#proprietario terriero
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Un Orizzonte Distante di AnneMarie Brear: Una storia di resilienza e speranza nell’Irlanda del 1851. Recensione di Alessandria today
AnneMarie Brear ci guida in un viaggio di forza e determinazione con la serie Distante
AnneMarie Brear ci guida in un viaggio di forza e determinazione con la serie Distante Un Orizzonte Distante, il primo volume della serie Distante di AnneMarie Brear, ci porta nell’Irlanda del 1851, un periodo drammatico segnato dalla devastante carestia di patate. Protagonista della storia è Ellen Kittrick, una donna che ha conosciuto la gioia della famiglia, ma che ora lotta quotidianamente…
#1851#Alessandria today#ambientazione storica#Amore#AnneMarie Brear#avventura#Cambiamento#carestia di patate#Coraggio#decisione cruciale#Dramma storico#Ellen Kittrick#Emigrazione#Famiglia#Google News#immigrazione#Irlanda#italianewsmedia.com#Lotta per la Sopravvivenza#Narrativa di crescita#Narrativa storica#Nuovo inizio#personaggi femminili forti#Pier Carlo Lava#Povertà#proprietario terriero#racconto epico#Rafe Hamilton#resilienza#romanzi ambientati
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Siam tre piccoli fratellin...
Quattro sbandati ammazzano un tizio sotto gli occhi della moglie e dei tre pargoli. I quali imboccano tre diversi sentieri. Uno diventa un assassino il cui unico obiettivo è seppellire chi gli ammazzò il padre. Un altro diventa una specie di proprietario terriero. Il terzo, infine, sceglie la legge e diventa commissario federale. Alla fine trovano il capo degli sbandati. Ed è resa dei conti. I tre spietati è uno spaghetti western costruito, come tanti altri, sul motivo della vendetta. I rumori degli spari e dei cazzotti fanno proprio schifo. E la vicenda è quanto di più abusato possa esistere. Ma non vi sono grandi esagerazioni. Giusto un po' di enfasi nella recitazione. Per il resto, è un prodotto dignitoso che si lascia vedere, pur non essendo un capolavoro. Quando si sa, tutto diventa più semplice.
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L' isola degli zombies ( Victor Halperin, 1932)
Il film è ambientato ad Haiti.
Madeleine e Neil, una coppia di innamorati prossima al matrimonio, viene ospitata dal ricco proprietario terriero Beaumont, in realtà innamorato della ragazza.
Beaumont ingaggerà Legendre, uno stregone che grazie alle sue pratiche voodoo renderà Madeleine uno zombie impedendo quindi il matrimonio con Neil.
L'isola degli zombies è considerato il primo film sui morti viventi, anche se abbastanza atipici e ben lontani da quelli romeriani. In questa pellicola difatti gli zombie appaiono come umani privati della propria volontà, come fossero sotto ipnosi, con lo sguardo spento e perso nel vuoto. Uomini senza anima resi schiavi da Legendre ( interpretato da Bela Lugosi), un potente stregone che li rende schiavi facendoli lavorare senza sosta nella propria raffineria di zucchero.
Una pellicola pregiata, che non posso fare a meno di considerare un vero gioiello della storia dell'horror e che ricorda un po' per atmosfere e storia "Il gabinetto del dottor Caligari". Inutile dire che la presenza di Bela Lugosi dona maggior charme alla pellicola, con primi piani di forte impatto dove risalta il suo solito sguardo mefistofelico già noto in Dracula. Perfetta nel ruolo di Madeleine, la ragazza trasformata in zombie, Madge Bellamy, attrice nota nel cinema muto, dotata di una gestualità e una mimica facciale davvero straordinaria.
Film che consiglio di recuperare, soprattutto se come me amate gli horror datati 😊
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LA PRIMA FORMA DI ITALIANO SCRITTA:
IL PLACITO CAPUANO
Il Placito Capuano, risalente al 960 d.C. viene comunemente considerato l’atto di nascita dell’ italiano volgare. Fa parte di un gruppo di verbali processuali registrati tra il 960 e il 963 riguardanti delle controversie legate al possesso di alcune terre, tra l’abbazia di benedettina di Montecassino e il proprietario terriero Rodelgrimo d’Aquino. Ciò che rende particolare questo documento è l’intenzionalità con cui viene usato il volgare. La testimonianza a favore dei benedettini infatti non è registrata in latino volgarizzato o contenente errori rispetto alla norma, ma in una lingua nuova ed autonoma, che per la prima volta possiede la necessaria dignità per apparire in un documento.
Ecco come si presenta la parte scritta in volgare all’interno del testo in latino:
« Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti. »
(Capua, marzo 960)
« So che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, trnt’anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimoniale di San Benedetto »
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La dimora perduta da tempo del re Pompeo, schiavo africano che ottenne la libertà, trovata nella Nuova Inghilterra coloniale Scoperta la dimora perduta di Re Pompeo nella Nuova Inghilterra coloniale Gli archeologi potrebbero aver individuato le fondamenta della casa di “Re” Pompeo, uno schiavo africano del XVIII secolo che diventò proprietario terriero nel New England coloniale. Un raro spaccato storico La possibile scoperta potrebbe fornire nuovi dettagli sul Negro Election Day, una festa in cui uomini neri schiavi e liberi eleggevano un leader rispettato all’interno della comunità. Tradizioni africane conservate Nelle colonie del Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New Hampshire, gli schiavi africani mantenevano l’usanza di eleggere un “re” o “governatore”, potenzialmente come eredità delle proprie tradizioni reali africane.
