#poeti americani
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Vertigini Letterarie
Leggendo Robinson, l'inserto domenicale de la Repubblica, mi è capitata nella sempre bellissima intervista a fine inserto di Antonio Gnoli questa risposta: la letteratura è insieme all'arte il più straordinario serbatoio di immagini e di suggestioni. Certi romanzi spiegano la geografia meglio di un geografo. Queste parole sono state dette, appunto, da un grande geografo italiano, Franco Farinelli. E mi sembrano perfette per parlare un po' di questa carta geografica della letteratura del '900 che è questo libro, che mi ha tenuto tutto il mese di Settembre sulle sue pagine.
Ho scoperto il nome di William Gaddis anni fa, dopo aver letto quel capolavoro che è L'Incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon. Del misterioso autore di quel libro non si sanno che poche cose, fotografie solo da giovane studente, tanto che alcuni sospettarono che fosse uno pseudonimo di Gaddis. Questa è leggenda, Pynchon esiste davvero, ma è vero invece che tutti e due sono i pilastri del post-modernismo letterario americano, che ha incantato tutta una serie di scrittori diventati iconici, con romanzi quali L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon (1973), Infinite Jest di David Foster Wallace (1996) e Underworld di Don De Lillo (1997) o Le Correzioni di Jonathan Franzen (2001).
Le Perizie è un libro mondo, scritto nel 1955 (1220 pagine) che è stato riproposto da Il Saggiatore dopo quasi 50 anni dalla prima edizione Mondadori, che all'epoca lo divideva in due volumi (1967). Racconta la storia di Wyatt, un giovane del New England cresciuto dal padre pastore protestante e la Zia Mary, ultra calvinista, nel ricordo di sua madre Camilla, morta in un viaggio in Spagna. Wyatt scopre di avere un talento particolare nel disegno, tanto che una volta arrivato a New York viene ingaggiato come falsificatore di antichi quadri rinascimentali fiamminghi da un ricco uomo d'affari, Recktall Brown (il cui nome è tutto un programma). Tutto intorno a questa vicenda gira un gruppo di personaggi secondari e delle loro storie, tra scrittori in cerca di successo, attrici, artisti, poeti, critici d'arte che tra feste senza senso e dissertazioni esistenziali si interrogano sul ruolo dell'arte, degli artisti e del loro senso nel mondo. Le perizie del titolo è un sottile gioco semantico: sono sia quelle tecniche che certificano l'autenticità di un'opera d'arte, ma sono anche in senso più ampio una disamina infinita che vede i personaggi coinvolti in un interrogarsi minuzioso sulla crisi del pensiero filosofico occidentale, dalla metafisica aristotelica alla storia dell’alchimia, dalla storia delle dottrine religiose alla storia dell’arte moderna.
Quello di Gaddis fu volutamente un tentativo di scrivere un libro che andasse oltre, sia in termini strutturali che soprattutto linguistici. È l'apoteosi della citazione, di oscuri pittori fiamminghi del 1500, di testi scritti da santi eretici, di luoghi veri e immaginari, in un mix che si pone a metà strada tra il Faust e Finnegans Wake. All'epoca fu un fiasco, tanto che Gaddis per oltre venti anni abbandonerà la letteratura e lavorerà come pubblicitario per grandi gruppi industriali americani, come l'IBM. Ritornerà al romanzo solo venti anni dopo, con un'opera forse ancora più audace, JR, che però stavolta fu un successo, tanto che vincerà nel 1976 il prestigioso National Book Awards, premio che Gaddis vincerà ancora nel 1994 con A Frolic Of His Own (non tradotto in Italiano).
Tra i suoi più grandi ammiratori c'è Jonathan Franzen, che ha intitolato il suo podcast e blog personale Mr Difficult, non a caso, dato che era il soprannome di Gaddis per via del suo stile barocco, a tratti schizofrenico, imperscrutabile e con la caratteristica, unica e singolare, di caratterizzare i personaggi per uno stile riconoscibile nel linguaggio (per spiegarmi meglio, come quei tic linguistici che si hanno, il ripetere spesso un intercalare, un modo di dire e così via). Nel 2002 Franzen scrisse sul New Yorker un articolo, intitolato Mr. Difficult: William Gaddis and the Problem of Hard-to-Read Books, in cui divide i lettori in due gruppi: gli Status Model, che cercano in un romanzo una forma d'arte, e i Contract Model, che cercano in un romanzo una forma di intrattenimento. In Gaddis lo sfoggio, nel caso de Le Perizie, di citazioni erudite, rimandi all'antropologia, all’esoterismo, alla teologia cristiana o alla pittura fiamminga sono segnali paradigmatici di Status Model, e fu questa analisi stilistica che portò lo stesso Franzen a passare dal romanzo forbito (e a tratti indimenticabile) ma "difficile" da leggere che fu Le Correzioni a quello più semplice strutturalmente e più godibile che fu il successivo Crossroads.
Leggendolo, ho detto alle mie amicizie di lettura che non lo avrei consigliato a nessuno, sebbene sia stata una delle letture più incredibili della mia vita. Perchè c'è uno sforzo intellettuale che, e non so nemmeno se sia in fondo un problema, non è solitamente più richiesto per lo meno in un momento personale di riflessione come può esserlo una lettura.
Lascio l'ultima riflessione alla traduzione: fu opera già nel 1967 del grande Vincenzo Mantovani, uno dei più grandi traduttori di autori anglofoni della nostra editoria, scomparso l'anno scorso. Lui aveva un amore viscerale per Gaddis, che mi rendo conto era una sfida da rompicapo per un traduttore ma che per lo stesso motivo era amatissimo da chi queste sfide le accettava. Lo stesso Mantovani lavorò per 15 anni alla traduzione di JR, che è in pratica un romanzo dialogo su un giovane genio adolescente che scopre un modo per fare soldi nella finanza, ma non trovò mai un editore disposto a pubblicarlo. Ci riuscì solo nel 2009, grazie alle Alet di Padova, che tra l'altro non pubblica più, rendendo introvabile questo altro romanzo così sui generis e forse per questo così fondamentale.
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Il segreto della villanella
Continuamente sento la mancanza dei libri. Mi mancano come fossero persone in carne ed ossa. Se passo una giornata senza averne uno accanto, lo sento. E non perché io legga molto, devo ammetterlo, però mi manca proprio il libro. È davvero una consolazione, una compagnia da toccare, da tenere in mano, o da sapere lì ad aspettare che uno arrivi e lo saluti. Il desiderio dei libri è paragonabile a una sete: nessuno di loro la fa passare del tutto, e ne mancherà sempre uno nuovo, più dissetante. E proprio come fosse una fiaschetta, di quelle che si vedono nei film americani, da un po' di tempo mi capita che quando esco di casa devo per forza averne uno in borsa, con me, anche pigliato a caso, di corsa, non so perché, forse una difesa contro il tempo sprecato ad aspettare in una qualche fila inutile, contro la solitudine sbagliata, quella senza libri, per l'appunto. L'altro giorno è toccato a Jonathan Swift, a Modest Proposal dei Little Black Classics della Penguin. Proprio un bellissimo formato-fiaschetta, con, sulla prima pagina, una autodedica di mio padre, "from my daughter, 2015". Per inciso, sono sicura che la gente si scandalizzerebbe di meno se io tirassi fuori una fiaschetta di whisky dalla borsa invece che un libro. immagino le risate all'uscita di scuola.
