Tumgik
#poi se serve ti chiamano
omarfor-orchestra · 1 year
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Comunque al puntozero cercano sempre io ci sto pensando
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vintagebiker43 · 2 months
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@ Memorie di una vagina
Quando avevo 20 anni Morgan mi piaceva un casino.
Non che lo abbia mai propriamente amato, il mio unico vero amore del panorama italiano è sempre stato quel signore di Manuel Agnelli. Però mi piacevano i pezzi dei Bluvertigo e pure i suoi. Mi piacevano gli arrangiamenti che faceva dei classici della musica italiana. Mi piacevano gli stralci delle prime edizioni di X Factor in cui era giudice. Mi piaceva il suo eloquio forbito da tizio che ha fatto il classico. Mi piacevano i suoi spiegoni.
Mi piacevano anche le interviste che faceva con Daria Bignardi, in cui parlava, e suonava, e si raccontava, mettendosi a nudo, non per puro esibizionismo, ma per scelta. Perché l’imperfezione può essere una scelta, perché l’auto-miglioramento può essere un comandamento da rifiutare in un mondo che ti dice che puoi fare tutto ed essere tutto anche se non è vero.
Perché si può essere outsider, si può fare fatica, si può anche fallire, concludere poco, non fare un disco da chissà quanto, non trovare una collocazione, né la giusta ispirazione. Si possono avere dipendenze da cui non si guarisce, e custodire ferite che non si rimarginano, che spesso ne chiamano altre, e altre ancora peggiori, e tutto questo esiste, magari non luccica, ma è parte della vita. O almeno, questo era ciò che io vedevo nella sua parabola.
Ero, in modo sciocco e certamente puerile, affezionata alla sua fragilità, ai suoi denti da tabagista, gialli come i miei; alle foto che lo ritraevano giovane, truccato, con le unghie pittate in un’epoca di machismo; mi piaceva che fosse ribelle, imprevedibile, sempre un po’ strafatto come i poeti maledetti francesi, rock in quel senso autodistruttivo in cui molti artisti si sono dissolti in passato.
Oggi, dopo anni di liti pubbliche, sproloqui smodati, comportamenti misogini, sbrocchi omofobi, bullismi sanremesi, cause giudiziarie, simpatie discutibili, amicizie improbabili, tentativi stentati di tornare in sé, ma chi è poi questo sé verrebbe da chiedere, ebbene oggi leggo i fatti riportati da Lucarelli. Leggo gli screenshot dei suoi messaggi. E mi arrendo.
Provo solidarietà, per Angelica Schiatti che ha subito questa persecuzione (immaginate, immaginate le conseguenze psicologiche di certi messaggi).
Provo rabbia, per un sistema che lascia passare 4 anni dalla prima denuncia e intanto nulla di fatto, a parte ripetuti tentativi di indurre la vittima a trovare un accordo col suo stalker! Però, mi raccomando, a novembre dipingiamoci un baffo rosso sulla guancia, mentre contiamo il numero delle vittime sull’abaco impossibile della violenza di genere.
Provo delusione, per l’artista che ho apprezzato, per l’ignoranza che ha dimostrato, per la stupidità.
Provo disprezzo, per le connivenze sistemiche e istituzionali di cui questa violenza campa e prospera. Provo disgusto, per un uomo adulto, un uomo colto, uno che ha vissuto, uno che ama l’arte, la musica, la letteratura, e poi è capace di una tale miseria. Nel 2024. A cosa serve la cultura, se non ci salva dalla brutalità?
Infine, mi chiedo quanto ci si possa odiare, per fare di sé questa maschera grottesca. Quanto male si può invecchiare? Quanto in basso si può cadere? Quanto privi di amor proprio bisogna essere, per diventare questo genere di persona? Quando esattamente si decide di abdicare alla bellezza, di rinunciare alla civiltà? C’è un momento preciso o è un lento processo degenerativo?
Che gran peccato, ridursi così, Marco Castoldi, in arte Morgan. Non so se era questo ciò che desideravi per te. Non so cosa tu abbia mai desiderato per te. Non lo so. Non ti conosco. Per fortuna, mi tocca dire. Oggi mettiamo un punto. Definitivo. Di non ritorno.
Che gran peccato. Che cazzo di schifo.
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tananaifanblog · 3 months
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Per Tananai è stato molto strano.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere dopo aver scattato le foto che stanno in queste pagine, seduti per terra, al sole, nel piazzale di fronte al palazzetto del ghiaccio di Sesto San Giovanni. Dentro un palazzetto del ghiaccio (questa informazione potrebbe sconvolgere qualcuno) fa molto freddo, e Tananai ci è rimasto diverse ore per realizzare gli scatti, vestito per ragioni stilistiche in modi per nulla adatti alla suddetta temperatura.  La cosa non lo ha reso irascibile, ci scherzava e beveva molto tè caldo. È rimasto di buonumore fino all’ultima posa richiesta, ma senza quell’atteggiamento iper-performativo degli attori di Hollywood quando raccontano di aver perso 20 chili per un ruolo o di aver imparato a giocare a scacchi a livello professionistico in tre settimane. Era più un mood del tipo “non serve farne una tragedia”.
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Leggi l'intervista completa.
di JACOPO BEDUSSI 1 DIC 2022 ( GQ )
La carriera di Alberto Cotta Ramusino in arte Tananai ha subito un’accelerazione verticale e il 2022 è stato un anno densissimo di roba. Prima l’ultimo posto a Sanremo, festeggiato come se fosse il primo, con uno spirito tutto allegro e scazzato e chissenefrega non tanto da rockstar da manuale ma più da uno che delle cose prende solo il meglio e il resto va bene così. Una mossa ad altissimo rischio di trasformare chi la gioca in una specie di eterna macchietta. Rischio però ampiamente schivato e anzi occasione sfruttata alla perfezione, perché poi le canzoni c’erano, e piacevano davvero, senza i layer meta-ironici che avvolgono come carta stagnola certi fenomeni di TikTok fino a stritolarli nell’infinita ripetizione di sé. E quindi dopo il Festival i live in giro per l’Italia, con uno show un po’ anomalo in cui il nostro si divideva tra cantautore e party animal e dj. E gli amici artisti che ogni tanto saltavano fuori sul palco per una canzone insieme. Tutto sempre senza menarsela e senza trasformare i live in un carrozzone. Nel frattempo le lontrine (così si chiamano i fan, forse omaggio di sponda a Renato Zero ma non è dato sapere) approvano e acclamano, tanto dal vivo quanto su Twitter. E poi, di recente, la svolta che si potrebbe riassumere come “intimista” (che, mi dirà poi lui «è sempre stata parte di me, solo non l’avevo ancora tirata fuori») con Abissale che è «il riflesso inverso del mio stato d’animo degli ultimi mesi: in un momento particolarmente felice e caotico della mia vita mi sono guardato dentro, ho scavato nel mio passato e ho tradotto le mie emozioni più nascoste e malinconiche in questo brano. È un pezzo nato in modo molto naturale, in un giorno e mezzo era già pronto». Tananai insomma ha mischiato tutto, un po’ probabilmente per scelta e un po’ perché è accaduto e va benissimo così. Il successo adesso c’è, senza però essere di quelli che ti sparano nell’iperspazio e non capisci più niente. Sembra più uno che è riuscito a mettersi in contatto con le persone giuste, con un una specie di grande nicchia che lo apprezza e gli vuole bene senza idolatrarlo.
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ninoelesirene · 2 years
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Se c’è un regalo magico che non vorrei, un superpotere che non mi interessa è il mantello dell’invisibilità.
Quando sei per strada e una signora ti si fa incontro, attraversandoti con lo sguardo e urtandoti con la borsa, o l’uomo in sosta tra il negozio e la panchina non si fa da parte per lasciarti passare, in quei momenti vorrei la cappa della ipervisibilità. Vorrei ci fosse un modo per insegnarci a vedere prima degli occhi, a sentire che lo spazio è un bene condiviso, che va compreso, riempito con cura, lasciato vuoto quando serve.
Vorrei, allo stesso modo, che ci accorgessimo di quando è lo spazio interiore a essere violato o, al contrario, lasciato deserto. Le nostre stanze interiori chiamano gli altri a un’abitazione attenta. Possiamo scegliere di varcarne la soglia con discrezione, riordinando o aprendo le finestre, perché conosciamo quel perimetro, quelle mura, quell’arredo. Lo conosciamo, ma, soprattutto, vogliamo conoscerlo. Oppure possiamo restare fuori, fermi di fronte a una porta socchiusa, a una fessura oscura, dove si consumano un dolore, una tensione che non sappiamo vedere o ci fanno paura.