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Mai sottovalutare…
Una donna con un abito di cotone da quattro soldi e suo marito vestito con un abito modesto scesero dal treno a Boston e si diressero timidamente (senza appuntamento) verso l'ufficio della segretaria del presidente dell'Università di Harvard. La segretaria a un certo punto intuì che quei contadini delle foreste non avevano niente da fare ad Harvard.
- Vorremmo vedere il presidente, disse piano l'uomo.
- È occupato, rispose la segretaria.
- Aspetteremo, rispose la donna.
Per ore la segretaria li ignorò, sperando che finalmente la coppia si scoraggiasse e se ne andasse, ma non lo fecero e la segretaria vide aumentare la sua frustrazione e alla fine decise di interrompere il presidente, sebbene fosse un compito che evitava sempre.
- Forse se parli con loro qualche minuto se ne andranno, disse la segretaria al rettore dell'Università. Il rettore fece una faccia dispiaciuta ma accettò, una persona della sua importanza ovviamente non aveva il tempo di trattare con persone in abiti e completi scadenti, con un cipiglio duro ma dignitoso, si avvicinò alla coppia con passo arrogante.
La donna gli disse:
- Abbiamo avuto un figlio che ha frequentato Harvard solo per un anno, amava Harvard ed era felice qui, ma un anno fa è morto in un incidente. Mio marito ed io vogliamo costruire qualcosa da qualche parte nel campus che sia in memoria di nostro figlio.
Il presidente non era interessato e disse:
- Signora, non possiamo mettere una statua per ogni persona che frequenta Harvard e muore, se lo facessimo, questo posto sembrerebbe un cimitero.
- Oh no, spiegò velocemente la donna, non vogliamo erigere una statua, abbiamo pensato di donare un edificio ad Harvard.
Il presidente socchiuse gli occhi, guardò il vestito e l'abito economico della coppia, e poi esclamò:
- Un edificio! Hai idea di quanto costa un edificio? Abbiamo speso più di 7,5 milioni di dollari per gli edifici qui ad Harvard!
Per un attimo la donna rimase in silenzio e il presidente fu felice perché forse adesso poteva liberarsene.
La donna si rivolse al marito e disse sottovoce:
- Costa così poco aprire un'Università Perché non ne apriamo una nostra? Poi il marito ha accettato e il volto del presidente si è oscurato per la confusione e lo smarrimento.
Il Sig. Leland Stanford e sua moglie se ne andarono, diretti a Palo Alto in California, dove fondarono l'università che porta il loro nome, la Stanford University, in memoria di un figlio del quale Harvard non si interessava.
La Leland Stanford Junior University fu inaugurata nel 1891 a Palo Alto. "Junior" perché era in onore del figlio defunto del ricco proprietario terriero. Quello era il suo "memoriale" e oggi l'Università di Stanford è la numero uno al mondo, sopra Harvard.
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Guglielmo Marconi, inventore della radio
Lo scienziato che diede una svolta fondamentale alla storia della comunicazione… Guglielmo Marconi nacque a Bologna il 25 aprile 1874, figlio di Giuseppe Marconi, piccolo proprietario terriero originario di Pontecchio, e Annie Jameson, nipote del fondatore della distilleria irlandese Jameson. Continue reading Guglielmo Marconi, inventore della radio
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Estela Carlotto
Estela Carlotto è la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, organizzazione nata per ricercare le persone fatte sparire negli anni bui della dittatura.
Considerata il simbolo dell’attivismo pacifista contro le dittature sudamericane, è stata candidata più volte al Nobel per la Pace e ha ottenuto il Premio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e il Premio Unesco per la pace di Félix Houphouët-Boigny.
Enriqueta Estela Barnes è nata il 22 ottobre 1930 a Buenos Aires, da una famiglia di origini inglesi. Insegnante e poi direttrice di scuole elementari, aveva sposato Guido Carlotto, piccolo industriale chimico di origini italiane da cui sono nati Laura, Claudia, Guido e Remo.
Negli anni della Junta, la sanguinaria dittatura militare in carica dal 1976 al 1983 che ha violato sistematicamente i diritti politici e umani attraverso il terrore e le sparizioni forzate di oltre trentamila desaparecidos invisi al governo, prima è stato sequestrato suo marito, nel giugno 1977, poi rilasciato dopo il pagamento di un riscatto. A novembre dello stesso anno è stata presa sua figlia Laura Estela, studentessa di storia all’Università di La Plata, incinta di tre mesi, insieme al suo compagno, Walmir Montoya che hanno ucciso davanti ai suoi occhi.
Nel giugno 1978 ha partorito, ammanettata, nell’ospedale militare di Buenos Aires, un bambino che avrebbe voluto chiamare Guido che le è stato lasciato accanto soltanto per cinque ore. Dopo due mesi, il 25 agosto, il corpo di Laura Estela Carlotto è stato trovato senza vita, alla periferia di La Plata. Quando la salma è stata restituita alla famiglia, erano evidenti buchi di proiettile all’altezza dello stomaco e aveva il volto tumefatto dai tanti colpi ricevuti.
Estela Barnes de Carlotto, da quel momento, ha dedicato tutte le sue energie alla ricerca di quel bambino di cui non si sapeva più niente.
Si è unita al gruppo Abuelas Argentinas con Nietitos Desaparecidos che è poi diventato la Asociación Abuelas de Plaza de Mayo, di cui nel 1989 è diventata presidente.
La sua ricerca forsennata della verità l’ha portata ad azioni legali contro agenti di polizia, ufficiali militari e medici coinvolti nei tanti casi di “nipoti scomparsi”.
Ha partecipato a innumerevoli convegni e assise internazionali. Ha contribuito alla redazione di cinque articoli della “Convenzione internazionale dei diritti dei fanciulli” ed è stata presidente del Comitato argentino di sorveglianza. Ha partecipato anche alla redazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
La sua azione “politica” in Argentina, caratterizzata da moderazione nei termini, innovazione nei metodi e fermezza nei principi, le è valsa l’apprezzamento da parte di diversi governi e istituzioni democratiche.
