#punta del piede
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Dal Podologo
Il racconto andrà a fare parte del libro “Racconti e storie briosi”, in corso di pubblicazione. Quaranta racconti e storie briose nei quali le donne sono protagoniste, costruiti mixando fatti reali e immaginari, trasposti in tempi e/o luoghi diversi con personaggi reali e di fantasia. I racconti e le storie hanno una base di verità originale derivata da esperienze personali, di amici e conoscenti…
#accarezzare#alluce valgo#appuntamento#bacio#callo#carezza#centro di podologia#cliente#dita a martello#dottoressa#labbra#paziente#piede#piedi bellissimi#Podologo#poggia-gambe#punta del piede#scovolino
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SE TRENTA MI DÀ TANTO
Ieri sera in privato ho avuto un bel scambio di punti di vista con @nusta (che taggo non per questo ma perché geograficamente interessata dall'argomento di questo post... quando ci arrivo!) fondamentalmente vertenti sulla mia frase 'una ragazza che ha terminato la transizione FtM' (N.d.A - Female To Male, da femmina a maschio).
Giustamente, lei mi ha fatto notare (in modo non polemico ma riflessivo) che la mia frase - sintetica per necessità di 'colpo di scena' - era scorretta perché la persona 'era ragazza già prima a prescindere dalla transizione che ha solo "esplicitato" la sostanza' e che purtroppo in alcuni ambiti digitali non cis questo errore mi avrebbe potuto valere un'aspra reprimenda se non addirittura un attacco diretto.
Non conosco tutte le sfumature espressive del movimento trans e per le mie limitate esperienze devo dire che ho trovato persone molto accondiscendenti verso gli inevitabili errori da parte del sottoscritto ma non dubito che come in ogni ambito si sviluppi una frangia molto agguerrita che per inclinazione o principio si possa triggerare a prescindere (gradito spiegone dalle persone trans che mi leggono).
Il punto del post è che adesso tratterò in modo leggero e simpatico un argomento molto importante che per il suo impatto sulla vita di tutti noi credo sarà inevitabile scateni una polarizzazione tra i vari diversi attori della questione...
LE CAZZO DI ZONE URBANE CON IL LIMITE DEI 30 KM ALL'ORA PER I VEICOLI A MOTORE
Bologna li ha già resi operativi (da cui il tag per Nusta)
e qua comincia la polarizzazione con schieramento in trincea tra:
AUTOMOBILISTI
MOTICICLISTI
CICLISTI
PEDONI
Io per natura animale e istintiva appartengo al primo gruppo perché per il secondo conosco la traumatologia clinica ortopedica, per il terzo non ho sufficiente energia e per il quarto mi pesa il culo e/o odio aspettare i mezzi.
In un mondo ideale fatto di amore per il prossimo e di oculata scelta dei propri ritmi di vita, questo post non avrebbe ragione di esistere perché un ambiente urbano dove i mezzi non superano i 30 km/h è salutare per le ossa di chi non sta dentro la macchina e per la salvaguardia mentale e polmonare di tutti
MA
qualche mese fa sono andato alla discarica di paesello a portare alcune cose e mi sono accorto che la polizia municipale stava allestendo il telelaser sulla curva di una strada dove c'era il limite di 30 km/h... ovviamente sapevo che al ritorno li avrei trovati lì, tutti frementi e puntanti, quindi prima del cartello di divieto ho frenato e ho cominciato a tenere quella velocità.
Li vedevo piccoli laggiù in fondo al rettiline prima della curva...
Li vedevo piccoli...
Li vedevo piccoli e non si ingrandivano...
Piccoli ma mi puntavano addosso il cannone laser della Morte Nera...
Piccoli ma quasi vedevo i loro occhi cattivi e desiderosi che mi scappasse il piede sull'acceleratore... accelleratore che stavo premendo con la punta dell'alluce, delicato come se stessi disattivando 50 chili di plastico su un biplano senza carburante in picchiata dentro a un vulcano in eruzione.
A un certo punto ho pensato 'Vabbe'... adesso metto in folle, scendo e la spingo!'
Dopo un intervallo di tempo pari a quello di una vecchia che cerca gli spiccioli alla cassa del supermercato, finalmente li supero e penso 'Credo che oggi i conti del mio comune non solo andranno in pari ma si compreranno pure il Manchester City dagli arabi...' perché qua ve lo dico con il succitato amore di prima
A LIVELLO NEUROANATOMICO È FISICAMENTE IMPOSSIBILE RIUSCIRE A TENERE UNA VELOCITÀ SIMILE SENZA FARSI VENIRE UNA NECROSI AL TIBIALE ANTERIORE, SENZA STACCARE GLI OCCHI DAL TACHIMETRO O - E QUA PARLO PER ME - BESTEMMIARE TUTTO IL CALENDARIO FACENDO IL GIRO DELL'ANNO IN 10 SECONDI.
Ora lascio la parola a tutti i pedoni e i biruote, che amo in modo indistinto e che vorrei sempre protetti dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontreranno per la loro via, dalle ingiustizie e dagli inganni del loro tempo e dai fallimenti che per loro natura normalmente attireranno...
Però nessuno mi toglierà l'impressione che i 30 km/h vengano usati per far abbassare la velocità media dai 90 perlomeno ai 50, visto che qua in Italia i numeri dentro ai cartelli tondi col bordo rosso sono solo un suggerimento. E sempre per gli altri.
P.S.
Prevengo chi mi dirà che nell'impatto a 30 km/h con un autoveicolo il pedone avrà il 90% di probabilità di non avere lesioni mortali, contro il 60% dei 50 km/h e il 20% dei 70 km/h. Lo so bene perché ne ho curati parecchi.
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Il gioco del mondo si fa con una pietruzza che si deve spingere con la punta del piede. Ingredienti: un marciapiedi, una pietruzza, una scarpa, e un bel disegno col gesso, preferibilmente colorato.
In alto è il Cielo, sotto la Terra, è molto difficile arrivare con la pietruzza al Cielo, quasi sempre si calcola male e la pietruzza esce dal tracciato. A poco a poco però, si acquista la abilità necessaria per conquistare ciascuna delle caselle e un bel giorno s’ impara ad uscire dalla Terra e a far risalire la pietruzza fino al Cielo, fino ad entrare nel Cielo, il guaio è che proprio a questo punto, quando quasi nessuno si è mostrato capace di far risalire la pietruzza fino al Cielo, termina d’un tratto l’infanzia e si cade nei romanzi, nell’angoscia per il razzo divino, nella speculazione a proposito di un altro Cielo al quale bisogna imparare ad arrivare. E perché si è usciti dall’infanzia si dimentica che per arrivare al Cielo occorrono, come ingredienti, una pietruzza e la punta di una scarpa.
- Julio Cortázar, da Rayuela. Il gioco del mondo
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Giovanni Battista Lombardi scolpisce allora una Ninfa
È seminuda e sostiene il drappo che le sfiora la gamba nell'atto di saggiare la temperatura dell'acqua con la punta del piede.
Un effetto ottico meraviglioso
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Mi dicesti:
"È bello".
"Che cosa?".
"I capelli, son vivi, non te li tagliare" .
Ruppi allora le forbici, li lasciai allungare, arrivarono al collo e alle spalle e dalla spalle alla vita, dalla vita ai polpacci, ai talloni, alla terra, dalla terra ai torrenti, ai fiumi in cascata fin verso la foce, dove l’acqua da dolce si tuffa nel sale e lì, che onda nell’onda, i ricci divennero ricci di mare.
E QUESTO L'HO FATTO PER FARTI RESTARE.
Mi dicesti:
"È bello".
"Che cosa?"
"Le mani, son farfalle allo sbando,
svolazzano al ritmo con cui stai parlando".
Fu quel giorno che imparai il linguaggio dei sogni, traducevo in diretta per i non dormienti. Entrai in un’air band e accordai i miei strumenti. Mi misi a dirigere orchestre inventate e poi il traffico urbano in punta di dita. Formai code ed ingorghi, non si poteva più uscire né entrare.
E QUESTO L'HO FATTO PER FARTI RESTARE.
Mi dicesti:
"È bello".
"Che cosa?"
"Il tuo sguardo, ogni tanto si perde
e quando si perde mi viene a cercare".
Lo allenai a guardare di notte come le civette, come le mie gatte. Si fece più forte, sbattendo le ciglia sbattevo le porte, con gli occhi spostavo gli oggetti, una piuma, una foglia, poi una bottiglia. Vedevo attraverso i vestiti, i muri, le case, ti spogliavo con gli occhi, imparai a distanza ad ipnotizzare.