La scorsa mattina, durante una riunione, mi sono distratto. Senza che me ne accorgessi, lo sguardo è volato altrove, raggiungendo una delle mie stanze vuote. Un collega, mentre gli altri discutevano, ha intercettato quella parabola, mi ha raggiunto, discreto, nella stanza - una stanza che non conosceva, che non poteva conoscere - e, sottovoce, dall’altro lato del circolo, ha sussurrato semplicemente: Francesco. Poi mi ha sorriso, appena.
Ci ho pensato. Non è un mantello che ci renda visibili a risolvere il dilemma. La cappa dell’ipervisibilità sarebbe una meraviglia temporanea, ugualmente soggetta agli eventi. Un super potere, invece, non esiste senza che ce ne sentiamo responsabili, perché la magia è di chi vede, non di chi è visto. La magia è di qualcuno che ti sussurra “Francesco”, un martedì mattina in cui sei solo, nelle tue stanze segrete. E tanto basta.
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"I vecchi hanno solo un diritto: quello di morire."
“Potrei dire che chi l'ha detto è un cretino, ma invece dirò che è stato utile: ha rotto una ipocrisia, perchè è vero che diamo fastidio. L'ipocrisia sui vecchi è tremenda, se non ci salviamo da soli, è l'inferno".
-«La gente è diventata troppo seria, io ho 91 anni ma ho la fortuna di essere molto ironica, così non mi accorgo della presenza della morte che mi osserva da vicino pronta a prendermi, e la mattina continuo ad alzarmi contenta».
«Che gli anziani non servissero a mandare avanti il Paese forse poteva essere vero un tempo ma se oggi guardo all’età di molti grandi industriali, architetti, professori, scienziati, spesso vedo settantenni e anche ottantenni.
Ci chiamano nonnini, nonnetti, a parole ci vezzeggiano ma poi ci mettono nelle Rsa, prima di metterci nella tomba».
«Che diamo fastidio perché costiamo, perché siamo una spesa medica e sociale, perché prendiamo le pensioni, perché occupiamo posti negli ospedali e case o abitiamo in quelle dei figli e magari abbiamo la colpa di continuare a fare un lavoro. Io ho una rubrica delle lettere sul “Venerdì di Repubblica”, a un certo punto qualcuno ha cominciato a scrivermi, una minoranza per carità, che era tempo che lasciassi posto ai giovani. Nello stesso momento lo stesso pensiero è passato per la testa di colleghe più giovani. Io non mi considero inamovibile, se mi dicessero che le mie cose non interessano più, che sono rimbambita, non più capace di scrivere o fuori tempo allora farei subito un passo indietro, ma non per una questione anagrafica, non perché sono vecchia. Non è una colpa».
«Ho la fortuna di aver sempre lavorato e risparmiato e di poter essere ancora indipendente, ma te lo ripeto: i vecchi danno fastidio e la gente non accetta che possano ancora lavorare. Dieci anni fa, quando avevo appena passato gli 80, un giorno un giovane tassista che aveva sentito che parlavo di impegni di lavoro al telefono, alla fine della corsa mi chiese: “Ma lei ancora lavora? Ma non è tempo di smettere e riposarsi? Che cosa fa?” Risposi: “Sa, sono una cuoca, continuo a cucinare”. A quel punto lui disse: “Ah, allora ok”. Se stai in cucina può andare bene, non disturbi troppo…».
«Ti regalo una notizia: non tutti i vecchi sono sordi! Questa è un’altra cosa che mi fa impazzire, ti parlano e gridano o scandiscono le parole, come se fossi sorda o rincretinita. Ci trattano come i bambini e ogni frase finisce con il sorriso. Poi ci sono quelli che vogliono rassicurarti e con tono consolatorio ti dicono: “Dai, che vivrai fino a cent’anni”. Ma fatti gli affari tuoi, io non ho futuro ma ho un bellissimo passato, ho vissuto nell’Italia meravigliosa della ricostruzione e del boom economico e sono piena di memorie che mi tengono compagnia, non ho bisogno di compassione».
«Io, da giovane, i vecchi nemmeno li vedevo, non ho mai conosciuto i miei nonni e vivevo sempre tra i miei coetanei. Quando avevo 16 anni ricordo che i miei amici erano tutti innamorati di una ragazza bellissima che di anni ne aveva 26, io ero stupita e continuavo a chiedere: ma come fa a piacervi una così vecchia?! Quante cose ho visto, durante la guerra ho assistito al matrimonio di una mia amichetta che aveva 14 anni e che aveva avuto la dispensa dal vescovo per sposarsi con un ragazzo che partiva per il fronte. Mi piacciono tanto le storie del passato, le conservo con cura, ma senza alcun rimpianto».
«Porto sempre con me il bastone quando esco, mi aiuta a camminare ma serve anche molto, non tanto per difesa quanto per offesa, mi è utile con i giovanotti maleducati o con i vecchi che non sanno stare al mondo. Poche settimane fa, durante il mio piccolo giro intorno a casa, ho dato dei soldi a un ragazzino africano. Un signore mi ha vista e ad alta voce ha cominciato a criticarmi, dicendo che venivano dall’Africa per colpa di gente come me che li mantiene e li foraggia; gli sono andata incontro mentre continuava a criticarmi, ho alzato il bastone e gliel’ho messo sotto il mento e gli ho detto soltanto: “Non permetterti di dire un’altra parola, fascista”. Si è dileguato».
«Vivo alla giornata, la mia vita comincia la mattina quando mi sveglio e finisce quando vado a letto la sera, sperando sempre di morire nel sonno. Sai, io non sono vecchia, non sono un’ottantenne, io sono ultra-vecchia, penso spesso che potrei avere un figlio di più di settant’anni».
«A chi è giovane oggi vorrei dire: “Svegliatevi, informatevi, leggete libri, è una cosa che costa poco, puoi fare da solo e riempie di gioia”. Non è mai tempo perso!»...
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Natalia Aspesi
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odioilvento · 2 years
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Mi hanno appena detto di un uomo che si è suicidato, lasciando un figlio di sei anni, perché la moglie gli ha detto che si è innamorata di un altro.
Non ho mai capito questa cosa. Perché uno dovrebbe morire, soprattutto per un'altra persona. Da sempre, da quando andavo alle medie, ho intorno persone che tentano il suicidio. Compagne che volevano buttarsi da un parapetto e chiamavano me. Amiche che prendono pastiglie per stronzate amorose o perché sono grasse e poi ti chiamano così vai a farle vomitare. Conoscenti che li saluti al bar la sera prima e che te li ritrovi impiccati sulle scale la mattina dopo. Conoscenti diagnosticati depressi che mi raccontano quando si sono tagliati le vene e lì forse capisco il motivo familiare che c'era dietro, ma non capisco la scelta del suicidio.
Non ci arrivo proprio al perché uno dovrebbe non voler esserci più. Nessuno ha una vita come la vuole, la vita ti consegna cose che non vuoi, che non ti aspetti, che pensi di non poter sopportare, che ti fanno chiedere "perché io, perché a me?" Chi più chi meno tutti abbiamo un casino, ma non ho mai pensato di ammazzarmi, soprattutto per un'altra persona. Ho pensato lo facesse un lui, tantissimi anni fa, ma poi era una scemata pensarlo.
Tutto si può cambiare, tutto si può sopportare, ci si fa aiutare da persone competenti se non ce la si fa da soli, si sta nella merda il tempo che serve e poi si riparte. È troppo facile scegliere di andarsene.
So che sull'ultima frase tanti storceranno il naso, ma per il mio vissuto non riesco mai a trovare un motivo per capire quel gesto.
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susieporta · 1 year
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Prima di giudicare bisognerebbe capire che...
È una questione di leggi interiori: nel momento in cui, tratti una persona con tutti i riguardi, con amore e con rispetto, lei esteriormente apprezzerà moltissimo e forse anche ti ricambierà; mentre, al suo interno invece, per la legge del pendolo, inizieranno ad attivarsi i suoi lati ombra, lati subconsci che prima o poi ti attaccheranno, o che pretenderanno da te un qualcosa, o che si vendicheranno per qualche motivo del tutto sconosciuto ed incomprensibile.
E se anche tu, possiedi ancora dei lati ombra, a tua volta ti farai agganciare e quindi reagirai nella stessa identica maniera, accusando l'altro di aver tradito la tua fiducia, e che quindi è giusto fargliela pagare.
