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"Le mie parole hanno dipinto quadri" di Massimo Pollastri: poesia che diventa arte. Recensione di Alessandria today
Un viaggio poetico attraverso emozioni e immagini
Un viaggio poetico attraverso emozioni e immagini “Le mie parole hanno dipinto quadri”, pubblicato il 1 maggio 2024, è una raccolta poetica di Massimo Pollastri che invita i lettori a esplorare le profondità dell’anima attraverso la magia delle parole. Con abilità e sensibilità, l’autore dipinge veri e propri quadri emozionali, offrendo un viaggio unico nel mondo delle emozioni e delle…
#Alessandria today#Amore#arte e introspezione#arte e poesia#arte letteraria#Emozioni#Google News#introspezione#introspezione personale#Introspezione poetica#introspezione universale#italianewsmedia.com#Le mie parole hanno dipinto quadri#lettura consigliata#lettura emozionale#lettura poetica#libro di poesia italiana#Libro di poesie#Massimo Pollastri#narrativa poetica#parole che emozionano#perdita#Pier Carlo Lava#poesia che ispira#poesia contemporanea#poesia d’autore#poesia d’autore italiano#poesia e immagini#poesia e riflessione#poesia emozionante
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Massimiliano D’Ambrosio - “Scava la tua tomba”
Il nuovo singolo del cantautore romano
Il nuovo singolo del cantautore romano Massimiliano D’Ambrosio dal titolo “Scava la tua tomba” sarà contenuto nel suo nuovo disco di inediti “Canzoni per nessuno” in uscita il 28 aprile per Le Vele/EGEA Distribuzione. Il pensiero di fondo è che ognuno di noi costruisca la propria gabbia, la propria infelicità (a forma di fiore, ma pur sempre una tomba). Anche la cosa che pensiamo ci possa salvare è invece, magari, quella che ci consuma come una piccola fiamma su un pezzetto di carta.
“Ogni strofa vuole essere un piccolo ritratto dove ritroviamo le anime sconfitte care a De André. Il finale strumentale è un omaggio a Frank Zappa” Massimiliano D’Ambrosio
Massimiliano D’Ambrosio, cantautore, è nato e vive a Roma. Ha frequentato il Folkstudio di Giancarlo Cesaroni dal ’94 fino alla chiusura dello storico locale romano curando anche, nel biennio 95-97, lo spazio domenicale chiamato “Folkstudio Giovani”. Nel 2001 Massimo Cotto dopo aver ascoltato una sua cassetta manda in onda, durante la trasmissione Radiouno Music Club, la canzone “La via sul porticciolo” liberamente ispirata ad una poesia di Lawrence Ferlinghetti. Nello stesso anno vince il premio per il miglior testo al festival “Scrivendo Canzoni” di Mantova. L’ispirazione a scrittori o poeti è una costante nelle sue canzoni. Tra gli autori messi in musica troviamo: Edoardo Sanguineti di cui ha messo in musica “La ballata delle donne”, Stefano Benni di cui ha musicato "Il poeta" e "La scuola più strana del mondo", Federico Garcia Lorca per "La sposa infedele", Jorge Amado per “Teresa Batista” ed altri. Nel 2005 realizza il suo primo disco “Il mio paese” (Piano B Records – TerreSommerse/Interbeat). Nel 2007 ha vinto il 2° premio al festival “Botteghe d’Autore” di Albanella (SA). Nel 2010 esce il suo secondo album, dal titolo "Cuore di ferro" (Emerald Recordings/Self) in cui compaiono, come ospiti, Marino Severini dei Gang e la cantante irlandese Kay McCarthy con la quale firma un brano in italiano e gaelico e nello stesso anno vince la rassegna Keaton Unplugged organizzata da Simone Avincola.
Nel 2012 esce il suo terzo album "Novembre" (Latlantide/Edel). Nel 2013 vince la targa del Comune di Roma “Musiche Festival, suoni e visioni di Roma Capitale” per la prima edizione del premio “Cultura per tutti” dedicato al miglior testo con il brano "Scese lenta l'ultima neve" dedicato alla vicenda di Stefano Cucchi. Sempre nello stesso anno il videoclip de “La ballata delle donne” diretto da Alessio Saglio e Davide Fara vince il primo premio (sezione videoclip musicali) alla decima edizione del Festival “Francesco Pasinetti” di Venezia. Nel 2017 è stato finalista alla IV edizione del Festival Ugo Calise ed ha partecipato alla rassegna To play! 1° non-Premio per la Musica Bambina organizzata dalla band torinese Lastanzadigreta.
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"100 anni con Jacovitti"
L'arte del fumetto: "100 anni con Jacovitti"
Ci sono persone che con il loro talento artistico hanno segnato un'epoca, divenendo lo specchio di una società. Questo è ciò che accade, quando si sceglie di utilizzare un linguaggio particolarmente accattivante: il fumetto. Vortici.it vi invita a conoscere questo mondo straordinario. Il 9 marzo del 1923 nasceva a Termoli Benito Jacovitti. A cento anni dalla nascita, al museo Maxxi di Roma (Museo Nazionale delle arti del XXI secolo), proprio il 9 Marzo scorso, è stato dedicato un appuntamento al celebre fumettista italiano. Parliamo della presentazione del libro "100 anni con Jacovitti" di Stefano Milioni e Edgardo Colabelli, pubblicato da Balloon’s Art. L'arte del fumetto: "100 anni con Jacovitti" - il video di Vortici Tv: Tra gli ospiti era presente anche Simone Cristicchi, suo ex allievo. Jacovitti definì nel tempo uno stile surreale, pieno di elementi comici, inventò un nuovo linguaggio, creando personaggi come Pippo Pertica & Palla, Cip l’Arcipoliziotto, la signora Carlomagno, Cocco Bill, Zorry Kid, che sono entrati nella storia del fumetto del Novecento. "100 Anni con Jacovitti" è il libro che, in occasione del centenario della nascita del grande fumettista scomparso nel 1997, ripercorre la sua vita e la sua carriera, offrendone un ritratto intenso, impreziosito da una rara e inedita documentazione fotografica e dalla prefazione di Vincenzo Mollica. J. ha attraversato, con lo sguardo libero del vero artista, il Ventennio fascista, la guerra e il dopoguerra, la difficile fase della ricostruzione, la ripresa e il boom economico, il serratissimo confronto politico nel nostro paese negli anni Settanta, gli anni di piombo e quelli che avrebbero portato a Tangentopoli e alla fine della Prima Repubblica. Iniziò da giovanissimo a realizzare i suoi fumetti e personaggi: li creava, dove poteva, con i pochi mezzi a disposizione, anche per le strade del suo paese. Lo chiamarono in seguito per disegnarli sulle riviste per ragazzi: tra questi Il Vittorioso, in un'Italia che stava per finire nella morsa della guerra. Da lì in poi non smise più: arrivarono illustrazioni per libri, collaborazioni con altre riviste e proposte da importanti giornali. Il suo stile surreale, pieno di elementi comici come scrive Vincenzo Mollica nella prefazione del libro, si trasformano in poesia. Tutti i suoi personaggi sono entrati nella storia del fumetto e nell’immaginario collettivo di tutti noi. Il grande maestro del disegno in satira ha dunque attraversato il Novecento punzecchiando la politica e la società senza distinzioni di schieramento, ironizzando sui tic e sui punti deboli dell’Italia che usciva dal disastro della Seconda Guerra Mondiale e poi negli anni del boom, inventando una schiera di personaggi che erano maschere rovesciate in chiave comica, espressione del Regime - come Battista l’ingenuo fascista e il suo 'eja, eja, baccalà' - o la citazione all’italiana dei grandi miti del cinema, della tv e del fumetto, da Zorry Kid a Cocco Bill. Nelle sue tavole surreali zeppe di personaggi, tra donnone oversize e animali molto umani, spiccavano i vermi e, soprattutto, i salami, vero marchio di fabbrica insieme con la lisca di pesce che era la sua firma ricordando come lo chiamavano da adolescente alto e smilzo. Benito Jacovitti ha lasciato una traccia profonda nella storia del disegno d’autore ed ha accompagnato la vita di generazioni d’italiani, dai ragazzi che negli anni Quaranta che leggevano le sue strisce sul periodico cattolico Il Vittorioso, fino agli studenti piccoli e grandi che nei decenni successivi hanno annotato i compiti e molto altro nel celebre Diario Vitt. Nel centenario della nascita, è ricordato da una fitta serie di eventi nella sua città natale, da un francobollo di Poste Italiane appena emesso, e dal festival del disegno umoristico a Cortona (Arezzo), in programma dal 27 Maggio al 4 Giugno. A Roma sarà coinvolto nuovamente il museo Maxxi, che a Dicembre dedicherà una grande mostra all’artista molisano, connessa con quella intitolata “Tutte le follie di Jac” che nel mese di ottobre si aprirà al museo Macte di Termoli. Al di là delle celebrazioni, Jac resta un monumento per la schiera di disegnatori venuti dopo di lui, anche per quelli che lo criticavano considerandolo di destra. Tra le sue molte collaborazioni figurarono le riviste Oggi, La Domenica del Corriere, il mensile Linus diretto da Oreste del Buono. La verità è che lui si definiva un anarchico liberale, insofferente ai diversi schieramenti politici, lo testimoniano diverse interviste. Conosciamolo meglio attraverso questo documentario disponibile su Vorticitv. Immagine di copertina: Comicscorner Read the full article
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La Spezia: Angelo Branduardi al Teatro Civico giovedì 9 marzo.
La Spezia: Angelo Branduardi al Teatro Civico giovedì 9 marzo. Appuntamento con la grande musica italiana d’autore giovedì 9 marzo, alle ore 21, al Teatro Civico della Spezia. Angelo Branduardi, cantautore, polistrumentista e compositore, sarà sul palco per la tappa spezzina del suo tour Confessioni di un malandrino, insieme al musicista Fabio Valdemarin, pianista di formazione classica con divagazioni pop e jazz che vanta collaborazioni con artisti quali Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia e Mario Lavezzi. Angelo Branduardi è un cantautore italiano che ha creato un'identità musicale unica che combina varie tradizioni musicali, dalla musica popolare alla musica barocca e rinascimentale. Il suo stile musicale ha conquistato il pubblico in Italia e in molti altri paesi europei ed extraeuropei, in particolare in Germania, dove ha portato in tour la sua opera "La lauda di Francesco". La sua voce e il suo violino hanno accompagnato il pubblico attraverso la storia di San Francesco, le colonne sonore per il cinema e le sperimentazioni con l'elettronica. Durante il concerto Branduardi eseguirà, oltre ad alcune chicche, i brani più conosciuti della sua più che quarantennale carriera, felice connubio di musica e poesia. Info e biglietti: Botteghino Teatro Civico La Spezia (ingresso da via Carpenino) – orari di apertura: dal lunedì al sabato ore 8.30/12, il mercoledì anche dalle 16 alle 19 Tel. 0187/727521 – email: [email protected]... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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“Nulla dovrebbe essere – nulla è – intraducibile”. Come si traduce la poesia russa? Intervista a tre voci: Maurizia Calusio, Alessandro Niero, Serena Vitale
“Tanto grande e popolare la diffusione delle opere dei grandi prosatori dell’Ottocento, quanto scarsa e manchevole la conoscenza, anche nell’ambiente letterario, dei poeti lirici russi”. Con queste parole, nel 1949 Franco Fortini (recensendo l’antologia Il fiore del verso russo di Renato Poggioli) constatava la scarsa diffusione della poesia russa in Italia. Anche oggi, certamente, quando si parla della grande letteratura russa si fanno prima di tutto i nomi di Tolstoj e Dostoevskij, eppure molto è cambiato da quel 1949: Puškin, Mandel’štam, Cvetaeva, Pasternak, Brodskij e molti altri hanno infittito gli scaffali di poesia nelle nostre librerie, grazie agli sforzi di numerosi traduttori che si sono adoperati per dar loro una voce italiana. Tre di questi traduttori (Maurizia Calusio, Alessandro Niero e Serena Vitale) hanno accettato di rispondere a quattro domande sulla poesia russa e su che cosa significhi tradurla.