E QUESTO L'HO FATTO PER FARTI RESTARE.
Mi dicesti:
"È bello".
"Che cosa?"
"Dal bagno, sentirti cantare".
Imparai ninne nanne da ogni parte del mondo. Conoscevo canzoni per ogni tipo di fame, che toglievano l’ansia, che saziavano il cuore, che ti veniva anche voglia di fare l’amore. Ebbi grandi maestre, le sirene del mare.
E ANCHE QUESTO L'HO FATTO PER FARTI RESTARE.
Mi dicesti:
"È bello" .
"Che cosa?"
"Le spalle, il sedere, quando vai, ti allontani" .
Un piede e poi un altro, impettita, mi misi in cammino, divenni un miraggio, un’ombra, un puntino. E alla fine più niente, una stella cadente. Poi persi la strada per ritornare.
E ANCHE QUESTO L'HO FATTO PER FARTI RESTARE.
- E. Tesio
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Lei controlla la mia psiche e mi centellina l’amore
Maledetto sia lo yoga! Lei è la mia insegnante. Agile, flessibile scattante e apparentemente... senza ossa! Ci ho messo due mesi per strapparle un invito a cena e poi un altro mese perché mi concedesse finalmente il primo bacio. Pensavo che avrei dovuto faticare non poco, per avere da lei un po’ di sesso. Invece…. Piccola carogna adorabile! S'approfitta del fatto che m'ha stregato, che non riesco a stare lontano da lei per più di mezza giornata. Se succede che per lavoro o altro si deve assentare, subito mi prendono mille gelosie e paure. È pure felice se gliela dico ‘sta cosa! L'amo da morire, quando la sua bocca piega gli angoli all'insù. La scema: ma se ride… m'innamoro ancora di più! Anche se sono già a fondoscala, direi.
E poi mi fa fare le cose più assurde: sono una marionetta guidata dalla sua sensualità. Adoro il profumo e il gusto sia della sua vulva che della sua valle amata tra le natiche. Afrodisiaco puro, per me. E poi la morbida ma perversa innocenza del suo seno da dea! Sono ormai dipendente da lei e dal suo corpo. Se per qualche ragione una sera non posso leccargliela a lungo, se non mi dà il suo miele da gustare, il suo ano da viziare e di cui sentire le contrazioni con la lingua, non riesco a dormire e sarò nervoso tutta la notte e il giorno dopo. Sarei anche - dicono mentendo - un uomo intelligente, equilibrato e assennato. Per tutto ciò che riguarda la vita, i rapporti sociali e la cultura sul pianeta Terra in genere. Meno che per lei: non ragiono più, quando si tratta di quel piccolo esemplare di femmina. È incredibile come una donnina di appena quarantacinque chili, trentasei di piede, trentotto di taglia e una prima scarsa di reggiseno, possa avermi fatto finire al guinzaglio stretto, totalmente soggiogato e reso ebbro di lei. Mi tiene mentalmente prigioniero.
E per giunta è capace di farmi desiderare ardentemente di esserlo! Tra tutte vedo solo lei, voglio solo lei. Ho un bisogno fisico solo del suo corpo. I suoi capezzoli sono la sua bacchetta magica: basta che si spogli e me li mostri che io dipendo da loro. Resto ipnotizzato, da quei piccoli caprioli liberi, profumati di eros e sesso. Il gusto della vita per me è solo sulla loro punta. E godo, nel poggiarvi sopra la lingua e succhiarli. Non voglio perdermi in altri occhi che non siano i suoi. Non desidero essere succhiato da altre labbra che non siano le sue adorate. Non voglio essere leccato all'ano e alle palle che dalla sua lingua: porca, esperta, maliziosa e perfida. Non voglio che il mio seme venga inghiottito da altra gola che non sia la sua.
Come possano poi una boccuccia delicata e una fica così piccola e stretta per magia dilatarsi completamente ad accogliere il mio uccello tutto intero e nonostante tutto sembrare di volerne ancora di più per me resta un vero mistero. Sembra fatta di gomma. I suoi orifizi sono senza fondo. Giuro su Dio che è una vera dea del sesso. Mi eccito solo a pensare a lei: piccola, nuda e apparentemente indifesa nel letto con me. La voglio tutta soltanto per me. E per questo sono gelosissimo di chiunque. Sogno le sue labbra. In ogni momento. Macché sentimento, tentennamenti, esitazioni, imbarazzi, romanticismo e pudore: tutte cazzate. Io voglio soltanto letteralmente mangiarmela e sentire che sotto di me perde ogni controllo, qualsiasi parvenza di buone maniere. Normalmente lei è la persona più gentile, sensibile e timida che io conosca. E forse è per questo che sono stupito dalla sua completa trasformazione, quando facciamo l'amore.
Lucia si trasfigura, diventa una padrona esigente e crudele: mi dà degli ordini e se non li eseguo mi si nega. O mi punisce. E io la adoro, sempre più. Pian piano mi sta facendo diventare il suo perfetto schiavo. Il suo odore e il suo fascino mi addestrano all'obbedienza assoluta e alla completa schiavitù. Quella vera: quella mentale. Perché le catene fisiche sanno metterle tutti. Ma se lei non fa l'amore con me ogni sera ormai, io divento matto dall'astinenza. Non ragiono più dal desiderio irrisolto. Vivo solo per sentire la sua voce d'angelo dirmi sussurrando: “infilamelo qui... schiaffeggiami... adesso mi devi sfondare il culo, mi devi far male: è un ordine... ora vieni e sborra: te lo comando. Voglio sentire il tuo seme che mi schizza dentro e mi riempie, mi inonda... adesso girati, piegati e non fiatare. Ti farò morire di piacere, vedrai."
Le cose sorprendenti che mi ha fatto scoprire su di me, sull'amore e sulle sue varie sfumature m'hanno portato lentamente alla completa perdizione. Non so dove sia finito il bravo ragazzo che ero. Né se esista al mondo un'altra personalità perfettamente duale ma insospettabile come la sua. Per fortuna che durante il giorno almeno ho il lavoro che mi distrae dal pensiero fisso del suo corpo. Perché è una dolcissima schiavitù, la mia. Una funicella esile ma robustissima, che lega la mia personalità al suo umore del momento. Dipendo psicologicamente e fisicamente da lei. E sono… contentissimo, di questo! Se sorride, io sono felice. Se si sente frustrata invece, io sono disperato. E quindi mi offro subito a lei come capro espiatorio. Voglio che tiri fuori tutta la rabbia e il dolore che inquinano il suo spirito. Sono la sua roccia e il suo puntaspilli.
Le chiedo, anzi: la imploro di sfogarsi pure liberamente sul mio corpo, senza tanti complimenti. E lei non si fa certo pregare: mi pizzica forte, mi strizza le palle, mi impone di inginocchiarmi e leccarla con cura maniacale, dai piedi fino alla fica e arrivato lì di rimanerci mezz'ora. Poi devo leccarle il buco del culo per un'altra mezz'ora. Ci unisce una passione folle e assolutamente imprevedibile. La sento chiaramente quando gode per ciò che facciamo in segreto. E tocco il cielo con un dito, se mi stringe forte i testicoli ma poi me li accarezza e mi prende in bocca l'uccello. Anche se all'improvviso quando decide che è il momento mi infila un dildo in culo, per stimolarmi e farmi sborrare.
