#queste nuvole nere
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Cerco di capire queste nuvole nere
Cerco di capire queste nuvole nere di Giuseppe Iannozzi Alla memoria di Cinzia Paltenghi Cerco ancora di far mia la grandezza che permise a Mosè di divider le acque Cerco ancora di operare una magia che dia un senso alla raggiunta libertà; esser liberi non ci rende immortali e nemmeno più forti ad affrontare, dì dopo dì, della vita i tanti perché Dicono sia risorto il terzo giorno E qui cade di…
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#amica mia#cerco di capire le nuvole#Cerco di capire queste nuvole nere#Cinzia Paltenghi#Giuseppe Iannozzi#Mosé#queste nuvole nere
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Sono tornata dopo un lungo periodo di assenza. Non so nemmeno se riuscirò ad esprimere ciò che sento e che provo in questo istante della mia vita.
Sono andata a fare una passeggiata/corsa nel pomeriggio verso le 20:30. Il sole era praticamente già scomparso ed il tramonto aveva quasi anticipato la sua comparsa. Tutto il cielo rosaceo era stato risucchiato dalle nuvole nere che si apprestavano ad occupare l’ultima parte colorata del cielo. Infatti poco dopo che sono tornata a casa (circa mezz’ora dopo) ha iniziato a diluviare.
Ricordo che mentre ammiravo gli ultimi raggi rossi che si dissolvevano in lontananza mi è venuto un groppo in gola, ed ho avuto un enorme voglia di piangere.
Ho pensato: “come vorrei trovarmi al mare in questo momento”… “come vorrei stare lontano da tutto questo”.
Ho pensato anche che, se avessi avuto delle ali, per me sarebbe stato facile ammirare ciò che restava del tramonto. Eppure riflettevo, anche una creatura alata, si sarebbe sentita infelice a volare fino ad arrivare ad ammirare il tramonto… in solitudine.
È del tutto inevitabile. Abbiamo bisogno di creare ricordi e gioie da condividere. Il nostro cuore contiene all’infinito se condividiamo. Mentre se cerchiamo di nascondere ciò che proviamo, anche se minimamente cerchiamo di occultare i nostri sentimenti il nostro animo non regge il peso di queste sensazioni, e da qualche parte si devono pure riversare.
Prendendo anche ad esempio queste emozioni che ho pensato stasera. Sono finite qui. Si sono accumulate con altre e sono finite qui.
Per chi è arrivato a leggere fino qui complimenti. Si sa che è una virtù rara la concentrazione di sti tempi. E la voglia. La voglia di scavare a fondo in delle frasi prolisse e sconfinate, gettate alla rinfusa in un monologo sofferente e sconclusionato. So che è complesso, ma ti ringrazio:)
Spesso non sappiamo nemmeno noi ciò che desideriamo. Forse desideriamo solo essere ascoltati e compresi un minimo. O aspettiamo semplicemente qualcuno là fuori che ci abbracci. Magari stiamo ancora sanguinando, forse con fatica cerchiamo di rimarginare ancora le vecchie ferite del passato che ci hanno segnato.
Chissà. La cosa certa è che ora è notte fonda ormai. E che anche grazie a Morfeo il velo pesante del sonno cadrà anche sulle ultime gocce di pensieri rimasti, trasformandoli si spera, in sogni non troppo pressanti.
buonanotte.
~24/5/24
CR diary
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Ballata zingara
Mi sono perso nel fumo di Bucaresttra gli aghi spuntatinei budelli notturni delle condotte del gastra le note segnate sulla schienacon la punta di un coltelloSe non so ricominciarevuol dire che mi sono perso davveronon c'è altro da direMia madre gridava: vieni a casa, subitoe io rispondevo: sì, sto arrivandoPoi finalmente ho capitoche dovevo tornareBacerò le mani di mia madrenel giorno del perdonoAccarezzerò i capelli di mia nonnanel giorno del ritornoSuonerò lo zimbalonaccompagnato dagli schiocchi delle ditadegli amicie dai fischi con la boccaIo sono Marinel Sandu di ritorno a Clejani Io sono Lena, vivo nella BessarabiaIn giornate così freddepuoi sentire il vento che corre nella valleche smuove l'erba secca e attraversa la casada ogni spiragliosoffiando sui mobili nudispogliandoli di polvere e increspando la pelleOggi dissodiamo la terra con la zappaSembra che la primavera non arrivi maida queste partima se preghiamo la vergine incoronataraccoglieremo le patate a maggiomia madre le venderà al villaggio Mi chiamo Basya, spezzetto rametti per la stufacoi cani che giocano a mordersi la codasulla porta di casaDentro c'è mio nonno Alyosha seduto sul lettodavanti al televisoreOgni giorno guarda sempre lo stesso filmcon la sigaretta che pende dalle labbra secchee una camicia a quadri coperta di cenerePensa di essere il samurai del film che sta vedendoripete le battute a ogni colpo di spadae muove il braccio destro con deboli fendentiMia zia Zemfira ha due anelli d'oroche pendono pesanti dai lobi delle orecchiee una pipa di schiumaStrofina uno zolfanello e lo guardadritto negli occhiLei sa quando un vecchio è pronto a morire Io sono Zara, ho solo una sorella che giocacon bambole di pezzaHa fili di perle tatuati sulla pellee trecce nere fatte con code di cavalloLei sogna un principe ogni notteche la porti via dal villaggiosu un cavallo col fiocco rosso tra le orecchiee briglie colorateche vola con le ali sulle cupole doratedelle chiese ortodosseche puntano il dito al cieloe bucano le nuvole quando sono basseNell'attesa che arrivi principe e cavallofacciamo il gioco delle mani allo specchioe passiamo il tempo sedute a sognarein riva al ruscello dove l'acqua resta fermae si lascia solamente guardare Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine Read the full article
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/02/la-famiglia-e-gli-amici-di-chiara.html La famiglia e gli amici di Chiara Ferragni sono finiti nel mirino degli hater Un tempo re Mida del web e della moda, oggi Chiara Ferragni sembra non riuscire a liberarsi dalla reputazione che la insegue da metà dicembre quando è scoppiato il Pandoro gate, caso di cattiva gestione social poi trasformatosi in un'indagine per truffa aggravata che ha coinvolto l'imprenditrice, il suo manager Fabio Maria D'Amato e le sue aziende oltre che la Balocco. A due mesi da quella bufera, le nuvole nere sopra la carriera e la vita privata di Ferragni non sembrano volersi dissipare. E mentre le voci di crisi col marito Fedez, che attualmente è a Miami da solo per lavoro, si fanno sempre più insistenti, il suo lavoro sui social sembra essersi congelato su neutrali fit-check, scatti e storie con i suoi bambini e fughe in montagna (che poi diventano casi studio anche quelli: ma questa è un'altra storia che vi abbiamo raccontato qui). In questo tempo di riflessione (si spera) e attesa Ferragni sta trascorrendo molto tempo con i suoi bambini Leone e Vittoria e con la sua famiglia: la madre Marina di Guardo, oltre ad aiutarla con i figli, è da sempre una figura di riferimento per Chiara e le sue sorelle Valentina e Francesca. Proprio in virtù di questa vicinanza e della solidarietà che i parenti e gli amici di Ferragni le hanno mostrato in queste settimane difficili, ecco che gli haters dell'imprenditrice hanno deciso di rivolgere le loro accuse, recriminazioni e insulti anche a Francesca, Valentina, Veronica Ferraro, una delle migliori amiche di Ferragni e alla madre. A fomentare il livore degli utenti, anche quelli motivati da intenzioni meno bellicose, è il fatto che Chiara, sua madre e tutte le persone che le sono rimasti vicini hanno limitato, se non addirittura bloccato i commenti sotto ai loro contenuti. Tutta la famiglia Ferragni è impegnata nella certosina cancellazione dei messaggi offensivi o denigratori, tanto che oggi, sotto alle foto degli ultimi giorni, si leggono solo complimenti e parole d'affetto. Come ha detto al Messaggero Roberto Esposito, Ceo della società di strategia e comunicazione digitale DeRev, «chiunque venga accostato al bersaglio è sotto tiro. Una contaminazione potenziata dal fatto che i commenti sono ancora limitati sotto al profilo di Chiara Ferragni». Insomma, il fatto che l'imprenditrice digitale stia tentando di proteggere la sua reputazione è comprensibile e così la volontà di cancellare minacce e insulti gravi sotto i suoi post lo è. L'hating online in nessun caso dovrebbe essere la risposta, neanche se la questione infervora, neppure se è di interesse comune o ha una risonanza etica e legale importante come quella che ha coinvolto Ferragni. Ma la strategia di Chiara, che sta apparentemente continuando la sua vita col sorriso - questo, almeno, è quello che ci ha mostrato in queste settimane - almeno da un punto di vista social non sta funzionando: anche se non promuove più nulla da mesi, le adv sembrano congelate e gli unici contenuti rimasti sui suoi profili sembrano essere quelli più "safe" e personali, cancellare i commenti negativi ma costruttivi non sta facendo altro che creare accanimento. Non solo contro di lei, ma anche contro chi ha deciso, per affetto, di rimanere dalla sua parte.
