#privazioni e speranza
Explore tagged Tumblr posts
Text
“Fortunata” di Maura Mantellino: La resilienza di una vita raccontata tra memorie e scrittura. Recensione di Alessandria today
Un racconto autobiografico che attraversa la guerra, la fame e la dolcezza della scrittura.
Un racconto autobiografico che attraversa la guerra, la fame e la dolcezza della scrittura.Maura Mantellino, con il suo racconto “Fortunata”, ci trasporta nella Milano in tempo di guerra, raccontando la sua infanzia attraverso un ritratto vivido e commovente. La storia di una bambina chiamata Carla, ma che avrebbe potuto essere Fortunata, diventa il simbolo di una resilienza che trova nella…
#Alessandria today#Autobiografia#bambini e guerra#crescita durante la guerra#Fortunata#Google News#infanzia in guerra#italianewsmedia.com#letteratura italiana#Maura Mantellino#Memoria storica#Milano anni ‘40#Milano bombardamenti#Milano e storia.#narrativa al femminile#narrativa autobiografica#Narrativa breve#narrativa contemporanea#narrativa italiana#Narrativa storica#Natale e scrittura#Pier Carlo Lava#privazioni e speranza#quaderno e inchiostro#racconti emotivi#racconto autobiografico#resilienza femminile#Resilienza umana.#Ricordi d&039;infanzia#scrittura e memoria
0 notes
Text
Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia, i primi a gioirne o, “meglio”, i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i “pezzi grossi”, commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri, ma sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l’ultima delle guardie regie. Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato, costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare, abbandonando il campo o l’officina, una vita migliore, dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti, di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d’officina. Questa gente odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione. “Ecco le armi”, urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese, scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. Pochi minuti dopo, un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore, esclamò: : “Finiremo per arrestarli tutti! Li arresteremo tutti!” A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana. Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, guardie regie ed agenti gareggino nel bastonare gli operai arrestati, nel rallegrarsi delle loro torture. E’ un odio di lunga data. Gli agenti dello Stato addetti al mantenimento dell’ordine pubblico sentono attorno a sé il disprezzo che tutta la classe lavoratrice ha per i rinnegati, per quelli che sono passati nell’altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato. E al disprezzo del proletariato s’aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente tutta rinnegati questa puzza di questura. Perché? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari: al disprezzo e all’odio degli avversari s’aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni. Ed è naturale, è umano che nell’animo di questa gente mal pagata, che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini, che la mette quasi fuori dalla società, germogli l’odio, metta radici la crudeltà: odio contro quelli che prima erano i fratelli, i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza, crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse. Così, arrestare un operaio è una gioia, un trionfo, bastonarlo e malmenarlo, una festa, rinchiuderlo in carcere una rivincita. Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà, della sua incolumità, sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili. La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge, di difendere l’integrità dello Stato: è una piccola bassa soddisfazione personale, è la gioia di poter dire: “Io sono più forte”. Quale altra gioia possono essi provare? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione?
Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione. Moltissimi, dall’abito, potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria. E’ certo che erano umilmente, più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai, per raccoglierne i discorsi, per spiarli, ma anche perché non potrebbero fare diversamente. E guardavano con gli operai veri, quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione. Essi comprendevano, sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve. E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito il giornale della loro classe, il loro giornale, gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo, hanno riso. Ma non era un riso spontaneo, giocondo. Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia, dal disprezzo degli altri, dalla loro vita, dal destino a cui non potevano sottrarsi. Quel riso era la smorfia di Gwynplaine.
(A.Gramsci “L’Ordine Nuovo”, 30 agosto 1921)
13 notes
·
View notes
Text
Mattarella prosegue imperterrito contro muri già abbattuti, ultimo giapponese a guerra finita.
🔹COVID (non è finito, dice)
🔹GREEN CON PRIVAZIONI
Io capisco che sia il Presidente, ma certe cose NEGANO I FATTI, negano TUTTO ciò che è emerso e che sta emergendo in questo 2023.
Perché non viene rimosso dal Parlamento❓
Perché continua ad evitare il discorso vaccino #mRNA #SARSCoV2 quando è palese che abbia danneggiato decine di migliaia di italiani❓
I partiti di destra provino almeno a vedere se ci sono i numeri per rimuoverlo, ne discutano, ma, dai silenzi che odo, temo SIANO TUTTI (TUTTI) ALLINEATI SULLE POSIZIONI DEL PRESIDENTE.
Cos’ha, sa, quest’uomo (AL SECONDO MANDATO) per poter essere così fondamentale, imprescindibile, da potersi permettere di difendere LA SCIENZA DI SPERANZA E FAUCI, mentre dalle intercettazioni sta emergendo che LA SCIENZA era Montagnier in piazza, mentre nei ministeri si eseguivano ordini eterodiretti dall’estero, si negavano le reazioni avverse, si inventavano emergenze, si ricattavano scienziati e voci in dissenso. (Ci sono i verbali)❓
È questa la scienza che difende il Presidente, una scienza piegata alla politica, una scienza che nega se stessa dalle fondamenta❓
SE SI, non è la mia.
È il primo degli italiani, ma se nega l’evidenza, e tutti i partiti tacciono, significa solo che noi siamo carne da cannone e valiamo più da morti che da vivi, perché NON SIAMO GREEN, ma abbiamo il brutto vizio di RESPIRARE, DI ESISTERE.
#Buonasera
Francesco Mosca
57 notes
·
View notes
Text
Ci saranno momenti in cui vorresti solo sparire. Momenti in cui ti sentirai "grossa" dentro quel paio di jeans. Momenti in cui non sarai compresa per quello che stai facendo e ferirai le persone che ti amano e che vogliono solo la tua salute perché non saranno in grado di aiutarti. Ci saranno momenti in cui vorrai riprendere in mano la tua vita e ricomincerai a mangiare, io lo faccio per dare speranza alla mia famiglia che si sente impotente di fronte al mio problema e momenti in cui realizzerai che non puoi permetterti il cibo che hai assimilato e, sentendoti in colpa, comincerai a fare tanto sport per limitare i "danni". Momenti in cui sarai gratificata dai tuoi addominali in vista o dalle ossa sporgenti sul bacino e penserai che le tue privazioni servono a qualcosa, vorrai continuare così per paura di cambiare. Momenti in cui pur di farti mangiare, le persone che ti amano prenderanno peso solo per mangiare insieme a te nella speranza di aiutarti. Ci saranno giorni in cui ti sentirai guarita e giorni in cui realizzerai di aver preso troppo peso e ti sentirai sconfitta, entrerai in crisi perché non saprai come tornare indietro, così avrai una ricaduta e nessuno dice che sarà solo una, tornerà l'ansia per i giorni di festa, per tutto il cibo che dovrai affrontare, tornerà l'ansia per i compleanni in cui vorresti far vedere che sei felice davanti a quella torta mentre dentro vorresti solo che sparisse. Ci sarà un momento in cui realizzando di aver preso peso ti peserai e farai la foto al numero sulla bilancia per far vedere alla tua famiglia che sei guarita e invece sarà proprio il momento in cui tu starai peggio perché non vuoi veramente che la tua vita sia così e farai di tutto per riperdere quei chili e tornare in quel sotto peso che ti faceva sentire al sicuro. Tornerai alla situazione di partenza, o forse peggiore e ci metterai pochissimo perché ormai hai imparato tutte le tecniche ma poi capirai che è inutile rincorrere quel canone di bellezza perfetta che non esiste, realizzerai da sola che la vita è troppo breve per non essere vissuta o incontrerai una persona che ti farà amare la vita. Capirai, che da tre anni la tua vita era stata messa in pausa da quello che viene chiamato DCA ma che in realtà è un vero e proprio mostro che vive dentro il nostro corpo e che è arrivato il momento di cliccare play e iniziarti a godere ogni singolo istante della tua vita.
