#poi mi sento abbandonata
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In pochi secondi sono la Jessica di 8 anni, mia madre di colpo smette di parlarmi e fa finta che non esisto in casa. Cosa devo fare ora? Posso bere se ho sete? Posso mangiare se ho fame? Lei mi fa molta paura, chissà cosa ho fatto di così brutto. Lei non me lo dice quindi la mia testa inizia a vagare, ed effettivamente se ci penso sono proprio una bambina cattiva e incapace, quella operazione di matematica non mi usciva, ci ho provato tante volte ma ho preso un brutto voto. Sono solo una delusione per la mamma, fa bene a non volermi. Ho le unghie lunghe che mia zia adora pitturarmi di colori diversi ogni settimana, ma non sa che le infilo nella pelle delle braccia perché non so cosa altro fare per affrontare la paura che provo a casa, abbandonata a me stessa. La mamma parla proprio con tutti, fa finta di volermi bene davanti agli altri, poi a casa mi vuole male, chissà perché. Cerco di non dare fastidio, sto in silenzio perché tanto lei non risponde ad alcuna mia domanda. Sono una bambina cattiva, ma sono a letto e sento che non respiro, se lo dico a mamma chissà se mi aiuta.. forse è meglio aspettare che io stia meglio, magari passa, se domani starò peggio lo dirò alle maestre che il mio petto fa male e penso a cose brutte. Non riesco a mangiare perché devo stare seduta con lei al tavolo e mi fa paura, ma sono obbligata altrimenti lei si arrabbia di più. Dopo vado sempre in bagno perchè mi fa male la pancia. Ho 8 anni e capisco che la mia mamma non mi vuole. Ne ho 26, ho fatto un piccolo sbaglio e mamma non mi parla più. Le unghie sono diventate lame. Il petto che fa male è un attacco di panico. Io sono sola ma accarezzo i miei cani. Resisto solo per loro.
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L'unica consolazione di questo Natale è stato ieri sera, perché grazie a Dio era Domenica e abbiamo potuto organizzare qualcosa tra noi stranieri (mentre i giapponesi se ne stavano per i fatti loro ad un altro tavolo, come al solito...).
Ho preparato giusto una pasta al forno con la zucca inventata da me (perché non sapevo che altro poter fare), mentre una ragazza cinese ci ha preparato una sorta di ravioli grossi e un'australiana dei raviolini che dice essere una ricetta polacca.
Poi è arrivato un amico di uno dei 2 ragazzi italiani (l'altro è giustamente tornato a casa) e grazie a lui abbiamo potuto mangiare anche un po' di pandoro e panettone.
Anche se è stata una bella serata, è comunque triste perché già so come funziona in questo paese: incontri un sacco di gente con cui condividi momenti felici adesso, ma tra 1 mese o 1 anno le strade si divideranno e addio.
Alla fine probabilmente nemmeno a casa sarei stata in pace... quindi forse alla fine piuttosto che lamentarmi che mi sento sola e abbandonata in questo mondo, dovrei dirmi che mi è andata di culo.
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NIKA TURBINA: LA BREVE VITA DI UNA POETESSA RUSSA
Nika Turbina, nata a Jalta, in Crimea, il 17 dicembre 1974, fu presentata come una seconda Anna Akmatova, una delle più importanti poetesse russe. Ma il destino non fu tenero con lei.
Il percorso letterario di Nika iniziò all’età di 4 anni, quando prese a scrivere e a leggere poesie a sua madre e a sua nonna.
Non erano i soliti testi che scrivono i bambini, ma roba seria; versi per adulti.
''Io sono una bambola rotta.
Si sono scordati di mettermi
un cuore nel petto.
E al buio, in un angolo, inutile,
abbandonata.
E come una bambola rotta
al mattino ho ascoltato
i bisbigli di un sogno:
«dormi, tesoro, dormi
e voleranno gli anni
e al tuo risveglio
di nuovo vorranno
prenderti in braccio
cullarti per gioco,
e troverà il suo battito
il cuore».
È solo tremendo
aspettare.''
Turbina fu subito notata e seguì per lei una cascata di riconoscimenti e premi. Quando aveva 9 anni, il suo primo libro di poesie, che si intitolava proprio così,“Pervaja kniga stikhov” (“Primo libro di Poesie”), venne pubblicato a Mosca. Tradotto in 12 lingue, vinse il Leone d’oro per la poesia a Venezia nel 1984.
Pochi sapevano che da sempre Nika soffriva di asma bronchiale, il che la portava all’insonnia e alla depressione permanente. Definiva se stessa “un essere della notte”. “Solo di notte mi sento protetta da questo mondo, da questo rumore, da questa folla, da questi problemi”, diceva Nika.
