#frasi proprie
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mostro-rotto · 2 years ago
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Il mio vero problema è che ho troppo normalizzato il silenzio quando non sono dell'umore giusto per parlare. Giuro non so davvero come esprimere i miei sentimenti, specialmente quando sono triste, parlo solo a me stesso nella mia testa di come mi sento tutto il tempo
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serenamatroia · 1 year ago
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pensierodelgiornoblog · 1 month ago
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diluvioaluglio · 1 year ago
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Ma anche voi parlate da soli?
Borbottando frasi del tipo “ma chi cazzo me lo ha fatto fare”, “che cogliona che sono”, “ma perché non mi faccio i cazzi miei ”. Ma poi in realtà faccio devi veri e propri monologhi
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occhietti · 6 months ago
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E aridaje...
Ancora a postare senza mettere l'autore e facendo passare per propri pensieri le frasi o i brani scritti da altri. Potete ingannare solo chi non legge, vi applaude nei commenti, vi fa i complimenti per come scrivete bene... E voi ringraziate pure. Ma che tasso di falsità avete? La gente legge (non chi vi mette i like, ma gli altri), sa chi è l'autore...
Mi è capitato ora di leggere uno scritto di Clarissa Pinkola Estes passato per proprio... e uno di Letizia Cherubino, e in questo ultimo caso il post è stato preso da me, pacchetto completo, immagine + frase, tolto l'autore e messa la proprio firma. E voilà, il post è "creato". Ma che idiozia. Chi vi vuole mettere like ve li mette lo stesso e... incredibile... ve li mette anche se scrivete il nome del vero autore, non vi spacciate per ciò che non siete.
Poesie e scritti di Alda Merini, Bukowski, Pavese, addirittura Shakespeare, grandi autori ma anche autori minori che sfilano nel vostro blog spacciati per vostra opera. Ma vi siete bevuti il cervello? E chi vi mette like e vi fa i complimenti per la vostra abilità di scrittrice/scrittore possibile che non si è mai accorto di nulla?
Potrei fare nomi di blog fondati interamente su questa falsità, a tutti i loro post potrei aggiungere nome e cognome di chi li ha veramente scritti, ma evito, non si fanno guerre con chi è disarmato. È proprio vero che qui dentro il verbo apparire ha superato di gran lunga il verbo essere.
Buona continuazione a voi nel vivere nella falsità e buona continuazione a chi ha gli occhi foderati e vi mette like applaudendovi.👏👏👏
@occhietti
Post scriptum Per chi non è di Roma preciso che nel dialetto romanesco aridaje è un’espressione che rimarca la pesantezza e la noia che una certa situazione può emanare. Si usa infatti nei momenti di esasperazione...
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sunelrose · 2 months ago
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" Stai esagerando."
" Smettila di fare la vittima. "
" Quanto ti lamenti, c'è gente che sta peggio di te. "
" Sei troppo negativa."
E tante altre frasi simili. Sinceramente non le tollero più, sono al limite della sopportazione . Sono stanca di comunicare con qualcuno su quello che penso e provo e sentire lo stesso copione, sono stanca di sentirmi in "difetto" per ogni emozione e pensiero che ho. Come se fossi sbagliata. Come se avessi qualcosa che non va. Sono altrettanto stufa di chi minimizza i miei problemi e di chi cambia l'argomento iniziando a raccontare i propri problemi che ha avuto nella vita annullandomi, come se le mie problematiche e quello che sto affrontando non avesse importanza. Mi sento sola più che mai in questo momento della mia vita, perfino le persone di cui mi fidavo mi hanno tradita. Quest'anno poi sono successe troppe cose che sono andate a destabilizzare il mio equilibrio e pace interiore. Non mi sono mai sentita così debole fino ad ora e non so come uscirne da questo stato. E non posso contare su nessuno, solo su me stessa.
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falcemartello · 8 months ago
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"Se sei fissato con la privacy hai qualcosa da nascondere".
Smantelliamo una volta per tutte questo luogo comune.
La domanda è viziata all'origine, perché parte da un assioma materialistico della privacy. Ricordiamo che non siamo più nell'era industriale ma nell'era digitale.