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Politica monetaria Europea rallentata a causa della guerra
Guerra e inflazione: così l’Europa è sull’orlo della crisi. Dopo la frenata della Germania, anche la rigorista Olanda finisce in crisi. Soffrono Ungheria e anche gli altri Paesi dell’Est Europa. La guerra in Ucraina continua a sferrare orrori e ad alimentare incertezza e sfiducia. I prezzi dell'energia, come petrolio e gas, hanno risollevato la testa di recente e rallentano il calo dell'inflazione complessiva, mentre l'inflazione core sta scendendo sì ma molto lentamente. L'inasprimento della politica monetaria della Bce (nove rialzi in un anno per un totale di 425 punti base) segnala tassi pronti a salire ancora e che comunque resteranno alti più a lungo, frenando domanda, consumi, investimenti, esacerbando la volatilità degli assets finanziari e immobiliari, premendo sulla stabilità finanziaria. L'economia cinese delude sempre più mentre salgono le tensioni geopolitiche asiatiche. Il Covid-19 non è debellato del tutto, si teme un'escalation dei contagi in autunno anche se con sintomi minori. Il cambiamento climatico e la riforma del Patto di stabilità e crescita lanciano sfide epocali per l'Europa. La locomotiva tedesca intanto si è fermata, si spera solo per lavori di manutenzione. L'Olanda invece è appena entrata in recessione tecnica. Sono queste le nuvole nere che si addensano all'orizzonte dell'area dell'euro e che minacciano l'arrivo di una tempesta perfetta, che ha come sfondo la recessione nonostante la buona tenuta del mercato del lavoro. Nella seconda metà dell'anno, il Pil dell'eurozona potrebbe contrarsi secondo gli economisti più pessimisti: e il 2023 rischia di chiudere con una crescita inferiore alle attese, sotto l'1% (0,9% per l'Ocse, 0,8% per il Fondo monetario internazionale). Fanalino di coda rispetto a Usa e Giappone e la media del G20. Andamento economico in Europa
Non va meglio nell'Unione europea, che per il Fmi crescerà quest'anno allo 0,7%. Nella Ue, Eurostat ha registrato il record di fallimenti delle imprese nel secondo trimestre dell’anno, con un aumento dell’8,4% e ai massimi da quando è iniziata la raccolta dei dati nel 2015 da parte dell’ufficio europeo di statistica. Nella zona euro i fallimenti aziendali sono aumentati del 9%: tra le cause, il nuovo mondo post pandemico, Tutti i settori segnano un aumento dei fallimenti: l’ alberghiero, contrassegnato anche dal consolidamento, ha registrato per esempio un incremento più forte nel secondo trimestre rispetto al primo trimestre, (+24%). Restano elevati i tassi di fallimento nei trasporti, con un’ulteriore spinta in istruzione e sanità. Dal 2022 è emerso un continuo aumento dei fallimenti nel settore dell’industria, delle costruzioni e dei servizi di mercato e finanziari.Rispetto all’ultimo trimestre prima della pandemia nel 2019, i dati appaiono drammatici nel settore dell’ospitalità, con un enorme 82%. In calo i fallimenti nell’edilizia. Il panorama economico dell'area dell'euro è disomogeneo, mette assieme Paesi come Spagna e Irlanda in solida crescita con Paesi come l'Olanda in recessione tecnica nei primi due trimestri di quest’anno e la Germania in stagnazione, dopo la recessione tecnica con l’ultimo trimestre 2022 e il primo 2023 in segno negativo. I problemi dell'economia tedesca, che sono più strutturali e meno ciclici, inevitabilmente adombrano le prospettive di crescita dell'intera eurozona. Intanto il rialzo dei tassi sta colpendo tutti gli Stati membri allo stesso modo e gli effetti sull'economia del restringimento della politica monetaria della Bce, che mira a frenare la domanda, devono ancora manifestarsi completamente: l'aumento del costo del denaro inoltre diminuisce la capacità e la volontà di investire sul futuro, in un momento in cui l'Europa deve fare di più per la doppia transizione verde e digitale. E intanto i costi del rifinanziamento degli alti debiti pubblici lievitano, rendendo la coperta sempre più corta per le politiche fiscali e sempre più incandescente il dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e crescita che riprenderà in settembre. L'incertezza è tanta e tale che i dati macroeconomici sono particolarmente di peso in questo momento. La prossima settimana terrà banco la Germania: l'indice dei prezzi alla produzione Ppi di luglio lunedì, le stime del Pmi di agosto mercoledì (attese sotto la soglia 50 dopo 48,5 in luglio), i dettagli sul Pil del secondo trimestre (0,00%) e l’indagine Ifo sul business climate venerdì (si veda intervista a fianco). Sul fronte della politica monetaria, molto atteso verso la fine della prossima settimana è il Jackson Hole symposium: i mercati cercheranno qualsiasi spunto nuovo per capire cosa farà la Federal Reserve in settembre. Mentre è prevedibile che la presidente della Bce Christine Lagarde si limiti a ricordare che le decisioni di politica monetaria ora più che mai vengono prese di riunione in riunione, sulla base dei dati (alla riunione del 14 settembre il Consiglio direttivo esaminerà le nuove proiezioni macroeconomiche degli esperti dell'Eurosistema). Resta da vedere se a settembre basterà alla Bce mantenere i tassi invariati indicando una stretta più lunga nel tempo. Read the full article
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Favole Fiorentine: La statua di Marte.
(NdR) Queste favole scritte da Francesco Manetti hanno come recapito un pubblico giovanile, ma sono sicuro non saranno disdegnate da lettori più maturi. Si tratta di tre favole che hanno come protagonisti Lapo & Baldo due ragazzi che vivono le loro avventure nel 1400, cioè in pieno medioevo. Vi lascio alla lettura della prima. la prima favola a questo link: L'oggetto misterioso. LA STATUA DI MARTE: UNA NUOVA AVVENTURA DI LAPO & BALDO, RAGAZZI MEDIEVALI di Francesco Manetti Ai primi del '300 l'imboccatura del Ponte Vecchio a Firenze era sorvegliata da una statua romana che raffigurava il dio della guerra Marte. E' proprio di lì che si trovano a passare un pomeriggio di una giornata nuvolosa Lapo e Baldo, amici per la pelle.
"Dì, Lapo, non ti resta antipatico quel brutto muso?" "Come no! Alcuni sono sicuri che porti sfortuna... lo sostiene anche Dante, il poeta. Lui afferma che la statua ha influssi nefasti su Firenze. Si sa che nella mala Pasqua del 1216 Buondelmonte fu ammazzato ai suoi piedi: è da allora che le due fazioni, i Guelfi e i Ghibellini, sono venute ai ferri corti." "Maledetta statua, ti odio!", dice Baldo sferrando un possente calcio alla scultura. Immediatamente si mette in moto un meccanismo e il basamento si apre. "Cavolo! L'hai rovinata! Scappiamo, altrimenti ci mettono dentro!" "Calma, Lapo. Non hai sentito quel rumore? La lastra del piedistallo si è spostata da sola. Il basamento è cavo e dentro c'è qualcosa...", ed estrae un piccolo scrigno che contiene due ampolline, una blu e una rossa, e un rotolo di carta pergamena legato con una cordicella. Baldo lo apre e legge. "Guai a coloro che richiameranno il berserker che nel corpo del feroce Attila fu distruttore di Firenze. Per colui che stroncava le vite la sostanza di morte nel vetro rosso sarà fonte di vita; per colui così lontano dalla purezza la sostanza di vita nel vetro blu sarà causa di morte. Io, Guidobrando negromante, nell'anno del Signore 1025 ne racchiusi lo spirito in questa pietra dall'Unno precipitata in Arno e dall'Imperatore Carlo Magno ritrovata. Che diavolo significa?"
