalla tipologia di interventi finanziati dal Programma. Il video dovrà trasmettere riflessioni, sensazioni, ricordi, speranze, emozioni legati ai territori oggetto degli interventi del PON. La partecipazione all’Azione di Sensibilizzazione è aperta a tutti coloro che risiedono nelle regioni oggetto del PON-IR. Read the full article
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Nella rivolta dei disperati delle banlieue va in cenere la Francia della “fraternité”
I popoli del Sud globale guardano attoniti la nazione dei diritti umani, l’uguaglianza e lo Stato sociale. Parigi si è trasformata da una meta per il riscatto, a un posto torbido, diviso, che sdegna e isola gli ultimi (DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Vi sono luoghi che appartengono solo alla geografia, a scoloriti ricordi scolastici, o peggio ai pieghevoli delle agenzie di viaggio. Altri…
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Brancati's Prom: Una Notte di Glamour e Divertimento all'Istituto Comprensivo di Favara
L'Istituto Comprensivo "Vitaliano Brancati" di Favara ha fatto brillare i riflettori durante l'entusiasmante evento "Brancati's Prom", la festa di fine anno che si è svolta ieri sera, giovedì 8 giugno, nel suggestivo cortile all'aperto della scuola "Manzoni" di via Sant'Angelo. Gli studenti delle terze classi della scuola media hanno avuto l'opportunità di partecipare a una serata indimenticabile, arricchita da momenti di gioia, divertimento e glamour. L'atmosfera festosa ha avvolto l'intera manifestazione, con ragazzi, ragazze e docenti che si sono presentati elegantissimi, sfoggiando abiti da sogno e completi raffinati. La scuola si è trasformata in una location da favola, illuminata da luci soffuse e decorata con cura, creando un'atmosfera da vera prom americana. Gli studenti hanno avuto l'opportunità di partecipare a un'emozionante serata, esprimendo la loro personalità, stile e carisma. E ancora a sorpresa per tutte le docenti della scuola bouquet di fiori donati dai ragazzi dell'istituto. "Così ci fate emozionare. Questi tre anni sono volati. Siete cresciuti con noi. Non arrendetevi mai. Studiate perché ciò vi renderà grandi, sicuri, liberi e vi farà divertire" - ha detto la Dirigente Broccia. "Stasera abbiamo festeggiato, ma poi concentriamoci per gli esami". Durante "Brancati's Prom" è stata eletta la coppia di Miss e Mister Brancati, rappresentando un grazioso momento dell'evento. I vincitori hanno ricevuto il riconoscimento e l'ammirazione di tutti i presenti, diventando gli ambasciatori della grinta della scuola. "Per noi la Brancati è casa" - hanno detto in rappresentanza degli studenti. La serata è stata allietata dalla presenza di un DJ speciale, uno dei professori della scuola, che ha intrattenuto gli studenti con una selezione musicale coinvolgente e energica. I ritmi travolgenti hanno contagiato tutti, docenti compresi, che si sono uniti ai ragazzi sulla pista da ballo, creando momenti di condivisione e divertimento unici. La supervisione attenta della dirigente scolastica, prof.ssa Carmelina Broccia, dei docenti e del personale scolastico ha garantito il successo dell'evento, assicurando che tutto si svolgesse in modo sicuro e organizzato. La festa di fine anno "Brancati's Prom" ha segnato un'innovazione significativa per le scuole del territorio, offrendo agli studenti un'esperienza indimenticabile e promuovendo l'importanza della celebrazione e della condivisione dei successi scolastici. La serata si è conclusa con una sensazione di felicità e di soddisfazione, ance nei genitori, mentre gli studenti si portavano a casa ricordi preziosi di una festa indimenticabile. L'evento "Brancati's Prom" potrebbe diventare una tradizione annuale, offrendo alle future generazioni di studenti dell'Istituto Comprensivo "Vitaliano Brancati" l'opportunità di vivere un momento magico durante il loro percorso scolastico, condividendo risate, balli e un senso di appartenenza unico. Read the full article
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Ancona: Riapre la scuola De Amicis, dopo 16 mesi i bambini tornano in classe
Ancona: Riapre la scuola De Amicis, dopo 16 mesi i bambini tornano in classe. Questa mattina la scuola primaria De Amicis di Ancona ha riaperto i battenti, a sedici mesi di distanza dalla chiusura per i lavori di adeguamento sismico dell'edificio. La riapertura è stata festeggiata con una breve cerimonia alla presenza di oltre trecento bambini, dei loro familiari, del personale docente e delle autorità locali. L'inaugurazione si è svolta davanti all'ingresso dell'edificio, in corso Amendola, nel quartiere Adriatico dove la scuola è stata costruita nel 1929. Alla cerimonia di inaugurazione hanno preso parte il sindaco di Ancona Valeria Mancinelli, gli assessori alle Politiche Educative Tiziana Borini, ai Lavori Pubblici Paolo Manarini, alle Manutenzioni e Partecipazione democratica Stefano Foresi e la dirigente dell'Istituto comprensivo Lucia Cipolla. Ad aprire la cerimonia sono stati gli studenti delle scuole medie Pascoli e Leopardi, indirizzo musicale, che hanno eseguito l'inno d'Italia e l'inno d'Europa. "Oggi è una bella giornata perché la scuola De Amicis riapre. Rappresenta un pezzo di storia, e non quella scritta sui libri ma quella della vita quotidiana di generazioni di anconetani. Da oggi i bambini potranno vivere in una scuola più sicura. Un altro obiettivo raggiunto dopo l'intervento alle Mercantini di Palombina Nuova, alle Socciarelli al Pinocchio e in altri edifici scolastici. Grazie ai fondi PNNR sono in corso molti nuovi interventi", ha dichiarato il Sindaco Mancinelli. L'Assessore alle Politiche Educative Tiziana Borini ha invece ringraziato tutto il personale scolastico e comunale e le famiglie per la loro collaborazione e ha salutato e ricordato i precedenti dirigenti che si sono avvicendati alla guida delle scuole De Amicis: Maria Luisa Mondaini, Anna Maria Alegi, Angelica Baione, Maurizio Fanelli, Vincenzo Marinelli, Edoardo Monticelli Cuggiò e Daniela Romagnoli. Anche l'assessore ai Lavori Pubblici Paolo Manarini ha sottolineato l'importanza di questo intervento: "L'edificio di corso Amendola torna a ospitare la comunità scolastica dopo un complesso lavoro di ristrutturazione, svolto con lo scopo di raggiungere l'adeguamento sismico”. Sono state completamente ristrutturate le aule e tutti gli arredi, mentre le porte storiche con l'oblò in vetro, seppure ristrutturate, sono originarie. Nuova è anche la pavimentazione, in similgraniglia con greche che richiamano i colori originari. Per l'efficientamento energetico sono stati anche inseriti nuove plafoniere a led e sensori di presenza per l'illuminazione. L’assessore Tiziana Borini ha quindi invitato tutta la città alla mostra fotografica dedicata alla storia della scuola che si terrà domenica 26 febbraio dalle 11.00 alle 13.00. Nel pomeriggio di sabato 25 febbraio, dalle 17.00 alle 19.00, all'interno del plesso De Amicis sono stati invece invitati gli ex alunni a partire dagli anni '50 a oggi per uno scambio di ricordi e testimonianze nello spazio arredato per l'occasione. Si comunica infine che, per permettere ai fornitori di consegnare i pasti per il servizio mensa del quale fruiscono i bambini del tempo pieno e prolungato, in attesa della fine dei lavori, sarà attivo il servizio carico e scarico (e quindi il divieto di sosta per tutti gli altri) nella intersezione tra corso Amendola e via Cesare Battisti.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Sabriel
Scheda informativa
Titolo originale: Sabriel
Primo capitolo de: Trilogia del Vecchio Regno
Autore: Garth Nix
Editore: Fazi Editore
Prima edizione: 2022
Pagine: 347
Prezzo: € 18,50
Trama
Sabriel studia in un prestigioso college per sole ragazze non lontano dal Muro che divide il territorio di Ancelstierre dal magico e pericoloso Vecchio Regno, dove suo padre ricopre la carica di Abhorsen, il protettore che ha il compito di impedire ai morti di tornare nel mondo dei vivi. Da quando la famiglia reale è decaduta, i morti sono diventati sempre più forti e intrepidi, minacciando di sopraffare l’intero regno. Quando il padre di Sabriel viene imprigionato nel mondo della Morte da una pericolosa creatura, la ragazza si mette in viaggio per salvarlo. Lungo la strada, troverà come compagni di viaggi Mogget, un antico spirito costretto nella forma di un gatto bianco, e il giovane mago Touchstone, che verrà liberato da un incantesimo durato decenni ma rimarrà intrapolato sotto il peso di dolorosi ricordi. Ogni passo nelle profondità del Vecchio Regno li avvicinerà a minacce mai viste prima, che costringeranno Sabriel ad affrontare il proprio destino in una battaglia con le vere forze della morte. Chi proteggerà i vivi quando i morti torneranno?
Recensione
Ricorda, pellegrino, diffida della notte e abbraccia il mattino.
Sabriel è la storia di un viaggio. Un viaggio fisico, dal Wyverly College a Belisaere, affrontando i pericoli del Vecchio Regno, ma anche un viaggio di crescita personale per la protagonista, che da studentessa con le basi della magia avanzata si ritrova a imparare velocemente i doveri di Abhorsen.
Viaggia senza rimpianti, non voltarti indietro.
Per tutto il viaggio Sabriel è incerta su cosa fare, anche se può sempre contare sulle conoscenze di Mogget e di Touchstone, ma impara molto di più di quanto abbia mai imparato durante gli anni scolastici.
Aveva imparato ad affrontare le conseguenze... ma non l’evento in sé.
E, questo, è qualcosa che affrontiamo tutti nel nostro percorso di crescita, motivo per il quale si tratta di un romanzo fantasy ma, anche, di un libro da cui si pu�� imparare.
Valutazione
★★★★★ 5/5
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“ A casa nostra Santa Lucia non si festeggiava mai. Papà diceva sempre che la sua famiglia si poteva permettere di regalare solo qualche arancia e una manciata di zucchero, se andava bene. «Però è comunque più di quanto non riceva io», protestavo. Ogni anno ero costretta a sorbirmi la lista dei regali che i miei compagni ricevevano da Santa Lucia. La maestra voleva ascoltarci uno a uno. Non sapevo mai che raccontare, così mi eclissavo in bagno poco prima del mio turno. Sapevo che la santa, protettrice degli occhi, premiava solo i bambini bravi. E io ero “una buona nulla”. Mia madre si assicurava di ricordarmelo ogni sabato pomeriggio, quando schizzavo via con la bici invece di aiutarla a fare i mestieri. Una di quelle volte feci una lunga corsa fino al centro di Bergamo, in via XX Settembre, per piazzare la mia letterina sulla bara di Santa Lucia. Parcheggiai la mia mountain bike scassata sul sagrato e mi precipitai nella chiesetta, solo per trovarmi davanti una coda infinita. Dozzine di bimbi e genitori in attesa di salutare la santa e consegnarle la lettera coi desideri. Io ero l’unica bambina a non essere accompagnata. Quando venne finalmente il mio turno, congiunsi le mani e strizzai gli occhi in preghiera: «Cara Santa Lucia, lo so che non dovrei buttar giù dalle scale tutti i cani neri. Che la devo smettere di fare la pipì a letto e la cacca in giardino. Ti prometto che quest’anno sarò brava e non farò più arrabbiare mamma e papà. Giurin giuretta». Aprii gli occhi e mi trovai faccia a faccia con Lucia. Una statua di marmo distesa sulla bara di vetro, come Biancaneve. L’iscrizione recitava: «Santa Lucia, vergine e martire, morta a vent’anni per amore del Signore». Infilai la mia busta nella buca della posta e le soffiai un bacio. Eppure anche quell’anno non ricevetti nulla. Temevo che in fondo mia madre avesse ragione. “
Marilena Umuhoza Delli, Negretta. Baci razzisti, Red Star Press (collana Tutte le strade), 2020.
[ Libro elettronico ]
#Marilena Umuhoza Delli#Negretta. Baci razzisti#libri#letture#citazioni letterarie#razzismo#leggere#Bergamo#Italia#letteratura italiana contemporanea#discriminazione#immigrati#narrativa italiana contemporanea#Lombardia#scuola#occhi#festa di Santa Lucia#ricordi scolastici#insegnanti#povertà
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Ed eccoci arrivate al tuo ventiduesimo compleanno. Non avrei mai pensato che la nostra amicizia sarebbe durata nel tempo, non perché non ci volessimo bene ma perché avevamo preso strade diverse e invece eccoci qui. Siamo cresciute insieme tra alti e bassi, tra pianti e risate. Di grasse e belle risate che mi hanno fatto uscire dal mio periodo buio, dove mi hai sorretto e questo non lo dimenticherò mai. Mi sei stata accanto pur non conoscendo del tutto quello che stavo passando perché ero troppo impaurita a raccontare quello che mi stava accadendo e non avevo nemmeno la forza di esternare quello che stavo provando, forse per paura che mi giudicassi o perché avevo paura di perderti. Mi hai aiutata a stare a galla. Come ti ripeto sempre, gli ultimi anni scolastici passati insieme, mi hanno salvato la vita. Non credevo che avrei mai trovato la forza di andare avanti e come vi ho già detto avete portato il sole nelle mie giornate di pioggia. Ero finalmente felice. Felice di avere voi che mi supportavate ad ogni mio passo. Quindi ti sono grata per avermi fatto da faro nelle giornate buie, sei stata come la stella polare che indica il nord. Così ho finalmente capito di avere trovato un’altra sorella, qualcuno di cui potermi fidare spudoratamente senza la paura di essere giudicata. Anche per questo sono qui a scrivere questo messaggio (che ovviamente definirai una romanzo faccina che ride) per farti capire quanto vali nella mia vita. Ora che sono di nuovo sull’orlo del precipizio il tuo buongiorno o quelle chiamate stupide che facciamo su FaceTime mi stravolgono la giornata, il dolore non svanisce ma si allevia. E sì, di nuovo come allora, non riesco ad affrontare i miei sentimenti e parlarne mi fa davvero male ma stando insieme è come se non fosse successo nulla come se ritornando a casa lei sia di nuovo lì ad spettarmi. Ma non voglio rattristarti con le mie parole nel giorno del tuo compleanno voglio solo esprimere tutta la gratitudine, l’orgoglio, il rispetto che provo nei tuoi confronti. Mi troverai sempre al tuo fianco e come hai sempre fatto tu ti sorreggerò, ti starò vicina anche senza parlare perché pur stando in silenzio diciamo un sacco di cose.
Ti auguro tutto il bene e la felicità di questo mondo perché te la meriti. Ti voglio un mondo di bene sorella mia! Tantissimi auguri di buon compleanno!
PS: L’altra volta ho sentito una canzone che mi ha ricordato la nostra amicizia, siccome so che se ti scrivessi il titolo non l’ascolteresti perché sei pigra (faccina che ride) ti scrivo il mio verso preferito già tradotto in italiano:
Un giorno, quando la fama svanirà
Resta
Resta al mio fianco
Per l’eternità, resta
[…]
Più a lungo
Di sette estati e freddi inverni
Più a lungo
Di numerose promesse e ricordi
친구-BTS
사랑해 (cuore)
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Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto. Con questa frase divenuta storia della letteratura inizia Neuromante, romanzo del 1984 considerato ancora oggi il manifesto della cultura cyberpunk. L’autore era un giovane scrittore che in breve divenne il simbolo di questa corrente della fantascienza letteraria: William Gibson. La nascita di Neuromante è parte di una vita incredibile, iniziata il 17 marzo 1948 e che ha portato Gibson a confrontarsi in modo diretto con l’anima profonda degli States della seconda metà del ‘900.
Parlare della narrativa di William Gibson non significa disquisire solamente di cyberpunk. Pur essendo quest’ultimo una parte centrale nella sua carriera autoriale, si tratta di una tappa della vita del romanziere americano, che è arrivato alla definizione di questo genere grazie al suo vissuto personale. Può sembrare un’affermazione scontata, ma quando parliamo di cybperunk dobbiamo andare oltre la pura estetica per analizzare i tratti essenziali di questa sci-fi sociale, che sono presenti nelle opere di Gibson in modo evidente proprio grazie alle esperienze formative dello scrittore.
I primi anni di William Gibson
Nato a Conway, nella Carolina del Sud, William Gibson apparteneva a una famiglia della media borghesia, che viveva tra Conway e Wytheville, in Virginia, città natale dei genitori. Per via del lavoro del padre, Gibson ebbe un’infanzia movimentata, che trovò una prima stabilità quando in seguito alla morte accidentale del capofamiglia i Gibson si trasferirono definitivamente a Wytheville. Nei ricordi di Gibson, questa cittadina è uno spaccato dell’America del periodo:
“Un luogo in cui la modernità era arrivata in qualche modo, ma era ancora profondamente malvista”
In questo luogo, Gibson trova la propria evasione nella lettura di opere di fantascienza. Di carattere schivo e poco socievole, il futuro scrittore vede in queste avventure future una propria via di fuga, maturando la decisione di volere diventare scrittore. Gli studi, però, non sono particolarmente buoni, considerato che la maggior del tempo Gibson lo passa tra l’ascolto di musica e la lettura, avvicinandosi anche ai grandi maestri della Beat Generation, come Ginsberg, Kerouac e Burroughs.
Queste lettura sono una via di fuga per un ambiente che lo stesso Gibson definì chiuso e problematico, in cui non riusciva pienamente a integrarsi, lottando spesso con la madre, poco soddisfatta dai suoi risultati scolastici. Una situazione che si protrasse sino alla morte della madre di Gibson avvenuta nel 1966, in seguito alla quale abbandonò definitivamente gli studi e decise di girare il mondo, avvicinandosi sempre di più agli ambienti della controcultura, vagando per l’America e arrivando anche in Europa. Ma come ogni giovane americano del periodo dovette affrontare un momento di svolta: la chiamata alle armi per la Guerra del Vietnam.
L’età adulta e la scoperta del mondo
Durante il colloquio con i reclutatori, William Gibson cercò di evitare di prestare servizio sostenendo che il suo unisco scopo nella vita fosse quello di provare qualunque sostanza di alterazione mentale esistente. Senza attendere il risultato del colloquio, Gibson prese un pullman per il Canada, in modo da sfuggire alla leva obbligatoria. Alla base della sua decisione non c’erano motivi di natura morale, ma la voglia, come disse lui stesso nel documentario biografico No Map for These Territories, di provare l’esperienza delle comuni hippie e di consumare erba.