11 notes
·
View notes
Text
Sbirri
Antonio Gramsci
Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia, i primi a gioirne o, “meglio”, i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i “pezzi grossi”, commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri, ma sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l’ultima delle guardie regie.
Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato, costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare, abbandonando il campo o l’officina, una vita migliore, dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti, di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d’officina.
Questa gente odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione. “Ecco le armi”, urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese, scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. Pochi minuti dopo, un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore, esclamò: : “Finiremo per arrestarli tutti! Li arresteremo tutti!” A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana. Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, rinnegati, per quelli che sono passati nell’altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato. E al disprezzo del proletariato s’aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente questa puzza di questura. Perché? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari: al disprezzo e all’odio degli avversari s’aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni. Ed è naturale, è umano che nell’animo di questa gente mal pagata, che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini, che la mette quasi fuori dalla società, germogli l’odio, metta radici la crudeltà: odio contro quelli che prima erano i fratelli, i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza, crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse. Così, arrestare un operaio è una gioia, un trionfo, bastonarlo e malmenarlo, una festa, rinchiuderlo in carcere una rivincita. Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà, della sua incolumità, sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili. La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge, di difendere l’integrità dello Stato: è una piccola bassa soddisfazione personale, è la gioia di poter dire: “Io sono più forte”. Quale altra gioia possono essi provare? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione? Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione. Moltissimi, dall’abito, potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria. E’ certo che erano umilmente, più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai, per raccoglierne i discorsi, per spiarli, ma anche perché non potrebbero fare diversamente. E guardavano con gli operai veri, quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione. Essi comprendevano, sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve. E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito il giornale della loro classe, il loro giornale, gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo, hanno riso. Ma non era un riso spontaneo, giocondo. Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia, dal disprezzo degli altri, dalla loro vita, dal destino a cui non potevano sottrarsi. Quel riso era la smorfia di Gwynplaine.
(A.Gramsci “L’Ordine Nuovo”, 30 agosto 1921)
0 notes
Text
perchè sono allergica ai pollini? mega non ha senso.
Poi mi prudono i timpani, mi prudono cose che non ha senso sentirsi prudere. Perchè non so nemmeno dove sento il prurito.
È tutto mrga finto e senza senso. Pure gli occhi potrebbero diventsre una cosa stranissima e spugnosa. Giuro è assurdo.
Non ho nemmeno voglia di discurere sulle "precauzioni" "antistaminici" "cose"
Perchè no, è solo un ammortizzare
Per me capire qualcosa significa risolverla e quindi se ho qualcosa in me che non capisco, diventa un enigma da risolvere.
Uno schema da aprire e osservare, studiare e strategizzare le mosse.
Però appunto, a questa cosa do soltanto una visione, ma non risolvo il problema, eppure mi non è che mi sembra un problemone.
Ricordo che alle elementari ho visto una bambina piangere cob gli occhi rossissimi e le ho chiesto se stava bene e cosa a aveva e mi ha detto che era allergica.
Io manco sapevo cosa fosse e li mi pare di averla desiderata, ma non esplicitamente l'allergia, centrava qualcosa con le attenzioni della mamma.
Così alle medie è successo. Ed effettivamente li la mia soliudine in casa è aumentata. Ero tipo sempre a casa da sola e quando c'era qualcuno me ne stavo su di sopra per i cazzi miei. Per me era come vivere da sola.
Cazzate, mia madre era una carcerirera.
Forse sono vere entrambe le storie, ma chi se lo ricorda per certo non lo so.
nessuno probabilmente, se lo chiedete a mia madre lei era perfetta e io ero cattiva e lei ha fatto tutto il possibile.
Lo dice, io ero una ribelle indisciplinata secondo lei. Che scappava di casa e non ascoltava le regole.
Fa di un chicco di riso una risaia, non credetele al 99%
Però ero un bel pepe🧂
Sta di fatto che penso che sia tutto così insensato e ingiusto. Trovare se stessi nel impossibilità di vivere la gioia appieno, di non godersi i piaceri della vita, di non permettersi la pace interna a causa di questo.
Probabilmente è tutto collegato.
il sentiero della vergogna in realtà porta ad un aspetto genetico di non sentirsi abbastanza, dal non sentirsi meritevoli, dal non sentirsi fatti per ricevere amore.
ma forse questi sono i sentieri della violenza, che marcherò con dei segnali, per chi per sbaglio ci inciamperà nel camminare, probabilmente io.
Ma è un aspetto genetico sul serio, quindi immagino che anche altri miei parenti si sentano così nel profondo. Svuotati della possibilità di esprimere il proprio sè appieno.
A causa di una credenza instillata di non essere buoni in qualcosa. Relegati a lla miseria e alla privazione.
Dove ogni gioia viene strappata via, violentemente.
Dove la gioia è una briciola.
Dove la vita è sottomissione e servitù, catene e punizioni. Privazioni.
Non riesco nemmeno più a chiedere quello che voglio perchè ho paura di condannarmi e ferirmi con le mie scelte. O di far sentire così imprigionati gli altri.
Quante volte sono uscita per una passeggista infinita, con la speranza di incontrarti e sentivo qualcuno al ritorno "e ma così è soffocante"
"cosa?!" esattamente cosa?!
Alla fine dtai parlando del niente.
Come può esserlo?
Nonostante questo, le energie sono così sottili, chissa cosa percepivo.
ora sonl gelosa e arrabbiata e odio che tu ci godi e odio che lo fai apposta per ferirti da solo, per paura di essere ferito.
Però sono affari tuoi.
Io dormo.
tutto ciò ha preso una piega strana, io parlavo di allergia
0 notes
Text
Frate Sorriso
Frate Sorriso. Questa filastrocca racconta la storia di Frate Sorriso, un personaggio umile e devoto. Nonostante le difficoltà e le privazioni che affronta, come camminare scalzo e mangiare piselli crudi, Frate Sorriso si mostra sempre contento e sereno. La sua fede e la sua dedizione alla penitenza sono esemplari, ispirando un senso di ammirazione e speranza. Un insegnamento prezioso sulla gratitudine e sulla forza interiore.
Continue reading Untitled
View On WordPress
0 notes
Text
“Martina Castellana è la Rosalinda Sprint Reading di De Rosa”
Riceviamo e volentieri condividiamo
COMUNICATO STAMPA
Salerno, 03 Maggio 2023
“Martina Castellana è la Rosalinda nel Reading di De Rosa”
Venerdì 05 maggio alle ore 21.00, Martina Castellana calcherà, per la prima volta, il palcoscenico dell’Auditorium del Centro Sociale di Salerno per volere del regista Antonello De Rosa, che per la stessa ha pensato al ruolo di Rosalinda Sprint, protagonista del testo “Scende Giù Per Toledo” di Giuseppe Patroni Griffi. Ad affiancare Martina Castellana gli attori apprezzatissimi, Margherita Rago e Roberto De Angelis, insieme al musicista cantante, Romolo Bianco, ambasciatore della musica napoletana nel mondo. Apprezzatissimo in America, Bianco, per volere del regista, “cucirà” quasi marcando, le fragilità di Rosalinda anima in bilico sul baluardo della vita. Un reading, perfettamente amalgamato, in cui De Rosa, marca forte la vena drammatica del testo in attesa di farne uno spettacolo.