Ma veniamo alla fiaschetta di oggi.
Tu lo sai cos'è una villanella? io non lo sapevo, e poi mi è arrivato questo piccolo libro: un'antologia della Everyman's Library, Pocket Poets Series, hardcover. Vedessi che razza di fiaschetta succulenta che ho tra le mani. La apro e sul risguardo ci trovo scritto
Everyman, I will go with thee,
and be thy guide,
In thy most need
to go by thy side.
Queste, mi spiega Google (povera me), sono le parole di Knowledge a Everyman, e io qui, sulla soglia del risguardo, io già mi sento ubriaca, che cosa ci leggo a fare dentro a questa fiaschetta, oltre il risguardo? E invece. Invece dentro a questo libricino scopro che c'è una piccola e inaspettata meraviglia: c'è un segreto in mezzo alla raccolta di fiori, un segreto dentro all'antologia. E il fiore qui è bello da togliere il fiato.
L'introduzione mi spiega brevemente che la villanella, il mio fiore, è una composizione popolare, nata nel sedicesimo secolo in Italia, sorella del madrigale. Ma mentre quello diventa presto una cosa di letteratura, la villanella sfugge a tutte le definizioni della poesia di corte, continua a guardare alle sue origini dialettali con nostalgia, si resiste insomma alla letteratura: vuole restare così com'è, di campo. E nei libri di letteratura ci va a finire solo una volta che si è esaurita, quando ormai nessuno ne scrive o ne canta più di villanelle. A riscoprirla sono i collezionisti, gli antologisti, i catalogatori del 1700. Ma la villanella non ha delle belle radici piantate a terra come quelle del sonetto, e ogni volta è detta diversa, ogni volta è cantata nuova. E questo è un bel problema, perché la sua origine non si vuol far trovare, il nome del padre semplicemente non c'è: la villanella è incostante, è volubile, è cantata sempre in un altro modo. Allora quei catalogatori incalliti le trovano un bel padre putativo della fine del cinquecento, tale Jean Passerat, l'unica villanella con una parvenza di struttura regolare, e quella diventa La Villanella, La Forma Metrica: "J'ai perdu ma tourterelle". Cinque terzine e una quartina. Uno schema un po' difficile, e perciò molto gustoso. E più passa il tempo, e più diventa succulento, tanto da fare gola più di tutti ai nostri poeti, a quelli di oggi, pensa che cosa assurda. Perché la villanella è difficile. E questi poeti che si sono liberati dai legacci della rima e del metro a volte se ne vanno a pescarne di impossibili, di rime e di metri. E di solito lo fanno per dirci dentro il nome del padre, per dichiararcisi figli di uno, e invece. Invece qui del nome del padre non ce n'è neanche l'ombra: perché questo è uno schema del secolo ventesimo che si traveste da sedicesimo. Questo è esattamente il contrario di tutto quello che io ho studiato in poesia fino ad oggi, the anxiety of influence, the burden of the past: qui dentro il passato è leggero, incostante, volubile, e il presente lo prende e lo legittima, lo pianta saldamente a terra, come se fosse stato sempre lì: così il fiore di campo diventa un bell'albero, ma niente radici, solo infiorescenze. Questo in poche parole è un falso d'autore, di vari autori, per essere precisi, di tutti quelli che vorranno cantarsi una villanella, in effetti. Di tutti quelli che vorranno ballarla, a ben vedere. Perché la villanella è una danza. E qui viene il segreto, e mi fa impazzire: che i danzatori sono due versi, e si alternano alla fine di ciascuna terzina, sempre gli stessi, sempre uguali, l'uomo e la donna, e si fanno la corte, si cercano con piroette e riverenze, muoiono dalla voglia di incontrarsi insomma, e alla fine ce la fanno. Sono loro gli ultimi due versi della quartina, gli ultimi due versi della villanella, finalmente abbracciati. Ti rendi conto di cosa sta succedendo dentro alla mia fiaschetta? E pensare che nessuno lo immagina nemmeno, nessuno di quelli che incontro per strada lo sa, che ho una compagnia di balli popolari nascosta dentro alla borsa, mentre vado a prendere Agnese a scuola. Ma non è finito qui, il segreto, ché così qualunque fiaschetta dentro alla borsa basterebbe a farmi un po' canaglia, una piccola alcolista inconfessa e impenitente.
Invece dentro al segreto della villanella ce n'è un altro ancora, uno persino più bello. Perché tu la prendi, vedi, e la guardi, tra le pagine di questo libricino, quant'è impegnata a fare le sue cose, a dire le sue storie, le più disparate: c'è la villanella che ripete una lezione di grammatica, quella che insegna l'arte di perdere le cose, quella che racconta di un bacio al barista dato a trentasei anni e sentito come fossero sedici, quella che ti fa vedere l'alunna a letto col suo professore e che con gli occhi sbarrati riesce solo a pensare a un distico in inglese antico, quella che chiede al padre di non morire gentile, di lottare contro la luce che si spegne. E così impegnata com'è nelle sue figure, nei suoi circoli, nei suoi passi incrociati, non ti accorgi che tutto il tempo lei pensa a fare una cosa sola, in fondo a tutte le altre, dietro la superficie della coreografia: lei pensa tutto il tempo a far ballare i suoi due versi innamorati, che muoiono dalla voglia di incontrarsi. They die to get together. Eccolo, il segreto della villanella. Perché questo segreto è un po' anche il mio, forse anche il tuo e quello di tanti come noi, io lo spero proprio. Quei due versi innamorati ballano la nostra stessa danza. Con ostinata precisione si comincia col doppio fronte del rientro a scuola, a tutte le scuole; poi è il turno della carola delle sveglie all'alba e del traffico per arrivare dove dobbiamo arrivare, delle spese all'ora di chiusura dei supermercati; così arriva la volta della danza incrociata dei pranzi e delle cene, delle merende e delle colazioni; fino alle piroette degli amici, dei parcheggi difficili, degli esaurimenti nervosi e dell'erisimo in tintura madre, delle canzoni che passano alla radio impertinenti, delle lavatrici e delle case, dei quadrimestri, delle note e delle corse, di tutte le corse, di tutti gli aerosol, gli sciroppi, gli antibiotici e di tutti gli agognatissimi weekend senza risposo. E poi alla fine, ormai senza fiato, una riverenza.
Questo è il segreto della villanella. E sta lì, sotto agli occhi di tutti, ma rimane nascosto -hidden in plain sight- dietro alle coreografie superficiali, alle grammatiche, ai baristi, alle studentesse, alle cose perdute, ai padri che muoiono: dietro ai copioni diversi. Il segreto è che c'è qualcos'altro dietro alle nostre vite, c'è qualcosa in fondo a tutte le storie più diverse in cui ci affanniamo, in cui ci impegniamo a ballare per bene, a passare come si deve per tutti i nostri passi obbligati. In fondo, ma proprio in fondo a tutto, ci sono due versi. E quelli muoiono dalla voglia di abbracciarsi, di finire la danza l'uno davanti all'altra, una riverenza e un sorriso, compiaciuto sudato esausto. E poi finalmente di cadersi addosso, senza fiato e senza più vergogna.
