#poesia che consola
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“Abbracciami” di Andrew Faber: Un Inno alla Forza degli Abbracci e alla Speranza. Recensione di Pier Carlo Lava
Andrew Faber ci guida alla scoperta del potere terapeutico degli abbracci per contrastare ansia, paura e tristezza
Andrew Faber ci guida alla scoperta del potere terapeutico degli abbracci per contrastare ansia, paura e tristezza In “Abbracciami”, Andrew Faber ci regala una poesia intensa e toccante che esplora il potere curativo di un gesto semplice ma profondo: l’abbraccio. Con versi delicati, Faber ci mostra come un abbraccio possa diventare uno scudo contro le ombre dell’ansia, della paura e della…
#abbracci terapeutici#Abbracciami#Alessandria today#Andrew Faber#autori italiani#bellezza dei gesti semplici#combattere l’ansia#comprensione emotiva#conforto emotivo#conforto psicologico#contatto umano#Cura dell’anima#empatia#fiducia nella vita#forza dell&039;amore#gesto affettuoso#Google News#italianewsmedia.com#legami umani#lotta contro l&039;ansia#Pier Carlo Lava#poesia che consola#poesia e guarigione#poesia e vita#poesia italiana#poesia motivazionale#poesia sul coraggio#poesia sull&039;amore#poesia sull&039;ansia#poesia sulla resilienza
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🍀
Spesso sto ferma
ad osservare me stessa
per uscire dalle sbarre
di limitata coscienza mentale,
per non sentirmi pianta
prigioniera del suo vaso
e trascendere l'umano ego.
Appesa guardo dall'alto
e vedo frammenti di me
scomposti in mille forme
di variopinti colori.
Bizzarra e difettosa
nei giorni grigi,
saggia e consapevole
allo spuntar del sole.
E mi abitano
tutte le Creature del Mondo.
Mi consola l'eco
che risuona al mio specchio
mentre fugge selvaggio il tempo
dai granelli della clessidra.
Poco il tempo per cambiare una Vita....
Ma tutta una Vita
per attuare il cambiamento.
Emiliana Frassati
da Voli di Poesia
#smokinago
immagine di @monologhidiunamarea
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Liberamente ispitato alla poesia di https://www.tumblr.com/conilsolenegliocchi e con le mie parole improvvisate.
Voli immobili
Qui sopravvivo. Come non mi appartenesse osservo il mio vivere. Osservo il mio cuore. Ascolto la mia voce. Veloci e frenetici i giorni mi accompagnano. Lente e solitarie le sere, rifletto intensamente. Amore mio giovane, attraversarti non posso e chiusa è ogni porta che tento per arrivare al tuo cuore. Resto bloccato e mi consolo in quest’assenza con le sole parole che hanno la tua voce. Vorrei illudermi ancora di averti qui. Voli immobili, qui sopra di me. E il mondo è assente e presente. Nel nulla che non mi appartiene mi osservo, entro nel mio respiro. Divento ... l’amore. Veloci e frenetici i giorni che ci accompagnano e volano via, senza lasciare nemmeno una scia. Lente e solitarie le sere rimango solo nella mia stanza ed è il mio universo. Amore mio giovane, attraversarti non posso e chiusa è ogni porta per arrivare al tuo amore. Resto bloccato, con quella sete per te e quella voglia di dissetarti d’amore che consola con le parole, per illudermi di averti ancora qui e di poterti ancora amare come ti amai in quei giorni in cui la vita mi sembrò immortale, piena di amore che solo tu mi donavi. Voli immobili .. Voli immobili in cui sei qui con me e ti amo io.
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La Maledizione
Ogni volta che sono felice
ritorna la maledizione di Nana.
Gli uccelli si trasformano in attrezzi da idraulico, il sonetto in una barzelletta sconcia
il venticello in una tracheotomia
la barca in un cadavere
il nastro in un cappio,
tutto per la nenia di Nana,
note acide che nella sua pazzia ripetono:
sei stata tu. Tu sei il male.
Avevo tredici anni,
la sua omonima imbranata,
i nostri occhi lo stesso identico verde.
Niente di notevole, tranne che
ogni volta che dico:
"mi sento benissimo" oppure
"la vita è meravigliosa" oppure
"ho appena scritto una poesia"
palpitazioni
mano intorpidita
gli occhi diventano neri
a partire dai bordi esterni
lo xilofono nelle orecchie
e la voce, la voce,
la maledizione di Nana.