“Calcare il palcoscenico dona la possibilità di comunicare, soprattutto cultura ed emozioni – confida Castellana – l’invito improvviso di Antonello mi ha donato felicità, nonostante io no sia un’attrice ma il mio bisogno di comunicare emozioni mia ha permesso di accettare – mi calerò nel personaggio e lo sentirò mio. Rosalinda Sprint è un personaggio che aprire le porte a tutti noi per una riflessione- l’illusione d’amore, la delusione, il desiderio dell’innamoramento per sentirsi utili, Rosalinda è tutti noi. Mi riempie di gioia ed orgoglio questo invito – non ho maschere e non indosserò maschere recitando Rosalinda Sprint – personaggio delicato, fragile, insolente per difesa – perché il marciapiede chiede una buona corazza per essere affrontato. Sono felice di questo debutto, una bellissima nuova esperienza, ed io sono una persona che ama sperimentare.”
LA TRAMA
Napoli anni 1970. Rosalinda Sprint è un femminiello che vive in uno squallido appartamento a Montecalvario, poco distante da via Toledo; abbandonata dalla sua famiglia, per sbarcare il lunario si prostituisce e conduce una vita solitaria e piena di privazioni, che riesce a sopportare solo grazie al suo carattere ingenuo e forte al tempo stesso, e all’aiuto delle sue amiche dai nomi altisonanti (Marlene Dietrich, Camomilla Schultz, Maria Stuarda, Sayonara, Rossicago, Maria Callas, tutte femminielli come lei). Il suo unico svago sono le passeggiate per la città e le uscite in barca a Posillipo, spesso funestate da attacchi omofobici o dalle squallide richieste dei clienti occasionali; Rosalinda ha però una speranza nel cuore: anni prima un giovane soldato inglese suo cliente le ha dichiarato il suo amore, e ha promesso di tornare a prenderla per portarla a vivere con sé nel Regno Unito. Rosalinda vive la sua quotidianità nella spasmodica attesa del ritorno del suo amato, il cui conforto la aiuta a superare anche le peggiori sventure e le umiliazioni a cui è sottoposta; una minima rivincita è rappresentata dalla morte del padre, che aveva cacciato Rosalinda a causa della sua omosessualità: la ragazza si vendica consumando un rapporto sessuale col proprio cugino sul suo letto di morte. Dopo l’ennesimo maltrattamento subito da un uomo sposato, che prima ha con lei un morboso rapporto anale, poi la picchia e infine la abbandona, decide di non attendere oltre e investe tutti i suoi risparmi per organizzare un viaggio verso Dover, patria del ragazzo.
Il viaggio è lungo e difficile, ma alla fine Rosalinda riesce a raggiungere la Gran Bretagna e a rintracciare il ragazzo; questi però nel frattempo si è sposato con una donna, e la scaccia via fingendo di non conoscerla. Rosalinda rimane sola e senza soldi in un paese sconosciuto, privata dell’unica speranza di avere un amore e una vita decorosa; il suo destino sarà lasciato in sospeso.
Venerdì 05 Maggio ore 21.00 Auditorium Centro Sociale di Salerno, costo del biglietto €12.00 Il reading – spettacolo è prodotto dalla Società Scena Teatro Management.
SCENA TEATRO MANAGEMENT SRLS
Corso Vittorio Emanuele 193- Galleria Capitol 1P.
0 notes
Text
Cuba e i suoi vaccini, una storia di successo in mezzo a mille paradossi - Il Sole 24 ORE
Al Sole24Ore chiamano paradosso mettere il diritto alla salute prima della falsa libertà del liberismo (e dell'accesso alla corrente elettrica).
Cuba è la dimostrazione che un sistema differente è possibile, anche augurabile. 70 anni di embargo, di privazioni e di falsità, non sono riusciti a piegarla.
Noi abbiamo in piazza i No Vax e Forza Nuova.
Quale popolo ha più speranza e dignità?
25 notes
·
View notes
Text
You’re My Favorite Human
One Shot scritta per il primo giorno del @malex-cupid
Theme: Failed First Date
Ao3
---
È tutto così rosso. E rosa. E a forma di cuore. È come se un intero settore del supermercato fosse esploso e si fosse ricomposto nel giro di una notte, da cartolina di Natale a biglietto di San Valentino. È un po' sconcertante, Michael lo pensa ogni anno. È puro consumismo ed è una piaga sociale, un buco nero in cui spariscono il buon senso della gente e una quantità assurda di soldi.
Michael non è un moralista ma su questo è abbastanza sicuro. Magari è perché lui non ha mai avuto soldi da sprecare o forse perché tutto ciò che ha sempre voluto – delle risposte, una famiglia, qualcuno da amare – non si poteva comprare, ma davvero questa corsa perenne all'acquisto lui non la capisce. Non capisce questa fretta di passare da una celebrazione all'altra, dove i sentimenti hanno il valore di un regalo e del suo scontrino.
Ok, forse un po' moralista Michael lo è, su certe cose per lo meno. O forse è colpa di Sanders, a furia di stare con lui, un po' del suo cinismo deve esserglisi appiccicato addosso. Michael annuisce a se stesso, perché sì, è definitivamente colpa di Sanders, ed è più piacevole pensare al fatto che sia stata la sua vicinanza a formarlo piuttosto che gli anni di abusi e privazioni.
Michael strizza gli occhi e sospira. Com'era finito a fare ragionamenti esistenziali davanti agli scaffali del supermercato non sa spiegarselo, in fondo doveva solo comprare dei cereali. Invece sono almeno venti minuti buoni che se ne sta fermo lì, a contemplare orsetti di peluche, cuscini a forma di cuore, cioccolatini e biglietti di auguri. È tutto così rosso. E rosa. E nessuno si è accorto che ci sono veramente troppi cuori? E nonostante questo, tutto ciò gli dà molto meno fastidio degli anni passati. Anzi, non gli dà fastidio per niente. Nessuna battutaccia che affiora sulla punta della lingua, nessun principio di orticaria per tutta quella sdolcinatezza, solo il riflesso automatico dei suoi soliti pensieri. Michael se ne rende conto con un po' di orrore ma immagina che ci sia una prima volta per tutto. Soprattutto se hai un Alex Manes nella tua vita.
Michael si mastica un labbro e il sorriso che non riesce a trattenere. Alla fine, e gli è chiaro in modo doloroso, è tutta qui la differenza. Alex. Fino a quel momento, San Valentino non aveva davvero significato nulla di particolare per lui, nemmeno quando aveva tentato con tutte le sue forze di far funzionare le cose con Maria. Nemmeno lì aveva voluto dire niente di più che seguire la massa, buttare qualche dollaro nel buco nero del consumismo e potersi dire che sì, era un buon fidanzato, che poteva esserlo, che se tra lui e Alex non aveva funzionato, era colpa di Alex, ma certamente non sua.