Serve consapevolezza per vedere che siamo solo delle marionette in mano a delle forze oscure subconsce, e decidere di trovare una maniera, un mezzo, per svegliarsi.
L'amore attira amore, ma attiva anche il suo opposto: vedi la Legge del Pendolo.
Sopratutto in assenza della terza forza, quella Riconciliante, vedi: La Legge del Tre.
Lo vedi quando inizi a dare un dito, e poi una mano, e poi un braccio che gli altri (inconsciamente) pretendono sempre di più, spesso con la forza, in quanto, si attivano in loro, dei lati ombra legati all'avidità, all'arroganza, all'orgoglio, all'egocentrismo, alla vanità, ed infine alla violenza.
Finché non diventeremo totalmente coscienti e consapevoli di noi stessi, saremo solo delle marionette in balia di fili invisibili, senza alcuna libertà di scelta; sotto il potere di ciò noi chiamiamo "meccanicità" ed "inconsapevolezza", uno stato di "assenza da se stessi", e che le tradizioni orientali chiamano Karma.
E tutto questo solo per fare notare che serve molto Lavoro per liberarsi da questi automatismi e si vuole realmente divenire liberi e coscienti, non solo delle marionette.
Roberto Potocniak
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gcorvetti · 1 year
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Buongiorno.
Oggi mi sono svegliato prestissimo e oltre a leggere le notizie, che dire che fanno schifo è un complimento, ho dato uno sguardo alle email, siccome ieri dopo 4 giorni ho scritto alla tizia della ditta delle scatole, dicendole che l'offerta fatta da lei è alta (per non dire assurda) e che magari sceglierò un articolo dal catalogo se non trovo altro, lei oltre ad avermi risposto quasi alle 4 di notte, chissà in che stato, mi dice che "eh si è meglio scegliere dal catalogo che chiedere una scatola custom che costa di più". Adesso non per essere puntiglioso ma avevo solo chiesto un tipo di cartone diverso per una misura che hanno in catalogo, che ci vuole a cambiare materiale senza cambiare il registro della macchina? Boh, forse non ha capito, che faccio la delucido o passo oltre? Ci penso su, alla fine a me serve una scatola decente per il mio gioco e che non costi 3€. Poi ho fatto un salto su FB, anche se oramai lo tengo solo per sfizio e non posto quasi mai, posto più qua che la per dirne una, comunque, scrollando o come dice un tizio sgrullando in basso ho notato un annuncio, non di quelli sponsorizzati che poi ti arrivano pubblicità a non finire, ma l'annuncio di una scuola di musica la Rokikooli di Roll, un tizio che suona la batteria in una band punk storica estone e che grazie a questa cosa si è aperto 2 locali e sta scuola di musica, cercano un insegnante di chitarra, non ricordo se avevo già scritto un paio di anni fa, insegnare non è proprio il mio obbiettivo come musicista, ma potrebbe darmi una mano economica e resterei nella musica, ho insegnato 3 anni in un istituto privato a Catania, Muzio Clementi si chiamava mi pare che andò in fallimento nel 99 o giù di li, dovrei chiedere a Martines visto che insegnava anche lui la, ma poco importa (ho controllato sembra che esista ancora e ha cambiato sede, ma come detto poco importa). L'unico problema sarebbe la lingua, non ho proprio le capacità linguistiche per impostare un corso di chitarra in estone se si può fare in inglese bene se no pazienza, finito qua scrivo magari mi chiamano per un colloquio chi lo può mai dire, dovrei anche rispolverare gli esercizi didattici di una volta e renderli moderni, ho studiato chitarra 40 anni fa, molte delle cose che ho studiato sono ancora validissime ma secondo me hanno bisogno di una rinfrescata per evitare che i giovani di oggi si annoino e abbandonino lo strumento, eh si all'inizio è una rottura per molti, alcuni, ricordo, che non tolleravano gli esercizi quelli semplici perché li trovavano tediosi, ma figlio mio (all'allievo) se non sai camminare come puoi metterti a correre?
Per il resto quasi tutto normale, le temperature stanno scendendo e la sera fa già fresco, purtroppo la mia lei è ancora in fase estiva e vuole dormire con la finestra aperta, io direi che è anche arrivata l'ora di chiuderla, vediamo come finisce sta diatriba.
Poi ci sarebbe il lavoro che ho appena finito, che nonostante sia finito il proprietario non chiude il contratto, non si è fatto sentire più, beh mi deve dei soldi, mi aveva chiamato per fare 5gg filati la scorsa settimana, quando lui stesso mi aveva cancellato i giorni per mobbizzarmi, allora sei coglione, comunque sta cosa è facilmente risolvibile, gli porto i vestiti (maglietta e grembiule) e gli dico di darmi i soldi, possibili scenari : 1. Mi dice che i soldi me li da il mese prossimo dritti nel conto bancario, e qua c'è solo da aspettare; 2. Che i soldi non me li da perché secondo lui (e anche Spock) mi sono comportato male, adesso levando lo schifo che fa quel posto e restando sul contratto ho fatto il mio, non sono mai arrivato in ritardo, mai ho gettato la spugna, anche quando stavo collassando per la mancanza di aria in una cucina che sta al di sotto del manto stradale e quando mi sono sentito male per via della contaminazione del pesce, ma sono riuscito a restare vigile e non collassare del tutto anche se ci sono andato vicino. Se fa il furbo scrivo a quelli dell'ispettorato del lavoro e fargli fare una visitina, io il lavoro l'ho fatto tu mi dai i soldi e ci siamo visti, non mi dai i soldi ti inculo senza vasella, non ho mezzi termini.
Buona giornata.
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quiiescenza · 1 year
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Ciao!
Riguardo a tuo nipote: l'autismo si manifesta abbastanza precocemente, poi dipende anche dallo spettro in cui il bambino si posiziona (quelli che una volta erano considerati autistici gravi sono evidenti da subito perché non fanno nulla come gli altri bambini, mentre chi è meno grave può andare avanti per anni senza una diagnosi vivendo tutte le difficoltà che l'autismo comporta senza un supporto.)
La questione è che più che fare delle illazioni dovrebbero parlarne con le insegnanti (che spesso individuano i bambini con difficoltà e possono dare dei consigli) e poi rivolgersi a chi di dovere per fare un iter e, in caso sia autistico sul serio, avere poi una diagnosi che serve a lui per avere determinate facilitazioni a scuola e, se molto molto grave, avere diretto alla 104. Ora, io consiglio anche di andare privatamente ma per una certificazione che vada bene anche alla scuola si deve andare con il pubblico, che ultimamente sta stringendo i cordoni della borsa (alias, a meno che non sia indubbiamente grave, non fanno diagnosi anche a chi ha delle difficoltà visibili) e può anche essere che rifiutino la diagnosi privata adducendo il covid come causa per eventuali ritardi nell'apprendimento e nella socializzazione (anche se le loro diagnosi fatte post covid valgono).
Quello che io consiglio perché, anche se non sono una specialista e so solo quello che ho vissuto, è di essere molto incoraggianti con il bambino, di non fargli pesare l'autismo (sempre che ce l'abbia) e di lavorare il più possibile per l'autonomia, oltre a non parlare di lui come il paziente x perché i bambini capiscono e sentono tutto.
Questa è una conferenza ma ho pensato che magari fosse utile una visione di insieme del meccanismo.
Poi davvero se ti è possibile fai in modo che venga trattato il più normalmente possibile invece di diventare il "poverino" di turno, perché sicuramente ha delle buone capacità e essere compianto o trattato come un animaletto non lo aiuta a diventare grande. È comprensibile che per i genitori sia una grande botta ma è il bambino a esserne colpito per primo, non loro.
E non è detto che sia autistico, magari i suoi prendono lampade per lanterne eh.
Poi se hai altre domande chiedi pure, Non sono un'esperta ma ho lavorato un paio d'anni alla primaria e ho un'idea, anche se non precisissima, di come tutto questo funzioni
Grazie mille!
Allora, il bambino ha 7 mesi ma già verso i 3/4 mesi hanno iniziato a dire che il bimbo fosse autistico, creando un polverone mostruoso. Hanno fatto consulenze su consulenze, sia nel pubblico che nel privato.
Il problema principale è che da quando è nato mia cognata cerca di trovare malattie nella bambino (tant'è che all'ospedale la tengono sott'occhio, al punto da fare vari test antidroga etc).