A dainty thing's the Villanelle,
Sly, musical, a jewel in rhyme,
It serves its purpose passing well.
A double-clappered silver bell
That must be made to clink in chime,
A dainty thing's the Villanelle;
And if you wish to flute a spell,
Or ask a meeting 'neath the lime,
It serves its purpose passing well.
You must not ask of it the swell
Of organs grandiose and sublime--
A dainty thing's the Villanelle;
And, filled with sweetness, as a shell
Is filled with sound, and launched in time,
It serves its purpose passing well.
Still fair to see and good to smell
As in the quaintness of its prime,
A dainty thing's the Villanelle,
It serves its purpose passing well.
William Ernest Henley
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La strada non presa di Robert Frost
Robert Frost (1874 – 1963)è considerato uno di più noti e importanti poeti americani. Due strade divergevano in un bosco d’autunnoe dispiaciuto di non poterle percorrere entrambe,essendo un solo viaggiatore, a lungo indugiaifissandone una, più lontano che potevofin dove si perdeva tra i cespugli.Poi presi l’altra, che era buona ugualmentee aveva forse l’aspetto miglioreperché era erbosa e meno…
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10 mag 2024 11:09
LA COCA IN UNA STANZA – GINO PAOLI RICORDA QUANDO SMISE DI CANTARE: “NEL ’68 MI CHIEDEVANO CANZONI POLITICHE. NON CAPIVO CHE CACCHIO INTENDESSERO. ALL'EPOCA MI FACEVO DI COCAINA, ARRESTARONO IL MIO PUSHER E RIMASI SENZA. ALLORA RICOMINCIAI A SCRIVERE E CANTARE” – A TORINO PER PRESENTARE L'AUTOBIOGRAFIA AL SALONE DEL LIBRO, RICORDA “UNA DOLCISSIMA RAGAZZA TORINESE MORTA IN MACCHINA UNA SERA DI NEBBIA” – VIDEO -
Estratto dell’articolo di Luca Castelli per https://torino.corriere.it/
È tempo di battesimi per Gino Paoli. Giunto a ridosso del novantesimo compleanno (il 23 settembre), il maestro della canzone d’autore debutta giovedì 9 maggio al Salone del Libro, presentando alle 18.15 in Sala Rossa la sua prima autobiografia Cosa farò da grande (Bompiani, scritta con Daniele Bresciani), che «come tutte le cose della mia vita mi è capitata addosso».
Fu così anche con la musica?
«Sì, facevo il grafico pubblicitario e Gianfranco Reverberi mi convinse a registrare alcune canzoni che voleva presentare alla Ricordi. Nanni Ricordi, uomo straordinario che stava portando l’etichetta dalla classica alla leggera, disse: “Le canzoni forse non mi interessano, ma il cantante mi piace”. Per due anni l’ho fatto per gioco, finché il direttore della ditta mi fece notare che per una serata prendevo il doppio di quanto mi dava lui di stipendio: “Non pensi sia il caso di lasciare il lavoro?”».
Da allora non l’ha più mollata?
«Solo nel ‘68, quando hanno iniziato a chiedermi canzoni politiche. Non capivo che cacchio intendessero: per me la vita è politica. Non avevo più voglia di cantare, magari finendo pure “processato” come De Gregori. Così trovai un casinò a Levanto che aveva bisogno di un gestore e per qualche anno lavorai lì. Facevo tutto, organizzavo anche concerti grazie all’amicizia con Sergio Bernardini della Bussola».
Quando ha deciso di tornare a cantare?
«In quel periodo mi facevo un po’ di cocaina, un giorno hanno arrestato il mio pusher e sono rimasto senza. Avevo continuato a scrivere delle cose, sono andato a rileggerle da ���sano” ed erano orrende. Non sopporto la mancanza di controllo su me stesso, quindi ho smesso di farmi e ripreso a scrivere. Finché Gianni Borgna mi ha convinto a tornare su un palco al Pincio a Roma. Avevo una fifa terribile, ho cantato 15 minuti e sono scappato, ma il pubblico continuava a chiamarmi».
Molti suoi colleghi hanno scritto romanzi. Non ha mai pensato di darsi alla letteratura?
«Avrò iniziato a scrivere un libro almeno dieci volte, ma intorno a pagina 111 ho sempre buttato tutto. Credo molto nelle parole, nella loro magia, consistenza, significato: la parola è ciò che definisce l’uomo e lo distingue dalla scimmia. Quando devo metterne una vicina all’altra divento pignolissimo, completare un libro per me è troppo difficile».
[…]
Se le dicessero che può auto-candidarsi al Nobel, con quale delle sue canzoni lo farebbe?
«Quella che è riuscita meglio a trasformare un’emozione astratta in fatto concreto è Sassi».
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GINO PAOLI TENTATO SUICIDIO
La musica d’autore andrebbe insegnata a scuola?
«Sì, ma nel modo giusto. I poeti — Carducci, Pascoli, Leopardi — sono stati massacrati dalla scuola, che cercando di imporli li ha resi polverosi. Quando poi li riscopri da adulto, ti rendi conto di quanta bellezza ci sia nell’albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno da’ bei vermigli fior...».
Qual è stata la sua scuola di musica?
«Il primo contatto vero fu grazie ai carri armati americani. La mia casa era l’ultima di Pegli, dietro c’era il loro comando e si erano portati dietro persino i giradischi. Dai carri usciva la musica fantastica di Louis Armstrong e altri. E visto che avevano solo roba in scatola, erano golosissimi di cibo fresco e noi avevamo un orto di guerra, scambiavo un pomodoro con un disco».
Qual è invece il più bel ricordo di Torino?
