#raccolta einaudi
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Dice un proverbio sardo che al diavolo non interessano le ossa forse perché gli scheletri dànno una grande pace, composti nelle teche o dentro scenari di deserto. Amo il loro sorriso fatto solo di denti, il loro cranio, la perfezione delle orbite, la mancanza di naso, il vuoto intorno al sesso e finalmente i peli, questi orpelli, volati dentro il nulla. Non è gusto del macabro, ma il realismo glabro dell’anatomia lode dell’esattezza e del nitore. Pensarci senza pelle rende buoni. Per il paradiso forse non c’è strada migliore che ritornare pietre, saperci senza cuore.
Antonella Anedda, Anatomia. Da Historiae, Einaudi, 2018.
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Storia Di Musica #264 - Fabrizio De André - Non Al Denaro Non All’Amore Nè Al Cielo, 1971
La piccola scelta di dischi ispirati a grandi romanzi non poteva che finire con questo disco. Senza dubbio è forse il primo che viene a mente riguardo al tema di un disco italiano che ha la caratteristica appena citata, e rimane uno degli episodi più significati della carriera, straordinaria, del suo autore. Fabrizio De André aveva appena pubblicato un disco che, in teoria, poteva benissimo rientrare nel tema principale di Febbraio: La Buona Novella (1970) infatti era un concept, tipologia molto cara all’autore genovese, che si ispirava ai Vangeli Apocrifi. Il Gesù di De André è profondamente umano, in una Palestina antica che in molti passaggi rimanda ai riflessi dell’Italia degli anni ‘70, in una sorta di porta incantata di quotidianità. Allora lo aiutarono Roberto Danè, produttore, paroliere, arrangiatore che proprio in quegli anni fondava la Produttori Associati (che pubblica il disco) e gli arrangiamenti di Giampiero Reverberi. Album toccante, ha una delle mie canzoni preferite di De André, il Testamento Di Tito. Proprio questa canzone fu registrata dal cantante Michele, nome d’arte di Gianfranco Michele Maisano, come lato b di Susan Dei Marinai, scritta dallo stesso De André nei cui titoli non appare, sostituito dal grande Sergio Bardotti. Il progetto iniziale di un disco ispirato ad uno dei libri più amati da De André doveva essere infatti un progetto curato dallo stesso trio De André, Darè e Reverberi per il cantante Michele, ma dissidi interni ruppero l’accordo, e Reverberi se ne va. A questo punto, De André riprende l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, il libro in questione, e ne inizia a ragionare con la sua amica Fernanda Pivano, colei che, su suggerimento di Cesare Pavese, per prima portò in Italia e tradusse questo viaggio sentimentale e particolare che Lee Masters fa dell’America di provincia, ancora più ricca di contraddizioni e storie marginali. Per chi non lo ricordasse, l’Antologia è una raccolta di poesie-epitaffio della vita dei residenti dell'immaginario paesino di Spoon River sepolti nel cimitero locale, pubblicato tra 1914 e il 1915 sul Reedy's Mirror di Saint Louis, che la Pivano tradusse e che Einaudi pubblicò nel 1943 (prima edizione parziale) e nel 1945 (tutti i 212 epitaffi dei personaggi). De André collabora con un suo amico paroliere, Giuseppe Bentivoglio, con cui scrisse Ballata Degli Impiccati da Tutti Morimmo A Stento del 1968, per i testi e sceglie agli arrangiamenti un fresco diplomato del conservatorio, Nicola Piovani, al suo primo impiego importante di una carriera che lo porterà fino all’Oscar. Ad aiutarli una squadra di musicisti grandiosa: il violista Dino Asciolla, Edda Dell'Orso, soprano, i chitarristi Silvano Chimenti e Bruno Battisti D'Amario, questi tre ultimi storici collaborato di Ennio Morricone, il bassista Maurizio Majorana, membro dei Marc 4, il violoncellista classico d'origine russa Massimo Amfiteatrof, il batterista Enzo Restuccia, il maestro beneventano Italo Cammarota e il polistrumentista Vittorio De Scalzi, membro fondatore dei New Trolls. De André compone 9 brani, partendo come Lee Masters da La Collina, il luogo dove sorge il cimitero dove riposano i defunti di Spoon Rivers. 7 brani sono divisi in due grandi categorie: uomini morti d’invidia, ovvero Un Matto, Un Giudice, Un Blasfemo, Un Malato Di Cuore e uomini di scienza, con le sue contraddizioni etiche, ovvero Un Medico, Un Chimico, Un Ottico. Rimane poi Il Suonatore Jones, l’unico che rimane con lo stesso titolo del libro, che chiude il disco, con De André che però gli “toglie” il violino e lo fa suonatore di flauto. Straordinario è il lavoro di rifacimento e di ricreazioni nei testi: per esempio ne Un Giudice, ispirato a Selah Lively, deriso per la sua statura, in Masters è 5 piedi e 2 pollici (=157 cm circa) e nel testo di De André diviene così: Cosa vuol dire avere\Un metro e mezzo di statura\Ve lo rivelan gli occhi\E le battute della gente. I personaggi dell’invidia sono il giudice che ha trovato nella vendetta la sua alternativa alla derisione di essere basso, il matto che è stato spinto dall'invidia a “imparare la Treccani a memoria” (anche qui splendido gioco di trasposizione, in Lee Masters è l'Enciclopedia Britannica), il malato di cuore che riesce a vincere l'invidia attraverso l'amore, nonostante muoia appena porge le sue labbra su quelle della ragazza di cui è innamorato, Un Blasfemo invece è la canzone più politica, essendo uno strale contro chi “non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato / ci costringe a sognare in un giardino incantato”. Degli uomini di scienza, un medico è costretto dalla sua benevolenza, cioè curare i malati gratis, a vendere pozioni “miracolose” essendo caduto in miseria, un chimico è invece una storia di disillusione sull’amore, di un uomo che non capisce le unioni imperfette degli uomini rispetto a quelle perfette delle sostanze chimiche, un ottico invece, che vorrebbe regalare ai clienti un paio di occhiali magici per vedere davvero la realtà, è l’unico che probabilmente non è morto, dato che parla al presente (unicità che è presente anche in Lee Masters). Chiude il disco Il Suonatore Jones, inno alla libertà, di chi non ha voluto chiudere la sua libertà lavorando nei campi ma “Finii con i campi alle ortiche\Finii con un flauto spezzato\E un ridere rauco\E ricordi tanti\E nemmeno un rimpianto”. Oltre la qualità immensa del lavoro testuale è la musica che stupisce: gli arrangiamenti orchestrali, gli sviluppi tematici (come nel caso del motivo principale dell’iniziale La Collina, in continua trasformazione), la sovrapposizione di parti in forma di suite (un Ottico, con evidenti echi progressive ad un certo punto), l’uso di strumenti classici come clavicembali e violini. Sulla copertina della prima edizione, quella che ho pubblicato anche io, c’è un evidente errore grafico, con l’errata accentazione di "né". L’errore fu aggiustato nelle edizioni successive, e nel disco era presenta una lunghissima e delicata intervista di Fernanda Pivano a De André sulla genesi di questo disco e sul libro di Edgar Lee Masters, e alcuni racconti dello scrittore americano erano inseriti all’interno della confezione. Disco memorabile, da riscoprire e che formerà con il successivo, l’amatissimo e criticatissimo Storia Di un Impiegato uscito appena un anno più tardi (ad inizio del 1973) una trilogia lucidissima e potentissima sull’Italia di inizio anni ‘70.