“Quando iniziai a scrivere, mi vantai di avere evitato la leva quando non avrei dovuto. Fuggì in Canada con la vaga idea di sottrarmi alla leva, ma non era stato arruolato quindi non ricevetti mai la chiamata. Non so cosa avrei fatto se mi avessero chiamato, non ero totalmente in me all’epoca, ma se mi avessero arruolato, probabilmente avrei pianto e sarei partito. Anche se ovviamente non mi sarebbe piaciuto”
La sua esperienza canadese, comunque, fu traumatica. Gibson entrò in contatto con la comunità dei fuggiaschi americani, riscontrando una dilagante depressione, consumo di droghe e un alto tasso di suicidi. Nuovamente insoddisfatto, William Gibson si mise in viaggio con un’amica, Deborah Jean Thompson, con cui girò l’Europa, prima di tornare a Vancouver nel 1972 e mettere su famiglia con la Thompson.
Con l’arrivo del primo figlio, a badare alle spese fu la Thompson grazie a uno stipendio da insegnante, mentre Gibson cercava di contribuire con piccoli lavoretti, alternandoli allo studio presso la University of British Columbia, laureandosi in Letteratura Inglese. In questo periodo ricomparve la sua vecchia passione:
“Nel 1977, affrontando per la prima volta la paternità e una totale assenza di entusiasmo per qualunque cosa fosse ‘carriera’, mi ritrovai a rispolverare la mia vecchia passione per la fantascienza. Allo stesso tempo, arrivavano da New York e Londra delle nuove sonorità. Il Punk per me fu come l’esplosione di un proiettile a lento rilascio sepolto in profondità nel fianco della società da almeno un decennio, e lo presi come un segno. Così inizia a scrivere”
Il cyberpunk si stava iniziando a manifestare.
Sprawl, zaibatsu e iperconnessione
I primi lavori di Gibson erano ambientati in un futuro prossimo, i cui elementi principali erano la cibernetica e il cyberspazio. Ad animare le idee di Gibson era la coscienza maturata con la lettura dei grandi nomi della Beat Generation, cui si unì la percezione della vita economica e sociale americana. Come disse Bruce Sterling, altro nome celebre del cyberpunk, con Neuromente Gibson aveva compiuto un passo fondamentale nel definire l’anima del genere:
“Il suo stupefacente primo romanzo, Neuromante, che ha vinto tutti i premi del settore nel 1985 ha dimostrato la sua impareggiabile capacità di localizzare con precisione i punti nevralgici della società. L’effetto è stato quello di una scossa elettrica, che ha contribuito a svegliare la science fiction dal suo letargo dogmatico. Uscita dall’ibernazione, sta sbucando dalla sua caverna nella viva luce solare del moderno spirito dei tempi”
Il mondo futuro di Gibson comprendeva uno strapotere economico stratificato, in cui la tecnologia era divenuta un elemento di ulteriore divisione per la popolazione. Un fondamento della dialettica di Gibson, che lo stesso autore identificò in un principio:
“Il futuro è già arrivato. Solamente non è ancora stato uniformemente distribuito”
L’estetica cyberpunk definita da WilliamGibson e dai suoi sodali californiani, come Sterling, nasceva proprio da questo elemento. Figli della controcultura, gli autori cyberpunk dipinsero un mondo in cui le debolezze del presente darebbero divenute le basi di un futuro cinico e iniquo fatto di neon, zaibatsu e iperconnessione. Una definizione del domani che non era presente solamente in Neuromante, ma era comparsa già nei primi lavori di Gibson e rimase fedele a se stessa anche in altre opere, da Mona Lisa Cyberpunk a La notta che bruciammo Chrome.
Attorno a questo ritratto del futuro, si sedettero anche altri autori che seguendo il sentiero tracciato da Gibson diedero vita a un movimento letterario visto come una rivoluzione della sci-fi non solo letteraria, ma anche cinematografica. Basandosi sugli scritti di Gibson modellò un nuovo immaginario visivo, come accaduto con Blade Runner.
Si discute spesso su chi sia il vero padre del cyberpunk, a chi si possa attribuire la paternità di questa profonda spaccatura in seno alla fantascienza tradizionale, e sebbene Gibson non sia l’inventore del termine, coniato nel 1983 da Bruce Bethke, è universalmente riconosciuta la sua fondamentale opera di definizione dei canoni del genere, come ricorda Sterling:
“Con Gibson sentiamo parlare un decennio che ha finalmente trovato la sua voce. Non è un rivoluzionario che batte i pugni sul tavolo, ma un rinnovatore dotato di spirito pratico. Sta aprendo i corridoi stagnanti della letteratura fantascientifica per farvi entrare l’aria fresca delle nuove conoscenze: la cultura degli anni ‘80, one la sua bizzarra e crescente integrazione di moda e tecnologia”
Nelle parole di Sterling si evidenza il dono di sintesi della prosa di Gibson, che trova un perfetto equilibrio tra l’immaginario e il possibile, anticipando alcune delle dinamiche socio-evolutive attuali, identificandole con quarant’anni di anticipo, grazie a un acuto senso del proprio tempo e osservando con occhio attento i fenomeni suoi contemporanei.
L’evoluzione del cyberpunk di Gibson
Una caratteristica che lo ha portato anche a evolvere il proprio concetto di cyberpunk. Il futuro ritratto nella Trilogia dello Sprawl non è rimasto un’entità monolitica, ma è mutato all’interno della narrativa di William Gibson, che nella Trilogia del Ponte e nel Ciclo di Bigend si emancipa da una visione iper-violenza e asservita alle dipendenza per assumere un tono più umanistico, perdendo anche il tratto tipico di iper-connettività in favore di un accesso alla rete più vicino a quello odierno.
La valenza narrativa di William Gibson non rimase vincolata solo all’ambito letterario. Se uno dei suoi primi racconti, Johnny Mnemonic (1981), divenne la miglior rappresentazione del cyberpunk cinematografico nel film omonimo, non meno ambita era la verve narrativa del romanziere americano, considerato un innovatore. Al punto che anche una saga cinematografica del calibro di Alienaveva visto in lui un possibile rinnovatore, ma fu lo stesso Gibson a riconoscere un limite in questa potenziale collaborazione:
“Ho letto in seguito che i produttori mi avevano scelto non tanto con l’intento di ottenere da me una sceneggiatura efficace, quanto di ricavare dal mio lavoro una certa suggestione cyberpunk che potesse poi essere integrata nelle vera sceneggiatura scritta da qualcun altro.”
Un riconoscimento, se vogliamo, alla capacità analitica e di convergenza narrativa dello scrittore americano. William Gibson oggi si trova a vivere parzialmente in quel mondo da lui immaginato quarant’anni fa, che non ha smesso di osservare con sguardo attento:
“Io per primo ero sempre a dir poco perplesso per l’assenza negli anni Novanta di scenari men che meno ottimistici sullo sviluppo della rete. La parola ‘disruption’ era sulla bocca di tutti, la distruzione del mondo come lo conoscevamo era una prospettiva di cui tutti sembravano ben lieti. C’era una cera compiaciuta fiducia che questo cambiamento fosse una cosa buona di per sé. Mi colpiva – e mi lasciava ancora più perplesso – anche notare come le persone che più sostenevano queste opinioni fossero anche fan dei miei romanzi. Eppure, io ho sempre fatto di tutto per descrivere i risultati complessi e problematici di quelle tecnologie che hanno finito per assomigliare a internet”
Potete avventurarvi nel cyberpunk leggendo Cyberpunk: Antologia Assoluta, antologia che contiene anche Neuromante.
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Ho ritrovato foto di vecchi viaggi: personali, scoutistici, scolastici.
Pian piano ve le farò vedere tutte. Quanti ricordi ☀️
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LA CASSA E’ DOVE HAI IL CUORE
Seneca, lettera a Lucillo.
Il tuo spirito devi mutare, non il cielo sotto cui vivi. Anche se attraversi il vasto oceano, anche se, “ti lasci dietro terre e città”, dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi. Disse Socrate ad uno che si lamentava per lo stesso motivo: “perché ti meravigli che non ti giovino i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; ti incalza cioè sempre lo stesso male che t’ha spinto fuori.” Che giovamento può darti la varietà dei paesaggi o la conoscenza di città e luoghi nuovi? Tale sballottamento non serve a nulla quindi perché tu non trovi sollievo nella fuga? Perché tu fuggi sempre in compagnia di te stesso.”
Questo luogo non è casa mia
-" Signor Nicola, le abbiamo trovato casa"
era sovraeccitata la signorina dell'agenzia cui mi ero rivolto per trovare un appartamento dopo la separazione da Angela.
-"Proprio il tipo di appartamento che ci aveva chiesto, un piccolo bivani con servizi 50mq circa”
a dire il vero era anche troppo, non volevo un appartamento cosi grande per le mie esigenze, ma tant'è che dopo un mese e mezzo di pellegrinaggio dal lavoro a casa di mia madre, in sostanza 100 km al giorno, era davvero una bella notizia.
-"Quanto chiedono al mese?"
- “500, è arredato e completo di tutto"
Si affrettò a dire la signorina con quella voce stridula che mi stava perforando il timpano.
-"l'appuntamento per vedere la casa è per oggi pomeriggio alle 16,00, lei è libero per quell'ora?"
-" L'appartamento è in ottimo stato? Chiesi
-"Praticamente nuovo" si affrettò a dire.
-"Allora passo direttamente domattina per firmare il contratto, mi fido di lei."
Con quella voce, non poteva che essere una persona scrupolosa e sentivo di potermi fidare, ma la freddai con quella risposta, quando mi salutò la sua voce era precipitata dentro ad un imbuto. Avevo una cosa più importante da fare per il pomeriggio; andare a correre.
Gli odori più intensi che mi fanno ricordare la casa dei miei genitori, sono senza dubbio legati a mio padre. La brillantina Linetti che immancabilmente ogni mattina si metteva nei capelli e l’acqua Velva dopo ogni rasatura mattutina, riti quotidiani di un uomo di altri tempi, odori forti che rimanevano nell’aria per un’intera giornata e a ogni suo rientro svanivano, erano una magia che allora non riuscivo a capire, era la sua assenza che in alcune circostanze era anche prolungata, che si perpetrava rimanendo nell’aria. I rumori che ogni tanto mi capita di risentire nella mente appartengono a mia madre, il suo ciabattare nella casa, il battipanni sui tappeti stesi, la lucidatrice passata ogni sabato mattina, rumori di stoviglie in cucina. Siamo legati a odori, profumi, che ci ricordano una persona, e quando questa non c’è più, ecco che ritorna ogniqualvolta ci ricordiamo il profumo che ci lega a essa. Tutto questo sparpagliato in qualsiasi delle case dove abbiamo abitato ogniqualvolta mio padre cambiava destinazione.
L’appartamento come mi ero immaginato era un po’ troppo grande per le mie esigenze di single, ma andava bene lo stesso, poi non sono certo il tipo di innamorarmi di una casa, una vale l’altra, l’importante è aver recuperato la mia autonomia, per la mia autostima invece ci vorrà sicuramente un po’ più di tempo. Il tempo necessario di prenderne possesso ed è come se ci abitassi da un’eternità', non sento assolutamente l’ebbra del nuovo, ci sono assolutamente avvezzo ormai dalla nascita. Ora mi ritrovo nel nuovo ed ennesimo appartamento da solo, dopo solo due anni di convivenza con Angela, andati a convivere al volo solo dopo pochi mesi che c’eravamo conosciuti, il rapporto a distanza non aveva funzionato, una disadattata come e per certi versi peggio di me, ci aveva unito proprio il nostro sentirci diversi dal resto del mondo, lei precaria della scuola faceva la pendolare dove capitava la supplenza, io Ispettore di polizia con i miei turni eravamo diventati da li a poco due estranei. Infatti, ci lasciammo senza rancore, consapevoli che i nostri desideri non abitavano più sotto lo stesso tetto.
Il pendolare fatto per un bel pezzo di tempo dal lavoro alla casa di mia madre, mi aveva ridotto la schiena a pezzi, così da un paio di settimane avevo ricominciato a correre, cosa che facevo tanto tempo fa', in tutte le ore del giorno che mi era disponibile, anche all’alba sia d'estate sia d'inverno, e nel periodo in cui dovetti staccare, mi sentivo un goffo ippopotamo, e neanche quando finalmente l'agenzia mi trovò l'appartamento e la ritrovata libertà di movimento, mi avrebbe fatto desistere di andare a fare la mia solita corsetta di un'ora mezza circa. La casa si trovava nello stesso comune di residenza, dove abitava mia madre a circa 20 km, di distanza, fuori dal centro urbano, cosa che avevo espressamente chiesto all’agenzia, e a circa 50 km, ma in un altro comune, da mio fratello maggiore, la via “di casa” era ricostruita in poco meno di 70 km eravamo tutti lì, dopo che per un bel po’ di anni eravamo sparsi in giro per l'Italia, io con il mio lavoro, mio fratello con il suo, l'unica a rimanere "stanziale" era stata mia madre, che da quando rimase sola, aveva cambiato casa solo una volta, e aveva più di vent'anni che abitava nella stessa, un record per lei che aveva seguito mio padre in giro per lo stivale ovunque cambiava caserma città e casa, adattandosi con straordinario senso pratico, forza di volontà unita a una semplicità unica e a un carattere aperto e gioviale. Del resto sapeva benissimo del lavoro di mio padre, carabiniere negli anni che dal boom economico andavano verso il boom delle bombe e del terrorismo. Del resto la mia era una decisione saggia, mia madre andava lentamente ammalandosi, una malattia subdola che cancella la memoria, a poco a poco senza neanche accorgersene, tornava sempre più bambina anche se ancora non è nella sua massima degenerazione, ma trovavo necessario non allontanarmi più di tanto.
Adesso che ero rimasto praticamente da solo, con i miei quarant'anni, che cerco lentamente di recuperare quella famosa autostima che è precipitata dentro un pozzo senza fondo, avevo dentro di me quella sensazione di fallimento che mi aveva investito dopo la separazione da Angela.
A differenza dei miei amici e colleghi che ho conosciuto in tutta la mia vita in qualche modo mi sentivo diverso, nel senso che mi sentivo uno "sradicato" cioè non appartenente a un posto a un luogo, quel senso di appartenenza a una terra che penso sia tipico di ogni individuo, con i propri personalissimi ricordi legati agli amici di sempre, dall'asilo passando all’elementare per finire alle medie, cresciuti insieme giocando litigando, dividendo tutto il bello e il brutto, le prime cotte, l'amore per la stessa ragazza, le cazzate che man mano si cresceva si facevano, niente di tutto questo, o per meglio dire c'era un po' di tutto ma diluito nel tempo e soprattutto in posti diversi, con gente diversa via via che passavano gli anni e si cambiava città. Infatti, a differenza delle persone che conosco, io, a parte qualche eccezione, non ricordo i nomi dei compagni di scuola dall’asilo alle elementari e di tantissimi altri che ho via via conosciuto nelle mie età con le tante scuole cambiate, in alcuni anni anche nello stesso anno scolastico, mi ritrovo con vecchie foto in bianco e nero che fin da giovanotto a tutt’oggi quando capita di riprenderle in mano e le guardo, ebbene, non ce n’è uno, dico uno che ne ricordassi il nome né tantomeno il cognome. Quei volti per me e come se fossero tutti uguali, anche se di città, scuole e anni scolastici diversi, è come se avessero la stessa faccia con dei nomi diversi che io non ricordo, e questo mi da motivo di sentirmi sempre più uno sradicato. A oggi non c’è un posto dove possa dire; “Questo luogo è casa mia”.
Ce ne era uno che lo avevo eletto posto ideale ed era in campagna dai nonni materni, lo raggiungevo dopo chilometri con la bici sulle stradine sterrate di campagna, arrivavo in un posto dove c'era un'enorme quercia e li mi fermavo a riprendere fiato. Come quel giorno che avevo otto anni, ci arrivai facendo un giro ancora più lungo e quando arrivai dopo aver preso delle more mi fermai a mangiarle e mi distesi sotto la quercia addormentandomi. Mi svegliarono il canto assordante delle cicale, non si sentivano a chilometri di distanza altri rumori, e dalla luce capii che si era fatto tardi, troppo per la mia età mio padre tornando dal lavoro mi avrebbe sicuramente rimproverato, corsi cosi velocemente che mi voltai per vedere l'enorme nuvola di polvere che lasciavo alle mie spalle. Da lontano intravedo la casa dei nonni e stranamente tante troppe figure nella stradina, pensai che mia madre in preda al panico avesse coinvolto mezzo paese cercandomi, infatti vidi mio fratello di cinque anni più grande di me, secco come una carruba che gli dava quella sensazione di essere più alto di quanto in realtà lo fosse, sulla strada che agitava le braccia che sembravano i lunghi rami di uno spampinato pioppo, come a voler dire a qualcuno che ero arrivato. Quando mi avvicinai, mi accolse con la sua solita espressione di sempre.
- “Eccolo, la benemerita testa di cazzo è arrivata”.
Non capivo tutta quella gente la mamma davvero aveva coinvolto il paese per cercarmi? Pensavo. Mi tolse il dubbio mio fratello con il suo solito modo di fare a dir poco fin troppo esplicito,
-"Hanno ammazzato Papa". Vai da mamma che ti vuole vedere".
Mia madre era chiusa in stanza con lei ci stavano solo la vecchia zia, la nonna e una vicina di casa, mi vide e mi abbracciò, aveva gli occhi rossi dal pianto, chissà quando era successo e da quanto tempo piangeva, mio padre non c'era, era nella camera mortuaria dell'ospedale soltanto l'indomani pomeriggio portarono la salma. Era stato ucciso insieme con un altro collega da due terroristi.
Sono entrato in polizia dopo essermi diplomato non senza molte difficoltà, per sete di giustizia, non cercavo certo vendette chi aveva ucciso mio padre avevano già da qualche tempo saldato le sue colpe, uno ucciso durante un tentativo di rapina dopo che era riuscito a evadere dal carcere dove era stato condannato per l’omicidio di mio padre e del suo collega, e l’altro ammazzato in carcere da un regolamento di conti interno alla loro organizzazione. Quando mio padre entrò nell’arma era un periodo tranquillo che nel giro di un decennio portò al terrorismo con tutte le sue gravi conseguenze che mi toccarono molto da vicino, quando sono entrato io l’emergenza erano gli ultrà, gente che si odiava senza motivo senza neanche conoscersi, dietro la maschera della fede calcistica, un’assurdità che non sono mai riuscito a capire ed io che nei primi tre anni ero al reparto celere ne prendevo atto in presa diretta, anche con conseguenze fisiche come quella volta che presi una coltellata a una coscia.