Era stata colpa di entrambi in realtà, Alex lo sapeva da sempre, Michael invece aveva avuto bisogno di più tempo e di spazio per vedere le cose come stavano e ammetterlo a se stesso. C'era stato troppo dolore, troppa rabbia e troppa stanchezza perché l'amore imperfetto di Alex bastasse a riparare tutti i silenzi e le assenze e le ferite della loro storia. C'era stata troppa speranza disillusa perché Michael riuscisse a guardare oltre la propria sofferenza, perché riuscisse a riconoscere anche quella di Alex, perché potesse vedere che lui ci stava provando davvero, che stavolta era lì per restare. Certo, alla fine c'era riuscito, ma quanto c'aveva messo? Troppo. Troppo di sicuro. Quanto tempo sprecato. Quanta inutile attesa.
La consapevolezza è una scossa di elettricità dietro gli occhi, come ogni volta che finisce per pensarci, e un orsetto di peluche si muove sullo scaffale di fronte. Micheal se ne accorge perché sente la familiare pressione della telecinesi in testa che lo spinge a riprendere il controllo. L'orsetto torna immobile e, per fortuna, nessuno si è accorto di niente ma, davvero, la corsia del supermercato è un posto pessimo per lasciarsi andare a viaggi mentali di quel tipo. Michael sospira, doveva solo comprare una scatola di cereali. Invece, uscirà di lì con qualcosa di rosso e a cuori, vero? Micheal se lo sente e la sensazione di allegra esaltazione che accompagna il pensiero la fa sembrare la decisione migliore del mondo. Il peluche di prima lo fissa dallo scaffale con i suoi occhi di vetro ma non lo ispira per niente, si può fare di meglio. I cioccolatini gli fanno storcere la bocca, si può definitivamente fare di meglio, i churro di Arturo li battono a mani basse in qualsiasi occasione. I bigliettini di San Valentino, invece, quelli hanno potenziale.
Michael si avvicina all'espositore, i riccioli che gli cadono sugli occhi. Troppi glitter... troppo rosa... troppo scemo... Michael boccia un biglietto dopo l'altro, anche se il ragazzino di diciassette anni che è stato una vita fa e che è tornato a vivergli in testa da quando sta con Alex, tutto occhioni e sorrisoni melensi, gli urla di prenderli tutti. Ed è quello che fa. Prende quello con troppi glitter e quello troppo rosa, quello troppo scemo e almeno un altro paio che non ha neanche guardato bene. Il diciassettenne dei suoi ricordi sta già architettando un piano - cosa fare, come, quando e che biglietto usare - e Micheal ha deciso di buttarsi e seguirlo. Questo San Valentino sarà speciale, se lo merita lui e se lo merita Alex, con buona pace del consumismo.
Prima però, i cereali.
---
La penna fa un'altra pigra piroetta davanti ai suoi occhi, prima che Michael la fermi a mezz'aria. Alex è ancora sotto la doccia, l'acqua che scorre piano dietro la porta chiusa del bagno, e non ha idea del conflitto interiore che attanaglia l'altro. Il biglietto rosso o il biglietto scemo? Michael non ci dorme da due notti, da quando finalmente – finalmente – ha ristretto le sue scelte a quei due cartoncini. Tutto il resto, il loro primo appuntamento di San Valentino, è già pronto, dettagliato fino all'ultimo particolare, organizzato con la stessa cura che riserva ai suoi progetti o al più delicato dei motori che gli sia mai passato tra le mani. Sarà romantico e sdolcinato e ridicolo e Michael non vede l'ora. Se solo riuscisse a capire quale biglietto usare e perché scegliere quello giusto sembra essere di capitale importanza. Non lo è, lo sa, è tutto nella sua testa, dubbi e ostacoli creati dal nulla, una specie di scusa costruita a priori, qualcosa a cui dare la colpa se le cose non dovessero funzionare.
Michael sbuffa - perché deve sempre complicarsi la vita da solo? -, afferra la penna, scarabocchia qualcosa sul biglietto rosso e poi lo piazza sotto la tazza di caffè di Alex. E aspetta. Aspetta che l'acqua smetta di scorrere e che la porta del bagno si apra. Aspetta che le stampelle battano sul pavimento e che Alex arrivi in camera. Aspetta mentre se lo immagina buttare a terra l'asciugamano e vestirsi, la protesi montata saldamente a ciò che resta della sua gamba destra. Aspetta finché se lo vede comparire davanti, il passo solo un po' irregolare, le maniche del maglione tirate su. E se Michael si incanta un attimo a fissarlo - gli occhi scuri, gli zigomi perfetti, le mani eleganti -, chi può davvero biasimarlo?
"Ehi, buongiorno!" Alex sorride, gira intorno al tavolino e lo bacia.
Michael accoglie il saluto, il bacio e le mani tra i suoi capelli con un mugolio soddisfatto. Anche qui, chi può biasimarlo?
"Buongiorno," ricambia, "ho portato la colazione."
Alex ride, osserva con la stessa meraviglia di sempre la caffettiera che arriva da sola dalla cucina a riempire le tazze e scarta con soddisfazione il sacchetto del Crashdown. Prima o poi dovrà parlare con Micheal e chiedergli qual è davvero il problema, se pensa semplicemente che non mangi abbastanza o se ha proprio paura che si lasci morire di fame. Intanto lo lascia fare, lascia che piombi a casa sua quando vuole, per controllare che sia tutto a posto, per lasciare la colazione, il pranzo o qualsiasi altra cosa. Lascia che si prenda cura di lui, insomma, e la cosa fa bene ad entrambi.
Micheal gli si siede accanto, gambe e braccia larghe ad occupare il resto del divano. Alex lo osserva mentre mangia, c'è qualcosa di strano stamattina, come se Micheal fosse ad un passo dal vibrare fuori dalla sua stessa pelle, un piede che batte a terra, la gamba che balla, una mano che tormenta le cuciture del divano. È ansia, Alex non ha dubbi, ma ha la sensazione che sia una cosa positiva questa volta.
"Non bevi il caffè?"
La domanda ha un tono un po' troppo forzato per essere disinteressata. Alex ha una mezza idea di far finta di non aver capito e di tirare le cose un po' per le lunghe, giusto per vedere dove sarebbero andati a parare, quanta pazienza sopravviveva ancora nell'ansia di Micheal. Molto poca, sospetta.
Alex si allunga a prendere il caffè, gli occhi che lasciano Michael quanto basta per notare il cartoncino rosso sotto la tazza. È piegato in due, sopra c'è una navicella spaziale e nel suo fascio di luce la scritta You're my favorite human riempie tutto lo spazio. Dentro, la grafia tutta spigoli di Michael lo invita al loro "primo appuntamento di San Valentino". Alex ride, ingoia a vuoto un paio di volte e poi sventola il biglietto verso Micheal.
"Primo appuntamento, eh?"
"Di San Valentino" precisa Michael, e la precisazione è importante, perché loro un primo vero appuntamento lo hanno avuto e hanno faticato così tanto per arrivarci che non vuole rischiare, nemmeno per sbaglio, di sminuirlo. C'erano voluti più di tredici anni, innumerevoli guerre - reali e metaforiche -, un paio di padri malvagi da debellare, il coraggio di dar voce ai propri desideri frustrati e di zittire le voci meschine di una vita intera. Era stata una fatica ma se l'erano guadagnata, quella serata a tenersi per mano, prima davanti alla statua di Jesse Manes, memento perenne a tutti i loro incubi, e poi davanti al resto di Roswell, perché tutti vedessero e capissero, finalmente, cos'erano l'uno per l'altro. E poi era stato Alex ad organizzare la serata, e questo bastava perché fosse l'appuntamento perfetto. A volte Michael suonava melenso anche a se stesso, ma non poteva farci niente e ci si era rassegnato senza troppi patemi dopo il primo bacio con Alex al museo. Andava così con lui, non c'era molto da fare. E davvero, cosa poteva farci, quando Alex lo guardava così?