Quali sono le qualità e gli strumenti necessari a un traduttore di poesia? E cosa di specifico richiede e offre la poesia russa?
Maurizia Calusio Un traduttore di poesia deve essere un lettore di poesia, ossia deve essersi formato dentro la propria tradizione poetica, avere familiarità, nel nostro caso, con la poesia italiana. Deve avere orecchio, perché altrimenti non potrà cogliere e restituire il ritmo della poesia, e per farsi l’orecchio può essere di grande aiuto imparare a memoria molte poesie italiane, e poi cercare di tradurre poeti russi che in qualche modo non siano lontani dai poeti lontani amati. Puoi essere ferratissimo nella metricologia, ma se non hai orecchio, se per te la tradizione poetica italiana non è qualcosa di vivo e costantemente frequentato, è difficile che si avverta la poesia dell’originale nelle tue traduzioni. Se non è un poeta, un traduttore di poesia deve essere un filologo dotato di orecchio. Nel mio caso, non essendo poeta, utilizzo gli strumenti del filologo. E il filologo deve studiare l’opera del poeta che si appresta a tradurre, e sulla base di questa conoscenza scegliere le edizioni migliori da cui trarre i testi (la scelta dell’edizione dice già molto della qualità di una traduzione). Occorre poi usare i (numerosi) vocabolari giusti: penso a Dal’, Ušakov, Ožegov, a seconda dell’autore che si ha davanti. È importante anche conoscere bene tutte le migliori traduzioni già esistenti dell’autore, in italiano, come anche nelle altre lingue più o meno note. Accostarsi alla traduzione con una voce originale, portando con sé ciò che ci ha spinti a tradurre un poeta, non significa farlo “ingenuamente”, ignorando per esempio quanto prima di noi è stato fatto. Il traduttore di poesia si inserisce infatti in una doppia tradizione: quella della poesia italiana (sulla quale il poeta che traduce è destinato a influire – perlomeno, se ha scelto di tradurre un grande poeta) e quella della traduzione poetica italiana, e in particolare dal russo.
Alessandro Niero Credo che un traduttore di poesia debba essere, come minimo, un suo frequentatore assiduo, nelle varie forme in cui ciò può avvenire; ossia deve essere, imprescindibilmente, un lettore (appassionato ma non superficiale) e un grande utente della lingua, cioè avere la consapevolezza tecnica di cosa significhi comporre versi. Se, poi, a questi due aspetti (già, a loro modo, operativi e pratici), si affianca anche una qualche forma di “produzione propria”, meglio ancora, anche se ciò – vorrei precisare – non credo che sia da considerarsi né un obbligo né una norma. La poesia russa, oltre ad aver sempre intrattenuto un rapporto vero con la dimensione popolare (anche folclorica) della poesia е con i suoi strati non culti, ha di specifico un non tramontato e naturale attaccamento ai presìdi formali (metro, rima, strofa), sebbene sempre meno. Ciò pone al traduttore il dilemma se sforzarsi o meno di riproporre analoghi presìdi anche nella lingua di arrivo.
Serena Vitale Qualità? Pazienza e testardaggine. È necessario un buon orecchio (musicale). Più di tutto, forse, è necessaria una buona (preferibilmente ottima) conoscenza della lingua come pure della letteratura – in particolare la poesia – italiana. La conoscenza della lingua e della cultura russa mi sembra l’ovvio punto di partenza. “Strumenti” per tradurre? I dizionari – non ne vedo altri, ma a chi traduce poesia serviranno ben poco. Molto più utile, credo, è cercare nel Korpus della lingua russa le occorrenze del vocabolo che si vuole tradurre, ricostruirne la “storia”, i contesti in cui è già apparso. Sono convinta che volgere versi russi in italiano non presenti al traduttore difficoltà e/o problemi diversi da quelli che pone ogni traduzione poetica, salvo forse la maggiore libertà della poesia italiana, dal ’900 in poi, nei confronti della metrica e delle rime.
«Se il traduttore è una persona coscienziosa, cercherà di imitare la forma». Così categoricamente si esprimeva Iosif Brodskij nel 1979, in un’intervista con Eva Burch e David Chin. Siete d’accordo con quello che dice Brodskij? La riproduzione della forma è un elemento imprescindibile della traduzione poetica?
Maurizia Calusio Per me tradurre significa cercare di portare quanto più possibile del testo originale russo nella lingua italiana. Non si può portare tutto, le perdite sono irrimediabili, e implicite nell’atto stesso del tradurre. Nelle mie traduzioni, il metro e la rima dell’originale vanno perduti, mentre cerco di conservare quanto più possibile sintassi, immagini, lessico. In ogni caso, il rimando alla tradizione russa contenuto nella scelta di un metro come di un singolo vocabolo va pressoché sempre irrimediabilmente perduto. Il ritmo che mi sforzo di conservare è quello della sintassi (cercando di preservare la posizione delle parole a fine verso, ad esempio) e per fare questo cerco di procurarmi (quando ci sono) letture del testo russo, se possibile d’autore, altrimenti di un madrelingua (meglio se poeta in proprio). In questo senso anche il ritmo della lettura può essere una guida per restituire la sintassi.
Alessandro Niero Credo che le opinioni di Brodskij vadano viste alla luce della sua vicenda privata e delle sue predilezioni personali. Essendo egli stesso un acceso cultore della forma (anche se, con il tempo, divenne più allentata, sempre meno pressante), non poteva che richiamare il traduttore al rispetto della stessa; tanto più che si trovò nella singolare situazione di chi decise, a un certo punto, di autotradursi e, quindi, di sperimentare, con tutte le difficoltà del caso, ma anche con autorevolezza e autorialità, cosa voglia dire traghettare se stesso su altre sponde linguistiche cercando di trasmettere “tutto”. Quanto alle predilezioni personali, ricorderei che Brodskij (e non solo lui, ovviamente) stimava grandemente figure di calibro mondiale come Anna Achmatova, Osip Mandel’štam, Marina Cvetaeva, Boris Pasternak; i quali sono tutti autori primonovecenteschi che, nella loro scrittura, si sintonizzavano “fisiologicamente” sulle esigenze dettate da un certo tradizionalismo formale. Brodskij, da madrelingua qual era, ma anche da figura in grado di inserirsi potentemente nel contesto anglo-americano che lo adottò nel 1972 dopo l’emigrazione forzata dall’URSS, non poteva che leggere come inadeguati gli sforzi di chi impiegava uno strumento apparentemente lassista come il verso libero per spostare da una cultura all’altra testi di straordinario valore contenutistico e formale. Se poi questa sia una posizione da condividere pienamente, è un altro discorso. Traducendo poesia si cade inevitabilmente nel contesto di arrivo, dove vigono regole, spesso tacite, che reindirizzano quella stessa poesia, la adattano a ciò che quel contesto ritiene lecito, praticabile, rientrante nel gusto. È tra due confini – la spinta a rispettare gli istituti formali dell’originale e la cultura di accoglienza – che il traduttore deve ricavarsi uno spazio praticabile, una specie di “zona franca”. In questo non ci sono regole e non vi è nulla di scontato. Se posso, rimanderei, per complicare ulteriormente la cosa (e farmi un po’ di goffa pubblicità), a un mio volume che affronta queste tematiche: Tradurre poesia russa. Analisi e autoanalisi (Quodlibet, 2019).
Serena Vitale Chissà se ha detto proprio “imitare”… E chissà se il termine “riproduzione” si può applicare all’arte del tradurre. Per la poesia russa la “forma” è un elemento imprescindibile, una necessità quasi ontologica. Nel 2000 sempre Brodskij ha detto: “…Il poeta dovrebbe ripercorrere le strade della letteratura che lo ha preceduto, cioè passare attraverso una scuola formale. Altrimenti il peso specifico della parola nel verso si azzera”. La “forma” per Brodskij, è strettamente legata al Tempo, e il metro gli offre la possibilità (o soltanto l’illusione) di riorganizzare un tempo quasi mai amico. Del resto Brodskij ricorre al metro con una grande libertà e, seppure raramente, si cimenta anche nel vers libre, capace di rendere il “miracolo della lingua quotidiana”.
Esistono poeti russi intraducibili? Se sì, quali e perché?
Maurizia Calusio Puškin, naturalmente. In Puškin c’è una perfezione originaria che è al contempo il massimo della semplicità e il massimo della raffinatezza. L’italiano, con i suoi meravigliosi e ingombranti ottocento anni di tradizione poetica, è del tutto impotente a restituirla. Bisognerebbe tornare alla purezza della lingua primigenia di Dante, e coniugarla con la felicità di tutta la poesia successiva… bisognerebbe mettere dentro tutto, e questo non si può fare. Un altro poeta che si avvicina per difficoltà a Puškin è l’ultimo Boratynskij, quello della raccolta Sumerki (Crepuscolo), un poeta che io amo molto. Si può tradurne bene la sintassi, ma il suo lessico – al contempo lessico filosofico e lessico dell’elegia russa – è molto difficile da rendere. Continuo a provarci.
Alessandro Niero Se volessi essere sbrigativo e categorico le direi che in varia misura lo sono tutti. Ma sarebbe una posizione inutile, non produttiva e, soprattutto, irrispettosa di quanto è stato ottimamente fatto da molti traduttori italiani. Un nome, però, mi sento di farlo, ed è, paradossalmente, quello del poeta più grande di tutti, ossia Aleksandr Puškin (1799-1837), soprattutto per quanto riguarda la sua lirica (il suo miracoloso romanzo in versi Evgenij Onegin è un capitolo a parte). Con tutto il rispetto per i miei colleghi traduttori, devo dire che in pochi, pochissimi casi mi è capitato di sentire una voce italiana che abbia saputo contemplare, nel volgere di un testo, il romanticismo ammantato di eleganza classica, la capacità di essere tragico ma con straordinaria levità, la scarsa inclinazione alla pirotecnia formale esibita e perfino all’uso dei tropi e l’invidiabile tecnica di versificazione che costituiscono, ancorché sommariamente, la mia idea di Puškin.
Serena Vitale Nulla dovrebbe essere – nulla è – intraducibile. Sono stati tradotti poeti, ad esempio, come Chlebnikov e Cvetaeva, che pure in alcune loro opere sembrano rifiutarsi a ogni tentativo di resa in un’altra lingua.
Quali sono i poeti russi che non hanno ancora voce in Italia, o che aspettano una ritraduzione?