In Italia è stata una delle parti civili nel processo contro i militari argentini condannati a Roma il 6 dicembre del 2000.
Il 27 settembre 2002 ha subito un attentato alla sua vita.
Dopo una ricerca durata trentasei anni, il 5 agosto 2014, suo nipote è stato identificato.
Guido Montoya Carlotto è cresciuto come Ignacio Hurban, figlio unico di una coppia di contadini che lavoravano nella fattoria di un ricco proprietario terriero vicino al governo militare che glielo aveva affidato dicendo loro che era di una donna che non poteva tenerlo.
Diventato musicista e insegnante di musica, nel giorno del suo compleanno, ha saputo che era stato adottato dopo che la dittatura aveva ucciso i suoi veri genitori.
Grazie alla banca dati creata dalle nonne che avevano perso i nipoti durante la dittatura, ha fatto il test del DNA e ha scoperto di discendere da quella donna che aveva visto tante volte in televisione a lanciare appelli alla ricerca della verità su quelle atroci sparizioni.
L’attività di ricerca di Estela Carlotto, nonostante l’età avanzata, continua al fianco delle altre donne che sono ancora alla ricerca dei nipoti scomparsi. Le nonne di Plaza de Mayo sono riuscite a rintracciare solo centoventi dei cinquecento bambini e bambine nati durante la prigionia di donne dissidenti che, nella maggior parte dei casi, sono stati cresciuti da altre famiglie.
Nel 2011 è stato girato un film sulla sua lotta, Verdades verdaderas, la vida de Estela.
Per il suo impegno a favore del rispetto dei diritti umani e per l’attività svolta per restituire alle famiglie di origine i bambini sequestrati e fatti sparire dalla dittatura militare, ha ricevuto diverse Lauree honoris causa, dall’Università di Boston, di Buenos Aires, Salta, Entre Rios, La Plata e l’Università autonoma di Barcellona.
Nel 2024 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa in Lingue e letterature per la didattica e la traduzione dall’Università degli Studi di Roma Tre.
In Italia è stata insignita dall’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi e ha ricevuto il “Premio per la Pace” del Comune di Roma.
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Il rapporto tra Verga e la Sicilia
Giovanni Verga è uno dei più importanti scrittori italiani del XIX secolo. Le sue opere, in particolare i romanzi I Malavoglia e Mastro don Gesualdo, sono considerate tra i capolavori della letteratura verista. Il rapporto tra Verga e la Sicilia è stato profondo e complesso. Nato a Catania nel 1840, lo scrittore ha sempre vissuto a stretto contatto con la sua terra d'origine. La Sicilia ha segnato la sua formazione artistica e umana, ispirandogli le sue opere più celebri. Come vedeva Verga la Sicilia? La Sicilia che Verga rappresenta nelle sue opere è una terra di contrasti. È una terra ricca di storia e cultura, ma anche di povertà e arretratezza. È una terra dove la natura è ancora selvaggia e primordiale, ma anche dove la civiltà ha lasciato il segno. Nelle opere verghiane, la Sicilia è rappresentata attraverso i suoi abitanti, i suoi paesaggi, le sue tradizioni. I personaggi verghiani sono spesso semplici pescatori, contadini, artigiani. Sono persone che vivono la vita quotidiana con semplicità e dignità, ma che sono anche costrette a lottare per sopravvivere in un mondo difficile e ostile. La Sicilia di Verga è una Sicilia reale, che lo scrittore ha conosciuto e vissuto in prima persona. È una Sicilia che non è mai idealizzata, ma che è rappresentata con realismo e oggettività. Il rapporto tra autore e terra siciliana Il rapporto tra Verga e la Sicilia è stato anche un rapporto di critica. Verga non ha mai nascosto il suo pessimismo nei confronti della situazione sociale e politica della Sicilia. Nelle sue opere, lo scrittore ha denunciato le ingiustizie e le discriminazioni che affliggevano la sua terra. I Malavoglia, in particolare, è un romanzo che rappresenta in modo emblematico il rapporto tra Verga e la Sicilia. Il romanzo racconta la storia di una famiglia di pescatori che viene rovinata dalla lotta per la sopravvivenza. La vicenda dei Malavoglia è una metafora della condizione di arretratezza e povertà della Sicilia dell'Ottocento. Mastro don Gesualdo è un altro romanzo che esprime il pessimismo di Verga nei confronti della Sicilia. Il romanzo racconta la storia di un uomo che, partendo dal nulla, riesce a diventare un ricco proprietario terriero. Tuttavia, il successo di Mastro don Gesualdo non gli porta la felicità. L'uomo rimane sempre insoddisfatto e tormentato dai sensi di colpa. Il rapporto tra Verga e la Sicilia è un rapporto complesso e sfaccettato. È un rapporto che ha contribuito a formare la personalità e l'opera di uno dei più grandi scrittori italiani. Alcuni aspetti del rapporto tra Verga e la Sicilia Il rapporto tra Verga e la Sicilia può essere analizzato da diversi punti di vista. Da un punto di vista geografico, la Sicilia è la terra d'origine di Verga. Lo scrittore è nato a Catania e ha vissuto gran parte della sua vita in Sicilia. La conoscenza diretta della sua terra ha permesso a Verga di rappresentare la terra sicula in modo realistico e autentico. Da un punto di vista storico, la Sicilia dell'Ottocento era una terra povera e arretratezza. La situazione sociale e politica era difficile e le ingiustizie erano all'ordine del giorno. Il pessimismo di Verga nei confronti della situazione siciliana è evidente nelle sue opere. Da un punto di vista culturale, la Sicilia è una terra ricca di storia e cultura. La tradizione orale, le leggende e i miti hanno influenzato profondamente la cultura siciliana. Verga ha fatto uso di questi elementi nelle sue opere, rendendole più affascinanti e coinvolgenti. Da un punto di vista letterario, Verga è uno dei principali esponenti del verismo. Il verismo è una corrente letteraria che si basa sulla rappresentazione realistica della realtà. La Sicilia di Verga è una Sicilia reale, che non è mai idealizzata. Foto di Sammy-Sander da Pixabay Read the full article
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EDICOLE VOTIVE DEDICATE ALLA MADONNA DEL CARMINE
All'interno del Comune di Carrara (MS) si trovano molte Maestà, alcune delle quali, sono dedicate alla Madonna del Carmelo. Una di queste è posta sopra l'architrave di un portone di un'abitazione privata dove è inserita una nicchia muraria con tetto a capanna corniciata e con mensola in marmo, al cui interno vi è una lastra rettangolare in marmo apuano, raffigurante, in rilievo, la Madonna del Carmelo, San Giovanni Battista e Sant'Antonio Abate. Sotto la scena è riportata una iscrizione: "CAP(ITANO) GIO(VANNI) BURGHINO PER SUA / DIVOCIONE A(NNO) D(OMINI) MDCLXIII" (il capitano è il proprietario terriero).