Ho provato qualche volta, con risultati ovviamente scadenti, di parlare con mio fratello di questa mia condizione, se anche lui provasse quello che provavo io, ma in lui a parte qualche eccezione non c’era traccia, sarà che la sua età lo aveva aiutato, quei cinque anni in più gli avevano lasciato maggiore ricordo dei nomi dei suoi amici, ma sono sicuro che anche lui avesse qualche dèfailiance e che non se ne curava più di tanto lui volendo i suoi amici grosso modo soprattutto quelli della scuola se li ricordava abbastanza bene, ma del fatto di non sentire “quel luogo” che ricondurrebbe a tutta una vita vissuta quella proprio non ne sentiva l’esigenza. Quindi mi chiedevo ero io il problema? Perché questa esigenza?
E' questo il cruccio che mi porto dietro, siamo più o meno legati a dei posti con persone che conosciamo da sempre, invece io personalmente mi sentivo anche nell'anima uno "sradicato" e non c’è niente di peggio di sentirsi cosi. E' giunto il momento di cercare di mettere un po' d'ordine dentro di me e ritornare a poco a poco nei luoghi dove sono stato fin da piccolo, o quantomeno in quelli in cui c'è traccia di memoria dentro di me. Era da un bel po’ di tempo che ci pensavo, ma il lavoro mi rubava sempre del tempo, ora che la libertà di movimento non mi manca sapendo di avere tre giorni di ferie non godute andrò per cominciare in quelli più vicini ma più lontani nel tempo.
E' l'alba quando mi metto in macchina verso il mio esodo al contrario, nei luoghi dei miei ricordi raminghi. Arrivo nella cittadina dove ho lasciato quelli più o meno nitidi, arrivo con un cielo che via via si è fatto minaccioso in questa stramba primavera. Vago per la città lungo i viali e vie che ricordo a mala pena quando mio padre nei pochi giorni liberi mi portava a fare un giro, perché il resto della vita qui in questa città era tutta vissuta vicino dove abitavamo ed era in periferia e vicino scorreva un breve tratto del fiume che attraversava la città. Senza navigatore satellitare mi faccio guidare dall'istinto, ed eccomi con mia sorpresa proprio nella via dove abitavamo. Noto con dispiacere che anche qui l‘edilizia ha rubato quasi tutto lo spazio che poteva, ma nonostante le troppe case nuove intorno riconosco inconfondibilmente il palazzo dove abitavamo, la via è questa il nome della via chissà perché è scolpita nella memoria. Posteggio e lentamente mi aggiro tra i palazzi alla ricerca di un posto preciso dove giocavamo a pallone, a rincorrere le lucertole a fare a gare di lotte e di corse. Ed eccolo almeno quello che ne è rimasto lo spazio verde dove giocavamo, ora c'è un asilo nido ne è rimasto sì o no un quarto di quello che c'era prima. Nonostante tutto, dietro nascosta c'è ancora la casa vecchia ora abbandonata, dove abitava Lucio.
Lucio e pochi altri era un bambino che non potrò mai dimenticare, abitava con sua sorella di qualche anno più piccola di lui con il padre, che l’avrò visto si o no un paio di volte appena e che nel quartiere dicevano fosse un padre-padrone e alcolizzato, la madre non di meno, ricordo che tra i grandi di allora facendo riferimento ai suoi genitori dicevano fosse la coppia-alcool. La madre se ne era andata quando lui era piccolo con un altro uomo, un altro sbandato. Spesso faceva assenze a scuola ma era un bambino molto allegro e vivace. Mi giro attorno, poco è rimasto di allora il fiume che passava proprio dietro la filiera di pioppi che circondava il posto ora è ridotto a un rigagnolo, allora soprattutto dopo gli inverni piovosi era sufficientemente grosso da portarsi via se non si stava attenti anche una persona, spesso capitava che il pallone finisse dentro il fiume allora seguendone la corrente passando proprio accanto la casa di Lucio e con il coppino che gli dava sua sorella si riusciva a recuperarlo. Quel dannato giorno non fu facile. La corrente era troppo forte Lucio conosceva a menadito il letto del fiume pieno di pietre e più o meno sapeva dove poteva fermarsi, era sempre lui che partiva per recuperarlo, ma quel giorno non fece i conti con la corrente troppo forte per le piogge incessanti che erano cadute pochi giorni prima. Non lo vedemmo più spuntare dalla curva che formava il fiume e dopo un po’ sentimmo le urla di sua sorella che ci chiamava. Lo ricordo ancora sdraiato con la schiena sui massi del fiume, era scivolato e aveva battuto la testa perdendo i sensi. Sembrava morto, un fantoccio inanimato tutto bagnato con la testa fuori dall’acqua e gli occhi chiusi. Scappammo dalla paura con sua sorella che gridava dalla finestra, corremmo a casa impauriti ad avvertire i nostri genitori. Quando sentì arrivare l’ambulanza io ero già in pigiama e avevo preso la mia razione di schiaffi da mia madre sapendo che ancora non erano finiti perché mi attendevano quelli di mio padre. Venni a sapere che Lucio non avrebbe più camminato e mi ricordo il senso di colpa che mi colse e che traumatizzò tutti gli amici, non seppi più altro di lui perché qualche settimana dopo, dopo solo quattro anni, ci trasferimmo in un’altra città.
Ritorno in macchina è quasi l’ora di pranzo e qualche goccia comincia a venire giù sono dentro che sto guardando i palazzi e gli androni e i marciapiedi dove giocavamo con i tappi delle bottiglie con le piste disegnate con il gesso. Mi accorgo di una donna sulla trentina che cammina velocemente girandosi in continuazione, è una strana situazione che non può sfuggire a uno sbirro, vedo che un tizio la segue a passo svelto con aria minacciosa.
La cosa non mi quadra e scendo dall'auto inseguendo il tizio il quale non si accorge che lo sto seguendo, prima che la donna entri nel portone del palazzo dove abita riesce a raggiungerla e a schiaffeggiarla, mi butto su di lui piegandogli il braccio quasi a spezzarglielo gli intimo di lasciarla in pace facendogli vedere il tesserino, avrei potuto provvedere all’arresto ma non potevo perché ero in congedo e per giunta in un'altra città, mi bastava spaventarlo per bene, e dopo essermi assicurato che non si sarebbe fatto più vivo mollai la presa e gli dissi di sparire immediatamente e di non farsi più rivedere, filò via impaurito correndo come un pazzo. Gli chiesi alla donna chi fosse e spaventata mi rispose vagamente che era un tizio che aveva conosciuto da poco e che si era fatto delle strane idee su di lei, ma capii subito che stava mentendo, voleva coprirlo.
Comunque la accompagnai alla porta per assicurarmi che sarebbe entrata, le chiesi se voleva denunciarlo ma mi disse di no e mi fece entrare. Era un appartamento piccolo ma ben curato mi fece accomodare in cucina e mi chiese se volevo un caffè. Mentre lo preparava la guardai, era poco curata ma si vedeva che era stata una gran bella ragazza ma dimostrava anni in più di quelli che aveva, probabilmente era una tossica. Nel preparare il caffè disse si o no due o tre parole tipo se ero in servizio in città e da dove venivo, secondo me si rendeva conto che avevo capito il suo problema. Elusi le domande e gli domandai se già altre volte il tizio di poco prima gli aveva recato disturbo, mi ripose un po’ seccata di no e che già mi aveva risposto prima. Prendemmo il caffè guardandoci negli occhi, i suoi erano di un colore chiaro e indefinito, occhi grandi e dolenti, leggermente cerchiati e aveva una vaga somiglianza con qualcuno, qualcuno nella mia memoria, in quei pochi istanti che sorseggiai il caffè, feci fatica a cercare a chi poteva somigliare. Si alzò dicendomi di stare tranquillamente seduto che si sarebbe andata a fare una doccia. Io sentendola chiudersi la porta del bagno mi alzai e vagai nel piccolo appartamento alla ricerca di qualcosa che mi ricordasse quel volto.
L'appartamento era sobrio e dignitoso, pochi mobili e anche se la casa era piccola c'era molto spazio come se servisse per qualcuno o comunque avvertivo che non viveva da sola. Non mi resi conto in quel momento del perché mi stessi comportando in quel modo, entrare furtivamente nella vita degli altri. Entrai in una stanza era in penombra di fronte a me un lettino singolo, mi diede la sensazione di una stanza non vissuta, incredibilmente pulita e in ordine e accanto appoggiato al muro c'era una carrozzella per disabili. Mi dava l’impressione di una camera museo. Sentì il battito cardiaco accelerare e riuscì a deglutire con difficoltà, di fronte alla parete c'erano delle fotografie in bianco e nero con didascalie del luogo, aveva viaggiato molto e la riconobbi in tante di quelle foto appese e notai la sua bellezza proprio come immaginavo, poi sotto una cartolina i nomi di "Carmen e Andrea" i battiti rallentarono improvvisamente, come improvvisamente uscii dalla stanza e prima che lei uscisse dalla doccia, misi 100 euro sotto la tazzina del caffè e uscì per sempre da quella casa. Ero a un passo da una possibile verità dal ritrovare un amico d’infanzia di cui avevo avuto grandissima ammirazione, ma la didascalia nelle foto esposte in quella camera mi avevano convinto che non era Lucio, e poi perché avevo messo sul tavolo quei soldi? gli avrebbero sicuramente fatto comodo visto la situazione che avevo percepito. Preferii non aspettare che uscisse dalla doccia e me ne andai. In fondo sono sempre entrato ed uscito dalla vita degli altri esattamente nelle stesse modalità di oggi; d'improvviso. D'improvviso arrivavo in una città nuova il tempo di conoscere dei bambini e cosi tutti i miei compagni di scuola, e allo stesso modo ne uscivo. D'improvviso. Perdendo tracce di tutti e chissà forse nel tempo anche di me stesso.
Non dipendeva solo da me, dipendeva da altri, dipendeva da mio padre suo malgrado, ora, come già in diverse occasioni, dipendeva solo da me stesso, non avevo scuse.
Quando misi in moto la macchina un violento temporale si abbattè con tanta furia che dovetti subito accostare e spensi il motore. Mescolai pensieri all’acqua che picchiava violentemente sul parabrezza, a come il tempo avesse diluito il ricordo e che bastava un colpo di spazzole per renderlo nitido. Per un attimo mi stava tornando tutto, per tutto ciò che vidi in quella stanza per un attimo avevo creduto fosse Lucio ma il solo pensiero che fosse lui mi stava creando angoscia perché avevo capito che quella persona era morta. Lucio invece era ancora vivo dentro di me. Così come improvvisamente piovve, smise, feci un lungo respiro e ripresi il cammino.
Le intenzioni prima della partenza erano che avrei dovuto fare un salto di circa trecento chilometri per andare nel luogo dove mi portarono subito dopo morto mio padre ma non ne avevo più voglia e, in effetti, quello era l'unico posto dove era più che sicuro che non avrei trovato nessuno, era un luogo di passaggio di tante anime innocenti che avevano perso i genitori, un collegio privato gestito da suore dove eravamo bambini di ogni regione d'Italia, ma probabilmente ormai chiuso come seppi anni prima da chi lo conosceva. Ma in effetti cominciavo a chiedermi a mano a mano che la macchina divorasse i chilometri allo stesso modo come divoravo i pensieri, volevo veramente incontrare qualcuno? Avrei mai potuto riconoscerlo? Cercavo un volto, due occhi, una voce. Ancora non mi bastava il ricordo?
Stavo tornando indietro era pomeriggio tardo, cercavo disperatamente un bancomat mi erano rimasti poco più di 100 euro in tasca, quando decisi di uscire dall'autostrada e appena dentro la campagna vidi un BeB che faceva al caso mio, ma squillò il cellulare era Irina la badante di mia madre, Irina la russa che mio fratello aveva scelto come angelo custode di mia madre ormai non più autosufficiente. Irina aveva la voce disperata e con un italiano incerto mi fece capire che mia madre era in grave pericolo e che lei era rimasta fuori casa. Era inutile perdere tempo e chiedergli come fosse successo e mi precipitai da lei, c'era ancora un centinaio di chilometri, mi rimisi in autostrada e sotto le note di "further on (up the road)” del Boss, sfogai tutta la mia rabbia e la mia preoccupazione per la situazione che si era creata. Toccai i centosettanta e non mi accorsi dei colleghi della stradale e mi scattarono la foto, non me ne fregava un cazzo! Arrivai in poco più di mezz'ora e trovai Irina fuori casa disperata che cercava di trovare una spiegazione a quanto era successo ma non le diedi molto ascolto il fatto era ormai accaduto e bisognava solo agire. Punto primo; come entrare? La porta era corazzata e pensare di sfondarla non era possibile, prima di chiamare i vigili del fuoco provai a chiedere alla signora d'accanto che dopo un bel scampanellare infine mi aprì, aveva il balcone quasi accanto diviso da un sottile cornicione a quello di mia madre in un primo piano molto basso e facendo attenzione a come mettevo i piedi, riuscii a entrare nel balcone, la finestra era chiusa bussai sui vetri ma niente mia madre non rispondeva, provai ancora ma ancora niente, presi l’unica decisione che era possibile prendere rompere un vetro ed entrare, e cosi feci, quando riuscì a mettere piedi in casa, cercavo mia madre con un nodo alla gola, ma nello stesso tempo se la trovavo dovevo evitare di fargli capire la mia ansia, l'avrebbe intuito e questo poteva causargli un forte stress quando frugai in tutte le stanze mi ero dimenticato della cucina, e lì che la trovai tranquillamente seduta di fronte a me, mi guardò con uno sguardo vuoto, io mi ero già calmato nel rivederla, mi avvicinai e mi piegai nelle gambe di fronte a lei,
-"chi è lei? Sussurrò con fievole voce.
- "Sono io mamma, Nicola" forse il nome gli accese un lampo ancora vivo nella sua memoria ormai distrutta dalla malattia,
-"Cerchi ancora Nicola? sapeva della mia angosciosa ricerca del mio passato dei miei amici perduti, dei luoghi vissuti e abbandonati.
- "Non ti rendi ancora conto che li hai sempre vissuti dentro di te, sono cresciuti con te, anzi hai una fortuna in questo sono rimasti giovani dentro di te, tu crescevi e loro rimanevano con le loro età', con gli stessi occhi che guardano il mondo con stupore e innocenza, e sono anche i tuoi occhi”
A rompere quell' idilliaco dialogo che non facevo con mia madre da tempo immemore, ci pensò Irina che capendo che ero entrato mise a scampanellare talmente forte che mia madre ritornò con la sua mente a quando era bambina. Irina entrò in casa come un tornado cercando mamma, gli dissi di calmarsi che stava bene, e gli raccomandai che non doveva più succedere una cosa simile, gli chiesi infine se aveva chiamato mio fratello che abitava più vicino a loro, ma mi disse che aveva chiamato invano per più di mezz'ora ma era irraggiungibile. Hai capito il fratellone, la mamma era in pericolo e lui che ha il secondo mazzo di chiavi è irraggiungibile. Gli dissi a Irina di provvedere a far riparare la finestra, salutai mia madre che nel frattempo aveva già dimenticato chi ero, come se quelle parole fossero state partorite da un'altra mente e chissà in quale tempo ormai lontano.
Con le parole di mia madre in testa mi rimisi in autostrada alla stessa velocità di come ero arrivato e il tempo di "Dancing in the dark" "Born in the U.S.A. "The fuse" "No surrender" "Working on the higway", tra "The fuse" e "No surrender", ironia della sorte, ripassai di nuovo sui centocinquanta mi beccarono di nuovo i colleghi della stradale al diavolo, quando sarebbero arrivate li avrei pagate e buonanotte. Arrivai con "Empty sky" che bruscamente finiva proprio davanti al pedaggio, quando uscii dall' autostrada e mi aggirai tra la campagna alla ricerca di quel BeB, mi seguivano le morbide note della più rilassante "Reno" che terminarono quell'estemporaneo quanto preziosa deviazione del mio folle viaggio nella memoria.
Quando salii in camera, tentai di nuovo di rintracciare mio fratello ma niente era ancora irraggiungibile, strano per un tipo così scrupoloso, il "faccio tutto io" della famiglia ancora non rispondeva non sapeva cosa era successo e ne ero certo che non appena avrebbe risposto avrebbe trovato nel suo personalissimo cilindro delle idee la soluzione più giusta per la mamma. Ma sinceramente avevo una fame gigantesca e smisi di pensarlo, in fondo la mamma stava bene e non era successo niente di così pericoloso per la sua incolumità, e uscìì alla ricerca di una pizzeria.
E' nelle mattinate e soprattutto d’inizio primavera, che mi sveglio presto per andare a fare la mia solita corsetta, ma non mi ero attrezzato per questa evenienza ma svegliarmi praticamente prima dell'alba era ormai diventata un conseguenza della stessa, ne approfittai per farmi una doccia pagare il conto e uscire e nel frattempo la luce solare aveva ricoperto di un manto d'oro tutta la campagna circostante. Con gli occhi pieni di morbida luce mi misi in marcia verso mete ignote volevo vedere dove mi avrebbe portato l'istinto e l'istinto mi disse che per soli duecentocinquanta chilometri potevo rivedere il collegio dove mi portarono dopo che morì mio padre. Nel mio peregrinare nelle varie Questure non mi era mai capitato di essere trasferito da quelle parti e non mi era mai venuta l'esigenza di rivedere questo posto, adesso ne sentivo l'urgenza come per altre del resto, come quella di rivedere almeno in parte tutti gli amici della mia infanzia, non ricordo bene i loro volti di bambino e neanche i cognomi, neanche uno, qualche nome ma non di tutti, e le facce quella di Lucio o di marco e Andrea, Massimiliano, Gianluca e tutti gli altri persi negli anni, conosciuti anche solo per un anno di scuola, o addirittura solo per nove mesi, come qui in questo collegio si assomigliavano tutte, ora che ne sono fuori dal cancello oggi diventato un ostello della gioventù. Sono passati esattamente trentaquattro anni da quando uscii per sempre da questo posto e mai e poi mai pensavo di ritornarci. Ora varco il cancello con l'emozione che sale sempre più, salgo la scalinata centrale ed entro in una sala ampia e vuota, passo il varco superando la prima stanza dove scorgo una persona di spalle intenta a leggere delle carte, sono tentato di chiederle delle informazioni ma le parole mi rimangono in testa, vedendo che non mi ha notato entrare ne approfitto e m’immetto nel corridoio a destra il lungo corridoio dove alla fine portava all'uscita laterale, vedo la scalinata che portava nelle camerate dove dormivamo e subito accanto la porta dove presumibilmente si trovava la cucina, gli odori che riemergono accendono con violenza i ricordi. Rimango per non so quanto tempo fermo davanti alla stanza della musica e sento riecheggiare le note del maestro di piano e il coro di cui facevo parte. In giro non c'è anima viva. Di fronte al corridoio c'è l'uscita laterale quella dove mia madre uscii piangendo dopo che mi aveva lasciato nelle mani della sorella madre, mi fermo nel guardare in fondo e la rivedo mentre si allontana, risento l'eco della mia voce disperata che la chiama. Adesso l'emozione è talmente forte che entrando in una stanza arredata in modo spartano con un letto a due piazze un armadio e un comodino con ai piedi del letto una panca imbottita, dapprima mi siedo semplicemente osservando fuori dalla finestra che da sull'ingresso principale, il prato dove giocavamo nelle ore di ricreazione e comincio a sentire dei rumori di passi, lo scalpitio di piccoli passi via via sempre più rumorosi il vociare di gente che chiacchiera e le grida allegre di ragazzi per sempre. Mi sdraio senza più forze come se tutto quello che avevo visto e sentito fuori e dentro di me mi avesse svuotato del tutto, in pochi minuti avevo esorcizzato questo luogo che ricordavo sempre con tristezza perché mi aveva portato via da mia madre anche se per un breve periodo, chiudo gli occhi e mi lascio cullare dai ricordi, e, piangendo, mi addormento.