Dal primo momento lei ha dormito invece di svegliarsi e accogliere i bisogni del bimbo, è depressa e ha altri problemi... E mio fratello deve fare tutto.
Loro dicono che non li guarda negli occhi, è anaffetivo e non si gira quando lo chiamano. Io... Boh
Ho diecimila domande, ma soprattutto preoccupazione per il piccolo. Loro parlano di un figlio malato e disabile, di una disgrazia, che non vogliono passare la vita a fare terapia... Mi fanno sentire male solo a sentirli
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goodbearblind · 3 years
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"Katiuscia Girolametti, mamma di Daniele, racconta:
"La mamma di un bambino con disabilità, è una donna che non dorme mai, è una donna che prende decisioni d’impulso, che si lancia e si dondola senza mai abbandonarsi.
Questa mamma non abbassa mai le spalle, non tira il collo, non sgrana gli occhi.
Questa mamma mangia fette grandi di vita quando può fino a scoppiare.
Questa mamma non ha mai sensi di colpa durante il giorno, non ci pensa, non ha tempo.
Questa mamma vive ad alto volume, non ha mai i capelli in ordine, non ha mai la pelle liscia.
Questa mamma si innamora sempre, di tutto, si sorprende quando la vita la meraviglia.
Sapete che molti dei nostri figli non sono nemmeno in grado di scrivere, di parlare, figuriamoci un “auguri mamma” oppure un “ti voglio bene”.
Molti dei nostri figli resteranno eternamente bambini…
Quando arriva la festa della mamma ci rifilano il solito cartoncino scarabocchiato, oppure quel sasso di pasta di sale fatto da chissà chi, vogliono dargli quel merito e farci credere soprattutto che noi ne abbiamo bisogno…
Abbiamo veramente bisogno di uno stupido disegno stampato, sapendo che lui, nostro figlio, probabilmente nemmeno era in classe in quel momento?
Ma sapete noi di cosa abbiamo bisogno realmente?
Di un vaffanculo liberatorio.
Sì!
Quelli incazzosi contro la vita, contro la società, contro gli uomini, contro il mondo.
Vaffanculo tutti.
Sì… senza motivo.
Non perché siamo portatrici di rabbia, ci serve solo per spingere quel sasso che comprime sui polmoni, quel bottone troppo stretto, quelle scarpe cosi alte, quel nodo tra i capelli, quello che ci fa vivere in apnea, quello che tutti chiamano: disabilità, un abito che noi indossiamo divinamente bene.
Spesso mi dicono che sono una mamma speciale, forse perché mi vedono destreggiare una sedia a rotelle con uno bel ragazzo, oppure mi chiedono come faccia da sola, chi mi aiuti, dove trovi la forza… Quelle teste inclinate con gli sguardi pietosi, quelle facce impaurite..
Daniele non ama la confusione, i pericoli, i gonfiabili, le urla, gli odori forti, non ama tutto ciò che non è prevedibile, calcolato o quantomeno studiando prima, diciamo che per noi le feste sono una vera tortura, soprattutto per lui. Ho provato a portarlo a queste feste per dargli un briciolo di socialità ma poi ovviamente abbiamo rinunciato.
Ma un pomeriggio, ad una di queste feste, seduta su una sedia di plastica con Daniele di fianco, tentavo di isolare la mente da quella musica assordante e da quella puzza di fritto, avevo la nausea e il sudore degli altri sulla gola…
Mamme sorridenti e truccatissime sfilavano su tacchi alti e sfoggiavano maglie nuove, io sentivo i miei occhi chiudersi, inadeguati come una macchia nera sul divano bianco, indossavo le converse, i jeans strappati, una mezza coda e contavo i minuti guardando la porta.
Daniele, se ne stava immobile ad osservare quel trambusto, la schiena poggiata ferrea, la bocca schiusa dalla quale fuori usciva la bava e la testa chissà dove, sicuramente fuori di lì.
Una bambina passando lo guardò e disse: “che schifo!”.
Fu la prima volta che dissi una parolaccia ad una bambina, mi chiedo ancora oggi se fosse stato giusto come poi dissero alcuni presenti, oppure no.
D’istinto la mia risposta non fu felice e di conseguenza lei esplose in una crisi isterica e di paura. Nonostante la mia sensibilità non mossi un dito e non dissi neppure un banale “scusa”.
Ci misi giorni per realizzare, accompagnata da fiumi di pianto, la mia impotenza davanti alle sue parole.
Lo pensai vomitando il mio orgoglio, la bambina aveva centrato l’obiettivo, sparato in pieno e io non ero pronta, per l’ennesima volta.
– Era soltanto una bambina, dai…
– E se quello fosse stato tuo figlio?”"
In foto Katiuscia con Daniele
Fonte: Vorrei prendere il treno https://www.facebook.com/vorreiprendereiltreno/photos/a.344324279065152/2118348451662717/?type=3
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ma-come-mai · 3 years
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BREVE STORIA DI UN MULO CHE CREDETTE ALL' UOMO
Un giorno, un mulo se ne stava felice e solitario a brucare erba su un pianoro.
Arrivò un uomo e gli parlò: "Mulo, ma cosa fai qui, tutto solo, non sai che hanno avvistato branchi di lupi famelici a nord?"
"Sto mangiando. Non so nulla di questa storia" rispose il mulo.
"È tutto vero! Sei in pericolo. Perché non vieni con me, ho una casa grande, e fuori ci sono dei recinti di legno che possono bloccare qualsiasi lupo. D'inverno ho anche casette calde, piene di paglia. Ci sono altri muli come te. E poi, perché dovresti limitarti a stare a testa china a mordere questa erbetta? Sempre lì, a casa mia, dove ci sono i recinti, ho mangiatoie piene dove non dovresti neppure chinarti di pochi centimetri, perché sono all'altezza della tua bocca. Lo faccio per il tuo bene". Il mulo si lasciò convincere e seguì l'uomo.
Una volta arrivati in quella terra promessa, che altro non era che una fattoria, l'animale venne fatto entrare in uno stazzo. Era tutto vero, nessun lupo poteva entrare, le mangiatoie erano piene e c'erano altri simili a lui.
Il mulo iniziò a guardarsi intorno e vide che gli altri muli avevano degli strani pezzi di ferro sotto gli zoccoli.
"Servono per non farti scivolare e per proteggere gli zoccoli" disse un mulo, vedendolo incuriosito.
"Interessante, quell'uomo è proprio buono. Cosa sono quegli strani oggetti riposti dietro le staccionate?"
"Servono per farci stare meglio mentre facciamo esercizio fisico che ci mantiene in salute".
"Ah, quell'uomo deve essere proprio buono davvero, allora!" mentre così diceva, un altro mulo, molto anziano, coperto di fango, lo chiamò: "Giovane, vieni qui, devo parlarti! ".
"Cosa c'è, vecchio mulo?"
"Non dargli ascolto, loro non vedono più la realtà. Sono convinti che tutto serva per proteggerli e farli stare bene".
"E non è così?"
"No! Eravamo tutti liberi, un tempo. Quell'uomo ci convinse che c'era una minaccia, ci propose una soluzione e a noi parve cosa buona e giusta".
"Ma lo steccato ci protegge davvero dai lupi!"
"Lo steccato serve a non farti uscire. Sei prigioniero!"
"Ma c'è cibo in quantità, quell'uomo ce lo dà senza nulla chiedere!"
"Quell'uomo ce lo dà perché senza non ce la faremmo a lavorare per lui!"
"Lavorare?"
"Sì, proprio con quelle cose che ti sei messo a guardare!"
"Gli oggetti per l'allenamento?"
"Capestro, morso, briglie, groppiera, tirella pettorale... così le chiama l'uomo, e non sono per farci fare allenamento, ma per farci lavorare la terra e portare legna sulla groppa!"
"Mio Dio, ma questo è un inferno! Ma perché nessuno reagisce?"
"Perché ognuno di quei muli non ha creduto a quello che io ti ho detto, e non ci credetti neanche io quando una volpe me lo disse, anni fa. Non c'era nessun lupo, e quell'uomo voleva solo schiavizzarci. Ci abituò ad una fatica alla volta, ad un finimento alla volta, ad una privazione alla volta".
"Ma gli altri muli che non ti credono non vedono che hai ragione nei fatti? Non vedono che sono prigionieri e che fanno gli schiavi?"
"No, sono ancora convinti che ci siano i lupi, che gli steccati li proteggano, che il padrone sia un filantropo che gli dà da mangiare e li rende sani e forti con l'esercizio fisico".