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Il gioco del silenzio
La solitudine è una roba brutta. Me lo hai detto l'altro giorno, e tu hai due figli, un bel compagno e pure un cane che non è decisamente di taglia piccola: quindi non sembri molto sola. Eppure non c'è niente da fare: siamo tutti soli, e la solitudine è una roba brutta, hai ragione. Brutta proprio. Mentre me lo scrivevi su un messaggio, io mi aprivo una bottiglia di vino bianco, da bere a pranzo, da sola. La mia fiaschetta, mi sono detta, non è questa però: io per sentirmi meno sola in realtà non bevo ma compro libri. Loro sono la mia fiaschetta. Innanzitutto perché comprare -convieni con me?- dà sempre un certo senso di sollievo, di finalità, di proposito: un certo senso, insomma. Una borsa, una maglietta, un paio di orecchini, un reggiseno: se hai voglia di comprarmi, vuol dire che sei vivo, no? Eppure tra tutti gli articoli di consumo il libro non sembrerebbe un simulacro di vita, piuttosto un oggetto che di vita è fatto, c'è qualcuno lì dentro: un libro nuovo è una promessa di compagnia. E invece a volte penso che anche il libro sia un oggetto di solitudine. Forse il peggiore in assoluto. Ci cammini dentro e te lo godi, ti assapori le voci, la compagnia, ma cosa succede quando la fiaschetta piange? Cosa succede quando finisce un libro? Le poesie, quelle sembrano forse rivolerti indietro se te proprio non sai più come fare senza di loro. Ma la prosa? Un romanzo?
C'è questo libro di Patrizia Cavalli, una raccolta di saggi e di racconti, l'unica che lei abbia scritto in prosa: tu lo sai che quella è una bottiglia pregiatissima, la assapori con questa straordinaria consapevolezza, e ti inebria più di una qualsiasi raccolta di poesie perché -tu lo sai- la sua struttura, la sua complessità, il suo bouquet, sono unici, sono irripetibili, sono, in effetti, irripetuti. E allora, legittimamente, ti ci ubriachi, ci perdi la testa. Ma che succede quando finisci l'unico libro in prosa di Patrizia Cavalli? Che succede quando la fiaschetta piange? A quel punto arrivano i postumi e ti senti come un fucile sparato. Qualcuno lo ha detto, una volta, un fucile sparato: scarico, pieno soltanto di fumo, inutile. Io esco proprio così dal libro, come da una sbornia, e tocco con le mani il fondo della mia fiaschetta, di quell'oggetto di solitudine, tocco la copertina chiusa sopra la sua ultima pagina, la prova inconfutabile che il mio tempo con Patrizia Cavalli è scolato, la sua compagnia, la sua voce è ostinatamente chiusa dentro la sovraccoperta lucida della mia edizione Einaudi. E questa è una roba davvero brutta, questa è la solitudine. Questo è esattamente il momento in cui io voglio buttare via tutti gli autori e tutti i libri, perché loro mi fanno sentire come uno stupido fucile sparato.
Il piano allora è quello di allontanare ogni fiaschetta e riabilitarmi: il piano è quello di vivere da astemia e non bere mai più. Il problema è che non l'ho mai capito fino in fondo, quando uno ti dice "non bevo, sono astemio": è una condizione o un'elezione? Io nel dubbio è da un po' di tempo che lo chiamo il gioco del silenzio: andare per le cose della vita giocando a non sentire, a non vedere, a non saper leggere, a non aver mai letto: a non aver mai bevuto. Allora vado in giro così, riabilitandomi, e ad ogni passo che faccio mi sento più intera, meno alcolista, più radicata nella vita vera, quella degli obiettivi concreti, delle spese da fare, dei referti da ritirare, delle assenze da giustificare, delle bollette da pagare, dei caffè da offrire. Poi a un certo punto, quando meno me lo aspetto, quanto più intera mi sento, arriva come una coltellata alle spalle, come un assalto, un'imboscata. Salgo le scale di casa e mi fermo un secondo a guardare di sotto, il quartiere che all'imbrunire cambia faccia, gli alberi che da quassù sembrano altri alberi, e allora succede che lo sento:
"Camminavo nella gioia del presente quando, svoltando un angolo o attraversando una strada, un odore mi colpiva con violenza e quasi mi atterrava. Era l'odore dell'aria. Poteva essere un qualsiasi odore, un profumo e persino una puzza: era semplicemente l'odore della città. D'improvviso le mie gambe si facevano molli e dopo qualche passo prodotto dalla forza d'inerzia mi fermavo del tutto e poi tornavo indietro per cogliere di nuovo quell'odore, come qualcuno che abbia intravisto una persona conosciuta torna indietro per guardare meglio. Risentivo quell'odore, e allora il mio corpo sbandava ed ero costretta ad appoggiarmi a un palo o a un muro, e cosí restavo appoggiata contro quel palo o quel muro senza piú poter muovere un muscolo, se non quelli delle narici che aspiravano quell'odore come fosse diventato l'unico tramite della coscienza."
Cos'è questa cosa che mi sta succedendo? È una ricaduta o è un'epifania? Questa qui, signori miei, è Patrizia Cavalli in cima alle scale di casa mia. L'ho sentita, e proprio lì sopra si è rotto il gioco. Lì in cima ho sentito voglia di ridere e piangere insieme -questo il sintomo del vero, per me- perché è vero, è semplicemente vero, io lo so, anche se gioco ad essere astemia: che i poeti hanno ragione, conoscono il vero. L'unica verità perfetta che conosco io è quella che apprendo da loro, dai poeti, e quando la incontro la riconosco subito, proprio perché mi fa ridere e piangere allo stesso tempo, questo il sintomo: rido perché finalmente riconosco la benedizione dei miei più ridicoli e inconfessabili sentimenti -qualcuno li ha già provati esattamente così- li vedo finalmente legittimati dal loro esistere prima di me, fuori da me, accanto a me: qui con me c'è Patrizia Cavalli, in cima alle scale di casa mia, e con lei io ho sentito l'odore dell'aria. Allora non sono sola. E piango perché quell'odore non è per niente una buona notizia: mi colpisce con violenza e quasi mi atterra, e il mio corpo sbanda ed è infine costretto ad appoggiarsi alla ringhiera per non crollare. Un'immagine su tutte, quella con cui si chiude il documentario: Patrizia Cavalli che -ancora- cammina come può per le strade della sua adorata città. Così sento che il mio corpo è colpito dalla precisione della sua parola, più fedele di un'immagine diagnostica, più puntuale del dettaglio di una bolletta o di uno scontrino:
"Cosí restavo appoggiata contro quel palo o quel muro senza piú poter muovere un muscolo, se non quelli delle narici che aspiravano quell'odore come fosse diventato l'unico tramite della coscienza. Quella felice e compatta certezza del presente che fino a poco prima spingeva i miei passi, quella leggerezza ariosa che andava incontro al mondo per festeggiarlo, la musica, le parole, tutto si spegneva e al suo posto c'era una fissità attonita, uno stupore doloroso. I miei sensi, tutti aperti e ingenui, si erano consegnati all'apparenza, e nel loro incauto aprirsi, avendo dimenticato ogni difesa e ogni organizzazione, avevano sguarnito una certa zona remota del cervello che da quell'odore veniva penetrata senza censure, mediazioni o filtri. Era la zona della memoria e del tempo, era il sancta sanctorum del dolore. E l'olfatto ne era l'officiante. Qui in una contemporaneità impossibile convergono le lontananze dello spazio e del tempo, creando mostruosi intrecci; qui si mischiano insieme il passato remoto e l'altro ieri, Asie mai viste e il cortile di casa. E mentre le memorie reali e frantumate si accoppiano confondendosi a vicenda, un'altra memoria, precedente alla nostra storia viene in questa baraonda spinta a entrare in gioco e ci rovescia addosso tutto il repertorio della specie. Quel che è che non è piú si disputano il campo vantando uguali diritti e altrettanto accade per quello che forse mai sarà. Una volta che la mischia è cominciata, senza piú gerarchie, la ragione, se è ragionevole, non dovrebbe neanche tentare d'intervenire, dovrebbe soltanto lasciare che si consumi il delirio, come quando nelle droghe o nell'ubriachezza, sapendo che il loro effetto avrà termine, lo si lascia a se stesso libero di manifestarsi."