Quando mi risveglio, sono ancora nella mia camera del BeB, dopo qualche minuto di ravvedimento mi rendo conto di essermi addormentando con il portatile ancora acceso e ricordo di essermi collegato via internet e, dopo una affannosa ricerca, ho ritrovato le foto del collegio, ricordo solo ora di essere stato più di due ore davanti alle foto del collegio di averle viste e riviste fino allo sfinimento, fino alle lacrime, fino a che quella forte emozione non si era tradotta nel sogno della stessa notte dove ero lì in quel luogo tanto da sembrarmi vero.
Dove mi sta portando questo viaggio? Cosa volevo da questo viaggio? Erano le principali domande che mi ponevo durante il tragitto. Uscii dal BeB ora senza una vera meta, avevo ancora in mente quel sogno che nonostante tutto mi aveva portato dentro di me una sensazione di pace interiore, era bastato un sogno per esorcizzare quel luogo. Mentre già sono in movimento mi viene in mente una persona che da troppo tempo non vedevo più e che sicuramente mi avrebbe saputo dare delle risposte. Giulia, nella rubrica dovevo avere il suo numero quando a distanza di diversi anni da quel viaggio ci incontrammo in un locale della città e ci scambiammo il numero di cellulare chissà mi chiedevo, se era riuscita a realizzare il suo sogno, quello di lasciare la città ed aprire un canile per cani abbandonati in aperta campagna, ci conoscemmo in un modo che per quei tempi era ancora possibile, in un giornale locale trovai un annuncio dove chiedeva di condividere le spese di un viaggio che ci avrebbe portato fino a Dublino a un concerto degli U2 passando da Amsterdam visto che la sua migliore amica che la doveva accompagnare all’ultimo si era tirata indietro, un viaggio in treno dividendo le spese e soggiornando negli Ostelli, nell’annuncio non era riferito il sesso ne lo richiedeva dell’eventuale compagno cosi quando telefonai e mi rispose mi colpi il fatto che era una ragazza per lei non aveva importanza il sesso del compagno di viaggio, a lei interessava la condivisione dell’esperienza, oltre che le spese per il limitato badget di entrambi, soprattutto le esperienze che avremmo vissuto, poi, più in la capii che il suo era anche un viaggio alla ricerca di se stessa. Furono delle giornate straordinariamente interessanti e coinvolgenti praticamente dormivamo di giorno e il tardo pomeriggio fino all’alba la passavamo fuori in giro per la città. Ricordo che dopo solo tre giorni di vagabondaggio ad Amsterdam eravamo rimasti già senza una lira in tasca, tra bevute nei pub e visite nei musei, le opere di Van gogh esposte cui non avremmo mai rinunciato, e acquisti pazzi al mercato Albert Cuyp, la prima meta fu la visita alla casa di Anna Frank, gironzolando con le biciclette prese a nolo girando tra i quartieri della città, e proprio nel quartiere della casa di Anna Frank, quartiere pieno di pub e ristoranti di ogni genere, finimmo senza un soldo in tasca. Con gli ultimi gettoni rimasti che non bastavano per fare due telefonate, decidemmo a chi dei nostri rispettivi genitori chiamare per farci avere al più presto un vaglia per poter continuare il nostro viaggio fino a Dublino. Un giorno perdendoci nel girovagare tra i quartieri fumammo erba, per me era la prima volta e prendemmo conoscenza dal vivo tutto quello che si raccontava in questo paese.
Giulia amava in particolar modo Amsterdam perché le ricordava la sua natìa Venezia, dove era nata, ma dopo pochi mesi si trasferirono senza più muoversi. I suoi ricordi erano legati nel periodo estivo e alle feste natalizie quando tornava dai suoi nonni paterni. Diceva che Venezia aveva quel tocco di malinconia in più, quella nobile decadenza che la rende più affascinante, ma Amsterdam dal punto di vista architettonico e sicuramente più sobria, più viva, più elettrizzante, più giovane. Terminò la sua teoria dicendo che Venezia guardava indietro, Amsterdam avanti. Allora eravamo dei giovani affamati di vita. Arrivammo a Dublino il giorno prima del concerto, le tappe erano state stravolte, Amsterdam aveva rubato più giorni di quelli previsti, ma lo avevamo messo in conto e questo ci costo parecchio perché avevamo dovuto fare un altro biglietto il primo, quello verde che univa le città dalla partenza fini al ritorno, era stato bruciato, bruciato dalle emozioni che quella fantastica città ci aveva regalato. E a dire il vero Dublino ci deluse un po’, facile da girare con il suo piccolo centro storico, ma non si poteva non andare nel quartiere di Temple Bar dove c’è la più alta concentrazione di pub al mondo.
Alla fine di quell’incredibile viaggio dove gli raccontai parte delle mie esperienze che avevo vissuto e di quella condizione che ancora non era ben definita o comunque grazie anche alla mia ancora giovane età mi permetteva di non guardare troppo indietro, perché quel passato ancora facesse in qualche modo molto male, c’era comunque una sensazione di vuoto che piano piano si andava a insinuare dentro di me, confidandomi con lei riuscendo forse come non mai con nessuno a far uscire da dentro di me quella strana sensazione di sradicamento che quando ne parlavo con qualcuno si estraniavano non riuscendo a capire cosa volessi dire. Lei mi rispose sorprendendomi, dicendo che ero fortunato che avrebbe voluto sentirla lei questa condizione, che viveva in una famiglia troppo normale come diceva lei, figlia unica vissuta sempre nello stesso posto nella stessa casa ereditata dai suoi nonni materni trasferitisi appena dopo la sua nascita. Confesso che non riuscivo a capirla, davanti a me una persona che le radici le aveva ben salde eppure avrebbe voluto vivere la mia vita, era inconcepibile per me e lo è ancora oggi. Aveva una mente originale , acuta, intuitiva, brillante. La mia, verso di lei, non era un’attrattiva epidermica come una qualsiasi attrazione fisica. Ricordo il suo saper ascoltare, quello sguardo penetrante ma non indagatore che ti invitava a parlare senza remore, mi disse che il viaggio era un premio con la scusa del concerto per il suo diploma studi classici e con la passione della psicologia e mi parlò dei vari maestri che in qualche modo stavano influendo sulla sua crescita e conoscenza. Aveva un fascino particolare non era particolarmente bella e aveva una ambiguità che mi attraeva, un maschiaccio in gonnella era sfuggente e risoluta, pacata ma allo stesso modo esuberante e capace di coinvolgere chi gli stava accanto con il suo modo di parlare mai eccessivamente prolisso sempre con parole misurate nei modi e nei contenuti. Mi parlò dei suoi progetti dopo la laurea gli sarebbe piaciuto insegnare, e del suo amore smisurato per i cani, il suo sogno nel cassetto oltre l’insegnamento era di andare a vivere in campagna e aprire un canile per cani abbandonati.
Ricordo che già allora lei provava a psicoanalizzarmi lo faceva un po’ con tutti, sentivo che era più che un'amicizia, era qualcosa che andava più in la di un vero e proprio rapporto tra un uomo e una donna, ci incontravamo a un livello che lei sosteneva essere superiore, qualcosa di invisibile che lega poche persone aldilà del rapporto di coppia. Lei aveva capito perfettamente quello che provavo , questa mia solitudine interiore, questa ricerca sempre di qualcosa che credo di aver perduto, anche se allora non era ancora un'ossessione la mia, ma lei riusciva a trovare le parole adatte per farmi sentire meno solo. Ecco ne avevo bisogno soprattutto dopo quello che mi era successo la notte precedente, di risentire la sua voce, le sue parole. La chiamai era la solita calda voce di sempre, felicemente sorpresa che sarei andata a trovarla mi spiegò la strada e mi diede indicazioni precise del luogo.
Venti chilometri di strada statale dopo l'uscita dall'autostrada, venti chilometri di curve in piena e bellissima campagna. Ho sempre avuto il rifiuto del navigatore satellitare ormai di moda, ho sempre preferito andare a naso e sarebbe stato anche molto bello perdermi in questa spettacolare natura se non fosse che Giulia mi attendeva. Mi accompagnano le accattivanti note di "I'm on fire" e della struggente "Black Cowboys" del sempre verde ed inossidabile Boss, anche io in questo momento mi sento un cowboy, la mia auto è il mio cavallo, alla ricerca del mio personalissimo pascolo in una terra com-promessa. Le curve intervallate dal suono dell’armonica a bocca, finchè tra le armoniose note di “Valentin’s day” trovo la casa di Giulia. una stradina con ai lati un muretto di pietre e in fondo si apre in un ampio spiazzo con al centro un gigantesco pino dove posteggio l'auto, tutt'attorno un silenzio incantevole e coinvolgente. Mi vengono incontro almeno tre o quattro cani alcuni abbaiano più per paura, un paio scodinzolando mi vengono incontro, non poteva essere che la casa di Giulia. Vedo dei box molto grandi in un lato della casa ma noto che i cani sono liberi di girare a loro piacimento. Che diritto avevo di piombargli cosi all'improvviso dopo tanti anni di silenzio? Il mio ego era così forte da non capire che non potevo fare una cosa del genere? ma ormai era troppo tardi ero giunto fin sotto casa sua e non potevo più tornare indietro. Nel momento in cui alzo la testa per vedere se c’è qualcuno eccola affacciata nel balcone che dava davanti all'entrata, era una vecchia ed un pò malandata casa colonica, mi guarda con un mezzo sorriso come di chi si aspettasse prima o poi l'incontro. Salendo la scalinata laterale della casa dopo qualche attimo di sguardi riuscii a finire gli ultimi gradini e me la ritrovai davanti a me che mi saluta con un caldissimo abbraccio, era la solita piccola grande Giulia, dal corpo minuto e dalla faccia a forma di castagna che mi piaceva tenere nelle mani nell’unica occasione che avevamo avuto di scambiarci un bacio durante quel viaggio, un bacio rubato da entrambi, ladri di emozioni come potevamo essere solo a quella età.
Con la sua proverbiale naturalezza mi fece sentire subito a mio agio, come mi ricordavo fosse sempre con lei in qualsiasi situazione mi trovassi.
-"Ne è passato di tempo?" disse facendomi accomodare. "Se non ricordo male circa dieci anni" continuò.
-"Non sei cambiata per nulla" gli dissi.
- "troppo buono" tagliò corto.
In effetti era cambiata pochissimo sempre con quello sguardo profondo e penetrante capace di scrutare e ghermire tutti i pensieri di chi le stava vicino. - "Allora cosa mi racconti di bello"? sei ancora alla ricerca delle tue radici, vero?” Mentre mi accomodavo in un piccolo divanetto due posti dentro la enorme cucina tipica delle case coloniche dei contadini e lei si sedette accanto a me, come dargliela a bere ad una come lei, aveva capito subito che mi trovavo ad un punto morto del mio cercare. Le raccontai gli ultimi anni vissuti con questa spasmodica ricerca cresciuta sempre più nel corso degli anni, di quel luogo che raccontasse la mia vita, quel filo continuo che legasse “casa- territorio- amici - anima” in un unico luogo. Ecco con lei riuscivo a trovare le parole giuste, era sempre stato cosi, ma purtroppo le nostre strade si divisero. Mentre parlavamo tranquillamente, una figura sottile eterea alta bionda e soprattutto completamente nuda, attraversa la stanza camminando quasi con passi di danza, mi saluta con la mano e si avvicina al frigo ed estrae una bottiglia di latte, le da un sorso e una piccola audace goccia di latte gli piomba su uno dei due rosei alveoli, ripassa con lo stesso passo davanti a noi e mi risaluta con un sorriso appena accennato ma di un candore infinito.
-“Si chiama Tùùla, è finlandese. Carina vero?”
Io rimango incantato da quella angelica e fulminea presenza, non le rispondo, era talmente ovvio che era bella che la sua domanda rimase elusa. E attacca un discorso proprio prendendo pretesto dall’apparizione di quella magnifica creatura, che con lei aveva trovato il suo equilibrio, che aveva capito che il suo non era un sentirsi lesbica a prescindere dal fatto che ora stava con una donna, che aveva attraversato un periodo di sconvolgimento interno e che aveva capito che la sua vera natura era fortemente bisex, che negli anni dell’ Universita’ si era follemente innamorata di un suo professore non ricambiata, aveva avuto delle storie con dei ragazzi ma il suo era un vuoto affettivo, sentiva la pienezza e l’interezza dei sentimenti soltanto quando amava una donna, perché mi spiegava, non era solo un fatto fisico come con un uomo, e che era da un anno che stava insieme a Tùùla. Aveva fatto pace con se stessa e viveva meglio con più consapevolezza la sua sessualità
Si ricordò delle parole che gli dissi quando iniziammo la nostra conversazione, della mia ricerca di quel luogo che racchiudesse “casa-territorio-amici-anima“, lei mi disse che il problema stava nel modo in cui cercavo, non dovevo cercare fuori, ma dentro di me, un po’ come aveva fatto lei con se stessa pensando che il problema fossero gli altri, invece era lei, o in lei, e così valeva la stessa cosa per quello che stavo cercando io, era dentro di me che dovevo cercare e se avessi capito prima o poi lo avrei trovato.
-“Questa mia ricerca spasmodica” gli dissi “ebbe inizio una decina di anni fa, prima di allora aleggiava dentro di me un qualcosa di indefinito d’incompiuto, poi feci un sogno davvero strano che mi colpi molto nel profondo.
-“Ero a una riunione o qualcosa di simile, anzi ora che ci penso, era un funerale, sì, un funerale di una persona, e pensandoci bene era un funerale di una delle mie maestre, eravamo in molti moltissima gente e tutti in sostanza tutti mi salutavano come se mi conoscessero, tutti si avvicinavano ci scambiavamo una forte stretta di mano, tutti mi sorridevano salutandomi con il mio nome tutti ma praticamente tutti si ricordavano di me, ebbene io non mi ricordavo di nessuno di loro!
Ricordo che mi svegliai con un forte senso di ansia e questo sogno me lo porto dietro da allora e che in qualche modo mi tormenta.”
-“Ma i tuoi amici erano con le facce da bambino o da adulto?” chiese
- “ Adulti, ero io che nel sogno ero un Bambino” risposi
-“Interessante questo sogno, inconsciamente avevi già dentro di te questa paura di non ricordare nessuno e nel frattempo gli altri, si ricordano di te”. “Sei un caso da studiare lo sai? Scherzava. La sua ironia non l’aveva persa,
-“Ma prova per un attimo a pensare, e se fosse cosi anche per gli altri? Il mondo è pieno di persone che si sono conosciute e frequentate per poco tempo, sarebbe bello potersene ricordare tutti o quantomeno ricordare quelle che ti hanno fatto stare bene. Io capisco il tuo disagio quel non sentire in un’unica parola che racchiuda tutta una vita, ma hai sempre quel vantaggio che ti ho detto, puoi ripartire da qualcosa di nuovo, tutte quelle volte che hai cambiato casa poteva essere un punto di partenza, ecco per il futuro fai in modo che sia un punto d’inizio e non di arrivo. E ricorda un’altra cosa molto importante, sono le storie che si ricordano, non i nomi. Ricordati che le radici sono dentro di noi”
Gli raccontai quello che mi disse mia madre, e mi rispose che erano delle sante parole che ci avrei dovute riflettere. Volle assolutamente che restassi a mangiare con lei anche perché si era fatto l’ora di pranzo ma insistetti di andare perchè non mi rimaneva più molto tempo per il mio viaggio, mi accompagnò in macchina, non resistetti all’idea di potergli fare un regalo che avevo in mente di farlo già nel momento in cui ci rivedemmo in quel locale e che alla prima occasione mi promisi di farle, estrassi dal caricatore il cd degli U2 “ The Joushua tree” in sostanza le canzoni di quel famoso concerto dell’89 a Dublino, rimase senza parole anche perché fortuna volle che il suo cd lo aveva perso. Diedi un’ultima occhiata al posto davvero incantevole e con un silenzio che stordiva, mi abbracciò forte quasi mi sorprese e in un’ orecchio mi confidò;
-“lo sai che in quei dieci giorni mi ero pazzamente innamorata di te?”
Arrossii per quelle parole e lei mi strinse più forte.