Informazioni tratte dal sito del CAI di Sarzana www.lemaesta.it
Per saperne di più: https://edicoladelcarmine.suasa.it/Carrara(cinque).html
Per aggiungere informazioni: [email protected]
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Intervista con Enrico De Vincenzi (Kid)D: Qual è la sua origine sociale, come ceto, che famiglia era la sua?R: Mio padre era proprietario terriero, aveva
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Da giovane ragazza a ricca ereditiera
Film anni 80 visto sulle TV private dell’epoca. Ambientato negli anni 30 circa.Giovanissima ragazza sposa anziano e ricco proprietario terriero,con tanto di villa e servitù. Lui rifiuta rapporti sessuali per igiene e pulizia.Una scena in cui lei è in piedi nuda e lui in vasca da bagno si masturbava e poi lei scappa via sconvolta.In un altra scena per avere figli lui si masturbava e poi cercava di…
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Quesito Buonasera Padre fra Angelo Bellon, oggi ho letto un libro preso in biblioteca e si intitola "Gesù e Giuda" scritto da Amos Oz. In questo testo l’autore non capisce come mai Giuda agiato proprietario terriero abbia tradito Gesù per 33 denari (una miseria) e perché abbia dato un bacio per fare capire chi era Gesù, se Lui era un personaggio molto noto ai sacerdoti e alle folle. Poi infine mi ha colpito la reazione violenta di Gesù nel tempio che scaccia i mercanti. Quando lui predica l’amore per i nemici e di porgere l’altra guancia. Sono domande a cui io farei fatica a dare risposta e volevo sentire un tuo parere. Saluti Andrea Risposta del sacerdote Caro Andrea, 1. Amos Oz è un romanziere e pertanto fa di Giuda un agiato proprietario terriero, cosa che non consta dai Vangeli. Leggendo alcune biografie di Gesù scritte da insegni biblisti non ho mai rinvenuto la notizia che Giuda fosse ricco. Ma anche se lo fosse stato, questo non è in contrasto con la cupidigia. 2. Una cosa è certa: Giuda inizialmente fu affascinato dalla figura di Gesù perché diversamente non avrebbe accettato di diventare apostolo. Ad un certo momento però lo troviamo privo di fede, come appare nel capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, tanto che Gesù esce nei suoi confronti con questa espressione: “Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!. Parlava di Gesù, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo ed era uno dei Dodici” (Gv 6,70-71). In quell'occasione, dopo aver sentito che Gesù aveva detto: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” ( Gv 6,51) “molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66). Il Vangelo poi riporta queste parole di Gesù: “Ma tra voi vi sono alcuni che non credono” (6,64). Tra questi vi era Giuda. Dice San Giovanni: “Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito” (Gv 6,64). 3. Quando molti si allontanarono, alle parole di Gesù: “Volete andarvene anche voi?" (Gv 6, 67) San Pietro disse: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio" (Gv 6,68-69). Giuda, pur non credendo, rimase dando a credere di associarsi a Pietro. Di fatto però non era più all’unisono con il suo Maestro. 4. Come mai a continuato a rimanere tra gli apostoli? Scrive il domenicano Marie-Joseph Lagrange: “Venuto a lui per motivi di interesse e di ambizione dovette sentirsi allora contrariato nella sua cupidigia e nel suo orgoglio. Una circostanza sconosciuta aveva cambiato in avversione la simpatia per il maestro. Perché non andarsene anche lui con gli altri? Gesù, pur mostrando di non voler essere creduto vittima di un errore, soffrì la presenza di chi lo doveva tradire” (L'Evangelo di Gesù Cristo, p. 221). 5. Un altro episodio che fa comprendere gli interessi di Giuda: quando Gesù si trova nella casa di Lazzaro, appena risuscitato dai morti, e Maria sua sorella gli unge i piedi con un vasetto di profumo assai prezioso, ne fu indispettito e disse che sarebbe stato meglio vendere quel profumo per darne il ricavato ai poveri. In altre parole: nel frattempo il ricavato sarebbe finito nelle sue mani perché il Signore gli aveva affidato la cassa. “Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa prendeva quello che gli mettevano dentro”(Gv 12,6). Se Giovanni dice che era ladro, significa che l'aveva scoperto con le mani nel sacco. Giuda continuava stare accanto a Gesù per interesse. Scrive padre Lagrange: “Avaro e preoccupato per l'avvenire, si metteva a parte del denaro” (Ib., p. 418). 6. Giuda infatti aveva il sentore che bolliva qualcosa attorno a Gesù. E questo divenne ancora più chiaro quando il Signore difese il comportamento di