Gli occhi balbettano. Divento cieca.
Seduta sui gradini a tredici anni
mi premevo le orecchie con le mani,
lo psichiatra con la bocca di Hitler
mi scavalca come un becchino,
e il grido di paura della vecchia:
sei stata tu. Tu sei il male.
Era il giorno predestinato.
Tredicenne a vita,
soltanto le maschere continuano a cambiare.
Col sangue in bocca,
un pesce che sbatte nel petto
e il destino che pesta i piedi.
Sei stata tu. Tu sei il male.
Lei se n'è andata da tempo.
Se n'è andata col treno della morte.
Ma qualcuna resta al poligono di tiro
e aspetta il momento opportuno.
La morte prende la mira.
"Mi sento benissimo"!
"La vita è meravigliosa"!
E al centro del mirino
la maledizione.
È tutto consegnato alla storia.
Il brandy non consola.
Il Librium mi stende
come una regina delle nevi morta.
Sì! Sono una criminale.
Sì! Portami in questura.
Ma prenotami una doppia.
Anne Sexton, Il libro della follia
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[...] Per questo l’arte, quella vera, quella che viene dall’anima, è così importante nella nostra vita. L’arte ci consola, ci solleva, l’arte ci orienta. L’arte ci cura. Noi non siamo solo quel che mangiamo e l’aria che respiriamo. Siamo anche le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci hanno addormentati da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia ci hanno dato.
Tiziano Terzani - L'ultimo giro di giostra
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Una poesia di Tuliyeva Sarvinoz - Uzbekistan
Foto cortesia di Tuliyeva Sarvinoz Consola il cuore amato,Inganna che verrai.Mi limiterò a farloAndremo anche al campo di tulipani.Il cielo sa che mi manchi,La pioggia cade dalla sua fronte.Pazienza messa alla prova sulla mia spallaUna vena sta sparando in profondità.Il mio cuore è con te,Supera i desideri.Forse oggi, forse domaniRompi le barriere.Tuliyeva SarvinozUzbekistan.Comfort the beloved…
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Mezzalibbra - Il singolo “Tavoli vuoti”
Il nuovo lavoro discografico del cantautore su tutti i principali digital stores
Torna l’artista abruzzese con un nuovo singolo dal 24 febbraio sui principali digital stores e dal 3 marzo nelle radio italiane in promozione nazionale.
Il terzo brano del primo EP di Mezzalibbra, “Tavoli Vuoti”, paragona in qualche modo la vita sociale alla vita lavorativa dell’artista in quanto, tramite questa canzone, vuole far trapelare il fatto che ormai è arrivato a capire che per quanto si possa dare tanto a qualcuno, potrebbe andarsene da un momento all’altro. Mezzalibbra ripercorre il suo percorso lavorativo con la consapevolezza di reagire ad una perdita come se la persona che se n’è andata sia stata un semplice cliente di un pub: dovrà soltanto pulire le briciole lasciate sul tavolo occupato da quel cliente e sperare che magari ritorni un giorno.
È un percorso, quello intrapreso dal cantautore, per cercare di combattere le varie perdite subite passando da una parte all’altra del bancone, lasciando intendere che prima affogasse i suoi problemi nell’alcol e che scelse questo lavoro per distrarsi e per trovare soluzioni nelle parole della gente. In un certo senso, il cantautore racconta del suo rapporto ambivalente con il pub nato in un periodo non facile, considerato da lui un amico che ti consola e allo stesso tempo un nemico da cui stare lontano; dunque, la canzone rappresenta un tentativo dell’artista di staccarsi dal suo passato turbolento e di tornare sui suoi passi nonostante le perdite e la solitudine lo abbiano segnato nel profondo.