"Fammi vedere!" "Ehi! Stai attento! Mi fai cadere tutto..." La scatola e la pergamena scivolano via dalle mani di Baldo andando a sbattere sul basamento della statua. L'ampolla rossa si spacca e una brodaglia verde va a bagnare i piedi di Marte. "Accidenti, Lapo! Guarda che pasticcio: il liquido ha inzuppato la carta, sciogliendola. Era la prova che Attila aveva distrutto davvero Firenze e..." Un terribile urlo fa trasalire i due giovani. "UUUAAARRRRGH! CHI OSA DISTURBARE IL SONNO DEL BERSERKER?" La statua di Marte ha preso vita! Il volto del mostro ha assunto un'espressione demoniaca, carica di follia e di violenza. "SIETE STATI VOI MINUSCOLI MORTALI A RICHIAMARE IL BERSERKER? RISPONDETE, SE VI E' CARA LA VITA!" "Andiamo", fa Lapo, scotendo l'amico paralizzato dal terrore. I due raccolgono la scatola e l'ampolla blu e scappano verso Via Por Santa Maria.
"FERMATEVI, DANNATI, O VI ANNIENTO!", grida l'incredibile statua vivente scendendo dal basamento. Intanto, attirati dal clamore, si erano fatti vivi tre poliziotti del Bargello, armati di picche e di spade. "Non muovere un altro passo, mostro sputato dall'Inferno. In nome del podestà ti dichiaro in arresto", recita uno dei bargellini. Ma l'essere non sembra temerli: due vengono scaraventati contro un muro e l'altro va a finire in Arno. Dopo che si è liberato di quelli che per lui erano solo fastidiosi moscerini, il simulacro di Marte si incammina verso il centro della città, all'inseguimento dei ragazzi. Il suo passo è lento ma inesorabile; la gente fugge urlando appena lo vede; qualcuno sviene. Il mostro non ha pietà: schiaccia e calpesta chiunque trovi sulla sua strada. Il cielo si fa sempre più scuro; le nuvole nere cariche di pioggia e i fulmini disegnano un inquietante gioco di luci e di ombre sulla tremenda faccia di pietra.
Lapo e Baldo si sono rifugiati in un vicolo a riflettere sull'accaduto. "A quanto pare quel mago, Guidobrando, è riuscito a imprigionare nella statua di Marte, ripescata dal fiume da Carlo Magno, uno spirito malvagio che aveva impossessato anche Attila. Il liquido dell'ampolla rossa, forse un veleno, ha risvegliato questo demonio che ora semina il terrore per le vie di Firenze. La pergamena diceva che la sostanza nella bottiglietta blu l'avrebbe ucciso. Così.." "Così... non resta che lanciargliela addosso!", conclude Baldo. "UUUUAARRRRGH! VENITE FUORI, VERMI!" "Ci siamo... Fai tu, Baldo. Non sbagliare mira o siamo perduti!" I giovani escono allo scoperto, a pochi passi dall'essere. "E' GIUNTA LA VOSTRA ORA, MALEDETTI!", grida il demonio. "Vai, Baldo!" La bottiglietta compie una parabola in aria diretta verso la testa della scultura, ma il mostro, all'ultimo istante, riesce a schivarla. "AH AH AH! STAVOLTA LA MAGIA DI GUIDOBRANDO NON HA FUNZIONATO, MOCCIOSI! E SARETE VOI A PAGARNE LE CONSEGUENZE!"
I ragazzi non hanno scampo: con le spalle al muro attendono la loro fine. "E comincia anche a piovere!", commenta Lapo con amara ironia. Come d'incanto la creatura si irrigidisce lanciando sinistri scricchiolii. La sua pelle di pietra si ricopre di screpolature. Poi l'effigie di Marte torna quella di prima, com'era stata da sempre. Altri bargellini hanno intanto raggiunto Lapo e Baldo. "Tutto bene, ragazzi?" "Sì, ma c'è mancato davvero poco" Mentre le guardie sollevano la statua per riportarla all'antico basamento i due amici si avviano verso casa passando dai Lungarni. "Che ne dici, Lapo?" "Penso che sia stato merito dell'acqua. Ricordi la pergamena? Per colui così lontano dalla purezza la sostanza di vita nel vetro blu sarà causa di morte, e cosa c'è di più puro e vitale dell'acqua? La pioggia lo ha fatto tornare nell'oblio. Speriamo per l'eternità". "E dello scrigno che ne facciamo?" "Dallo a me!" E lo getta nel fiume. FINE
Addenda Ecco quanto c'è di vero nella storia di Lapo e Baldo: la statua posta all'imboccatura del Ponte Vecchio fu travolta dalla piena del 1333 (forse non era di Marte ma di un re Goto); Dante, che fu priore della città, credeva che portasse sfortuna; Buondelmonte dei Buondelmonti fu ucciso da Oddo Arrighi fra il Ponte Vecchio e Por Santa Maria; il fatto della distruzione di Firenze da parte di Attila (così come della ricostruzione per opera di Carlo Magno) è una leggenda; i bargellini erano i "poliziotti" della città e la loro "centrale" era il Palazzo del Bargello, sede del Podestà. Il resto è tutta fantasia! Un'ultima curiosità: il berserker, nella mitologia nordica, è un guerriero impossessato da uno spirito malvagio e distruttore. http://ultimoistante.blogspot.it/2012/12/la-statua-di-marte-una-nuova-avventura.html
Francesco Manetti Read the full article
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Da ricordare nelle giornate nere
Passerà.
Hai provato altre cose. Le riproverai ancora.
Le emozioni sono come il meteo. Mutevoli ed incostanti. Le nuvole sembrano immobili come rocce. Le notiamo e non notiamo alcun cambiamento. Eppure sono sempre in movimento.
La parte peggiore di ogni esperienza è quella in cui senti di non farcela più. Quindi,quando arrivi in quel punto,è probabile che tu abbia già toccato il fondo. Le sensazioni che sentirai da quel momento in avanti saranno migliori di queste.
Sei ancora qui. Ed è l’unica cosa che conta.
#potere alle parole#pensieri e parole#parole#parole di conforto#parole giuste#non sei sola#passerà#il dolore passerà#superare il dolore
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Chissà se stai pensando anche tu a tutto quello che è successo.
Oggi non ho trovato nemmeno la forza di alzarmi dal letto, se non per trascinarmi a mangiare qualcosa ed evitare di avere troppe attenzioni non richieste dalle coinquiline.
So che non lo fanno con cattiveria e che si preoccupano, ma sentirmi dire queste frasi idiote e superficiali mi fa arrabbiare ed io non voglio rispondere male o alterarmi, anche perché non ho la forza di farlo.
Chissà starai meglio senza di me.
Mi hai lasciata andare perché ti sentivi un peso?
Io non capisco. So che sei stanco di tutto e forse ti mancano le energie per afferrarmi prima che possa sparire... Però vorrei tanto che lo facessi.
Ti ho rincorso tanto in questi mesi, anche a costo della mia felicità e vorrei tanto che ora fossi tu a rincorrere me.
Sono in pensiero per te, non riesco ad evitarlo.
Penso ancora che vorrei venire a casa tua, fare la pace, dimenticare tutto, fare un reset, parlare e trovare un compromesso, una soluzione.
Magari non sentirsi per un po', fare un reset mentale e lasciarti spazio per pensare a te.
Vorrei avere ancora le energie e la voglia per comprensare al fatto che a te, adesso, tutto ciò manca.
Volevo troncare tutti i rapporti con te e andare avanti, ma non ci riesco. Continuo ad aspettare non so nemmeno io cosa, visto che i miracoli non esistono.
A volte penso che vorrei semplicemente agire, ma mi chiedo se lo apprezzeresti e forse ho paura di scoprire la risposta.
Io volevo soltanto avere la possibilità di starti vicino. Solo questo. Volevo farti sentire il calore della mia presenza, perché almeno a me, avrebbe infuso quella forza e quella speranza che ora mancano.
Anzi, beh, la speranza, seppur flebile, c'è ancora.
Mi sento veramente masochista.
I tempi migliori tornano anche dopo le più cupe tempeste, io lo so. Volevo tenerti la mano sotto il temporale, così avremmo visto insieme il sole squarciare le nuvole nere. E se anche ogni tanto, quelle nubi minacciose avessero fatto capolino nelle nostre vite, avremmo saputo di poterle dissipare con il nostro amore e la nostra complicità.
Ma forse mi sto solamente illudendo. Forse dovrei crescere e smettere di credere nelle favole, come la principessa che aspetta il suo principe.
#tristezza#solitudine#sfogo#abbandono#dolore#disturbo borderline#senso di vuoto#relazione a distanza
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Abbiamo da dirci tutto tramite gli occhi e lacrime, magari un giorno. Niente parole. Queste nuvole nere come me.
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STANZA 131
Il profumo di narghilè alla vaniglia si impossessava di tutta la stanza, il fumo andava verso l’alto come le braccia di un bambino che vuole essere preso in braccio, ma lui era libero e si disperdeva nell’aria mischiato alle nostre parole.