"Ma come è possibile?"
"Si chiamano credenze, giovane mulo. Se credi fermamente in qualcosa che pian piano ti è stata fatta passare per verità, non cambierai idea in merito se la tua mente non fa uno sforzo e riconosce di aver sbagliato. La mente di quei muli deve essere coerente con ciò che ha ritenuto verità. Ammettere di aver sbagliato richiede umiltà e apertura, ma loro hanno una mente chiusa e superba, tante paure, soprattutto di vivere, e così restano felicemente schiavi, pensando che un giorno i lupi spariranno e loro saranno liberi di andar via e tornare qui a mangiare senza chinare il capo ed a fare esercizi per essere belli e forti".
"Li convincerò che non è così".
"E perderai tempo, oltre a prendere calci. Mina la sicurezza di una mente chiusa e l'unica cosa che otterrai sarà la sua condanna. Ti considererà pazzo, addirittura pericoloso. Preoccupati piuttosto di lasciare questo recinto, prima che le briglie ti segnino la bocca e i pesi ti pieghino la schiena. Quando lo farai porta anche me. Sono stanco di ricoprirmi di fango".
"Perché lo fai?"
"Vedi altri muli vecchi, qui? Quel 'filantropo' si libera di tutti i muli che non possono più servirlo. Dopo una vita di sacrifici, questa è la ricompensa". Dopo quelle parole, il mulo selvaggio iniziò a ragliare disperato.
"È inutile che ragli, per loro non puoi fare più niente; ciò che è utile è sottrarti in silenzio alla terrificante schiavitù mascherata che chiamano impunemente 'sicurezza' . E ricorda sempre, quando sarai libero, che le parole più pericolose per chi libero è nato sono: «Lo faccio per il tuo bene»".
(A. Frezza)
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vintagebiker43 · 2 years
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"I vecchi hanno solo un diritto: quello di morire."
“Potrei dire che chi l'ha detto è un cretino, ma invece dirò che è stato utile: ha rotto una ipocrisia, perchè è vero che diamo fastidio. A parole ci vezzeggiano, ma poi ci mettono nelle RSA, prima di metterci nella tomba.L'ipocrisia sui vecchi è tremenda, se non ci salviamo da soli è l'inferno".
-«La gente è diventata troppo seria, io ho 91 anni ma ho la fortuna di essere molto ironica, così non mi accorgo della presenza della morte che mi osserva da vicino pronta a prendermi, e la mattina continuo ad alzarmi contenta».
«Che gli anziani non servissero a mandare avanti il Paese forse poteva essere vero un tempo ma se oggi guardo all’età di molti grandi industriali, architetti, professori, scienziati, spesso vedo settantenni e anche ottantenni. Potrei dirti che chi lo ha detto è un cretino, ma invece ti dirò che è stato utile: ha rotto un’ipocrisia, perché è vero che diamo fastidio. Ci chiamano nonnini, nonnetti, a parole ci vezzeggiano ma poi ci mettono nelle Rsa, prima di metterci nella tomba. L’ipocrisia sui vecchi è tremenda, se non ci salviamo da soli è l’inferno. Ogni giorno vedo ciò che accade intorno a me e come vengono considerate le persone della mia età».
«Che diamo fastidio perché costiamo, perché siamo una spesa medica e sociale, perché prendiamo le pensioni, perché occupiamo posti negli ospedali e case o abitiamo in quelle dei figli e magari abbiamo la colpa di continuare a fare un lavoro. Io ho una rubrica delle lettere sul “Venerdì di Repubblica”, a un certo punto qualcuno ha cominciato a scrivermi, una minoranza per carità, che era tempo che lasciassi posto ai giovani. Nello stesso momento lo stesso pensiero è passato per la testa di colleghe più giovani. Io non mi considero inamovibile, se mi dicessero che le mie cose non interessano più, che sono rimbambita, non più capace di scrivere o fuori tempo allora farei subito un passo indietro, ma non per una questione anagrafica, non perché sono vecchia. Non è una colpa».
«Ho la fortuna di aver sempre lavorato e risparmiato e di poter essere ancora indipendente, ma te lo ripeto: i vecchi danno fastidio e la gente non accetta che possano ancora lavorare. Dieci anni fa, quando avevo appena passato gli 80, un giorno un giovane tassista che aveva sentito che parlavo di impegni di lavoro al telefono, alla fine della corsa mi chiese: “Ma lei ancora lavora? Ma non è tempo di smettere e riposarsi? Che cosa fa?” Risposi: “Sa, sono una cuoca, continuo a cucinare”. A quel punto lui disse: “Ah, allora ok”. Se stai in cucina può andare bene, non disturbi troppo…».
«Ti regalo una notizia: non tutti i vecchi sono sordi! Questa è un’altra cosa che mi fa impazzire, ti parlano e gridano o scandiscono le parole, come se fossi sorda o rincretinita. Ci trattano come i bambini e ogni frase finisce con il sorriso. Poi ci sono quelli che vogliono rassicurarti e con tono consolatorio ti dicono: “Dai, che vivrai fino a cent’anni”. Ma fatti gli affari tuoi, io non ho futuro ma ho un bellissimo passato, ho vissuto nell’Italia meravigliosa della ricostruzione e del boom economico e sono piena di memorie che mi tengono compagnia, non ho bisogno di compassione».
«Io, da giovane, i vecchi nemmeno li vedevo, non ho mai conosciuto i miei nonni e vivevo sempre tra i miei coetanei. Quando avevo 16 anni ricordo che i miei amici erano tutti innamorati di una ragazza bellissima che di anni ne aveva 26, io ero stupita e continuavo a chiedere: ma come fa a piacervi una così vecchia?! Quante cose ho visto, durante la guerra ho assistito al matrimonio di una mia amichetta che aveva 14 anni e che aveva avuto la dispensa dal vescovo per sposarsi con un ragazzo che partiva per il fronte. Mi piacciono tanto le storie del passato, le conservo con cura, ma senza alcun rimpianto».
«Porto sempre con me il bastone quando esco, mi aiuta a camminare ma serve anche molto, non tanto per difesa quanto per offesa, mi è utile con i giovanotti maleducati o con i vecchi che non sanno stare al mondo. Poche settimane fa, durante il mio piccolo giro intorno a casa, ho dato dei soldi a un ragazzino africano. Un signore mi ha vista e ad alta voce ha cominciato a criticarmi, dicendo che venivano dall’Africa per colpa di gente come me che li mantiene e li foraggia; gli sono andata incontro mentre continuava a criticarmi, ho alzato il bastone e gliel’ho messo sotto il mento e gli ho detto soltanto: “Non permetterti di dire un’altra parola, fascista”. Si è dileguato».
«Vivo alla giornata, la mia vita comincia la mattina quando mi sveglio e finisce quando vado a letto la sera, sperando sempre di morire nel sonno. Sai, io non sono vecchia, non sono un’ottantenne, io sono ultra-vecchia, penso spesso che potrei avere un figlio di più di settant’anni».
«A chi è giovane oggi vorrei dire: “Svegliatevi, informatevi, leggete libri, è una cosa che costa poco, puoi fare da solo e riempie di gioia”. Non è mai tempo perso!»...
Immensa e unica Natalia Aspesi
-- Autore sconosciuto
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libero-de-mente · 3 years
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IL PRINCIPE AZZURRO
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(quello in calzamaglia per intenderci)
In realtà in fondo in fondo, alcune donne ancora ci sperano.
Magari non propriamente chiamandolo principe azzurro, magari lo chiamano "Uomo psico stabile", insomma che non sia uno dei famosissimi "casi umani".
Che devo ancora capirla questa cosa dei "casi umani".
Va beh, ma ne riparleremo.
Il principe azzurro dicevo, se dopo il bacio il principe azzurro, avesse detto: “Vabbè ma mica stiamo insieme” le donne si sarebbero risparmiate un casino di complicazioni inutili.
Prendiamo la Bella Addormentata, lei voleva dormire e il principe azzurro è andato a rompergli i coli*ni.
Oppure Biancaneve, non ce la faceva più con quei sette piccoli rompipalle, si mette in modalità stand-by per riposare e arriva lui… in calzamaglia azzurra.
Che poi oggi lo stanno accusando di aver baciato Biancaneve senza consenso.
"Doveva prima chiederglielo" dicono, ma se era addormentata per la mela avvelenata, dico io. "Ah, pure tentativo di omicidio?!", come non detto, lasciamo perdere.