«I ricordi più belli sono sempre legati a una donna. A Torino, tanto tempo fa, conoscevo una ragazza carinissima e dolcissima che purtroppo è morta in macchina una sera di nebbia»
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Per la prima volta in Italia esce per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, RE EZRA di Michael G. Stephens
Per la prima volta in Italia esce per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, RE EZRA di Michael G. Stephens. Per la prima volta in Italia esce per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, RE EZRA di Michael G. Stephens. M. G. Stephens ha scritto un romanzo su una delle figure più controverse del movimento modernista: Ezra Pound. Durante la seconda guerra mondiale, Ezra Pound lavorò come propagandista per i fascisti italiani, aiutando la loro causa con le sue regolari trasmissioni radiofoniche. Questa attività portò Pound a essere accusato di tradimento, anche se non fu mai processato per questo. Invece, fu internato per oltre un decennio in un ospedale psichiatrico di Washington, D.C. King Ezra porta il lettore dall'incarcerazione di Ezra Pound da parte dell'esercito statunitense dopo la seconda guerra mondiale fino ai suoi ultimi giorni a Venezia nei primi anni '70. M. G. Stephens attinge alle sue riserve letterarie come poeta, scrittore di narrativa e drammaturgo per raccontare questa tragica storia di un genio imperfetto. La prosa di Stephens può essere veloce e idiomatica o introspettiva e contemplativa, ma è sempre vivida, coinvolgente e sorprendente. "Aveva percorso a piedi la Provenza, da giovane; certo poteva camminare da Roma alle Alpi italiane, malgrado la distanza. Ma il viaggio era improvvisato, ricco di impulsività (si legga: irriducibile indifferenza per il dolore che poteva arrecare a lui, o ad altri) e se lo fece a piedi, saltellando, alle volte, smentendo la propria età (era quasi sessantenne), con gli abiti stracciati, ma del resto tutti avevano abiti stracciati. C'era la guerra, e l'Italia non se la passava bene. L'esito era dubbio. Il nuovo governo s'era insediato a Salò, sulle sponde del Lago di Garda. Lui aveva una mappa. Ma una mappa non era il territorio, pensò. (...)" MG Stephens ha pubblicato 25 libri, inclusi i romanzi Season at Coole e The Brooklyn Book of the Dead. Il 2022 segna il 50° anniversario della pubblicazione di Season at Coole per E.P. Dutton. L'anno precedente (2021), MadHat Press aveva pubblicato l'opera ibrida (prosa e poesia) in cui MG Stephens ha scritto su un attore disoccupato che ottiene la parte di Amleto, il cui titolo è: History of Theatre or the Glass of Fashion. MG Stephens ha ricevuto lodi da romanzieri come Hilma Wolitzer e Richard Price, nonché da poeti come George Szirtes e Michael Anania. I suoi libri di saggistica includono il memoir di viaggio Lost in Seoul (Random House, 1990) e la raccolta di saggi Green Dreams, vincitrice del premio AWP per la saggistica, successivamente selezionata da Joyce Carol Oates come uno dei 100 più importanti libri di saggistica americani del 20° secolo. La sua commedia Our Father è andata in scena a Theatre Row (42° Strada, a New York) per oltre cinque anni è stata più volte rappresentata a Londra, Chicago e Los Angeles. Nel 2001, Stephens si è trasferito all'estero, a Londra, dove ha vissuto per quindici anni. Durante quel periodo è stato attivo sui palcoscenici di Londra e ha prodotto spettacoli per il Pentameters Theatre nel nord di Londra (Hampstead) e per il Bread & Roses Theatre nel sud di Londra (Clapham). Tutti i suoi titoli li ha conseguiti dopo i trent'anni, incluso un dottorato presso l'Università dell'Essex a Colchester, in Inghilterra, che gli è stato assegnato all'età di 60 anni. Prima di trasferirsi all'estero, Stephens ha insegnato seminari di scrittura creativa a Princeton, New York e alla Columbia University; a Londra, ha insegnato all'Università di Londra (Queen Mary). Insieme al suo romanzo King Ezra, Spuyten Duyvil ha recentemente pubblicato il suo terzo romanzo sulla famiglia Coole, Kid Coole, incentrato su un giovane pugile, peso piuma, emergente della Hudson Valley a New York. Season at Coole, The Brooklyn Book of the Dead e Kid Coole costituiscono la Coole Trilogy.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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The Non-Catholic Cemetery in Rome da Annalisa Giuseppetti Tramite Flickr: Il cimitero acattolico di Roma si trova a Roma, nel quartiere di Testaccio, vicino a Porta San Paolo, a lato della Piramide Cestia. Indirizzo: Via Caio Cestio, 6, 00153 Roma - Italy Cimitero Acattolico per gli stranieri. Non c'è al mondo altro cimitero che ispiri un tal senso di pace infinita, di speranza e di fede. Nella pace solenne dormono insieme l'ultimo sonno uomini di ogni razza e paese, d'ogni lingua ed età. Quanti però qui riposano all'ombra della Piramide di Caio Cestio, fra pini, cipressi, mirti e allori, rose selvatiche e fiammeggianti camelie, hanno tutti potuto godere la felicità di vivere più o meno a lungo nella Città Eterna. E’ uno dei luoghi di sepoltura tutt’ora in uso più antichi in Europa, in quanto l'inizio del suo utilizzo risale al 1716 circa (LINK alla Storia). Da allora quasi 4000 sono le persone che dormono qui l'ultimo sonno: inglesi e tedeschi i più, ma anche molti americani e scandinavi, russi, greci; persino qualche cinese e rappresentante di altri paesi orientali. La popolazione del Cimitero è eccezionalmente varia, ma anche eccezionalmente ricca di scrittori, pittori, scultori, storici, archeologi, diplomatici, scienziati, architetti e poeti, e tra loro, molti di fama internazionale. Oltre al significativo numero di tombe protestanti e ortodosse orientali, vi si possono trovare tombe appartenenti ad altre religioni quali l’Islam, lo Zoroastrismo, il Buddismo e il Confucianesimo. Le iscrizioni sono in più di quindici diverse lingue – lituano, bulgaro, ceco-slavo, giapponese, russo, greco e avestico, e spesso incise con i tratti della propria scrittura. Molti sono gli artisti che qui riposano: notissimi i nomi di Keats e Shelley, le cui tombe sono mèta di pellegrinaggio per tanti inglesi. The Non-Catholic Cemetery in Rome. Rome's Non-Catholic Cemetery contains possibly the highest density of famous and important graves anywhere in the world. It is the final resting-place of the poets Shelley and Keats, of many painters, sculptors and authors, a number of scholars, several diplomats, Goethe's only son, and Antonio Gramsci, a founding father of European Communism, to name only a few. The Non-Catholic Cemetery for Foreigners in Testaccio, Rome (to give it its full name) is also widely known as the Protestant Cemetery although it contains the graves of many Orthodox Christians, Jews, Muslims and other non-Christians. It is one of the oldest burial grounds in continuous use in Europe, having started to be used around 1716 [History]. It was also referred to in the past as ‘The English Cemetery’ because of the many English people buried there. The Cemetery population is both exceptionally diverse and exceptionally rich in writers, painters, sculptors, historians, archaeologists, diplomats, scientists, architects and poets, many of international eminence. In addition to the significant number of Protestant and eastern Orthodox graves, other faiths that are represented include Islam, Zoroastrianism, Buddhism and Confucianism. Tomb inscriptions are in more than fifteen languages – Lithuanian, Bulgarian, Church-Slavonic, Japanese, Russian, Greek and Avestic, often engraved in their own non-Roman scripts. It is hard to think of another urban site quite so glorious. Its towering cypress trees and abundant flowers and greenery shelter a heterogeneity of elaborate and eclectic graves and monuments, nestled on a slope in the shadows of the Pyramid of Cestius (dated between 18 and 12 B.C.) and adjacent to a section of Rome's ancient Aurelian wall "It might make one in love with death, to think that one should be buried in so sweet a place," wrote Shelley, not long before he drowned and was buried here. Throughout the 19th century and into the 20th, the little Cemetery was something of a pilgrimage site, revered by authors. Daisy Miller, the heroine of Henry James's eponymous novella, was buried there. After an audience with Pope Pius IX in 1877, Oscar Wilde visited the Cemetery, proclaiming it "the holiest place in Rome." The Cemetery is a private one but is operated in accordance with national and municipal regulations concerning cemeteries and historic sites. A board of foreign ambassadors resident in Rome is ultimately responsible for its operations [Governance and Funding]. Burials continue to be made today of those who qualify Other than income derived from burial and tomb maintenance fees, we are dependent on donations, fundraising and volunteers to keep the Cemetery the tranquil and beautiful place that it is. The Cemetery can be visited daily and the Visitors' Centre is a source of information and publications
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Claudia Rankine
https://www.unadonnalgiorno.it/claudia-rankine/
Claudia Rankine, poeta e scrittrice statunitense nata in Giamaica, insegna poesia all’Università di Yale ed è rettrice dell’Accademia dei poeti americani.