Conversazioni infinite, dalla scuola, al lavoro, a ricordi di estati lontane, persone mai più viste, racconti di vissuto che avevi rimosso e che riemergono ed escono feroci per non essere dimenticati.
Tutto si mischia in quel quadro perfetto di luci soffuse, divani pelle marrone e baci al sapore di the marocchino, una punta di menta che rende tutto cosi fresco, eppure qui ci sono 40 gradi.
Nessuno dei due pensa al dopo, anche se sappiamo benissimo cosa abbiamo preparato, ma non è tempo.
Gli sguardi muti si susseguono, le parole escono solo come contorno di quel momento perfetto.
La nostra serata lontano dal mondo, dai problemi, dall’ansia lontano da tutto. Se siete in una frequentazione mi capirete, non esiste altro, finalmente puoi non pensare se non a vivere e ti riesce solo con QUELLA persona.
lei per me era questo, la fuga dalla realtà, quel sospirò d’aria che i polmoni richiedono alla fine di una lunga corsa, la luce in fondo al tunnel, le lenzuola pulite alla fine di una lunga giornata, il dolce nel giorno di sgarro.
La chiamavo pasticcino, un nomignolo che mipiace tanto, perché racchiude tutto, dolcezza, amore e quella punta di porno che io metto in tutto, “dopo ti mangio pasticcino”, voglio dire, a chi non piacciono dai? e cosi sarebbe stato, ma non è ancora tempo.
Guardavo la collanina con il suo nome pendere sulla sua pelle che no ha aggettivi per essere descritta, o forse non avere è già per se un aggettivo, la conoscevo alla perfezione. il neo vicino al seno sinistro, un piccola voglia sulla coscia destra, un piccolo taglio sul polso, una mappa del tesoro bramata per anni da un marinaio.
Mentre parla io le fisso le labbra, con il rossetto nude che è ancora perfetto, e le immagino in posti che forse non dovrei.
ma la mente viaggia da sola, su una frequenza tutta sua, come un’autostrada infinita senza caselli senza sosta e può essere interrotta solamente dalla messa in pratica ma era impossibile, avrei dovuto strapparle i vestiti e farlo li in quel momento, ma non era ancora tempo.
In macchina ridiamo e scherziamo come se fosse una cosa normale, un viaggio qualsiasi, un esperienza come altre, invece sapevamo che non era cosi, ma ci piaceva fare finta di niente, come essere in un film di cui tutti conoscono già il finale ma nessuno vuole spoiler, ma solo goderselo, lo sai come finisce titanic eppure ogni volta di fa piangere.
le prendo una mano, è gelida, mani fredde cuore caldo penso, ed è cosi, un fuoco solo per me, che solo io posso vedere e questa cosa mi fa eccitare da morire.
“Ciao volevamo informazioni, sai è la nostra prima volta” mi giustificavo con il signore con gli occhiali e gli occhi stanchi che mi fissava all’ingresso, nel in auto ride un pò imbarazzata. un pò bambina un pò donna.
“Sono 80 euro la notte 100 la suite.”
“cosa cambia? la grandezza?”
“no nella suite avete l’idromassaggio”
“andata per la suite.”
“131, in fondo il parcheggio è davanti.”
Salgo in macchina, contento come un bambino al suo compleanno, lei ride consapevole della follia che avevamo organizzato.
é mezzanotte e 43, buio pesto, i fari illuminano queste piccole villette mono appartamento, tutte identiche, spiazzo in mattonelle davanti, paratia verde scuro e una luce che illuminina l’entrata.
troviamo la nostra, parcheggio e scendiamo.
Entriamo in questa stanza che sembra un vecchio hotel anni 80, divani in pelle rossa, carta da parati beige divisa da un striscia d’orata che circonda la stanza.
letto con le lenzuola perfette, copriletto oro e rosso, ai piedi un divanetto in pelle nere che userò sicuramente più tardi.
Ma la cosa più bella è lo specchio enorme al lato del letto.
Ridiamo e ci baciamo come due ragazzini al primo appuntamento, consapevoli di quella che era la nostra serata, come due amanti che si cercano e di trovano.
era la nostra prima notte in motel.
dedicata unicamente al sesso, alla passione.
Lei va in bagno, io in abito mi siedo sul divanetto e attendo impaziente, conscio che il mio battito superava i 180bpm, che mi sembrava di non essere nemmeno li.
I minuti sono interminabile mentre lei dice di aspettare e io che urlo muoviti, ti voglio, adesso.
Tacchi, autoreggenti e un corpetto nero.
Fine di tutto. anzi forse inizio. ma non voglio rovinare tutto e attendo i passi che mi separano da lei, si avvicina guardandomi negli occhi, sapendo quanto io stessi andando su di giri, il mio corpo sussultava ma volevo godermi ogni attimo.
mi slaccia la camicia, con una mano mi tocca e i capelli e con l’altra scende, si inginocchia e continua a baciarmi, cosi sexy che riesco solo a guardarla, emettendo un timido gemito di approvazione, lei ride, io mi lascio andare, non la tocco nemmeno, mi sembra quasi di rovinarla, di scalfire quell’essenza cosi pura, l’eccitazione era palpabile nell’aria mentre lei si dedicava a me, le prendo i capelli e accompagno dolcemente il movimento, mi piace perdere il controllo ma mi piace ancor di più prenderlo.
Non resisto molto a quel momento, dopo due minuti le alzo il viso dolcemente appoggiandole una mano sotto il mento e piegandomi verso di lei baciandola.
Li inizia tutto.
La prendo in braccio e la sbatto sul letto, fronte specchio, con le mani le affero le gambe e le allargo dolcemente inziando a baciarle lentamente, ogni cm, ogni spazio di pelle bianca disponibile, appoggio dolcemente le labbra sull’inguine godendomi ogni sussulto del corpo, la faccio impazzire per qualche istante, dando piccoli baci qua e la poi mi dedico a lei, le prendo una mano e la metto nei miei capelli, voglio sentire che le piace, voglio farla impazzire, la voglio mia.
I gemiti si susseguono, le lenzuola si stringono nelle sue mani, le sue cosce si irrigidiscono ma la sento libera, la sento godere e non mi fermo per nessuna ragione.
la prendo, su quel letto di amanti passati, di amori nascosti, di baci rubati, la prendo in ogni modo, sopra mentre i nostri sguardi si incrociano, mentre le mie mani le stringono il seno, mentre le bacio il collo e lei gode, la prendo mentre i suoi capelli riflessi nello specchio le cadono sul viso nascondendo appena l’espressione di passione sul suo volto, le mie mani percorrono ogni sua curva a velocità lenta, studiando ogni lembo, sentendo ogni sensazione.
Due corpi che si cercano, si vogliono, un intreccio di mani e movimenti sincronizzati come fosse tutto scritto, tutto già deciso.
Mi ricordo molto bene il suo orgasmo, “amore oddio” io che spingo, tenendole una gamba per accompagnare il movimento, lei butta la testa all’indietro sprofondando nei cuscini bianchi come le nuvole di maggio, le sue mani entrano nella mia schiena, due secondi di totale paralisi per poi sentire il corpo lasciarsi andare, lasciarsi guidare, lasciarsi in un impeto di movimenti lenti rilassando tutti i muscoli, non esiste più nient’altro, i suoi occhi mi sorridono mentre mi bacia.
questo è il mio di orgasmo.
Non si può spiegare l’amore di quella notte di passione, quel sentore di una notte solo nostra.
Non si può spiegare a chi non l’ha vissuto.
Non si può spiegare a nessuno.