Maria dicendo: “Lasciala fare perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Gv 12,7). Commenta padre Lagrange: “Gesù non aveva mai annunziato con tanta forza la sua morte imminente. Egli si vedeva già disteso, imbalsamato per mano delle pie donne… Dal canto suo Giuda è convinto di non poter più a contare su di lui: dal momento che era perduto, era meglio cercare di trarne profitto. Entrò pertanto nel suo cuore l'idea del tradimento eccitata dal raffronto che aveva ricevuto. (…). Aveva cessato di avere fiducia nel suo capo da lui forse mai amato, dapprima perseguendo delle chimere, ed ora scoraggiato" (Ib., p. 418). Ecco il motivo per cui secondo San Matteo è Giuda stesso che si presenta ai sacerdoti per ricevere del denaro al posto del tradimento: “Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?” (Mt 26,14-15). 7. A proposito del bacio: è vero che Gesù era conosciuto dalle folle, ma era notte. Inoltre è probabile che quelli portati da Giuda non conoscessero precisamente Gesù perché “Giuda andò dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dei capi dei sacerdoti e dei farisei, con lanterne fiaccole e armi” (Gv 18,3). Per fare in fretta nell'arresto, Giuda aveva dato l'avvertimento: “Colui che bacerò è lui” (Mt 26,48). 8. Inoltre in testa ai soldati vi era il comandante, un tribuno romano (cfr. Gv 18,12). Scrive padre Lagrange: “L'arresto era stato preparato dai capi dei sacerdoti: essi avevano fornito gli uomini e li avevano armati di spade e bastoni. Per maggior sicurezza però avevano domandato al tribuno romano incaricato di montare la guardia nel tempio una squadra della coorte di stanza a Gerusalemme. (…). Il tribuno venne in persona portando alcuni soldati che secondo l'ordine avevano armi e fiaccole. (…) San Giovanni, che è il solo ricordare la presenza del tribuno, lo mette naturalmente al posto d’onore” (Ib., pp. 525-526). Con l'accorgimento del bacio, l'arresto di Gesù è stato immediato. 9. Chiedi poi perché Gesù usi tanta violenza nel cacciare i venditori dal tempio. Sì, è vero ha usato molta forza: “Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà” (Gv 2,14-17). Per noi è inimmaginabile il chiasso che si faceva in quel mercato perché gli orientali non sono come noi che al prezzo indicato senza batter ciglio diamo quanto è dovuto. Gli orientali mercanteggiano: il venditore alza il prezzo e il cliente lo abbassa. E così vanno avanti fino ad arrivare a un compromesso. Nel tempio allora era tutto un gridare e un reclamare da parte di una moltitudine, tra branchi di buoi e di pecore e di venditori di colombe. Lo storico Giuseppe Flavio dice che i sommi sacerdoti avevano ottenuto il monopolio delle vendite. E vendevano a peso d’oro i colombi che erano il sacrificio dei poveri. Sicché la preghiera e l'unione con Dio era del tutto impossibile. Il tempio era stato costruito proprio per questo. Inoltre come offrire sacrifici a Dio con cuore lieto quando non solo si era mercanteggiato, ma si era subìta la violenza e il ricatto dei venditori? Scrive padre Lagrange: “Gesù non tollerò questa profanazione. Senz'altro mandato che quello di Figlio di Dio, non volle che la casa del Padre fosse trasformata in un mercato e armatosi la mano di un flagello di corde rapidamente raggruppate scacciò di là tutta quella gentaglia pronta alla fuga, raggiunse quindi l'armento più lento che spinse davanti a sé e abbatt�� le tavole abbandonate dei cambiavalute con tutto l'assortimento della moneta spicciola” (Ib., p. 87). Stupisce che tutti quei venditori (una moltitud
ine) non siano stati capaci di opporre resistenza davanti al Signore e siano fuggiti. Si riesce a comprenderlo solo se si pensa che qui Gesù ha agito con la potenza della sua divinità, di fronte alla quale nessuno ha potuto opporsi. 10. Perché dunque Gesù agì con tanta forza? Perché lo divorava lo zelo della casa di Dio. Questo è il motivo compreso degli apostoli: “I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà” (Gv 2,17). Sì, per se stesso avrebbe accettato ogni oltraggio, ogni possibile sofferenza. Ma con tutta la sua forza non ha voluto tollerare che venisse profanata la casa del Padre. Ti ringrazio per tutti questi quesiti che ci riportano al momento più grave e più solenne della nostra storia: quello della passione redentrice di nostro Signore. Con l'augurio che tu ti immerga sempre più in questo mistero, ti benedico e ti ricordo nella preghiera. Padre Angelo
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I fratelli Karamazov - Analisi e considerazioni
I fratelli Karamazov è l’ultimo romanzo dell’autore russo Fëdor Dostoevskij, è stato pubblicato a puntate su Il messaggero russo dal gennaio 1879 al novembre 1880, lo scrittore morì meno di quattro mesi dopo la sua pubblicazione.
Trama
Il fulcro della trama è il parricidio del capofamiglia Karamazov. Nella prima parte del romanzo Dostoevskij descrive e racconta i personaggi principali. Ci sono vicende romantiche, litigi e questioni di soldi.
Poi arriva l’omicidio. In seguito ci saranno interrogatori, dubbi e un grande e approfondito processo.