I poeti conoscono il vero e lo sanno dire.
Cardarelli che prende la rincorsa per coprire l'amore di fiori e di insulti:
"Oggi che ti aspettavo non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice.
Dice che non vuoi amarmi."
Vero.
William Carlos Williams, il medico, che prima di raccontare onestamente di carriole in giardino e di prugne rubate alla moglie dal frigo, referta così l'amore:
"Dai tuoi occhi, da tutto ciò che dici, aggrovigliato come un uccello che canta su un albero verde, sei entrato e ti sei diffuso dentro di me tutto, così che io possa ancora far tesoro della mia vita, desiderare che non si allontani mai da me poiché essa non è mia ma tua,
da tenere al caldo, al sicuro,
dentro di me, per sempre."
Vero.
Pavese -il fucile sparato- che si dichiara oggetto da reclamare al suo ultimo amore:
"Non posso darti gioielli - ne meriti molti - ma in tempi antichi si diceva che il gioiello piú raro è un cuore sincero. Credilo. Sono tuo."
Vero. Fa ridere per quanto è vero -sono tuo- e fa piangere perché Pavese si è tolto la vita solo qualche mese dopo questa lettera, tanto era solo, tanto era da reclamare, tanto era vero.
Stavamo tornando insieme a casa, qualche mese fa con i cartoni della pizza in mano. Forse era una sera di gennaio, e mentre camminavamo che era già completamente buio io l'ho sentito: nell'aria fredda, quell'aria dell'inverno che sembra quasi anestetizzata ai profumi, che mi fa sentire così al sicuro e ovattata per tanti versi, io l'ho sentito. E non c'è riparo, bisogna riscoprirlo ad ogni nuovo anno, perché esiste un momento preciso, una sera tra tutte le sere in cui quell'aria fredda e sterile per la prima volta si lascia attraversare, si arrende come ritualmente al primo profumo di fiore. Un appuntamento - il sancta sanctorum del dolore: quella era una mimosa, l'ho sentita. È così che fanno loro, ormai l'ho imparato: ti danno un ceffone quando non guardi e poi si lasciano volere, si lasciano cercare. Quell'odore sono tutte le mimose -quelle vicine, quelle lontane, quelle che non ci sono più, quelle che non ci sono ancora: insieme in una contemporaneità impossibile, convergono dalle lontananze dello spazio e del tempo, creano mostruosi e meravigliosi intrecci e poi ti colpiscono e ti urlano: tu non sei astemia - Svegliati!
Sai che gusto sentirlo mentre cammino vicino a te, con i cartoni della pizza in mano? Io e te che ancora non sappiamo nemmeno che Patrizia Cavalli ha scritto un libro di prosa e che dentro ci ha sentito un odore, proprio il nostro, proprio allora siamo insieme, e non siamo sole. E questo mi fa sentire, finalmente, mi fa sentire ancora una volta ubriaca e felice.
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Veronica Raimo - La vita è breve, eccetera
L’enfant prodige della narrativa italiana Veronica Raimo è tornata in libreria con una raccolta di racconti pubblicata nell’elegante collana “Supercoralli” della sempre elegantissima Einaudi. Dopo il sorprendente ed apprezzato Niente di vero del 2022 (Premio Strega Giovani) la scrittrice romana in questo nuovo lavoro si ripete parzialmente nei temi e nello stile, consegnando agli scaffali un…
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#Einaudi#La vita è breve eccetera#Premio Strega#Premio Strega Giovani#Recensione#Recensioni#Supercoralli#Veronica Raimo
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“È il momento di cambiare rotta –scrive l’ideologo economico del 5Stelle contiano- e ritornare a governare l’economia, ovvero fare in modo che l’uomo e i suoi valori prevalgano sulle leggi del mercato e del capitalismo, la forma di organizzazione economica oggi dominante”.
Uscire dal capitalismo per andare dove? Potremmo liquidare l’auspicio di Tridico ricordando che certo non è nuovo, e che è risuonato più volte nel secolo scorso (conta qualcosa che sia Hitler che Stalin fossero nemici del libero mercato?) e abbiamo visto come è andata a finire.
Invece vogliamo restare a quanto ci dice Tridico per convincerci. L’economista a 5Stelle, ci racconta una bella storia, la sua. “Sono figlio dello Stato sociale”, esordisce. Famiglia del Sud composta da sette fratelli, mamma casalinga e papà guardiano di mucche, sordomuto. Grazie allo Stato sociale, aggiunge Tridico, non solo lui fra i sette fratelli è riuscito a fare l’Università; suo padre a guarire, seppure parzialmente, dalla sordità; tutta la famiglia a trasferirsi al Nord; e lui stesso, a prezzo di sacrifici, oltre che per l’aiuto dello Stato, a laurearsi, diventare economista, e addirittura presidente dell’Inps. Chi può dire che non sia una bella storia italiana?
Ma chi può negare che Pasquale Tridico e la sua famiglia abbiano potuto emanciparsi grazie ad uno Stato che nei suoi momenti migliori, grazie all’economia di mercato, ha raggiunto un livello di benessere da consentire un welfare che sta al passo con quello dei Paesi più progrediti, anch’ essi figli dell’economia di mercato?
Il mercato non si affronta soffocando la sua libertà, o piegando la sua funzione ai propri interessi. Il mercato è in grado di esprimere le sue potenzialità di sviluppo solo quando si accetta il confronto (semmai partecipando e lottando per migliorare il suo funzionamento al fine di impedire lo strapotere dei più forti); quando, sul piano internazionale, si attrezza la propria “proposta Paese” affinché sia adeguata alla competizione, alla concorrenza.
Come? Facendo sistema: cosa che in Italia non si è mai fatto; o si è fatto sporadicamente al seguito di qualche ministro illuminato (ce ne sono stati, a partire da Luigi Einaudi ministro del Tesoro, delle Finanze e del Bilancio nei cruciali anni dal 1945 al 1948).
Uno dei primi interventi, nella logica di sistema, dovrebbe essere la convocazione degli Stati Generali dell’Industria. Sapere chi fa, cosa fa, dove lo fa. Oggi abbiamo solo rapporti generici che fotografano la situazione, mentre avremmo bisogno delle nuove metodologie per la raccolta dei dati e soprattutto per la loro lettura.
Le imprese vincenti, sempre in questa logica, dopo avere abbondantemente dimostrato di saper crescere, di saper competere, di saper innovare, devono trovare in casa, non altrove, i loro paradisi fiscali e normativi.