- “Ricordati puoi fare tutti i viaggi che vuoi,
ma i luoghi che cerchiamo molto spesso sono dentro di noi”
Mentre supero il casello che mi immette di nuovo sulla strada del ritorno a casa sto ancora pensando a Giulia, al coraggio che ha avuto ad andare ad abitare in una casa in mezzo alla campagna, a lei che avrebbe voluto fare la mia vita, pensavo che era incredibile che ci fosse qualcuno che invidiava la mia, però questo mi diede da pensare molto. E mentre mi accompagnano le note de “Gli angeli” di Vasco penso ai miei angeli, i mie amici rimasti nella mia memoria proprio come degli angeli. Squilla il cellulare, è quel diavolo del mio fratellone, chissà cosa vuole praticamente dopo più di ventiquattro ore si fa vivo finalmente. Con la solita voce di chi ha il piglio del comando mi chiede di quello che era successo alla mamma, rispondo con la dovuta calma che ora era tutto a posto e gli chiedo come mai non aveva risposto al cellulare, come al solito cade in piedi e con due parole crede di mettersi a posto con la coscienza dicendomi che alla fin fine alla mamma non è successo niente di grave e che avrebbe pensato lui a Irina e che l’avrebbe messa a posto. Ora, conoscendo il suo gergo lessicale capivo perfettamente cosa volesse dire e qui io mi feci sentire, gli dissi di lasciarla perdere che non era colpa sua e nello stesso tempo di farsi vedere o sentire più spesso del solito soprattutto dopo che negli ultimi giorni sembrava sparito nel nulla. Su Irina non c’era proprio nulla da ridire, Irina era l’angelo custode di mia madre, la portava tutti i giorni a farle fare una passeggiata, la portava al cinema ed anche al teatro, Irina non la volevo toccata. Ma era inutile con lui ovviamente mi disse che il suo lavoro gli rubava tutto il tempo che aveva ma che comunque avrebbe fatto il possibile. Chiudemmo la telefonata come al solito senza neanche scambiarci un saluto. Accelerai ai centocinquanta con “Un gran bel film” di Vasco fino a tutto il brano decelerando via via tra “Mi si escludeva”, proprio come aveva fatto mio fratello, fin da piccolo mi aveva praticamente escluso dalla sua vita, rallentai ai settanta mentre risuonavano le note di “Sally” che mi fece ricordare una ragazza conosciuta tanti anni fa. Nella mia personalissima ma datata playlist, c’era spazio anche per Whoman in chains” che mi ricordava Angela. Dov’ero non lo so, ero in una specie di terra di mezzo tra la mia nuova casa che da quando ci avevo messo piede ci avevo dormito in pratica solo una notte, e la casa dove abitava mia madre, accostai e feci uno squillo ad Irina mi rassicurò che andava tutto bene se avesse telefonato o no mio fratello non m’importava di chiederglielo. Il fatto e che mi sentivo come in un guado, di andare a casa non ne avevo affatto voglia volevo fare ancora un po’ lo zingaro. Pensavo e ripensavo alle parole di Giulia. Uscì dall’autostrada prendendo una segnaletica di paesi che non conoscevo e percorsi la strada statale tortuosa che entrava e usciva in continuazione da boschi e splendidi prati verdi, tra colline e campi coltivati di tabacco e girasoli andavo incredibilmente piano e seguendo le dolci inclinazioni ora della strada ora del paesaggio mi piaceva farmi cullare dalla strada come fa il mare. Mi vennero in mente la barca del nonno, il papà di mio padre quando d’estate durante i pochi giorni di ferie di mio padre la domenica ci portava a fare un giro in barca a vedere la città dal mare, da un’altra prospettiva in quelle splendide calde giornate di sole e mare che passavamo d’estate nella casa dei nonni, in Sicilia. Ho avuto un nonno pescatore e uno contadino, ma non ho saputo prendere nessun rudimento ne da uno ne dall’altro, perché in effetti non vivevamo con loro noi eravamo sempre in giro su e giù per lo stivale.
Tra una curva e l’altra in questo struggente percorso agreste tipico Umbro, m’ imbatto in un posto simile fino alla perfezione al campo dove con la bici mi fermavo a riprendere fiato dopo la solita pomeridiana sgambata quando ero poco più di un ragazzino, blocco la macchina alla prima rientranza possibile sul lato dei campi, scendo mi tolgo le scarpe, le calze, ho una voglia matta di sentire l’erba sotto i piedi quella fresca sensazione, quel solletichìo sotto la pianta del piede nudo che non sentivo da piccolo, di sentire l’umore della terra sotto i piedi. Raggiunsi il posto e mi sdraiai avevo solo in mente questo e nient’altro sdraiarmi sul prato e sparire, farmi assorbire da esso.
E’ la mia seconda notte nel nuovo appartamento ma prima dell’alba sono già pronto per la mia corsa mattutina, un’ora per sentirmi sempre vivo per sudare e lasciare mischiare il mio umore con l’ancora fresca aria del mattino. Una rigenerante doccia per fare pace dopo la dura lotta tra il fisico e la mente ed ecco che squilla il cellulare mi chiedo chi sarà a quest’ora del mattino e toh, il fratellone che chiama, strano, la sua voce è incredibilmente conciliante come penso non lo sia mai stata, mi dice che mi deve parlare urgentemente che mi deve dire una cosa della massima importanza, gli dico che deve aspettare che io smonti dal servizio percepisco che a malincuore deve attendere e che nel pomeriggio ci saremmo incontrati in un noto locale a metà strada dalle nostre rispettivi luoghi di residenza. Quando ci vediamo lui è già seduto fuori dal locale avverto già in lontananza il suo nervosismo un rapido saluto e dopo aver deciso di prendere un caffè comincia a raccontarmi l’accaduto senza tanto girarci intorno così del resto è fatto lui. Poi si blocca e mi fa promettere che la cosa deve rimanere tra me e lui e che assolutamente Anna, sua moglie, non avrebbe dovuto sapere assolutamente nulla. Il fratellone si era messo nei guai per colpa di una donna, a quanto pare molto bella e attraente e che da circa un mese avevano una relazione. Il problema era sorto nel momento in cui il marito un noto imprenditore della città dove abitava mio fratello aveva saputo della loro relazione, e se non voleva fare una brutta fine gli avrebbe dovuto sborsare una grossa cifra. Ovviamente era in grossa difficoltà, ma era lungi da me fargli una predica, mi chiedevo se fosse stato al contrario, lui così fortemente cattolico praticante che credeva ciecamente nel matrimonio e al fatto che io avevo più volte convissuto lo vedeva quasi come una blasfemia, mi chiedevo cosa mi avrebbe detto. Mi feci dire da lui più notizie possibili sull’imprenditore e vista la mia esperienza in fatto di truffe, la situazione mi sembrava già sufficientemente chiara. Notavo la sua forte preoccupazione, gli dissi che se il marito l’avrebbe telefonato doveva temporeggiare ancora per un po’ che io avrei provveduto a far mettere sotto controllo le loro utenze e poi gli avrei fatto sapere gli eventuali sviluppi. Lo lasciai che aveva un’ espressione del volto che non gli avevo mai visto, un misto di supplichevole angosciante aiuto al suo orgoglio ferito che lo rendeva finalmente più umano.
Avevo un’idea già abbastanza chiara della situazione, e dopo solo una decina di giorni d’ indagini la situazione era sufficientemente delineata. L’imprenditore era in pratica quasi in rovina aveva forti debiti con le banche tra cui in quella dove lavorava mio fratello e oltre il denaro gli chiedeva la cancellazione di alcuni debiti, e d’accordo con la moglie avevano fatto cadere nel tranello il fratellone facendogli credere di essere uno straordinario amante e che invece gli avevano teso una trappola. Ci incontrammo al solito locale e gli spiegai a che punto erano le indagini per lui fu un duro colpo sapere che quella donna non stava con lui per le sue straordinarie doti amatorie ma bensì per tirare fuori suo marito dai guai, vidi per la prima volta di fronte a me mio fratello con il capo chino, ma fù un attimo e prendendo una bella boccata d’ossigeno mi chiese quale sarebbe stata la prossima mossa. Gli spiegai per bene quale sarebbe stato il suo ruolo, che doveva continuare a vedere la bella signora senza fargli capire che lui sapeva e nel frattempo temporeggiare per qualche altro giorno e che al momento giusto ad un appuntamento con il marito per la consegna del denaro si sarebbero fatti vedere un bel po’ agenti e avrebbero messo tutte cose al proprio posto. E’ incredibile come per la prima volta mio fratello stava ad ascoltarmi senza aprire bocca, pendeva dalle mie labbra come un neonato davanti al capezzolo della propria madre. Avevamo tutte e due un’ età per cui non era più permesso di fare gli stronzi avevamo raggiunto un’età in cui si dovrebbero mettere via le armi infide della prevaricazione, delle malcelate gelosie, era arrivata l’ora dell’ età in cui si butta tutto alle spalle per cercare di vivere una vita più serena ed in pace con se stessi.
Tutto andò per il verso giusto, furono arrestati marito e moglie mio fratello al momento salvò capre e cavoli, Anna non seppe nulla ma al processo mio fratello avrebbe dovuto testimoniare e non avrei potuto farci nulla sulle eventuali conseguenze. Mi ringraziò ma conoscendolo a denti stretti, mi chiedevo se d’ ora in poi il suo atteggiamento nei miei confronti sarebbe cambiato, se mi avrebbe riconosciuto più come fratello che come figlio. In tutto questo c’erano le condizioni di salute di mia madre che alternavano momenti di lucidità, con altre di peggioramento progressivo della malattia. Nella mezza giornata libera del fine settimana andai a fargli visita e mi aveva scambiato per un suo fratello maggiore cui lei era molto legata, parlammo per più di due ore nella più netta convinzione che io fossi suo fratello raccontandomi aneddoti vissuti insieme nella loro giovinezza, alternando lunghe pause che sembravano interminabili, forse nel cercare nella sua lacerata memoria altri aneddoti di cui parlare. Quando me ne andai mi salutò e mi chiamò allo stesso modo di suo fratello e mi raccomandò di passare più spesso a farle visita, non ricordandosi che suo fratello era morto dieci anni prima. Me ne andai con le lacrime agli occhi capì che per mia madre non c’erano più speranze.
E’ fin dai tempi della convivenza con Angela che questa ragazzotta di appena vent’anni mi provoca. Amica di amici comuni l’ho conosciuta a una cena, ora che sapeva della mia separazione puntava decisa a giocare con me senza pudore, come ha avuto il mio numero di cellulare potrei anche intuirlo probabilmente qualche amico in comune cui lei con qualche immancabile raggiro glielo aveva estorto, ed era ben decisa a strapparmi un appuntamento. Fino ad oggi ero riuscito a farglielo capire che la differenza d’età era troppa, cercavo invano di fargli entrare in testa con discorsi più o meno espliciti che quello che voleva lei da me non corrispondesse esattamente a quello che io avrei voluto da lei, perché bella era bella eccome, ma i miei discorsi erano troppo retorici, io dal canto facevo finta di non capire che gli piacevo, tra l’altro lei figlia di un collega in pensione, puntava dritto come un treno in corsa non la fermava nessuno, ed era proprio quello che voleva da me, un appuntamento. Laureanda in economia commercio con una chiacchiera a mitraglia era felicissima che avessi finalmente accettato di uscire con lei, e fin da subito mi abbracciò strusciando i suoi turgidi e generosi seni sul mio petto, era un vulcano di ragazza, ma aveva un guazzabuglio simpatico in quella testolina sempre piena di idee, mi fece praticamente il quadro della sua futura vita, passammo dopo il primo appuntamento ad un bar, tutto il tempo in macchina, fingendo di non trovare più la strada per un locale dove avevamo deciso di andare a cui lei piaceva moltissimo a me un po’ meno. E mentre parlava, muoveva e accavallava in continuazione le sue belle e tornite cosce e continuava il suo estenuante monologo fregandosene altamente di come la pensavo io che con pazienza l’ascoltavo pensando che il suo argomentare trovasse prima poi un punto, macchè, il suo soliloquio passava da un argomento all’altro senza soluzione di continuità. Il mio testosterone che era praticamente alle stelle quando era entrata in macchina e già pensavo di portarmela a casa, tra una curva e l’altra era praticamente sceso sotto i piedi. Quel desiderio smanioso di possederla che si era acceso non appena la vidi vestita con un vestitino mozzafiato che esaltavano le sue generose forme e anche al fatto che mi aveva sempre cercato, rinvigorendo la mia sopita autostima, era praticamente svanito. Al buio delle strade extraurbane avevo elegantemente preso la strada per il ritorno, mentre lei ancora non aveva finito di parlare, ed eravamo praticamente sotto casa sua. Quando fermai la macchina e vide che eravamo sotto casa finalmente si zittii. Ci fù per qualche secondo-minuto un silenzio tombale poi lei seraficamente disse: “Grazie per avermi riportato a casa, oggi non mi andava di ballare”! Ci salutammo e quando si avvicinò per darmi un bacio quella forte carica di erotismo che emanava il suo corpo era svanito, davanti a me una ragazza che poteva essere mia figlia voleva solo essere ascoltata, tra i suoi discorsi fatti lungo tutto il tragitto avevo capito che era una ragazza sola, con una solitudine che sembrava fosse nata con lei, figlia unica di genitori anziani aveva tanta voglia di farsi sentire dal mondo. Mi strappò un altro appuntamento e in qualche modo, chissà quando, ci saremmo rivisti.
Non avevo rapporti con una donna già da qualche mese, ma se dapprima la cosa mi rendeva particolarmente nervoso e smanioso, ora riuscivo a sfogare il tutto con la mia solita corsa. Malgrado l’ora tardi approfittai della domenica, misi la sveglia alle cinque mi alzai con un leggero mal di testa e dopo essermi sciacquato con dell’acqua gelida mi vestii ed andai a correre quando ancora fuori era buio. C’è una sensazione strana e allo stesso tempo molto intensa nella corsa nel buio della notte e a poco a poco alle prime luci dell’alba, è sentirsi veramente parte integrante della natura, avverto il suo respiro, il suo cuore pulsante, della terra umida, degli alberi, dei fiori, degli animali notturni, che di solito di giorno non sentiamo e che spesso ci scontriamo con essa. Passo dopo passo, chilometro dopo chilometro e come sentirsi letteralmente fuori dal proprio corpo, e nella fatica estrema sentirsi in uno stato di grazia e di pace con la propria anima, come dividersi da essa, un sentirla come un corpo estraneo. E’ la corsa nella sua fase estrema che non senti più la pesantezza del proprio corpo.
Dolce e esuberante ragazza, ieri avrei potuto approfittare di te, ma ho riconosciuto in te la mia stessa solitudine, avrei potuto soddisfare la mia fame inebriandomi delle tue grazie, ma si sarebbero moltiplicate le nostre solitudini, come avrei fatto poi senza i “se” e senza i “ma”? meglio tenerseli e conviverci, perché sarebbe stata una storia senza futuro.
Quanto meno la mia autostima stava riprendendo quota.
Chiamata d’urgenza, dicono ci sia un folle barricato in casa che ha già sparato per fortuna senza prendere nessuno e che ora si trova barricato in casa e minaccia di uccidersi. Appena mi dicono la via capisco che è Guerrino, non è la prima volta che minaccia con il suo vecchio fucile da caccia, è malato, rimasto vedovo senza figli, è quasi cieco per via del diabete, entra ed esce dall’ospedale non appena le sue forze glielo permettono. Ha combattuto Guerrino, era poco più di un ragazzino durante la guerra e questo non gli permise di evitare di uccidere un giovane soldato tedesco, ma lui ripeteva che non avrebbe voluto perché ripeteva sempre che era disarmato e che lui era stato un vigliacco. Questo ricordo lo tormentava da una vita. Quando arrivo sul posto mi dicono che come già per altre volte vuole parlare solo con me. Da dietro la porta instauriamo un dialogo, è particolarmente agitato forse più delle altre volte, la malattia aveva fatto progressi nei suoi fragili nervi e sempre con quel vecchio ricordo che gli tormenta la mente soprattutto ora che è rimasto solo gli fa compagnia notte e giorno. Cerco di calmarlo, urla, dapprima non mi riconosce poi si rende conto che sono io e comincia a raccontare la storia del soldato, sempre le stesse parole lo stesso racconto da quando lo conosco, non voleva sparargli ma i suoi compagni lo intimarono di farlo e lui sparò, ripeteva all’infinito, e che aveva solo quindici anni.
-“Mi dissero spara Guerrino spara sennò lui spara a te, ma lui era disarmato”.
Io gli dico nel tentativo di calmarlo che non poteva sapere se era disarmato ma niente oggi sembra non ci fosse nulla che lo potesse calmare. A un tratto esplose un colpo. Nello stesso istante mi ero spostato per parlare con i miei due agenti che erano venuti con me, sentii un intenso e insopportabile bruciore al fianco e caddi a terra, dissi agli agenti di non sparare che probabilmente gli era scappato un colpo, poi si udii un altro colpo e silenzio, silenzio, tanto silenzio, e sangue tanto sangue che mi usciva dal fianco e svenni. Guerrino si era sparato un colpo in fronte, aveva messo la parola fine al suo tormento e a me regalò venti giorni di ospedale. Per fortuna la ferita mi prese di striscio senza causare danni interni anche se qualche pallettone riuscii a fare breccia nella mia carne, il caro e vecchio Guerrino aveva un fucile da caccia caricato a pallettoni. Dato che non aveva nessuno, feci tutto il possibile per avermi consegnato quel fucile, era lo stesso fucile che aveva ucciso il soldato tedesco come una volta mi raccontò, e con lo stesso fucile aveva fatto giustizia della sua tormentata coscienza. Quando dopo una lunga trafila lo ebbi tra le mani lo smontai in quanti pezzi mi fu possibile, li avvolsi in una coperta andai fuori dal paese a cercare un pozzo, di notte solo con le luci della mia auto, lo trovai e finalmente ebbe il giusto oblìo.
Non aveva fatto alcun mistero del fatto che le piacessi. Era una gran bella donna poteva avere si o no la mia stessa età e faceva l’infermiera nell’ospedale dove mi avevano ricoverato. Senza alcuna esitazione aveva trascritto il suo numero di cellulare in un bigliettino che mise nella tasca della mia camicia e volle assolutamente il mio, del resto non potevo rifiutare viste le amorevoli cure che mi aveva riservato in tutto il periodo in cui fui ricoverato. Mi diede solo un decina di giorni per recuperare le forze e mi chiama dandomi un appuntamento. Tassativamente non potevo sfuggirle, avevo appena ripreso le mie forze, pensavo comunque ad una serata tranquilla in qualche pub, per conoscerci meglio e fare quattro chiacchiere e via, che c’è di male del resto di una buona e bella compagnia femminile ne avevo di bisogno dopo quello che avevo passato ultimamente. Giungo sotto casa sua e subito dopo è davanti alla mia macchina, non mi ricordavo fosse cosi alta, una gran bella bruna con due occhi immensi e neri, uno sguardo che racchiude ogni singolo pensiero in un unico desiderio. Mi sento di colpo riappropriarmi delle forze che credevo ancora lontane. Entriamo in un pub poco lontano il tempo di bere qualcosa e accorgermi che non riesco a staccarmi da quello sguardo intenso e vorticoso. Ho la netta sensazione che si stia solo perdendo del tempo, abbiamo ben poco da dire e da perdere altro tempo inutilmente, ce lo leggiamo negli occhi. Usciamo dal locale neanche una parola in macchina la meta è già in testa e nel frattempo la macchina si permea di un forte odore, l’odore del suo corpo, odore di sesso. Con piccoli e sinuosi movimenti del corpo mi chiede se durante la settimana l’avessi pensata, si toglie la scarpa e mi passa il piede tra le mie gambe fino a toccarmi l’intimo, abbiamo entrambi una sola una cosa in testa. Due ore dopo siamo di nuovo in macchina che la sto riportando a casa con le ultime forze che mi ha lasciato, ma la sua carica erotica non è affatto scemata, si avvicina e mi accarezza nelle parti intime incurante del fatto che sto guidando, voleva rassicurazione sul fatto che ancora la desiderassi, ma il suo cellulare non smette di squillare aveva fatto finta di non sentirlo ma non potè fare a meno di rispondere, maledisse la baby sitter che aveva chiamato per stare con suo figlio che a detta sua non sapeva neanche farlo calmare. Prima di scendere dall’auto mi fa promettere che l’avrei richiamata, la vedo scendere dall’auto con quel vestito nero e i tacchi a spillo e mi verrebbe voglia di saltarle addosso.
