#morte e assenza
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Come i cieli d’Irlanda di Gianfranco Isetta: Una riflessione poetica sull’eternità e l’unità con il tutto
La poesia di Gianfranco Isetta ci trasporta in un viaggio intimo e profondo, tra i cieli d'Irlanda e il mistero dell'assenza.
La poesia di Gianfranco Isetta ci trasporta in un viaggio intimo e profondo, tra i cieli d’Irlanda e il mistero dell’assenza. La poesia Come i cieli d’Irlanda di Gianfranco Isetta si muove con delicatezza su uno dei temi più universali e complessi: la consapevolezza della mortalità e la presenza dell’eterno in ogni istante. Con versi brevi e densi di significato, Isetta ci parla dell’assenza,…
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Perché desidero che mi succeda qualcosa di spiacevole? Qualcosa che renda inequivocabile e innegabile la mia sofferenza. Qualcosa di tangibile e visibile.
Ho davvero bisogno dell’approvazione altrui per stare male?
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Quel tipo di conversazione non lo trovi con chiunque, è stato così raro da restarmi addosso, attaccato ai pensieri, ai gesti, alle mani.
Così importante per me, da mettere in discussione il resto.
#conversazione#spunto#sfogo#ascoltare#parlare#sincera#finta#raro#sorpresa#compresa#e adesso#futuro#scelte#discussione#rivalutare#amore#pensieri#lui#dolore#lei#paura#vita#morte#piangere#assenza
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"… E venne il giorno in cui il rischio
di rimanere chiuso in un bocciolo
divenne più doloroso del rischio di sbocciare."
Uno vive così, protetto, in un mondo delicato, e crede di vivere. Poi legge un libro, o fa un viaggio… e scopre che non sta vivendo, che è ibernato.
I sintomi dell’ibernazione sono facili da individuare: primo, inquietudine, secondo (quando l’ibernazione diventa pericolosa e può degenerare nella morte): assenza di piacere. Questo è tutto. Sembra una malattia innocua. Monotonia, noia, morte.
Milioni di uomini vivono in questo modo (o muoiono in questo modo), senza saperlo. Lavorano negli uffici. Guidano una macchina. Fanno picnic con la famiglia. Allevano bambini. Poi interviene una cura "urto", una persona, un libro, una canzone, che li sveglia, salvaguardandoli dalla morte. Alcuni non si svegliano mai.
- Anaïs Nin, Diario Vol. 1: 1931-1934.
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(episodi biblici: Giuda si unisce carnalmente con Tamar, sua nuora)
Genesi 38, 6; da una storia vera. Giuda, figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, dà in sposa la bella Tamar a suo figlio Er, ma Er si rende odioso agli occhi del Signore e il Signore lo fa morire. A questo punto, per la legge del levirato (tutto attaccato), Giuda consegna Tamar al secondogenito Onan, affinché egli abbia un figlio legittimo con lei, che verrà considerato a tutti gli effetti figlio di Er, in sua assenza.
Allora Giuda disse a Onan: "Va' con la moglie di tuo fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello".
Ma Onan, sapendo che la prole non sarebbe stata considerata come sua, disperde per terra il seme alla fine di ogni rapporto.
Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva il seme per terra, per non dare un discendente al fratello.
Ciò che egli fa è male per il Signore e il Signore lo fa morire (sentenza immediata di morte per non aver proceduto a inseminare la cognata). Giuda a questo punto si fa due conti: avanti così e non mi resteranno più figli, meglio far ritornare Tamar dal padre, a Tinma, giusto per precauzione. Passa il tempo e, dopo un grave lutto in famiglia, Giuda si reca a Timna per far tosare le pecore. Tamar viene avvertita: "Guarda che sta arrivando tuo suocero". A questo punto Tamar, visto che il figlio superstite di Giuda, seppur cresciuto e nel pieno delle sue capacità riproduttive, non le era stato concesso per inseminarla e garantirle così il giusto diritto di darle una prole, s'inventa uno stratagemma:
Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili, si coprì con il velo e se lo avvolse intorno, poi si pose a sedere all'ingresso di Enàim, che è sulla strada per Timna.