Davide Corneli, in arte Mezzalibbra, inizia gli studi di canto da bambino per poi appassionarsi al basso ed infine anche alla chitarra. Il suo percorso di crescita musicale è stato fortemente influenzato dal Soul e dall' R&B anni '60, in particolare dalle voci di Otis Redding e Sam Cooke, le quali hanno fatto scoprire l'importanza di mettere a nudo la sua anima attraverso i suoi testi. Nel corso degli anni ha suonato in vari gruppi, festival e club per poi iniziare ad avvicinarsi alla scrittura delle proprie canzoni all’età di 18 anni, appassionandosi anche alla poesia. Il suo nome d’arte (Mezzalibbra) è il soprannome della sua famiglia, che porta con sé un significato profondo che rimanda al suo legame con la natura in cui trova massima ispirazione per le sue composizioni. Il suo genere fonde sonorità pop e rock macchiandole di soul e blues per trasmettere al meglio le sue emozioni, i suoi ricordi e le storie vissute.
A novembre del 2019, Davide pubblica il suo primo singolo “Cometa” con la produzione artistica di Cristiano Romanelli (UMMO) e inizia ad avere subito degli ottimi riscontri di pubblico e critica. Moltissime le interviste e recensioni in web magazine nazionali. All’inizio del 2020 si ufficializza la band che contribuisce alla realizzazione del secondo e del terzo singolo “XXL” e "Lei", che hanno entrambi goduto di promozione nazionale e buone recensioni. Terminata questa esperienza con la band, Davide continua a scrivere testi e musica per conto proprio.
A luglio 2022 esce il suo quarto singolo “Fermo Immagine”, registrato presso la Incisi Records, che farà da apripista al suo primo EP: un nuovo lavoro che strizzerà l’occhio ad una sonorità più rock, pur mantenendo lo stile del pop d’autore che ha caratterizzato l'artista. Dopo il singolo “Fermo Immagine”, il quale videoclip è uscito in anteprima su Sky Tg24 a novembre 2022, Mezzalibbra pubblica il suo quinto singolo “Pagine” dedicato al fratello minore ricevendo ottime recensioni dalla critica, in particolare dal famoso magazine Rockit.
Facebook: https://www.facebook.com/mezzalibbra
Instagram: https://www.instagram.com/_mezzalibbra_/
YouTube: https://www.youtube.com/@mezzalibbra5843
Rockit: https://www.rockit.it/mezzalibbra
Spotify: https://open.spotify.com/album/4OTZDLry0ojPWNXCU5SMI3
DCOD Communication - Ufficio stampa musicale nazionale
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Stralci biografici/2
Non c´è infelicità umana, scriveva nello Zibaldone, che non possa crescere. Egli stesso collaborava a questa disperazione: “Questo mi consola” scriveva pochi giorni prima del tentativo di fuga da Recanati “perché m´ha fatto disperare di me stesso, e conoscere che la mia vita non valendo più nulla, posso gittarla, come farò in breve, perché non potendo vivere se non in questa condizione e con questa salute, non voglio vivere, e potendo vivere altrimenti, bisogna tentare. E il tentare così com´io posso, cioè disperatamente e alla cieca, non mi costa più niente, ora che le antiche illusioni sul mio valore, e sulle speranze della vita futura, e sul bene ch´io potea fare, e le imprese da togliere, e la gloria da consegnare, mi sono sparite dagli occhi, e non mi stimo più nulla”.
[...] insensibile al dolore e alle sventure: nessuna felicità è più capace di agitarlo fortemente. Passa a uno stato di quiete e di rassegnazione così costante, e di disperazione così poco sensibile, che qualunque nuovo male gli riesce indifferente. Allora l´uomo perde il sentimento e il dono della poesia, non sente più né la natura né la bellezza: la sua grande immaginazione diventa fredda, e smarrisce persino l´angoscia per la nullità delle cose. Questa sventura colpisce l'amore di sé stesso, che è la fonte della nostra esistenza; si riduce all´inerzia fisica e morale. Così Leopardi raggiungeva la condizione del feto: come diceva con un verbo molto amato, si “rannicchiava” attorno a sé stesso, ritornando alla posizione originaria. Aveva cominciato a pensare e a soffrire da fanciullo, compiendo il corso delle sventure di una lunga vita, e adesso si sentiva “moralmente vecchio, anzi decrepito”, perché persino il sentimento e l´entusiasmo, compagni e alimenti della sua vita, erano dileguati da lui “in un modo che mi raccapriccia”. Era tempo di cedere al destino: di morire. Leopardi si sentiva, e si voleva sentire simile a una pietra.