Gli anni passarono e l’ormai adulta Nika divenne meno interessata al suo pubblico rispetto a quando era una ragazzina di grande talento. Cercò di trovare il suo posto nella vita: si sposò e si mise a studiare fotografia. Nulla la aiutò, e negli ultimi anni fu dipendente da droghe e alcol.
L’11 maggio 2002, a 27 anni, cadde da una finestra del quinto piano. Non è mai stato chiarito se si sia trattato di un suicidio o di un tragico incidente.
''Sono pesi queste mie poesie,
pietre spinte lungo una salita.
Le porterò stremata
allo strapiombo.
Poi cadrò, viso nell’erba,
non avrò lacrime abbastanza.
Smembrerò la strofa
scoppierà in singhiozzi il verso
e si pianterà nel palmo
con dolore anche l’ortica.
L��amarezza di quel giorno
tutta trasmuterà in parola.''
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La nuova casetta in provincia di Bergamo è buttata in una valle in mezzo alle montagne: apri la finestra e puoi fare lo yodel, la gente giù nella zona residenziale ti sentirà e risponderà a pieni polmoni. È grande e luminosa ed io mi sento già scomparire in mezzo a tutta quella luce. I mobili sono brutti, c'è troppo legno e sento l'odore di vecchio già a guardare le foto, ma c'è un orologio a pendolo che mi piace: mi ricorda l'orologio che vedevo a casa della mia prozia, il ticchettio costante e l'oscillazione ipnotizzante del pendolo e il brusco risveglio dall'ipnosi dato dal suono che faceva ogni tot. Mi vedo girare scalza per la casa silenziosa, quando non c'è nessuno, e guardarmi intorno dicendomi: forse ho esagerato quando dicevo che mi sarei rintanata in una casa sul cocuzzolo di una montagna. Certo che, se ci penso, passare dal mare alla montagna è veramente radicale come scelta, mi sorprendevo l'anno scorso quando mi giravo intorno a vedevo solo montagne quando io ho sempre visto solo mare acqua e spiaggia. Saranno solo un paio di mesi – chissàchissà – ma quella casa già è mia: immagino librerie lungo tutte le pareti nel salone, un tavolinetto con un paio di sedie sul balcone; angolo ufficio e angolo trucchi nella camera da letto, cameretta adibita a stanza per il computer; planetaria, macchinette per il caffè, forno, forno a microonde in cucina, col bancone per preparare il cibo separato dai fuochi e dal lavello; vedo tanti tappeti per la casa e me che lavo a terra perché tra tutte le faccende domestiche che in generale odio e schifo lavare a terra è l'unica che mi rilassa e mi diverte. Il padrone di casa dice che c'è un cane lì nel cortile, dice che non entra mai in casa e che è una pecorella talmente è buono, allora mi immagino che torno da lavoro io che apro il cancello e vedo un cane pastore grosso e mansueto battermi la coda e farmi le feste. Sono pensieri felici, forse un po' illusi, mi sembra quando da bambina mi mettevo a fantasticare robe talmente assurde che sembravano reali e fattibili. Ma a far venire i pensieri intrusivi ci vuole un attimo, d'altronde da piccola le mie fantasticherie venivano in poco tempo buttate giù ed infangate: i primi tempi mi sa dalle persone a me vicine, in poco tempo poi imparai a farlo da sola. Ad esempio, se mi fermo un attimo, penso che mi fa paura questo cambiamento: temo di rimanere sola abbandonata a me stessa e di non sapermi gestire. Questo perché questa notte ho sognato letteralmente di impazzire: avevo gli occhi furiosi, un odio che partiva dal petto e saliva in gola, gridavo ma di un grido grosso e feroce, mi sentivo quasi posseduta come quella volta che gridai nel sonno terrorizzata perché mi sentivo posseduta. In questi giorni poi sono tornata a fare sogni nervosi, dove litigo con la gente, addirittura con dei miei ex colleghi della pizzeria coi quali invece non ho mai avuto problemi. Guardo le mie reazioni inconsce e mi spavento all'idea di rimanere da sola in un posto così lontano. Però guardo anche le foto, vedo tutta quella luce e penso che sarà ottima per fare le foto e allora penso che mi servirà un cavalletto e altre cianfrusaglie varie. Chissà, magari un giorno realizzerò anche il sogno di mio padre di avere un telescopio. Intanto però mi dico che: se passati questi due mesi sarò costretta a ritornare giù al sud, sarà la volta buona che impazzirò definitivamente.
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Come fiamma ancora accesa
Torno a leggerti sul tuo blog.
Pare una casa abbandonata, forse da poco, ordinata e ben tenuta, solo qualche ragnatela ed un po' di polvere. Le stanze sono buie e da tempo non vissute, tranne una. Una sala da pranzo, una tavola ben apparecchiata per due, davanti ad un camino che pare spento, ma dalle cui braci ancora si leva un po' di tepore. E su quel tavolo, che riecheggia una cena mai consumata, una candela, quasi sciolta, ma ancora accesa...