Secondo me non arriverà mai nessun principe azzurro, oggi sono troppo occupati a sistemarsi il ciuffo e le la pulizia viso dall'estetista.
Volevo dare una dritta alle donne che stanno cercando il principe azzurro: al Disney Store l'ho visto in offerta a euro 29,90.
Ma perché invece del principe azzurro non cercano un Alberto Angela?
Una confidenza, il principe azzurro è più depilato della principessa… fatevi due ragionamenti e poi ne riparliamo.
Del resto se uno va in giro chi i leggins celesti e aderenti rischia che i peli fuoriescono dal tessuto.
Ma torniamo alle cose pratiche, un altro consiglio che do alle donne è questo: controllate sempre se il principe azzurro ha la fede al dito.
Alcune donne cercano il principe azzurro tra i rospi del laghetto. Cominciano con un bacio e poi si fanno tutti i rospi, poi le lontre, i castori e mezzo bosco.
Spesso il principe azzurro è uno psicolabile e pieno di complessi. Meglio il lupo cattivo o un vampiro a questo punto.
Credo che il principe azzurro spesso si trova fra quegli uomini a cui le donne abbiano detto: “No, mi spiace, ma ti vedo solo come un amico”.
Sono così intriganti e fuori dagli schemi le principesse che non guardano al principe azzurro ma si metterebbero con lo sguattero del castello, vuoi mettere?
Paulo Coelho disse: "Nei racconti d'infanzia, le principesse baciano i rospi, e questi si trasformano in principi. Nella vita reale, le principesse baciano i principi, e questi si trasformano in rospi".
Le donne dovrebbero comprendere che spesso il principe azzurro non arriva su un cavallo bianco sguainando la spada, ma arriva a piedi e si è anche perso un paio di volte prima di arrivare, ma prima o poi arriva.
Se proprio una donna vuole ostinatamente un principe azzurro che si prenda un tizio a caso e lo vernici d’azzurro.
Per una donna arriva il punto in cui deve scegliere: o fa la principessa che aspetta di essere salvata dal principe azzurro, o fa la guerriera che si salva da sola.
Ho il dubbio che il principe azzurro ha preso lezioni da Babbo Natale. Si è fatto insegnare il modo migliore per non farsi trovare da nessuno.
Occhio che da principesse a princi-fesse è un attimo.
Bisogna rivalutare il cavaliere nero. E non pensate subito al nero di WhatsApp che vi leggo nel pensiero, birichine.
Una volta le ragazze bramavano il principe azzurro, oggi il corriere Amazon, i ragazzi la principessa oggi il pony pizza.
Tutte cercano il principe azzurro, ma poi si sposano. Mi chiedo che malattia è quella che fa sposare.
Che poi diciamocela tutta non a tutte le principesse serve il principe azzurro per svegliarsi. Per alcune basta un caffè.
Sicuri che il sogno di una donna sia trovare il principe azzurro? Secondo me è quello di abbuffarsi a volontà senza prendere un chilo.
Scusate devo interrompermi, a proposito di principe Azzurro, ho le lasagne in forno. Devo scappare.
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kon-igi · 4 years
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Gentile Kon, sono la ragazza col mondo perduto nel 2020 al cui ask hai risposto chiamando a raccolta i tuoi amici: vorrei solo ringraziarvi tutti. Se non fossi paralizzata dalla timidezza vi scriverei di persona, mettendoci la faccia. Mercoledì vado a parlare con uno psicologo, magari un modo per smettere di volermi male c’è. Grazie per la saggezza di tutti, spero che nella vostra vita ci sia tanta gentilezza e comprensione quanta ne avete mostrata a me, se non di più
Non voglio parlare per gli altri (anche se sento che sentono quello che sento io) ma per me esiste un solo modo di procedere in questa strana cosa che altri chiamano vita: senza mai voltarsi indietro se non per assicurarsi che nessuno sia rimasto indietro.
Poi, ognuno ha il proprio passo e un modo personale di fermarsi a riflettere e non sta a me ‘salvare’ qualcuno... a volte le persone non vogliono essere salvate da se stesse e altre volte si potrebbe avere l’impressione che vogliano solo trascinarti a fondo con loro.
Ma quasi sempre, invece, ti chiedono una sola cosa:
Non mi piace la frase "un grido di aiuto". Semplicemente non mi piace come suona. Quando qualcuno mi dice: "Sto pensando al suicidio. Ho un piano: ho solo bisogno di una ragione per non portarlo a termine ”, l'ultima cosa che vedo è impotenza.
Penso che la tua depressione ti abbia colpito per anni. Ti abbia fatto sentire brutto, stupido, patetico e un fallimento per così tanto tempo che hai dimenticato che ciò non è vero. Non vedi nulla di buono in te stesso e senti di non avere alcuna speranza.
Ma sei ancora qui: sei venuto da me, hai bussato alla mia porta e hai detto: "Ehi! Rimanere in vita è DAVVERO DIFFICILE in questo momento! Dammi qualcosa con cui combattere! Non mi interessa se è solo un bastone! Dammi un bastone e posso restare in vita! "
Come può essere questa impotenza? Penso invece che sia incredibile. Sei come un marine: intrappolato per anni dietro le linee nemiche. La tua arma ti è stata portata via, hai finito le munizioni, sei malnutrito e probabilmente hai un qualche virus della giungla che ti sta facendo avere allucinazioni con ragni giganti.
E tu sei qui che continui a ripetere: "DAMMI UN BASTONE. NON MORIRÒ QUA".
"Un grido di aiuto" fa sembrare che io dovrei avere pietà di te ma tu non hai bisogno della mia pietà. Questo non è patetico. Questa è volontà di sopravvivere. Questo è il modo in cui gli esseri umani hanno vissuto abbastanza a lungo da diventare la specie dominante.
Senza NESSUNA speranza, contando su NULLA, sei pronto a passare attraverso cento miglia di giungla ostile con nient'altro che un bastone, se è quello che serve per metterti in salvo.
Tutto quello che sto facendo io è distribuire bastoni.
Sei tu quello che cerca di sopravvivere.
Un abbraccio e se vuoi, scrivimi in privato.