Ricercare privacy nell'era digitale non è nascondersi, ma proteggere la propria libertà di pensiero da ingerenze altrui.
Nel mondo materiale c'è una netta separazione tra pensiero e azione, anche a livello temporale. È molto complesso immaginare che qualcuno possa desumere il nostro pensiero e abitudini osservando alcune azioni materiali che compiamo, come ad esempio spendere del denaro contante al bar.
Servirebbero tecnologie avanzate, osservazioni continuative di ampia durata e profondità per poter anche solo per tentare di farlo. Il mondo materiale è estremamente più lento del digitale, ma non solo.
La realtà digitale poggia su sistemi informatici che per il loro stesso funzionamento registrano ogni azione e interazione col sistema stesso. Ciò significa che ogni azione, anche la più piccola - o addirittura una intenzione di azione, come soffermarsi per qualche millisecondo in più su un banner pubblicitario, viene registrata.
Tutto lascia una traccia. Queste possono essere poi facilmente aggregate nel tempo e analizzate. Ne consegue che chiunque abbia le capacità tecniche di farlo, acquisisce un potere quasi divino che gli permette di inferire con altissima probabilità statistica il pensiero e le prossime azioni di ognuno di noi.
Sì - chi nasconde le proprie azioni nel mondo materiale ha qualcosa da nascondere. Vuoi per pudore, timidezza, o perché sta facendo qualcosa che immagina possa avere conseguenze sulla sua vita.
Nella realtà digitale TUTTO può avere conseguenze sulla nostra vita. Anche l'azione più banale del mondo verrà aggregata insieme ad altre mille azioni, sia nostre che delle persone con cui abbiamo una relazione di qualche tipo, con il preciso scopo di impattare la nostra vita.
Lo ripeto: anche soffermarsi per qualche millesimo di secondo su un contenuto online può avere conseguenze nel corso del tempo. Soffermarsi per due minuti davanti a un cartello pubblicitario in piazza non avrà invece alcuna conseguenza, mai.
Ergo, la privacy nel regno digitale non viene ricercata per nascondere azioni peccaminose o illegali, ma per proteggere la nostra più intima libertà di pensiero e di autodeterminazione. È una necessità dettata dalla natura stessa del digitale.
Finché non si capisce questa fondamentale differenza ontologica si farà sempre l'errore di ripetere frasi fatte che non hanno senso nell'era digitale.
(Matte Galt)
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marcoleopa · 7 days ago
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Analfabeti funzionali
Tratto da Repubblica.it del 10 12 24
Gli analfabeti funzionali
Nella literacy il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 e rientra quindi nella categoria degli analfabeti funzionali. Nel senso che sanno leggere e scrivere, ma hanno difficoltà grandi (o addirittura insuperabili) nel comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni che leggono. Nella definizione Ocse, al livello 1 (25% del campione in Italia) riescono a capire testi brevi ed elenchi organizzati quando le informazioni sono chiaramente indicate. Al di sotto del livello 1 (10%) possono al massimo capire frasi brevi e semplici. All'estremità opposta dello spettro (livelli 4-5), il 5% degli adulti italiani (contro il 12% medio Ocse) ha ottenuto i risultati più elevati, in quanto possono comprendere e valutare testi densi su più pagine, cogliere significati complessi o nascosti e portare a termine compiti.
Messaggio Presidente della Repubblica del 31 12 24
“la pace come obiettivo irrinunziabile”
“importanza della libera informazione”. “Attesa di rivedere Cecilia Sala al più presto in Italia”
“sproporzione sconfortante” tra corsa agli armamenti e cambiamento climatico"
“precarietà e incertezza” sono “una causa della crisi delle nascite”
“creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione”
“È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità”
"Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose"
“i giovani sono la grande risorsa del nostro Paese”
“la speranza siamo noi”. Nel 2025 “gli ottanta anni della Liberazione”
Etc.
Cosa hanno capito al Governo e in Parlamento:
Patriottismo
Repetita iuvant:
il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 e rientra quindi nella categoria degli analfabeti funzionali.