Tutto, sopporto: pur di tornare a vedere le sue labbra schiudersi in un sorriso e i suoi occhi iniziare finalmente a guardare verso di me con la malizia e le brutte intenzioni che ben conosco. Voglio lei, la sua fica, il suo culo, i suoi seni, la sua bocca e le sue mani sfacciate e sapienti. La desidero da star male. La voglio di continuo. È un'ossessione prepotente, violenta ma dolcissima della mia psiche. E poi vogliamo parlare del fatto che… arrossisce se appena in pubblico qualcuno le fa un complimento?! Dio solo sa se quando questo accade non me la mangerei seduta stante! Non lasciarmi mai, amore mio. Ti prego…
RDA
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“ «Ben altro è il cantare la Luna, che il mettervi il piede sopra come si è fatto il 20 luglio del 1969» scriveva un illustre fisico, Giorgio Salvini, inteso a mostrare la supremazia del fare e della tecnica sul sognare della poesia. Gli rispondeva un poeta, Giorgio Caproni: «altro è il cantare Laura, regalandoci per tutto frutto il Canzoniere, e ben altro è l’essere riusciti a conquistarla e ad andarci a letto»*, e sottolineava come i tecnici abbiano spesso una concezione distorta della poesia. Come se il poeta fosse il distratto perdigiorno che di notte canta la luna e le stelle... Ma anche se cosí fosse, che male c’è? Anzi, non c’è che bene, perché occorre con Caproni continuare a chiederci se conta di piú la luna sulla quale l’uomo ha messo piede con una navicella metallica, o conta la luna nella mente e nel cuore dell’uomo. Osservava George Steiner (seppur con qualche punta di estremismo) che [...] pur possedendo un fascino inesauribile e una bellezza frequente, soltanto di rado le scienze naturali e matematiche hanno un interesse definitivo. Esse cioè hanno aggiunto poco alla nostra conoscenza o al dominio delle possibilità umane; c’è maggior penetrazione del problema dell’uomo (e lo si può dimostrare) in Omero, in Shakespeare o in Dostoevskij, che in tutta quanta la neurologia o la statistica. Nessuna scoperta della genetica eguaglia o supera ciò che Proust sapeva del fascino o del fardello della discendenza; ogni volta che Otello ci ricorda la ruggine di rugiada sullo stelo lucente abbiamo un’esperienza maggiore della realtà sensuale e transeunte in cui deve trascorrere la nostra vita di quella che la fisica ha il compito o l’ambizione di comunicare. Nessuna sociometria dei moventi o delle tattiche politiche �� piú importante di Stendhal**. “
* G. CAPRONI, Poesia e scienza: si può ancora cantare la Luna, in «Tuttolibri», 6 giugno 1987.
**G. STEINER, Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano [1958], Garzanti, Milano 2001, pp. 18-19.
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Gian Luigi Beccaria, In contrattempo. Un elogio della lentezza, Einaudi (collana Vele), 2022. [Libro elettronico]
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Alla campana si gioca con un sassolino, che bisogna spingere con la punta del piede. Ingredienti: un marciapiedi, un sassolino, una scarpa e un bel disegno fatto col gesso, preferibilmente colorato. In alto c’è il Cielo, in basso c’è la Terra, è molto difficile far arrivare il sassolino al Cielo, quasi sempre si calcola male e il sassolino esce dal disegno. Poco a poco, però, si acquisisce l’abilità necessaria per saltare sui vari tipi di caselle (c’è la campana lumaca, la campana rettangolare, la campana fantasiosa, poco usata) e un giorno si impara a lasciare la Terra per rilanciare il sassolino verso il Cielo, riuscendo ad arrivare al Cielo, la cosa brutta è, che giusto in quel momento, quando ancora quasi nessuno ha imparato a rilanciare il sassolino verso Cielo, finisce di colpo l’infanzia e si cade nei romanzi, nel angoscia del razzo divino, nella speculazione dell’altro Cielo a cui si vuole arrivare. E solo a causa della fine dell’infanzia, si dimentica che per arrivare al Cielo, gli ingredienti sono, un sassolino e la punta di una scarpa”.
Julio Cortazàr
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Come sei arrivata fin qui?
Una domanda tanto scomoda quanto dolorosa. Hai camminato sempre in punta di piedi tra cocci di vetro , guardando attentamente di non pestarli, e non ti bastava fermarti a raccoglierli, non andavi ne avanti né indietro, ti fermavi con le tue mani , inginocchiata dentro tutto quel vetro, di rimettere insieme i pezzi, con le dita scoperte, insanguinate. Il più delle volte il vetro ha vinto, spaccandosi in mille pezzi tra le mani o ancora prima di inginocchiarsi, eri così sicura di aver guardato bene prima di mettere il piede, eppure hai iniziato a pestare cocci fino a non sentirne più il dolore.
Lasciavi tracce di te, impronte di sangue così che tutti potessero vedere i tuoi passi , il tuo dolore. Assaporarlo, godendo nelle tue ferite ma allo stesso tempo incitandoti ad uscirne, man mano che andavi avanti, non potendo più andare avanti con i piedi in quello stato. Ti affidi alle ginocchia e hai gomiti. Gattonando in quel mucchio brillante che da lontano sembravano diamanti. Ti avvicini e sono sempre più taglienti.
Ti aspettavi che qualcuno ogni tanto ti portasse una coperta per avvolgerti e portarti via.
Ma chi passava,si vantava di poterti portare via nei migliori dei modi, ma il vetro aumentava e nonostante tu abbia aspettato, sei dovuta andare avanti.
Andavo avanti e sì ripresentavano sempre più con queste coperte, coperte che avvolgevano pieni ricordi e le vedevo li di fronte a me. Come una preda al macello. Inerme senza propendere le mani come una madre fa con il proprio figlio. Trovavo compassione nella mia desolazione . Ritrovandomi con mille persone a fianco . Ma che allo specchio vedevo soltanto me stessa.
Avrei voluto una vita senza cuore e senza anima. Da poter comprendere tutti quelli che ti hanno fatto soffrire e vedere da quell inquadratura se sei così biasimabile come sembri.
Ti chiedi se ne vale la pena. Di continuare con le tue domande devastanti e le tua ossa rotte. Ti ripari in quella piccola desolazione che hai perché ormai quella è la tua casa.
“Ha senso?” Ti chiedi continuamente. Nella tua testa cigolante.
Se potessi solamente alzarmi in piedi senza usare le mani. Se riuscissi ad andare avanti senza voltarmi indietro.
Se potessi non piangere nel cuore della notte senza chiedere a dio perdono.
Se riuscissi a ricucirmi da sola, senza più aspettarmi una coperta che mi salvi e mi porti in salvo. Come una principessa nel castello che attende il suo principe. Ma se la mia storia non fosse come se io fossi il sole? Ma che sono un sole nero, che risucchia il mondo e lo vomita? Come vomito delusioni?
E ad ogni ferita non piangere. Trattieni il fiato ,non farti vedere vulnerabile. Ma la domanda è da chi?
Mi inchino nell angolino al buio della stanza.
Seduta al freddo, sperando che l’oscurità venisse e prendesse il sopravvento. Che la mia pelle d’oca si scaldasse e facesse da scudo. Nell’oscurità i mostri fanno visita credendosi di potermi terrorizzare. Loro stessi ora mi cullano , capendo che non sono loro i veri mostri di cui io debba affrontare. Se ne stanno li , lieti osservatori delle mie cadute e dolorose camminate sui vetri, in silenzio. “Perdonami”. Rimbomba nella testa con lacrime ambigue, senza un significato deciso o preciso, ti chiedi il motivo del perdono che chiedi. Eppure non riesci a chiedere altro che questo.
Potrei lasciarti andare e amarti lo stesso. Ma continui a sbattere contro le cose come se avessi perso le capacità motorie e razionali. Ti senti che non sarà mai più come prima,fino al punto di chiederti. Come era prima?
Ti sciogli i capelli, gettandoteli indietro. Mento alto sempre anche con il collo sporco.potrei? Potrei essere quel corpo con qui fai l’amore? Quel desiderio che nasce da un profumo di sangue. Di sete o di fame. Un calore forte di quelli che ti soffocano l anima. Riesci a dare il tuo corpo per un atto così grande? Ma in tutto questo sguazzi nel vetro. Pensi di essere speciale o diversa, ma ti rendi conto di essere solo di passaggio, il ricordo o il disagio di qualcuno, una novità per altri, e ciò che ti rimane in mano e un mucchio di pezzi di vetro insanguinanti tra le mani. Ti rendi conto di stare soffrendo, ma non riesci a distogliere lo sguardo dal tuo sangue pieno di brillanti del vetro che quasi ti ipnotizza. Come a scuola, durante l ora di matematica rimanevo ipnotizzata nei ricordi delle mie giornate tralasciando i compiti e le tabelline. Guardavo il soffitto e le sfuriate di mia madre, il sangue che colava e le bendature per le braccia.
Ti dicono che non vogliono ferirti, che non possono darti quello che per te sarebbe meglio.
Preghi e supplichi l’amore è l’attrazione prende il sopravvento. Ma torni a casa e non ti lavi. Hai il suo odore nelle mani e nella pelle. Non vuoi lavarti perché sarebbe un ulteriore abbandono. Abbandoni le tracce che ti hanno lasciato e rimanere vuota di quello che pretendi ,che credi che non sia una pretesa ma quello che è giusto. Ti innamori a secondo. Millesimo, senza una conoscenza professi amore e sofferenza innata. E ti senti di non voler essere cosi.