Giuda vede la graziosa ragazza e la scambia per una prostituta:
Quando Giuda la vide, la prese per una prostituta, perché essa si era coperta la faccia. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: "Lascia che io venga con te!". Non sapeva infatti che era sua nuora. "Lascia che io venga con te!". Tamar risponde: "va bene, ma in cambio che cosa mi dai?". "Un capretto," dice Giuda. "Va bene," dice Tamar, "ma lasciami almeno una caparra". "Va bene," dice Giuda, "cosa vuoi?". "Il tuo sigillo, il tuo cordone e il bastone che hai in mano" dice Tamar. Detto fatto: Giuda le consegna carta d'identità e codice fiscale e si unisce carnalmente alla nuora completamente ignaro della sua identità. Quando Giuda va per consegnarle il capretto, della bella prostituta si sono perse le trecce, per cui domanda in giro: "Avete per caso visto una prostituta?". "Quale prostituta?" Gli rispondono indignati gli abitanti del luogo, "Qui da noi non ci sono prostitute!". Giuda torna quindi a casa un po' perplesso, e senza documenti. Passano tre mesi e qualcuno viene a dire a Giuda che sua nuora si è prostituita ed è rimasta incinta. Indignato, Giuda tuona: "Sia tratta fuori dalla città e bruciata!". Allora Tamar, mentre viene condotta al rogo, dice:
"Io sono incinta dell'uomo a cui appartengono questi oggetti". E aggiunse: "Per favore, verifica di chi siano questo sigillo, questi cordoni e questo bastone".
Giuda li vede ed esclama: porco Giuda! Ma è giusto così, giusto così: non le ho dato il mio ultimo figlio e lei si è servita di me.
Tamar diede alla luce due gemelli: Zerach e Peres, antenati di Gesù, discendente di truffaldina - ma giusta, secondo legge - copula.
[L'incontro di Tamar e Giuda, Tintoretto]
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Ieri a S.Anna di Stazzema molte parole, già sentite mille volte, dai rappresentanti delle istituzioni sul palco. Difficile per loro rinunciare all'occasione di sottolineare l'assenza di un rappresentante del governo. Difficile per noi trovare quale differenza abbia determinato questa assenza nel nulla politico dei discorsi.
Se fosse stato installato un filtro antiretorica al microfono, che avesse cancellato le frasi fatte e i buoni propositi da copertina mai diventati azione politica, il silenzio avrebbe accompagnato la manifestazione. Se avessimo potuto non vedere le persone in divisa e con le armi sul piazzale, lo avremmo svuotato della metà. Una manifestazione militare a commemorare centinaia di vittime di militari.
Avremmo sentito solo marce di guerra accompagnare l'ingresso di gonfaloni. Avremmo sentito una serie di ordini di attenti e riposo, Avremmo sentito ripetere decine di volte la parola onore, un balletto di movimenti agli ordini di una voce stentorea per rendere omaggio a donne, uomini e bambini trucidatə. Alla medaglia d'oro al valor - indovinate - militare (!) conferita al comune di Stazzema si rende onore con un minuto di silenzio. Ma prima avremmo sentito echeggiare la marcetta della Leggenda del Piave. Quella del 24 maggio, quella che "non passa lo straniero", ma nessuno sembra trovare fuori luogo la celebrazione guerriera di una vittoria davanti all'ossario delle vittime di S.Anna. Non eroici fanti, se mai ne sono esistiti: solo donne uomini bambine e bambini. Avremmo sentito un coro di voci bianche, bambinə dai 6 ai 12 anni, cantare l'inno nazionale, bambinə che cantano "siam pronti alla morte" davanti alle ossa delle decine di bambini e bambine uccise dai nazisti. Anna Pardini, la più piccola, nata da venti giorni. Avremmo sentito due volte, rabbrividendo, orrore inedito alla commemorazione, il sorvolo di due jet militari, coordinato da un gruppo radio appositamente preparato all'ingresso del piazzale.
Non siamo stati in silenzio. Abbiamo cantato "Bella ciao" come contrappunto alla Canzone del Piave. Abbiamo ricordato con slogan che la Costituzione ripudia la guerra. Abbiamo gridato forte "Vergogna!" dopo il passaggio dei jet militari. E chi ci era amico ed era sul palco ci ha sentito, forte e chiaro. Ci ha ringraziato. E i suoi ringraziamenti, l'aver cercato di dare una dimensione di umanità a questa orribile esaltazione della guerra sotto mentite spoglie, ci ripagano delle critiche ricevute.
Non siamo noi a mancare di rispetto alla memoria.
Marco Frigerio, Facebook
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Un giorno, la vita chiese:
“Cos'è l'amicizia?".