Personaggi
Fedor Pavlovic Karamazov. Capofamiglia, sposato due volte, benestante proprietario terriero e usuraio, ha tre servitori. Ha una personalità brutale, violenta, cattiva. Gli piacciono i piaceri della carne, ignora i figli e pensa solo a sé stesso. Ubriacone, tirchio, probabilmente stupratore.
Dimitrij o Mitjia. Primogenito, figlio della prima moglie di Fedor Pavlovic, poi cresciuto dal suo servo, Grigorij. Ex comandante dell’esercito, alto, robusto e forte. È buono e generoso ma anche impulsivo e manesco. “Cede alla vita”, non sa gestire i soldi o le relazioni e vive a 3000 all’ora. È il personaggio a cui succedono più cose e attorno a cui si svolge la trama.
Ivan. Secondogenito, primo figlio della seconda moglie di Fedor Pavlovic. Introverso, chiuso, intelligentissimo e non credente. Ha anche tratti asociali e cinici. Nella prima parte del romanzo filosofeggia sull’ateismo e dio, nella seconda parte entra in crisi.
Aleksej o Alesa. Terzogenito e, per Dostoevskij, protagonista del romanzo. È il puro, il buono, l’anima bella. È estremamente credente, casto, sincero e onesto.
Katerina Ivanovna. Nobile che, in guai finanziari, chiede un prestito a Dimitrji per poi diventare sua promessa sposa. Poi viene tradita dallo stesso e gli presta 3000 rubli, che non rivedrà mai più. Si innamora di Ivan ma vive con profondo struggimento il rapporto con Dimitrji.
Agrafena Aleksandrovna Svetlova o Grušenka. Giovane ragazza che a 17 anni è stata abbandonata da un ufficiale polacco e successivamente passò sotto la protezione di un avaro tiranno. È ammaliante, provocante e con una personalità disturbata. Irretisce sia Dimitrij che Fedor Pavlovic.
Smerdjiakov. Figlio illegittimo di Fedor Pavlovic che viene cresciuto dal servo Grigorij. Asociale, chiuso, strano, intelligentissimo. Manipolatore, viscido, infido, personalità disturbata. Soffre di epilessia.
Koljia. Ragazzo che conosciamo nella seconda parte del libro. Sveglio, attento e intelligente, farà conoscenza e amicizia con Aleksej.
Iljusa. Bambino prima solo, poi malato. Ha un carattere orgogliosissimo e sarà una figura importante nel romanzo. Conosce Aleksej, che gli dà una mano più volte. Finisce il romanzo.
Spunti e riflessioni
Alcuni spunti e riflessioni in rigoroso disordine.
Approfondimento sul funzionamento della giustizia imponente e prezioso. La parte dell’indagine prima e del processo poi, tratta con grande attenzione la questione Giustizia. Si parla di diritti degli indagati, di condanne oltre ogni ragionevole dubbio, di giustizialismo, di fallacia della memoria, della necessità di una dimostrazione. “Meglio rilasciare 10 colpevoli che condannare un solo innocente!”. È una questione che mi ha affascinato in quanto il tema delle prigioni, del giustizialismo e della pena giusta lo sento molto vicino.
Presenza di personaggi femminili complessi, sfaccettati e fondamentali: Katerina Ivanovna e Grusen’ka. Ho letto in alcune recensioni che in questo libro, “come in tutti i romanzi dell’800”, non ci sono figure femminili di spicco. Sono fortemente contrario a questa opinione. I protagonisti sono i fratelli Karamazov, che sono maschi, ma l’intera storia si regge su due grandi protagoniste, Katja e Grusen’ka. Sono personaggi niente affatto monodimensionali o trattati con superficialità. Soprattutto Grusen’ka, direi, è un personaggio sfaccettato, sofisticato, complesso, straziato da ipocrisie e moti dell’animo umano.
Non c’è un cattivo assoluto. Ogni cattivo, da Fedor Pavlovic a Smerdjiakov a Liza a Rakitin non è un cattivo totale. Ha debolezze, istinti, lati positivi. È un tema che tratterò anche più avanti perché gira attorno al filo conduttore della realisticità dei personaggi. I “cattivi” in questo libro, come in altri di Dostoevskij, non sono macchiette, non sono cattivi senza motivi, giusto per fare da controparte. Sono esseri umani e sono anche loro sofisticati. In questo modo noi li percepiamo in modo molto più realistico: sono cattivi veri.
Troppi rubli, ma è un problema mio. Noto con dispiacere che non c’è povertà totale tipo come quella di Delitto e castigo. Ci sono i soldi di mezzo ma si parla di rubli, anzi migliaia di rubli, e non di copeche. Secondo me Dostoevskij dà il meglio quando racconta anche il disagio totale economico.
I tre fratelli sono tipi di personalità? All’inizio del libro Dostoevskij descrive i tre fratelli in modo preciso, frontale. Sembra voler dire: ogni fratello ha una personalità precisa, “macchiettistica”, e li uso per dimostrare qualcosa di preciso con ognuno di loro. Ho anche letto recensioni di questo parere. Secondo me non è così. O meglio, Dostoevskij all’inizio li vende così, In realtà sono sofisticati e sfaccettati, e più va avanti il romanzo e più capiamo la loro complessità. Anzi, come dice Dostoevskij, sono “vasti”.
Aleksej, protagonista banale. Aleksej è il personaggio più piatto. Non ha praticamente mai cedimenti sulla fede e sulle sue convinzioni. Non ha sostanziali punti deboli. Le parti che lo rendono più vivo, infatti, sono quei pochi dialoghi in cui è in difficoltà e balbetta o arrosisce o si arrabbia.