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Cerco di capire queste nuvole nere - di Giuseppe Iannozzi
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Day 14
Strana notte, sensazioni contrastanti. Insonnia, mi rilasso. Ho spento tv e fonti di notizie, ti scrivono tutti con la conta dei morti, col virus che sta ritornando in cina. Aritmia, aria che manca, extrasistole. Colpi di tosse, ce l'ho, non ce l'ho. Rimanere fermo non è la mia indole, queste pareti si fanno strette. Il tempo si fa stretto, ragiono su come fare. Non ho un pigiama, ci andrò con le braghe della tuta. Distruggere file e cartelle da vari hard disk, affidare il compito ad una persona fidata. Ma no, non ce l'ho, sospiro profondo, mi pare che sia tutto ok. Google, sintomi. No, non farlo, è li che ti aspetta diavolo tentatore, ti dirà tutto e non saprai niente. Tossisco, ma non è tosse, la famosa capacità respiratoria è intatta. Ok, calma. Però questa sensazione di mancanza d'aria, anche se l'aria c'è. Ignoralo, ignora il tuo cervello irrazionale, surclassalo con quello razionale. Oggettività, analisi, non ho la febbre. Non ho nemmeno un termometro per misurare la febbre, la sentirei, non ce l'ho. Concentrati, se tutto questo non esistesse, come ti sentiresti? Non svanirebbe ogni malessere? Pensa alle tiepide serate, le persone in giro, la normalità. E Gino? A chi lo affiderò, che fine farà? Gli scritti, la marea di foto e cose da mettere apposto, da decodificare, chi saprebbe farlo? Le persone da avvisare. Quando è stato. Abbiamo fatto gli spavaldi una volta di troppo, i leggeri con lo spritz in mano. No, non può essere, è passato troppo tempo. Al supermercato? Ci metto mezzo minuto e non incrocio nessuno. Il lavoro, le polveri nell'aria, il vicino testadicazzo, chi potrebbe avermi contagiato? Non e possibile, eppure. Calma, respira, bevi dell'acqua. I sintomi. Questo respiro, ci vorrebbe uno stetoscopio, auscultare, ma per sentire cosa? Google. No, fermo, non lo fare testa di cazzo! Devi auscultare sulla schiena, 33 respiri a bocca aperta o qualcosa del genere. Follia e razionalità si alternano nel silenzio della casa. Almeno trapanassero, saranno morti? Trascinassero qualche sedia, inveire contro il vicinato mi farebbe sentire meglio. 45 anni esatti, un mondo intero in subbuglio, un film già visto e mai immaginato. Caffè. No, il caffè va bandito o fortemente ridotto. Facciamo una pedalata, sono attrezzatissimo, cyclette da spinning, computer di bordo, cuffiette, è un test valido, se stessi morendo alla terza pedala sarei per terra. Faccio pena ma tengo botta, forse non ho un cazzo. Bagno caldo rilassante, peggio di prima. Nuvole nere tra le nuvole di vapore, hai sentito le nuove restrizioni del primo ministro? Mille morti, superato ogni record, le restrizioni dovevano dare frutti in questo weekend. Invece. Esco dall'acqua e mi asciugo. Ci vorrebbe un libro. Sì, ma quale? Pensare al mondo normale mi dà il vomito. Fuggire altrove, un'altra epoca. Il tempo a volte è più lento, che ore sono. Non so come ma viene giorno. La finestra è aperta e il buon Dio ci ha graziato con una giornata di sole, a discapito dei metorologi. Sto per attivare lo schermo del telefono, ho un po' di fame e mi accorgo che suonano le campane. È la prima o seconda volta negli ultimi trent'anni che mi baso sulle campane per capire che ora è. Un'automobile sfreccia per la strada, questa assenza ci rende tutti piu vicini. Dalle finestre dei palazzi dietro casa si sentono rumori di stoviglie, voci di pranzi. Realtà aumentata, fili d'erba sull'argine vibrano al vento, emettono riflessi. Gino si annoia, esce in terrazza al sole, ma fa troppo caldo e rientra, repeat. Sembra meglio, forse è l'ossigeno, pasta in bianco, calice fi rosso. Rispolvero un libro già letto, non ricordo nulla ma ritrovo le pieghe tra le pagine. Va un po' meglio, il libro è un viaggio che mi tiene lontano da questo luogo. Odio questa casa, questo benessere, questa indeterminazione, mancanza di controllo delle cose. Scende la sera, un'altra sera.
http://youtu.be/U_JqvTUSH_Y?fbclid=IwAR2NYfkoRoO-GBdGOASLDu1JG7K0_MwQIu51B-uTWs_YJmPwtzKm_F-y3lg
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La Macchia Nera
Ho visto un luogo, lontano dagli occhi indiscreti dell’uomo, in cui le fronde degli alberi secolari oscurano la luce del sole e celano segreti che la Terra conserva da secoli e millenni.
In molti hanno provato a rivelarli, ma nessuno è mai riuscito a tornare indietro dall’abisso oscuro che si nasconde dietro al verde delle foglie.
Nei giorni ventosi si possono udire sussurri, sibili, parole segrete narrate in una lingua sconosciuta. Quando piove, il ritmico ticchettio delle gocce sulle foglie pare un messaggio codificato in Morse. E, invece, quando il sole illumina il cielo, il silenzio permea ogni angolo.
Ho trovato questo luogo durante uno dei miei innumerevoli vagabondaggi per trarre ispirazione per i miei scritti. La natura ha sempre avuto la capacità di stimolare le zone più incognite del mio inconscio e stuzzicare la mia immaginazione più di ogni altra cosa al mondo. I suoni del vento, delle foglie in movimento, i versi degli animali, possono farmi immaginare mondi perduti, reami lontani mai contemplati da coloro che non sanno fantasticare abbastanza in grande. Amo vedere come i colori si trasformano durante l’arco della giornata: dalla lucentezza del verde brillate fino al nero della notte.
Quel luogo mi ha ipnotizzata fin da subito. Di tanti posti che nella mia vita ho esplorato, nessuno mi aveva incantata così al primo sguardo. Un corridoio di alti cipressi, affiancati come colonne di un tempo greco, accompagna lo spettatore fino all’imbocco della foresta, che da lontano sembra contenuta nelle dimensioni, ma che in realtà si estende per chilometri. Entrando, un arco naturale sancisce l’ingresso al surreale mondo parallelo. Non ci sono fiori, l’unico colore che invade il campo visivo è il verde. All’interno delle volte naturali, un intreccio di sentieri sconosciuti, alcuni mai percorsi da piedi umani.
Non sono in grado di descrivere le sensazioni provate alla vista di uno spettacolo tale da mozzare il respiro in gola. Il camminare in mezzo alla simmetria dei cipressi e il seguente aprirsi in una vastità di spazio immensa non possono essere trattati a parole, non posso fare abbastanza per rendere la meraviglia.
La prima volta che lo vidi, non entrai. Mi limitai ad ammirare il paesaggio. Le nuvole nere, come un presagio di malasorte, correvano nel cielo, minacciose. Dovetti contenere il desiderio di entrare e promisi agli alberi che sarei tornata il giorno seguente.
Non parlai a nessuno di quella scoperta sensazionale ai miei occhi. Trovavo che ciò fosse un privilegio da non condividere con altri. Volevo che la foresta fosse tutta per me. Nessun altro avrebbe dovuto immischiarsi nella mia contemplazione.
In realtà mi parve abbastanza strano che nessuno nel paese vicino me ne avesse parlato, di certo non era un luogo che passasse inosservato, almeno non a chi tiene gli occhi aperti al mondo esterno e non si estranea, ignorando completamente ciò che lo circonda. Nessuno aveva accennato alla foresta, anche se mi ero dichiarata come un’amante della natura incontaminata e selvaggia. Pensai che fosse meglio così, nessuno mi avrebbe infastidita durante la futura esplorazione del bosco.
Quella notte stessa feci un sogno strano e la cosa mi sorprese non poco perché erano anni e anni che non sognavo così vividamente. Ero sospesa tra le nuvole bianche, immersa nel cielo sconfinato, e osservavo il suolo dall’alto. Tutto, lì sotto, bruciava. Vampate di fuoco divoravano il terreno, si lanciavano verso l’alto sinuosamente, come se danzassero, lucenti e letali. Sentivo l’odore acre del fumo, il puzzo di legna marcia bruciata mi riempiva i polmoni e iniziai a tossire convulsamente. La cenere si stava innalzando e mi lambiva i piedi nudi, rendendoli neri.
Mi svegliai in un bagno di sudore, gli occhi mi lacrimavano e ancora tossivo. Dovetti fare parecchi respiri profondi prima che riuscissi a calmarmi e a capire che era stato solamente un incubo. Diedi la colpa alla cattiva digestione, spesso mi capitava in viaggio, e cercai di scacciare il pensiero per non rovinarmi la giornata.
Ma quando scostai le coperte per alzarmi e andare in bagno, vidi che i miei piedi erano neri.
Soffocai un grido e mi portai di scatto le mani alla bocca. Com’era possibile? I sogni sono solo frutto della nostra psiche, non potevano assolutamente avere ripercussioni del genere nella realtà. Ma allora quella polvere nera, quella cenere, da dove veniva? In quale modo ero riuscita a sporcarmi i piedi? Forse ero improvvisamente diventa sonnambula e avevo iniziato ad aggirarmi per l’ostello a piedi nudi? O forse mi era successo qualcosa di peggiore?
Nessuna di queste domande trovò risposta.