Gioco, partita, incontro
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ilpianistasultetto · 5 months ago
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"Giu' le mani da casa mia! Ho sputato sangue per comprarla e decido io. Con la mia casa ci faccio quel che voglio!"
A queste frasi, certa politica si accoda, lascia che tutto segua l'istinto di pancia che domina il Paese e lascia che i centri delle grandi citta' si spopolino a favore del business turistico.
Giusto? Non giusto?
Dico a tutta la gente che sostiene certi concetti e a tutti quelli che approvano tra applausi scroscianti che poi non possono "smaronare" quando i loro figli decidono di andare a studiare a Milano, Roma, Bologna e devono staccare assegni da 1500 euro al mese per pagare l'affitto di una casa-catapecchia o sborsare 160mila euro per un monolocale da 20mq (Milano, quartiere semiperiferico di Turro). Come devono smetterla di lamentarsi quando un figlio/a decide di staccarsi dalla famiglia e deve andare ad abitare in quei paesi dell'appennino, visto che non trova niente di accessibile a prezzi umani o, come spesso succede, tenerseli in casa a vita. Ricordati, che se la tua casa e' sacra, lo e' anche per gli altri, per i grandi proprietari e per tutta la speculazione finanziaria.
Quindi, battete le mani a chi volete, seguite le vostre convinzioni e siate contenti della vostra "sacra" casa ma accettate col sorriso sulle labbra quando anche gli altri dicono che sulle proprie case decidono loro. @ilpianistasultetto
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schizografia · 21 days ago
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Il volto umano è una forza vuota, un campo di morte.
La vecchia rivendicazione rivoluzionaria di una forma che non ha mai corrisposto al suo corpo, che era nato per essere altra cosa dal corpo.
È perciò assurdo rimproverare di essere accademico a un pittore che si ostina tuttora a riprodurre i tratti del volto umano così come sono; perché così come sono essi non hanno ancora trovato la forma che indicano e designano; e sono ben altro che semplici schizzi, ma dal mattino alla sera, e nel mezzo di diecimila sogni, pestano come nel crogiolo di una palpitazione passionale mai stanca.
Ciò significa che il volto umano non ha ancora trovato la sua faccia e che sta al pittore procurargliela.
Ma questo significa che la faccia umana così com���è la si cerca ancora con due occhi, un naso, una bocca e le due cavità auricolari che corrispondono ai buchi delle orbite come le quattro aperture della tomba della morte prossima.
Il volto umano porta in effetti una specie di morte perpetua sul suo volto che sta proprio al pittore salvarlo restituendogli i suoi propri tratti.
Dopo mille e mille anni infatti che il volto umano parla e respira si ha ancora come l’impressione che non abbia ancora cominciato a dire quello che è e quello che sa.
E io non conosco un pittore nella storia dell’arte, da Holbein a Ingres, che, questo volto d’uomo, sia riuscito a farlo parlare. I ritratti di Holbein o di Ingres sono muri spessi, che non spiegano niente dell’antica architettura mortale che s’inarca sotto gli archi di volta delle palpebre, o s’incastra nel tunnel cilindrico delle due cavità murali delle orecchie.
Soltanto van Gogh ha saputo trarre da una testa umana un ritratto che sia il detonatore esplosivo del battito di un cuore scoppiato.
Il suo.
La testa di van Gogh con il cappello floscio rende nulli e inesistenti tutti i tentativi di pitture astratte che potranno essere fatte dopo di lui, sino alla fine delle eternità.
Perché quel volto di macellaio avido, scagliato come un colpo di cannone sulla superficie più estrema della tela,
e che all’improvviso si vede fermato
da un occhio vuoto,
e rivoltato verso l’interno,
esaurisce completamente tutti i segreti più ingannevoli del mondo astratto di cui la pittura non figurativa può compiacersi,
è per questo che nei ritratti che ho disegnato
ho evitato prima di tutto di dimenticare il naso, la bocca, gli occhi, le orecchie o i capelli, ma ho cercato di far dire al volto che mi parlava
il segreto di una vecchia storia umana che è passata come morta nelle teste di Ingres o di Holbein.
A volte ho fatto venire, accanto alle teste umane, oggetti, alberi o animali perché non sono ancora sicuro dei limiti ai quali il corpo dell’io umano può fermarsi.