Chiudo gli occhi ed immagino.
Li vedo quei due.
Lei una donna semplice, jeans nero, una felpa, scarpe comode, acqua e sapone ma dallo sguardo sensuale, che nasconde tenera passione.
Lui un uomo tutto d'un pezzo, un apollo di mezza età, ben curato anch'egli nella sua semplicità, sguardo fiero, ma che tradisce ammirazione e un po' di incredulità.
Musica jazz di sottofondo, la sento, mi fermo un po' ad ascoltarla...
Lui seduto ad aspettare lei.
Lei seduta ad aspettare lui.
Non si vedono: trasparenti l'una all'altro. Eppure si cercano.
Sembrano in attesa, ma di cosa non si sà...
Lui, risoluto e stanco di aspettare, si alza e se ne va.
Lei resta ancora un po' poi, delusa e rassegnata, anche lei lascia la stanza.
Vuoto, un senso di vuoto mi pervade e tristezza. Perché due persone che si cercano, si vogliono, non si possono vivere? Perché?
Apro gli occhi.
Dentro me una luce, un senso di speranza, come quelle braci nel camino, come quella candela ancora accesa.
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Sento addosso troppa stanchezza mentale. Non è nemmeno il lavoro a stressarmi così, sono io che avrei avuto bisogno di qualche giorno di pausa dopo la laurea e l’inizio del lavoro full time. Il lavoro sicuramente sta aggiungendo stress: ci sono momenti in cui mi piace, altri in cui mi sparerei (tipo adesso!). Sicuramente non troverò mai un lavoro che mi piacerà al 100%, devo farmene una ragione, però qua mi sento davvero abbandonata a me stessa. I colleghi dell’ufficio sono in ferie, sono completamente da sola e lo sto trovando davvero tanto alienante. Mi annoio, senza contatti umani per quasi tutto il giorno. E poi dovevo essere seguita per un po’, invece non è stato fatto e mi ritrovo ad avere difficoltà perché molte cose non mi sono nemmeno state spiegate e devo chiedere di continuo. Tutto per un tirocinio del cavolooo
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la persona a cui mi ero più affezionata che frequentava il bar si è licenziata. ho sentito mancarmi l'aria mentre me lo diceva sottovoce sorridendo. "tanto ci vediamo lo stesso. ora vado a fare un giro a Torino, poi là poi ancora più lontano là". sono felice che lui si sia liberato di quel lavoro per fare un salto di qualità, ma io sono un esserino egoista e mi sento abbandonata, ancora, per un'altra volta. mi sono messa a piangere mentre lavavo le tazzine di caffè. poi l'ho bloccato dappertutto, perché io funziono così, per proteggermi. è venuto a prendere un caffè ancora un paio di volte durante il mio turno, ma ho fatto finta di essere troppo impegnata anche solo per salutarlo. credevo davvero di avere trovato un'anima vicina, perché ci sembravamo l'uno il riflesso dell'altra. forse ho esagerato, come sempre, nella mia testa
ottico si comporta come sempre, io sto cercando di sembrare più amichevole ma anche lui è solo un memento della mia insufficienza.
ignoro i messaggi del 2000, non mi interessa che faccia finta di volere qualcosa di più di banale sesso. se e quando tornerà nella mia città ci penserò, ma ora non posso fare finta di volere comunicare con lui
oggi più che mai mi sento sola, abbandonata, fredda, arida. sento di essermi scavata nel centro del petto e non c'è rimasto più nulla, solo un dolore senza contorni. c'è solo la mia voce, lei c'è sempre e stasera più che mai sono tranquilla e serena nel darle ragione: morirò sola
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non voglio più sentirmi così è davvero terribile e so che è un percorso e sto crescendo e non posso aspettarmi di migliorare tutto subito respira stasera mi sento sola abbandonata a me stessa vorrei piangere ma non riesco vorrei guardare un film con mio fratello vorrei andare a mangiare cena da nonna che mi faceva i toast e poi mi dava un cioccolatino lindt e fermarmi a dormire lì da lei vorrei ritornare piccina perché stasera sento tutto enormemente pesante non mi sento una bella persona vorrei solo trascendere tutto e diventare immateriale andare lontanissimo da tutto e tutti inizio a sentire tutto tremendamente stretto sento il mio corpo pesantissimo
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Ho fatto una grande fatica a leggerlo fino in fondo, col pensiero che ancora oggi, nel 2023, sono in molti a giustificare uno stupro 😑
È il 9 MARZO 1973.
La donna picchiata, sfregiata e violentata è FRANCA RAME.
Abbandonata vicino a un parco cittadino, cammina fin davanti alla Questura, per poi tornare a casa.
LO STUPRO
MEDICO Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere... una inconscia soddisfazione?