Ti infili nelle coperte e hai addosso questo odore. Ti guardi allo specchio e il tuo trucco
Cola, ti fai una foto per ricordarti questa sofferenza come promemoria.
Non è quanto, ma è quando alcuni attimi di felicità diventano veri ed estasianti. Ti credi migliore,addirittura la persona più felice. Ti credi di poter finalmente vivere con una persona al tuo fianco dove ogni volta che ne guardi le mani, cambia la mano .
Ti dimentichi di imbottigliare i primi momenti. Perché se potessi, li tirerei fuori di nuovo per quando il tutto diventa aperto o smascherato come le carte sul tavolo.
Ti dici che la vita prima aveva un senso senza di lui. E poi ti chiedi come farai senza. Ti chiedi perché non poteva rimanere sconosciuto o in quel limbo piacevole di cui nessuno vorrebbe uscire.
In quel momento dove vorresti che tutto fosse eterno e felice , credi che tu sia perfetta e che lo sia anche lui.
Ci messaggi tranquillamente senza alcun problema. Mentre invece dopo hai il terrore di toccare il testo o il tasto giusto o sbagliato. Credi che siete legati e preferisci essere infelice, che perdere quell idea
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BLITZWING ( Leader) Generations LEGACY EVOLUTION
E con un annetto di ritardo ho infine recuperato pure il famigerato Leader BLITZWING, grazie alla sua reiterazione in Evolution dopo il suo esordio in Legacy, preso appunto senza tanta fretta dato che non sono affatto un fan dei cosiddetti Voyager pompati a Leader, ma il qui presente Triplex 2 è pur sempre uno dei miei Transformers preferiti sin dall'infanzia, e quindi ho approfittato della prima offerta disponibile per accappararmelo senza pentirmene troppo.
Che uno poi, magari, si aspetta appunto parecchia qualità da un Voyager pagato ( quasi ) quanto un Leader, e ari magari spera che i passi falsi fatti con il collega Astrotrain in Siege siano stati di lezione, e invece si parte subito con un meh! guardando il CARRARMATO sfigurato frontalmente dalla cabina di pilotaggio mozzata della modalità jet.
E no, onestamente il fatto che "sia così pure nel cartone" non lo giustifica per nulla, che se proprio dobbiamo fare i precisini, almeno in tv quel particolare lì era appena accennato e coperto da un pannello, nonostante fosse un cavolo di errore mostrare quella come la parte anteriore del tank laddove nel giocattolo era quella posteriore.
Ma appunto qui pare quasi che ci prendano in giro, con le parti laterali del carrarmato scolpite come se fossero quelle del reale muso del giocattolo, con tanto di sagoma degli alettoni laterali ripiegati, ma poi in mezzo hanno messo la cabina mozza PER FEDELTA' AI CARTONI, con questa pure bella pronunciata in avanti di quasi più di mezzo centrimetro! ^^''
E manco, volendo, avrebbe senso ruotarlo, dato che dall'altra parte ci sono i due reattori del jet in bella vista e sempre anch'essi ben pronunciati all'infuori!!
Davvero un peccato, insomma, che sennò il tank non sarebbe così male, nel suo essere però con design generico e con un paio di pannelli viola ai lati e uno sotto la torretta, questi anche tollerabili, dai.
Oh certo, per carità, manco il tank della precedente versione Generations, il Titans Return, era perfetto, con lo spazio sempre nel muso e le ali adagiate nella parte posteriore, ma, EHM EHM, quello era "solo" un Voyager, appunto, e questo sarebbe un LEADER, ed ad essere buoni magari bastava che quella cacchio di cabina mozzata ALMENO non fosse così pronunciata e la si potesse far arretrare all'interno!! ^^''
Per il resto, il carrarmato ha tre fori per armi per lato, uno sulla torretta, che ruota, e la canna di questa si può alzare, anche se a scatti di 45°. Nei fori ai lati possono sistermarsi i fucili gemelli, così come la spada del robot, anche se sarebbe stato interessante invece nasconderla nel tank, mentre ai lati delle torretta si possono aggiungere le due batterie di missili che sarebbero la "marcia in più" per aggiungere un po' di massa ed arrivare alla quota Leader, ma a guardarli si sente davvero la mancanza del vagone / rampa di lancio che invece avevano appioppato al Triplex 1 Siege! ^^'
Seguiamo le istruzioni e andiamo quindi alla TRASFORMAZIONE in robot, che si ispira al G1 ovviamente ma prende spunto più dal precedente TR, con i cingoli che si ripiegano verso avanti / il torso, esibendo delle ali farlocche con quelle vere che sono parte delle gambe - che anche qui si allungano - ed i due reattori si aprono in due a diventare piede e tallone, le braccia sono quasi belle che pronte e quella cavolo di punta mozza si ribalta rivelando la testa, mentre un ulteriore pannello, che era prima sotto la torretta, va a coprire e diventa l'effettivo petto.
Ed a vedere il ROBOT un po' ci si dimentica delle magagne del carrarmato di più sopra, dato che è davvero un bel colpo al cuore nella sua somiglianza all'inconografia G1 classica, dopo tutte le numerose precedenti varianti che un po' reiventavano il look del nostro Triplex 2.
Di sicuro però manco lui è sputato a come appariva in tv, conveniendo prendere ispirazione anche dal giocattolo originale, dato che nel settei quella volta si presero delle libertà niente male, dovendo disegnarlo dal modellino senza foto di riferimento del retro, col risultato di avere un jetpack al posto della torretta del tank sulla schiena e la canna di questa attaccata alla nuca!
Il Legacy quindi non si risparmia a citare il giocattolo G1 che non il settei dei cartoni, come nei dettagli sul petto e bacino, o anche nella canna del cannone accorciata ( ribaltata all'interno della torreta ), piuttosto che non lasciata allungata, ma anche in piccolezze come il simbolo di fazione nella parte alta del petto piuttosto che non più verso lo stomaco, per dire.
Nonostante sia "solo" alto quanto un Seeker Generations, come da giusta scala, è assai massiccio, grazie anche alla zainata sulle spalle, ed appare più robusto del collega Astrotrain, anche se pure lui è alto uguale. Infatti Blitzy nudo pesa quei 20 grammi in più dei 185 di 'Train, ma questo grazie agli accessori in più arriva quasi al peso di un altro bel Leader bello corposo come Megatron Tm2 BW sui 300, ma T-2 invece si ferma a soli 250 con quello che gli hanno appioppato.
E vediamo quindi meglio la robba in più che si ritrova per cercare di arrivare invano alla massa di un degno Leader, ovvero la summenzionata SPADA col particolarissimo design ma con la lama argentata invece che viola o sfumature di questo, e come detto ben due versioni uguali del classico FUCILE, non male grazie alle doppie spine laterali.
Infine abbiamo le due batterie di missili cubiche che si scompongono diventando delle MANI a 6 dita con avambraccioni da far indossare al robot: l'idea, per quanto inedita e senza riferimenti a citazioni o che, non sarebbe neanche così male, ma le batterie nel tank sono enormi e posticce, e le manone POTREBBERO essere interessanti, se non fossero con 6 dita anonime che possono alzare sole le 4 dita unite.
Se invece di sta poracciata facevano delle bocche di fuoco che diventavano CINQUE dita tutte abbastanza snodate, il risultato sarebbe stato più accattivante, piuttosto che questa roba approssimativa ed incompiuta, visto che anche per Astrotrain si sono sforzati a fare qualcosa di assai più giocabile e soddisfacente.
Chiudiamo sul robot dicendo che almeno lui ha i polsi che ruotano, oltre alla solita media di articolazioni post WfC, pure la testa ha parecchio snodo per guardare verso l'alto, e ci sono ovviamente i soliti fori per armi sparsi nei soliti posti, idem i due braccioni che hanno un foro su mano e avambraccio, ma ironicamente fanno pure fatica a stare attaccati alle mani del nostro. ^^''
La TRASFORMAZIONE in jet del nostro è anche qui interessante, con il pannello del petto che si solleva e torna dietro la schiena, la testa che rientra facendo riemergere il cockpit ( fra l'altro, ci sono DUE cabine di pilotaggio, una per il jet e una sotto per il tank!! ^^'' ) da cui si estrae anche la punta effettiva del muso. Come accenato sopra, interessante è vedere le effettive ali del velivolo dispiegarsi dalle gambe che si accorciano, così le braccia che slittano verso queste.
Il problema però che rovina la seconda modalità di CACCIA DA COMBATTIMENTO, aggiungendosi al tank già non perfetto, è tutto il modulo dei cingoli ripiegati sotto i già presenti moduli delle braccia sotto le ali, che appesantiscono parecchio un jet che non risulta manco così longilineo.