Del resto ho rotto definitivamente con l’arte, lo stile o il talento in tutti i disegni che si vedranno qui. Voglio dire, peggio per chi li considererebbe opere d’arte, opere di simulazione estetica della realtà.
Nessuno di essi è propriamente un’opera.
Sono tutti abbozzi, cioè colpi di sonda o di spatola dati in tutte le direzioni dal caso, dalla possibilità, dalla fortuna o dal destino.
Non ho cercato di curarvi i miei tratti o i miei effetti,
ma di manifestarvi delle specie di verità lineari evidenti che valgono tanto per le parole, le frasi scritte, quanto per il grafismo e la prospettiva dei tratti.
È per questo che numerosi disegni sono mescolanze di poesie e di ritratti, di interiezioni scritte e di evocazioni plastiche di elementi, di materiali, di personaggi, di uomini o di animali.
È così che bisogna accogliere questi disegni nella barbarie e nel disordine del loro grafismo ��che non si è mai preoccupato dell’arte» ma della sincerità e della spontaneità del tratto.
Antonin Artaud, Quaderno 316, giugno - agosto 1947
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susieporta · 2 days ago
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Il rifiuto delle proprie emozioni sgradevoli genera una sfiducia interna radicale rispetto alle proprie capacità percettive e al proprio senso di sé.
Personalmente, ho inibito a lungo le mie emozioni perché mi erano state vietate da piccolo dall'ambiente circostante.
Così come i miei bisogni affettivi.
La lealtà familiare è un vincolo così potente per il bambino, da spingerlo a rinunciare all'espressione di sé nel momento in cui tale espressione va contro le regole imposte dal sistema.
Se la rabbia, ad esempio, rappresenta un problema da gestire per mamma o papà, il piccolo verrà spinto a inibire questa emozione dentro di sé allo scopo di non disturbare chi si prende cura di lui.
Se il bambino urla, piange, strepita, per qualsiasi motivo, viene automaticamente ridotto al silenzio attraverso frasi ricattatorie e perentorie, del tipo: "In questa famiglia non si urla!", "Se non fai il bravo bambino niente regali", "Provaci ancora e vedrai che ti succede!".
Oppure attraverso modi di fare sottili, velati, come minacce paraverbali e soprattutto non verbali: occhiatacce, mani alzate, strattoni, scappellotti.
Tutto ciò genera nel piccolo un conflitto interno tra il bisogno sottostante all'emozione, e l'espressione emotiva stessa.
La rabbia si accompagnerà dentro di lui alla paura o al senso di colpa, provocando confusione emotiva, autodistrutività e insicurezza cronica.
Le emozioni non sono semplicemente "affetti", cioè qualcosa che patiamo.
Sono cognizioni incarnate.
La rabbia ad esempio ci dice che qualcosa non ci sta bene, e che se vogliamo stare meglio dobbiamo cambiare la situazione esprimendo il nostro sentire.
Ma se non possiamo esprimere, né sentire, quello che proviamo, il nostro mondo interno entra in crisi.
E il mondo esterno, di conseguenza, diventa ostile.
Ripristinare una relazione funzionale con le nostre emozioni, dunque, e con il nostro corpo, è la base fondamentale della salute psicofisica.
Come dice Alice Miller, l'autostima dipende dalla capacità di entrare in contatto ed esprimere in modo autentico i propri sentimenti.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
#armaturainvisibile
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succhinoallapesca · 3 months ago
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C'erano delle tende nei pressi di uno ospedale, nelle tende c'erano persone sfollate perché non hanno più un posto dove stare.
Perché da più di un anno non c'è più un posto sicuro nel senso letterale del termine.
Hanno bombardato proprio quell'ospedale e quelle tende.
Le tende hanno preso fuoco e chi non è riuscito a salvarsi è morto bruciato vivo.
Abbiamo foto di esseri umani letteralmente bruciati vivi.
Non sarebbe necessario dirlo, ma non c'era nessun mezzo a disposizione per spegnere l'incendio.
Persone-uccise-bruciate-vive: quando leggiamo queste frasi, fermiamoci.