POLIZIOTTO Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione?
GIUDICE È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?
MEDICO Si è sentita eccitata? Coinvolta?
AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI Si è sentita umida?
GIUDICE Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?
POLIZIOTTO Lei ha goduto?
MEDICO Ha raggiunto l’orgasmo?
AVVOCATO Se sì, quante volte?
Il brano che ora reciterò è stato ricavato da una testimonianza apparsa sul “Quotidiano Donna”, testimonianza che vi riporto testualmente.
Si siede sull’unica sedia posta nel centro del palcoscenico.
FRANCA C’è una radio che suona... ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore... amore...
Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena... come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra... con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare.
Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.
Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce... la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza... Dio che confusione! Come sono salìta su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?
Non lo so.
È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare... è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come congelata.
Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena... s’è seduto comodo... e mi tiene tra le sue gambe... fortemente... dal di dietro... come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.
L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.
Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce... né gran spazio... forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.
Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?
Sta per succedere qualche cosa, lo sento... Respiro a fondo... due, tre volte. Non, non mi snebbio... Ho solo paura...
Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.
Sono vicinissimi.
Sì, sta per succedere qualche cosa... lo sento.
Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli... li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si mette tra le gambe... in ginocchio... divaricandomele. È un movimento preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei a bloccarmi.
Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!
Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo... un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.
Una punta di bruciore. Le sigarette... sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.
Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere... Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile.
Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra le gambe. Si consumano presto.
Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo... mi tagliano anche il reggiseno... mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature...
Ora... mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola.
Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.
Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.
Devo stare calma, calma.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola... non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.
“Muoviti puttana fammi godere”.
Sono di pietra.
Ora è il turno del secondo... i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
“Muoviti puttana fammi godere”.
La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o no.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”.
Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.
È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.
“Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.
Ci credono, non ci credono, si litigano.
“Facciamola scendere. No... sì...” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.
Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto l’amore... pardon... l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere... e se ne va.
Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male... nel senso che mi sento svenire... non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo... per l’umiliazione... per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello... per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero... mi fanno male anche i capelli... me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia... è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.
Cammino... cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.
Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora... Sento le loro domande. Vedo le loro facce... i loro mezzi sorrisi... Penso e ci ripenso... Poi mi decido...
Torno a casa... torno a casa... Li denuncerò domani.
Buio.
(Questo brano è stato scritto nel 1975 e rappresentato nel 1979 in Tutta casa, letto e chiesa).
Tratto dalla pagina facebook Atlantide
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🌟”Non mi sento proprio di mettermi nei panni di quello che si loda da sé, né ritengo sia il caso di sopravvalutare quello che definiscono il mio talento. Preferisco lasciar decidere al pubblico: se lo soddisfo, so che ho ottenuto un risultato e questo mi basta."
L'immenso Daniel Day Lewis, unico interprete maschile ad aver vinto tre volte l'Oscar come miglior attore protagonista!
-Per il film "l'insostenibile leggerezza dell'essere" imparò la lingua Ceca e non uscì dal personaggio per gli 8 mesi di riprese.
-Per il primo ruolo da Oscar ne "Il mio piede sinistro" si faceva imboccare, portare in bagno o a letto, come se fosse veramente paraplegico, imparò ad usare il piede per dipingere e scrivere e si incrinò due costole per la posizione storta che tenne per tutte le riprese.
-Per "l'ultimo dei Mohicani" ha imparato a cacciare nella foresta e a costruire delle canoe.
-Per "Nel nome del padre" ha passato delle notti in isolamento in una prigione abbandonata ed è rimasto sveglio per tre giorni di fila prima della scena dell'interrogatorio.
-Per "La seduzione del male" si costruì da solo la casa in legno e non si lavò per i tre mesi di riprese.
-Per "The Boxer" si allenò un anno e mezzo con un ex pugile prima delle riprese.
-Per "Gangs of New York" diventò apprendista macellaio per imparare il mestiere e non mise mai dei vestiti pesanti perché non in linea con il periodo.
Si ammalò di polmonite ma non prese farmaci moderni.
-Per il secondo Oscar ne "Il Petroliere" imparò ad usare i vecchi macchinari per estrarre il petrolio e si ruppe una costola perché non volle una controfigura.
-Per il film "Nine" ispirato a "8 e mezzo" di Fellini, imparò l'italiano.
-Per il terzo Oscar in "Lincoln" imparò per un anno l'accento esatto del ex presidente degli stati uniti, soggiornando nei luoghi dove era nato e cresciuto e per tutto il film si fece chiamare "Mr. President" da Spielberg e dalla crew.
-Per "Il filo nascosto" ha cucito da solo un intero abito di sartoria a mano.
-Dal 1997 al 2001 sparisce dallo Star System, facendo anche l'apprendista calzolaio in una bottega a Firenze, il venerdì usciva prima per andare a Parigi dal figlio, per poi tornare tutti i lunedì mattina al lavoro.