E va bene che, ok, RISULTA FEDELE sia al giocattolo originale che al conseguente settei del cartone, ma ribadiamo che questo sarebbe pur sempre un Leader, quindi davvero non sono riusciti a ridigere meglio la massa dei cingoli per rendere il jet più grande e meno goffo? Un po' come hanno fatto nel Titans Return, insomma. ^^'
Sempre con la scusa della somiglianza vengono traquillamente saltati pure gli alettoni posteriori orizzontali, che nella trasposizione nel settei se ne erano dimenticati ed appariva così anche in tv, e quindi non sia mai che correggano la cosa, magari! :D
Ribadendo che sì, sarebbe perdonabile un jet un po' goffo, viste le premesse del triple changer e volendo somigliare al settei, ma sempre tenendo conto che è pur sempre un Leader da 60 euro con solo un paio di manone in più, il risultato è davvero scarso, ed a paragone si rimpiange decisamente il lavoro criticato a suo tempo su Astrotrain.
A proposito delle manone, qui per il jet diventano due ingombranti propulsoroni da mettere dietro i razzi effettivi, parecchio pacchiani così come erano le batterie del tank, quindi sorvoliamo, e parliamo dei due fucili che sotto le ali simulano i missili del giocattolo originale, almeno, mentre anche qui per la spada non c'è una posizione ufficiale o decente dove sistemarla, nascondendola giocoforza sotto al mezzo tramite uno dei fori inferiori.
Certo, c'è il carrello anteriore retrattile, anche se è praticamente piazzato a metà del jet che non sotto il muso, ed il jet è parecchio viola in proporzione, ma pare davvero tozzo e piccolo, e poco imponente insomma: a sto punto era meglio se lo facevano più grande complessivamente,scazzando un po' le scale del robot forse, ma almeno forse la massa si sarebbe ridistribuita meglio.
Infine, un bel robot con belle trasformazioni ma con alt mode con pugni sugli occhi un po' troppo in vista per la classe per cui è venduto, quasi un passo indietro rispetto al Voyager TR precedente: chi ha questo se lo tenga stretto, direi, che quest'ultimo Blitzwing ha senso solo se esposto come robot, ma è davvero svilente per un triplechanger, per nulla addolcita dalla scarsa giocabilità degli accessori aggiuntivi. Visto l'andazzo, mi tremano le gambe al pensiero della sorte che potrebbe capitare agli annunciati Springer e Sandstorm, sempre Leader e forse pure loro sprecati come questo Triplex 2.
-Bio ufficiale codice QR: https://legacy.transformers.com/code/K3CHKM
#transformers#generations#decepticon#hasbro#blitzwing#triplechanger#triplex 2#leader#legacy#evolution#distructor#review#recensione
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La tua adorazione aveva bisogno di un dio.
Se non c’era, ne trovava uno.
Comuni ragazzoni sportivi diventarono dèi –
divinizzati dalla tua infatuazione
che sembrava progettata fin dalla nascita per un dio.
Era un cerca-dio. Un trova-dio.
Papà ti aveva puntata su Dio
quando la sua morte fece scattare il grilletto.
In quel lampo
vedesti la tua vita. Il rimbalzo ti proiettò
lungo tutta la carriera di prima della classe
con la furia
di un proiettile ad alta velocità
che non può perdere una sola libbra-piede
di energia cinetica. Gli eletti
praticamente morivano all’impatto –
troppo mortali per incassare il colpo. Erano sostanza mentale,
provvisoria, speculativa, mera aura.
Eventi alla barriera del suono lungo la tua traiettoria.
Ma dentro il tuo Kleenex zuppo di singhiozzi
e i tuoi attacchi di panico il sabato sera,
sotto i capelli pettinati ora in questo ora in quel modo,
dietro quelli che sembravano rimbalzi
e la cascata di grida in diminuendo,
non deflettevi.
Eri argento massiccio rivestito d’oro
con la punta di nichel. Traiettoria perfetta
come attraverso l’etere. Persino la cicatrice della guancia,
dove sembrava che tu avessi sfregato sul cemento,
era la riga della canna
che ti manteneva dritta sull’obiettivo.
Finché il tuo vero bersaglio
non si nascose dietro di me. Il tuo Papà,
il dio con la pistola fumante. A lungo
vago come nebbia, non seppi nemmeno
di essere stato colpito,
né che mi avevi trapassato da parte a parte –
per seppellirti finalmente nel cuore del dio.
Al mio posto, il giusto medico-stregone
forse ti avrebbe afferrata al volo a mani nude,
ti avrebbe palleggiata, per raffreddarti,
senza dio, felice, pacificata.
Io riuscii solo ad afferrare
una ciocca di capelli, il tuo anello, l’orologio, la vestaglia.
Ted Hughes, Lo sparo - da Lettere di Compleanno
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Mente delirava ferita dall’eccitazione di quell’indicibile piacere, la lucerna, o per malvagia perfidia o per odiosa gelosia o perché desiderosa anch’essa di toccare è quasi di baciare un corpo così bello, fece schizzare fuori dalla punta della sua fiamma una goccia di olio sulla spalla destra del Dio.
Oh audace e temeraria lucerna, vile strumento d’amore, tu hai osato bruciare il Dio di ogni fuoco, tu che sei stata certamente inventata da un innamorato che voleva godere più a lungo, anche di notte, le dolcezze tanto desiderate!
Così il Dio, sentendosi scottare, balzò su dal letto e vide l’oltraggio è il tradimento di ogni promessa di fedeltà. Senza dire una parola volò via, sfuggendo ai baci e alle mani dell’infelicissima sposa.
Ma Psiche, mentre egli si alzava in volo, si aggrappò al piede destro del Dio con tutta la sua forza, come una miserabile appendice di quel sublime innalzamento, e continuò così a seguirli ancora per le regioni nuvolose del cielo, finché esausta so abbatté al suolo.
Il divino amante non la abbandonò così buttata per terra, ma volò su un cipresso lì vicino è profondamente commosso le parlò in questo modo:
“Proprio io, mia ingenua Psiche, proprio io disobbedendo ai comandi di mia madre Venere che ti voleva innamorata di un uomo miserabile e abbietto, condannata a sposarlo, sono volato da te e sono divenuto il tuo sposo. Ho agito con troppa leggerezza, lo so; io, il famosissimo arciere, mi sono ferito con le mie stesse armi perché tu poi mi credessi una bestia e volessi con un’arma tagliarmi la testa, quella testa che porta gli occhi innamorato di te! Eppure in ogni momento io ti mettevo in guardia contro un tale pericolo è più di una volta ti ho amorosamente avvertito! Ma quelle tue consigliere avranno il classico che si meritano per i loro malvagi insegnamenti; tu invece sarai punita soltanto con la mia fuga”.
E, dopo aver parlato in questo modo, si levò rapidamente in alto sulle ali.
#apuleio#amore e psiche#la favola di amore e psiche#Giambattista Marino#Adobe#barocco#letteratura#amore#mitologia#mitología#mito tempo
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Sento di essere come un ago magnetizzato che anziché al nord punta sempre al mare. Per un marinaio un'abilità come la mia è molto meno utile di una bussola raffazzonata fatta con un tappo di sughero che galleggia sull'acqua, non lo aiuta granché ad orientarsi nella navigazione. Neanche io in effetti so bene da che parte remare.
Eppure, durante un viaggio in pullman di dodici ore e passa, mi sono svegliata giusto in tempo perché il bestione a benzina svoltasse l'angolo e si vedesse il mare.
Il mare era lì per la prima volta da quando avevo gettato la valigia nella pancia del Flixbus. A voler essere pignoli era notte inoltrata ed il mare che indovinavo nel buio avrebbe potuto benissimo essere un tratto di campagna male illuminato, eppure io sapevo che c'era. La luce intermittente del faro ed il riflesso dei lumi delle case sull'acqua sono arrivate soltanto poi. Solo allora ho avuto la certezza di avere ragione.
Non è meraviglioso fare il bagno di notte? È meraviglioso fare il bagno in un tratto di spiaggia senza lampioni e senza le insegne luminose dei lidi, con le dune che coprono la strada ed impediscono ai fari delle auto di illuminare alcunché. Avanzi nel nero dell'acqua senza avere bene idea di dove tu stia mettendo il piede, fidandoti di una mappa del tutto immaginaria che è costruita nella testa come fosse un ricordo ancestrale. L'acqua non può farti male, non può farti male la sabbia, è una strada che non puoi sbagliare: La direzione è dentro.