Ivan non è affatto il cattivo, secondo me. Si dice che Ivan sia il cattivo per aver suggerito il delitto; secondo me è un modo di Dostoevskij per smuovere un ragionamento astratto, filosofico, non lo vuole davvero dipingere come il vero mandante del delitto, anzi. I cattivi principali sono il padre e Smerdjiakov, punto. Ivan è un tipo, una persona normale con idee precise e forti ma è sbagliato definirlo un cattivo. E non è neanche il protagonista, che è Dmitrij. Lui viene preso dentro in quanto portatore dell’idea che se dio non esiste allora tutto è lecito e per aver “suggerito” il delitto.
Dmitrij è un personaggio splendido. Uno dei migliori mai letti. Vastissimo, contraddittorio, complesso. È buono, generoso, passionale ma anche istintivo, violento, geloso, sempliciotto. Ogni tanto fa cose senza neanche sapere bene perché, ha dei principi tutti suoi e un po’ irrazionali se visti da fuori, è continuamente nel dubbio e avvinto dalla contraddizione dei suoi desideri e pulsioni.
L’unica parte del libro difficile e lenta. Una nota dolente in termini di scorrevolezza della trama è la seconda digressione, quella riguardo la biografia dello Starets Zosima. Mi riferisco al libro sesto intitolato “Il monaco russo” in cui per circa 50 pagine ci viene raccontata la vita dello staretz, che però è veramente poco interessante. Si salva solo un capitolo perché Dostoevskij inserisce improvvisamente uno sconosciuto che ha avuto a che fare con lo staretz: ecco, questo singolo capitolo è ottimo. Il resto è davvero lento e noioso.
La trama è una soap opera. Gli intrecci d’amore sono veramente marcati, esagerati e un po’ macchiettistici. Mi sembra di capire, però, che i “mattoni russi” spesso sono così. E sono belli per questo. È tutto molto marcato, carnevalesco, teatrale, esagerato. C’è gente che si strugge, grida, piange a dirotto, si butta ai piedi di altri, ha crisi e febbri nervose.
Romanzo o trattato filosofico? Parere mio: non c’è così tanta filosofia seria, qua dentro. O meglio, Dostoevskij ci ficca dentro alcune questioni che gli stanno a cuore e, per carità, vengono fuori con chiarezza. Ma l’impianto filosofico non è né preponderante né particolarmente originale. Un altro modo per dirlo: ci sono libri di filosofia molto più adeguati per approfondire alcuni temi. Ci sono pochissimi romanzi che, invece, sono così belli, profondi e trascinanti.
Alcuni temi filosofici trattati. Dio esiste o no? (Mi vorreste venire a dire che questo è un tema particolarmente profondo o originale o inaspettato o pazzeschissimo?) Se dio non esiste allora tutto è permesso. Dio è necessario per mettere limiti alla disgustosa natura umana. Come fa a esistere dio quando i bambini soffrono?
Responsabilità dell’inconscio. Il singolo ha responsabilità rispetto a idee teoriche espresse e poi eseguite da altri? Il singolo che, volontariamente o involontariamente, “ispira” crimini, va punito?
Conservatorismo versus il nuovo socialismo.
Non sto dicendo che non ci sia sostanza filosofica, per carità. Sto dicendo che in primo luogo è un romanzo piacevole da leggere, e va tenuto in considerazione, sennò si allontanano i potenziali lettori.
I personaggi. L’aspetto che mi è piaciuto di questo romanzo è la caratterizzazione dei personaggi. Sono tutti personaggi vivi, li puoi vedere e riconoscere, sono credibili. Due note che ho preso durante la lettura. La descrizione della natura umana come “vasta”, Karamazoviana nel senso di sfaccettata, una scala di grigi immensa. “Proprio perché la nostra è una natura vasta, karamazoviana (a questo voglio arrivare), e può contenere ogni sorta di opposti e può contemplare in un sol colpo i due abissi, l’abisso che è sopra di noi, l’abisso degli ideali supremi, e l’abisso che è sotto di noi, l’abisso del peggiore e del più fetido degrado”. Ci sono dialoghi pazzeschi e sembra di essere a teatro, talmente i personaggi sono vivi. Li vedi proprio vivere davanti a te. Sono insicuri, sfaccettati, contraddittori. Non c’è niente di bianco/nero, com’è, in effetti, la vita.
È un libro difficile? È un libro serio? È un libro “per pensare”? Senso di timore e reverenza per sto libro? No, grazie, non ha davvero senso. Partire dal presupposto che leggere I fratelli Karamazov sia (o debba essere) un’esperienza super seriosa che ci porterà a un nuovo livello di consapevolezza sul mondo e sui fatti umani con potenti dosi intravenose di filosofia, semplicemente non ha senso. Bisogna partire dal fatto che è un romanzo, punto. È lungo, sicuro; ci sono molti personaggi, sicuro; ci sono alcune divagazioni, sicuro. Ma è un romanzo. Anzi! Ciò che tutti si dimenticano di dire è che è un romanzo veramente buffo. È carnevalesco, esagerato, teatrale. Ogni due per tre c’è qualcuno che piange, si dispera, ha febbre nervosa, si butta a terra; c’è gente che si sbaciucchia, che bacia i “piedini”, che strilla, che si commuove. È tutto “tanto”, esagerato. Quello che voglio dire è che si può vivere questo libro anche con meno peso e angoscia, si può viverlo con serenità e con l’obiettivo di goderselo. Sennò non è un piacere ma un peso, un dovere, e non ha senso.