Al processo le cose andarono per il verso giusto, marito e moglie furono condannati a sette anni, ma la tresca seppur pilotata con la signora venne ovviamente a galla. Una settimana dopo suona il campanello di casa, è il mio fratellone che chiede asilo, Anna lo aveva buttato fuori di casa. Portò con se’ oltre le sue cose personali anche il suo bagaglio di uomo ferito, sconfitto dalla vita. Non c’era più traccia del suo orgoglio, in lui io avevo visto sempre l’uomo forte capace di saper reagire alle avversità della vita, ora davanti a me si presentava un uomo irriconoscibile ai miei occhi, l’uomo che sapeva sempre cosa fare, l’uomo che tirava dritto senza remore alcuna senza mai guardare e guardarsi indietro, Il bambino e il ragazzo poi che non si era mai posto il problema come me degli amici persi e mai ritrovati, di quel luogo che io da sempre vado cercando che ricolleghi tutto un vissuto, tanto da farmi sentire uno sradicato, quell’uomo era svanito, cercavo di consolarlo senza urtare la suscettibilità il suo orgoglio, che le cose si sarebbero messe a posto che ci voleva solo un po’ di tempo, ma le mie parole erano vane. Ora mi ritrovavo un fratello ferito in casa, un gran bel fardello da gestire. Per fortuna per i reciproci lavori io con i miei turni di lavoro e lui con la banca ci incontravamo poco, gli avevo fatto avere un duplicato delle chiavi di casa, la gestione della stessa era affidata a una signora che veniva tre volte la settimana e lui avrebbe contribuito alle spese. Ma questo non evitò una volta ripresosi dallo sconforto iniziale e dal cambiamento radicale che gli era piombato addosso, visto che non era assolutamente abituato a tutto ciò, lui così perfetto e metodico nella gestione della sua vita e anche a quella di chi gli era vicino, di scontrarci su orari e modi di vivere che con due caratteri e modi di vivere erano ovviamente all’opposto. Io avevo ritrovato una ormai dimenticata autostima avevo preso a fare un po’ di vita notturna, lui era abituato ad andare a letto presto, sulla cucina ero abituato a pasti pronti o a qualcosa di semplice da fare, lui era abituato alla gran cucina prima di mamma e poi di sua moglie, Ma la goccia che fece traboccare il vaso fu quando intese farmi la morale sulla mia relazione fallita con Angela, nel giro di una ventina di giorni era ritornato ad essere il mio gran fratellone stronzo che conoscevo, ne ero quasi preoccupato di averlo perso. In un giorno di tregua trovammo il tempo di metterci d’accordo e una domenica decidemmo di andare a trovare la mamma, che negli ultimi tempi avevamo notato un netto peggioramento delle sue condizioni di salute.
Irina era molto preoccupata ci aveva fatto presente che già da due giorni non mangiava e non parlava più, le sue condizioni erano drasticamente precipitate. Ci ritrovammo insieme davanti a lei per la prima volta dopo tantissimi anni, mi sembrò di coglierle un lampo di luce nei suoi occhi illuminando per un istante quella sua mente in ombra, un sorriso lieve le carezzò il suo delicato volto. Aspettava di vederci insieme per morire. Non ci rendemmo conto ma ci ritrovammo per la prima volta abbracciati a piangere. Finalmente si ricongiungeva con mio padre dopo trentaquattro anni, accanto l’una con l’altro, loro che avevano passato la loro vita più divisi che uniti per colpa di una mano assassina. Ma non era il tempo dell’odio quello era già svanito nei primi anni di gioventù quando materializzai il sogno infranto di una famiglia normale, ora era il tempo della catarsi e di una nuova fase della propria vita.
Vendemmo trovandoci incredibilmente subito d’accordo con il prezzo la casa di mia madre. Di colpo mi venne in mente però la bellissima casa dei nonni paterni, bellissima benché piccola e vecchia ma di un fascino incredibile per via della sua straordinaria posizione praticamente in un fazzoletto di terra sul mare, con quella magnifica pianta di Pomelia così grande da non ne averne mai viste di simili che faceva un’ombra profumata nei pomeriggi di calura estiva. Quella casa fu svenduta per quattro soldi dopo la morte praticamente di crepacuore dei nonni nel giro di sei mesi l’uno dall’altra.
Ora avevo un discreto gruzzoletto in banca, mi balenava un’idea in testa ma ancora non era chiara dentro di me e soprattutto ancora non avevo trovato le mie radici. Che la sua presenza in casa mia era momentanea si sapeva in attesa di trovare un appartamento o chissà come sperava lui in un ricongiungimento con sua moglie, ma spazzare via tutte i suoi sogni ci pensò la banca che, dopo la sospensione momentanea visto il coinvolgimento personale nella vicenda lo trasferì in una sede di una agenzia in un’altra città parecchie centinaia di chilometri dalla sua. In quei tre mesi di forzata convivenza stavo cominciando a conoscere veramente mio fratello che in questo momento aveva tutta la mia comprensione, era più umano di quanto forse lui stesso credeva di essere, dopo che una notte che non riuscivo a chiudere occhio e sentivo dei strani rumori come un lamento soffocato e quando mi alzai per capire da dove provenissero, da dietro la porta dove dormiva udii dei singulti sufficientemente chiari per rendermi conto che stava piangendo. Non avevo mai visto piangere mio fratello, neanche il giorno del funerale di mio padre, lui che sembrava un robot cosi perfetto e distaccato ora mi sembrava fragile e vulnerabile come non mai. Il giorno della partenza gli dissi che qui sarebbe stata sempre casa sua nel momento in cui ne avesse avuto bisogno. Una frase che fino a poco tempo fa non avrei mai sognato di pronunciarla.
Avevo dentro di me una smania che non riuscivo bene a decifrare, tutto quanto era accaduto voleva dire pur qualcosa, l’aver smesso praticamente di correre da due mesi mi stava creando uno stress che avevo già conosciuto qualche anno addietro, uscii di nuovo un paio di volte con l’infermiera, sesso, sesso sfrenato credevo di colmare il mio senso di vuoto con il sesso, ma non mi accorgevo che il senso di vuoto, saziata la fame, aumentava sempre di più. Per di più una sera nell’accompagnarla a casa mi accorgo di una strana presenza alla finestra di casa sua, affacciato c’era un uomo, gli chiedo chi fosse e lei seraficamente mi risponde che era suo marito, che si era fatto rivedere ultimamente con l’intenzione di riappacificarsi con lei ma sbrigativamente mi fece capire che per almeno momentaneamente non aveva alcuna intenzione di tornare indietro, che io gli piaccio sempre più e altre smancerie del genere. Sufficiente per capire che non è più il caso di continuare di vederci. Per settimane e settimane il cellulare non fa atro che squillare il suo numero, ma anche se a malincuore preferisco fargli capire che non è il caso di continuare, ho visto e vissuto da vicino troppe tragedie familiari, e non mi va poi di essere utilizzato da una donna seppur bella e attraente come lei, come mezzo di gelosia, anche se c’era un fortissima attrazione fisica, avvertivo che c’era ancora dell’interesse per suo marito, anche e soprattutto dal punto di vista patrimoniale, non gli conveniva alla signora “bel culetto” , come l’avevo ironicamente ribattezzata io, il divorzio, sarebbe rimasta con il suo bel sederino a terra, quindi preferii sottrarmi a questo pericoloso gioco della bella signora.
Nel giro di due mesi a cavallo dalla fine dell’estate e l’inizio dell’autunno avevo perso mia madre e chissà se solo momentaneamente, anche mio fratello, della sua presenza-assenza ne avevo fatta una ragione fin da piccolo, ma le ultime vicende ci avevano in qualche modo riavvicinati. Ed eccomi con l’avanzare dell’autunno una stagione che sempre ho amato particolarmente, solo, maledettamente solo. Ripresi a fatica a correre a poco a poco nel giro di un mese avevo ripreso a fare gli stessi chilometri di prima e oltre a smaltire l’inevitabile pancetta degli anta evaporarono gran parte di quei pensieri negativi, quel tedio che mi stava lentamente sommergendo come sabbie mobili. Il lavoro in qualche modo mi aiutava a non pensare più di tanto, tra truffatori, ladri, spacciatori, l’umanità varia tutta, in una provincia per fortuna comunque abbastanza tranquilla, mi aiutava a tenere alta l’attenzione e a non cadere nell’oblìo della solitudine. Ma mi mancava sempre quel luogo, quel punto esatto della vita di ognuno di noi dove poter dire “Questo luogo è casa mia”. Pensavo a quanti dialetti avevo imparato da piccolo ogni qualvolta si cambiava città, tutte le persone che conoscevo le spiazzavo perché non riuscivano a capire di quale città ero nativo, quale dialetto mi appartenesse, ecco è tutta racchiusa qui la mia assenza di appartenenza ad un luogo ben preciso a una città ad una casa ad una comunità. Da circa sei mesi mi ero iscritto a un social-network mi avevano convinto dei colleghi che sapevano della mia personalissima condizione, e a parte l’iscrizione quasi d’obbligo alla pagina dedicata alle forze dell’ordine, avevo una seppur scarna pagina personale con qualche dato e notizia su di me ma ancora non avevo deciso di mettere una foto, l’unica foto recente era nella pagina stessa delle forze dell’ordine. Avevo lanciato il mio grido personale sulla mia condizione di sradicato con alcune informazioni su dove avessi passato i miei primi dieci anni di vita nelle varie città dove avevo abitato, abbinando i nomi alle città non potendo nemmeno dire il nome delle scuole che avevo frequentato avevo soltanto le foto di quasi tutte le classi delle scuole di tutte le città che cambiavo ma non c’era il nome della scuola, e dopo sei mesi non era arrivato nessun messaggio. La mia speranza era vana anche gli altri potevano essere nella mia stessa condizione, mettere una foto attuale sarebbe stato inutile, poi mi venne in mente l’idea di postare una foto di quando avevo circa sette anni con lo sfondo del palazzo dove abitavo e gli altri circostanti una foto leggermente sfumata ma sufficientemente chiara per il messaggio che volevo lanciare a un ‘ipotetico amico di quegli anni, se almeno non mi ricordi può darsi che ricordi il luogo dove giocavamo, ridevamo, piangevamo, litigavamo, vivevamo.
Aspetto con fiducia qualche risposta, ripongo in questa idea nuove speranze di ritrovare almeno uno, solo uno dei miei amici della mia prima infanzia, ed è come se ritrovassi tutti. Domani sarà domenica, oggi dopo che in settimana è piovuto parecchio, è infine uscito uno splendido sole e mi è venuta l’idea di andare a funghi con una amica speciale la chiamo per vedere se è libera da impegni per domani. Dove abita lei è un luogo formidabile per raccogliere funghi e fare due passi in quella incantevole campagna al confine tra l’Umbria e la Toscana. Letteralmente entusiasta dell’idea addirittura mi invita a venire già oggi e dormire da lei ma l’orario e le incombenze con il mio lavoro non me lo permettono ma le assicuro che sarò da lei al massimo per le otto di domani mattina.
Non saranno le otto precise ma comunque eccomi da Giulia il tempo di un caffè e mi aspetto che da quella porta dietro di me esca quell’incantevole figura che vidi l’ultima volta che ci vedemmo, lei intuisce il mio pensiero;
- “Non sperare di rivederla è ritornata in Finlandia è finito il corso universitario ed è tornata a casa sua.
- “Bello mio, ancora non hai capito che Giulia non appartiene a nessuno?” ridendo scendiamo dalle scale e ci incamminiamo a braccetto verso i campi, lei conosce benissimo la zona e visto il periodo e le piogge dei giorni precedenti, prevede di fare un bel raccolto, nel frattempo parlando del più e del meno già due porcini sono nel suo cestino io non riesco a trovarne uno dicasi uno, è incredibile gli chiedo come fa lei risponde con una battuta dicendo di aver naso per i funghi e poi è importante saper cercare nei luoghi giusti. “Come adesso vedi, fermati”! mi minaccia in maniera perentoria,
-“Ci stavi per mettere sopra il piede“
per un attimo, non so il perché mi balena in testa la strana idea che lei mi sfiori con la mano aperta il mio intimo. Eravamo ai margini di un fitto boschetto, io colto in una sorprendente e inaspettata fantasia mi blocco con lo sguardo verso la campagna di fronte e, nel momento che realizzo la mia fantasia, lei è inginocchiata di fronte a me a raccogliere un esemplare mai visto di porcino, era a dire poco fantastico con una cappella enorme, io ancora rimango con lo sguardo lontano con quella pazza idea in testa lei con mani delicate di fata, mi dice di guardare come si fa a raccogliere i funghi soprattutto quelli cosi grossi e riesce nell’impresa a raccoglierlo con delicatezza dal suo approdo naturale e tenerlo tra le sue mani. Io nel frattempo rimango ad occhi chiusi perso in quel pensiero vorticoso e non mi accorgo che mi sta guardando.
L’odore intenso della terra bagnata mischiata al penetrante odore di muschio unito a quello degli animali selvatici tra aghi di pino e ghiande, il fumo della legna che esce dai fumaioli delle case in lontananza, la fragranza dell’aria fresca del mattino di cose genuine, fa da cornice al mio immaginario erotico evidentemente represso chissà in quale angolo della mia mente. Nel riprendere il cammino, mi sento improvvisamente parte integrante di questa meravigliosa campagna, come se qualcosa di straordinariamente intimo nella mia fantasia si sia instaurato tra me e la terra. Giulia ha il suo solito modo naturale di osservare il mondo una naturalezza istintiva che la porta con straordinaria semplicità a fare e dire cose che ad altri rimangono solo in testa.
-“Ho sentito il tuo respiro fasi improvvisamente pesante quando mi sono inginocchiata vicino a te, e chissà perché ma mi è sembrato di vedere prendere forma il tuo pensiero” mi prende sotto braccio e con un malizioso sorriso mi dice:
- “Avrei potuto raccogliere il tuo di esemplare, però ti confesso che l’avrei volentieri fatto qualche anno fa quando facemmo quel viaggio, quando ancora non sapevo che Giulia c’era in me, li si che ti avrei fatto un bel pompino. Cala un improvviso silenzio.
Lei capisce e aggiunge.
-“Ma ora dell’uomo non ho alcuno interesse fisico, più che allo scambio dei corpi sono per lo scambio intellettivo, non sento alcuna attrattiva, ma… forse chissà per te un’ eccezione la farei.” E’ giù una gran risata fragorosa tanto da sentirsi fino aldilà del boschetto e improvviso un volo di uccelli fa evaporare in un attimo stagnanti e vorticosi pensieri suini. Imprevedibile come sempre mi aveva spiazzato ma allo stesso tempo tolto dall’impasse in cui mi ero cacciato. Colpito ma non certo affondato, perché Giulia è così, non si può nascondere nulla, neanche il pensiero più ardito, con il suo umorismo e la sua schiettezza mi aveva tratto in salvo. Poi, improvvisamente si fa seria e incomincia a raccontarmi una storia che inizia cosi‘: “C’era una volta una innamoratissima e ingenua ragazza universitaria che si era presa una cotta incredibile per un giovane professore. Il professore aveva capito che questa ragazza bramava per lui, ne era cosciente poichè non era la prima volta che gli accadeva che delle ragazze cadessero ai suoi piedi, ma lei era veramente innamorata, andava aldilà dell’aspetto fisico, non gli piaceva fisicamente, era attratta dalla sua mente che gli permetteva di aprire orizzonti in lei ancora inesplorati.
Ma evidentemente per lui non era così, e lei giovane e ingenua non se ne accorgeva. Un giorno riuscì a convincersi di salire a casa sua con la scusa di dargli un libro, accettò, ingenuamente innamorata come era, e visto l’accondiscendenza che lei aveva nei suoi riguardi, non gli fu difficile portarsela a letto. Fu un rapporto violento senza alcuna tenerezza, lontanamente diverso da come lei se lo sarebbe aspettato. Poi dopo qualche tempo non gli fu difficile di capire, anche per il suo comportamento con altre ragazze, che l’aveva letteralmente plagiata.” Era chiaro in me che stava parlando della sua storia, la storia con quel professore di cui lei ne era innamoratissima e che da quella storia lei ne era uscita drasticamente cambiata nel suo aspetto interiore, intimo.
Riprendiamo il cammino abbiamo ancora molto da raccogliere i cesti soprattutto il mio, è ancora vuoto! Mi chiede se nel frattempo avesse trovato qualcuno se si era fatto vivo qualche amico della mia infanzia, dalla mia espressione capisce che ancora non si è fatto vivo nessuno, e mi ricorda quello che mi disse l’ultima volta che la andai a trovare. “ Si ricordano le storie non i nomi”. Torniamo a casa che il suo cesto e pieno di funghi e il mio langue tre o quattro al massimo e nemmeno di buona fattura è chiara che la gara come l’avevamo chiamata, l’ha vinta lei. Il pegno era che se avessi perduto sarei rimasto a pranzo, lei era eccitatissima del fatto che avrebbe cucinato e mentre lei preparava uno dei sui pranzetti vegetariani a base di funghi, mi feci raccontare la sua storia con Tùùla. Fu’ davvero un magnifico pranzetto, bagnato da un ‘ottimo vino rosso novello che mi aveva fatto leggermente andare per le nuvole, e mi misi sul divanetto che era sotto una enorme rettangolare finestra che dava sulla campagna sottostante e mi addormentai. Mi svegliai con lei accanto a me sul divano con una coperta corta di lana che ci copriva a malapena entrambi. Guardammo entrambi fuori dalla finestra, io feci una domanda che mi sembrò stupida nel risentirmela dentro la testa perché ancora non avevo capito.
-“Ti senti mai sola”
-“No” rispose, ed era un no sincero si sentiva dal tono con cui aveva emesso quella parola. E mi racconta come si svolge la sua vita di campagna, si sono associati un gruppetto di presone che vivono attorno a lei dove praticamente vivono di baratto scambiandosi tutto il necessario per vivere, tutto in maniera semplice, una filosofia di vita che aveva abbracciato ormai da tanto tempo, lei oltre all’orto ha anche una piccola vigna e un contadino che la cura. A impatto zero sia nei costi che ovviamente nei consumi. Poi una riflessione che non poteva mancare.
-“Se si decidesse di vivere cosi’, credimi, sarebbe un mondo migliore”
- E poi ancora; “Pensi che la mia sia un’utopia? meglio vivere di utopie che di false speranze”
Era Giulia, non avevo dimenticato, era proprio la grande unica Giulia!
-“E poi ricordati che ho i cani, non dimenticarli” Mi ammonì. “E tu”?