Collabora con il Guardian, il New York Times e il Washington Post.
Voce innovativa e provocatoria della poesia contemporanea, è autrice di cinque raccolte, tra cui la pluripremiata opera poetica Citizen: una lirica americana, del 2014, che le è valso il National Book Critics Circle Award, il PEN Center USA Poetry Award, il Los Angeles Times Book Prize e il Forward Prize.
Nata a Kingston, il 15 settembre 1963, a sette anni si è trasferita con la famiglia a New York.
Laureata in Arte al Williams College nel 1986, ha conseguito un master in poesia alla Columbia University nel 1993. L’anno successivo ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie dal titolo Nothing in Nature Is Private.
La sua commedia Detour/South Bronx è stata presentata per la prima volta nel 2009 al Foundry Theatre di New York.
Con i fondi ottenuti dal MacArthur Grant, vinto nel 2016, ha dato vita al Racial Imaginary Institute, un collettivo che affronta attraverso vari linguaggi artistici il tema del razzismo.
La sua ultima fatica, del 2020, è Just Us. Una conversazione americana, in cui, assemblando conversazioni, invettive, poesie e immagini, affronta le dinamiche razziste della contemporaneità dando spazio a voci e tesi altrui, in particolare quelle dei bianchi offuscati dai loro stessi privilegi.
Il suo lavoro spesso attraversa i generi seguendo movimenti mentali selvaggi e precisi. Mostra il rapporto fra l’io e la società, l’atomizzazione e la solitudine dell’individuo, la politica e la socialità dei gruppi umani.
Apporta un prezioso contributo su razza, differenza e politica, ponendo domande difficili e intavolando discussioni necessarie. Straordinario e brillante è il suo modo di interrogarsi sulla lingua, la cultura e la storia che hanno plasmato l’America.
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Sergéj Aleksándrovič Esénin
"Abbiamo perso Esenin, un poeta così meraviglioso, così fresco, così vero. E in che modo tragico l'abbiamo perso! È andato via da solo, ha salutato col sangue l'amico indefinito, magari tutti noi. Questi suoi versi sono impressionanti per quanto riguarda la loro dolcezza e leggerezza! Ha abbandonato la vita senza un grido di rancore, senza una nota di protesta – non sbattendo la porta, ma accompagnando la chiusura con la mano, una porta dalla quale grondava sangue. In questo posto l'aspetto poetico e umano di Esenin è scoppiato in un'indimenticabile luce di addio. Esenin componeva scottanti canti ''di un teppista'' e tradiva i versi nelle maliziose osterie di Mosca. Lui non di rado ha fatto uso del gesto violento, della parola aggressiva. Ma nonostante ciò rimaneva in lui la dolcezza particolare di un animo insoddisfatto, indifeso. Esenin si nascondeva dietro l'aggressività, si nascondeva ma non è riuscito a nascondersi. Non ce la faccio più, ha detto il poeta il 27 dicembre vinto dalla vita, ha detto senza gesta di sfida e senza rimproveri... Ci tocca parlare della sua insolenza perché Esenin non scriveva solo poesie ma mutava il suo modo di comporre a causa delle condizioni del nostro tempo non del tutto delicato e assolutamente rigido.
Si nascondeva dietro ad una maschera spavalda pagando questa sua scelta volontariamente con la corruzione dell’anima. Esenin si sentiva sempre estraneo. Non è per lodarlo, proprio a causa di questa estraneità abbiamo perso Esenin. Ma non è nemmeno per rimproverarlo: ha senso lanciare il rimprovero affinché raggiunga il più lirico dei poeti, che non siamo riusciti a proteggere per noi? Il nostro tempo è un tempo severo, magari uno dei più severi della storia dell'uomo cosiddetto civilizzato. E lui invece di essere un rivoluzionario, nato per vivere in questi decenni, era ossessionato da un severo patriottismo della sua epoca, della sua patria, del suo tempo. Esenin non era un rivoluzionario. Autore di Pugacev e de La Ballata dei ventisei era un poeta lirico. E la nostra epoca non è lirica. È questa la causa fondamentale per cui autonomamente e così presto, si è allontanato per sempre da noi e dalla sua epoca. Le radici di Esenin sono profondamente popolari e, come ogni sua cosa, la sua identità popolare era autentica. Di questo, senza dubbio, vi è testimonianza non in un poema che narra della rivoluzione, ma ancora una volta in una sua lirica:
''Silenziosamente nel bosco folto di ginepri vicino al dirupo
l'autunno, giumenta arancione, si gratta la criniera''
L'immagine dell'autunno e molte altre immagini lo hanno plasmato sin dall'inizio, come l'immotivata spavalderia. Ma il poeta ci ha posti di fronte alle radici cristiane della propria cultura e ci ha obbligati accoglierle dentro di noi. Fet non avrebbe detto così e nemmeno Tjutcev. Risultano forti in Esenin le radici cristiane, riflesse e modellate dal talento. Ma è nella fortezza della sua cultura cristiana che risiede la motivazione della debolezza personale di Esenin: dal passato lo hanno strappato con le radici, radici che nel presente non hanno attecchito. La città non lo ha rafforzato, ma lo ha fatto traballare e lo ha estraniato. Il viaggio all'estero, in Europa e oltre oceano, non lo ha raddrizzato. Lo ha accolto più calorosamente Teheran rispetto a New York. La sua lirica, proveniente da Riazan, ha trovato più popolarità in Persia che nei centri culturali europei e americani. Esenin non era né ostile alla rivoluzione né etraneo ad essa; anzì, tendeva sempre verso di lei, da un lato nel 1918:
''Mia madre – Patria, sono un bolscevico''
dall'altro lato, negli ultimi anni:
''Adesso nel paese dei Soviet,
sono il più impetuoso compagno di strada''
La rivoluzione ha fatto irruzione sia nella struttura della sua poesia sia nelle immagini, soprattutto per mezzo delle citazioni, successivamente con i sentimenti. Nella catastrofe del passato, Esenin non ha perso nulla e non ha rimpianto nulla della catastrofe. No, il poeta non era estraneo alla rivoluzione – lui e la rivoluzione non erano fatti della stessa pasta. Esenin era intimo, tenero, lirico – la rivoluzione è pubblica, epica, catastrofica. Per questo la breve vita del poeta si è troncata in maniera così catastrofica. Si dice che ognuno di noi porta dentro di sé la molla del proprio destino, ma la vita dispiega questa molla fino alla fine. In questo c'è solo una parte di verità. La molla dell'attività letteraria di Esenin, dispiegandosi, si è infranta sul limite dell'epoca, si è rotta. Esenin ha tante strofe preziose, colme di avvenimenti. Di questi è circondata tutta la sua attività letteraria. Allo stesso tempo Esenin è estraneo. Non è il poeta della rivoluzione.