Mettiamo tutto in pausa per cercare di capire. Immaginiamo, anzi, guardiamo le foto e concentriamoci.
Il cervello potrà comunque far fatica a concepire una cosa del genere, ma quel che significa è: i corpi hanno preso fuoco e sono arsi nelle fiamme.
E non per un incidente, non per un atto di psicosi, ma per una scelta consapevole data dalla convinzione che tanto quelle vite non valevano e non valgono niente.
È passato un anno e l'inimmaginabile continua, senza arrestarsi, ad essere perpetuato.
Non solo ieri notte, ogni giorno. Non solo ieri notte, mentre chi sopravviveva poteva vedere con i suoi occhi i propri cari bruciare vivi.
Ogni giorno.
(Inizialmente avevo scritto un post più lungo di questo, ma in realtà non voglio scrivere nient'altro. Solo i fatti. Non c'è bisogno di aggiungere altre parole)
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pensierodelgiornoblog · 7 months ago
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“Mentre l’uomo comune cerca di biasimare gli altri e biasimare il fato, il nobile cerca il difetto dentro se stesso.” - I Ching
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princessofmistake · 3 months ago
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Per aspera ad astra» «Attraverso le asperità [si giunge] sino alle stelle»
Si tratta di un famoso motto del mondo latino, più precisamente di un’esortazione a superare le difficoltà, a fare del proprio meglio e a impegnarsi per raggiungere i propri obiettivi. Si pensa che affondi le proprie origini nella lingua greca e che le sue radici rinvengano nella mitologia greca, secondo la quale solamente gli eroi, una volta morti, avrebbero avuto l’onore di raggiungere l’Olimpo.
Questo cammino “verso le stelle” era, quindi, riservato a chi aveva vissuto una vita impavida, ricca di asperità e pericoli, certamente essenziale per raggiungere la virtù e la gloria.
Il motto, sebbene sembri di recente formulazione, riecheggia in realtà frasi della tradizione letteraria. Pensiamo a Virgilio che nella sua Eneide (IX, 641) scrive “Sic itur ad astra”, con traduzione “Cosi si sale alle stelle” e ancora a Seneca che in Hercules furens (437) scrive “Non est ad astra mollis e terra via”, letteralmente “Non esiste alcuna via semplice dalla terra alle stelle”.
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papesatan · 1 year ago
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Ormai nessuno osa studiare con me, se non i disperati, i masochisti e i coraggiosi. Mi tremano innanzi, perché pretendo sempre il massimo (nulla più di quanto minacciosamente richiestomi dai genitori), laddove il massimo non sarebbe altro che una sufficiente capacità di rielaborazione del testo a parole proprie e un minimo di coerenza semantica e sintattica nella costruzione di frasi di senso compiuto fondate su soggetto, verbo e complemento (tutto questo a libro chiuso).
Sembrerà una banalità, ma nulla gli è più gravoso dell'organizzare un discorso armonico, per cui spesso tentano di mandare a memoria termini ed espressioni che risorgono mostruose dalla loro bocca, creature deformi e fuori contesto.
Di solito a questo punto m'arrabbio e li costringo a ripetermi TUTTO dall'inizio, finché non sono contento (ma non sono mai contento). Sommersi dall'ansia e dalla frustrazione, molti di loro non reggono e scoppiano allora a piangere. La mia reazione solitamente è aspra di fastidio, sono stanco, vorrei andare a casa e il tempo passato a piangere è solo tempo perso. Per quanto la mia anima sadica goda amaramente di quei pianti, esco un attimo da me ed entro in loro, mi calmo, mi ci siedo a fianco e li abbraccio, li consolo, li sprono. Ricominciamo, ma prima di farlo abbasso il livello di difficoltà da "Ultimo respiro" a "A fuoco lento", soprassiedo con dolcezza a libro aperto e fanculo i miei standard, fino alla prossima. So che non dovrei imporre a quei piccoli esseri la croce delle mie pedanti ossessioni, esigendo da loro una perfezione che non c'è, so anche che spesso e volentieri la vita là fuori gli chiederà di spingersi oltre la comfort zone di limiti autoimposti. Se non li si abitua a dare il massimo sotto pressione, teneramente cullati nella mediocrità, che adulti diventeranno? Evito di rispondermi e lascio che studino con le mie dipendenti, dolci, pazienti, comprensive. Almeno per un po' mi resterà la soddisfazione di non aver fatto piangere nessuno.