Maurizia Calusio Tra i poeti novecenteschi che non hanno voce in Italia c’è sicuramente Boris Poplavskij (1903-1935), grande talento della giovane generazione dell’emigrazione russa. Poplavskij è un autore su cui sto lavorando e che spero di poter pubblicare in un futuro non troppo lontano. Poi ci sono casi come quello di Nikolaj Zabolockij, poeta dell’età sovietica che, come non pochi altri russi, è noto solo per qualche scelta antologica.
In generale sarebbe importante anche dare versioni aggiornate di antologie che – come quelle di Ripellino e Poggioli – hanno consentito la ricezione dei poeti russi nel ’900 italiano. Oggi sarebbe il caso di riunire gli sforzi di più traduttori, che potrebbero lavorare ciascuno sui poeti e i testi più amati e meglio studiati. Un progetto che poi si potrebbe ampliare, grazie alle possibilità che oggi offre il digitale, per riprodurre la trama delle relazioni strettissime tra poeti russi e italiani. E sul fatto che per i poeti italiani i poeti russi siano importantissimi, non credo servano qui degli esempi.
Alessandro Niero Per quanto riguarda il XVIII secolo, sarebbe opportuno riproporre un poeta come Gavrila Deržavin. L’Ottocento – come dicevo sopra – ha il “problema” di Puškin. Il primo Novecento è stato ampiamente frequentato e annovera ormai dei lavori che sono o si avviano a essere dei “classici della traduzione” (penso ai lavori di Angelo Maria Ripellino, soprattutto, e più recentemente, a Serena Vitale, Remo Faccani e Caterina Graziadei). Ciò non significa che non si debba procedere a “rinfrescare”, per esempio, la ricezione italiana di Anna Achmatova e di Velimir Chlebnikov, così come quella di un autore ingiustamente negletto, Nikolaj Zabolockij. La poesia dell’emigrazione, poi, manca in Italia dei nomi di Boris Poplavskij e di una scelta vasta di Georgij Ivanov. Per il secondo Novecento, le cose si fanno certamente più complicate, giacché non esiste ancora un “canone” stabilizzato del who is who. Certo, un poeta come Iosif Brodskij – già in parte tradotto – andrebbe riconsiderato, così come andrebbero riconsiderate la sua generazione e quella immediatamente successiva, che comunque ha visto già alcuni volumi editi, ma aspetta ancora il traduttore di Bachyt Kenžeev, Inna Lisnjanskaja, Jurij Kublanovskij, Oleg Čuchoncev. Forse un’idea complessiva della poesia di Evgenij Evtušenko e di Andrej Voznesenskij pure non sarebbe da trascurare… Ma sono sicuro di aver fatto torto a qualcuno. Ecco perché, se ci spostiamo verso il contemporaneo in senso stretto, temo che i nomi si infoltiscano a tal punto da indurmi a scaricare la patata bollente sul collega e traduttore Massimo Maurizio, che ne sa più di me e che ha già strumenti affilati per distinguere il grano dal loglio.
Serena Vitale A mio avviso tutte le buone traduzioni (di poesia o prosa) sono sempre importanti e benvenute, quindi anche le “ritraduzioni” – purché affrontate con modestia, amore, senza alcuna pretesa di dimostrare “quanto sono più bravo io di X o Y”… Tra i poeti “che non hanno ancora voce in Italia” (salvo qualche lirica in raccolte antologiche e una versione non a stampa, che si può leggere on line, dеllo splendido poema Terra bruciata) devo forzatamente limitarmi e segnalo soltanto Nikolaj Kljuev, un grande del ’900 russo.
*Interiste a cura di Stefano Fumagalli; in copertina: Anna Achmatova (1889-1966)
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RETROSPETTIVA di MAURO MOLINARI “TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
RETROSPETTIVA di MAURO MOLINARI
“TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”
Ciclo di opere ispirate ai motivi tessili con opere del 1994 - 2007
a cura di Sandro Bongiani
La mostra Retrospettiva “TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”, dedicata a Mauro Molinari, con 72 opere dal 1994-2007, cerca di fare il punto sulle proposte tessili e immaginative dell’artista romano. In questa retrospettiva l’autore ci introduce nel mondo del linguaggio simbolico, nei racconti e tra le trame di un immaginario gentile dove ogni cosa sottesa racchiuse un senso, anche se possiamo percepirlo soltanto come una suggestione “appena trascritta” con il procedimento antico dei tessuti e carte utilizzate, rievocando lontani richiami per divenire suggestioni poetiche di una realtà sempre più evocativa e immaginaria.
Il percorso di Mauro Molinari, in circa un cinquantennio di lavoro, è contrassegnato da cicli diversi, come quelli dedicati all’informale, alla poesia visiva, ai libri d’artista, alla reinterpretazione degli antichi motivi tessili e nell’ultimo quindicennio al racconto della realtà urbana. Insomma, una lunga e appassionata ricerca contrassegnata da momenti diversi, tra filo, trama, intreccio e contrappunto, con un’attenzione assidua sulla presenza che apre un varco nel tempo e sul vuoto spaziale in un intreccio di momenti e tempi diversi alla ricerca della relazione e dell’equilibrio per manifestarsi. Alla fine, l’intreccio diviene filo conduttore di storie e di significati che si dipanano in un viaggio carico di suggestioni e vibrazioni poetiche suggerite per frammenti di senso. Su tali temi trattati nel corso degli anni ha prodotto carte, tele, grandi installazioni, tavole, sculture dipinte e persino artistamps d’autore. Un autore decisamente originale tra i protagonisti fondatori della Fiber Art italiana. Le ricerche iniziali degli anni sessanta dell’informale e della poesia visiva si evolvono negli anni novanta ad un repertorio di motivi tessili; dai lampassi broccati ai damaschi, dal tessuto italiano antico (fiorentino, comasco, genovese, veneziano, lucchese, siciliano), al motivo tessile spagnolo, inglese, indiano e cinese della seta a garza. Una vasta varietà di motivi tessili che abbracciano svariati periodi storici; dal tessuto cinese del III sec. a.C. ai motivi europei che vanno dall’XI sec. fino al XIX secolo. Da essi recupera con i disegni su carta, con gli acquerelli e gli acrilici, frammenti di figure, animali, alberi e qualsiasi sorta di “immaginario fantastico” che poi inserisce su tavole di legno o su tela. Cicli di opere “gentili” come la serie di pianete, le scarpe, le sculture ricoperte di carte dipinte, i libri d’artista rivisitati e interpretati come “appunti, variazioni, racconti di figure”, con altrettanti sorprendenti titoli, come per esempio, “giardino, paesaggio spagnolo, Mashan, India, mediterraneo, rinascimento”, in cui affiorano “lacerti di giardino, maschere, guardiani e fantasmi immaginari del presente”, con una insolita carica espressiva in cui il segno e la velatura degli acquerelli fanno affiorare misteri e frammenti di storia passata.
Tutto inizia agli inizi degli anni 90. Una passione che già covava da tempo, il padre era un commerciante di tessuti e poi proprietario con la moglie di un atelier di moda, non ha caso, Mauro Molinari fin da bambino ha sempre vissuto tra rotoli di stoffe e colori stampati fino a conoscerli e amarli. Poi, anche l'incontro in una galleria di via Giulia a Roma, con i prodotti della Tessitura di Rovezzano, realizzati utilizzando pregiati motivi figurativi e tecniche dei secoli trascorsi. Per diversi anni, i motivi tessili rielaborati come segni, frammenti e presenze simboliche di forme naturali, vegetali e persino araldiche prendono forma fantastica su carte e tele, su preziosi libri d’artista, teatrini, abiti di carta, scarpe, cravatte e anche paramenti liturgiche, paliotti e pianete. Un universo assai complesso dettato da una specifica motivazione alla ricerca dell’invenzione creativa e dell’interpretazione fantastica. Il tutto avviene in circa 15 anni di lavoro con una pittura lieve e insostanziale che si deposita sulla pelle velata e fragile della carta per divenire sfuggente apparizione. Dal connubio con il tessile nascono i libri d’artista ad acquerello segnati da tracce di materia trasparente e fragili segni di memorie incise come quelli realizzati nel 2007, (Racconti con figure, 2007, carte dipinte su legno da un motivo tessile di fattura inglese del primo trecento Piviale di Pio II), di cui un importante esemplare è presente in permanenza nella Collezione del Bongiani Ophen Art Museum di Salerno.
Si diceva, libri teatro di carta dipinta su tessuto, libri oggetto, libri giocattolo, libri a rilievo da aprire e libri d’artista non sfogliabili che purtroppo non possiamo mai aprire, nelle sue mani tutto diventa favola e racconto ordito tra filamenti e trame di apparizioni che si stabilizzano nello spazio provvisorio della pittura, in un tempo sospeso e precario in cui l’immaginazione s’incarna alla ricerca dell’invenzione. Da questo incanto nascono presenze assorte nate tra le trame e i vagiti di remoti tessuti per divenire delicati racconti poetici di una realtà tutta contemporanea.
Mirella Bentivoglio, presentandolo nel 1998 a Lugano scrive: “nel lavoro di Molinari sui tessuti è implicito un allargamento, dalla visione individuale, all’immaginario collettivo; un prelievo di dati filtrati da tradizioni anonime rielaborati individualmente, riportati alla loro essenza e dignità di “espressione”. Nello stesso anno anche Alberto Veca, sottolinea che “l’operazione è a un tempo un recupero della memoria e la soglia inaugurale di un viaggio, in cui le coordinate della collocazione geografica e cronologica perdono le loro caratteristiche per un più libero e fantasioso percorso, capace di accostare nuove e incognite traiettorie”.
Davvero una lunga e proficua stagione creativa “tessile” in cui l’artista è intento a indagare in modo assiduo un possibile recupero della memoria e a svelare le simbologie e i grovigli della vita con una verve visionaria in cui le coordinate del tempo e dello spazio si dilatano e perdono le loro abituali caratteristiche logiche in vista di nuove associazioni e traiettorie. La traccia di un suggerimento di memoria può ora finalmente distendersi tra la fragile carta e i brani di tessuto reale e divenire “ordito gentile”, trama e frammento di racconto che si libera dalle costrizioni in una narrazione a più livelli di lettura che s’intersecano e convivono. Solo in questo modo i frammenti del passato possono prendere forma e divenire materia lirica in rapporto alla vita, in un succedersi cadenzato e assorto di accadimenti e di intrecci allusivi che emergono da un tempo remoto per divenire contemporaneità e soprattutto essenza concreta di assoluto.
Sandro Bongiani 19 nov. 2020
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti".
Oggi l'opera e l'autore prescelti sono: "Pensieri eretici" di Massimo Carulli.
Massimo Carulli, nato e cresciuto a Scerni, in provincia di Chieti, inizia la sua attività di fumettista nel 2015, proponendo storie ambientate nella sua terra, l'Abruzzo, esordendo nella scena letteraria con la casa editrice teatina Edizioni Tabula Fati diretta da Marco Solfanelli.