La noia è una passione moderna, perché è la fine delle passioni. Essa è molto più grave del dolore, della disperazione e di qualsiasi forma di vita tragica: opprime, stanca, affanna, lacera, spaventa, spegne, uccide, nullifica. Sebbene la natura non l'abbia creata e la ignori, la noia sconfigge la natura e la deride. Leopardi aggrediva la noia da tutte le parti, perché essa ha molti aspetti e incarnazioni. In primo luogo, non è altro che il vuoto dell´anima, che suscita in noi un orrore: quello stesso orrore del vuoto che gli antichi fisici supponevano nella natura per spiegare alcuni suoi effetti. Dunque, la noia è sterile: è una nebbia che incombe e un'acqua limacciosa che ci affoga. La noia è un paradosso, una coincidenza di estremi: la morte nella vita, la morte sensibile, il nulla nell´esistenza. È anche un qualcosa di solido e immobile, ed è pertanto una sostanza, una realtà: anzi consiste in lei quanto la vita degli uomini “ha di sostanzievole e di reale”. Tutto il resto dell´universo è vano e fondato sul falso. Infine, Leopardi scoprì l'identità definitiva: noia e nulla sono la stessa cosa, o sono figlia e madre l´una dell'altra. E se tutto è noia “tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo … ed io stesso certamente in un´ora più quieta conoscerò, la vanità e l'irragionevolezza e l'immaginario. [...] è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un vôto universale”. Già nel 1819 Leopardi immaginava di penetrare dentro il nulla diventando anche lui un nulla: si sentiva soffocare, perché in quel nulla non era aria, o vuoto o fantasmi come noi immaginiamo, ma “solido nulla” com´era solida e immobile la noia.
Il suo spirito era assuefatto da lunghissimo tempo alla solitudine e al silenzio, ed era “pienamente ed ostinatissimamente nullo” nella società degli uomini. Nessuno, egli diceva, si occupava di lui: tutto lo contraddiceva, tutto lo respingeva; bastava che egli desiderasse una cosa perché accadesse il contrario. I parenti e i conoscenti lo disprezzavano. Questa condizione di “disprezzato e vilipeso” distruggeva in lui ogni sentimento, ogni slancio di entusiasmo, fantasia e compassione, ogni immagine nobile e dolce; e faceva sì ch'egli si considerasse un nulla. Così diventava apatico, vuoto, indifferente. Il disprezzo assumeva le proporzioni di una catastrofe cosmica. Si sentiva abietto; e così penetrato di abiezione, da diventare incapace di amare e di scrivere. Conosceva la condizione amarissima che spetta a un letterato. Sapeva che la letteratura era diversa o contraria alla vita: rendeva straniero, infelice, malato; faceva sì ch´egli non avesse più niente in comune con quelli che amano definirsi uomini normali. Era stato un “giovane d´indole e di ardore incredibile” e di “grandissima speranza”; ma, via via che scriveva, conduceva una vita sempre più “simile alla morte”: perché chi scrive scende, ogni istante più profondamente, nel grembo e nell´abisso della morte. Tutto quello che usciva dalla sua penna era, nel migliore dei casi, il respiro di un sopravvissuto, sebbene questo respiro avesse il dono di salvare il mondo e la poesia. Il 5 marzo 1821 aveva scritto nello Zibaldone: “L´uomo d´immaginazione di sentimento e di entusiasmo, privo della bellezza del corpo, è verso la natura appresso e a poco quello ch´è verso l´amata un amante ardentissimo e sincerissimo, non corrisposto nell´amore. Egli si slancia fervidamente verso la natura, ne sente profondissimamente tutta la forza, tutto l'incanto, tutte le attrattive, tutta la bellezza, l´ama con ogni trasporto, ma quasi che egli non fosse punto corrisposto, sente che egli non è partecipe di questo bello che ama ed ammira, si vede fuor della sfera della bellezza, come l´amante escluso dal cuore, dalle tenerezze, dalle compagnie dell'amata … Egli insomma si vede e conosce escluso senza speranza”. Lui non cedeva né si piegava; alla fine, volgeva il furore contro sé stesso, immaginando i momenti del proprio suicidio.
Della fisionomia di Leopardi la descrizione più bella è quella fornita dall'amico Antonio Ranieri: “Fu di statura mediocre, chinato ed esile, di colore bianco che volgeva al pallido, di testa grossa, di fronte quadra e larga, d´occhi cilestri e languidi, di naso proffilato, di lineamenti delicatissimi, di pronunziazione modesta e alquanto fioca, e d´un sorriso ineffabile e quasi celeste”.