Poco dopo scesi nella sala ristorante per fare colazione. Il cameriere, un giovane molto cordiale che aveva sempre il sorriso in volto, mi accolse porgendomi il menù del giorno. “Buongiorno signora, ha dormito bene?” “In realtà, non molto. Ho avuto un incubo, purtroppo. Ma probabilmente ho mangiato troppo ieri sera a cena e perciò non ho digerito bene.” “Mi dispiace molto, signora, ora sta meglio?” “Certo, molto gentile a chiederlo.” “È mio dovere, signora, nonché un piacere. Che cosa le posso portare per colazione?” “Un caffè doppio e la crostata con i mirtilli.” “Ottima scelta, arrivano subito.”
Mentre aspettavo la colazione, continuai a rimuginare sul sogno. Non riuscivo a dare una spiegazione logica a ciò che avevo vissuto quella mattina e la cosa mi disturbava non poco. Tutto ha una spiegazione a questo mondo, qualsiasi cosa, perciò anche quella polvere nera doveva poter spiegarsi in qualche modo. Decisi di chiedere al cameriere. “Scusi, vorrei farle una domanda. Non si spaventi, è una mia curiosità.” Dissi al cameriere appena arrivò a servirmi. “Ma certo, signora. Chieda pure.” “Per caso avete da qualche parte un deposito di cenere, qui?” “Non saprei, signora. Credo di no.” “Peccato. Grazie comunque.” “Posso chiederle come mai lo vuole sapere?” “Beh, stamattina mi sono svegliata con i piedi sporchi di polvere nera, forse cenere, e vorrei capire se ho iniziato ad avere problemi di sonnambulismo o se semplicemente sto diventando pazza.” “È una storia singolare, signora. Magari si è sporcata con qualcos’altro.” “Potrebbe avere ragione lei, ora che me lo fa notare. Grazie ancora.” “Non c’è di che.”
Parlare con il cameriere mi rassicurò parecchio, probabilmente aveva ragione lui e io mi ero fatta solamente delle paranoie inutili a causa dell’incubo. Nonostante mi fossi rasserenata, non mi piaceva molto l’idea di aver iniziato a soffrire di sonnambulismo e valutai l’idea di legarmi al letto durante la notte per costringermi a non uscire dalla stanza.
Prima di iniziare l’esplorazione del bosco, ero davvero impaziente, passai nella farmacia più vicina per acquistare dei sonniferi. Una precauzione in più non mi avrebbe di certo fatto male.
Uscita dalla farmacia, mi fermai dal fornaio per comprare qualcosa per il pranzo, visto che avevo intenzione di restare nel bosco fino a prima di cena. Poi fui pronta ad andare. Non stavo più nella pelle.
Raggiunsi a piedi il margine del paese, la giornata era soleggiata e non c’era ombra di nuvole in cielo. Le persone mi sorridevano, vedendo quanto fossi entusiasta, e io ricambiavo con un saluto. Non so spiegare il perché di così tanta felicità, mi sentivo mille volte più felice di qualsiasi altra volta in cui avevo esplorato un luogo nuovo, era come se fossi sotto effetto di droghe eccitanti. Non pensavo ad altro che la foresta, la mia mente era concentrata solo su quello. Mi attirava come una potente calamita e presto mi ritrovai da camminare con un passo svelto, fin quasi a correre.
Arrivata al corridoio di cipressi, mi fermai. Avevo il fiatone e le gambe mi tremavano; avevo sempre odiato correre, nonostante ciò non avevo esitato un istante a farlo per raggiungere la foresta. Ero decisamente sorpresa da me stessa. Lì attorno non c’era anima viva, ero completamente sola. Era, sì, un po’ inquietante, ma non mi importava nulla. Anzi, il brivido aggiunse un qualcosa in più all’esperienza.
Per prima cosa, scattai una marea di fotografie del paesaggio. Avevo comprato tre rullini nuovi per essere sicura di avere abbastanza tentativi di ottenere la fotografia perfetta da appendere alla parete del mio salotto. Tutti i colori si incontravano con delicatezza, il verde scuro delle fronde degli alberi compensava il chiarore del cielo azzurro, così distante dal grigio del giorno precedente. Una brezza lieve spirava, facendo muovere le cime dei cipressi e scompigliandomi i capelli. Respirai a fondo gli odori della natura e sorrisi.
Era giunta ora di varcare la soglia di quel mondo magico.
Camminai in silenzio attraverso le colonne naturali, come se fossi in pellegrinaggio verso un luogo sacro. Effettivamente, l’atmosfera che mi circondava aveva un che di sacro o mistico.
Arrivata all’arco, mi fermai un istante e mi voltai indietro per osservare il paesaggio da un’altra prospettiva. Gli edifici del paese si intravedevano alla fine del viale alberato e sembravano così distanti, anche se non mi sembrava di aver fatto molta strada per arrivare lì. Mi stupì ancora il fatto che non ci fosse nessuno, nemmeno nei dintorni dell’inizio del camminamento tra i cipressi, ma ancora una volta mi dissi che si trattasse solamente di un vantaggio, per me.
Mi girai di nuovo e mossi alcuni passi oltre l’arco.
Sentii come un sussurro, una voce che cantilenava il mio nome in una continua litania, e decisi di seguirlo, perciò camminai in avanti e mi addentrai, finalmente, nella foresta.
Il modo si fece improvvisamente più buio.
Le cime degli alberi si intrecciavano a decine di metri di altezza sopra la mia testa e schermavano la luce del sole, facendo filtrare solo qualche raggio pallido. Davanti a me si estendevano ettari ed ettari di terra incontaminata dal passaggio dell’uomo, che avevo timore ad esplorare, anche se non vedevo l’ora di camminare per i svariati sentieri.
Raccolsi dei rami caduti per poi piantarli affiancati lungo il sentiero, in modo da riuscire a distinguere quale strada avessi percorso e riuscire così a tornare indietro.
Terminato il lavoro, mi feci coraggio e andai avanti lungo il sentiero che avevo davanti.
Non udivo nessun rumore, se non il mio respiro e i rami che si spezzavano sotto i miei piedi. Nessun canto di uccelli, nessun rumore tra i cespugli, niente. Eravamo solo io e la natura, fianco a fianco.
Persi la cognizione del tempo dopo poco e non guardai nemmeno una volta l’orologio che avevo al polso. Ovviamente, non potevo dedurre l’ora grazie alla luce o alla posizione del sole, perché sotto le fronde di quegli alberi secolari tutto era uguale. Il tempo sembrava non scorrere mai e la luce era sempre la stessa, in ogni momento. Continuavo a piantare i rami nei bivi, meccanicamente, almeno non mi dimenticai anche di quello.
Mi fermai per un momento a mangiare, ma mi accorsi di non avere molta fame, quindi diedi un solo morso al panino e poi lo riporsi nella borsa. Non avevo nemmeno sete.
Passeggiare in libertà era davvero meraviglioso.
Ero rapita da ogni singola cosa che mi circondava: gli alberi, i cespugli, i rari uccellini che popolavano i rami alti degli alberi, il sottobosco, tutto quanto. Gli odori erano gli stessi che potevo sentire nel bosco dietro casa mia e ciò mi fece sprizzare il cuore di felicità, anche se provai un po’ di nostalgia di casa. Mi fermai in un angolo più illuminato, per cercare di scrivere quello che stavo provando in quel momento, ma non ci riuscii. Le parole, che tanto facilmente uscivano quando ero immersa nella natura, in quel momento erano bloccate. Diedi la colpa alle troppe emozioni che provavo in quel momento e mi infilai il quadernino in tasca, con l’augurio di poter riprovare più tardi.
Ad un certo punto, cominciai ad avvertire un leggero male ai piedi, quindi decisi di tornare sui miei passi.
Ma non trovai nessun paletto al bivio precedente.
Eppure, ero certa, completamente certa, di averlo piantato. Non potevo essermi dimenticata.
Il panico mi assalì come un’onda di maremoto. Come avrei fatto a uscire da lì senza uno straccio di cartina o segnale? Non avevo nemmeno la possibilità di chiamare aiuto, perché oltre a me c’erano solo animali ed ero troppo lontana dalle prime case abitate. Cominciai a rimpiangere la scelta di entrare nella foresta completamente sola e senza aver avvisato nessuno, tanto che gli occhi mi si riempirono di lacrime per la disperazione.
Piansi tutte le lacrime che potei, china vicino ad un cespuglio.
Quando gli occhi si rifiutarono di bagnarsi ancora, non so come, trovai il coraggio di rialzarmi e pensare ad una soluzione. Il bivio che mi precedeva aveva solamente due strade tra cui scegliere, quindi scelsi di prenderne una e sperare di aver fatto la scelta giusta. Al massimo, avrei continuato a camminare circa lungo i sentieri senza troppe svolte e in qualche modo sarei uscita. Avrei accettato di uscire anche da un’altra parte rispetto a dove ero entrata, mi bastava uscire e sapere di avere una possibilità di sopravvivere.