"Primo appuntamento di San Valentino", Alex ripete la frase, la rilegge in silenzio, se la rigira in testa.
"Allora? Che ne pensi? È patetico, vero?"
Alex odia il dubbio nella voce di Michael e, ancora di più, odia che possa essere stato lui a mettercelo.
"No, Micheal, è bellissimo. Così tanto che non so davvero cosa dire… è una cosa nuova, questa, per me..." e Alex si preme il biglietto contro il petto.
"Appunto, non abbiamo mai avuto un San Valentino insieme, voglio vedere che effetto fa."
Michael si stringe nelle spalle, incerto, esposto, vulnerabile.
"Non vedo l'ora!" e la sincerità nella voce di Alex è così reale che Michael si svuota finalmente di tutta l'ansia accumulata. È un po' come un palloncino che si sgonfia, con tanto di sospiro di sollievo, profondo, rumosoro, teatrale.
"Menomale!" esclama, mentre scivola di più sul divano.
Alex scuote la testa, sorride e butta giù l'ultimo sorso di caffè ormai freddo. Poi ruba un bacio a Michael, rapido, più guancia che labbra, e si alza.
"Richieste particolari per questo appuntamento? Non so, devo vestirmi in qualche modo specifico?"
Micheal si raddrizza a sedere, improvvisamente attento, e squadra Alex dalla testa ai piedi con uno sguardo di fuoco.
"Metti la giacca di pelle, ti prego!" e la voce di Michael è una carezza in cui Alex si cullerà tutto il giorno.
---
Michael avrebbe dovuto saperlo che organizzare la cosa secondo l'ispirazione del ragazzino che era stato - tanto tempo fa e per troppo poco tempo - si sarebbe rivelata una fregatura. Avrebbe dovuto saperlo, fidarsi un po' meno di tutto quell'entusiasmo ed infilarci a forza giusto un po' di cautela in più. Non tanta, solo un po', quella che sarebbe bastata per non ritrovarsi in questa situazione. Quanto ne sarebbe bastata per ricordarsi di staccare il telefono, il suo e quello di Alex, e tirare su così tanti muri nella sua testa da tenere Isobel alla larga da qui all'eternità. E invece no, Michael si è fidato, ha pensato che per una volta sarebbe andato tutto bene. Che stupido.
"Una serata di pace ho chiesto, una!" Michael brontola, di nuovo, ancora. Lo sta facendo dall'esatto momento in cui è stato trascinato lì, a mettere ordine nell'ennesima crisi aliena. Ma che problemi avevano? Quale mistero irrisolto gli impediva di starsene buoni senza causare danni, senza esporsi, senza correre il rischio di farsi scoprire? Sul serio, cosa c'era che non andava?
"Niente, avete solo un piccolo complesso di superiorità... manie di protagonismo… e pessimo, pessimo, tempismo."
Michael si morde la lingua per non imprecare, già parla ad alta voce senza accorgersene ed Alex è chiaramente irritato, sente che non sarebbe una buona idea perdere quel briciolo di calma che ancora gli resta. "Non sarebbe dovuta andare così stasera", borbotta, le parole che si impigliano in bocca.
"No." Alex è laconico e non è mai un buon segno e Micheal si sente impotente.
Poco lontana da loro, Isobel distoglie lo sguardo dall'ultima vittima di Bonny e Clyde, le memorie delle ultime ore riscritte perché non resti traccia della rapina aliena, delle cose inspiegabili, delle cose che volavano in aria come dotate di vita propria.
"Ho fatto quello che potevo, adesso tocca a Max." Isobel raccoglie i capelli in una stretta coda di cavallo, raddrizza un lungo orecchino e sospira. Michael le concede un cenno della testa e nulla più, non gli interessa per niente sapere come Max giustificherà il tutto allo sceriffo, cosa scriverà nella denuncia, né tantomeno come gestirà i due ladri. Non sono fatti suoi, non gli interessa, questa volta non ha né la voglia né la forza per farsi coinvolgere. Ci ha provato e, a questo punto, sospetta che Bonny e Clyde siano più interessati a rendere giustizia ai loro omonimi del passato che ad integrarsi davvero a Roswell.
"Mi dispiace se questo vi ha rovinato la serata." Isobel sembra sincera e stanca e delusa come loro.
"Non credo sia successo solo a noi." Alex si stringe nelle spalle, piccoli frammenti di vetro che scricchiolano sotto ogni suo passo. Isobel imita il gesto, perché cosa c'è da aggiungere? La serata ormai è andata.
"Ok, noi ce ne andiamo. Ciao Iz!"
Michael afferra Alex per mano e se lo tira dietro, piano, attento a non strattonarlo, i vetri per terra sono un ostacolo già da soli. Il viaggio verso casa è silenzioso, la delusione di Michael ancora così piena di rabbia da non lasciare spazio a nient'altro.
"Non è la fine del mondo."
Quando Alex rompe il silenzio, sono già dentro casa, le luci del patio un riflesso sfocato oltre le finestre del salotto. Lo sa anche Michael che non è la fine del mondo, o almeno lo sa la sua parte razionale. È molto più difficile farlo capire alla sua parte romantica, che si era immaginato la serata fino al più insignificante particolare e che se l'è vista sfuggire come fumo tra le dita.
"Non è la fine del mondo, Michael! Non lo è! Ci rifaremo". Alex lo afferra per le spalle e lo scuote appena, perché lo guardi, perché registri la convinzione nella sua voce, perché semplicemente ci creda.
"Prima eri arrabbiato anche tu." Non è una domanda, Michael lo afferma e basta ed ha ragione, ma la rabbia di Alex è diversa dalla sua, è il fastidio dell'essere sempre tirati in mezzo ai drammi degli altri. Quella di Michael, invece, è cieca, vira senza minimo sforzo all'autodistruzione, come se, alla fine dei conti, tutto fosse colpa sua, anche quando, chiaramente, non lo è.
"Sono arrabbiato, chi ha detto il contrario?" Alex gli fa scivolare le mani sul collo, calde e protettive. "Mi scoccia che ci abbiano rovinato la serata, e mi scoccia ancora di più perché tu ci tenevi così tanto… ma non è la fine del mondo, ok? Non è colpa tua, qualunque cosa la tua mente ti stia dicendo, va bene?"
Micheal sospira e la rabbia lo abbandona piano, al suo posto solo una stanchezza dolente. "Ma non potevano farla domani la rapina?" si lamenta.
"Te l'ho detto che voi alieni avete un pessimo tempismo. Pessimo!"
Alex preme la fronte contro quella di Micheal, cerca i suoi occhi nonostante l'angolo scomodo e lo bacia, sorriso contro sorriso.
"Ti va di raccontarmi come sarebbe dovuta andare la serata?"
"Davvero?"
"Mhm mhm, sono molto curioso di sapere cosa avevi organizzato e che tipi di programmi avevi per la mia giacca di pelle."