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Una roccia spaziale è caduta in Svezia. Chi lo possiede sulla Terra? Roccia spaziale precipitata: la battaglia giudiziaria per la sua proprietà Una roccia di ferro spaziale è caduta in una pineta a nord di Stoccolma, scatenando una caccia durata settimane e una successiva battaglia legale sulla sua proprietà sulla Terra. La scoperta del meteorite e la disputa legale Anders Zetterqvist e Andreas Forsberg, due geologi, hanno trovato il meteorite e successivamente l’hanno consegnato al Museo di storia naturale svedese nel 2020. La battaglia legale sulla proprietà del meteorite ha visto il proprietario terriero Johan Benzelstierna von Engestrom rivendicare la roccia dopo la sua scoperta. Il valore scientifico e collezionistico del meteorite
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Milano: al Teatro alla Scala una nuova versione del balletto "Le fille mal gardée"
Milano: al Teatro alla Scala una nuova versione del balletto "Le fille mal gardée". Venerdì 14 e domenica 16 aprile 2023 il Teatro alla Scala accoglie i giovani talenti della sua Accademia, Scuola di Ballo e Orchestra, quest’ultima al suo debutto al Piermarini, per una nuova versione de La fille mal gardée, coreografia firmata da Frédéric Olivieri sulla partitura di Peter Ludwig Hertel con scene e costumi di Luisa Spinatelli, rielaborati da Angelo Sala e Maria Chiara Donato. Sul podio, David Coleman. Il balletto è stato realizzato grazie al contributo della Fondazione Milano per la Scala balletto e della signora Hél��ne de Prittwitz Zaleski. La fille mal gardée si annovera fra i balletti più antichi ad essere rimasti nel repertorio, essendo nato all’epoca della Rivoluzione francese. È Jean Bercher Dauberval a curare la prima coreografia del balletto, dal titolo Le ballet de la paille, ou il n’est qu’un pas du mal au bien, che va in scena al Grand Théâtre de Bordeaux nel 1789 su uno zibaldone di temi e canzoni popolari francesi. Il balletto conosce nel tempo numerose edizioni e molteplici modifiche nel titolo, nei nomi dei personaggi, nella coreografia e nella partitura musicale. Il Direttore della Scuola scaligera ha scelto la partitura di Hertel, composta nel 1864 per la versione coreografica di Paolo Taglioni per l’Hofoper di Berlino, rappresentata al Teatro alla Scala nel 1880. Nella locandina dell’epoca comparivano anche le allieve della Scuola di Ballo. Fra le numerose edizioni del balletto nel corso del Novecento (fra cui si ricorda in particolare quella fortunatissima di Frederick Ashton per il Royal Ballet nel 1960 su musiche di Ferdinand Hérold arrangiate da John Lanchbery con inserti rossiniani e donizettiani), si cita la versione che Heinz Spoerli ideò per l’Opéra di Parigi nel 1981, ripresa dal Teatro alla Scala nel 1987 in cui brillavano Carla Fracci, Gheorghe Jancu, Bruno Vescovo e Biagio Tambone, con scene e costumi di Luisa Spinatelli, gli stessi oggi rielaborati da Angelo Sala e Maria Chiara Donato per questa nuova edizione di Olivieri. Il balletto, che appartiene al genere comique e pantomimico, uno dei generi in voga alla fine del Settecento in cui prevale l’ambientazione contemporanea immersa in un contesto agreste e in una realtà contadina, mette alla prova gli allievi della Scuola di Ballo scaligera non solo sul piano tecnico, dal momento che la coreografia è pensata per esaltare le loro abilità classico-accademiche, ma anche sul piano interpretativo, poiché richiede notevoli doti ironiche e gestuali soprattutto per alcuni dei personaggi, come M.me Simone qui incarnata da un’allieva e non da un tradizionale danzatore en travesti. Due parole sulla trama: la vicenda, che ha luogo in un tranquillo villaggio di campagna, narra dell’idillio fra Lise e Colas, osteggiati dalla madre di lei, la vedova Simone, che preferirebbe per la figlia il giovane Alain, sempliciotto rampollo del ricco proprietario terriero Thomas. Simone decide di chiudere a chiave la figlia nella sua stanza per avere l’agio di organizzare rapidamente le nozze, non sapendo che lì la stessa Lise aveva precedentemente nascosto l’amato Colas. Al momento di stipulare l’atto, alla presenza del notaio, Simone apre la stanza e Lise e Colas vengono scoperti. Non potendo più opporsi all’unione fra i due ragazzi, il balletto si chiude con il festeggiamento per l’amore che trionfa. In scena una sessantina di allievi fra il 2° e l’8° corso. Fra i momenti più significativi del balletto, che presenta diversi numeri pantomimici come richiede la tradizione del genere settecentesco e che metteranno alla prova i giovani danzatori, si citano il Ballo dell’Albero di Maggio, scena in cui si festeggia il raccolto, con i ballerini che danzano fra una serie di nastri colorati legati a un palo decorato; la “danza degli zoccoli”, che M.me Simone compie con quattro contadine, così chiamata per le calzature che generano un ritmo simile a quello del tip-tap; la danza di Lise quando sogna la vita coniugale con Colas circondata da tanti figli e il Pas de deux finale per festeggiare il matrimonio. Per i giovani musicisti dell’Orchestra, reduci dal recente successo in Oman dove alla Royal Opera House di Muscat hanno eseguito Le nozze di Figaro sotto la direzione di Sesto Quatrini nello storico allestimento di Giorgio Strehler, si tratta del debutto nella sala del Piermarini. Un debutto tanto atteso quanto impegnativo. E, come ormai consuetudine in occasione degli spettacoli che hanno per protagonisti i complessi artistici dell’Accademia, vengono coinvolti anche studenti di altri corsi, come i sarti, che dopo essersi occupati della messa a misura dei costumi, saranno dietro le quinte impegnati nelle attività di sartoria di palcoscenico, i truccatori e parrucchieri che predisporranno il trucco e le acconciature degli artisti prima dell’entrata in scena e gli allievi del corso foto, video e new media, chiamati a documentare le diverse fasi dello spettacolo.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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