Il presidente della Confindustria, Emanuele Orsini, all’assemblea dell’Assolombarda lo ha detto chiaramente: “Ci vuole una “Ires premiale” per chi mantiene il 70 per cento degli utili in azienda e impiega il 30 per cento di questo 70 per cento, in produttività, welfare, formazione, innovazione”.
Innovare, parola magica che tutti pronunciano come fosse la lampada di Aladino. Ma l’innovazione di massa, quella che fa sistema, nasce da una nuova cultura. Nasce dalla scuola, a partire dalle elementari, dove i ragazzini devono entrare in contatto con modelli virtuosi, con uomini che sono stati capaci, con il lavoro, di far crescere le loro famiglie, le loro aziende, il territorio e quindi il nostro Paese.
Ai giovani va indicato un futuro all’interno di un modello già delineato in cui fare convergere le energie migliori. Agli universitari disposti a impegnarsi con profitto nelle materie del futuro, matematica, statistica, informatica, ingegneria, va garantito un reddito immediato. L’intelligenza artificiale va studiata, sperimentata, sviluppata in piccoli distretti territoriali accanto ai centri universitari. Collocati soprattutto al Sud, dove ci sono intelligenze particolarmente adatte ad assorbire quel mondo più sofisticato che, però, promette di rendere più semplici le realizzazioni delle generazioni future.
Invece di illudere le popolazioni che le montagne si possono aggirare con alchimie che la storia, sia quella passata che quella recente, hanno già dimostrato controproducenti, bisogna offrire loro i mezzi per scalarle attraverso il raggiungimento di obiettivi sia individuali che collettivi.
I nostri padri, i nostri nonni, guidati da certi uomini, e dalla loro volontà, sono riusciti a risorgere dalle rovine della guerra. Bisogna guardare con occhi contemporanei a quei gloriosi giorni della nostra storia. E ripartire da lì.
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"La gente sorride
ai giorni allineati
come barattoli nei supermercati;
le cose le persone
badano a trasformarsi
a prendere altre forme
prima di scordarsi.
La rivoluzione non era
dietro l’angolo
vanno distrutte anche le rovine".
Attilio Lolini
Dalla raccolta Notizie dalla Necropoli - Einaudi
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Oggi un mio racconto è uscito in libreria con la raccolta Blue di Einaudi ma io sono incazzata col mondo intero e l’unica persona che l’ha scoperto è mia mamma
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Milano, 10 rapine a farmacie e negozi: cittadino marocchino 19enne arrestato
Milano, 10 rapine a farmacie e negozi: cittadino marocchino 19enne arrestato. La Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Milano, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un cittadino marocchino di 19 anni ritenuto responsabile di una serialità di furti aggravati commessi a nove farmacie e un negozio nella zona della Stazione Centrale e di Porta Venezia a Milano. Le indagini condotte dai poliziotti del Commissariato Garibaldi Venezia si sono concentrate sui 10 episodi delittuosi consumati mediante “spaccata” delle vetrine esterne, dalle ore 5.00 alle ore 7.00, in un arco temporale compreso tra il 28 dicembre 2023 e l’8 gennaio 2024. L’indagato, seguendo un collaudato modus operandi, dopo aver preventivamente individuato l’obiettivo da colpire, si portava ogni volta sul posto con una bicicletta sottratta in strada dai noti punti di raccolta “rent bike”, per poi infrangere la vetrina esterna dei esercizi utilizzando un tombino/griglia occasionalmente prelevato dalla strada: accedeva, poi, all’interno dei locali asportando la somma di denaro presente nel registratore di cassa, non prima di aver arrecato ingenti danni alle strutture interne. Per ogni furto commesso, gli agenti di via Schiaparelli hanno effettuato una serie di accertamenti, alcuni dei quali risultati determinanti per l’attribuzione della responsabilità al reo che continuava a colpire impunemente le farmacie della zona destando profondo turbamento nella categoria: per tre episodi, il rilevamento utile delle impronte digitali papillari latenti ricavate da alcune superfici ad opera dei poliziotti del Gabinetto Regionale Polizia Scientifica e l’acquisizione delle immagini estrapolate dalle telecamere dei sistemi di videosorveglianza di ciascuna farmacia, hanno consentito di pervenire alla individuazione del responsabile e alla ricostruzione dello svolgimento delle condotte criminose. Le pressanti ricerche compiute per rintracciare l’autore e interrompere la deriva criminale hanno portato, lo scorso 18 gennaio, gli agenti del Commissariato Garibaldi Venezia ad arrestare il 19enne per la rapina aggravata, commessa in piazza Duca D’Aosta, ai danni di un giovane in transito, al quale aveva appena asportato il telefono cellulare dopo averlo percosso: l’aggressore era stato rintracciato poco dopo la rapina in un parcheggio multipiano in piazza Einaudi ove aveva realizzato un ricovero di fortuna, in grado di assicurargli nel tempo sia le sufficienti condizioni di clandestinità in relazione alla posizione irregolare sul territorio nazionale che agevoli vie di fuga dopo il compimento dei reati, al fine di sottrarsi ai controlli delle forze dell’ordine. In esito all’udienza con Rito Direttissimo, il 19enne è stato sottoposto alla misura cautelare del Divieto di Dimora nel comune di Milano e collocato presso il Centro di Permanenza per Rimpatri (C.P.R.) di via Corelli in Milano, dove è rimasto per alcuni giorni e, in seguito, a causa della incompatibilità ambientale nei confronti degli altri stranieri ospiti della struttura, è stato trasferito presso il C.P.R. Gradisca di Isonzo (GO) dove i poliziotti hanno eseguito l’attuale misura cautelare.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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HO FATTO UN LIBRO.
LEGGETE FINO IN FONDO: inizia come una tirata piena di nostalgia e saccenza ma poi diventa fondamentalmente uno spottone di bieca autopromozione.
C'è questo libro bellissimo, Versi del senso perso di Toti Scialoja, che mi porto dietro da almeno dieci anni. Una mia amica un giorno a Venezia è arrivata con la faccia da io so qualcosa di bello che tu non sai e mi ha detto «Passa in cielo una folaga… / Ne segue un’altra, analoga» e anche «T’amo, o pio bue! / anzi, ne amo due» e giù a ridere. Poi mi ha mostrato questo libro, Versi del senso perso di Toti Scialoja appunto, con la sua copertina bordò (o bordeaux), due talpe che ballavano in copertina e l'indicazione in rebus bellissima della collana a cura di Stefano Bartezzaghi che era composta da due glifi piccini 👑🚌 che i più scaltri di noi avranno già risolto. Insomma sono andato a comperare questo libro ed è stato bellissimo perché mi sono trovato in mano una quantità incredibile di poesie piene di animali, ma anche di nomi di città, piante, fiori e un numero ragionevole di persone. Come dicevo questo libro l'ho consumato leggendolo e rileggendolo e l'ho mostrato e regalato a un tot di persone. Mai abbastanza.
Versi del senso perso di Toti Scialoja è un volume essenziale e chi dice che non vale la pena perché sono poesie per bambini non ha chiaramente letto il libro e sono persone che forse è meglio lasciare stare. Come quelli che i fumetti era una roba da rincoglioniti finché non gli hanno messo il sale sulla coda come si fa coi merli e glieli hanno venduti chiamandoli 'Graphic Novels". Vergognatevi. Però parliamo male delle strategie commerciali e della puzza sotto il naso della gente in un altro momento, perché c'è un problema.