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intotheclash · 3 years
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"Non più di un'ora dopo eravamo già in vista della casa del Maremmano. Avevamo spinto sui pedali con foga, senza lamentarci e senza troppe parole. Persino quella salita infame ci era sembrata meno infame della volta passata. E Schizzo ci era rimasto sempre a fianco, senza prenderci in giro, anzi, fingendo pure di faticare. Il primo che scorgemmo nel cortile fu Antonio, come si poteva non vederlo. Era a torso nudo e stava armeggiando con un trattore che doveva avere la stessa età di Matusalemme. Certo che era grosso, perdio! Non il trattore. Cioè, anche il trattore era grosso, ma Antonio metteva paura. A ripensarci, credo che anche Sansone in persona ci avrebbe pensato due volte prima di attaccare briga con lui. Appena si accorse di noi, lasciò andare gli attrezzi che stava usando, si pulì le mani sui pantaloni da lavoro e ci illuminò con un sorriso a trentadue denti. Cazzo, pure i denti mi sembrarono giganteschi. “Ma bentornati, amici miei! Sono davvero felice di rivedervi.” E felice lo sembrava davvero. E ci aveva anche chiamato amici! Non vedevo l'ora di tornare in paese e raccontarlo a tutti. Col cazzo che qualcuno avrebbe ancora osato trattarci male o, peggio, malmenarci. Se la sarebbero vista con lui. Se li sarebbe mangiati vivi! Ma quello non era un giorno per le fantasticherie, avevamo un dovere da compiere. Una missione. Tagliai corto ed imboccai la via maestra delle parole: “Ascolta, Antonio, siamo venuti a parlare con…” Mi interruppe prima di aver finito. “Pietro sta giù alla vigna, giovanotti. Deve zappare l'erba sotto a tutti i filari. E noi abbiamo una vigna sterminata. Si è beccato una bella punizione stavolta. Nostro padre ha avuto la mano pesante.” Poi si abbassò sulle ginocchia e si guardò intorno con circospezione esagerata, tanto da strapparci un mezzo sorriso. “Credo che il vecchio voglia fargli pagare anche un po’ delle mie colpe. Cose vecchie, di qualche anno fa. Ma, personalmente, posso farci ben poco, in compenso il vostro amico è uno tosto e se la caverà senza danni.” Concluse, facendo l'occhiolino. “Veramente non siamo venuti per parlare con lui. Non subito almeno. Siamo venuti per parlare con tuo padre.” Mi voltai verso i miei amici, come a cercare conforto e appoggio. Loro annuirono contemporaneamente, indossando delle facce serie, adatte alla circostanza. “Dove possiamo trovarlo?” Antonio si alzò in piedi, oscurando il sole. Cazzo, nella sua ombra ci stavamo comodi anche tutti insieme. Forse c'era abbastanza posto anche per qualcun altro. “Andiamo, è giù alla stalla che sta terminando di mungere le mucche. Vi accompagno.”  Lo seguimmo in silenzio fino alla stalla. Lui si fermò sulla porta e ci fece segno di entrare. “qualunque cosa dobbiate dirgli, credo sia una faccenda privata. Vi aspetterò qui fuori, ma vi dico fin da ora che sono dalla vostra parte.” Disse. E ci scompigliò i capelli, uno per uno. Uno per uno nel senso di ad ognuno di noi; non nel senso dei capelli. Entrammo in fila indiana, non ci prendemmo per mano solo perché era roba da femminucce, non che non ne avessimo avuto voglia. Il vecchio maremmano era seduto su uno sgabello di legno, con un secchio di metallo tra le gambe divaricate e le sue mani viaggiavano veloci sulle enormi mammelle di una mucca pezzata, che non sembrava affatto infastidita. Anzi, ogni tanto, si voltava a guardarlo, come a volerlo ringraziare. Segno che quelle tettone gonfie da scoppiare qualche problema glielo davano. Il vecchio ci dava le spalle e si accorse del nostro arrivo solo all'ultimo, quando potevamo quasi toccarlo. Si voltò di scatto e gli lessi la sorpresa sul volto, ma si riprese subito. Ci sorrise. Anche lui, come Antonio, sembrò felice di rivederci. “Che piacere vedervi ragazzi! Benvenuti di nuovo in casa mia. Cosa posso fare per voi?” Lo sapeva. Sapeva il motivo della nostra visita, ma non sapeva tutto. “Siamo venuti per parlare con lei, signore.” Dissi, non riuscendo ad impedire alla mia voce di tremare. Smise di mungere, diede un colpo a mano aperta sull'enorme culone della mucca, che si avviò pigramente verso l'uscita della stalla, ci fissò uno per uno e rispose: “Bene, vi ascolto. Prima però perché non bevete un bicchiere di questo latte appena munto? E’ delizioso e vi farà digerire meglio tutta la strada che avete dovuto fare per arrivare quassù.” Non fece in tempo a terminare, che Bomba aveva già sposato la proposta, seguito a ruota dal Tasso, da Tonino e da Sergetto. A me non piaceva molto il latte, figurarsi quello appena munto, con quel sapore così prepotente, ma annuii lo stesso, per cortesia, senza troppo entusiasmo. Schizzo ci pensò sopra qualche secondo, a cercare parole che, evidentemente, non trovò, visto che disse, senza mezzi termini: “A me il latte fa schifo. Signore.” “Per prima cosa, non chiamarmi signore, sembra che tu voglia tenermi a distanza. E mi fa sentire più vecchio di quello che sono. Chiamami Giovanni, che è così che mi chiamano tutti. Anche perché è il mio nome. Seconda cosa: come può farti schifo il latte? Anche tu, come tutti noi, sei cresciuto grazie al latte. E sono sicuro che, da piccolo, non ti bastava mai.” “Si, ma ero piccolo. Ed era di mia madre! non era di mucca appena munta!” “Certo, non era di mucca, ma a mungere, se mi lasci passare il termine, tua madre ci pensavi tu stesso e la tua voglia di diventare grande. Ma non serve discutere. Hai ragione anche tu: se non ti piace non devi berlo per forza.” Prese cinque bicchieri da una vecchia credenza che, sicuramente, aveva vissuto momenti migliori, ed iniziò a riempirli. “Ditemi allora. Cosa volevate chiedermi?” Ci fu un attimo di panico a quella domanda diretta, mi accorsi che le parole proprio non volevano uscire. Fu Tonino il più lesto a reagire: “Senta signor Giovanni, abbiamo saputo della punizione. Di quella che ha dato a Pietro. Siamo venuti a chiederle di ripensarci.” Lui continuava a guardarci, ma senza parlare. Segno che c'era bisogno di altre parole. Dovevamo convincerlo. Tonino aveva rotto il ghiaccio, ora potevo proseguire: “Si, lui non merita di essere punito. Ci ha difesi, è stato coraggioso. Lo ha fatto per noi. Non ha avuto paura di battersi per una cosa che riteneva giusta. Ed era giusta, cazz…volo! E quelli erano in tre e lui da solo. E se le avesse prese, nessuno di noi si sarebbe sognato di dargli una mano. Me ne vergogno ancora, ma è così. Mai nessuno di noi ha mai osato  mettersi contro i grandi, invece Pietro le ha suonate a tutti e tre. Anzi, a due, perché il terzo se l'è fatta sotto. Merita un premio, non una punizione. Si è comportato meglio di tutti noi messi insieme. È  un amico vero! Per questo la preghiamo di lasciarlo andare. Basta punizione. Ma se non è di questo parere, se è deciso a continuare, allora punisca anche noi. Al campo c'eravamo tutti. Stavolta non ci nascondiamo e la punizione la dividiamo in parti uguali. Questo dovrebbero fare dei buoni amici.” Parlai tutto d'un fiato, senza nemmeno una pausa. Forse evitando persino di respirare, per non permettere alle parole di nascondersi. Il vecchio ci fissò a lungo, quasi a voler saggiare la fermezza della nostra volontà. “Quello che hai appena detto ti fa onore giovanotto. Anzi, vi fa onore, perché immagino che la pensiate tutti allo stesso modo, vero?” Non ricevette risposte, ma i segni di assenso fatti con la testa non lasciavano spazio a diverse interpretazioni. “Si, lo immaginavo,” Proseguì, “Sembrate decisi ad andare fino in fondo. Anche se, in cuor vostro, ne sono sicuro, sperate che non ce ne sia bisogno. Che mi commuova. Ma avete dato la vostra parola e, tra uomini, la parola è sacra. E’ un impegno che va mantenuto a tutti i costi. Mai mancare alla parola data, è questo l'insegnamento che riceverete oggi. Ne va della vostra credibilità e della vostra dignità di persone.” La cosa non sembrava prendere una bella piega. Si avvicinò ad una cassapanca tutta tarlata e ne tirò fuori una scatoletta di metallo, dalla quale estrasse un gigantesco sigaro toscano. Lo accese con esasperante lentezza fino a farne uscire una nuvola di fumo azzurrino e puzzolente. “Sapete già dove ho spedito il vostro amico?” “Si, lo sappiamo, signor Giovanni.” Rispose Tonino preoccupato. “E sapete anche cosa sta facendo?” “Sappiamo anche questo.” Disse il Tasso, tradendo una crescente impazienza. Sembrava lo stesso gioco che fa il gatto con il topo. Con i topi, in questo caso. Eravamo tutti impazienti. Ci stava mettendo alla prova, ma se sperava che avremmo mollato, si sbagliava di grosso. Eccome se si sbagliava. Aveva intenzione di punirci tutti? Bene, che lo facesse allora. Anzi, male, ma non ci avrebbe messo paura. Tutti per uno! Ci indicò, con la punta del sigaro, un angolo ben preciso della stalla. “Laggiù ci sono cinque zappe, prendetene una a testa e raggiungete il mio ragazzo. Uno di voi rimarrà senza, così potrete darvi il cambio e riposarvi a turno. Su, andate, che c'è molto da fare. Ricordate che oggi si pranza alle due in punto. Vedo che non portate orologi, quindi regolatevi con il sole. Se non sapete come si fa, chiedete al vostro compagno di sventura, lui ha imparato.” Dovette godersela un mondo ad ammirare le nostre facce smarrite. Non era certo quello il risultato che speravamo di ottenere quella mattina. Aveva ragione mio padre: il vecchio maremmano era bello tosto. Ci fece un mezzo sorriso, non saprei dire se per confortarci, o per prenderci per il culo, poi ci congedò: “ Andate pure, fuori c'è Antonio che sarà lieto di indicarvi la strada. Buon lavoro, ragazzi!” Si, ci stava decisamente prendendo per il culo. “Buon lavoro una bella sega!” Pensai, mentre con la mia zappa in spalla uscivo mogio, mogio, dalla stalla.