Per tutta la vita preferì lo sguardo indiretto. Secondo Filippo Ottieri non rifiutava naturalmente la società e la vita sociale. Avrebbe avuto desiderio di conoscerla, di mescolarvisi. La solitudine e la vita oscura erano, per lui, più che un bene, un “rimedio o un rifugio”. Ma si rendeva conto che la società non lo amava: sentiva in lui qualcosa di ostile, di avverso, di refrattario. Quando era afflitto, o oppresso dalla malinconia o dalla sventura, non tollerava “il tuono della frivolezza e della dissipazione”, o l´aspetto della “gioia insulsa”, che il mondo emana come un cattivo profumo.
Era timido e questa timidezza era provocata dalla riflessione, dalla delicatezza, dall'eccesso di amor proprio, dalla sovrabbondanza di forza vitale, dalla vivacità dell´immaginazione. Quando rifletteva più profondamente, capiva che la timidezza era il paradosso della sua vita e la analizzava in ogni aspetto. Egli “teneva per nulla” la vita e le cose umane: desiderava la morte, volava oltre la morte, toccando la regione sconosciuta del “non essere”; eppure si perdeva di coraggio nella società, si spaventava del rischio di essere ridicolo – rischio che aveva sempre davanti agli occhi e che lo rendeva timido.
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"Per me la poesia è la tua voce che parla. (…) Tu sei tu. Questo mi consola della mancanza di molte cose."
Virginia Woolf
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Come i cieli d’Irlanda di Gianfranco Isetta: Una riflessione poetica sull’eternità e l’unità con il tutto
La poesia di Gianfranco Isetta ci trasporta in un viaggio intimo e profondo, tra i cieli d'Irlanda e il mistero dell'assenza.
La poesia di Gianfranco Isetta ci trasporta in un viaggio intimo e profondo, tra i cieli d’Irlanda e il mistero dell’assenza. La poesia Come i cieli d’Irlanda di Gianfranco Isetta si muove con delicatezza su uno dei temi più universali e complessi: la consapevolezza della mortalità e la presenza dell’eterno in ogni istante. Con versi brevi e densi di significato, Isetta ci parla dell’assenza,…
#Serenità interiore#bellezza naturale nella poesia.#Cieli d’Irlanda#Come i cieli d’Irlanda#Gianfranco Isetta#Gianfranco Isetta poeta#immagini poetiche#letteratura italiana#lirica italiana#morte e assenza#poesia che consola#poesia d&039;autore#poesia di introspezione#poesia e natura#poesia esistenziale#poesia filosofica#poesia filosofica italiana#poesia italiana contemporanea#poesia sulla morte#poesia sulla pace interiore#poesia sulla serenità#poesia sull’assenza#poesia sull’esistenza#poesie brevi#poesie di bellezza#poesie ispirate alla natura#poesie sulla vita#poesie sulla vita e la morte#poeti italiani#poeti moderni
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L'arte, quella vera, quella che viene dall'anima, è così importante nella nostra vita. L'arte ci consola, ci solleva, l'arte ci orienta.
L'arte ci cura. Noi non siamo solo quello che mangiamo e l'aria che respiriamo.
Siamo anche le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci hanno addormentato da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia ci hanno dato.
Tiziano Terzani
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Poesia di https://www.tumblr.com/solanas65-blog
Tra le lenzuola, un mondo si cela,
Dove i sogni danzano, liberi nella notte fiera.
Sotto il manto di stelle tessuto fine,
Riposano segreti, in un abbraccio divino.
Nel silenzio ovattato, respiri si intrecciano,
Due cuori in un ritmo, dolcemente si accarezzano.
Tra le pieghe del tessuto, sussurri si perdono,
Parole non dette, che solo gli amanti comprendono.
L'oscurità avvolge, ma non è mai sola,
È un rifugio, una quiete che consola.
Tra le lenzuola, il tempo sembra fermarsi,
Mentre due anime, in un sogno, osano incontrarsi.
E l'alba, con i suoi raggi timidi e caldi,
Trova due esseri, ancora uniti, tra i lini saldi.