Il mondo della graphic novel e del fumetto d’autore costituiscono nicchie letterarie, davvero dei mondi a parte (specie nel panorama editoriale italiano) conosciuti ed apprezzati soprattutto dagli appassionati e dagli intenditori del genere. Io ammetto di essere una profana del settore, più legata alle parole che alle immagini, eppure mi sono accostata con interesse e curiosità ai disegni di Carulli, seguendone il tratto schietto e preciso, rincorrendo insieme al flusso della narrazione anche il movimento delle sue linee in bianco e nero. E proprio dalle linee della sua bic nera, con intensità, ironia e un carattere spiccatamente originale, vengono raccontati in questa raccolta i tanti aspetti (e le altrettante contraddizioni) della terra abruzzese, attraverso il personaggio di Tumass: un personaggio che ricorre nelle opere di Carulli, itinerante come itineranti sono pure le narrazioni di cui è protagonista, oltre che interprete di tematiche attuali e profonde. L’autore, infatti, con i suoi lavori ci e si racconta e induce chi legge a sorridere (in alcuni casi di un riso amaro) ed a riflettere sui temi dell’emigrazione, del lavoro, della famiglia, della religione, della politica, dei sentimenti.
La raccolta a fumetti “Pensieri eretici” è una vicenda che narra di santità ed eresia, di storia e memoria, indagando anche su quella forma di religiosità che spesso diventa indottrinamento e strumento di propaganda politica. Il titolo di quest’opera è forse l’aspetto che più mi ha incuriosita, suggerendomene quasi la lettura, e proprio a partire dal suo titolo ho cercato di trarre una mia personale interpretazione. “Pensieri eretici” suona sì provocatorio al primo impatto, ma l’etimologia dell’aggettivo “eretico” ne restituisce una lettura di un livello diverso, più profondo: “eresia” in greco indica la scelta e anche l’avere un’opinione divergente rispetto al senso comune, perciò è qualcosa che ha a che vedere (anche) con il coraggio.
Ho capito di essere nella “giusta direzione” una volta arrivata alla conclusione della raccolta di Massimo Carulli che affida ad una poesia/preghiera di Don Luigi Ciotti proprio sull’eresia e l’essere “eretici” il significato stesso della narrazione:
Vi auguro di essere eretici.
Eresia viene dal greco e vuol dire scelta.
Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso
è colui che più della verità ama la ricerca della verità.
E allora io ve lo auguro di cuore
questo coraggio dell’eresia.
Vi auguro l’eresia dei fatti
prima che delle parole,
l’eresia della coerenza, del coraggio,
della gratuità, della responsabilità
e dell’impegno.
Oggi è eretico
chi mette la propria libertà
al servizio degli altri.
Chi impegna la propria libertà
per chi ancora libero non è.
Eretico è chi non si accontenta
dei saperi di seconda mano,
chi studia, chi approfondisce,
chi si mette in gioco in quello che fa.
Eretico è chi si ribella
al sonno delle coscienze,
chi non si rassegna alle ingiustizie.
Chi non pensa che la povertà sia una fatalità.
Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo
e dell’indifferenza.
Eretico è chi ha il coraggio
di avere più coraggio.
Recensione a cura di Rita Pagliara
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A tu per tu con Fausto Pellegrini, ospite de La Controra di Musicultura 2019
Domenica 23 Giugno il giornalista, scrittore e carismatico cantastorie Fausto Pellegrini ha guidato il pubblico de La Controra di Musicultura in un viaggio alla scoperta della canzone d’autore al femminile, presentando il suo ultimo libro Incanto.Viaggio nella canzone d’autrice.
Fausto raccoglie di storie e di vite di artiste, tutte diverse tra loro, per esaltare la vera importanza e la rilevanza della scrittura femminile all’interno del panorama musicale italiano contemporaneo. Pellegrini ha raccontato il festival per RaiNews24 e ha parlato della canzone d’autore, del suo straordinario mestiere e di molte altre avventure in questa intervista, a cura della redazione di Sciuscià.
Nel 2009, in compagnia del poeta e scrittore Erri De Luca, ha girato l’Italia con lo spettacolo itinerante “chiacchiere e chitarre”, frutto della sinergia tra il culto della scrittura e quello della musica popolare. Come nasce il vostro sodalizio artistico?
Io ed Erri eravamo già amici. L’idea di collaborare è nata per caso, seduti sul divano: abbiamo intrapreso un’avventura insieme, nata quasi per gioco, e ci siamo resi conto che il nostro progetto avrebbe potuto funzionare. Tutto è avvenuto il maniera naturale, considerando che musica e poesia creano un binomio inscindibile. Sono estremamente fiero e grato di conoscere una persona come Erri.
Giornalista e scrittore, con il gusto della musica e del raccontare storie. Parlando di libri, cosa c’è al momento nella “Bisaccia” di Fausto Pellegrini?
Mi vengono in mente i grandi classici della letteratura italiana. Sono molto affezionato ai miei libri preferiti. Ora come ora non sto leggendo nulla di particolare, ma se dovessi consigliare un libro, sceglierei le opere dei maestri come Dante e Boccaccio.
In “Incanto”, viaggio nella canzone d’autore al femminile, compare anche la storia di Patrizia Laquidara, partecipante delle edizioni passate del festival di Musicultura. Negli ultimi anni, nel campo della musica popolare, quali cambiamenti ha portato il riconoscimento dei talenti femminili?
Lo sguardo femminile, soprattutto in musica, riesce a mostrare il mondo secondo una diversa prospettiva: le donne riescono perfettamente a rappresentare le proprie storie, in una maniera autentica, a cucirsi addosso il loro “vestito” più bello.
È autore del documentario “Guccini racconta Francesco”. Il cantautore modenese cantava “Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio, perché con questa spada vi uccido quando voglio.” Da scrittore e giornalista, quanta veridicità c’è in una simile espressione?
Ho la speranza che un’affermazione simile possa, col tempo, possa diventare sempre più vera. La capacità di raccontare anche le contraddizioni di un mestiere è una virtù che va non solo protetta, ma coltivata. Questa propensione non deve necessariamente essere considerata come controcorrente, ma un modo diverso per provare a tirar fuori delle cose importanti che vanno al di là dell’ovvio, quindi una maniera diversa per raccontare e per capire il mondo. Gli scrittori e i giornalisti, quelli onesti e non quelli obiettivi, servono a questo. L’oggettività non esiste; conta solo e sempre la sincerità. Bisogna cercare e trovare, tra i tanti, il punto di vista che riesce a tracciare i confini della realtà. Questo crea un legame di fiducia tra lo scrittore e il lettore.
Lei qui è di casa, un amico fedele di Musicultura. Cosa la lega in maniera così speciale a questo festival?
Mi piace sostenere il pensiero del festival: c’è un vincitore, ma non ci sono perdenti. Si dà spazio ai giovani, si sta insieme; tutto questo è molto importante, per chi vuole vivere in maniera sana la musica. A Musicultura si percepisce un’intensa positività, capace di coinvolgere tante persone diverse, in maniera leggera. Ad unire tutti, qui, è la cultura.
Silvia Collesi
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Festival d'Autunno, una edizione dedicata alla parola e alla musica
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Festival d'Autunno, una edizione dedicata alla parola e alla musica
“Cantautori & dintorni. L’irriducibile forza delle parole” è il biglietto da visita della XVII edizione del Festival d’Autunno, ideato e diretto da Antonietta Santacroce, che stamattina nella sala conferenze della Provincia di Catanzaro ha svelato i nomi che comporranno lo sfavillante cartellone dedicato interamente ai cantautori italiani.
Alla presenza del sindaco della città di Catanzaro e Presidente della Provincia, Sergio Abramo, del responsabile amministrativo della Struttura Speciale alle Attività Culturali, Salvatore Bulotta, Ivan Cardamone e Alessandra Lobello, rispettivamente assessore alla cultura e assessore al turismo del Comune di Catanzaro, e Maurizio Ferrara, direttore della Camera di Commercio catanzarese, il direttore artistico Santacroce ha commentato la sua scelta nata dopo una lunga riflessione.
«La parola ha un legame indissolubile con la musica e i nostri cantautori ne sono l’esempio più nitido. Ho ideato un cartellone con artisti che con i loro testi, sottolineati dalla potenza delle sette note, riescono a comunicare emozioni, conflitti, stati d’animo, fotografando la loro epoca e trasmettendola ai posteri.
Proprio per questo accanto a cantautori attuali della scena nazionale ci saranno anche concerti-tributo dedicati a grandi artisti venuti a mancare, che ancora oggi sono più attuali che mai, continuando ancora a emozionare e a farci riflettere anche a distanza di tanti anni.
Musica e parole senza tempo potrebbe essere un sottotitolo esplicativo della rassegna».
A mettere in risalto l’importanza della connessione tra parola e musica anche nel contesto internazionale sarà il primo appuntamento della rassegna “Woodstock: 50 anni di pace, amore e musica” (14 settembre, a ingresso gratuito), in cui racconti, suoni e visioni saranno al centro della celebrazione del 50° anniversario di un evento storico che ha segnato un’epoca.
Il festival più famoso della storia vivrà attraverso i racconti, gli aneddoti e i filmati di Ezio Guaitamacchi, critico musicale, autore e conduttore radio/televisivo, musicista, docente, performer e storyteller. Accanto a lui a interpretare alcuni brani epocali la passionale vocalist Brunella Boschetti Venturi e la speciale partecipazione della cantautrice Andrea Mirò.
A seguire Luca Carboni (28 settembre), che proprio nella città dei Tre Colli concluderà il suo Sputnik Tour, con uno show impreziosito anche da effetti speciali, luci multicolor e laser. Un viaggio attraverso le hit più famose di una carriera straordinaria che hanno fatto sognare e divertire svariate generazioni e i suoi successi più recenti come Mare mare, Una grande festa, Fragole buone buone, Vieni a vivere con me, Farfallina, Silvia lo sai e Inno Nazionale.
A rappresentare il mondo femminile sarà la “cantantessa” Carmen Consoli (5 ottobre). L’eclettica ed estrosa musicista siciliana eseguirà il suo canzoniere con nuove folgoranti letture dei brani più conosciuti e amati dai fan che possono essere considerati oramai dei classici, tra i quali non mancheranno Amore di plastica, Parole di burro, Mandaci una cartolina e L’ultimo bacio.
Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè, figure simbolo del cantautorato italiano, la cui importanza è tale da essere considerata seminale per la nostra discografia, rivivranno nei tributi di Ron (12 ottobre) e Cristiano De Andrè (31 ottobre). Due grandi eventi significativi a dimostrazione di come la grande musica travalichi le epoche, restando sempre attuale e coinvolgente.
Coautore di molti brani di Lucio Dalla, Ron toccherà le corde del cuore eseguendo alcune “perle” come Il cielo, Futura, Se io fossi un angelo, Piazza Grande e Quale allegria. Cristiano De Andrè omaggerà il padre con la rilettura, nella prima parte del concerto, di uno degli album più importanti di Faber Storia di un impiegato, e nella seconda parte di branisimbolo come Amore che vieni amore che vai, Quello che non ho, Fiume Sand Creek, Creuza de mä e Il pescatore.
Un intero week end sarà dedicato a Lucio Dalla con la masterclass che Ron terrà, prima del concerto (12 ottobre), nel Piccolo del Politeama e con la proiezione, nella sala della Biblioteca “De Nobili” di Catanzaro, del film “Senza Lucio”(11ottobre), di Mario Sesti, nel quale viene narrata la storia dell’artista bolognese attraverso le parole e le immagini di amici, collaboratori e illustri colleghi.