La raccolta di poesie, edita da Mondadori prima e da Einaudi poi, ha secondo me una pecca non da poco: manca un indice. Ci sono circa 22 cani sparsi per il libro, ad esempio, e fino a 21 gatti; 2 lupi (di cui uno mannaro) che potenzialmente avrebbero 15 lune a cui ululare; 12 lepri intente in varie attività, una sola salamandra. Un guazzabuglio in cui è difficile orientarsi. L'edizione Mondadori è più vecchia di me e sono riuscito a recuperarla grazie all'aiuto di Marco Zappa, che si è prodigato prima nel riceverla per me e poi per spedirmela a Londra nonostante abbia un lavoro, una famiglia e il desiderio di usare il suo tempo libero diversamente.
Siccome ho un sacco di tempo libero visto che conduco ancora una vita molto simile a quella di un 20enne anche se ho ormai il doppio di quell'età lì, l'indice l'ho fatto io. Si spiega così la sicurezza con cui ho sciorinato quantità di cani e salamandre nel paragrafo precedente. Le macrocategorie che ho deciso di utilizzare sono Animali, Toponimi, Luoghi, Piante, Persone, Mezzi di trasporto, Tempo. Questo incasellamento ha poi portato alla necessità di alcune note, anche se molto spesso riesco meglio a fare lo spiritoso che non a risolvere il problema al quale la nota fa riferimento. Anche il titolo che ho deciso di dare all'indice fa capire che penso di essere simpatico: questo libretto infatti si intitola TOPI E TOPONIMI. Ma chi mi credo di essere?
Insomma Topi e toponimi è questo lavoro che ho fatto e che secondo me può servire a localizzare il proprio animale preferito o la propria città o a controllare nel caso in cui la vostra pianta preferita, la lattuga, sia mai stata menzionata da Scialoja. SPOILER: sì, a pagina 8 dell'edizione Einaudi e a pagina 12 dell'edizione Mondadori. Posso pure vantarmi del fatto che il librino compare nel Catalogo Generale delle opere riguardanti Toti Scialoja redatto dalla Fondazione Toti Scialoja che, nella persona di Onofrio Nuzzolese, mi ha aiutato a cercare di sbrogliare alcune problematiche inerenti certi animali. Lorenzo Andolfatto è stato paziente ed acribioso abbastanza da aiutarmi ad eliminare quasi tutti i refusi presenti nel libro*.
La natura molto strumentale di questa cosa che ho fatto lo rende forse poco entusiasmante e il libro esiste nella sua forma fisica grazie a Caterina Di Paolo, che ha fatto una copertina esplosiva che senza di essa non valeva neanche la pena di stamparlo. Caterina è un'altra Scialojana di ferro come me e secondo me davvero il libro non aveva ragione di esistere al di fuori di alcuni tristissimi fogli excel e quattro documenti di word messi in croce.
Per il momento il libro esiste e non esiste. Sto cercando di capire chi me lo può stampare senza uccidermi finanziariamente o di nervoso (magari più avanti racconto dell'esperienza Montypythoniana che ho avuto con una tipografia di quassù) ma so di per certo che il mio piano è quello di pubblicarlo con il metodo PRIMA O MAI, ideato dal fumettista (non autore di graphic novels) italiano Ratigher e poi usato da tesori nazionali come il Dottor Pira e Alessandro Baronciani. E poi arrivo io, il fante di coppe. Il volumetto sarà ordinabile per un certo periodo di tempo, verrà stampato in una prima tiratura e poi smetterà di esistere per sempre. Questa è una buona occasione per ottenere un oggetto fisico raro che potenzialmente è stato creato da un efferato criminale. Non ho ancora commesso nessun crimine ma nella vita non si sa mai.
*Nel libro ci sono almeno ancora due refusi dovuti alla distrazione tipica di chi pensa di sapere fare una cosa mentre invece no. Nell'edizione che preparerò con il metodo PRIMA O MAI i due refusi spariranno ma se siete il tipo di persona che ama far stare male gli altri indicando loro gli errori irrimediabili che hanno commesso allora questo libro fa per voi!
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La grande scrittrice, autrice di libri quali L’età del malessere, Memorie di una ladra, Il treno per Helsinki, La lunga vita di Marianna Ucrìa, Dolce per sé, Il coraggio delle donne, Una rivoluzione gentile. Riflessioni su un Paese che cambia, Caro Pier Paolo, In nome di Ipazia: riflessioni sul destino femminile, e molti altri, spegne ottantasette candeline. Nata a Fiesole (FI) nel 1936, figlia dello scrittore ed etnologo toscano Fosco Maraini e della principessa siciliana e pittrice Topazia Alliata, dal ’39 al ’46, trascorre la sua infanzia in Giappone e lì, fra il ’43 e il ‘45 affronta la prigionia in un campo di concentramento, dove finisce con i suoi genitori che si rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò. Tornata in Italia vive fino a diciotto anni in Sicilia - a Bagheria -, presso i nonni materni. Racconterà questi anni in Sicilia nel suo romanzo Bagheria. Si trasferisce poi a Roma, dove pubblica il suo primo romanzo di successo, La vacanza (Lerici, 1962). È l’inizio di una lunga serie da L’età del malessere (Einaudi, 1963) con cui vince il Premio internazionale degli editori “Formentor”, da poco fondato (nel ’61) dall’editore spagnolo Carlos Barral con il sostegno di colleghi quali Giulio Einaudi, Claude Gallimard, Barney Rosset, Heinrich Rowohlt e George Weidenfeld; A memoria (Bompiani, 1967), Memorie di una ladra (Bompiani, 1972), da cui l’anno seguente verrà tratto il film Teresa la ladra (1973) di Carlo Di Palma, pellicola di cui curerà anche la sceneggiatura con Age e Scarpelli; Donna in guerra (Einaudi, 1975), Lettere a Marina (Bompiani, 1981), Il treno per Helsinki (Einaudi, 1984), Isolina. La donna tagliata a pezzi (A Mondadori, 1985), che vince il Premio Fregene, La lunga vita di Marianna Ucrìa (Rizzoli, 1990), con cui vince il Premio Campiello, che sarà Libro dell’Anno 1990, verrà tradotto in circa trenta lingue e verrà portato al cinema con il film del ’97 diretto da Roberto Faenza; il già citato Bagheria (Rizzoli, 1993), Voci (Rizzoli, 1994), Un clandestino a bordo (Rizzoli, 1996), Dolce per sé (Rizzoli, 1997), sui temi sociali e la vita delle donne, fino alla raccolta di racconti Buio (Rizzoli, 1999), sull’infanzia indifesa, con cui vince il Premio Strega. Nel 1980 scrive, insieme a Piera Degli Esposti, Storia di Piera (Rizzoli), da cui tre anni dopo verrà tratto il film omonimo di Marco Ferreri, interpretato da Hanna Schygulla, Isabelle Huppert, e Marcello Mastroianni. Nel 2004, ancora con Piera Degli Esposti, scrive il libro Piera e gli assassini, un lungo dialogo fra due protagoniste della nostra cultura che si confrontano sui temi più importanti della vita, un insieme di racconti attraverso la lunga amicizia fra le due donne, su vicende di famiglia, aneddoti su colleghi, registi, attori. Seguiranno La nave per Kobe. Diari giapponesi di mia madre (Rizzoli Bur, 2001), tratto dai diari scritti dalla madre Topazia dal ’38 al ’41, donati a Dacia Maraini dal padre che li aveva casualmente ritrovati, ed in cui rievoca il viaggio verso il Giappone e l’esperienza della prigionia negli anni dell’infanzia, e Amata scrittura. Laboratorio di analisi letture proposte conversazioni. E ancora Colomba (Rizzoli, 2005) Il gioco dell’universo (Mondadori, 2007) con cui vince il Premio Cimitile nella sezione di narrativa. Nel 2008 pubblica Il treno dell’ultima notte (Rizzoli) e, due anni dopo, La seduzione dell’altrove (Rizzoli, 2010). Alla fine degli anni Cinquanta, a poco più di vent’anni fonda con alcuni amici la rivista «Tempo di letteratura» e collabora con «Il Mondo» e «Nuovi Argomenti», rivista culturale fondata nel ’53 da Alberto Carocci e Alberto Moravia, ai quali presto si affianca Pier Paolo Pasolini, e, dopo la sua morte, Attilio Bertolucci e Enzo Siciliano, che si annoverano fra i suoi amici, con Italo Calvino e Maria Callas. Nel ’73 fonda, con Maricla Boggio, il Teatro della Maddalena, gestito da sole donne. Per il teatro ha scritto oltre sessanta testi, portati in scena in teatri italiani ed esteri.