-Solo 20 film in carriera, sei dal 1997 ad oggi.
-Nel 2018 da l'addio al mondo del cinema. L' attore britannico con cittadinanza irlandese.
Viene considerato uno dei maggiori interpreti della Storia del Cinema🌟
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"Non mi sento proprio di mettermi nei panni di quello che si loda da sé, né ritengo sia il caso di sopravvalutare quello che definiscono il mio talento. Preferisco lasciar decidere al pubblico: se lo soddisfo, so che ho ottenuto un risultato e questo mi basta."
L'immenso Daniel Day Lewis compie oggi 66 anni
L'unico interprete maschile ad aver vinto tre volte l'Oscar come miglior attore protagonista!
-Per il film "l'insostenibile leggerezza dell'essere" imparò la lingua Ceca e non uscì dal personaggio per gli 8 mesi di riprese.
-Per il primo ruolo da Oscar ne "Il mio piede sinistro" si faceva imboccare, portare in bagno o a letto, come se fosse veramente paraplegico, imparò ad usare il piede per dipingere e scrivere e si incrinò due costole per la posizione storta che tenne per tutte le riprese.
-Per "l'ultimo dei Mohicani" ha imparato a cacciare nella foresta e a costruire delle canoe.
-Per "Nel nome del padre" ha passato delle notti in isolamento in una prigione abbandonata ed è rimasto sveglio per tre giorni di fila prima della scena dell'interrogatorio.
-Per "La seduzione del male" si costruì da solo la casa in legno e non si lavò per i tre mesi di riprese.
-Per "The Boxer" si allenò un anno e mezzo con un ex pugile prima delle riprese.
-Per "Gangs of New York" diventò apprendista macellaio per imparare il mestiere e non mise mai dei vestiti pesanti perché non in linea con il periodo.
Si ammalò di polmonite ma non prese farmaci moderni.
-Per il secondo Oscar ne "Il Petroliere" imparò ad usare i vecchi macchinari per estrarre il petrolio e si ruppe una costola perché non volle una controfigura.
-Per il film "Nine" ispirato a "8 e mezzo" di Fellini, imparò l'italiano.
-Per il terzo Oscar in "Lincoln" imparò per un anno l'accento esatto del ex presidente degli stati uniti, soggiornando nei luoghi dove era nato e cresciuto e per tutto il film si fece chiamare "Mr. President" da Spielberg e dalla crew.
-Per "Il filo nascosto" ha cucito da solo un intero abito di sartoria a mano.
-Dal 1997 al 2001 sparisce dallo Star System, facendo anche l'apprendista calzolaio in una bottega a Firenze, il venerdì usciva prima per andare a Parigi dal figlio, per poi tornare tutti i lunedì mattina al lavoro.
-Solo 20 film in carriera, sei dal 1997 ad oggi.
-Nel 2018 da l'addio al mondo del cinema. L' attore britannico con cittadinanza irlandese.
Viene considerato uno dei maggiori interpreti della Storia del Cinema
Atlantide
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Oggi, 26 settembre 2023...🩵
Non saprei come spiegarvi come mi sento..
Ho un misto di felicità,un misto di rabbia,tristezza e dolore... L'unica persona che sapeva realmente della mia paura, cioè l'abbandono, lo ha fatto anche lui!
Da un giorno all altro mi ha abbandonata, dimenticandosi tutto ciò che avevamo costruito in 5 anni.
°Tristezza° perché ho amato tanto e come sempre quella delusa sono sempre io.
Ho questo vizio purtroppo di dare Sempre tanto anche a chi mi fa del male.
°Felicità° perché credo che da questa delusione, io potrò dare tutta me stessa a me,per essere una persona nuova, migliore e finalmente felice, anche senza qualcuno.
Mi sono sempre focalizzata su qualcuno o qualcosa per essere felice.
Mi sono messa da parte per far del bene agli altri.
Mi sono amata di meno, per riuscire ad amare a pieno gli altri.
Mi sono trascurata, sono cambiata, per qualcuno che diceva di amarmi e diceva che prima o poi sarebbe migliorato per far funzionare la relazione...
È direttamente cambiato, tirando fuori il peggio che aveva in se.
Io comprendo che lui non stia bene emotivamente e Comprendo a pieno il suo dolore però non può farmi questo a me.
Non può disminuirmi, dimenticarmi, solo perché lui non sta bene con se stesso.
Io ho conosciuto sia il suo meglio che il suo peggio, ma sono sempre rimasta al suo fianco.
Nonostante mi avesse fatta sentire Brutta, sbagliata ecc...
Ma a me non importa, perché tutti nella vita sbagliamo e soprattutto per amore sorpassi tutto, se sai che veramente la persona che hai accanto non sta affatto bene ed ha bisogno di affetto..