La conclusione del Festival d’Autunno è affidata al maggiore autore italiano: Mogol (8 novembre). Personaggio che ha molto inciso nel panorama della musica italiana con i suoi testi intramontabili, racconterà il suo lungo e celebre sodalizio con Lucio Battisti nello spettacolo Emozioni. Viaggio tra le canzoni di Mogol e Battisti , accompagnato da una orchestra di 16 elementi e da Gianmarco Carroccia, cantante che da anni si dedica a questo repertorio riproponendolo con una straordinaria somiglianza sia vocale che fisica.
A 20 anni dalla morte del cantante di Poggio Bustone, Mogol svelerà al pubblico aneddoti e curiosità della sua carriera e la genesi e la storia di canzoni intramontabili come Mi ritorni in mente, La Collina dei Ciliegi, Il mio canto libero e Il tempo di morire “L’irriducibile forza delle parole” è al centro anche dei numerosi eventi culturali, dislocati in vari luoghi storici della Città, ai quali parteciperanno molti esperti che arricchiranno il cartellone principale del Festival d’Autunno, soffermandosi sul ruolo della parola nei vari settori in cui è protagonista: la musica, la poesia, la comunicazione, la radio e la fede.
Si comincerà il 21 settembre in Villa Margherita con il critico musicale, scrittore e saggista Paolo Talanca e il suo viaggio nella storia della musica d’autore italiana, dalla scuola genovese a Brunori SAS, impreziosito dalle interpretazioni di alcuni giovani cantanti calabresi.
Le parole saranno ancora protagoniste il 30 settembre, nella suggestiva cornice del Museo Marca, di “Ma rimane il canto…” reading di poesia e musica, con le suggestive liriche di Pietro Santacroce, medico e poeta, nel decennale della sua scomparsa.
“Le parole dell’informazione” è invece il titolo della tavola rotonda che, nella Casa delle Culture il 19 ottobre, vedrà confrontarsi direttori di giornali, editori e giornalisti sul ruolo del cronista e sui cambiamenti nell’epoca post-internet.
Mercoledì 23 ottobre ospite del Festival sarà Gianfranco Valenti, autore e conduttore RAI Radio 2 e docente di “Tecniche dell’intrattenimento radiofonico” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Il ritorno della radio parlata” è il titolo di questo appuntamento che, nel Museo del Rock, analizzerà il successo di un mezzo di comunicazione, la radio appunto, sopravvissuto alla rivoluzione della televisione prima e di internet poi.
Parlare di Dio ai giovani è possibile? E con quali parole ci si può avvicinare alla fede? Parole e fede da sempre sono un binomio inscindibile. Sabato 8 novembre nel corso dell’appuntamento che si svolgerà nella Sala del Complesso Monumentale “San Giovanni” “Le parole della fede e i giovani” sarà Pippo Corigliano, giornalista e scrittore di successo per Mondadori, a cercare di rendere attraente e stimolante il progetto di una vita coraggiosa e impegnata, in un’epoca segnata da indifferenza, egoismo e paura.
Sempre nella stessa sala, il 15 novembre, è fissato l’evento conclusivo del cartellone, dal titolo “Da dove nascono le parole: la scatola magica”.
Si tratta di una lezione interattiva che terrà il prof Antonio Cerasa, docente dell’Università Magna Graecia di Catanzaro, ricercatore del CNR, autore di oltre 100 pubblicazioni, che si occupa di vari campi delle neuroscienze.
Il festival, dopo i vari incontri che declinano la parola nei diversi settori in cui essa trova applicazione, si concluderà infatti con una lezione interattiva su come e dove nascono le parole. Lo scienziato ci condurrà all’interno del nostro cervello per aiutarci a comprendere la genesi del linguaggio e tutto ciò che può limitarlo o potenziarlo, anche alla luce delle più recenti scoperte, come l’intelligenza artificiale.
Gli ospiti hanno espresso la loro soddisfazione per la cifra culturale raggiunta nel corso degli anni dal Festival d’Autunno e dal suo direttore artistico. «Devo ringraziare Antonietta Santacroce – ha dichiarato Sergio Abramo – per il bellissimo lavoro fatto in questi anni. Siamo orgogliosi di dire che la nostra città è effervescente dal punto di vista culturale, la cui crescita avviene con una attenta programmazione creando un indotto turistico sempre maggiore».
«Siamo molto contenti – ha aggiunto Salvatore Bulotta – della qualità di questo cartellone. E’ per noi un motivo di soddisfazione condividere l’esperienza di essere a fianco di questo Festival che è ormai un punto fermo della programmazione culturale calabrese.
E’ importante che il Festival faccia riflettere al di là degli eventi spettacolari. La parola è il veicolo fondamentale per qualsiasi cosa nella nostra vita e quindi mi complimento per la scelta. Proporre eventi di cultura per la valorizzazione dei beni della città: è il Festival del centro storico».
«Il lavoro che abbiamo portato avanti – ha dichiarato Alessandra Lobello – è stato quello di fare rete con associazioni e privati. Solo così si possono raggiungere risultati importanti. Dal punto di vista culturale la città offre molto e dobbiamo puntare sul turismo culturale. Ringrazio Antonietta Santacroce per la sua direzione artistica che offre sempre un cartellone di grande qualità».
Sulla stessa lunghezza d’onda Ivan Cardamone: «L’importanza dei privati nella realizzazione degli eventi culturali. Abbiamo raggiunto una bella sintonia con il Festival d’Autunno, migliorando anche l’impegno dell’Amministrazione comunale nello stare vicino a questo evento perché a usufruirne è tutta la città di Catanzaro».
Maurizio Ferrara ha messo in risalto il rapporto instauratosi con il Festival d’Autunno: «La Camera di Commercio ha appoggiato il Festival d’Autunno sin dalla sua prima edizione, sostenendo questa idea del rapporto tra turismo, cultura ed economia.
Siamo felici che il Festival ogni anno dia importanti segnali di crescita, diventando un punto di riferimento per tutta la Calabria».
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MACERATA – Sulle vibranti note di “Peter Pan” Enrico Ruggeri apre l’intensa carrellata di emozioni della seconda serata di Musicultura, il Festival della Canzone Popolare e d’autore condotto da Enrico Ruggeri e dalla brillante Natasha Stefanenko in diretta su Rai Radio 1, con la partnership di Rai3 Rainews 24, e Tgr.
Nel giorno dedicato della Festa Internazionale della Musica i giovani artisti finalisti del Concorso Francesco Lettieri con la canzone La mia nuova età, Lavinia Mancusi con Ninù, Gerardo Pozzi con il brano Badabum e Francesco Sbraccia con Tocca a me volano in finale, grazie ai voti del pubblico, per contendersi l’ambito titolo di vincitore assoluto della XXX Ed del Festival Musicultura.
La band piemontese Lo Straniero con la canzone Quartiere italiano si è aggiudicata il Premio Nuovo Imaie, di 15.000 € per la realizzazione di un tour di otto date. Morgan strega il pubblico dello Sferisterio con una esibizione live piano e voce, raffinata e passionale, apre con il suo “ Per sempre” segue “Altrove”, una raffica di emozioni che arrivano direttamente al cuore del pubblico “ una mente meravigliosa, uno degli ultimi avamposti della musica di qualità in questo sciagurato paese” così ha commentato Enrico Ruggeri l’esibizione del genuino artista che ha portato il suo sacro fuoco sul palco del Festival.
“Il cantautore è l’incontro tra la musica e la poesia e spesso è anche un filosofo– ha detto Morgan –“Ha un ruolo sociale molto importante perché parla in maniera semplice e diretta al cuore della gente” Morgan chiude la sua esibizione trascinando Enrico Ruggeri in un improvvisato duetto al pianoforte in omaggio a Giorgio Gaber sulle note di “Non arrossire”.
“Grazie Macerata è un vero piacere essere qui” così Sananda Maitreya, prima noto come Terence Trent D’Arby, una delle voci più prestigiose della scena musicale, artista dalle tante vite, ha salutato il pubblico dello Sferisterio e abbracciando la sua chitarra ha intonato “The birds are singing” materializzando, in un attimo, sul palcoscenico di Musicultura, la storia del blues e del soul.
Accompagnato dalla sua band di grandi musicisti The Sugar Plum Pharaohs, ha proseguito con “Supermodel sandwich” e “ This town” in un crescendo di note soul intrise di magiche sfumature, Sananda Maitreya al pianoforte ha offerto la sua celebre “ O divina”. Tra gli applausi emozionati degli oltre 2500 spettatori dello Sferisterio Sananda ha intonato “ Sign your name” e ha chiuso la sua esibizione da brivido nel delirio del pubblico rapito dalla sua voce con un altro grande successo “ Holding on you”.
Tra gli ospiti The André: il misterioso ragazzo nato come fenomeno su You tube,che ha la stessa voce di De Andrè, accompagnato dalla sua chitarra ha cantato “Rolls Royce”, con il volto coperto dagli occhiali polarizzati e dal cappuccio di una felpa rossa.
Ospite della parola Andrea Purgatori, giornalista d’inchiesta, sceneggiatore per TV e cinema che ha scelto per il suo monologo nella platea dell’Arena Sferisterio la canzone di “Changing of the guard” di Bob Dylan.
A chiudere la seconda serata del Festival un grande omaggio alla leggenda dei Beatles con The Beatbox accompagnati dai quaranta elementi della Roma Philarmonic Orchestra che hanno ricreato la veste sinfonica delle canzoni beatlesiane.
A cinquant’anni dalla pubblicazione di Abbey Road e dall’ultima apparizione live di John, Paul, George e Ringo, sul tetto della Apple Record a Londra, in un favoloso viaggio nel tempo The Beatbox hanno ricreato l’atmosfera di “Sgt Pepper’s” che ha fatto rivivere l’energia e il fascino del mitico quartetto di Liverpool, con le stesse strumentazione e i vestiti confezionati su misura dalla sartoria che li creò per la tournèe americana dei Fab Four. In una tempesta di emozioni e di ricordi, tra i brani hanno eseguito “Hello Goodbay”, “All You need this love” “A day in the life” “Because”, “Something” “The long and winding road” “Golen Slumber” e accompagnati dai cori del pubblico in piedi hanno chiuso con “Hey Jude”
L’appuntamento con la finalissima della XXX edizione del Festival è per domani domenica 23 giugno. Sul grande palcoscenico dell’Arena Sferisterio si esibiranno Daniele Silvestri, Angelique Kidjo, Rancore e Carlotta Natoli. Sarà il pubblico presente alle serate ad incoronare il vincitore assoluto del Festival 2019 al quale andranno i 20.000 € del Premio UBI Banca. I biglietti per assistere alle serate di spettacolo sono in vendita sul circuito Vivaticket.