Vedere il mare mi rassicura come quando infili una mano nella tasca e senza darti pena di guardare ci ritrovi gli spigoli metallici delle chiavi di casa, l'ansia di averle dimenticate e la paura di non poter rientrare spariscono. Il mare mi insegue, mi attende, tutto il tempo è una tensione che si accumula finché non mi ci bagno prima i piedi, poi la vita, poi un tuffo giù.
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Incontri non proprio casuali... -Murai Yakumo [Blue Period]
Era stata una lunga giornata, a cui non vedeva l'ora di porre fine. Le fu di conforto chiudersi dentro le quattro mura casalinghe e lasciare fuori imbrunire il mondo, ancora troppo animato e vivace per i suoi gusti. Aveva preferito degli indumenti più comodi rispetto ai jeans che l'avevano fasciata per tutta la mattinata, legato le ciocche dorate in una bassa coda e si era messa ai fornelli per cucinare quell'agoniato pasto che lo stomaco le aveva preteso come cena.
Regnava il silenzio ed alleggeriva la testa liberandola dalla marea di pensieri, mentre ascoltava quei suoi pochi passi dal piano cucina al frigorifero riecheggiare, il coltello picchiare duro contro lo spesso tagliere di legno, la carne sfrigolare appetitosa in padella. Aveva finalmente acquistato un po' di pace, ma la sua quiete venne brutalmente interrotta dai colpi alla porta. Presa alla sprovvista, disturbata nel profondo dell'animo, la fissò da lontano dietro il bancone, sentì il cuore bloccato in gola battere così forte da agitarla e invano tentò di calmarsi.
La domanda era una sola: chi diavolo mai avrebbe voluto cercarla a quell'ora!?
Sospirò frustrata e si incamminò verso l'ingresso.
«Hey, da quanto tempo non ci si vede!?» la salutò con felice arroganza, il suo solito ghigno a stirargli le labbra sottili mostrava i canini affilati e strizzava appena gli occhi ametista che la fissavano luccicanti.
«Yakumo...» brontolò sottovoce, incredula di averlo dinanzi e allo stesso tempo rassegnata alla sua intrusione.
Il corvino fece un passo in avanti, seppur lei fosse rimasta immobile a bloccargli l'ingresso, e poggiò entrambi i palmi sugli stipiti opposti della porta in parte temendo che potesse sbattergliela in faccia, in parte desiderando di avvicinarsi di più al suo viso imbronciato di finta indifferenza. Dio, se gli era mancato quel suo musetto arrabbiato!
«Posso rimanere qui da te, 'sta notte?» le domandò chinando il capo di lato, sussurrando languido le parole in una dolce supplica, intanto che provava ad intenerire i propri tratti e di smussare tutti i propri spigoli per far breccia nel suo buon cuore.
A fatica si trattenne dallo sbuffare ed alzare gli occhi al cielo: lo sapeva, avrebbe potuto scommettere, ne era stata certa fin dal primo momento in cui l'aveva intravisto, aperta la porta, che le avrebbe fatto ancora una volta quella stessa proposta! Che sarebbe stato un'altra volta assieme a lei per un periodo indefinito di tempo e che poi all'improvviso esattamente com'era apparso, l'avrebbe fatta risvegliare sola, ancora una volta... come faceva sempre. E come sempre quegli occhioni da cucciolo abbandonato in strada la mettevano in difficoltà. Maledetto stronzo! si morse la lingua fra i denti.
«Ti prego, sii buona con un povero bastardello come me! Non lasciarmi dormire su una fredda panchina al parco...» la supplicò sporgendosi maggiormente verso la sua direzione, quasi a sfiorarle la punta del naso con la propria fino a sbilanciarsi completamente in avanti.
Lei si scostò di lato tempestivamente guardandolo impanicato tentare di mettere un piede dopo l'altro nella disperata ricerca di un appiglio, ma invece di aiutarlo allungò una gamba in mezzo alle sue caviglie e lo fece cadere a terra. Ignorò i suoi mugolii di dolore, chiuse la porta alle proprie spalle e non appena lo scorse a carponi cercare di rialzarsi, lo schiacciò a terra con un piede sulla schiena. Il corvino guaì di protesta, ma non si dimenò affatto sotto la sua presa.
«Come hai fatto a scoprire dove abito?» chiese monocorde, asserendo di prepotenza il proprio controllo su di lui. Se lo poteva scordare che gliel'avrebbe fatta passare liscia nuovamente, soprattutto dopo l'ultima volta...
«Mi ricordavo di quel caffè di cui mi avevi parlato,» spiegò poggiando una guancia contro il parquet per vederla calpestarla con quelle sue iridi abisso fisse accoltellargli l'anima di freddezza, «...ed ero sicuro che ti avrei trovata lì!» tirò su un estremo delle labbra in un sorriso storpio, dall'aria scomoda data la posizione. Sapeva che l'avrebbe intenerita con la scusa di averla ascoltata, che l'avrebbe addolcita con la scusa di averla pensata e cercata: la conosceva fin troppo bene ed era sicuro di andare a colpo sicuro. Del resto non era una bugia, più una mezza-verità...
«Ci sono stata ore fa...» mormorò in soprappensiero, ripercorrendo mentalmente il tragitto che aveva fatto per il ritorno a casa, «Aspetta, mi hai pedinata!?» fece due più due scoprendolo.
«Cos-? No!» rispose ed immediatamente si contraddisse «Cioè... non proprio: sono stato un po' in giro, prima...» ammise sottovoce, temendo la sua reazione.
«Sul serio!? Non ci posso credere... per quale motivo saresti andato a zonzo?» la sua era una domanda retorica, stava per proseguire con «aspettando la sera per chiedere ospizio, così da impedirmi di negartelo?», ma per sua fortuna la precedette impedendole di proferire cose di cui si sarebbe potuta pentire in seguito.
«Ho preso le birre! Sono le uniche cose che mi potevo permettere al mini-market!» si giustificò voltandosi sull'altra guancia ed additando il borsone verde militare caduto a terra, «Sono dentro lo zaino!»
Sospirò pesantemente, chiudendo gli occhi e stringendo il ponte del naso con due dita per il fastidio. Si odiava terribilmente per quello che stava per fare, ma si sarebbe comunque odiata anche se non l'avesse fatto. Lo liberò dal peso del proprio piede sulla schiena e andò ad accucciarsi dinanzi al borsone per studiarlo con circospezione, senza aprirlo davvero.
«Quindi posso restare...?» proferì esitante, una volta raggiratosi e steso più comodamente sul parquet, guardandola speranzoso da lontano. La sentì sbuffare di nuovo, allora si preparò ad essere scacciato via-
«Sei terribile, Yaku» le scappò una piccola risata che gli alleggerì il cuore.
Come fai a tenere ancora ad un bastardo come me? sorrise in colpa intanto che il fiato gli si mozzava in gola nel vedere le sue labbra timidamente stirate all'insù in quel sorriso che non vedeva da tanto, troppo tempo...
«Sei fin troppo fortunato: ho appena finito di preparare la cena» disse alzandosi in piedi, si avvicinò nuovamente a lui e gli porse una mano per aiutarlo a fare lo stesso.
«Mmm! Ecco cos'era questo buon odorino!» si leccò i baffi, affamato da giorni di un pasto decente che potesse essere né freddo né precotto, né rubato di nascosto.
Era stata una lunga giornata, a cui non vedeva l'ora di porre fine. Certo, non si aspettava quella visita non proprio casuale, ma fu confortata dal recupero di una nuova tranquillità. Cenarono l'uno affianco all'altra, scambiandosi qualche parola, godendosi il silenzio e la buona cena: il corvino, oltre a riempirla di complimenti, ne approfittò facendo addirittura il bis. Gli erano mancati i suoi pasti cucinati con premura e minuziosa attenzione, gli era mancato stare seduto a tavola ed alzare lo sguardo su di lei, gli era mancato la sua voce pacata parlargli dolce nelle orecchie... gli era mancata lei, in tutto e per tutto. Assieme ripulirono e sistemarono le stoviglie.
«Grazie, occhi blu» le baciò una spalla per poi avvolgerla in un abbraccio, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo per inspirare lo smielato profumo di mandorla, tirandola a sé costringendola a fare aderire la schiena al proprio petto. I loro cuori distavano solo perché erano in due corpi differenti, tuttavia all'incirca alla stessa altezza battevano in sintonia imbarazzati, inteneriti, mancanti.