''Sono pronto ad andare lungo il terreno già battuto,
darò tutta l'anima all'Ottobre e al Maggio
Ma solo la lira non darò alla cara ndr. rivoluzione''
La sua molla lirica avrebbe potuto dispiegarsi fino alla fine solo a condizione di avere una società armoniosa, felice, in cui non regna il conflitto ma l'amicizia, la tenerezza, la partecipazione. Questo periodo arriverà. Dopo il periodo attuale, in cui si nascondono ancora spietati e salvifici scontri uomo contro uomo, arriveranno altri tempi, gli stessi che si stanno preparando con gli scontri odierni. L'essere umano allora sboccerà del suo autentico colore. E assieme a lui, la lirica. La rivoluzione per la prima volta non solo riconquisterà il diritto al pane per ogni uomo, ma anche alla lirica. A chi stava scrivendo Esenin col sangue prima di morire? Magari ha interloquito con un amico che non è ancora nato, con un uomo del futuro che qualcuno sta preparando con il conflitto, Esenin con i canti. Il poeta è morto perché lui e la rivoluzione non erano fatti della stessa pasta. Ma, nel nome del futuro, lei lo adotterà per sempre. Esenin era teso verso la morte sin dai primi anni della sua attività letteraria, consapevole della propria fragile condizione interiore. […]
Solo adesso, dopo il 27 dicembre, magari tutti noi, conoscendo poco o non conoscendo affatto il poeta, possiamo apprezzare fino alla fine la sincerità intima della lirica eseniana in cui quasi ogni verso è scritto col sangue delle vene tagliate. Lì c'è una pungente amarezza data dalla perdita. Ma non uscendo dal proprio circolo personale, Esenin trovava un conforto malinconico e toccante nel presentimento della sua imminente scomparsa:
''E, l'ascolto del canto nel silenzio
L'amata mia in compagnia di un altro amato
Magari si ricorderà di me
Come di un ineguagliabile fiore''
E nella nostra coscienza la ferita dolorante e non ancora completamente rimarginata si consola al pensiero che questo meraviglioso e autentico poeta a modo suo ha raccontato la sua epoca e l'ha arricchita di canti, parlando d’amore in modo innovativo, del cielo azzurro, caduto nel fiume, della luna, che come un agnello pascola nel cielo, e dell’ineguagliabile fiore, di se stesso. Durante le sue celebrazioni non vi deve essere nulla di triste o decadente. La molla, posta nella nostra epoca, è smisuratamente più forte della molla personale posta in ognuno di noi. La spirale della storia si dispiegherà fino alla fine. Non bisogna opporsi ad essa ma aiutare i pensieri e le volontà con consapevoli sforzi. Stiamo preparando il futuro! Continueremo a conquistare per ciascuno il diritto al pane e il diritto al canto. È morto il poeta. Evviva la poesia! È caduto nel burrone un bambino indifeso. Evviva la vita ricca di attività artistica, in cui fino all'ultimo minuto Sergej Esenin ha intrecciato i fili preziosi della sua poesia."
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LETTERA RIVOLUZIONARIA #1
Ho appena capito che il premio sono io
non ho altro
denaro per riscatto, nient’altro da spezzare o scambiare che la vita
il mio spirito dosato, frammentario, sparso
sul tavolo della roulette, ripago quanto posso
nient’altro da ficcare sotto il naso della maìtre de jeu
nulla da spingere fuori dalla finestra, niente bandiere bianche
questa carne é tutto ciò che ho da offrire, fare il gioco con
questa testa qui e ora, e quello che vien dietro, la mia mossa
mentre strisciamo sopra questo a-bordo, proseguendo sempre
(si spera) fra le righe.
- Diane Di Prima
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Devo sposarmi? Devo essere buono? Far colpo vestito di velluto e cappuccio da Faust sulla ragazza che abita accanto? Portarla al cimitero invece che al cinema dirle tutto su lupi mannari vasche da bagno e clarinetti biforcuti poi desiderarla e baciarla e tutti i preliminari e lei che arriva solo fino a un certo punto e io capisco perché e non mi arrabbio dicendo Devi sentire! È bello sentire! Invece la prendo tra le braccia mi appoggio a una vecchia tomba contorta E corteggio lei la notte intera le costellazioni nel cielo – Quando mi presenta ai suoi genitori schiena diritta, capelli finalmente ravviati, strangolato da una cravatta, devo sedere a ginocchie unite sul loro sofà da 3º grado e non domandare Dov’è il bagno? Come sentirmi se non come sono, pensando spesso al sapone Flash Gordon – O come dev’essere orribile per un giovanotto seduto davanti a una famiglia e la famiglia che pensa Non l’abbiamo mai visto! Vuole la nostra Mery Lou! Dopo il tè e i dolci fatti in casa mi chiedono Come ti guadagni la vita? Devo dirglielo? Gli sarei simpatico, dopo? Direbbero Va bene sposatevi, perdiamo una figlia ma guadagniamo un figlio – E devo domandare allora Dov’è il bagno? Dio, e il matrimonio! Tutta la famiglia e i suoi amici e solo un pugno dei miei, tutti scrocconi e barbuti che aspettano soltanto cibi e bevande – E il prete! Mi guarda quasi mi masturbassi nel chiedermi Vuoi questa donna per tua legittima sposa? E io tremante che dire direi Torta Colla! Bacio la sposa tutti quegli arrapati giù manate sulla schiena È tutta tua, ragazzo! Ah-ah-ah! E nei loro occhi si vede qualche oscena luna di miele in atto – Poi tutto quell’assurdo riso e lattine che sbattono e scarpe Cascate del Niagara! Orde di noi! Mariti! Mogli! Cioccolatini! Tutti che affollano alberghi accoglienti Tutti a fare la stessa cosa stanotte L’impiegato indifferente che sa cosa sta per succedere Gli idioti nella hall che lo sanno Il fattorino dell’ascensore che lo sa fischiettando Il portiere ammiccante che lo sa Tutti lo sanno! Mi vien quasi voglia di non fare niente! Stare alzato tutta la notte! Fissare negli occhi quell’impiegato d’albergo! Gridando: Io nego la luna di miele! Io nego la luna di miele! correndo aggressivo in quegli appartamenti quasi eccitati urlando Pancia Radio! Zappa gatto! Oh vivrei a Niagara per sempre! in una buia caverna sotto le Cascate mi siederei il pazzo Lunatoredimiele e escogitar modi per rompere matrimoni, fustigatore di bigamia santo del divorzio – Ma devo sposarmi essere buono Che bello sarebbe tornare a casa da lei e sedermi vicino al fuoco mentre lei in cuicna col grembiule giovane e bella vuole un mio figlio e così felice per me da far bruciare il roast-beef e viene a piangere da me e io mi alzo dalla grande sedia di padre e dico Denti Natale! Cervelli radiosi! Mela sorda! Dio che marito sarei! Sì, devo sposarmi! Tanto da fare! per esempio entrare in casa di Mr. Jones a tarda notte e coprirgli le mazze da golf di libri norvegesi 1920 o appendere una foto di Rimbaud alla falciatrice o incollare francobolli di Tannu Tuva su tutto lo steccato di cinta o quando viene la Signota Kindhead per la colletta del Fondo della Comunità afferrarla e dirle Ci sono presagi sinistri nel cielo! E quando il sindaco viene a chiedermi