La Controra di Musicultura domenica 23 giugno
La “Controra” il Festival nel Festival che ospita i personaggi e gli artisti nel centro storico di Macera inizia alle 18.00 in Centrale Plus in Piazza della Libertà 23, con Carlotta Tedeschi e Paolo Notari che presentano “Incanto. Viaggio nella canzone d’autrice” il nuovo libro del noto giornalista di Rai news24 Fausto Pellegrini
Alle 18.30 nel Cortile Palazzo Conventati A tu per tu con un’attrice a tutto tondo: Carlotta Natoli incontro condotto da Michela Pallonari tra cinema e fiction, umanità ed ironia
Alle 18.45 in Piazza C. Battisti John Vignola di Radio 1 Rai ospiterà Angélique Kidjo la più importante voce della musica africana
Per il programma completo della Controra https://www.musicultura.it/la-controra-2019/
Info e programmi su www.musicultura.it
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Brel più De André. La canzone d’autore da Parigi alla scuola di Genova
Brel più De André. La canzone d’autore da Parigi alla scuola di Genova
Foto: Renato Dibì Renato Dibì al Teatro Out Off di Milano, accompagnato dalla fisarmonica di Gian Pietro Marazza, rende omaggio alla poesia in musica di Jacques Brel e Fabrizio De André Jacques Brel (1929 – 1978) è una voce della rive gauche parigina meno conosciuta dal pubblico italiano, contrariamente ad altri interpreti come Edith Piaf, Georges Brassens, Yves Montand, Charles Aznavour e…
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Michele Fenati - Domani
Il nuovo brano estratto dall’album “Dall’altra parte del mare”
Amore e tempo sono spesso uniti e, altrettanto spesso, in competizione fra loro. L’eterna rincorsa del tempo, delle lancette, delle stagioni «un mese, un anno, la nebbia e il vento», che si intrecciano con una relazione alla fine della sua corsa.
Questo è “Domani”, singolo estratto dall’album “Dall’altra parte del mare” in cui il cantautore romagnolo ha raccontato la parte “inedita” e più intima di sé e del suo rapporto con la musica, attingendo a sonorità classiche, mescolate con sapienza al pop d’autore.
Dicono di “Dall’altra parte del mare”
«“Dall’altra parte del mare”, mette in gioco dodici brani: intensi, superlativi, affascinanti e inimitabili. “Dall’altra parte del mare”, offre un ventaglio di genere incommensurabile: pop, jazz, acustica, elettronico, classico e sfumature di soul e folk. Il disco di Fenati è monumentale anche per il suo canto grintoso, nostalgico e magnetico.» The Music Way Magazine
«Un disco di cantautorato semplice e diretto, a tratti pop a tratti classico con molto sentimento e sentimenti. Dall’altra parte del mare è il tentativo di raccontarsi in maniera intima parlando d’amore, insicurezze, dipendenze, voglia di ricominciare.» Il blog dell’alligatore
«Incontro di due linguaggi questo, antichi nelle radici e apparentemente lontani nella forma ma che qui diviene altro ancora in un disco sostanzialmente di pop d’autore e dagli arrangiamenti puliti e di grande mestiere a firma di Fabrizio Tarroni». Raro più
«Il suo ultimo disco è un lavoro fatto principalmente di pane e cuore, parole che s’intrecciano ed entrano dentro e un pizzico di gioia che non guasta mai.» MusicLetter
Credits Musica: Michele Fenati
Parole: Erika Berti
Etichetta: I dischi di Beatrice
Distribuzione: Believe
Michele Fenati è un artista italiano, conosciuto al grande pubblico per aver tradotto in chiave classica, brani popolari di grande successo, creando una veste originale, attuale e sempre in bilico tra musica colta e musica popolare. La sua alta professionalità e la capacità di gestire il palco tra canzone, poesia e teatro, lo ha portato in questi anni a solcare tantissimi palchi di grandi, medie e piccole città di tutta Europa.
Vienna, Linz, Augsburg, Praga, Klagenfurt, Breslavia… sono solo alcune delle città europee che hanno visto sempre il tutto esaurito. Centinaia di città e piccoli e medi comuni italiani, in piazze e teatri, hanno accolto il concerto di Michele Fenati in questi anni, sempre con formazione voce e chitarra, pianoforte e clavietta, violino e violoncello. Una carriera descritta in numerosi articoli su quotidiani locali e nazionali e partecipazioni importanti come la diretta su Radio24 - Il sole 24 ore, con quattro brani in diretta nazionale, prima del tour europeo, la partecipazione a “L’Italia in diretta” su Rai 2 oppure a “Buongiorno Regione” su Rai 3.
Nel 2014 riceve la lettera del Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, prima del tour europeo. Il suo percorso inizia a 9 anni sul palco del Cantagiro Romagnolo presentato da Maria Giovanna Elmi, la reginetta della TV, proseguito al Conservatorio, dove ha studiato violoncello con il Maestro Lauro Malusi e chitarra e canto con l’insegnante Lina Montanari. In questi anni Fenati ha prodotto cinque album (Girotondo, Sicuro son sicuro, Acustico Live, Battisti in Classics e Live in Europe), una importante collaborazione con l’Associazione Bubulina per la raccolta fondi per i bambini malati di leucemia, fino al concerto “Michele Fenati & Friends” nel 2018, al Teatro Rossini di Lugo di Romagna (Ra). Ha collaborato con Andrea Mingardi nella conduzione della trasmissione “Cuore Rossoblu”, tutte le domeniche in diretta su Radio Bruno dallo stadio Dallara, fino allo spettacolo/concerto, nel 2020, a Villa Cacciaguerra Ortolani di Voltana (Ra) per la presentazione del libro di Andrea “Professione Cantante”. Nel 2020 Il concerto di Michele Fenati a Ladispoli (Roma) vede l’autorevole presenza di S.E l’ambasciatrice della Repubblica di Armenia Tsovinar Hambardzumyan, che ne introduce la performance, con una suggestiva presentazione.
Nello stesso anno scrive il brano “E la gente si chiuse in casa” con promozione sui social per raccogliere fondi per l’ospedale Covid di Lugo di Romagna (Ra)
Nel 2021 prende il via il tour estivo in Italia con oltre 40 concerti
, mentre due brani, di vecchie produzioni discografiche entrano nelle classifiche di vendita di Itunes
in Olanda e negli Stati Uniti
. Contemporaneamente iniziano le registrazioni per il nuovo album in uscita nel 2022
. Il 19 novembre 2021 esce il primo singolo con video del nuovo album, “Il mio nome è Aurelio”, dedicato al Maestro Secondo Casadei e al suo capolavoro “Romagna mia”. Il brano raggiunge la 34° posizione nella classifica di gradimento delle radio private italiane.
Il 20 maggio 2022 esce il secondo singolo che anticipa l’album, “Mille Volte Buona Notte”, trasmesso da tantissime radio private e che in brevissimo tempo supera i 50.000 streaming su Spotify, seguito dopo un mese dal video. Anche il 2022 è un anno pieno di concerti live per Michele Fenati sempre in formazione acustica (voce, chitarra, pianoforte, violino e violoncello).
A ottobre 2022 pubblica l’album “Dall’altra parte del mare”.
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"100 anni con Jacovitti"
L'arte del fumetto: "100 anni con Jacovitti"Ci sono persone che con il loro talento artistico hanno segnato un'epoca, divenendo lo specchio di una società. Questo è ciò che accade, quando si sceglie di utilizzare un linguaggio particolarmente accattivante: il fumetto. Vortici.it vi invita a conoscere questo mondo straordinario.Il 9 marzo del 1923 nasceva a Termoli Benito Jacovitti. A cento anni dalla nascita, al museo Maxxi di Roma (Museo Nazionale delle arti del XXI secolo), proprio il 9 Marzo scorso, è stato dedicato un appuntamento al celebre fumettista italiano.
Parliamo della presentazione del libro "100 anni con Jacovitti" di Stefano Milioni e Edgardo Colabelli, pubblicato da Balloon’s Art.
Tra gli ospiti era presente anche Simone Cristicchi, suo ex allievo.Jacovitti definì nel tempo uno stile surreale, pieno di elementi comici, inventò un nuovo linguaggio, creando personaggi come Pippo Pertica & Palla, Cip l’Arcipoliziotto, la signora Carlomagno, Cocco Bill, Zorry Kid, che sono entrati nella storia del fumetto del Novecento. "100 Anni con Jacovitti" è il libro che, in occasione del centenario della nascita del grande fumettista scomparso nel 1997, ripercorre la sua vita e la sua carriera, offrendone un ritratto intenso, impreziosito da una rara e inedita documentazione fotografica e dalla prefazione di Vincenzo Mollica. J. ha attraversato, con lo sguardo libero del vero artista, il Ventennio fascista, la guerra e il dopoguerra, la difficile fase della ricostruzione, la ripresa e il boom economico, il serratissimo confronto politico nel nostro paese negli anni Settanta, gli anni di piombo e quelli che avrebbero portato a Tangentopoli e alla fine della Prima Repubblica. Iniziò da giovanissimo a realizzare i suoi fumetti e personaggi: li creava, dove poteva, con i pochi mezzi a disposizione, anche per le strade del suo paese. Lo chiamarono in seguito per disegnarli sulle riviste per ragazzi: tra questi Il Vittorioso, in un'Italia che stava per finire nella morsa della guerra. Da lì in poi non smise più: arrivarono illustrazioni per libri, collaborazioni con altre riviste e proposte da importanti giornali. Il suo stile surreale, pieno di elementi comici come scrive Vincenzo Mollica nella prefazione del libro, si trasformano in poesia. Tutti i suoi personaggi sono entrati nella storia del fumetto e nell’immaginario collettivo di tutti noi. Il grande maestro del disegno in satira ha dunque attraversato il Novecento punzecchiando la politica e la società senza distinzioni di schieramento, ironizzando sui tic e sui punti deboli dell’Italia che usciva dal disastro della Seconda Guerra Mondiale e poi negli anni del boom, inventando una schiera di personaggi che erano maschere rovesciate in chiave comica, espressione del Regime - come Battista l’ingenuo fascista e il suo 'eja, eja, baccalà' - o la citazione all’italiana dei grandi miti del cinema, della tv e del fumetto, da Zorry Kid a Cocco Bill. Nelle sue tavole surreali zeppe di personaggi, tra donnone oversize e animali molto umani, spiccavano i vermi e, soprattutto, i salami, vero marchio di fabbrica insieme con la lisca di pesce che era la sua firma ricordando come lo chiamavano da adolescente alto e smilzo. Benito Jacovitti ha lasciato una traccia profonda nella storia del disegno d’autore ed ha accompagnato la vita di generazioni d’italiani, dai ragazzi che negli anni Quaranta che leggevano le sue strisce sul periodico cattolico Il Vittorioso, fino agli studenti piccoli e grandi che nei decenni successivi hanno annotato i compiti e molto altro nel celebre Diario Vitt. Nel centenario della nascita, è ricordato da una fitta serie di eventi nella sua città natale, da un francobollo di Poste Italiane appena emesso, e dal festival del disegno umoristico a Cortona (Arezzo), in programma dal 27 Maggio al 4 Giugno. A Roma sarà coinvolto nuovamente il museo Maxxi, che a Dicembre dedicherà una grande mostra all’artista molisano, connessa con quella intitolata “Tutte le follie di Jac” che nel mese di ottobre si aprirà al museo Macte di Termoli. Al di là delle celebrazioni, Jac resta un monumento per la schiera di disegnatori venuti dopo di lui, anche per quelli che lo criticavano considerandolo di destra. Tra le sue molte collaborazioni figurarono le riviste Oggi, La Domenica del Corriere, il mensile Linus diretto da Oreste del Buono. La verità è che lui si definiva un anarchico liberale, insofferente ai diversi schieramenti politici, lo testimoniano diverse interviste. Conosciamolo meglio attraverso questo documentario disponibile su Vorticitv. Immagine di copertina: Comicscorner Read the full article