«Yaku, hai esagerato con la birra...» lo rimproverò bonariamente accarezzandogli i capelli corvini con una mano e ai suoi borbottii contrari replicò ancora «Forse sarebbe meglio andare a dormire, mh?»
Incontrò i suoi occhi ametista brillare languidi ad un respiro di distanza dai propri e non le piacque per niente quel sorrisetto che tentò di avvicinarsi alle sue labbra.
«Oi! Sei proprio andato!» lo tirò indietro stringendo fra le dita le ciocche ribelli, «Vuoi una botta in testa così da filare dritto dritto nel mondo dei sogni?» sollevò un sopracciglio squadrandolo seriosa, attenta alla sua prossima mossa.
«In realtà la botta, invece che in testa, la vorrei avere-»
Gli tappò la bocca con una mano, si liberò immediatamente dalla sua presa e dalle spalle lo spinse verso la camera degli ospiti. «La serata si conclude qui!» asserì tutta rossa in viso intanto che lui scoppiava in una fragorosa risata.
Dovette stargli appresso e rimboccargli le coperte come se fosse stato un bimbo capriccioso, ignorò le sue proposte insensate e prestò attenzione affinché le sue mani lunghe non la catturassero e trascinassero sotto le coperte.
«Non dormi qui con me?» piagnucolò bloccandola sull'uscio.
«No, buona notte, Yaku»
«Notte, occhi blu»
*
*
*
Mugolò di fastidio realizzando di essersi appena svegliata e si rifiutò di schiudere le palpebre, non diede ascolto alle preghiere dei muscoli intorpiditi tentando invece di ritornare in quel sogno, ma l'oscurità della sua mente dispettosa glielo negò. Allora un altro respiro pesante venne rilasciato dai suoi polmoni, mentre infelice si rassegnava alle esigenze del proprio corpo.
«Non muoverti»
Si sentì ordinare quando osò allungare le gambe sotto il piumone. Aprì gli occhi richiudendoli immediatamente dopo, accecata dalle prime luci del sole che filtravano attraverso le tende chiare ai lati della finestra.
«Che cavolo ci fai qui?» chiese con la voce impastata dal sonno, stropicciandosi pigramente un occhio.
Poteva vederlo a metà, seduto a terra con la schiena poggiata al muro, i capelli corvini tutti spettinati rispetto ai quali brillavano i particolari orecchini pendenti dai lobi, lo sguardo basso sull'album da disegno scribacchiare con una matita repentina ed istintiva.
«Ti prego, dimmi che indossi i pantaloni...» si coprì il volto con un braccio, subito dopo aver notato il torso nudo.
Il ghigno che stirò le fece mordere la lingua fra i denti per non imprecare.
«Beh, se questo può rassicurarti: non ho il culetto nudo sul tuo parquet!» ridacchiò divertito udendola inveire nei suoi confronti, «E ti ho detto di non muoverti!» la riprese ancora una volta cogliendola girarsi con il naso rivolto all'insù verso il soffitto alto della camera.
Lo guardò di sbieco, sdraiata sulla schiena, un braccio piegato sul ventre e l'altro sotto la nuca ad intrecciare le dita della mano fra le lunghe ciocche.
«Stai ferma, così. Immobile» le scattò mentalmente una foto fissandola ammaliato da quell'attimo in cui le luci e le ombre accarezzavano morbide le sue forme, i primi colori caldi dipingerle perfettamente la candida pelle, renderle oro la chioma e lucenti fili d'ottone le ciglia, risaltare quell'abisso che nascondeva nel blu degli occhi.
«Non mi piace il tuo carattere dispotico di primo mattino,» finse protesta, in realtà accontentandolo e posando per lui, «...potrei almeno sapere che ore sono?» domandò cercando di trovare la risposta in quel cielo chiaro e fresco al di fuori della finestra.
«Le sei, credo...» sussurrò disinteressato, chinato in avanti sul foglio bianco su cui stava provando ad imprimere l'impressione di quel preciso istante.
«Hai dormito almeno un po'...?» proferì mal celando la propria preoccupazione nei suoi riguardi, «Oppure sei rimasto sveglio a fissarmi dormire, come uno strambo?» lo prese in giro, una volta che ebbe adocchiato sparsi a terra fogli che abbozzavano dei suoi ritratti assopiti.
La ignorò bellamente ed invece esclamò entusiasta raggirando l'album fra le mani, sollevandolo verso la sua direzione per mostrarglielo con lo stesso orgoglio di un bambino fiero del proprio lavoro.
«Vediamo...»
«Oi! Chi ti ha detto che potevi muoverti!?» la rimproverò indispettito mentre lei, che gli rispondeva con una linguaccia, con una mano si appropriava dell'album così da vederlo da vicino.
Il corvino non gliela diede vinta e balzò sopra il letto, ritagliandosi presuntuoso il posto sotto il suo braccio sinistro, appoggiando la testa sul suo petto e avvolgendole la vita con il proprio.
«Fermo, mi fai il solletico!» ridacchiò quando si spinse poco più in alto, sopra la sua clavicola, cercando di allontanare di parte il viso per non fare colazione con i suoi capelli.
«Allora?» la incalzò impaziente, irrequieto faceva volare lo sguardo dall'immagine che aveva ritratto a quella pensierosa che stringeva fra le dita, «Che te ne pare?»
Emise un sospiro leggero prima di lasciargli un bacio sul capo, nascondendogli un triste sorriso.
«Stupendo»
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Che sia pace o felicità lasciati avvolgere. Quando ero giovane pensavo che queste cose fossero stupide, sempliciotte, avevo il sangue cattivo una mente contorta un'educazione precaria, ero duro come il granito non sopportavo il sole non mi fidavo di nessun uomo e soprattutto di nessuna donna, vivevo all'inferno in piccole stanze oggetti rotti, oggetti distrutti, camminavo sui vetri, maledetto. Sfidavo ogni cosa, venivo continuamente sfrattato incarcerato dentro e fuori risse dentro e fuori dalla mia testa, le donne erano qualcosa da scopare e insultare non avevo amici maschi, odiavo le vacanze, i bambini, la storia, i giornali, i musei, matrimoni, film, ragni, spazzini, gli accenti inglesi, lo spagnolo, il francese, l'italiano, noci e il colore arancione. L'algebra mi faceva arrabbiare, l'opera mi faceva vomitare, Charlie Chaplin era finto, i fiori erano per finocchi, la pace e la felicità erano per me segni di inferiorità propri di una mente debole e confusa. Ma andando avanti con le mie risse di strada, i miei anni di autodistruzione, il mio passare da una donna all'altra iniziai gradualmente a capire che io non ero diverso dagli altri, ero uguale. erano tutti pieni d'odio accecati da futili rancori, gli uomini con cui mi picchiavo nei vicoli avevano il cuore di pietra tutti spingevano sgomitavano imbrogliavano per qualche vantaggio insignificante la menzogna era l'arma e la trama era vuota l'ignoranza era il dittatore. Con cautela permisi a me stesso di sentirmi bene, a volte trovavo momenti di pace in squallide stanze fissando i pomelli di un comò o ascoltando la pioggia al buio. Meno cose mi servivano più mi sentivo bene, forse l'altra vita mi aveva consumato, non trovavo più nessun fascino nel sovrastare qualcuno nella conversazione o nel montare il corpo di una povera femmina ubriaca la cui vita era scivolata via nel dolore. Non potrò mai accettare la vita così com'era, non potrò mai ingoiare tutti i suoi veleni, ma c'erano delle parti tenui, magiche, non so quando ma il cambiamento avvenne e qualcosa in me si rilassò, si attenuò, non dovevo più dimostrare di essere un uomo, non dovevo più dimostrare niente, cominciavo a vedere le cose, tazze di caffè dietro il bancone di un bar o un cane che camminava sul marciapiede. Cominciavo a sentirmi bene, cominciavo a sentirmi bene nelle situazioni peggiori e ce ne sono state tante. Mozart è morto ma la sua musica è ancora lì nella stanza,l'erba cresce, la terra gira. Sono uscito fuori, salito sulla mia meravigliosa auto, ho messo la cintura di sicurezza, sono uscito a marcia indietro dal vialetto sentendo un calore sulla punta delle dita fino al mio piede sul pedale del gas, sono entrato nel mondo ancora una volta, ho guidato giù per la collina superando case piene e vuote di gente, ho visto il postino ho suonato il clacson, lui ha ricambiato il mio saluto.