"Dire le cose come stanno,
senza nascondere la verità",
dichiarò la sincerità.
"Non parlare mai male
di quella persona,
anche quando non c'è",
suggerì la lealtà.
"Rimanere al suo fianco
sia nei momenti belli
che in quelli difficili",
affermò l'affetto.
"Ridere insieme nei momenti di gioia
e piangere al suo fianco nei momenti
di tristezza", disse l'emozione.
"Avvertire il vuoto della sua assenza
quando non c'è
e gioire al suo ritorno",
rifletté la memoria.
"Nutrire la speranza
che sia sempre felice e in salute",
sussurrò il desiderio.
"Sapere di poter contare su di lei
anche quando hai gli occhi chiusi",
commentò la fiducia.
"Saper essere indulgenti
quando è necessario",
disse il perdono.
"Essere disponibili per darle una mano
quando ha bisogno",
sottolineò il sostegno.
"Mantenere la calma
e respirare profondamente
di fronte ai suoi sbagli",
sottolineò la pazienza.
"Non conoscermi affatto",
sospirò il tradimento.
"Stare accanto durante la vita,
accompagnare nella malattia
e condividere le lacrime
nel tormento", ammise la morte.
"Amarsi", disse semplicemente
l'amore.
Tutto questo e molto altro ancora
è l'amicizia...
"La vera amicizia si riconosce
quando il silenzio
diventa un abbraccio
confortevole..."
"Un amico è colui che incoraggia
a dare sempre il meglio di sé."
"Gli amici sono i parenti
che scegliamo."
"Perché l'amicizia fiorisca,
è necessario coltivare rispetto
e sincerità l'uno verso l'altro."
Dal web
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Ti aspetto Ti aspetto e ogni giorno mi spengo poco per volta e ho dimenticato il tuo volto. Mi chiedono se la mia disperazione sia pari alla tua assenza no, è qualcosa di più: è un gesto di morte fissa che non ti so regalare.
Alda Merini, 1931 - 2009.
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L’annullamento della sentenza di primo grado del processo per disastro ambientale “Ambiente svenduto” all’acciaieria Ilva, trasferito da Taranto a Potenza, quali che ne siano le motivazioni formali, equivale a un insabbiamento. Ai vecchi come me ricorda il 1972 quando, approfittando della morte di un uomo perbene qual era Luigi Bianchi d’Espinosa, Procuratore Generale di Milano, il processo per la strage di piazza Fontana fu trasferito a Catanzaro adducendo motivi di ordine pubblico e legittima suspicione. Ci sarebbero voluti 36 anni per arrivare a sentenza definitiva. A Taranto la giustizia si era mossa per tempo e motivi di ordine pubblico non se ne potevano accampare: la città semmai pare tristemente rassegnata alla violenza subita e al sistema di potere che ne ha lubrificato il perpetuarsi. C’è tanta povera gente spinta alla connivenza dal bisogno di qualche soldo pubblico. Ma è bastata l’ipotesi che vi fossero anche dei magistrati in servizio fra le innumerevoli vittime dell’avvelenamento nei quartieri limitrofi allo stabilimento per sostenere che le condanne del 2021 siano state comminate in assenza della “giusta serenità”. Sospesi dunque i risarcimenti previsti per 1.500 parti civili. Prescrizione in vista per gli imputati eccellenti. Un diffuso senso d’impunità che da Taranto si propaga all’Italia intera come pietra tombale, suggello dell’operato di una classe dirigente che dopo le malefatte dei Riva ha fatto ricorso a ogni espediente pur aggirare le ordinanze di sequestro degli impianti, si è consegnata in ostaggio alla multinazionale Mittal, dilapida risorse pubbliche e galleggia di rinvio in rinvio. Sprofonda invece un Paese il cui governo vara una legge apposita per mettere in galera i ragazzi nonviolenti di Ultima Generazione che denunciano il disastro ambientale. Ambiente svenduto? Taranto dimostra che il mercimonio in Italia conviene.