il voto dirgli Quando li farai smettere di uccidere balene! E quando viene il lattaio lasciargli un appunto nella bottiglia Polvere di pinguino, portami polvere di pinguino, voglio polvere di pinguino – Eppure se dovessi sposarmi e fosse il Connecticut e la neve e lei partorisse un bambino e io non potessi dormire, esausto, in piedi la notte, il capo su una muta finestra, il passato alle spalle, trovandomi tremante nella situazione più solita consapevole di responsabilità non rametto sporco né minestra di moneta Romana O cosa sarebbe! Certo gli darei per capezzolo un Tacito di gomma Per sonaglio un sacco di dischi rotti di Bach Attaccherei Della Francesca intorno alla culla Cucirei l’alfabeto greco sul suo bavaglino E per il suo passaggino costruirei un Partenone senza tetto No, non credo che sarei quel tipo di padre niente campagna niente neve niente muta finestra ma rovente puzzolente isterica New York City sette piani di scale, scarafaggi e topi sui muri una grassa moglie reichiana che strilla da sulle patate Trovati un posto! E cinque bambini mocciosi innamorati di Batman E i vicini sdentati e forforosi come quelle masse stracciate del 18º secolo tutti che volgiono entrare e guardare la TV Il padrone vuole l’affitto Drogheria Gas Blue Cross & Electric Knights of Columbus Impossibile sdraiarsi a sognare neve del Telefono, parcheggio fantasma – No! Non devo sposarmi non devo sposarmi mai! Ma – e Se fossi sposato a una bella donna sofisticata alta a pallida in un vestito nero elegante e lunghi guanti neri con un bocchino in mano e un bicchiere nell’altra e vivessimo in una penthouse con un’enorme finestra da cui vedere tutta New York e anche oltre nelle giornate serene Non non riesco ad immaginarmi sposato a quel piacevole sogno prigione – Ma e l’amore? Dimentico l’amore non che sia incapace di amore è solo che l’amore per me è strano come portare scarpe – non ho mai voluto sposare una ragazza che somigliasse a mia madre E Ingrid Bergman mi è sempre stata impossibile E forse adesso c’è una ragazza ma è già sposata E non mi piacciono gli uomini e… ma ci deve essere qualcuno! Perché e se a 60 anni non sono sposato, tutto solo in una camera ammobiliata con macchie di piscio nelle mutande e tutti gli altri sposati! Tutto l’universo sposato all’infuori di me! Ah, eppure so bene che se ci fosse una donna possibile come io sono possibile allora il matrimonio sarebbe possibile – Come LEI nel suo solitario fasto esotico aspetta l’amante egiziano così come aspetto io – privo di 2000 anni e del bagno della vita.
Gregory Corso, Matrimonio
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I nostri discorsi erano sempre su un altro livello — c'è sempre stato un divario fra noi.
‒ John Giorno
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SEI UN ALLEVATORE DI PECORE
E in quanto pastore, decine di poeti ti hanno usato come metafora per descrivere l’allegoria della cura, della protezione e della conduzione di chi è diverso da te. Pure la bibbia t’ha spedito a cercare il cazzo di pecorella smarrita e non importa se i vegani ti sfilettano i testicoli con la storia della lana e del latte.
Tu sei un pastore.
Come te, tuo padre, tuo nonno e badilate come se piovesse in India durante la stagione dei monsoni se anche tuo figlio e i tuoi nipoti non lo diventeranno.
Le pecore sono un abitudine imposta da decenni di routine della tua società familiare e se da ragazzetto non hai potuto continuare a studiare - come potevi? Le pecore non si mungono e non si tosano da sole - non hai mai potuto sapere che ‘gregge’ è un nome collettivo e in quanto tale si declina al singolare senza mai tenere in considerazione gli elementi che lo compongono. O che ‘gregario’ è un termine dispregiativo per definire chi si accoda alla moltitudine o alla persona forte oppure che ‘egregio’ è chi si distingue dal gruppo.
Tu ti alzi ogni giorno, le fai uscire dall’ovile con qualche bastonata e le porti al pascolo, le mungi e la sera le rinchiudi nell’ovile.
È il tuo lavoro ed è sempre stato così da sempre.
Tu sei il pastore e loro le pecore.
Succede che ogni tanto dispensi qualche bastonata più forte al montone che cerca di caricarti e pazienza se ogni tanto qualcuno ci rimane secco, gli altri impareranno a starsene buoni. In fondo sono solo pecore e il tuo lavoro è fare il pastore.
Quindi immagina che sorpresa quando ti becchi 22 anni di carcere per aver fatto quello che hai fatto e che hai sempre e solo saputo fare.
*DISCLAIMER*
(è sempre un po’ umiliante fare i disclaimer perché presuppongono un’asimmetria cognitiva tra chi scrive e chi legge - e il dubbio è sempre se mi spieghi a cazzo io o non capisca un cazzo il lettore - ma in questo caso ciò mi serve come approfondimento personale)
Intanto adoro sia i pastori che pecore e capre. Ho provato a cominciare con due capre ma una mi è morta di mastite perché non ho saputo mungerla ammodo :( e l’altra è scappata oppure me l’ha mangiata un marocchino (così ha scritto il carabiniere sul verbale sennò mi toccava una multa della madonna per pastorizia abusiva).
La metafora mi viene dall’esperienza personale di chi mi ha venduto le capre e sono sicuro che not all sheperds e men che meno quella tamblera carinissima dai capelli rossi di cui non mi ricordo il nome.
George Floyd non era un montone e i neri americani non sono pecore.
Ma vengono trattati come tali.
Non si può incolpare il pastore di fare il proprio lavoro ma si possono incolpare l’uomo che aveva la possibilità di vedere il singolo dietro al nome collettivo e il sistema che ha coniato i nomi collettivi per poi distinguere i gregari dagli egregi.
Adesso spero di dovermi difendere solo dai vegani e da chi continua a non capire un cazzo nonostante il disclaimer.
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Insonnia di Elizabeth Bishop
Elizabeth Bishop (1911 – 1979) è stata una poetessa e scrittrice statunitense. Considerata tra i più importanti poeti americani del ventesimo secolo, vinse numerosi e importanti premi, tra cui il Premio Pulitzer per la poesia nel 1956 e il National Book Award nel 1970. Oltre che alla poesia, si dedicò alla prosa e alla pittura. La Luna nello specchio del comòguarda milioni di miglia lontano(e…
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Questione di leadership
Jacqueline e Milton Mayfield, una coppia di professori americani, hanno studiato i pilastri su cui si regge la comunicazione di un leader che sappia motivare i suoi seguaci a dare il meglio di sé:
direction-giving (Offrire una direzione)
meaning-making (creare senso)
empathy (avere empatia)
Questo vale per la leadership, e vorremmo vederla in chi ci governa, ma ciascuno di noi può e deve esercitarla, giocando un ruolo chiave nello spostare la conversazione dal virus alla visione, da crisi-perdita-paura, a senso-progetto-fiducia.
Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace, inventore del Microcredito, parlando ai giovani li esorta:
“Dovete smetterla di cercare un lavoro. Dovete creare il vostro lavoro" (e potenzialmente quello di tanti altri). "Il vostro lavoro è guardare là fuori e rispondere a quel che vedete. Dovete scegliere se volete abitare il mondo così com'è, o se volete creare il vostro mondo ideale, rispondendo a problemi reali”.
Noi oggi siamo chiamati a ricostruire il mondo perché quello che conosciamo è fortemente compromesso dalla pandemia. Dobbiamo diventare una task force di poeti, pittori, sognatori e designer.
Dobbiamo essere creativi, nel senso che dobbiamo immaginare e realizzare. Pensate agli scrittori di fantascienza: raccontano futuri verosimili, danno forma alle città e ai comportamenti di domani, la tecnologia trae ispirazione e realizza.
Immaginate se quella che oggi chiamiamo "fase 2" fosse un piano straordinario per il rinnovamento delle nostre città, con interventi per costruire quelle piste ciclabili o camminabili che sarebbe stato impossibile realizzare senza paralizzare il traffico in giorni normali.
Pensate se approfittassimo da subito delle scuole chiuse fino a settembre (e forse oltre) per metterle in sicurezza, digitalizzarle, per migliorare le palestre.
Se inondassimo tutti parchi di attrezzature sportive, sparpagliandole qua e là, per quando ripartiremo, ingrassati e in crisi di astinenza da attività all’aria aperta.
Se riempissimo le nostre città di fontane, dove lavarci più spesso le mani e riempire le nostre borracce di acqua, mettendo al bando le bottiglie di plastica.
Quanti di noi – dopo questa fase di reclusione metropolitana e lavoro da remoto - avrebbero voglia di trasferirsi in un centro più piccolo, magari in montagna o vicino al mare, se solo ci fosse la garanzia della banda larga, anche per avere un costo della vita più basso?
Allora forse i finanziamenti del governo potrebbero favorire la riapertura di attività commerciali essenziali innanzitutto nei bellissimi borghi italiani semi abbandonati...
L’Italia del dopoguerra non è risorta solo con il denaro del piano Marshall. È ripartita grazie allo spirito imprenditoriale che ha creato il tessuto della nostra piccola e media impresa. Forse è giunto il momento di rispolverarlo, di liberare le energie, di collaborare di più anche con imprenditori di tutto il mondo per replicare le buone idee e adattarle al nostro contesto.
Una cosa il virus ce l’ha insegnata: i confini non esistono.
Tratto da un articolo di Francesca Folda
Foto @dsmacinnes
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Liguria, presente al Salone dei viaggi di lusso a Cannes
Liguria, presente al Salone dei viaggi di lusso a Cannes. È in corso a Cannes il Salone Internazionale dei viaggi di lusso, principale evento per l'industria del business-to-business del settore del luxury travel. La Liguria è presente per la terza volta con uno stand – che si trova negli spazi di Enit Italia - allestito con 10 postazioni per gli operatori del lusso che hanno deciso di partecipare alla Fiera insieme ad Agenzia InLiguria per raccontare la regione più glamour. Una straordinaria opportunità per il territorio di farsi conoscere e riconoscere come meta per il settore dei viaggi di lusso e per far incontrare i buyer liguri con seller e giornalisti di settore internazionali. L’evento di Cannes permette infatti ai partecipanti arrivati da tutto il mondo di mettere in risalto savoir faire, offerte e nuovi prodotti ed è il contesto ideale per creare business, sviluppare nuove sinergie e discutere sulle nuove tendenze del turismo esclusivo. La fiera ILTM di Cannes è iniziata il 5 dicembre con un forum all’Auditorium del Palais des Festivals di Cannes, cui è seguito un welcome cocktail nel salone "Les Ambassadeurs". "Con ben dieci strutture di eccellenza della nostra regione, insieme ad Agenzia In Liguria, siamo orgogliosamente presenti alla più importante fiera in Europa del comparto lusso, a testimonianza del fatto che si stanno facendo notevoli investimenti per questa fetta di mercato turistico. In questi ultimi anni, infatti, sono aumentati i posti letto negli hotel a 5 e 4 stelle e anche l'extralberghiero, di conseguenza, si sta adeguando a questo tipo di clientela puntando sempre più a servizi di qualità. La Francia è da sempre uno dei nostri principali mercati di riferimento: nei primi 10 mesi del 2022 abbiamo avuto 250 mila presenze distribuite non solo nel Ponente, per la sua vicinanza, ma in tutta la regione. I francesi, infatti, sono per noi turisti di ottimo livello in quanto cercano da sempre la massima qualità ed esperienze di pregio soprattutto nell'enogastronomia", dice Augusto Sartori, assessore al Turismo della Regione Liguria. L'Italia, intanto, si conferma tra le destinazioni preferite dai viaggiatori luxury che cercano arte, cultura ed enogastronomia secondo Bain & Consulting. Dagli studi di Enit si evince che nei primi sei mesi del 2022 i viaggiatori francesi in Italia hanno speso circa 1,6 miliardi di euro, il 180% in più rispetto a gennaio-giugno 2021. (Fonte: Ufficio Studi ENIT su dati Banca d’Italia – 2022 provvisori). La Liguria è in testa alle mete preferite, insieme a Lombardia, Piemonte, Lazio e Toscana. Con un forte impatto su molti settori del Made in Italy, il turismo di fascia alta è un elemento essenziale per l'economia italiana. Le previsioni preannunciano un trend molto positivo per il 2023, grazie anche al ritorno dei clienti europei e americani. I 10 co-espositori liguri all’ ILTM di Cannes (tutte strutture ricettive 4*L e 5*) sono: Golfo dei Poeti Relais Spa, Montemarcello (SP) Grand Hotel Alassio Beach & Spa, Alassio (SV) Grand Hotel Arenzano, Arenzano (GE) Grand Hotel Bristol Spa Resort, Rapallo (GE) Grand Hotel Savoia Genova, Genova (GE) Hotel Miramare & Spa and Miramare Suites, Sestri Levante (GE) Hotel Vis à Vis, Sestri Levante (GE) La Meridiana Relais & Chateaux, Garlenda (SV) Royal Hotel Sanremo, Sanremo (IM) Sublimis Boutique Hotel Camogli, Camogli (GE) ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Gli Americani by Robert Frank My rating: 5 of 5 stars "Chi non ama queste immagini, non ama la poesia, capito? Se non ami la poesia, va a casa e guarda la TV con i cowboy col cappello da cowboy e i poveri cavalli gentili che li sopportano. Robert Frank, svizzero, discreto, carino, con quella sua piccola macchina fotografica che tira su e fa scattare con una mano, ha estratto una poesia triste dal cuore dell'America e l'ha fissata sulla pellicola, così è entrato a fare parte della grande compagnia dei poeti tragici del mondo. A Robert Frank adesso mando questo messaggio: tu sai vedere." Avrei voluto aggiungere due righe, ma se Jack Kerouac ti scrive un'introduzione del genere volete dirmi che cazzo ci sarebbe da aggiungere?
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