Tra le lenzuola, la vita trova il suo canto,
Nel teatro dell'intimità, dove tutto è sacro e tanto.
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Ma cosa significa “dolce”, “dolcezza” riferito alla musica – e alla poesia? Interroghiamo Dante e la terzina da cui è stato tratto il titolo del concerto: «Amor che ne la mente mi ragiona cominciò elli allor sì dolcemente che la dolcezza ancor dentro mi suona». (Pg II, vv.112-114) Siamo sulla spiaggia del purgatorio, dove approdano le anime dei morti non condannati all’inferno, e tra queste Dante riconosce l’amico di gioventù Casella. Non abbiamo dati storici su di lui, se non quelli che ci fornisce lo stesso Dante, presentandocelo come musico dei versi amorosi dei poeti duecenteschi: l’amicizia tra di loro si nutriva della collaborazione artistica tra poesia e musica. Se è vero che l’incontro con Casella rientra in un ampio e coerente progetto di recupero della giovinezza dantesca, e in particolare delle esperienze letterarie che la segnarono, ciò che qui vorrei fare è “leggere tra le righe”, per aprire uno spiraglio su un Dante insolito. Quello che Casella intona è il primo verso della seconda canzone del Convivio, il trattato filosofico in cui Dante riprende sue liriche precedenti reinterpretandole allegoricamente. Nel caso specifico, questa canzone canta le lodi della donna amata dichiarando l’impossibilità di trovare parole adeguate a celebrarla, perché lo suo parlar sì dolcemente sona (v.3) che il poeta si riconosce incapace di riferire ciò che ha udito: il rapimento d’amore fa confondere e smarrire la mente – rimane solo la sensazione inebriante di “dolcezza”, tanto nella canzone del Convivio quanto nei versi del Purgatorio che la citano. Non importa se questa canzone fosse già stata musicata da Casella in vita, come sostiene la maggior parte dei commentatori antichi, o se Dante abbia “inventato” questa situazione apposta: in ogni caso, evidentemente a Dante non dispiaceva che i suoi versi fossero messi in musica e venissero cantati: ne è prova l’iterazione del semema “dolce”, nell’avverbio e nel sostantivo, unitamente al passaggio dei tempi verbali dal passato del personaggio (“cominciò”) al presente dell’autore (“suona”). Insomma, Dante non si può forse definire un “cantautore”, ma un “paroliere” certamente sì, consapevole com’era dello straordinario potere della musica e del canto. Lo afferma lui stesso nelle terzine precedenti a quella citata, in cui prega l’amico di dargli, con la sua musica, un po’ di conforto dopo gli affanni del viaggio nell’Inferno, e gli chiede di cantare di nuovo per lui come faceva in vita, quando le canzoni d’amore di Casella placavano tutte le pene di Dante: «… Se nuova legge non ti toglie memoria o uso a l’amoroso canto che mi solea quetar tutte mie doglie, di ciò ti piaccia consolare alquanto l’anima mia, che, con la sua persona venendo qui, è affannata tanto!» (Pg II, vv.106-111) E nel Convivio (II, XIII, 24) scrive: «La musica trae a sé gli spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione: sì e l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono». Dunque la musica agisce sull’anima: consola, placa gli affanni, fa dimenticare tutto; in più, nel canto, la musica arricchisce le parole, le dilata, ne supera i limiti e in qualche modo riesce a esprimere ciò che esse non dicono aggiungendovi appunto la sua “dolcezza”, che attraverso l’orecchio scende fino al cuore.
Dante cantautore?
Non ci avrei mai pensato
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Una poesia che non celebra e non consola rinuncia al mistero della gioia e del dolore, della luce e della tenebra, rinuncia a interrogare la nostra essenza di uomini, e l'essenza dell'universo.
Giuseppe Conte, Manuale di poesia
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Caro Caproni,
è straordinario che tu abbia pensato al quartetto op.132 di Beethoven a proposito del mio libro. Questo quartetto è proprio la musica che, come mi capita, mentre scrivevo non mi stancavo di riascoltare, ora dopo ora – sopra- tutto l’adagio. che tu abbia potuto fare quest’accostamento è qualcosa che – almeno in parte – mi consola dei difetti e del fallimento del libro.