-“Sai è morta mia madre” e poi le raccontai delle disavventure di mio fratello. Ed elusi la domanda, ma non tardò a ripropormela,
-“Si, risposi, mi sento solo, malgrado il mio lavoro sempre a contatto con la gente, mi sento incredibilmente solo” “Ma tu qui ora che non c’è più Tùùla?
-“La solitudine è una condizione umana strettamente personale, e poi io qui non mi sento mai sola , e come già ti ho detto dimentichi che ho i miei cani, e poi lascio sempre la porta aperta a nuovi incontri e conoscenze, ricordati che ti ho detto questa mattina “Giulia non è di nessuno, appartiene solo a se stessa” poi quasi a mò di monito:
-“Liberati la mente da questa condizione in cui ti sei cacciato, è solo una condizione mentale la tua, trovati una compagna, che sia per la vita o meno non ha importanza, ma vivi le situazioni per quelle che sono, il luogo ha un’importanza relativa poi c’è tutto un mondo che ruota attorno a questo benedetto luogo che vai cercando, ripeto tu cerchi nel modo sbagliato, se devi trovare un luogo è nel presente che devi cercare, non certo nel passato.” Eravamo uno di fronte all’altra semisdraiati sul divano sotto la grande finestra, si piega leggermente su se stessa e avvicinandosi a me mi sussurra con la sua splendida voce calda;
- “ See the stone set in your eyes, see the thorn twist in your side, i wait for you” le rispondo con la seconda strofa
-“Sleight of hand twist of fate, on a bed of nails she makes the wait, and i wait without you , e insieme intoniamo il ritornello
-“with or without you, with or without you” guardandoci dentro negli occhi e sorridendo in un caldo abbraccio.
-Toglila questa spina che ti tormenta il cuore” e con un filo di voce mi sussurra a uno orecchio “La casa è dove hai il cuore” .
Con un paio di bottiglie di vino novello regalatogli da un contadino di quelle parti e una promessa di tornare a prendermi l’olio, arrivai a casa giusto per l’ora della cena, ma non avevo fame accesi il pc e andai sulla pagina personale del social network, e vidi con mio stupore che avevo due messaggi da leggere.
Il primo messaggio era di una maestra di una scuola elementare che diceva di avermi avuto come suo scolaro in una località che ricordavo di averci abitato da piccolo e mi diceva anche la scuola che a me però non diceva nulla, l’emozione è enorme nel leggerlo e mi chiedo se è finalmente l’occasione giusta per collegare e mettere insieme una pò di anni, come delle perle dentro un filo, e ricordare qualche compagnetto di quei anni. Rispondo al messaggio e gli scrivo un pò di cose inerenti a quel periodo, poche per la verità e rimango in trepida attesa di una sua risposta, l’altro messaggio è invece alquanto strano, è una persona che mi scrive dicendomi di avermi conosciuto poco tempo fa e di volermi rivedere al più presto perché a una cosa da farmi riavere e mi chiede non appena sono libero dal servizio di dirgli il giorno e mi farà sapere il luogo. Vado nel suo profilo alla ricerca di qualche indizio, è noto che è una donna ma non c’è foto e non posso accedere ai suoi dati personali.
Nel frattempo la vita scorre come sempre nel suo tram tram quotidiano, succede poco per la verità in questa località di provincia dove sono per lo più truffe ai danni di persone anziane e qualche rapina per la verità in aumento negli ultimi tempi diventati veramente difficili per tutti. E nel frattempo è passato quasi un mese da quel messaggio della maestra che non mi ha più risposto, invece erano già ben due i messaggi di quella donna che mi ripete di volermi vedere al più presto perché ha qualcosa da restituirmi, ma malgrado mi sforzi di pensare non mi viene in mente nessuno a cui abbia dato qualcosa per cui mi debba essere restituito. Poi un pomeriggio arriva finalmente la sospirata risposta, ma haimè non della maestra ma di un suo nipote che mi avverte che sua zia è morta già parecchio tempo prima e che dove gli è possibile sta cercando nei ritagli di tempo di tenere viva la sua pagina personale dove raccoglie foto e messaggi di alunni di sua Zia, e mi dice di guardare tra le sue foto dove ci sono le scolaresche avute dalla zia nei tanti anni di insegnamento tra cui troverò la mia con tanto di didascalia a fronte. E mi viene in mente che non molto tempo fa avevo letto in un articolo del rischio vero a quanto pare, che in questi social network possano diventare nel tempo dei veri e propri cimiteri virtuali. Mi butto comunque a capofitto tra le centinaia di foto postate e cerco spasmodicamente quella in cui dovrei esserci io, ma nel guardarle alla fine non mi accorgo che le guardo e riguardo tutte, ne vedo i volti gli sguardi tra sorrisi, accenni di sorrisi, smorfie, sguardi imbronciati, occhi chiusi, occhi tristi o malinconici, sguardi incantati o persi nel vuoto facce di fianco, monocromatici o a colori, in tutto questo non si distingue la verità. Non mi rendo conto che le ho già viste tutte e continuo a ripassarmele fino allo sfinimento. Ero in tutte quelle foto, compresi i miei compagnetti, in tutte le scuole e classi in tutte le città e paesi dove ero stato, ero in tutti quei sorrisi, in quelle smorfie in quei musi lunghi ero dappertutto e da nessuna parte. Spensi il pc e una forte sensazione di fuggire di scappare di non essere in questo luogo che non era quello in cui ora abitavo, era un luogo che non riuscivo più a trovare e non mi ero reso conto che la sua ricerca a poco a poco mi aveva alienato.
-“Tu cerchi nel modo sbagliato, e nel presente che devi cercare non nel passato” Mi tornava in mente la frase di Giulia ed aveva pienamente ragione.
Non so il perché ma lei sapeva che ero un poliziotto, non riuscivo a mettere a fuoco il motivo per cui mi doveva restituire qualcosa che gli avrei dato, cercavo di ricordare le situazioni di servizio che mi erano capitate negli ultimi periodi ma non c’era traccia di nulla del genere. Sapeva che ero un poliziotto perché nell’ultimo messaggio mi chiedeva di stringere i tempi e di farle sapere quando ero libero dal servizio di incontrarci nel luogo che lei poi mi avrebbe fatto sapere. Due settimane dopo gli mandai un messaggio in cui gli scrissi che nel sabato successivo sarei stato libero da impegni lavorativi, la sua risposta non tardò ad arrivare ci saremmo visti in una piazza nella città dove abitava. Il nome della città mi fece sobbalzare, era la prima città del mio viaggio che feci all’incirca quasi un anno fa, quando tornai in cerca del mio luogo nel tempo. Quella mattina non rinunciai comunque a fare la mia solita corsetta anche se ormai l’inverno incipiente cominciava a farsi sentire, alle otto ero già in viaggio, c’erano circa 200 chilometri da fare e l’appuntamento era per le 11 ma non avevo voglia di correre e di incappare in altre multe che nel frattempo erano arrivate e già saldate un salasso che mi costò quasi uno stipendio intero più otto punti nella patente, anzi per le mie conoscenze dato la recidività, due multe praticamente nello stesso periodo, ero riuscito a non farmela ritirare. Ci saremmo dovuti vedere in un piccolo bar, l’unico che c’era nella piazza che mi aveva indicato lei, ero lì che mi stavo prendendo un aperitivo vista l’ora e il bar era pieno di gente un bar molto frequentato e tra la gente vedo una donna seduta a un tavolino mi era sembrata già di averla vista prima quando ero entrato ma ora la osservo e noto che bevendo attraverso il vetro del bicchiere mi osserva e dopo che lentamente appoggia il bicchiere sul tavolino, mi fa cenno con la testa a mo’ di saluto e mi invita a uscire dal bar. Io pago il mio aperitivo e mentre sto pagando osservo la sua figura di spalle mentre esce dal bar, e cerco di focalizzare il volto che avevo appena visto, chi fosse e dove l’avevo conosciuta, i capelli biondi che spiccano sopra il collo del suo soprabito nero si muovono sobbalzando a ogni suo passo, un passo lungo e seducente sa che sono dietro di lei e che la osservo, davanti alla balaustra della fontana si volta io sono a pochi passi da lei e ancora non so chi è. Salutandomi con uno sguardo duro e orgoglioso senza tanti giri di parole mi dice:
-Queste sono tue, io non ho di bisogno”
Realizzai immediatamente. Era la ragazza dell’aggressione e quelle le famose e miserabili cento euro che gli lasciai prima di uscire da casa sua e dalla sua vita, almeno così credevo. In quel momento sarei voluto sprofondare, ci fu un attimo che mi sembrò eterno in cui non mi veniva di dire alcunché qualsiasi parole che giustificasse quel simile comportamento. Probabilmente lei apprezzò questo mesto silenzio carico di colpe, di inutili parole e giustificazioni del caso tanto per togliersi dall’imbarazzo, ma io non riuscivo malgrado avevo preso quella carta da cento euro tra le mani e ancora ero lì impalato come un coglione senza riuscire a proferire parola. Deglutì a fatica, il rumore stesso sembrava un gorgoglio impazzito dentro la mia gola, la guardai e infine farfugliai qualcosa che a stento riuscì a capire io stesso ma senza troppe spiegazioni,
-“pensavo che ti avrebbero fatto comodo, ma evidentemente mi sbagliavo, scusami. poi dopo aver respirato forte l’aria fredda e umida, la guardai e notai che i suoi occhi sembravano di un altro colore di come me li ricordavo, erano un grigio-verde cangiante, ora luminoso ora ombroso come il sole tra le nuvole che si inseguivano lente in una giornata senza vento, come quel giorno che ci conoscemmo per caso. Probabilmente le sue intenzioni sarebbero state altre, ridarmi ciò di cui non aveva di bisogno e lasciarmi solo come un pollo in questa piazza bagnata dopo aver fatto circa 200 chilometri e altrettanti mi aspettavano per il ritorno, sarà stato il mio sincero e umile ammissione di colpa per il deplorevole comportamento, sta di fatto che accettò di fare una passeggiata. Ci incamminammo verso le vie e viuzze del centro, ovviamente ero io a seguire lei che conosceva a menadito ogni angolo. Improvvisamente mi chiese:
-“Da quanto tempo non venivi qui?” rimasi sorpreso dalla domanda, sapeva che un tempo abitavo qui.
-Ero tornato il giorno che ci siamo conosciuti dopo circa trentaquattro anni, avevo otto anni quando ce ne andammo, mio padre era carabiniere e spesso veniva trasferito, erano anni bui, del terrorismo, anche se io vivevo la mia età e non ne me ne rendevo conto”
-“ Avrai lasciato parecchi amici, a quella età ce ne sono davvero tanti”
-“ Si tanti, davvero tanti, ma non solo qui, un pò in tanti altri luoghi, anche se qui ho lasciato il mio cuore, è la città in cui abbiamo abitato di più, figurati neanche quattro anni, ma sarà che era l’età in cui ti rimane tutto dentro indelebile e te lo porti via per sempre. E poi c’era un ragazzino che io ammiravo molto e che pochi giorni prima che ce ne andassimo aveva avuto un brutto incidente.”
Si sofferma per un attimo e mi fissa con uno sguardo da cui è impossibile sfuggirle“
-E tu quel giorno a casa mia, hai creduto fosse lui” Mi sorprese .Come faceva a sapere che per un attimo avevo creduto che quella carrozzella da invalido, che in quelle foto sulla parete della stanza fosse Lucio?
-“Dal giorno stesso che te ne andasti lasciandomi…” Ci fu una pausa di silenzio tra il dire e non dire “quello che mi hai lasciato“. Aveva orgoglio da vendere, non riusciva nemmeno a nominarla quella banconota da cento euro che miserabilmente gli lasciai sul tavolo prima di scappare come un ladro da casa sua. Lei parlava ed io non mi rendevo conto che già la amavo. Amavo i suoi capelli biondi ondulati che si muovevano sopra le sue delicate spalle come serpenti ammaliatori, amavo i suoi occhi di un colore indefinito senza fondo senza tracce di passato, amavo le sue mani bianche dalle lunghe dita affusolate che arpeggiavano l’aria con una celestiale musica, amavo il suo orgoglio ferito, amavo la sua voce che ogni tanto cedeva all’emozione. Camminando si tolse il soprabito con naturalezza, la maglia che gli aderiva al corpo disegnava un arco perfetto della sua schiena. L’amavo, si, già l’amavo. La convinsi a entrare in una piccola trattoria di cucina tipica del luogo, accettò solo perché sapeva che lì si mangiava davvero bene, e nell’attesa continuammo a chiacchierare. La tensione dell’inizio era scemata e aveva lasciato il campo a una conversazione rilassata e intima. Tra un antipasto e via via il resto dei piatti ci raccontammo un bel po’ del nostro vissuto. Suo fratello era un poliziotto ferito gravemente durante una rapina, rimase paralizzato, era da poco sposato e la moglie poco tempo dopo lo lasciò, lei conviveva con un uomo, i suoi genitori erano già passati a miglior vita prima dell’incidente di suo fratello, la sua storia non funzionò, e lei si prese cura di suo fratello. Si fermò, sorseggiando un bicchiere di vino rigorosamente bianco come espressamente aveva richiesto, cercando dentro di se le parole per continuare, spaziando nella piccola sala con lo sguardo che luccicava di un pianto interiore che a stento riusciva a soffocare dentro di sé. Rimasi in silenzio, un devoto silenzio. Nell’aria aleggiava un finale tragico. Un giorno di ritorno dal lavoro trovò suo fratello a terra, si era sparato un colpo in testa. Un biglietto scritto prima di compiere il gesto, un biglietto di scuse per lei, che lo aveva accudito e amato, ma non ce la faceva più a sopportare la vita che faceva. Era successo quattro anni prima. Dopo lo sconforto seguì la rabbia per quel gesto, quasi lo odiava per quello che aveva fatto, un gesto che riteneva egoistico, perché non era solo lui ad avere bisogno di lei, ma anche lei aveva bisogno di suo fratello. Poi con il tempo l’ho perdonò. Subentrò una fase di depressione che le costò il posto di lavoro, e il rifugio consolatorio verso la droga. Ma dall’episodio di quel giorno dell’aggressione di quel pusher e del mio intervento, scattò una molla dentro di lei, più in basso di come era scesa non poteva, e con molta forza di volontà decise di risalire la china. Da poco tempo aveva trovato lavoro in uno studio notarile, paga poco soddisfacente ma che gli bastava per tirare avanti, la casa dove viveva con suo fratello gliela avevano lasciata i suoi genitori, sperava in qualcosa di meglio, ma era senza dubbio meglio di niente. Poi, smise quello sguardo triste, e, come i suoi occhi, indossò l’abito più bello che le poteva donare sul suo viso. Sorrise quando mi raccontò di come lo aveva fatto a rintracciarlo, anche lei si era iscritta nella pagina del social-network delle forze dell’ordine e tra le foto degli iscritti, spulciando e leggendo soprattutto un post dove io avevo mandato il mio stupido urlo di ricerca del passato, mi aveva individuato. Anche lei era nata e cresciuta nella stessa città, quando io e la mia famiglia ce ne andammo via lei era appena nata, erano vicini di casa dei miei e conosceva Lucio e la sua disgraziata famiglia. Quando l’anno dopo successe la tragedia di mio padre ovviamente come tutti gli atti terroristici di quegli anni avevano una risonanza nazionale e i suoi genitori che conoscevano i miei in quanto vicini di casa gli raccontarono qualche anno dopo l’accaduto. Quindi ero, mio malgrado, conosciuto senza saperlo, grazie alla disgrazia di mio padre. Chiesi di Lucio che cosa ne fosse stato di lui, mi raccontò che a parte qualche mese di ospedale per fortuna si rimise in sesto, poco dopo suo padre morì e lui e sua sorella furono affidati a una struttura che si occupava di orfani in attesa di darli in affidamento a qualche famiglia e non seppe più nulla di lui.
Mi sentì meglio. Quindi Lucio non aveva subito conseguenze letali per quel brutto incidente, allo stesso modo mi sentivo sollevato, ogni tanto capitava quando mi ritornava in mente quell’episodio mi sentivo in colpa. Probabilmente non lo rivedrò mai più e chissà può darsi che sia cresciuto in qualche famiglia che gli abbia potuto permettere a lui e sua sorella di vivere in maniera dignitosa. Ero felice per lui pur non sapendo quale sia potuto essere stato il suo futuro, ma ero comunque felice per lui e tutto questo mi accese ancora di più l’appetito.
La riaccompagnai a casa, mi chiese se volevo salire e non rifiutai. Mentre preparava il caffè rivisitai la casa era cambiata, c’era più luce alcuni mobili erano stati cambiati , entrai nella stanza di suo fratello, non c’era più nulla, più il suo lettino, la sua carrozzella e le sue foto, non c’era più nulla di tutto questo, al loro posto un tavolo da lavoro da disegno e quadri appesi al muro colorati pieni di luce e di vita.
-
“Con la pittura ho ritrovato il mio equilibrio interiore. E tu, cosa fai quando stacchi dal servizio?”
Pensai al fatto he non avessi un hobby, se non la pesca che dopo diversi anni abbandonai per varie ragioni, cazzate, pensai, ma preferii dirgli che non avevo altri interessi aldilà della lettura e della buona musica che mi staccasse dal mio lavoro.
Era tardi le sette di sera e buio pesto fuori.
-“Rimani qui stanotte” mi chiese all’improvviso, ma le risposi che dovevo andare per una serie di inutili cazzate che mi vennero in mente in quel momento. Ma quando mi ritrovai in macchina da solo a pensare come un coglione, scesi e suonai al suo campanello chiedendogli se l’invito era ancora valido. Facemmo l’amore. Il suo corpo profumava di terra fertile, la sua pelle come pesca e i suoi seni i suoi fiori, il calore del suo corpo aveva la stessa potenza del vino rosso dentro le vene. Non avevo mai vissuto in tutta la mia vita una sensazione del genere con una donna, un coinvolgimento che non era solo fisico, erano due anime che finalmente avevano trovato il loro approdo, il fondersi di due individui in uno solo.