Io so come si sente, ci sono passata anche io.
Però allontanandomi, non ti farà star meglio.
Comportandoti così con me, non avrai altro che ferite in più.
Quindi ti prego, lascia i tuoi pensieri chiusi in una scatola e ascolta il tuo cuore.
Quello saprà portarti nella direzione giusta.
Vorrei solo prendermi tutto il tuo dolore e farti stare meglio.
Ci sono cose che Sarà difficile spiegarti perché non riuscirei a trovare le parole giuste. Però io credo che basta guardare i miei occhi quando sono con te e li capirai davvero tutto.
C'è una canzone, solo una... che quando lascolterai capirai tutto....
"E in fondo pensi, ci sarà un motivo
E cerchi a tutti i costi una ragione
Eppure non c'è mai una ragione
Perché un amore debba finire"...
Ti amerò come accade nelle favole ...
PER SEMPRE!✨
Tua, Marti.
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Leggimi alla fine.
Un angolo di luce buia.
26/11/21
Se sei appena arrivato su questo blog, leggi questo post per ultimo, dopo aver letto almeno uno dei precedenti (preferibilmente più di uno)
Ho spolverato questa pagina dimenticata da dio dopo anni pubblicando due post rimasti nelle bozze a nascondersi e pubblicando questo qui adesso.
E ho capito perché l'ho abbandonata.
Ebbi l'idea di creare questo blog dopo aver scritto il primo post di questa pagina nel lontano 2014, in un periodo non particolarmente felice della mia vita, con l'intento di scrivere un post per ogni "situazione orribile" da me provata. Accomunavo i tratti comuni di tutte le volte in cui mi ero sentito parecchio giù di morale per isolare ed esorcizzare lo stato d'animo stesso.
Avevo creato un format. Un misto tra un programma televisivo e un appuntamento dallo psicologo. Avanti un'altro (problema)
Con il tempo, però, mi accorgevo di non riuscire a scriverci.
Sebbene il primo post l'avessi scritto tutto di getto in pochissimo tempo, per scrivere gli altri impiegavo di più, molto di più, sempre più tempo.
Immagina un foglio bianco. Io disegno un punto e ti dico di tracciare una linea retta o curva che lo intersechi. Hai infinite soluzioni.
Poi però ne disegno due di punti e ti chiedo di unirli allo stesso modo, con una linea qualsiasi. Le soluzioni possibili iniziano a diminuire.
Poi ne disegno 3 e ti chiedo lo stesso. Poi 10. Poi 350. Poi 42 milioni.
I punti sono le situazioni che mi sono accadute, mentre le linee i miei racconti.
È logico quindi che con meno situazioni tracciare coerentemente i contorni dell'emozione è esponenzialmente e drasticamente più semplice. Più aumentavano le situazioni che vivevo, più era difficile farle combaciare con il format che avevo creato all'inizio.
Quindi mi sono reso conto e sono giunto alla conclusione di non aver nulla da dire, o forse di non riuscire a dirlo perché non avevo mai provato veramente sensazioni orribili.
O almeno era così, fino ad un giorno.
Un giorno qualunque scopro che mia madre ha una malattia terminale. Ho 27 anni quando mi succede, lei 51. E questa è veramente una sensazione orribile che ho provato, e più che orribile direi disgustosa e vomitevole sopra ogni limite, perché da quando lo scopri devi vivere con la consapevolezza di un dolore che proverai e nei confronti del quale sei totalmente inerme. Vorresti fare tanto, tutto, ma non puoi fare un cazzo, niente. A volte parliamo delle situazioni spiacevoli definendole "una merda". Questa non è una merda perché la merda a qualcosa serve. Osservare impotenti una persona che soffre e si spegne lentamente di fronte ai tuoi occhi, dimmi, a cosa serve veramente? È come essere legati ad un palo ed assistere ad una persona che sta per venire trafitta da una lama. Ma chi infliggerà il colpo mortale si muove molto lentamente, al punto che non riesci bene a distinguere il fatto che si stia muovendo davvero, guardandolo tutti i giorni. E tu sei lì, ma è come se non ci fossi veramente perché non puoi fare nulla, se non stare a guardare, immobile, impotente, inerme.
A questo punto quindi, penso che dovrei aver tanto da scrivere, di cui parlare. Questa situazione così spiacevole dovrebbe essere combustibile altamente infiammabile per il fuoco dei miei pensieri. Eppure mi sento in un paradosso, come se avessi oltrepassato l'asintoto verticale della funzione dell'intensità dei miei stati d'animo e mi trovassi dall'altra parte dell'infinito, quindi con segno opposto; come se quel combustibile così tanto infiammabile lo fosse sì infinitamente, ma ad un punto tale di esserlo "troppo" non essendo quindi più in grado di prendere fuoco.