Gad Lerner - Quel senso di malessere che si diffonde a tutta l’Italia
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“ Ricordo che incontrai Moro alla vigilia del suo rapimento. Era sera e, poche ore prima, un importante esponente del Partito comunista mi aveva pregato di comunicare a Moro e a Zaccagnini che il suo partito aveva molte difficoltà a votare il governo Andreotti. Cercai Zaccagnini e non lo trovai, con rammarico perché era con fiducia che mi rivolgevo a lui. Fummo sempre molto vicini, umanamente e politicamente, e lo saremmo stati ancor di più in quei terribili giorni del 1978. Sentivo la trasparenza, la linearità, l’onestà con le quali giocò tutte le carte che poteva avere in mano per salvare l’amico, fino a impegnarsi affinché Moro, una volta liberato, uscisse dalla politica, se questo poteva servire a tenerlo in vita. Infine trovai Moro e gli riferii il messaggio, e la sua replica fu: «Pochi si rendono conto che siamo sull’orlo di un abisso». Visto con il senno di poi, sembra che il suo fosse un giusto timore e un funesto presagio.
Che cosa ricordo ancora di quei terribili giorni? Troppo e troppo poco. Non posso dimenticare il clima pesante, il senso di claustrofobia: le stanze dove ci si riuniva sembravano sempre anguste, non che fossimo più di prima, ma l’angoscia, l’impotenza le occupavano tutte. Angoscia, impotenza, e non solo per quella minaccia che incombeva sul paese, non solo per il dolore per la morte degli uomini della scorta, vittime innocenti, ma perché la tragedia che aveva fatto irruzione nel Palazzo, e pretendeva toni alti, non poteva non confrontarsi con la prosaica quotidianità. E della quotidianità restavano, nel nostro partito, e trasversalmente, seppure in maniera minore, con gli altri partiti, legami politici antichi, consolidate amicizie, che continuavano a intrecciarsi con vecchie incomprensioni, dispute mai sedate, nervosismi senza fine. E al centro di questo «gioco» perverso c’era sempre lui, Aldo Moro, il capo del partito, l’uomo carismatico, che scriveva, che ancora una volta, come era nella sua personalità, continuava a pretendere attenzione. E la cui assenza, più passavano i giorni, più diventava una inquietante presenza, occupava la scena: Moro era il nostro convitato di pietra. I tempi del dramma volevano che il passato fosse azzerato, e che ci confrontassimo con ciò che stava accadendo con occhi nuovi. Ma come pretendere che ciò si realizzasse? Alcuni ne furono capaci. Alcuni. I meno politici. I più umani. Ma le risposte da dare ai brigatisti non dovevano essere risposte politiche? Noi, dopo quei giorni, non saremmo più stati quelli di prima. Dopo l’affare Moro si è aperta una ferita nella nostra intelligenza e nella nostra umanità. “
Tina Anselmi con Anna Vinci, Storia di una passione politica, prefazione di Dacia Maraini, Chiarelettere (Collana Reverse - Pamphlet, documenti, storie), 2023; pp. 89-91.
Nota: Testo originariamente pubblicato da Sperling & Kupfer nel 2006 e nel 2016.
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Uno vive così, protetto, in un mondo delicato, e crede di vivere. Poi legge un libro, o fa un viaggio, scopre che non sta vivendo, che è ibernato. I sintomi dell’ibernazione sono facili da individuare: Primo: inquietudine...assenza di piacere. Questo è tutto.Sembra una malattia innocua. Monotonia, noia, morte. Milioni di uomini vivono in questo modo, o muoiono in questo modo, senza saperlo. Lavorano negli uffici. Guidano una macchina. Fanno picnic con la famiglia. Allevano bambini. Poi interviene una cura “urto”, una persona, un libro, una canzone, che li sveglia, salvandoli dalla morte.
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- manca -
Manca l'amore alla morte che traccia le linee dell'alba, senza memoria, senza assenza manca l'acqua alla quarta foglia del trifoglio, che nel vuoto respira gocce di nebbia. Manca l'amore alla morte che arriva a piedi scalzi una mattina di venerdì, che ci scambiamo il sudore, la voglia e la pelle quando finalmente per un motivo o per sbaglio, - sei felice.
©bruna.b.s
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«Uno vive così, protetto, in un mondo delicato, e crede di vivere. Poi legge un libro (L’amante di Lady Chatterley, per esempio), o fa un viaggio, o parla con Richard, scopre che non sta vivendo, che è ibernato. I sintomi dell’ibernazione sono facili da individuare: primo: inquietudine, secondo (quando l’ibernazione diventa pericolosa e può degenerare nella morte): assenza di piacere. Questo è tutto. Sembra una malattia innocua. Monotonia, noia, morte. Milioni di uomini vivono in questo modo (o muoiono in questo modo), senza saperlo. Lavorano negli uffici. Guidano una macchina. Fanno picnic con la famiglia. Allevano bambini. Poi interviene una cura “urto”, una persona, un libro, una canzone, che li sveglia, salvandoli dalla morte».