Ricordiamo Il ricatto a teatro a altre commedie (Einaudi, 1970) Manifesto dal carcere e Dialogo di una prostituta con un suo cliente (Mastrogiacomo-Images 70, Padova 1978). Quasi tutte le sue opere teatrali sono raccolte in Fare teatro 1966-2000. Fra le sue poesie, pubblicate fin dall’inizio degli anni Sessanta, Botta e risposta… poetica o quasi, La donna perfetta (1974), Don Juan (1977), la raccolta Mangiami pure (1978), dedicata alle sofferenze nel campo di concentramento. Fra i saggi, Fare teatro. Materiali, testi, interviste (Bompiani, 1974), La bionda, la bruna e l’asino (Rizzoli, 1987), Cercando Emma (Rizzoli Bur, 1993), Un clandestino a bordo (Rizzoli, 1996), I giorni di Antigone – Quaderno di cinque anni, (Rizzoli Bur, 2006). Fra i film a cui ha lavorato come sceneggiatrice ricordiamo L’età del malessere (1968) di Giuliano Biagetti, La donna invisibile (1969) di Paolo Spinola, Cuore di mamma (1969) di Salvatore Samperi, Certo, certissimo, anzi… probabile (1969) di Marcello Fondato, Il già citato Teresa la ladra (1973) di Carlo Di Palma, Il fiore delle Mille e una notte (1974) di Pier Paolo Pasolini, e i documentari Abrami in Africa (1976) e Aborto: parlano le donne (1976). Fra i premi vinti, oltre ai già citati Cimitile, Campiello e Strega, anche il Premio Pinuccio Tatarella. Nel 2005, l’Università degli studi dell’Aquila le conferisce la Laurea Honoris Causa in Studi teatrali. Due anni dopo riceve il Premio leopardiano “La Ginestra”. Nel 2010, l’Università degli Studi di Foggia le conferisce la laurea magistrale honoris causa in Progettista e dirigente dei servizi educativi e formativi. Due anni dopo le viene assegnato il premio Alabarda d’Oro per la letteratura. Alla fine degli anni Ottanta, gira per la Rai Raccontare Palermo, andato in onda su RaiTre, in cui la scrittrice incontra, in giro per la città, vari rappresentanti della cultura siciliana quali Mimmo Cuticchio, regista e attore teatrale, erede della tradizione dell’Opera dei Pupi e dei cuntisti siciliani, e Giovanni de Simone. Nel novembre 2016, a Palazzo Sant’Elia a Palermo, ha inaugurato con le sorelle la Mostra Topazia Alliata. Una vita per l’arte, prima retrospettiva italiana sull’opera della madre Topazia Alliata, pittrice e gallerista, scomparsa nel 2015 all’età di centodue anni. In tale occasione ha dichiarato: «Questa per me è la vera festa, quella con i quadri dipinti da mia madre. Dei compleanni e delle date obbligate mi è sempre importato poco». Nello stesso anno le è stato consegnato il Premio Manzoni alla Carriera in una cerimonia che si è svolta al Teatro della Società di Lecco. «Una donna che ha fatto e scritto la storia, una testimone dei suoi tempi», l’ha definita Stefano Motta, romanziere, saggista e membro della giuria. Nell’ottobre 2017 Dacia Maraini è stata protagonista dell’evento Un milione di Marianna Ucrìa. Il grazie dei lettori a Dacia Maraini. Nel corso della serata, che si è svolta a Roma presso il Teatro Palladium gremito di pubblico, sono intervenuti Roberto Faenza, regista del già citato film del ’97, lo scrittore Diego De Silva e l’attrice Piera Degli Esposti. Nel 2018 è nominata Presidente del comitato scientifico di Palermo Capitale italiana della cultura. Nello stesso anno fonda la rassegna letteraria “Pescasseroli legge”, che si svolge ogni anno in agosto nella cittadina abruzzese nel cuore ddel parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. In epoche più recenti ha pubblicato il saggio Il coraggio delle donne (Il Mulino, 2020), scritto con la giornalista e saggista Chiara Valentini, il romanzo Trio. Storia di due amiche, un uomo e peste di Messina (Rizzoli, 2020), Writing like breathing. Sessant’anni di letteratura (Gruppo Albatros il Filo, 2021), il saggio La scuola ci salverà (Solferino, 2021), Una rivoluzione gentile. Riflessioni su un Paese che cambia (Rizzoli, 2021), Caro Pier Paolo (Neri Pozza, 2022), In nome di Ipazia: riflessioni sul destino femminile (Solferino, 2023).
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C'è una Storia nella storia, racchiusa nelle pagine di "Sono tornato per te", l'ultimo libro di Lorenzo Marone, edito da Einaudi.
E' quella dei prigionieri dei campi di concentramento nazisti, costretti a combattere. Alcuni erano boxeur professionisti, come Johann Trollmann, tedesco di origine sinti o l'italiano Leone Efrati mentre tanti, semplicemente, avevano dalla loro la prestanza fisica e la capacità di tirar pugni.
Ieri la presentazione con l'autore, lo scrittore Francesco Pinto ed una folla di lettori, chiamati a raccolta da Angela e Stefano della Libreria Tasso al Sorrento Bar Kontatto di Claudio La Via.
In disparte c'era Cono, che in una mattina di fine marzo del '36 conobbe Serenella, la ragazza che avrebbe amato da lì in avanti, fino alla fine dei suoi giorni.
Per tutti loro avrebbe resistito.
E per lei, un giorno, sarebbe tornato
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Franca Ongaro Basaglia
Un odore spaventoso che ti impregnava i vestiti e che non ti andava via neanche quando tornavi a casa, ti facevi la doccia e ti cambiavi. L’odore del manicomio. Odore di chiuso, di feci, di orine e di sofferenza.
Franca Ongaro scrittrice, attivista e politica italiana, è stata protagonista, insieme al marito, Franco Basaglia, del movimento della Psichiatria Democratica.
Nata a Venezia, il 15 settembre 1928, era all’ultimo anno del liceo classico, nel 1945, quando ha incontrato uno studente di medicina che, nel 1953, è diventato suo marito e il compagno di vita e battaglie.
I suoi interessi, all’inizio, erano rivolti verso la letteratura, ha pubblicato diversi racconti per l’infanzia, una riduzione dell’Odissea (illustrata da Hugo Pratt) e un’altra del romanzo Piccole donne, sul Corriere dei Piccoli.