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svlaag · 3 months ago
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"L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido: intanto era tutto in ghingheri, belle frasi ben studiate e girate bene; adesso non voglio più scrivere così. E poi dicevo con calore e convinzione delle cose ovvie: del resto succedeva un po' a tutti, subito dopo la liberazione, di scaldarsi molto a dire delle cose ovvie: era anche giusto in un certo senso, perché in vent'anni di fascismo uno aveva perduto il senso dei valori più elementari, e bisognava ricominciare da capo, ricominciare a chiamare le cose col proprio nome, e scrivere pur di scrivere, per vedere se eravamo ancora delle persone vive.
Quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante; ma a me non è mai successo d'incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e di pietoso che non c'è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un gran pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare tradizione di soggezione e di schiavitù e che non sarà tanto facile vincere; m’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi induceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai. Due donne infatti si capiscono molto bene quando si mettono a parlare del pozzo oscuro in cui cadono e possono scambiarsi molte impressioni sui pozzi e sull'assoluta incapacità di comunicare con gli altri e di combinare qualcosa di serio che si sente allora e sugli annaspamenti per tornare a galla.
Ho conosciuto moltissime donne. Ho conosciuto donne con dei bambini e donne senza bambini, mi piacciono di più le donne con dei bambini perché so subito di cosa parlare, fino a quanti mesi l’hai allattato e dopo cosa gli hai dato e adesso cosa gli dai. Due donne insieme possono parlare all’infinito su questo tema. Ho conosciuto delle donne che potevano prendere il treno e partire lasciando i propri bambini per qualche tempo senza sentire una terribile angoscia e il senso di fare una cosa contro natura, vivere quietamente per molti giorni lontano dai bambini e non provare quella paura viscerale e inconsulta che sia successo loro qualcosa di male, come invece capita a me ogni volta; e non è che quelle donne non volessero bene ai loro bambini, gli volevano bene quanto io voglio bene ai miei ma semplicemente erano più in gamba. Ho incontrato donne tranquille ma poche, la maggior parte sono come me e non riescono a vincere quella paura viscerale e straziante e quel senso di fare una cosa contro natura ogni volta che si coricano in un letto d’una città straniera molti e molti chilometri lontano dai bambini. Ho cercato d’essere più in gamba che potevo in questo, ho cercato di dominarmi meglio che potevo e ogni volta che son salita in treno senza i bambini mi son detta: «Questa volta non avrò paura», ma la paura è nata sempre in me e quello che non ho ancora capito è se mi passerà quando i miei bambini saranno uomini, spero bene che mi passerà. E non posso pensare tranquillamente a girare i paesi come vorrei, a dire il vero ci penso sempre ma so bene che non mi è possibile farlo. Così ci sono delle donne canguri e delle donne non canguri, ma le donne canguri sono molte di più.
Io dunque ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto. Ho conosciuto donne che si trovano molto brutte e donne che si trovano molto belle, donne che riescono a girare i paesi e donne che non ci riescono, donne che hanno mal di testa ogni tanto e donne che non hanno mai mal di testa, donne che hanno tanti bei fazzoletti e donne che non hanno mai fazzoletti o se li hanno li perdono, donne che hanno paura d’essere troppo grasse e donne che hanno paura d’essere troppo magre, donne che zappano tutto il giorno in un campo e donne che spezzano la legna sul ginocchio e accendono il fuoco e fanno la polenta e cullano il bambino e lo allattano e donne che s’annoiano a morte e frequentano corsi di storia delle religioni e donne che s’annoiano a morte e portano il cane a passeggio e donne che s’annoiano a morte e tormentano chi hanno sottomano, e donne che escono il mattino con le mani viola dal freddo e una sciarpetta intorno al collo e donne che escono al mattino muovendo il sedere e specchiandosi nelle vetrine e donne che hanno perso l’impiego e si siedono a mangiare un panino su una panchina del giardino della stazione e donne che sono state piantate da un uomo e si siedono su una panchina del giardino della stazione e s’incipriano un po’ la faccia. Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi. Le donne incominciano nell’adolescenza a soffrire e a piangere in segreto nelle loro stanze, piangono per via del loro naso o della loro bocca o di qualche parte del loro corpo che trovano che non va bene, o piangono perché pensano che nessuno le amerà mai o piangono perché hanno paura di essere stupide o perché hanno pochi vestiti; queste sono le ragioni che danno a loro stesse ma sono in fondo solo dei pretesti e in verità piangono perché sono cascate nel pozzo e capiscono che ci cascheranno spesso nella loro vita e questo renderà loro difficile combinare qualcosa di serio. Le donne pensano molto a loro stesse e ci pensano in modo doloroso e febbrile che è sconosciuto a un uomo.