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Selvatica - 40. Pronta per la serie A
Corinna non voleva tornare a Milano. Lì si sentiva come a casa, anche se non conosceva la lingua e faceva fatica a capire i discorsi. Ante era incredibile con lei, ancora più amorevole di quanto fosse a Milano. E a Milano era il ragazzo perfetto.
Non voleva tornare a Milano e doversi nascondere, difendere, tenere tutto dentro.
In quei giorni lei e Ante avevano parlato molto. Lui le aveva raccontato tanto della sua vita, la sua infanzia, la sua adolescenza. Corinna gli aveva parlato di tutto quello che era successo col padre, coi debiti. E si era sentita bene, a suo agio, come se ne stesse parlando con chi la conosceva da sempre. Percepiva di potersi fidare completamente di lui, e quando gli aveva detto che lo amava aveva compreso di non aver mai provato quel sentimento così forte prima d'ora.
Stare lontana da quel corpo pazzesco era diventato impossibile. In Croazia erano stati una cosa sola, e anche quando erano lontani c'erano i loro occhi che non potevano fare a meno di cercarsi. Non voleva tornare a Milano e rompere quell'idillio.
Seduta su una poltroncina di vimini osservava lui fare dei palleggi col pallone. Corinna chiuse gli occhi, sotto al sole nel giardino di casa di Ante. Forse avrebbe dovuto parlare con lui prima di rientrare. Mentre erano ancora lì, avvolti da quel manto di magia e bellezza, protetti dai momenti appena trascorsi insieme e dall'amore che si erano detti di provare l'uno per l'altra. Forse in quel momento lui non l'avrebbe guardata con occhi diversi e avrebbe compreso le motivazioni del suo stupido gesto. Si alzò e lo raggiunse.
«Mi insegni?»
Ante stoppò la palla con il piede e la guardò perplesso. «A fare cosa?»
«A calciare.»
I suoi occhi si illuminarono e scoppiò a ridere. Da quando lo aveva visto immerso nelle acque cristalline dell'Adriatico non poteva più fare a meno di vederci il mare in quegli occhi. Placidi e profondi, la lasciavano sempre con la voglia di restare ancora a guardarli, di restare intrappolata lì dentro per sempre.
Gli si gettò al collo. «Dai! Voglio imparare.»
Ante la baciò sulla guancia. «Signorina, siamo passati dal non guardare neanche una partita di calcio a voler imparare a giocare. Tra qualche mese ti ritrovo in panchina ad allenarmi?» Spostò il pallone davanti ai piedi di Corinna. «Va bene, vediamo che sai fare.» Si allontanò di qualche metro.
«Che devo fare?»
«Tira un calcio al pallone. Passamelo.»
Corinna colpì la palla, che andò a sbattere contro la siepe in fondo al giardino, dietro Ante.
Lui ridacchiò aggrottando la fronte. «Ma come diavolo lo hai colpito? Con la punta?»
Corinna lo guardò con aria spaesata. «Perché come avrei dovuto fare?»
Ante raccolse il pallone. «Con l'interno, tesoro. Guarda.»
La palla rotolò docile tra i piedi di Corinna. «Ok, fammi riprovare.»
Colpì il pallone che schizzò verso l'alto. Ante si piegò in due dalle risate.
«Aspetta, non ridere, fammi riprovare.»
«Sei negata, Corinna. Non sei neanche in grado di fare un passaggio.»
Ante cercò di prendere la palla ma Corinna la recuperò e la nascose dietro, allontanandosi. «Dai, fammi riprovare!»
Lui scosse la testa. «Sei negata, rassegnati. Dammi il pallone.»
«No, Ante. Sei tu che sei un pessimo insegnante.»
«Dammi la palla, ti faccio vedere io chi è pessimo.» Si avvicinò con passo deciso.
«Fammi tirare di nuovo...»
«Corinna.» Ante si avventò su di lei con impeto e la scaraventò a terra, sull'erba fresca. Cadde su un fianco e si rotolò poggiando la schiena a terra. L'odore del terriccio penetrò nelle narici quando riprese fiato.
Si portò le mani al volto. «Ante, cazzo...»
Ante torreggiava su di lei. «Ti sei fatta male? Scusami, non ho saputo dosare la forza.»
Continuò a rimanere distesa con le mani sul volto emettendo dei lamenti.
Ante si accovacciò al suo fianco. «Dove ti fa male? La schiena? Corinna per favore fammi vedere dove ti sei fatta male.» La voce di Ante si era fatta più urgente, segno che si stava preoccupando davvero. Le prese le mani e cercò di toglierle dal volto. «Corinna...»
Lei lasciò andare la pressione che stava esercitando per non fargli vedere il viso, le mani si sollevarono, scoprendo un sorriso divertito e un paio di occhi allegri.
Ante aveva la fronte aggrottata per la preoccupazione, ma non appena la vide le lasciò andare le mani e si rimise in piedi. «Vaffanculo. Vaffanculo, Corinna. Mi hai fatto perdere uno spavento. Sei brava a simulare, sei pronta per giocare in serie A.» Le tese la mano per farla alzare.
Corinna la afferrò. «Non stavo scherzando del tutto, sono caduta male»
«Ah sì? Dove ti fa male?»
Lei indicò il fianco sul quale era caduta. «Siete sempre così rudi sul campo?»
«Guarda che ti ho solo sfiorato, in campo lo siamo molto di più.»
Corinna scosse la testa e si ripulì i pantaloni. «Sei un animale.»
«Che c'è, perché fai quella faccia? Credevo ti piacesse.»
Ante si avvicinò e la schiacciò contro il suo corpo. Anche attraverso i vestiti poteva sentire la potenza di quei muscoli, la grazia con cui si gonfiavano quando li contraeva. Si stava riferendo a come facevano l'amore e alla foga di Ante in alcuni momenti.
Adorava il suo modo di fare l'amore, così focoso e dolce. I loro corpi sembravano essere stati creati per unirsi, per combaciare. Ante la completava e il suo modo rude di toccarla, di morderla e baciarla le faceva perdere la ragione ogni volta. Era sesso, puro piacere carnale, mischiato al sentimento che li legava. Era chimica dei corpi che reagivano l'uno all'altra e alchimia delle anime che sorridevano per essersi trovate.
Corinna fece scorrere le mani sulla sua schiena fino ai glutei rotondi e sodi.
«Lo sai che mi piace.»
Ante la baciò. «Sei sicura di non voler venire anche tu stasera? Perché sai, conosco un posto dove potremmo andare poi io e te da soli.»
Aveva un appuntamento a cena con i suoi vecchi amici, che Corinna aveva già conosciuto. Lei aveva pensato di lasciarlo libero, tanto comunque non avrebbe capito niente e lui aveva bisogno di stare con i suoi amici di sempre.
«Sicurissima. Goditi la serata con i tuoi amici, io starò con le tue sorelle. Mi mancheranno... anche i tuoi mi mancheranno, mi stanno trattando benissimo, mi hanno fatto sentire a casa.»
Ante sorrise. «La cosa è reciproca, te lo posso assicurare. Mamma ti adora già. Ha detto che la prossima volta che torniamo dovrai assolutamente aver imparato a parlare croato.»
Corinna sentì il cuore pieno di calore e gioia. «Allora dovrai insegnarmelo tu.»
«Da domani, appena atterrati a Milano, parleremo solo croato.»
Poggiò la fronte sul petto di Ante. «Vorrei che anche tu conoscessi mia madre.»
Lui le accarezzò la schiena. «Credevo che tu e tua madre non andaste molto d'accordo.»
Corinna sollevò la testa per guardarlo. «Perché pensi questo?»
«Perché non parli mai di lei. E io non ti ho mai chiesto nulla perché pensavo che non ti facesse piacere parlare di lei.»
La morsa dell'ansia le afferrò lo stomaco. Dirglielo in quel momento, o mai più. In quel momento o lui lo avrebbe scoperto da solo.
«Ante... devo dirti una cosa.»
«Ante!»
Il ragazzo si voltò verso la porta di ingresso dove c'era sua madre che li stava chiamando. La donna disse qualcosa e rientrò.
«È pronto da mangiare. Cosa devi dirmi?» Si incamminò verso la casa.
«Mia madre... ecco, non è come credi, noi andiamo d'accordo.»
«Ne sono contento. Allora appena rientriamo mi farebbe piacere conoscerla.»
Le diede un bacio prima di varcare la soglia della porta.
Lo avrebbe fatto, avrebbe portato Ante dalla madre in clinica. Lui l'amava, glielo aveva detto. Non sarebbe scappato, non era come tutti gli altri.
Ante era quello giusto.
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