La liberazione della parola da se stessa: è veramente questo ciò che il libro cercava, non è altro che questo il pensiero, prima che, come tu dici, liberata «sparisca nel suo nome». Non semplicemente un aldilà della parola, ma la parola al di là di se stessa.
Come ringraziarti, perciò, della tua poesia? sentire il sapere, il lampo, il rombo della sparo e, in quel punto, stringere la sola verità.
Mi è piaciuto anche quello che dici (nel tuo discorso «sulla poesia») della traduzione: che il poeta tradotto scopre lui nel traduttore quei bouts d’existen- ce. E quel che dici sull’io-minatore del poeta. Oggi si è decretata la morte del- l’io e del soggetto ancora prima di capire che cosa in essi è veramente in questione. In questo modo l’Io riesce fuori nel pensiero nella forma dell’altro (con la a maiuscola). Ma perché l’altro non sia soltanto una cupa potenza teologica oc- corre l’esperienza madre, senz’appigli della singolarità: quel puro essere esposti in noi stessi che noi siamo, e in cui, come tu dici, l’io può scoprirsi noi.
Vorrei che ci vedessimo presto e, intanto, ti abbraccio.
giorgio
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Ringraziare desidero il divino
per la diversità delle creature
che compongono questo singolare universo,
per la ragione,
che non cesserà di sognare
un qualche disegno del labirinto
e l'uccello leggero che vola oltre, più in alto, più su.
Ringraziare desidero per l’amore,
che ci fa vedere gli altri come li vede la divinità,
per il pane e il sale,
per il mistero della rosa
che prodiga colore e non lo vede.
Ringraziare desidero
per l’arte dell’amicizia,
per l’ultima giornata di Socrate,
per le parole che in un crepuscolo furono dette
da una croce all’altra,
per i fiumi segreti e immemorabili
che convergono in noi,
per il mare, che è un deserto risplendente
e una cifra di cose che non sappiamo
per il prisma di cristallo e il peso di ottone,
per le strisce della tigre,
per l’odore medicinale degli eucaliptus,
e la speranza, la fiducia, la lavanda.
Ringraziare desidero
per il linguaggio, che può simulare la sapienza,
per l’oblio, che annulla o modifica il passato
per la consuetudine,
che ci ripete e ci conferma come uno specchio,
per il mattino, che ci procura l’illusione di un inizio,
per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia,
per il coraggio e la felicità degli altri,
per la patria, sentita nei gelsomini
per lo splendore del fuoco
che nessun umano può guardare senza uno stupore antico
e per il mare che è il più dolce fra tutti gli dei.
Ringraziare desidero perché
sono tornate le lucciole,
le nuvole disegnano,
le albe spargono brillanti nei prati,
e per noi
per quando siamo ardenti e leggeri
per quando siamo allegri e grati.
Io ringraziare desidero per la bellezza delle parole, natura astratta di dio
per la lettura e la scrittura, che ci fanno sfiorare noi stessi e gli altri
per la quiete della casa,
per i bambini che sono nostre divinità domestiche
per l'anima, perché consola il mio girovagare errante,
per il respiro che è un bene immenso,
per il fatto di avere una sorella.
Io ringraziare desidero
per tutti quelli che sono piccoli liberi e limpidi
per le facce del mondo che sono varie
per quando la notte si dorme abbracciati
per quando siamo attenti e innamorati, fragili e confusi,
cercatori indecisi.
Ringrazio dunque
per i nostri maestri immensi
per tutti i baci d'amore,
e per l'amore che ci rende impavidi.
Per i nostri morti che fanno della morte un luogo abitato,
e per i nostri vivi, che rendono la vita uno specchio fatato.
Per i figli,
col futuro negli occhi,
perché su questa terra esiste la musica,
per la mano destra e la mano sinistra, e il loro intimo accordo
per i gatti per i cani esseri fraterni carichi di mistero,
per il silenzio che è la lezione più grande
per il sole, nostro antenato.
Ringraziare desidero
per Whitman, Presti e Francesco d’Assisi,
che scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini.
Ringraziare desidero
per i minuti che precedono il sonno,
per il sonno e la morte,
quei due tesori occulti,
per gli intimi doni che non elenco,
per la gran potenza d'antico amor
per amor che muove il sole e l'altre stelle
e muove tutto, in noi.
Mariangela Gualtieri
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