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Modena, la ricca programmazione di eventi alla Tenda che sazierà le vostre curiosità culturali
Modena, la ricca programmazione di eventi alla Tenda che sazierà le vostre curiosità culturali. Spazia tra la musica d’autore, con un ospite d’eccezione come Niccolò Fabi, la poesia e la legalità, la programmazione settimanale della Tenda, dove prosegue con tre appuntamenti la rassegna culturale inserita nell’ambito delle attività proposte dall’assessorato alle Politiche giovanili del Comune di Modena. Le iniziative sono a ingresso gratuito. Fabi, in particolare, è il protagonista dell’incontro inaugurale di giovedì 12 gennaio di “Cantautori su Marte. Incontri senza gravità sulla canzone d’autore”, la rassegna, promossa dal Centro musica comunale, che propone un format fatto di incontri di parole e note per approfondire i temi, appunto, della canzone d’autore. I protagonisti del panorama artistico italiano intervengono, infatti, dal palco della struttura di viale Monte Kosica per riflettere sull’attuale situazione musicale anche in relazione alle nuove frontiere digitali costituite dal web e dai social network; come già nelle ultime edizioni, a intervistare gli ospiti è lo speaker radiofonico e giornalista Francesco Locane. Oltre al 54enne cantautore romano sono previsti gli incontri con la musicista Roberta Sammarelli, bassista del gruppo alternative rock Verdena (giovedì 2 febbraio), e la cantautrice elettronica Whitemary, ovvero Biancamaria Scoccia (giovedì 2 marzo). Alla Tenda, dalle ore 21, Fabi presenta anche il nuovo progetto artistico “Meno per meno”, pubblicato a inizio dicembre in occasione dei suoi 25 anni di carriera. Come spiegano i promotori dell’iniziativa, si tratta di un album che trae ispirazione dal suo ultimo concerto all’Arena di Verona e dalla collaborazione con il maestro Enrico Melozzi e la sua Orchestra Notturna Clandestina. L’opera comprende dieci brani, di cui quattro inediti: si tratta di un progetto ampio e ricco di sfaccettature che, oltre agli arrangiamenti per orchestra, comprende pure un sound elettronico frutto del lavoro assieme al producer Yakamoto Kotzuga e un podcast in dieci puntate realizzato insieme ai Tlon, ovvero Maura Gancitano e Andrea Colamedici, in esclusiva su RaiPlay Sound. “Cantautori su Marte”, giunta all’ottava edizione, vede Corrado Nuccini dei Giardini di Mirò alla direzione artistica e Alessandro Baronciani come curatore della parte grafica. La kermesse negli anni passati ha accolto, tra gli altri, nomi di spessore artistico e di richiamo mediatico come Motta, Ex Otago, Giorgio Poi, Gomma, Cosmo, Colombre, Willie Peyote, Maria Antonietta, Fasta Animals & Slow Kids, Coma Cose, Vasco Brondi, Paolo Benvegnù, Federico Dragogna (Ministri), Margherita Vicario, Generic animal e Francesca Michielin. Nell’edizione 2022 è stato il turno di The Zen circus, Emma Nolde e Giovanni Truppi. Il secondo appuntamento settimanale alla Tenda si concentra, invece sulla poesia. Venerdì 13 alle 21 è in programma una nuova tappa di “PoeTenda”, il torneo di poetry slam organizzato da Mutuo Soccorso Poetico: si tratta della terza manche eliminatoria del contest, l’ultima prima della finale prevista per venerdì 17 febbraio. La manifestazione è valida per la Lega italiana poetry slam (Lips) e il campione modenese, quindi, parteciperà alla fase regionale della competizione culturale. Infine, sabato 14 si trattano i temi della legalità e della criminalità organizzata. Nell’incontro delle 18 a cura dell’associazione culturale L’asino che vola, infatti, viene presentato il dossier “Idra”, il nuovo rapporto sulla presenza delle mafie in Emilia-Romagna: durante l’iniziativa Maria Capalbo intervista Gaetano Alessi e Sara Donatelli di mafiesottocasa.com. Il calendario completo di tutte le iniziative e le modalità di prenotazione sono consultabili sui canali social e sul sito web de La Tenda all’indirizzo La Tenda - Modena. Per informazioni: mail [email protected], telefono 059 2034808.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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“La pratica della poesia non è mai tanto auspicabile come nei periodi di eccesso del principio egoistico e calcolatore”: sia lode a Shelley (e al suo principesco traduttore)
Poco meno di duecento anni fa, Il 15 agosto 1822, arse la pira di Percy Shelley sulla battigia di Viareggio. Era naufragato al largo l’8 luglio nel suo “Don Juan” e il corpo era stato “straccato” a terra il 18 luglio, sepolto provvisoriamente, poi riesumato dopo uno scambio di carte bollate con le autorità sanitarie e cremato in una cassa di ferro appositamente realizzata dall’amico e biografo Trelawny (detto il Pirata). Una storia drammatica di cui si è continuato a favoleggiare. Byron che assiste alla macabra scena sotto il sole cocente e poi si getta in mare, Trelawny che strappa dal rogo ciò che resta del cuore e lo consegna alla vedova, le ceneri infine sepolte nel Cimitero degli Inglesi a Roma, non lontano da quelle dell’altro grande poeta perito giovanissimo, John Keats. A lui Shelley aveva dedicato nel 1821 il suo capolavoro, il poema “Adonais”, che è anche epitaffio commosso del sogno poetico neoclassico di Shelley stesso. Un po’ mortuari questi giovani romantici, Byron Shelley Keats, destinati a brillare molto ma per poco come le stelle cadenti d’agosto.
Tutti molto fortunati anche in Italia, Shelley grazie a Carducci, D’Annunzio e i loro compagni di eroici sogni d’arte. Ma anche pressoché popolari, nel loro mito. A Viareggio il busto di Shelley fu collocato nei pressi del luogo dove il suo corpo fu rinvenuto (con le poesie di Keats in tasca) e bruciato. A San Terenzo di Lerici possiamo contemplare il sacrario di Casa Magni (oggi B&B), dove Mary Shelley e Jane Williams attesero trepidanti il ritorno dei mariti su quello sfortunato Don Juan, inghiottito da un improvviso temporale. Strano a dirsi, Percy non aveva mai voluto imparare a nuotare, e ogni volta che veniva invitato a farlo si lasciava andare sul fondo, curioso, diceva, di far la prova di cosa c’era “di là”. Voleva morire e certo non fece nulla per salvarsi, mentre l’amico Williams, uomo di mare, e il mozzo inglese devono pur averci provato. Il Don Juan era stato costruito a Genova in base a un problematico progetto inglese su cui Williams si intestardì. Ciò non toglie che il veliero fu recuperato dopo esser finito per caso nelle reti di una paranza, fu restaurato e navigò ancora molti anni. Byron lo vide ormeggiato a Genova e ne soffrì, Shelley essendo l’amico di cui aveva la più alta affettuosa opinione. Che storie complesse e infiniti intrecci: Frankenstein, aborti, vampiri, incesti, suicidi, figli legittimi e no (come Allegra, la sfortunata deliziosa figlia di Byron perita di febbri in un convento dove il padre la relegò: da non perdere la biografia che ne scrisse Iris Origo, che ebbe anche una traduzione italiana).
Ma siamo qui per parlare dell’ultimo e maggior omaggio dedicato a Shelley italiano, due bei Meridiano Mondadori, Opere poetiche (pp. CXXXIX+1614, € 80,00), Teatro, prose e lettere (pp. LXIV+1326, € 80,00) curati da Francesco Rognoni, che ha fatto miracoli. Racconta con sensibilità la storia della poesia, poi offre una Cronologia in cui si troveranno ben ordinate e riferite le informazioni sopra riportate fra tante altre, con citazioni dei protagonisti. Un mondo abbastanza lontano, ma a noi in parte vicino geograficamente, minutamente ricostruito, con verve di scrittore che però non deborda mai nel compiacimento e nella strizzata d’occhio. Insomma critica seria, con il dono di interessare con fatti, giudizi, commenti.
E poi c’è la poesia, tutto quello che Shelley scrisse nei suoi pochi anni di attività febbrile. Scomunicato, ateo, adultero (queste le accuse…), soprattutto perennemente creativo e votato a ideali di libertà nell’Europa della Restaurazione. Leggeva Platone in originale e scriveva una tragedia sulla liberazione della Grecia, Hellas, sul modello dei Persiani di Eschilo… Oppure il meraviglioso paradiso del Prometeo liberato, altra risposta ad Eschilo. Tutta la cultura antica e moderna riviveva in lui.
Ma era anche un bel giovane giocoso e innamorato, autore di liriche che sono la gioia del lettore: “A Jane, con una chitarra”. Visioni dell’Italia, Roma, Pisa, il Serchio, Lerici con le lampare, le Alpi…. Titoli come “La Maga dell’Atlante”, “La sensitiva”… C’è di che sognare. E le traduzioni sono scritte in un bell’italiano moderno, sicché Shelley in italiano è un romantico più facile da leggere di Foscolo o Manzoni. Paradossi della traduzione. “La musica, quando soavi voci muoiono, / nella memoria vibra. / Profumi, quando sfioriscono le dolci viole, vivon nei sensi che han destato”. Music, when soft voices die…
Il lettore che si procurerà questi due Meridiani avrà il privilegio di assistere alla nascita di una delle più significative ricreazioni poetiche e critiche di questi anni. E avrà il piacere di perdervisi quando e quanto vorrà. Magari sostando a San Terenzo davanti alla fatale Villa Magni.
Massimo Bacigalupo
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Piccola nota per il lettore. Ho inseguito Francesco Rognoni la scorsa estate. Non potevo fare altrimenti. Di mestiere è ordinario all’Università Cattolica del Sacro Cuore, insegna Letteratura anglo-americana e Letteratura inglese. Di fatto, è tra i massimi studiosi della letteratura anglofona in Italia. Il ‘capolavoro’ di Rognoni, che già ha curato le “Opere” di Shelley per la ‘Pléiade’ Einaudi, era il 1995, sono i due volumi Mondadori dei ‘Meridiani’ che raccolgono “TuttoShelley” – ma nel volume dedicato al “Teatro, prose e lettere” hanno cannato la copertina: non è lui il raffigurato… Insomma, preso da estro romantico ho ‘preteso’ una intervista da Rognoni. L’ho letteralmente inseguito, in effetti. Una volta era a Edimburgo, l’altra in Grecia, la terza altrove. Alla fine mi ha risposto, e ho tenuto le risposte in congelatore in attesa del momento opportuno. Eccolo. Le utilizzo ora, a corollario del pensiero critico di Bacigalupo (chi meglio di lui). (d.b.)
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Percy Bysshe Shelley: come mai solo ora un ‘Meridiano’, per giunta doppio? Cosa ha ancora da dirci un poeta mitico, mitizzato, che diventa, nell’immaginario, l’emblema della poesia tout court?