E mi ritrovo a vedere il riflesso delle mie volontà nascoste nei comportamenti quotidiani: vorrei che niente finisca davvero, così come questo post che sto scrivendo, al quale non riesco a dare una degna conclusione, la stessa conclusione che manca e che non riesco a vedere nella vita di mia madre che si sta lentamente spegnendo davanti ai miei occhi.
E questa è in assoluto la peggiore sensazione orribile che io abbia mai provato.
#pensieri#frasi#riflessioni#sfogo#tristezza#dolore#sofferenza#sensazioni#orribili#frasi profonde#diario
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Santa Elisabetta della Trinità
ELEVAZIONE ALLA SANTISSIMA TRINITA'.
O mio Dio, Trinità che adoro, aiutami a dimenticarmi completamente, per fissarmi in Te, immobile e tranquilla, come se la mia anima fosse già nell'eternità. Nulla possa turbare la mia pace né farmi uscire da Te, o mio Immutabile, ma che ogni istante m'immerga sempre più nella profondità del tuo Mistero.
Pacifica la mia anima, rendila tuo cielo, tua dimora prediletta, luogo del tuo riposo. Che non ti ci lasci mai solo, ma che sia là tutta, interamente desta nella mia fede, tutta in adorazione, pienamente abbandonata alla tua azione creatrice.
O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il tuo Cuore, vorrei coprirti di gloria, vorrei amarti fino a morirne. Ma sento la mia impotenza, e ti chiedo di "rivestirmi di te", d'identificare la mia anima a tutti i movimenti della tua anima, di sommergermi, d'invadermi, di sostituirti a me, affinché la mia vita non sia che un'irradiazione della tua vita. Vieni in me Adoratore, come Riparatore e come Salvatore.
O Verbo eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarti, voglio rendermi perfettamente docile per imparare tutto da Te. Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze, voglio sempre fissare Te e restare sotto la tua grande luce. O mio Astro amato, affascinami perché non possa più uscire dalla tua irradiazione.
Fuoco consumante, Spirito d'amore, "discendi in me", affinché si faccia nella mia anima come una incarnazione del Verbo e io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli rinnovi il suo Mistero.
E tu, o Padre, chinati sulla tua povera piccola creatura, "coprila della tua ombra", e non vedere in lei che "Il Diletto nel quale hai posto tutte le tue compiacenze".
O miei Tre, mio tutto, mia beatitudine, solitudine infinita, immensità in cui mi Perdo, mi abbandono a Voi come una preda.
Seppellitevi in me perché io mi seppellisca in Voi, in attesa di venire a contemplare nella vostra luce l' abisso delle vostre grandezze.
21 Novembre 1904
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Un cane che si è perso
È qualcosa di un po' fuori di testa, perché questo racconto è nato (incompleto) nel 2013 con il proposito di voler essere una piccola leggera favola con protagonista un cagnolino; l'ho ripreso qualche anno dopo (perché lo lasciassi comunque incompleto) e terminato solo ora. Nel frattempo il tono è diventato più cupo, credo che anche il cane sia invecchiato con me! L'aspetto che più fa sorridere è che, per una cartella word, mi ci sono voluti più di 10 anni. Tutto il tempo per farne un capolavoro insomma; e invece devo pensare che rimarrà una perenne bozza, perché lo modifico ad ogni nuova lettura (non fate caso a qualche piccola licenza linguistica, non siate troppo rigorose/i con un cagnolino che parla in italiano). Comunque eccolo qui, si intitola Un cane che si è perso.
"Cerco il tuo odore, ma è così difficile trovarlo in questo angolo di terra. Qui ogni cosa esonda del suo odore. Per quale motivo percorro questa strada? Forse ho inseguito qualcosa di cui ho dimenticato la forma, poteva essere un’ombra, forse un gattino, o quel topo con delle grandi orecchie che ho visto in tv, o forse era più simile alla pallina con i baffi che mi hai regalato il mese scorso. Da questo marciapiede scorgo qualche anima dentro le poche macchine stanche. Ho intravisto un bambino che mi guardava da dietro un finestrino. Mi sento così solo. Io sono sempre solo tranne che con te. Dall'interno di una casa si spandono voci incomprensibili, ma non è la nostra casa. Ricordo che quando ero un cucciolo sentivo la tua voce provenire dalla nostra camera, io sapevo che eri lì, e correvo orgoglioso sul prato del cortile perché volevo che tu mi guardassi dalla finestra. La malinconia rende il ricordo così perfetto, eppure anche allora niente era perfetto. Chissà dove sei, e se mi stai cercando. Ho tanto da raccontarti, sai? Anche se forse non capirai. In questa strada non riconosco niente della mia vita, credo di avere corso tanto da finire su un altro pianeta. Potrei vivere su un altro pianeta solo insieme a te. Eppure sono qui per avere inseguito qualcosa che non eri tu. Sarà da qui che vedrò il sole sorgere fra qualche ora? Da un pianeta morto, in cui l’unica cosa di vivo è l’eco delle voci che rimbombano nella mia testa quando provo a tendere l’orecchio. Forse questa strada è stata costruita da un'umanità che si è estinta, o che l’ha abbandonata. Ed io mi sento come questa strada, abbandonato. Le luci al neon mi abbagliano, posso farmi guidare solo da mille odori insapori.