Le donne fanno dei figli, e quando hanno il primo bambino comincia in loro una specie di tristezza che è fatta di fatica e di paura e c’è sempre anche nelle donne più sane e tranquille. È la paura che il bambino si ammali o è la paura di non avere denaro abbastanza per comprare tutto quello che serve al bambino, o è la paura d’avere il latte troppo grasso o d’avere il latte troppo liquido, è il senso di non poter più girare tanto i paesi se prima si faceva o è il senso di non potersi più occupare di politica o è il senso di non poter più scrivere o di non poter più dipingere come prima o di non poter più fare delle ascensioni in montagna per via del bambino, è il senso di non poter disporre della propria vita, è l’affanno di doversi difendere dalla malattia e dalla morte perché la salute e la vita della donna è necessaria al suo bambino.
E ci sono donne che non hanno figli e questa è una grande disgrazia, è la peggiore disgrazia che possa avere una donna perché a un certo punto diventa deserto e noia e sazietà di tutte quelle cose che si facevano prima con ardimento, scrivere e dipingere e politica e sport e diventa tutto cenere nelle mani e una donna consapevolmente o inconsapevolmente si vergogna di non avere fatto dei figli e comincia a girare i paesi ma anche girare i paesi è un po’ difficile per una donna, perché ha freddo o perché le fanno male le scarpe o perché le si smagliano le calze o perché la gente si stupisce a vedere una donna che gira i paesi e ficca il naso di qua e di là. E tutto questo ancora si può superare ma c’è poi la malinconia e cenere nelle mani e invidia a vedere le finestre illuminate delle case nelle città straniere; e magari per un periodo abbastanza lungo riescono a vincere la malinconia e passeggiano al sole con un passo fermo e fanno all’amore con gli uomini e guadagnano del denaro e si sentono forti e intelligenti e belle né troppo grasse né troppo magre e si comprano dei cappelli strani con nodi di velluto e leggono dei libri e ne scrivono, ma poi a un certo punto ricascano nel pozzo con paura e vergogna e disgusto di sé e non riescono più a scrivere libri e neppure a leggerne, non riescono a interessarsi a niente che non sia il loro personale guaio che tante volte non sanno spiegarsi bene e gli dànno dei nomi diversi, naso brutto bocca brutta gambe brutte noia cenere figli non figli. E poi le donne cominciano a invecchiare e si cercano i capelli bianchi per strapparli e si guardano le piccole rughe sotto gli occhi, e cominciano a dover mettere dei grandi busti con due stecche sulla pancia e due sul sedere e si sentono strizzate e soffocate lì dentro, e ogni mattina e ogni sera osservano come il loro viso e il loro corpo si trasformi a poco a poco in qualcosa di nuovo e di penoso che presto non servirà più a niente, non servirà più a far l’amore né a girare i paesi né a fare dello sport e sarà qualcosa che invece loro stesse dovranno servire con acqua calda e massaggi e creme oppure lasciarlo devastare e avvizzire alla pioggia e al sole e dimenticare il tempo che era bello e giovane.
Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che dovono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch’io per la prima perché se no, certo, non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finché sarà così popolato d’una schiera di esseri non liberi."
Discorso sulle donne, Natalia Ginzburg
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