Le mani di Alex adesso sono tra i suoi capelli, le dita impigliate tra i ricci e tirano appena, quanto basta perché i pensieri di Micheal prendano una direzione ben specifica. La serata sarà anche andata a rotoli, niente cena e niente drive in e niente stelle al buio, ma Alex è qui, è San Valentino e hanno tutta la notte davanti.
Michael afferra la giacca, si tira Alex contro e gli sfiora un orecchio con le labbra.
"Il programma era questo…" e la giacca scivola via senza sforzo.
#malex fic#malexcupid22#alex manes#michael guerin#malex#rnm fic#roswell new mexico#dani writes in italian#i'm not good enough to write in english#so italian it is#my fics#personal
11 notes
·
View notes
Text
Chi dice Donna, dice danno ed è vero: danno la vita, danno la speranza, danno il coraggio e danno se stesse per amore.
Auguro ad ogni donna di essere il proprio danno, di non provarsi mai di nessuna libertà, di essere libera di eccellere in qualsiasi cosa, senza privazioni.
#giornatadelladonna#festadelladonna#8marzo#donna#frasi italiane#frasi tumblr#frasi proprie#amore#women#womenpower
3 notes
·
View notes
Photo
GLI ULTIMI Il detto allude alla parabola evangelica in cui Yoshua afferma “Beati gli ultimi, poiché saranno i primi a entrare nel Regno dei Cieli”, intendendo dire che gli ultimi della gerarchia sociale, cioè coloro che non sono vissuti in funzione del successo sulla Terra e per questo sono magari disprezzati e maltrattati, saranno tra i favoriti, nonché primi, ad entrare in Paradiso. Quindi, la ricompensa per una vita di merda, sarà la noiosa Eternità di un Paradiso dove tutto funziona perfettamente, come in Svizzera. Quindi, per entrare nella Discoteca Celeste, devi aver passato le "pene dell'inferno" in Terra, subito ogni genere di soprusi, combattuto (e perso) contro la disperazione, essere trattato come un rifiuto umano e naturalmente morto di stenti. Allora, i Boys all'ingresso ti fanno passare per primo. Scusa la domanda Yoshua, ma perché ? Non potremmo evitare questo passaggio terreno, fatto di privazioni, sofferenze, umiliazioni ed accedere direttamente, senza tante balle, alla Noia Eterna ? Che senso ha vivere una vita allo stremo, fare i conti ogni mattina con la disperazione e, spesse volte invocare la Morte Liberatrice, solo per guadagnare un posto in platea domani nel tuo teatrino stellare ? Posso rinunciare oggi al misero Destino e godermela un po' prima di schiattare ? Fa niente se non entro per primo, sto in fila ed aspetto il mio turno. D'altra parte, la fila non mi ha mai spaventato, ci sono abituato. Mi son messo in fila per reclamare i miei Diritti Umani, per chiedere Giustizia, per protestare contro le Disparità, per piangere un Ferroviere caduto "accidentalmente" dalla finestra della Questura, per stringermi accanto alle vittime delle stragi fasciste di Milano, di Brescia, di Bologna..... Che vuoi che sia mettermi in fila da morto ? Mi son messo in fila, dietro mia moglie, per difendere il suo Diritto alla vita, ho indossato scarpe rosse col tacco 11 e le ho lasciate in strada a mo' di lapide-ricordo, ho gridato il mio Diritto ad abortire pur non avendo l'utero, e pianto al funerale di un'amica massacrata solo perché rivendicava la sua Libertà solo perché, da Donna, voleva avere lo stesso Diritto degli Uomini. Che vuoi che sia, mettermi in fila ? Sono stato, di notte sulla spiaggia a veder partire barconi di Carne Umana verso lidi migliori. Ho visto nei loro occhi sia la Speranza che la Disperazione, ho asciugato le lacrime delle Madri davanti ai loro corpi annegati. Che vuoi che sia, mettermi in fila ? E ancora oggi, vecchio e stanco, guido sui sentieri del deserto gli esuli del Dolore Terreno, cercando con loro un riparo dalla Sofferenza. Sono stremati dalla fame, dalla sete, dalle ferite, Silenziosi nel loro dramma, con una piccola speranza a far luce nel buio della Vita. Che faccio, Yoshua, racconto loro che saranno i primi, ma che prima devono morire per essere felici ? Te lo dico con molta umiltà, me ne sbatto le palle del tuo Regno se devo vivere nella Repubblica del Dolore. Noi, ultimi sempre e comunque, ci tiriamo fuori da questo futuro da Matrix e chiediamo di vivere degnamente, qui e oggi. Non vogliamo essere Primi. Non ce ne frega una "beata minchia". Ma non vogliamo più essere Ultimi. E se, questa rinuncia ci preclude il pass per la Discoteca, ci accontenteremo guardando il cielo di Kabul senza bombe, le case di Sanaa con i loro decori intatti, i sorrisi dei bambini africani che non devono più essere schiavi nelle miniere. Ci accontenteremo delle Donne in giro di notte, sedute tranquille sulla panchina di un giardino qualsiasi, mezze vestite o mezze nude come cazzo piace a loro stare, senza per questo finire violentate contro un muro. Mi accontentero' del Mare affollato di pescatori e non dai Migranti, dei confini terreni aboliti, dei fili spinati scomparsi, delle mense della Caritas vuote perché nessuno ha più fame e chiede in ginocchio un pezzo di pane. Mi accontentero' delle chiese vuote perché nessun Uomo vorrà più pregarti, osannarti, riverirti. Sarai diventato il Nulla e a nessuno verrà in mente di pregare il Niente. Rinuncio ad essere Ultimo. Ed esco dalla fila. Claudio Khaled Ser
8 notes
·
View notes
Text
借月 (jiè yuè), “Prendo in prestito la luna” - da 山河令 Word of Honor - Traduzione in italiano dal cinese
Questa non è una canzone scritta per la OST di Word of Honor ma è una canzone preesistente cantata da 王天阳 Wang Tianyang. È stata usata così spesso dai fan del drama nelle loro edit sui social media che il cantante ha permesso a Youku di usarla gratuitamente, diventando così la theme song “onoraria” di Word of Honor.
Note:
Come per tutte le canzoni e le poesie scritte in cinese, è difficile rendere perfettamente in italiano ciò che una lingua così concisa e “visiva” vuole esprimere, e che spesso comunica in modo ambiguo e metaforico. Questa traduzione cerca di restare il più vicino possibile al testo originale ma è inevitabile che vi sia anche un po’ della mia interpretazione personale.
È vietato repostare questa traduzione altrove senza il mio consenso o comunque senza citare questo blog come fonte.
--------------------
借月 Jiè yuè Prendo in prestito la luna
--------------------
告别了温柔乡 Gàobié le wēnróu xiāng Hai detto addio al dolce luogo natio
去远方闯一闯 Qù yuǎnfāng chuǎng yī chuǎng Per partire all’avventura verso terre lontane
我明白你心中志向 Wǒ míngbái nǐ xīnzhōng zhìxiàng Capisco l’ambizione nel tuo cuore
山高与水长 Shāngāo yǔ shuǐ cháng Le montagne sono alte, i fiumi sono lunghi[1]
免不了跌宕 Miǎnbùliǎo diēdàng Non si può rifiutare una vita libera e spensierata
但愿你初心不忘 Dàn yuàn nǐ chūxīn bù wàng Ma spero che resterai sempre fedele al tuo cuore
---
深情与离别遇上 Shēnqíng yǔ líbié yù shàng Quando l’amore incontra la separazione
只叫人百转柔肠 Zhǐ jiào rén bǎi zhuǎn róucháng Causa solo tanto dolore
谁懂我朝思暮想 Shéi dǒng wǒ zhāosīmùxiǎng Chi può capire il mio stare in pena notte e giorno?