Un Meridiano solo ora? Negli ultimi vent’anni c’è stata una Pléiade (che, per la verità, negli ultimi dieci era pressoché introvabile). E ci sono stati l’Oscar di Roberto Sanesi, e la breve BUR di Giuseppe Conte (che su Shelley ha scritto anche un romanzo)… In realtà i Meridiani non hanno mai prestato grande attenzione al Romanticismo inglese. Entro l’anno uscirà un “Keats”, ma continuano a mancare ‘Meridiani’ “Blake”, “Wordsworth”, “Coleridge” e “Byron”: se qualcuno se la sentisse di ritradurre il Don Juan, ne uscirebbe un Meridiano magnifico! E di Blake e Coleridge circolano traduzioni d’autore (Ungaretti il primo, Fenoglio e Giudici il secondo) che arricchirebbero un eventuale volume – un po’ come l’appendice di traduzioni storiche arricchisce il Meridiano “Dickinson”. Quanto a quello che Shelley ha ancora da dirci, direi che basta citare un paio di frasi dalla Difesa della poesia: “Ci manca la facoltà creativa per immaginare quello che già sappiamo; ci manca l’impulso generoso per mettere in pratica quello che immaginiamo; ci manca la poesia della vita. […] La pratica della poesia non è mai tanto auspicabile come nei periodi in cui, per un eccesso del principio egoistico e calcolatore, i materiali della vita esteriore si sono accumulati al punto di eccedere la capacità di assimilarli alle leggi interne della natura umana. Allora il corpo è diventato troppo ingombrante per lo spirito che lo anima”.
Soprattutto: cosa hai ‘scoperto’ di Shelley e cosa ci resta da leggere del grande poeta?
Cosa ho scoperto di Shelley? Che come poeta, e come autore tout court, mi affascina e convince ancor più adesso, a cinquantott’anni, di quanto mi affascinasse e convincesse fra i trenta e i trentacinque, gli anni che avevo quando ho lavorato alla Pléiade… E dire che, tradizionalmente, si dice che Shelley piace ai giovani, ma delude nella maturità… Se ci si prende la briga di leggere entrambi i Meridiani, credo che dovrebbe bastare… Ma può darsi che qualcuno trovi la forza e il coraggio di tradurre il lungo poema allegorico Laon and Cythna. In Francia lo hanno fatto qualche anno fa, nella collana di poesia della Gallimard: si sono basati sulla seconda edizione, dal titolo “attuale” The Revolt of Islam: in realtà, la versione più “rivoluzionaria” è la prima!
Che lettura diamo, oggi, del “Prometeo slegato”: ricordo una antica traduzione di Pavese, è buona? Che idea di poesia (prometeica?) attraversa l’opera di Shelley?
Ti confesso che non ho mai letto davvero la traduzione di Pavese. Benché ‘antica’, è stata pubblicata solo nel 1996, l’anno dopo la mia Pléiade, quando neanche con una pistola alla tempia qualcuno avrebbe potuto costringermi a rileggere il poema… Sono certo che Pavese ne abbia fatto tesoro per le sue teorie del mito, ma non sono in grado di dare un giudizio sulla traduzione. Gli anni Venti hanno visto la pubblicazione (presso Sansoni) delle traduzioni annotate di Raffaello Piccoli: quelle sì splendide, tuttora utilissime per i commenti (le analisi metriche del Piccoli restano insuperate). Di Prometheus Unbound sono possibili molte letture contemporaneamente: le più immediate, una lettura politica e una psicologica (se non già proprio psicanalitica). Entrambe restano vive; e aggiungerei almeno la lettura in chiave ambientalista (finché Prometeo resta incatenato, l’aria è terribilmente inquinata!), più necessaria ora che ai tempi di Shelley…
Come è nato l’amore per la letteratura anglo-americana? Quali sono gli autori che ha studiato di più, perché? In appendice, una domanda più provocatoria: non le pare che l’Italia sia afflitta da letteratura anglo-americana? Insomma, sono così bravi a scrivere solo negli Usa?
L’amore per la letteratura anglo-americana è nato dall’amore per il cinema. A vent’anni volevo fare il regista: sono stato assistente di Vancini, Damiani, Olmi, non ho avuto il coraggio di seguire quella strada e so che me ne porterò il rimpianto nella tomba… Ho studiato a lungo Elizabeth Bishop e Robert Lowell; ma forse l’ho fatto per le ragioni sbagliate, perché non credo di aver scritto cose davvero importanti su di loro…! Di certo non ho scritto quella storia della loro amicizia a cui mi ero preparato in anni non sospetti, quando il loro carteggio era inedito non solo in Italia ma anche negli USA, e agli archivi di Vassar e della Houghton Library ti permettevano ancora di lavorare sugli originali dei loro mss… Adesso ci lavorano in troppi, esiste una vera e propria “industria-Elizabeth-Bishop”, ma negli anni Ottanta era ancora una poetessa quasi segreta. Un po’ di quel lavoro (troppo poco!) è confluito nel mio commento a Day by Day, l’ultimo libro di Robert Lowell, la cui traduzione ho pubblicato negli Oscar nel 2002. Devo esser il maggior esperto vivente (lo dico con ironia!) di Anatole Broyard, uno scrittore quasi sconosciuto per l’eccellente ragione che non ha scritto quasi niente; o meglio, non ha scritto quello – il romanzo – che avrebbe voluto scrivere… Ho curato l’edizione italiana delle sue memorie di gioventù, Furoreggiava Kafka (ed. Bonnard) e dei suoi racconti (La morte asciutta, Rizzoli); ho anche creato un libro inedito, raccogliendo alcuni suoi pezzi dedicati all’amore per i libri: Giorno di trasloco e altre astuzie per vivere coi libri (Sedizioni). Il mio interesse per AB deve aver dei risvolti autobiografici: Broyard ha sofferto per tutta la vita di writer’s block, una malattia che conosco bene; ed era un nero che “passava” per bianco (s’è detto che a lui si sia ispirato Philip Roth per La macchia umana), mentre io sono un bianco che, almeno fino a qualche anno fa, veniva spesso preso per nero!
Sì, abbiamo un complesso di inferiorità rispetto agli USA… ma gli americani sono bravi davvero! Che ci piaccia o no, sono ancora loro al centro dell’impero…
Provo a ragionare sui tempi presenti. Cosa si legge oggi negli Usa? Che valore ha la letteratura e la poesia laggiù? Che senso ha, ancora, la ‘tradizione’ (penso, per dire, all’ansia canonizzante di Harold Bloom, che eleva il poeta americano a misura di tutte le scritture poetiche)?
Non sono sicuro di sapere cosa si legge negli USA al momento… Sono stato a NYC (che non è gli USA) un paio di settimane a giugno, non ci andavo da un po’ di anni: si vede dappertutto Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie, che a me non sembra proprio un gran romanzo… Temo ci sia in giro troppa ideologia: l’aberrazione di un presidente come Trump è generata (anche) da una certa ideologia pseudo-progressista. Quando Harold Bloom parla di “canone”, mi sembra che voglia rivendicare il valore della “tradizione” sulla “ideologia” (o sulla “moda”). Bloom – straordinario insegnante – le sue cose migliori le ha scritte prima del suo Canone occidentale, che secondo me è stato soprattutto una scommessa editoriale vincente. Una collana come quella della NYRB Classics dà la salutare impressione che gli americani vogliano leggere anche al di fuori della loro tradizione: ma si tratta sempre di minoranza. O vogliano uscire dalla moda, dall’ossessione di generare autori sempre nuovi: penso, ad esempio, alla riscoperta dei magnifici romanzi di John Williams, che si deve proprio alla NYRB.
Ultima. A suo avviso, da lettore avveduto, in che stato versa la letteratura (poetica e in prosa) italiana recente?
La poesia mi sembra, come sempre, in buona salute: di recente ho letto l’ultima raccolta di Francesco Dalessandro e il volume delle poesie complete di Alba Donati – poeti molto diversi ma di mio pieno gradimento entrambi, ho letto i loro libri dall’inizio alla fine, come romanzi… Lo stesso non posso dire della condizione del romanzo, che in Italia non è mai stato davvero in buona salute… A mia memoria, l’ultimo romanzo italiano importante è Il cardillo addolorato della Ortese. Ma può darsi che ricordi male; e, se non mi fa difetto la memoria, è comunque certo che uno non ha mai letto abbastanza, c’è sempre un bel libro che non si conosce: anche perché, da almeno cinque o sei anni, io non leggo i giornali, tanto meno i supplementi letterari. Un bel romanzo relativamente recente: Il celeste scolaro di Emilio Jona (Neri Pozza), sulla vita del povero Federico Almansi – il fanciullo-poeta, amato da Umberto Saba, di cui io stesso ho curato l’opera poetica (Attesa, Sedizioni 2015). Un’opera narrativa diseguale ma assi convincente nel suo complesso: quella di Hans Tuzzi (pseudonimo di Adriano Bon), bibliofilo, giallista, romanziere, saggista… Ma, ahimè! mi accorgo che sto citando autori che conosco di persona – amici o quasi – e questo non è un buon segno!
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Libri| Alla confluenza di due fiumi - Poesie
«Due fiumi –il Tagliamento e il Piave- scorrono sulle strade del sud a denominare il luogo (e il tempo) delle proprie radici, una mesopotamia dell’anima. In queste poesie d’amore e di lontananza l’eccitazione congiunge –attenta o straniata- gli argini e i deserti. La scrittura si fa rappresentazione scenica. E i versi fotogrammi rapidi, movimenti di sequenze filmiche immersi in imprimiture poetiche, che custodiscono un mondo reale e iperbolico- e ferito. Il poeta si abbandona al fluire delle impressioni, delle immagini, delle descrizioni. E i dettagli allargano l’affabulazione, che lo avvolge e incanta-e rattrista» (Giuseppe Rizzo).
Antonio Tarsi, Alla confluenza di due fiumi-Poesie, Tharsys edizioni, giugno 2016, A/5, 132 pp.
Antonio Tarsi, docente di “Materie Letterarie e Storiche”, Laurea in “Storia del cinema”, con una tesi su Paolo e Vittorio Taviani, Giornalista Pubblicista, Membro del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, si occupa di Storia e Critica del Film, Teatro e Poesia. Tra i suoi lavori Il cinema di Paolo e Vittorio Taviani, Lacaita, Manduria 1978 ; Film 1966-1986, Milella, Lecce 1985; Cinema e sessantotto, Capone, Cavallino-Lecce 1988; La luce filmica e il suo ascolto, in Voci dell’ascolto, a cura di Giuseppe Rizzo, Marietti, Genova 1992; Pupi Avati o della sostenibile leggerezza del film d’autore in Il cinema italiano degli anni ottanta…ed emozioni registiche, a cura di Vincenzo Camerino, Manni, Lecce 1992 ; Il cinema di Krzysztof Kieslowski, Barbieri, Manduria, 1993 ; San Giuseppe da Copertino nel cinema e nel teatro, Panico, Galatina 2004; Alla confluenza di due fiumi-Poesie, Tharsys Edizioni, Copertino 2016; Meraviglie di Fra Lucio da Corsano, Tharsys Edizioni, Copertino 2016; Film-maker indipendente, ha realizzato Da scene di vita politica ( 1970 ), Salento-Roma ( 1973 ), I pescatori svizzeri ( 1975 ) Disabili un problema irrisolto ( 1983 ), Delitto ( 1993 ), Giuseppe Desa ( 2004 ).
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