Credevo tu fossi abbastanza forte da proteggermi sempre, sai? Ma ultimamente sei come un treno che corre per inerzia, i tuoi occhi il riflesso della stanchezza. Una vetrina riflette il mio volto scavato, forse non è poi così distante dal tuo. Ricordi che noi siamo le rotaie di uno stesso binario, vero? Camminiamo sempre paralleli. Io sono parte di te. Due rotaie non stanno mai lontane, non possono stare lontane. E allora perché non scorgo più la tua sagoma? Sono stanco e ho tanta fame. Non so se riuscirò a vedere il prossimo autunno. Senza di te l’autunno non esiste, esistiamo solo io e questa strada vuota, con i suoi ricordi sbiaditi impressi sui muri cadenti. Se ora non mi riconoscessi, mi vorresti ancora con te? La strada sta per terminare, solo il tempo di girare l’angolo e dare uno sguardo dall’altra parte. Vorrei sentire il profumo della nostra casa, vorrei dormire, vorrei svegliarmi insieme a te, perché quando il mondo è stato creato, sei apparsa tu".
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Cerco di mettere in atto la compassione, di non darmi ancora più addosso in momenti come questo, eppure spesso non ci riesco.
Non posso fare a meno di pensare alla tabella di marcia della settimana scorsa e quella della settimana in corso, ancora da scrivere.
Penso che il fatto di non aver avuto grosse abbuffate, di non aver comprato compulsivamente quantità industriali di dolci e schifezze simili sia già qualcosa. E forse questo lenisce un po' il senso di colpa per non rispettare il mio programma... Del resto stare qui non è facile.
Ho voglia di farmi del male. Inizialmente erano solo pensieri passeggeri, ora sono insistenti... A volte sono sul punto di cedere però poi lascio perdere... Non tanto per me, quanto per gli altri. Non voglio diventare di nuovo la persona ingestibile da dover tenere sotto controllo, di cui tutti poi si stufano. Non voglio essere abbandonata... Però ho bisogno di aiuto, ho bisogno che tutto questo dolore finisca.
A volte non vedo nessuna speranza e vorrei semplicemente mollare. E mi dispiace ammetterlo, scriverlo qui, perché so che tu leggerai e starai male per me. E se da un lato sono felice di farti stare bene, mi dispiace che tu possa sentirti in difetto perché io invece sto male. Tu non c'entri in questo, ok? Sono io che sono difettosa e forse non funzionerò mai come una persona normale.
A volte mi pento di averti dato il link di questo blog, perché so che questo raramente è un posto felice. È più la gabbia di contenimento dei miei pensieri, che spesso sono davvero tanti ed ingestibili.
Non voglio tagliarti fuori e nasconderti le cose, però ho paura.
Perché nemmeno io mi sopporto quando sto così, mi odio e ho paura che potresti finire per odiarmi anche tu.
E forse scrivo qui perché a parole certe cose non riesco a dirle, perché non so fare un discorso coerente e salto sempre di palo in frasca.
È che sono così stanca cazzo... Io sto davvero facendo del mio meglio per non farmi inghiottire da tutto questo, però siete tutti lì a chiedermi sempre di più.
Io vorrei solo un po' di affetto, non dei consigli su come uscirne, perché magari funzioneranno pure su di voi, ma non è detto che per me sia lo stesso, anche perché ripeto che sto già facendo grossi sforzi per non fare cazzate e per convivere con la mia oscurità.
Mi sento così sola. So di non esserlo e mi sento in colpa anche per il mio senso di solitudine.
Sono entrata in un gruppo di auto aiuto per la depressione, ma non mi ha aiutato granché. Ho ripreso a scrivere su un forum sempre su questo tema, forse sperando di distrarmi dai miei problemi con quelli degli altri, una volta funzionava e mi faceva sentire utile, ora mi sento solo vuota.
Sto iniziando a perdere il senso del tempo e riconosco non sia affatto un buon segno... Non voglio tornare al tempo degli episodi psicotici. Forse dovrei scrivere al mio psichiatra, anche se speravo di non doverlo più fare.
Mi sento persa, come se galleggiassi su un flusso indistinto di cose e la mia volontà non contasse, in balia della corrente, senza né un salvagente per evitare di andare a fondo, né un'ancora che mi impedisca di finire chissà dove.
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