Mi aggrappai con tutte le mie forze alla convinzione di aver scelto la strada giusta, se avessi iniziato a pensare negativo probabilmente la mia psiche sarebbe crollata sotto il peso del pensiero della morte imminente per fame e sete. O peggio.
La luce che filtrava non era variata di intensità e ciò mi fece sperare che fosse ancora giorno, là fuori.
Il miracolo avvenne.
Dopo tre bivi senza segnali, al quarto vidi uno dei paletti in una delle strade tra cui scegliere e gridai per la gioia, facendo svolazzare via un uccellino. Ero talmente sollevata che mi misi a correre lungo il sentiero.
Per la seconda volta nella giornata, mi ritrovai a correre per la felicità. Ero davvero incredula.
E poi arrivai.
Vedere l’arco d’entrata fu come raggiungere il Paradiso.
Non potevo credere ai miei occhi, pensavo fosse un’illusione, ma era tutto vero! E meno male!
Uscii e la luce solare mi abbagliò per qualche istante.
Quando gli occhi si abituarono alla luce, mi sedetti sull’erba e d’istinto aprii la borsa per divorare il panino che era avanzato. Avevo una fame da lupi, come se fossero giorni che non mangiavo. Stessa cosa per l’acqua. Inoltre, controllai l’orologio. Con mia enorme sorpresa, segnava solamente le due di pomeriggio: circa tre ore dopo il mio ingresso nella foresta incantata. Ero stata dentro per così poco tempo? Certo, ero sicura che non fosse buio, ma pensavo che fossero almeno le sei di pomeriggio. Solitamente, quando mi rilassavo in mezzo alla natura il tempo scorreva fin troppo veloce.
Lentamente, tornai verso il paese. Accusavo un forte male ai polpacci, ipotizzai a causa dello sforzo della corsa, inusuale per me, e avevo voglia di mettermi a letto prima di cenare.
Trovai molta gente in giro per strada, erano tutti come agitati e cercai di capire perché.
Fermai una signora che aveva dei volantini in mano e le chiesi cosa stesse succedendo. “Ma come? Non ha sentito nulla in questi giorni?” mi domandò, incredula. “No, veramente sono arrivata ieri qui…” “Una turista è svanita nel nulla da tre giorni, non si è vista nell’ostello dove alloggiava e nessuno ha la minima idea di dove possa essere finita. È un problema se le lascio dei volantini da appendere? Un po’ di aiuto in più non farebbe male.” Una turista si era dispersa e nessuno all’ostello mi aveva avvisata? Che strano… “Ma certo.” Risposi e presi metà del plico di volantini. La donna mi ringraziò con un sorriso e poi si allontanò per continuare il suo lavoro.
Lessi il volantino per saperne di più su quella storia e l’intera pila mi scivolò via dalle mani, spargendosi tutta attorno a me come le foglie di un albero d’autunno.
Quei fogli parlavano di me.
La donna scomparsa ero io.
Mi sentii mancare e crollai sull’asfalto, l’ultima cosa che udii erano le urla della signora con cui avevo parlato.
Mi risvegliai in un letto d’ospedale, con un’infermiera seduta vicino a me. “Dottore, la paziente è sveglia.” Comunicò ad un uomo alto dietro di lei. L’uomo, che indossava un camice abbottonato fino in cima e aveva degli occhiali spessi, venne verso di me e mi osservò. “Come si sente?” mi domandò. “Bene, credo. Cosa mi è successo?” “È svenuta a causa di forte shock, fortunatamente una signora ha chiamato un’ambulanza e siamo riusciti a prelevarla dalla strada prima che qualcuno la travolgesse con un’auto, visto che la signora non era in grado di muoverla da lì.” “Quei volantini… parlavano di me. Cosa mi è successo? Io sono stata solo nella foresta per tre ore, come ho fatto a scomparire per tre giorni?” ero sempre più confusa e loro lo notarono. L’infermiera mi posò una mano sul braccio destro e mi disse “Stia calma, ora le spiegheremo tutto.” “Signora, lei è uscita martedì attorno alle dieci dall’ostello e si è recata prima in farmacia per acquistare dei sonniferi e poi dal fornaio per acquistare un panino. Mi sbaglio?” mi chiese il dottore. “Non si sbaglia, dottore. È andata così.” “Bene. Dopo questi due acquisti, lei è sparita dalla circolazione. Alla sera non è stata vista a cena e nessuno si è allertato, hanno pensato che avesse deciso di mangiare in paese. Però, quando non è rientrata per la notte, il proprietario ha avvisato le autorità. La polizia si è messa sulle sue tracce, ma non sono riusciti a capire dove potesse essere. È stato ipotizzato un omicidio o un rapimento e, fino al suo improvviso ritorno di questo pomeriggio, era l’ipotesi più accreditata.” “Io sono stata nella foresta, niente di più. Ma è impossibile che ci si stata per tre giorni.” “Quale foresta, signora? Non c’è nessuna foresta nei dintorni.” “Come no? E quella oltre le casette gialle? Quella non la considera una foresta? Io sono stata lì!” Il dottore incrociò lo sguardo con l’infermiera e sospirò. Quello che disse mi sconvolge ancora, a ripensarci.
“Signora, quella foresta non esiste più da una ventina di anni. Tutti qui la conoscono come Macchia Nera. Prima era rinomata per il suo splendore, specialmente per il suo viale d’accesso fatto da cipressi maestosi e per i colori vividi degli alberi. Attirò appassionati da ogni dove, tutti volevano ammirare la bellezza di questa misteriosa foresta cresciuta a macchia di leopardo in una zona così strana per quella specie di alberi. Di centinaia e centinaia di persone che si addentrarono tra quelle fronde, solo una decina riuscirono a tornare vivi. Vivi, ma non sani di mente. Una forza maligna dominava quella che sembrava essere un’oasi di natura rigogliosa e attirava persone innocenti tra le sue grinfie per nutrirsi e diventare sempre più potente. Però, una notte, la foresta bruciò da cima a fondo. Fu causata da un’autocombustione, perché nessuno che abitasse attorno ad essa avrebbe mai osato profanare quel luogo per far esso del male, sapevano a che cosa sarebbero andati incontro. Adesso c’è solo una vastità di terra nera, bruciata, corrotta e assolutamente non fertile. Ogni cosa è bruciata, compresa la forza che la governava, o almeno è quello che tutti speravano.” Sospirò.
“Lei è la prima persona, dopo vent’anni, a rimanere vittima della foresta. A quanto pare, per quanto il fuoco abbia fatto il suo lavoro, l’essere soprannaturale che possiede la Macchia Nera non è morto. Il male non muore mai.”
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Sono le 9:10 e sto camminando per le vie di questo paesino vuoto e sperduto, alzando lo sguardo e vedo queste splendide nuvole bianche, sembra quasi zucchero filato...
Sapete a pensarci bene a volte pure il cielo vi può ingannare, dicono che:” rosso di sera bel tempo si spera” ecco, guardando quelle splendide nuvole con le sfumature sul rosso, si spera che il giorno dopo sia una bella giornata,serana, con il sole e con il suo calore che penetra nella pelle...
Ma invece, io guardando quelle nuvole, quelle nuvole dal aspetto sereno e bellissime...il giorno dopo ho trovato la tempesta, nuvole nere, fulmini e grandine ecco...
Ogni volta che guardavo quelle nuvole, mi sentivo bene, ma il giorno dopo cambiavano forma, aspetto e si trasformavano in nuvole nere, cupe, piene di fulmini sempre pronti a colpirti.