La mattina come sempre mi sveglio presto, lei è accanto a me, meraviglia tra le lenzuola che la coprono appena sotto le spalle e i capelli biondi ondulati a coprirle una parte del viso. Mi vestii in silenzio e uscii. Era una raggiante domenica di tardo autunno, erano le sei del mattino e l’alba ricopriva d’oro tutta la città. Mi misi in moto con la mia macchina. Volevo capire, capire quello che mi stava succedendo, tutto così all’improvviso, e intanto ero già fuori città nella campagna. Vagavo verso una meta indefinita, una meta che non era per la prima volta da più di un decennio rivolta al passato, verso quel luogo che non riuscivo a trovare a collocare con esattezza. Come sempre presi strade statali e provinciali, strade che non avevo mai preso. Mi fermai in un punto della campagna e scesi dalla macchina, mi tolsi le scarpe e le calze volevo camminare a piedi nudi nell’erba, l’erba umida del mattino, quella fresca sensazione sotto la pianta dei piedi che ti fa sentire vivo. Non c’era più traccia di me del passato, non sapevo neanche più chi ero, un altro con lo stesso cuore, con la stessa anima ma non la stessa testa. Guardavo, osservavo le cose con altri occhi. Ero nel presente, stavo vivendo adesso! Questo aveva fatto quella donna e gliene ero grato. L’amavo come non mi era mai capitato prima, l’amavo da morire, e già dopo solo due ore di girovagare come un coglione con la macchina mi mancava come l’aria. E mentre tornavo indietro guardavo le case non ce ne era una che non mi piacesse, tutte con giardino come piacevano a me, pensando a un figlio che non avevo mai avuto. Poi pensavo a Lucio chissà cosa era diventato e semmai senza riconoscerlo lo avevo incontrato qualche volta, di certo ero felice per lui che quel giorno sembrava morto. Non sarà un caso pensavo proprio quando ero giunto di nuovo sotto casa sua, che nel giro di un anno sono rimasto solo, dopo la separazione da Angela, il trasferimento di mio fratello e la morte di mia madre, e ora mi capitava questa splendida opportunità di vita, una svolta che non potevo non raccogliere. Quando suonai da sotto il portone il tempo che ebbi di salire le scale, trovai la porta socchiusa. C’era uno strano silenzio in tutto l’appartamento, un silenzio che aspetta di essere riempito di parole. La trovai nello studio la finestra dietro di lei dava alla sua figura una sensazione da sogno. Stava disegnando e con un sorriso mi parlava di cose nuove, con parole mai sentite, con occhi mai visti. Stava facendo uno schizzo in carboncino, se ero io di certo su quel volto non c’era traccia di malinconia. Con un semplice tratto di matita , e non solo, aveva cancellato tutta la mia vita precedente. -
“Ti aspettavo”
-“Come facevi a sapere che sarei tornato”
-“Lo sentivo, non so spiegarti, non si può spiegare tutto, sentivo che saresti tornato, tutto qua”. Era disarmante, ed io stesso ne ero affascinato dal suo modo di fare e di pensare.
-“Se mi dovessi descrivere in un colore, a quale colore ti faccio pensare? Mi chiese così all’improvviso. La guardai per un attimo solo e gli risposi: Giallo mi ricordi il colore del grano maturo al paese di mio padre, al colore dell’alba che inseguo la mattina quando vado a correre, e a tutte le stelle del cielo. Poi mi chiese di avvicinarsi a lei e vidi il ritratto. Ero io ma quasi non mi riconobbi.
“Questo sei tu, solo che ancora non sai di esserlo” e ancora; “Libera quei colori che hai dentro, colora la tua vita”.
Per un breve periodo vivemmo nelle nostre rispettive città, ci incontravamo il fine settimana e certe volte visto il mio lavoro, anche solo la domenica, ma non sopportavo assolutamente un altro rapporto a distanza visto che il mio trasferimento era stato rifiutato per problemi di organico e le sempre più aspre situazioni sociali che si erano andate a creare per colpa della crisi economica, sempre più pesante, erano aumentati in maniera esponenziale rapine e furti nelle case ad opere di bande sempre più agguerrite. I problemi di ordine sociale mi dividevano in due, come in ben altre situazioni che mi erano capitate nel corso della mia vita da poliziotto, ma io ero dalla parte della legge, quella legge a volte crudele che non guarda in faccia nessuno, soprattutto la povera gente che non ha i mezzi per potersi difendere come i potenti. Allora ecco i furti nei supermercati ad opera di anziani che spesso e volentieri si ritrovano loro malgrado a rubare pacchi di pasta e scatolame vario per poter mangiare, e vedere gli zelanti Direttori dei centri commerciali chiamare il nostro centralino per le denunce, fanno il loro dovere, come noi del resto, ma certe facce di falsi zelanti gliele avrei spaccate volentieri, non ho mai condiviso il loro sguardo fiero di aver denunciato questi poveri disgraziati con lo sguardo ferito ma orgoglioso di questi poveri cristi, non ho mai stretto la mano ad ognuno di loro, la mia comprensione era solo ed esclusivamente per quelle innocenti vittime di un consumismo estremo ormai alla deriva e di una politica sempre più lontana anni luce dalla gente.
Da un po’ di tempo mi balena l’idea di abbandonare la divisa. Sono periodi difficili, la gente non ne può più, licenziamenti, suicidi, e di vedere gente che ne approfitta, gente delle istituzioni incapaci di sentire il grido di chi non ce la fa più e di difendere chi sta portando alla rovina il paese proprio non ne posso più.
Visto che in banca ho un gruzzoletto frutto della vendita della casa di mia madre, l’idea di aprire un piccolo locale un bar o qualcosa del genere da qualche parte di questo sgangherato paese, qualcosa che mi lasci attaccato, vicino alle persone, quelle vere quelle che hanno fatto o fanno la bellezza di questa nazione, quelle persone che lavorano ogni giorno che fanno sacrifici, quelli che hanno perso il lavoro e riescono ad andare avanti con dignità, quelli che invece non ce l’hanno fatta per troppa dignità, quelli che non si vendono per un favore politico, quelli che non hanno perso la fiducia in se stessi, ancor prima che delle istituzioni, quelli che con enorme sacrificio hanno realizzato un proprio benessere personale, tutte quelle persone che sono lontane dai riflettori dei giornali delle tv, quelle persone come mio padre che ha sacrificato la vita per questa dannata Nazione. A darmi coraggio a uscire da questa strano sentimento negativo verso quella divisa che prima mio padre dando anche la propria vita in martirio anche se di colore diverso, e poi io, avevo sempre creduto, a darmi nuovo slancio per un futuro diverso e migliore c’è una donna accanto a me in grado di ridarmi fiducia in me stesso a quello che ho sempre creduto, una donna che con il suo coraggio ha saputo buttare il cuore oltre gli ostacoli e ritrovare la speranza di una vita migliore, ed io in questo momento non posso deluderla, lei è la mia forza ed io sono il suo guerriero, non posso mollare ora chi mi sta dando una nuova vita. Ora che ho capito che quel luogo che andavo cercando da tanti anni ha perso di significato, ora che ho saputo cercare nel luogo giusto, ho trovato la casa che cercavo.
Perché la casa è dove è il cuore.
Un anno dopo
C’è un messaggio di posta elettronica , arriva niente di meno che dall’Australia, con un nick-name Australiano e mi racconta una storia.
Vivevo in una piccola cittadina di provincia nel Italia centrale, una famiglia povera con genitori alcolizzati, un padre- padrone , e una madre succube e debole che non ha saputo trovare la forza per portarsi via i suoi figli e abbandonare quell’uomo che aveva rovinato la sua vita e preferii sparire nel nulla. Una mamma che con il tempo avevo odiato perché anche se in quelle condizioni il padre riusciva in qualche modo a mandarli avanti. Poi mio padre muore, era ormai malato da tempo, mia madre neanche l’ombra, e io mia sorella veniamo messi in un orfanotrofio in attesa di affidamento. Avevo dieci anni, mia sorella quattro. Veniamo affidati a famiglie diverse, io mi ritrovo catapultato in una grande città del nord, lontano dalla mia città nativa, io che ero nato lì e li avevo sempre vissuto, lontano dai miei amici e compagni di scuola, dai miei luoghi di nascita dai miei giochi, lontano da tutto e da tutti, di mia sorella ne perdo le tracce. Tutte e due veniamo divisi e viviamo in famiglie diverse. Cresco in una famiglia benestante dove non mi fanno mancare nulla, studio, riesco a conseguire il diploma, però crescendo con l’adolescenza cresce sempre più in me il desiderio di ritrovare mia madre e mia sorella. Appena maggiorenne decido di lasciare la casa e i miei genitori adottivi, me lo permisero capendo che in me c’era questa esigenza, non senza preoccupazione, e incominciai il mio girovagare per lo stivale, facendo mille lavori, seguendo una falsa traccia andai anche oltre i confini nazionali, riesco infine dopo qualche anno a ritrovare mia madre. Non potendo avere accesso alle informazioni dello stato civile visto che con l’affidamento avevo cambiato generalità , riuscì grazie all’amicizia di un amico che aveva la moglie che lavorava al comune di avere delle notizie.Mia madre era morta pochi anni prima, un brutto male se l’era portata via. Io, che per una vita aveva idealizzato mia madre e immaginato l’incontro con lei, tutto era svanito nel glaciale e freddo marmo di una lapide. Quando uscii dal cimitero avevo capito che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. L’opportunità di un cambiamento radicale arrivò qualche mese dopo, conosco una donna e come meta della nostra vita futura scegliamo di andare a vivere in Australia, che in quel periodo era la nuova frontiera dei sogni da realizzare, e visto che tutte e due siamo dei bravi cuochi riusciamo dopo qualche anno di sacrifici ad aprire un piccolo ristorante di specialità italiane per tutti gli immigrati e non solo, che vivono in quel continente. Ebbene, dall’altra parte del mondo, ho avuto l’opportunità di resettare tutta la mia vita precedente ma non sai, mi racconta, quante persone di cui avevo perso tracce ho incontrato prima di venire qui in Australia, è incredibile, persone che ho conosciuto anche dopo che andai via dalla stessa città dove eravamo in parte cresciuti insieme, amici conosciuti negli anni a seguire in quella che era stata la sua seconda vita, ma come capita spesso incontrai anche quelle persone che mai avrei voluto rivedere, gente che mi aveva fatto del male, male che era difficile da dimenticare, dentro quella casa famiglia c’erano anche dei diavoli. Poi qualche amico che non aveva avuto la stessa fortuna nostra di esserci ancora sopra questo sporco mondo, amici morti per una precoce malattia o per incidenti stradali. E cosi a poco a poco mi misi l’anima in pace, preferivo il ricordo di quegli anni seppur difficili con la mia famiglia ma scanzonati e leggeri grazie all’età che avevamo, pensavo che quelle storie erano tutte dentro di me e le custodivo gelosamente. Poi un giorno dalla porta del ristorante con il locale stracolmo di gente vedo entrare una coppia, intuì subito che non erano marito e moglie lo capii dagli atteggiamenti, lei era una giornalista e lui un fotografo erano in Australia per un servizio naturalistico, lui sui quaranta lei sulla trentina. Entriamo subito in confidenza e dopo qualche ragguaglio del suo lavoro, mi dice che lei è qui anche per un altro scopo, una traccia l’aveva portata fin qui per ritrovare a lei una persona cara. Lei da subito mi sa di familiare, come se qualcosa di invisibile ci lega e più parliamo più ritrovavamo la strada che ci ricongiungeva, quella che un giorno di più di trent’anni prima ci aveva diviso. Era il giorno che aspettavo il giorno perfetto ed era arrivato. Nel preciso istante che entrambi capiamo di esserci ritrovati, scorgo una luce nei suoi occhi che proietta all’indietro tutto il film della nostra vita nella stessa casa natia, e come se quel distacco non fosse mai accaduto. Riconosco la sua voce, la musicalità della sua timbrica, la stessa di mia madre, era mia sorella. Lei aveva ritrovato me, perché mi confidò dopo che era abbastanza sicura che fossi io, lei era piccolina poco più di quattro anni all’epoca quando ci divisero, era riuscita ad avere una mia foto da una zia anni prima, una foto una delle poche che avevo di quegli anni, scattata da mio padre nei pochi giorni di sobrietà davanti alla porta di casa con un gruppetto di amici, io di lei non avevo che il ricordo di una bambina con le trecce che gli faceva con cura mia madre, avrà avuto tre anni, i capelli rossi e due grandi occhi azzurri. Io che avevo smesso di cercarla, lei dall’altra parte del mondo mi era venuta a trovare.
E nel rivedere quella foto dove eravamo in quattro, gli chiedo a mia sorella se si ricordava di quello che era accanto a me, tutte e due con le braccia sulle reciproche spalle con lo sguardo dritto davanti all’obbiettivo e il sorriso e lo sguardo innocente che si può avere solo a quella età. Lei essendo una giornalista m’informa che è il figlio del maresciallo assassinato dalle Br nel “79, il nome non se lo ricordava ma dice il cognome. Poi su internet facendo una ricerca trovo l’articolo di un giornale di quell’anno e nel articolo del giornalista che scrisse il pezzo leggo i nomi dei famigliari che il povero maresciallo aveva lasciato, la moglie, i nomi dei figli e i rispettivi anni capii che non potevo che essere io. Finalmente mi aveva ritrovato dopo più di 40 anni, mi chiede come sto, che lavoro faccio, se sono sposato se ho figli e se mi ero dimenticato di lui. No Caro Lucio, non mi ero dimenticato di te, tanto che nelle mie fitte righe di risposta gli racconto tutto quello che ho passato negli ultimi quindici anni, ma nel descrivere la mia angoscia del passato, sento, dopo tutto quello che ho letto della sua vita, che tutto ciò che ho provato e che provo ancora ha perso di significato. Quella mia ricerca di un luogo preciso dove collocare tutti i miei affetti personali, i compagni di scuola lasciati così all’improvviso, convinto nella tenerezza dei miei anni che prima poi li avrei rivisti, che sarei tornato negli stessi luoghi in tutte le strade delle varie città che ho conosciuto, gli amici di strada e di giochi abbandonati all’improvviso, senza alcun preavviso con tutte le cose incompiute ancora da definire e pensavo nella mia mente e nel cuore che prima o poi le avremmo terminate, che fossero ancora li, nelle strade nei prati, ancora li ad attendermi. Ebbene tutto ciò non aveva più un reale senso. Poi gli dissi che non l’avevo per nulla dimenticato, tanto di aver deciso che il figlio che stava per nascere lo avrei chiamato esattamente come lui.
Alla fine smettendo di cercare ho trovato, e ritrovandone solo uno e come se li avessi ritrovati tutti, perché la casa è dove hai il cuore.
“ FIN QUANDO DAI LA CACCIA ALLA FELICITA’, NON SEI MATURO PER ESSERE FELICE,
ANCHE SE QUELLO CHE PIU’ AMI E’ GIA TUO.
FIN QUANDO TI LAMENTI DEL PERDUTO, ED HAI SOLO METE E NESSUNA QUIETE,
NON CONOSCI ANCORA COS’E’ LA PACE.
SOLO QUANDO RINUNCI AD OGNI DESIDERIO E NON CONOSCI NE’ META NE’ BRAMA
E NON CHIAMI PER NOME LA FELICITA’, ALLORA LE ONDE DELL’ACCADERE NON TI RAGGIUNGONO PIU’
E IL TUO CUORE E LA TUA ANIMA HANNO PACE.”
Hermann Hesse
Autore: Mauro Monteverdi
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LA STANCHEZZA
ricwhat ha commentato la foto di z-violet “no :*”
support @z-violet pure io, rispondere a 'sto fascistame è giusto! Se non ci si ribella con un cartello, con cosa si potrebbe farlo? Attendo risposta dagli indignati...
Senti stupidino,
in questo momento stanno chiamando gli ingegneri del comune per testare la tenuta del cemento armato del pavimento del mio ambulatorio perché ho i coglioni che rischiano di sfondare il solaio e se c’è una cosa per la quale qualcuno un giorno si prenderà un nobel è la sintesi di una vaccino contro la stupidità, quindi resta pure speranzoso.
Inoltre, dal mio punto di vista, peggio degli stupidi con la diarrea verbale da proclamazione sociale ci sono solo gli stupidi stitici da tastiera con cerebrodiscrasia in lettura/scrittura, i quali liquidano vaghi ricordi scolastici di 70 anni di storia con due righe di indignazione utile e risolutiva tanto quanto Clippy di Windows.
E in questo momento tu stai occupando il terzo posto sul podio come Esperto Storiografo dell’Internet dopo i sismologi e gli ingegneri di ponti, quindi fammi la cortesia di farti risucchiare indietro dal vuoto pneumatico della tua cameretta in penombra, dalla quale ti lussi le falangi a forza di picchiare sulla tastiera per lanciare molotov virtuali a bomba contro l’ingiustizia... e porcamadonna cinghiala asserpentata infradiciata dagli starnuti di mille gesù bambini tubercolosi.
Ecco, vedi, ti ho insultato in maniera fantasiosamente divertente e ora ci sarà un gruppo di persone che riderà e mi appoggerà con reblog altrettanto sferzanti ma tranquillo che anche tu avrai l’appoggio di tanti tambleri e tamblere che mi considereranno un fascista liberista amico delle guardie da re-insultare.
Ma sai una cosa?
Non credo affatto che tu sia stupido (Come faccio a dirlo? Giudicandoti da due righe scritte su internet?) e non solo non penso nove decimi di quello che ho scritto ma quella decima parte di pensiero l’avrei espressa con MOLTA più gentilezza e argomentando, ben tenendo a mente che starei parlando con una persona e non con un anonimo ip da dietro uno schermo.
Quindi, certo che rispondere a quegli individui disgustosi è un tuo diritto e un tuo vanto ma visto che @z-violet ha detto che quel cartello minaccioso è ‘rispondere a un brigante con un brigante e mezzo’, non credi che loro avranno sempre migliaia di mezzi briganti in più con cui rilanciare?
E poi, oltre a diminuire la vostra quotà di umanità (non è fascismo se impicchi un fascista, vero?), quel cartello chi dovrebbe spaventare?
Salvini? Non credo. Gli state facendo un regalo.
I leghisti? Sono più di voi e me sembrano solo inferociti.
Quel cartello serve solo a farvi sentire parte di un tutto che non c’è, mi spiace, e a far parlare di voi in termini negativi, inficiando presso i media (la vostra pagina tumblr o FB con quattro gatti che si smanettano a vicenda non è da considerarsi tale) l’immagine di una sacrosanta manifestazione di dissenso, sull’orario o sulla data più o meno strategici della quale a me non interessa dissertare.
Se mi conoscessi veramente, poi, sapresti che dopo tante bastonate date e decisamente di più prese, l’indignazione si è trasformata in un sentimento intimo di stanchezza... stanchezza della contrapposizione, stanchezza della pretestuosità, stanchezza dell’incrollabile mancanza di dubbi e, soprattutto, stanchezza di vedere l’ostensione di medaglie di supremazia intellettuale che su un lato portano la dicitura ‘ODIO LA GENTE’ e sull’altra ‘RIMANETE UMANI’ e voi che non sapete più da che parte tenerle girate.
Non che vi debba importare o che sia rilevante ma davvero sarebbe un bel regalo se qualcuno allontanasse da me il desiderio di abdicare voi e gli altri, che siete gente parimenti.
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