Quando, negli anni sessanta, Franco Basaglia, da medico ha abbandonato la carriera accademica per tentare la strada della pratica clinica, entrando nell’ospedale psichiatrico di Gorizia, dove è iniziata la “rivoluzione psichiatrica” proseguita poi a Trieste, Franca Ongaro ha stravolto i suoi interessi e si è dedicata completamente alle pratiche di rottura istituzionale attuate in quegli anni.
Col marito e con il gruppo di psichiatri e intellettuali radunati attorno a loro, ha scritto, curato e tradotto i testi che testimoniano il prezioso lavoro che, scuotendo le fondamenta dell’istituzione ospedaliera, ha portato alla legge 180, che ha portato la chiusura dei manicomi in Italia.
Due suoi testi, Commento a E. Goffman, La carriera morale del malato di mente e Rovesciamento istituzionale e finalità comune, fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro di apertura dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos’è la psichiatria (1967) e L’istituzione negata (1968). È stato grazie alle sue traduzioni di Asylums (1969) e Il comportamento in pubblico (1971) che l’Italia ha potuto leggere i testi di Erving Goffman, ha tradotto e introdotto anche il lavoro di Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972).
È stata coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia, L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico (del 1968), Morire di classe (1969), La maggioranza deviante (1971), Che cos’è la psichiatria (1974), I crimini di pace (1975) fino alle Condotte perturbate, uscito in Francia nel 1987.
Ha portato, nel continuo scambio di idee col coniuge e nel gruppo di lavoro, il prezioso contributo della sociologia, di cui era appassionata pur non avendo una formazione accademica, che all’epoca era molto lontana dal contesto della psichiatria.
Ha curato la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia, morto prematuramente nel 1980, appena un paio d’anni dopo l’approvazione della legge che porta il suo nome.
È autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla bioetica, sulla condizione femminile, sulle pratiche di trasformazione delle istituzioni totali. Tra i suoi testi principali ci sono i volumi Salute/malattia. Le parole della medicina (1979), raccolta dei lemmi di sociologia della medicina scritti per l’Enciclopedia Einaudi; Manicomio perché? (1982); Una voce. Riflessioni sulla donna (1982) in cui ella stessa parla del rischio di ritrovarsi «relegata a preparare il latte caldo ai rivoluzionari» e che include la voce donna della Enciclopedia Einaudi.
Tra i saggi, Eutanasia, in Le nuove frontiere del diritto, Democrazia e Diritto, n. 4 – 5, Roma, 1988; Epidemiologia dell’istituzione psichiatria. Sul pensiero di Giulio Maccacaro (1997); Eutanasia. Libertà di scelta e limiti del consenso in Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella società contemporanea del 2001.
Attiva in politica, si è impegnata, come parlamentare, affinché la legge 180 non venisse snaturata o archiviata, promuovendo una maggiore comprensione dei temi relativi alla salute mentale da parte della classe politica e di chi nell’amministrazione era poco favorevole al cambiamento.
Da senatrice della Sinistra Indipendente, per due mandati, dal 1983 al 1992, è stata leader della battaglia parlamentare e culturale per l’applicazione dei principi posti dalla riforma psichiatrica, da cui è scaturito il testo base del primo Progetto obiettivo salute mentale (1989). Ha collaborato alla stesura delle varie disposizioni regionali che hanno diffuso maggiormente la cultura dell’accoglienza delle persone malate psichiatriche nelle più diverse zone del Paese.
Franca Ongaro, si è tanto spesa per la condizione femminile. Avendo avuto occasione di incontrare molte pazienti psichiatriche, ha visto l’impatto della malattia mentale su di loro e verificato che spesso che la causa dell’internamento era dovuta a semplici atti di ribellione contro il patriarcato e l’ordine costituito dominato dai maschi.
Nel luglio 2000 ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and Mental Health e nell’aprile 2001 l’Università di Sassari le ha conferito la Laurea Honoris Causa in Scienze Politiche.
Franca Ongaro ha lasciato la terra il 13 gennaio 2005 a Venezia, lasciandoci diverse eredità, prima di tutto, la capacità di conferire al proprio lavoro un valore politico, agendo sulle contraddizioni e lottando contro ogni facile riduzionismo della realtà. Guardando alle sue azioni, resta l’insegnamento di proseguire ad accogliere le persone diverse da noi, spalancando non soltanto le porte delle istituzioni ma delle nostre menti. Si tratta di tenere aperta una finestra sull’impossibile, la stessa da cui Basaglia e Ongaro scelsero di iniziare a guardare i panorami di quell’utopia della realtà che avrebbe costituito gli scenari di Gorizia e Trieste.
Il suo pensiero e la passione civile di una vita per tutelare i diritti delle persone più deboli continuano a essere un faro che illumina la strada che dobbiamo ancora percorrere.
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Invisible°Show presenta Radio Hito
Canti per lingue sconfinate
- Signore, deve tornare a valle. Lei cerca davanti a sé ciò che ha lasciato alle spalle.
(Giorgio Caproni, Conclusione quasi al limite della salita)
domenica 8 ottobre 2023
ore 17:30
Invisible°Show presenta:
Radio Hito (Bruxelles)
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Antonella Bukovaz (Topolò)
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Posti limitati: per sapere il luogo esatto e prenotarsi scrivi a [email protected]
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RADIO HITO
Radio Hito è la voce musicale dell'artista e scrittrice Y-My Zen Nguyen, nata nel 1985 a Les Ulis, in Francia, da famiglia italo-vietnamita. È docente di educazione artistica alla Haute école des Arts du Rhin di Strasburgo e co-curatrice della rivista di poesia La tête et les cornes insieme a Benoît Berthelier, Maël Guesdon e Marie de Quatrebarbes. Ha studiato incisione, tipografia e pianoforte classico in Francia, Svizzera, Inghilterra e Paesi Bassi. La sua musica, nata “dall'intuizione e dalla necessità di fare di tutto un ritornello”, coglie testi e ispirazioni da versi di poeti nelle loro traduzioni italiane – in particolare, del messicano Octavio Paz e dell'argentina Alejandra Pizarnik. Ha inciso le sue canzoni perlopiù su audiocassetta, in tiratura limitata: Ascoltami (2019), Non Solo Sole (Midi Fish, 2020) e Voce Lillà (Kraak, 2021). Vive e canta tra Bruxelles, Parigi e Strasburgo.