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IL VIAGGIO - LA VOCE DEL SILENZIO
POZZALLO, DONNALUCATA, SPIAGGIA DI DONNALUCATA, MARINA DI RAGUSA, MARINA DI RAGUSA, SCOGLITTI, SCOGLITTI, RAFFINERIA DI GELA, GELA, MANFRIA, CALA PARADISO LICATA
Vieni, non lasciare ora la mia mano, risaliremo la costa della Sicilia , vedremo spiagge dove il silenzio ci racconterà di sogni non ancora nati ma già nostri, echi del nostro cuore rimasti tra il bagnasciuga e la schiuma del mare. Le spiagge sono piene di vecchie torri a guardia di città poste nell’interno, dove l’arte e la bellezza sono ancora considerate l’acqua ed il lievito dell’anima. Città come la nobile Scicli, la reale Modica madre dell’immortale poeta o l’antica Ragusa operosa e volitiva. Partiamo da Capo Passero e giungiamo alla prima torre di Pozzallo e da li scivoliamo tra le rosee spiagge di Donnalucata, dove le onde si attardano ed il cielo si accende di azzurri immortali. Ancora più avanti, con il vento che come sospiro d’amore ci spinge a Marina di Ragusa, silenziosa e splendida come una vergine innamorata, sorella di Scoglitti dove il vento disegna piccole onde sulla sabbia ed infine eccoci nella contraddizione di Gela, la terra dove gli antichi greci scesero dalle nere navi vittoriosi sulle grandi onde e portatori di arti. A Gela, ancora una raffineria, tubi roventi e camini che fabbricano nuvole ora non più velenose. Andiamo, andiamo ancora su questo mare antico e raggiungiamo Manfria, con un'altra torre a guardia del nulla, arroventata dal sole, abitata dalle piccole rondini che garriscono felici nel vento. Infine arriviamo a Licata, il piccolo porto circondato di insenature e spiagge dove tra gli scogli le acque sono pure e luminose come lacrime di stelle. Se nel nostro cammino avrai ascoltato il vento, avrai sentito le onde parlarti, raccontarti di come su queste spiagge, il mondo che conosci di acciaio e cemento, è ormai lontano ed estraneo, vedrai vinte le prigioni dove il grigio del cielo tiene la tua anima prigioniera e muta, aquila senza più ali, cuore senza più amore. Qui ti sentirai di volare alta nel sole, qui nella voce di questo silenzio che è il seme dell’eternità, sentirai bruciare nel cuore, intensamente il tuo amore.
Come, do not leave now my hand, we will go up the coast of Sicily, we will see beaches where silence tells us of dreams that are not yet born but already ours, echoes of our heart left between the shore and the foam of the sea. The beaches are full of old towers guarding the city placed in the interior, where art and beauty are still considered the water and the yeast of the soul. Cities like the noble Scicli, the real Modica mother of the immortal poet or the ancient industrious and volitive Ragusa. We start from Capo Passero and reach the first tower of Pozzallo and from there we slip among the rosy beaches of Donnalucata, where the waves linger and the sky lights up with immortal blues. Still further on, with the wind blowing like a sigh of love to Marina di Ragusa, silent and beautiful like a virgin in love, sister of Scoglitti where the wind draws small waves on the sand and finally here we are in the contradiction of Gela, the land where the ancient Greeks descended from the black ships victorious on the great waves and bearers of limbs. A Gela, still a refinery, hot pipes and chimneys that make clouds now no longer poisonous. Let's go, let's go on this ancient sea again and reach Manfria, with another tower guarding nothingness, red-hot, inhabited by small swallows that will grow happy in the wind. Finally we arrive at Licata, the small port surrounded by inlets and beaches where the rocks are pure and luminous like tears of stars. If you have heard the wind on our way, you will have heard the waves talking to you, telling you how on these beaches, the world you know of steel and concrete, is now far and stranger, you will win the prisons where the gray of the sky holds your soul captive and silent, eagle without wings, heart without love. Here you will feel like flying high in the sun, here in the voice of this silence that is the seed of eternity, you will feel burn in your heart, intensely your love.
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Pioggia e Inverno
Si conoscevano fin da quando erano bambini, ma lo scoprirono solo alla fine. Ti irrigidisci.
Hai paura. Amavi quella canzone. I ricordi che ti trasmetteva. Ma adesso ne hai paura. Dolcemente, quasi senza accorgertene, vieni strappato dalla realtà e da ciò che ti circonda. Eccolo li. Alto. Ampie Spalle. Mani morbide dalle dita lunghe e affusolate. Lunghi capelli neri come la notte più oscura. Occhi di ghiaccio. Labbra rosse come il sangue. Un semplice sorriso. Jim. Era seduto sulla riva del fiume come era solito fare. Non era solo. Alla sua sinistra c'era un altro ragazzo. Capelli biondo platino e occhi grigio celeste. Statura media e flessibile. Jack aveva 16 anni, due anni in meno di Jim. Nessuno parlava. Era primavera. Entrambi guardavano l'acqua che scorreva. Il letto del fiume non era molto profondo in quel punto. Si riusciva a vedere il fondo ricoperto da tanti sassolini lisci e rotondi. Era impressionante quanto fosse limpido e cristallino il liquido che scorreva sulle lisce pietre. Jack spostò lo sguardo dall'acqua alle montagne. Circondavano i due ragazzi in ogni direzione. La vista era meravigliosa, ma soffocante. Jack non era mai stato al di là di queste. Aveva sempre voluto sapere cosa ci fosse oltre quelle imponenti mura. Si gir�� verso l'amico che lo stava guardando. «Un giorno andremo lontano da qua. Insieme!» Jim sorrise e riprese a guardare l'acqua del fiume. Un turbine confuse le immagini e i colori fino a ricomporsi. Jack correva spensierato in un bosco autunnale. Sorprendente era l'agilità con cui si muoveva senza inciampare nelle radici degli alberi. Alle sue spalle Jim lo inseguiva. Faceva più fatica dell'altro ma riusciva a tenere il passo. Jack si arrestò di colpo e si voltò. Jim non riuscì a frenare e si schiantò contro l'altro ed entrambi finirono in un mucchio di foglie. Risero a crepapelle e poi si abbracciarono. Era strano. Non era uno dei soliti abbracci. C'era una sensazione potente che li legava. Come un'energia che impedisse loro di staccarsi. Quando si separarono dalla stretta, Jim si sollevò sulle braccia e rimase sospeso sopra Jack. C'erano pochi centimetri fra il viso di uno e dell'altro. Nessuno dei due sorrideva o dava segno di volersi spostare. Si guardavano e basta. Uno sguardo penetrante. Profondo. Le braccia di Jim cominciarono a richiudersi lentamente. I volti dei ragazzi erano sempre più vicini. Sempre di più, sempre di più. Sembrava passasse un eternità. Quando mancavano soli due centimetri tra i due visi, Jack si mosse verso l'alto. Le labbra dei due si sfiorarono. Poi, senza preavviso, affondarono l'una nell'altra. Le mani di Jack si portarono sul viso di Jim. I due ricaddero nel fogliame senza staccarsi dal magico legame. Le foglie furono scosse da un forte vento. Qua e là si alzarono turbini color arancio e giallo. Questi si unirono e i colori si fusero. Poi cambiarono. Divennero scuri fino a diventare un blu quasi nero. Questo era cosparso di minuscole luci. Brillanti. Piene di gioia e di speranza. Due ragazzi le guardavano sdraiati in un campo sotto di esse. L'inverno era imminente. Jack amava l'inverno. Si volse verso Jim che fece lo stesso. Lui gli passò una cuffietta e fece play. Si strinsero in un abbraccio. Impressionante come la melodia riuscisse a descriverli. Non avrebbero mai smesso di ascoltarla. Poco prima che la canzone finisse Jim baciò Jack. Finta la magia, le luci che osservavano quell'amore così sincero e profondo si illuminarono ancora di più, fino a nascondere tutto in un candido bagliore. Poi ci furono una serie di immagini frammentate e confuse. Una macchina frenò all'improvviso. Un urlo disperato. Il muretto del cimitero. Una tomba recitava: “J. H. Deceduto il 27 dicembre.” Poi tutto finì. Ti accorgi che la canzone che stavi ascoltando è finita. Hai le lacrime agli occhi. Lo sapevi che non dovevi ascoltarla. Ti senti triste e distrutto. Eppure nel tuo cuore brilla un barlume di felicità. Ma non durò molto. Poco dopo si spegne lasciando posto alla disperazione. È andato. Non ci puoi fare niente. Sono passati 135 giorni. Sembra essere passata un eternità. Ti senti solo. Più che mai. Ti avevano detto che ce l'avrebbe fatta. Ma mentivano. Sei stato per ore in quella sala bianca ad aspettare che ti dicessero qualcosa. Intanto continuavano a rassicurarti con parole vuote. Poi la porta si aprì e una donna varcò la soglia portando con se la notizia che ti avrebbe fatto cambiare per sempre. Sono le 19:37 dell'11 maggio e una macchina entra nel parcheggio della stazione. Si ferma davanti alla panchina dove sei seduto. Allora ti alzi e apri la portiera. Una volta entrato tuo padre ti chiede: “Come stai Jack?” Lo guardi. Apri la bocca per dire che stai bene. Ma non esce nessun suono. La macchina riprende a muoversi. Così appoggi la testa sul finestrino. I biondi capelli ti cadono sul viso. È un viaggio di un'ora fino a casa. Grandi nuvole nere coprono il cielo e qualche gocciolina comincia a cadere. Jim amava la pioggia.
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