皎洁的月光 Jiǎojié de yuèguāng Il chiaro di luna lucente,
想邀你细赏 Xiǎng yāo nǐ xì shǎng Vorrei invitarti ad ammirarlo con me
可惜已天各一方 Kěxī yǐ tiāngèyīfāng Ma purtroppo ormai siamo troppo lontani
---
就借这月光 Jiù jiè zhè yuèguāng Così prendo in prestito questo chiaro di luna
再与你对望 Zài yǔ nǐ duì wàng Per guardarti negli occhi ancora una volta
不管落魄风光 Bùguǎn luòpò fēngguāng Nella disperazione o nello splendore,
我都为你守望 Wǒ dōu wèi nǐ shǒuwàng Io veglierò sempre su di te
就让这月光 Jiù ràng zhè yuèguāng Così farò in modo che questo chiaro di luna
把你的回程路照亮 Bǎ nǐ de huíchéng lù zhàoliàng Illumini la tua strada del ritorno
有太多的话 Yǒu tài duō dehuà Ci sono troppe parole
与你慢慢讲 Yǔ nǐ mànmàn jiǎng Che voglio dirti a tempo debito
---
饮过了风与霜 Yǐnguòle fēng yǔ shuāng Dopo aver sopportato privazioni e stenti
把思念唱一唱 Bǎ sīniàn chàng yī chàng Canto la mia nostalgia
不自觉已满眼泪光 Bù zìjué yǐ mǎn yǎn lèi guāng Senza che me ne accorga, i miei occhi risplendono già di lacrime
江湖与闯荡 Jiānghú yǔ chuǎngdàng Mentre vai per la tua strada nel Jianghu[2]
不想你失望 Bùxiǎng nǐ shīwàng Non voglio che tu perda la speranza
我只愿都有回响 Wǒ zhǐ yuàn dōu yǒu huíxiǎng Spero solo che si sparga l’eco delle tue avventure
---
[La seconda strofa si ripete, poi la terza si ripete per tre volte]
---
就让这月光 Jiù ràng zhè yuèguāng Così farò in modo che questo chiaro di luna
把你的回程路照亮 Bǎ nǐ de huíchéng lù zhàoliàng Illumini il tuo viaggio di ritorno
有太多的话 Yǒu tài duō dehuà Ci sono troppe parole
只想与你讲 Zhǐ xiǎng yǔ nǐ jiǎng Che voglio dire solo a te
--------------------
[1] Questa espressione, comunissima nelle poesie e nelle canzoni cinesi, ha il significato di “il mondo è vasto, sconfinato”.
[2] Chi ha letto le mie altre traduzioni delle canzoni di Word of Honor sa già cos’è il Jianghu. 江湖, letteralmente “fiumi e laghi”, è un termine intraducibile. Si riferisce a quel mondo, quella parte di società che si colloca al di fuori delle corti dove risiede il potere politico, e spesso si pone in contrapposizione a esso. Il concetto di Jianghu va a braccetto con il genere 武侠 Wǔxiá: coloro che fanno parte del Jianghu sono vagabondi, cavalieri e viandanti che vivono una vita libera e spesso ribelle basata sulle arti marziali.
2 notes
·
View notes
Text
Ecco il mio messaggio di speranza. Stringiamo i denti, sopportiamo le privazioni, rimaniamo responsabilmente in casa, e vedrete che presto ci sarà un domani migliore in cui potremo ricominciare a dire: "Mi spiace, ho judo".
— L’Ideota
20 notes
·
View notes
Text
Dichiarazione di Ravachol davanti ai giudici - 1892
Se prendo la parola, non è per difendermi degli atti di cui mi si accusa, poiché solo la società che, con la sua organizzazione, mette gli uomini in continua lotta gli uni contro gli altri, è responsabile. E, in effetti, non vediamo in tutte le classi, in tutti gli ambienti, delle persone che desiderano, non dico la morte, poiché suonerebbe male all’orecchio, ma la disgrazia dei loro simili se questa può procurare loro dei vantaggi?
Esempio: un padrone non si augura di veder sparire un concorrente? Tutti i commercianti, in generale, non vorrebbero, reciprocamente, essere i soli a godere i vantaggi che possono venire dalla propria industria?
L’operaio senza impiego non sogna, per ottenere del lavoro che, per un qualsiasi motivo, colui che è occupato venga licenziato?
Ebbene, in una società dove si producono simili fatti non devono sorprendere atti del genere di quelli che mi si rimproverano, i quali non sono altro che la logica conseguenza della lotta per l’esistenza che si fanno gli uomini che per vivere sono obbligati ad impiegare tutti i mezzi possibili. Dal momento che ciascuno deve pensare a sé, colui che si trova nella necessità deve agire. Ebbene! Poiché così è, quando io avevo fame non ho esitato ad impiegare i mezzi che erano a mia disposizione a rischio di fare delle vittime.
Quando i padroni licenziano gli operai si preoccupano poco di vederli morire di fame.
Tutti coloro che hanno il superfluo, si interessano della gente che manca delle cose necessarie? Vi sono alcuni che danno dell’aiuto, ma sono impotenti a sollevare tutti coloro che si trovano in stato di necessità e che muoiono prematuramente in seguito a privazioni di ogni tipo, o volontariamente suicidandosi in ogni modo per porre fine ad un’esistenza miserabile o per non aver potuto sopportare i rigori della fame, le onte delle innumerevoli umiliazioni senza alcuna speranza di vederli finire. Così come hanno fatto la famiglia Hayem e la signora Soufrein che hanno dato la morte ai loro figli per non vederli ancora morire di fame. E tutte quelle donne che, nel timore di non poter dar da mangiare ai loro figli, non esitano a compromettere la loro salute e la loro vita distruggendo nel loro seno i frutti del loro amore!
Ebbene! tutto questo accade in mezzo all’abbondanza di ogni tipo di prodotto. Si capirebbe se tutto questo avesse luogo in un paese povero di prodotti, dove vi è la carestia; ma in Francia, dove regna l’abbondanza, dove le macellerie sono stracolme di carni, i panifici di pane, dove i vestiti, le scarpe riempiono i magazzini; dove vi sono appartamenti vuoti, come ammettere che nella società tutto va bene quando si vede così bene il contrario? Vi sono delle persone che piangono tutte queste vittime ma dicono che non è possibile far niente! Che ognuno se la sbrogli come può! Cosa può fare colui che, pur lavorando, manca del necessario? Se non lavora, non gli resta che lasciarsi morire di fame, e allora qualcuno getterà qualche parola di pietà sul suo cadavere. Ecco ciò che ho voluto lasciare ad altri. Ho preferito diventare contrabbandiere, falsario, ladro e omicida!
Avrei potuto mendicare, ciò è degradante e vigliacco ed è anche punito dalle vostre leggi che fanno della miseria un delitto.