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Voglio essere me, ma è impossibile (Cucine, 10 ottobre, terzo anno)
M | «Ehi! Allora? Che ti ci vuole?» la Loghain si avvicina non vedendo la crup tornare, ma cogliendo solo un agitato scodinzolio di quella coppia di code «Ophelia, torna!» - «Ophelia!» - «Guarda che niente bacon!» quella è la parola magica, perché la crup desiste, dimentica persino della pallina, tornando indietro con una corsa esaltata, condita d’uggiolii felici. Peccato che ora la Grifondoro sia arrivata a metà corridoio, individuando quella felpa gialla nella penombra che non aveva notato all’inizio «Oh, scusa.» nemmeno sa chi sia, non notando il volto dello studente, però insomma, Ophelia sa essere molesta, ecco.
Mac | Chloe, da sotto il cappuccio, solleva appena lo sguardo e gli occhi chiari osservano Ophelia in silenzio mentre Ophelia osserva Chloe e poi, più nello specifico, Acrobata. Chloe solleva appena le braccia portando il topo fino sotto al capo in un gesto quasi istintivo [...] «Nulla.»
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H | [...] Che poi cosa ci faccia in prossimità di un vicolo cieco sarebbe pure una buona domanda, se non fosse che chiaramente è in piedi, ma definirla sveglia è un parolone. « oh » - « hai visto tuo fratello? »
M | [...] «Vuoi..» osserva il topo enfatico e la posa completa d’atteggiamento disagiato dell’altra «Che ti lasci sola?» [...] Peccato che oda una voce alle sue spalle, che chiede d’un ipotetico fratello che di sicuro non è rivolta a lei «MacNamara!» sussurra in eureka [...] «Se cerchi l’altro MacNamara probabilmente starà dando fuoco alle serre. Ti consiglio d’affrettarti per non perderti lo spettacolo.»
Mac | «Non lo so.» [...] «Sebastian dorme, prima di pranzo.»
H | Lo sguardo resta puntato su Merrow « mi sembri molto tranquilla visto che Grifondoro sta per perdere cinquanta punti » e quel mezzo sorriso si trasforma ben presto in un ghigno beffardo. Ma la sua attenzione si sposta ben presto Chloe quando le dà l’informazione che cercava e che si limita a commentare con « peccato! »
[...]
Mac | «A Seb non piace che lo si chiami MacNamara.» non si volta nel dirlo ma lo pronuncia chiaramente e in un tono serio «Chiamalo Seb o Sebastian.» - «Per favore.»
[...]
M |   «Potremmo andare in Sala Grande, sgraffignare qualcosa dalla tarda colazione e farci un tè a parte, in un posto magari tranquillo, come una delle aulette dismesse del primo piano.» la butta lì, principalmente a Chloe ma, udite udite, pare includere anche l’altra lingua tagliente «Così magari ci rilassiamo tutte e la finiamo di sparare commenti.»
H | « perché non vai a svegliare suo fratello? » M | «Non sono il tuo gufo.» Mac | «Meglio che non lo svegli che poi si arrabbia con te.» H | « Sebastian non si arrabbierebbe mai con me »
Mac | «Ma la colazione non la sparecchiano già alle 9 tipo?» chiede alla grifondoro «Però cioè se ce n’è va bene. Altrimenti io conos...»
M | Coglie perfettamente quella frase che muore tra le labbra della Tassorosso, ed un sorriso un poco più gentile le si dipinge sui tratti aguzzi, trasformandoli brevemente «Potremmo andare lì allora.» nel posto che conosci tu «Me ne parlava Eleanor, ma se conosci già dov’è, non devo infrangere nessuna promessa.» - «Fai strada?»
« ma quindi dov’è che stiamo andando? » «Alle Cucine di Hogwarts, Hazaar.»
[...]
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Mac | «Prendete quello che vi pare.» dice alle altre due prima di allontanarsi per conto suo, verso il tavolo più lontano.
H | Solo dopo si accorgerebbe di Chloe ormai allontanatasi da loro due « non cucini con noi? » mica ci fidiamo di quello che hanno preparato gli elfi!
M | «Hazaar.» ora siamo conoscenti, no? «Se vuoi bene a Sebastian dai a sua sorella una tregua.» - «Non sta bene, è palese, ed ha bisogno di calma e di distrarsi, probabilmente.» - «Quindi splendore» le sorride in maniera affilata e sorniona «Fai un bel sorriso e diventa la versione migliore della fatina che sei, almeno per un’ora, ok?» o ti butto nel forno con le mie mani, sottotitolo appena percepibile.
[...]
M | «Ehi..» il tono di voce s’abbassa, così calmo e caldo da sembrare una coperta messa sulle spalle in una mattina di neve.
Mac | «Non devi rimanere.» dice ora mentre porta le braccia sulle proprie gambe e li le appoggia. «Puoi andare a bere il tè e mangiare, come dicevi.» una breve pausa prima di prendere Acrobata con una mano e portarlo in grembo «Ora hai quello che ti serve. Non devi rimanere qui.» - «Io - io però non vengo. »
M | «E` sabato, MacNamara.» mormora tranquilla «Non ho fretta.» - «Ma se preferisci stare da sola, posso accontentarti.»
Mac |  «No.» borbotta sottovoce «Puoi restare.» - «A me piace, quando mi chiamano MacNamara.»
M | «Allora ti ci chiamerò tutte le volte.» - «E per quanto non sia una grande fan di ciò che comporta il mio cognome, 
puoi chiamarmi Loghain.»
Mac | «Tu come preferisci che ti chiamino? Perché così ti chiamo.»
M | «Va bene Merrow, va bene Loghain, va bene Generale...Merr mi ci chiamano solo gli amici stretti, quindi per il momento eviterei.» 
«Tu? C’è un modo in cui ti piace che gli altri ti chiamino?»
Mac | «Io, non lo so. Beh, il mio cognome mi piace... e il mio nome mi piaceva, un tempo. Ora no.» - «E credo di sapere perché non mi piace.» a voce più bassa «E’ un nome da femmina.»
M | «Ah» -  «Cambialo, no? Fatti chiamare come ti piacerebbe che gli altri ti definissero.»
«Oppure non farlo. Rendi il tuo nome qualcosa che abbia un altro significato. Io mi chiamo Merrow, ti pare normale?»
«Eppure è il mio nome. Sono io e non sono io allo stesso tempo no?» agita la destra in aria «Mi ci chiamano tutti o quasi, eppure sono solo un’insieme di consonanti e vocali che creano il significato di questo» si indica con la stessa mano fluttuante, dalla testa ai piedi «Può non piacere a me, può non piacere agli altri, ma alla fine che importa? Sei tu, no?»
«Dimostra al mondo che sei tu. Non importa quali consonanti e vocali usino per definirti. Tu sei tu.»
e sono discorsi forse profondi, che lasciano trasparire un’amarezza nascosta e mascherata da maturità, che a quasi quindici anni, si permette per la prima volta di passare a qualcun altro «Quindi...chi vuoi essere?»
Mac | «Voglio essere me.» - «ma è impossibile» 
si indica «tutti vedono quello che c’è fuori.» - «E io fuori non sono… non sono come sono /dentro/.» e una mano indica distrattamente la testa «Io, dentro, non sono una ragazza.» è il modo più diretto per spiegarlo. E aggiunge qualcosa a quella affermazione, che esprime ora ad alta voce per la prima volta «Io sono un ragazzo.»
«Non so perché, sono così. La mia testa dice una cosa e il mio corpo ne dice un altra e io, io impazzisco.»
M | «Hm» unico piccolo commento alla cosa. La osserva, come se la vedesse per la prima volta ed al contempo l’altra le cambiasse dinnanzi allo sguardo più veloce d’un Molliccio con più d’un singolo obiettivo «Io vedo una persona, davanti a me.» pronuncia con voce bassa e leggermente graffiante «Quindi direi che già è qualcosa, no?» almeno una in tutto il castello, non pare aver intenzione di definirla «Senti» - «Credo che tu stia impazzendo perché ancora non hai fatto una scelta a riguardo.» - «Si tratta di scelte. Tutta la vita si basa solo su queste: non dovrebbe essere importante come ti chiami, di chi sei figlio, se sei alto, basso, magro, grasso, stupido, intelligente, timido, l’anima della festa. Quello che secondo me è importante è che tu smetta di stare male con te.» 
«Essere impossibilitati ad avere qualcosa che desideriamo da morire, ci rende vulnerabili, miseri e non noi stessi.»
«Prendi la tua decisione, MacNamara. Smettila di vederti con gli occhi degli altri.» 
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