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ANTONELLA BUKOVAZ
Originaria di Topolò-Topolove, borgo sul confine italo- sloveno, Antonella Bukovaz è poetessa, autrice teatrale e performer. Dal 1995 ha partecipato a diverse rassegne di arte contemporanea in Italia e in Slovenia, e dal 2005 si dedica alle interazioni tra parola, suono e immagine. Presente nell'antologia Einaudi Nuovi poeti italiani, 6 (con Storia di una donna che guarda al dissolversi di un paesaggio, premio Antonio Delfini 2009), le sue poesie – apparse su riviste web e cartacee (il Verri, Alfabeta, In pensiero…) - sono state tradotte in sloveno, tedesco, inglese, francese e arabo. Ha pubblicato Tatuaggi (Lietocolle, 2006); al Limite (Le Lettere, 2011; con dvd), in collaborazione con il video maker Paolo Comuzzi e con il musicista Antonio Della Marina; i librini koordinate (pulcinoelefante, 2015) e Guarda (pulcinoelefante, 2015); 3X3 parole per il teatro_3X3 besede za teater (ZTT-EST, 2016), raccolta dei testi scritti per il teatro sonoro di Hanna Preuss (per la quale è stata autrice e attrice nelle opere S.E.N.C.E, Sonokalipsa e Pavana za Antigono, con rappresentazioni a Lubiana, Trieste, Kyoto e Cagliari); casadolcecasa_domljubidom (Miraggi, 2021; menzione speciale al premio Rilke), e Compagnevole animale (B#S edizioni, 2022). È inoltre autrice di Tra_in between_Mèd, premio Kristal 2017 al Festival di Letteratura di Vilenica. Collabora con l'elettrorumorista Eva Sassi Croce, con cui ha realizzato le performance casadolcecasa, Lessico elettronico,Utopia del rumore (tributo all'Arte dei rumori di Luigi Russolo),e Femminilizzazione del mondo. Sempre con E.S.Croce ha realizzato una video-lettura da Osip Mandel'stam (Viaggio in Armenia) e con il musicista e artista sonoro Claudio P. Parrino un'audio installazione da un poema di Evgenij A. Evtušenko (La stazione di Zima). Tra i molti altri musicisti e artisti del suonocon cui ha lavorato – tra i quali Marco Mossutto, Teho Teardo, Antonella Macchion - collabora stabilmente con il trombettista Sandro Carta, insieme a cui trova continue dimensioni sonore a testi propri e di altri autori. Ha contribuito alla realizzazione di Stazione di Topolò-Postaja Topolove, per la quale ha curato soprattutto la sezione letteraria Voci dalla sala d’aspetto, ed è stata presidente dell’associazione che ha organizzato tutte le 29 edizioni del festival. Da sempre, insegna in lingua slovena nella scuola bilingue di San Pietro al Natisone-Špeter.
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Nota a "A un ricordo da te" di Selene Pascasi
Nel capitolo intitolato “Il cervello di mio padre” (dalla raccolta di saggi “Come stare soli”, Einaudi 2003), lo scrittore americano Jonathan Franzen scrive: “… riesco a vedere la mia riluttanza ad applicare il termine ‘Alzheimer’ a mio padre come un modo per proteggere la specificità di Earl Franzen dalla genericità di una malattia nominabile. […] E, laddove dovrei riconoscere che, sì, il…
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Elio Vittorini, tra letteratura ed editoria
Una vita che attraversò parte del Novecento… Elio Vittorini nacque il 23 luglio 1908 a Siracusa, in Sicilia e il padre, ferroviere, si spostava speso per lavoro lungo la regione, portando con sé la famiglia. Elio, adolescente irrequieto, divenne desideroso di scoprire un mondo più ampio degli orizzonti provinciali, così scappava frequentemente da casa per esplorare luoghi nuovi e sconosciuti. A sedici anni, stanco della scuola di ragioneria cui era stato iscritto dalla famiglia, abbandonò per sempre la Sicilia nel 1924 e, dopo aver trovato un impiego a Gorizia, cominciò la sua formazione culturale, modellata sui grandi scrittori europei del tempo in reazione al provincialismo della cultura del regime. Sempre di questo periodo fu l'avvicinamento alle posizioni di Curzio Malaparte e della rivista Strapaese, che Vittorini espresse in un articolo apparso nel 1926 su La conquista dello stato. L’anno successivo, grazie all’intervento di Malaparte, Elio divenne collaboratore della Stampa, e, dopo aver spedito a La fiera letteraria il suo primo racconto, Ritratto di re Gianpiero, lo vide pubblicato sulle pagine della rivista. Nel 1927 Vittorini sposò la sorella del poeta Salvatore Quasimodo, Rosa, che gli diede l’anno successivo il primo figlio, Curzio, nome scelto per il legame con Malaparte. Poco dopo, nel 1929, lo scrittore ritornò sul carattere provinciale della letteratura italiana pubblicando alcuni interventi sulle pagine della rivista fiorentina Solaria, che era la principale voce per dare un respiro europeo alla cultura italiana soffocata dal regime e dalle sua pretese autarchiche. Nel 1931 fu pubblicato, sempre dalla rivista fiorentina, Piccola borghesia, prima raccolta di racconti di Vittorini che, trasferitosi a Firenze, divenne segretario di redazione di Solaria e correttore di bozze per il quotidiano La Nazione. All'identità di Solariano, Vittorini unì la frequentazione della Firenze intellettuale ed ermetica, riunita all’epoca nel caffè delle Giubbe Rosse, dove iniziò ad interessarsi alla cultura e la lingua anglosassone. Studiato l'inglese, Elio cominciò la carriera di traduttore, che gli permise di lavorare a stretto contatto con il mondo editoriale, sia come collaboratore che come direttore di importanti collane. Nel 1933 pubblicò a puntate sulle pagine di Solaria Il garofano rosso, suo primo romanzo e nell’anno successivo divenne padre per la seconda volta, questa volta di Demetrio. Elio nel 1936 iniziò a lavorare su Conversazione in Sicilia, una delle sue opere principali sia sul piano contenutistico che su quello stilistico, che fu pubblicato a puntate su Letteratura, poi ripubblicato in volume prima da Parenti nel 1941 e da Bompiani nel 1942. Nel 1938 lo scrittore si trasferì a Milano per lavorare da Bompiani, e li ci fu il riavvicinamento di Vittorini con un vecchio amore milanese, Ginetta Varisco. L’opera di censura perpetrata dal regime fascista colpì anche l’antologia Americana, una raccolta dei principali narratori statunitensi del tempo e di cui Vittorini aveva redatto le note critiche. Il secondo conflitto mondiale e la guerra di Resistenza videro lo scrittore attivamente impegnato nella stampa clandestina e coi partigiani. Questa esperienza diede vita nell'immediato dopoguerra a Uomini e no, romanzo che è il punto di maggiore vicinanza tra l'autore e il Neorealismo. Lasciata la famiglia per vivere con Ginetta Varisco a Milano, Vittorini nel 1945 divenne direttore dell’Unità e fondò Il Politecnico, rivista che mirava a smuovere il dibattito sulla cultura e la società italiana, ma che durò solo fino al dicembre del 1947. Nel 1951 Einaudi affidò allo scrittore la collana di narrativa I gettoni, grazie alla quale debuttarono scrittori di successo, come Carlo Cassola, Beppe Fenoglio, Mario Rigoni Stern e Leonardo Sciascia. Inoltre Vittorini collaborò con Mondadori, per cui rifiutò di pubblicare Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa, grande best-seller del 1957 per Feltrinelli. Malato da tempo, Elio Vittorini morì il 12 febbraio 1966 a Milano. Read the full article
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Elena Varvello on Reverie
Elena Varvello, nata a Torino nel 1971, diplomata presso la Scuola Holden di Torino, ha pubblicato la raccolta di racconti L’economia delle cose (Fandango, 2007), candidata al Premio Strega e vincitrice dei premi Settembrini e Bagutta Opera Prima, e i romanzi La luce perfetta del giorno (Fandango, 2011), La fine del mondo (Loescher, 2013), La vita felice (Einaudi, 2016) e Solo un ragazzo (Einaudi, 2020).
I suoi libri sono tradotti in Inghilterra, Stati Uniti, Spagna, Francia, Polonia, Messico, Grecia e Portogallo.
È docente di Original e di Academy, corso di Laurea in Scrittura e Contemporary Humanities della Scuola Holden.
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