Se tutti i bisognosi, invece di aspettare, prendessero dove vi è e non importa con quale mezzo, può essere che i benestanti comprenderebbero più in fretta che è pericoloso voler conservare l’attuale stato sociale dove l’inquietudine è permanente e la vita è in ogni istante minacciata; finirebbero senza dubbio per comprendere che gli anarchici hanno ragione quando dicono che per avere la tranquillità morale e fisica, bisogna distruggere le cause che producono il crimine e i criminali. Non è sopprimendo colui che preferisce prendere violentemente ciò che gli serve per assicurarsi il benessere, piuttosto che morire di una morte lenta dovuta alle privazioni che sopporta, o che dovrebbe sopportare senza speranza di vederle finire (se ha un poco di energia). Dopo tutto la fine della propria vita non è altro che una fine delle sofferenze.
Ecco perché ho commesso gli atti che mi si rimproverano e che sono la conseguenza logica dello stato barbaro di una società che non fa altro che aumentare il numero delle sue vittime col rigore delle sue leggi che intervengono sugli effetti senza mai toccare le cause!
Si dice che bisogna essere crudeli per ammazzare un proprio simile: ma coloro che parlano così non vedono che lo si fa per evitare che lo facciano a noi stessi!
Anche voi, signori giurati, senza dubbio mi condannerete a morte perché credete che è una necessità e che la mia scomparsa sarà una soddisfazione per voi che avete orrore di veder scorrere il sangue umano; ma quando credete che sia utile versarlo per assicurare la vostra esistenza non esitate più di me a farlo. Con questa differenza, che voi lo farete senza alcun pericolo, al contrario di me che agivo a rischio e pericolo della mia libertà e della mia vita.
Ebbene, signori, non vi sono criminali da giudicare ma le cause del crimine da distruggere. Creando gli articoli del Codice, i legislatori hanno dimenticato che non attaccavano le cause ma semplicemente gli effetti e che in tal modo non distruggevano affatto il crimine. In verità, esistendo sempre le cause, scaturiranno sempre effetti e si avranno sempre dei criminali, poiché oggi ne distruggete uno ma domani ne nasceranno due.
Cosa bisogna fare allora?
Distruggere la miseria, questo genio del crimine, assicurando a ciascuno la soddisfazione di tutti i propri bisogni.
E quanto sarebbe facile realizzarlo. Bisognerebbe stabilire la società su nuove basi in cui tutto fosse in comune, in cui ciascuno producendo secondo le proprie possibilità e le proprie forze, potesse consumare secondo i propri bisogni.
Allora gli inventori, avendo tutto a loro disposizione, creerebbero delle meraviglie che farebbero in modo che i lavori che ci sembrano penosi o ripugnanti diventerebbero una distrazione o un passatempo. Allora non vi sarebbe più quell’inquietudine per il domani che è un continuo tormento per l’operaio e anche per il padrone, per tutti.
Non si vedrà più gente, come l’eremita di Nostra Signora delle Grazie ed altri, mendicare un metallo del quale diviene la schiava e la vittima!
Non si vedranno più donne vendere il proprio corpo come una volgare merce, in cambio di quello stesso metallo che molto spesso ci impedisce di capire se l’affetto è veramente sincero!
Non si vedranno più uomini come Pranzini Prado e Anastay, anche adolescenti che, sempre per avere questo metallo, arrivano ad uccidere.
Tutto questo dimostra chiaramente che la causa di tutti i crimini è sempre la stessa; che bisogna veramente essere stupidi per non vederla!
Sì, lo ripeto, è la società che fa i criminali e voi, giurati, invece di colpire loro, dovreste impiegare le vostre forze a trasformare la società.
Di colpo, sopprimereste tutti i crimini e la vostra opera, attaccando le cause, sarebbe più grande e più feconda di quanto non lo sia la vostra giustizia che si limita a colpire gli effetti.
Io sono solo un operaio senza istruzione, ma poiché ho vissuto l’esistenza dei miserabili, sento meglio di un ricco borghese l’iniquità delle leggi repressive.
Dove prendete il diritto di uccidere o di rinchiudere un uomo che, messo sulla terra con la necessità di vivere, si è visto nella necessità di prendere ciò che gli è necessario?
Ho lavorato per vivere e far vivere i miei, tanto che io e i miei non abbiamo troppo sofferto, sono rimasto quello che voi chiamate onesto. Poi il lavoro è mancato e con la disoccupazione venne anche la fame!
È allora che questa grande legge della natura, questa voce imperiosa che non ammette repliche, l’istinto della conservazione mi spinse a commettere i crimini e i delitti di cui mi riconosco l’autore.
Nego di aver commesso quelli della Varizelle [Ravachol era stato anche incolpato di omicidio volontario nella persona di Jean Rivolier abitante a La Varizelle, n.d.r.] e delle signore Marcon [due donne trovate uccide a Saint-Etienne, n.d.r.] poiché vi sono completamente estraneo e voglio evitare alla vostra coscienza i rimorsi di un errore giudiziario.
Giudicatemi, signori giurati, e, se mi avete compreso, nel giudicarmi, giudicate tutti i disgraziati che la miseria, alleata alla fierezza naturale, ha fatto diventare criminali e che in una società intelligente sarebbero state persone come tutte le altre.
Ravachol
4 notes
·
View notes
Video
vimeo
Sei la Figlia che non ho!
La scelta di essere solo mi dona le due inevitabili facce di ogni medaglia…
Mi regala libertà e privazioni…
Quando ti incontro per strada, sei per un attimo la figlia che io non ho…
Ed è certamente un bene per te… per me… che tu abbia genitori migliori…
Ti avrei straviziata senza sosta, se fossi stato tuo padre…
Non avrei potuto resistere di fronte ai tuoi occhi, al tuo sorriso, al tuo sguardo…
Con troppa facilità avresti potuto strapparmi promesse, regali, perfino richieste impossibili, come quando un poeta si rende disponibile a catturare la luna, credendo di poterla sorprendere, pur di far felice l’Amata…
E guai a chi ti avrebbe torto un capello…
Guai a chi ti avrebbe dato torto pur avendo tu torto…
Non sarei stato obiettivo, perché l’Amore emotivo protegge ad occhi chiusi, senza calcoli, senza logica… e ti avrei cresciuta sbagliata…
Mi sarei sentito fragile di fronte alle tue malinconie…
Impotente, di fronte ai tuoi dolori sui quali non avrei potuto avere alcun controllo…
Avrei sofferto terribilmente nel vedermi incapace di renderti davvero felice…
Così ti incontro per strada… per un solo attimo… per pochi momenti… per donarti la miseria di un sorriso… di una piccola emozione…
Per poi vederti allontanare con la speranza che tu abbia un padre migliore di quello che avrei potuto essere io…
A volte vorrei perfino fermarti di più…
Regalarti davvero la Luna per ringraziarti per avermi donato il tuo sorriso… il tuo sguardo… i tuoi occhi…
Ma non arrivo mai ad essere così crudele con me stesso… da permettere che un soffio di malinconia…
Diventi una tempesta nostalgica…
Ti lascio allora con il ricordo di un mio sorriso che…
Anche se solo per un attimo…
E’ stato il caldo e amorevole sguardo di un genitore immaginario che ha fatto breccia nel tuo Cuore… in un momento di solitudine…
natyan
https://www.studiogayatri.com
#Vimeo#natyan#studiogayatrimonza#yogamonza#naturopatiamonza#reikimonza#filosofiamonza#comunicazionemonza#pnf#meditazionemonza#consulentefilosofico#india#yangon#puttaparthi#thailand#myanmar#dhupampalli#bangkok#chachoengsao
18 notes
·
View notes