Da “I diari”
Anais Nin
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Lascia andare. Guarda il tuo viso e inizia a pregare sorridendo. Impara a perdonarti tutto quello che non hai mai fatto e ricorda, nelle giornate nere :
-che al lavoro non sei insostituibile, ci sarà sempre qualcuno più bravo e più giovane di te, che ha ora diritto al suo tempo e alle sue glorie.
- che affannarti e arrivare a sera sfinita per poi prendere la solita pastiglia per il mal di testa non serve a niente. Sei stata parte del cosmo ma non hai salvato nessuno, ti sei solo accorciata un po’ la vita con lo stress
- impara a zittirti, lo fanno tutti ed è un mondo che lascia decantare tutto. Fermati e non tirare più fuori la tua anima, non esporla al mondo e alla curiosità, matrice di quasi tutto.
- non renderti ridicola, non cercare di essere la ragazza super bella che sei stata, accogli le piccole rughe intorno ai tuoi occhi, sono frutto dei tuoi sorrisi ma anche delle tue lacrime e le lacrime significano che hai vissuto.
- non ingigantire situazioni che si sbloccheranno da sole, niente dipende da te, devi solo fare il tuo dovere cercando di non calpestare nessuno ma che nessuno calpesti te, spostati e ogni azione negativa tornerà al suo mittente.
- non attribuire doti o qualità a persone che hai idealizzato : hai investito loro delle tue buone speranze e se hai aspettative non vergognartene, significa che credi ancora alle cose belle, intanto sorridi per chi le ha già, non sentire mai invidia.
Lascia andare tutto e tutti. Quello che non c’è non era per te : che sia un oggetto, un’amicizia o un amore.
Rimane solo quello che è fatto per te, che ti calza a pennello, non forzare situazioni o persone alla presenza perché solo la morte è la vera assenza, i vivi che ti sono lontani sono come morti viventi che ti circondano ma non sono per te. L’amica lontana, le confidenze regalate, le buone intenzioni non capite : lascia tutto lì. Sotterra in un lembo di terra ogni delusione e aspetta la fioritura della tua consapevolezza quando tornerà la primavera.
Guardati e sorridi. Non credere a dogmi altrui, non farti sporcare dalla omologazione, sii sempre in pace e regala una parola buona a chiunque si sieda accanto a te ma senza sprecare energie o perdere forza. Ricorda sempre quando sei andata a piangere contro il muro della chiesa. Ricorda sempre il silenzio e il freddo intorno. Perdona senza dimenticare.
E quando qualcuno parlerà di te, qualcuno che tu avrai lasciato andare nella vita, fai sempre in modo che pensi :
Sorride ed è una brava persona, mi ha dimenticato e lasciato andare perché è una grande stronza. Niente rimane incompiuto, fluisci e mantieni il tuo carattere , difenditi
dal mare immenso intorno della indifferenza
Tatiana Andena
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Epicuro
Epicuro si può riassumere sbrigativamente nel tetrafarmaco, cioè un elenco di quattro regolette anche piuttosto banali che nelle intenzioni degli epicurei dovevano alleviare i principali dolori della vita.
Contesto: Epicuro è un democriteo, per lui tutto è materia, lo scopo della vita è il piacere, ma non un piacere esagerato, il contrario, il piacere è assenza del dolore, e per evitare il dolore occorre aprirsi ai soli piaceri necessari e fuggire il più possibile quelli superflui. In altre parole, per essere felici bisogna vivere modestamente, godendo del piacere semplice del pane e del formaggio e della compagnia degli amici sinceri ("vivi nascosto", era il motto della sua scuola, cioè lontano dalla tramestio della vita pubblica, e su questo aveva ragione da vendere).
Il tetrafarmaco:
Rimedio contro la paura degli dei e delle punizioni divine: gli dei vivono beati la loro perfezione e non sentono il bisogno di contaminarsi con le vicende degli uomini, per cui non impartiscono né castighi né punizioni:
Paura della morte: quando c'è la morte noi non ci siamo più, quando ci siamo noi, è lei a non esserci (disgregati gli atomi del corpo, annientata anche la percezione);
Mancanza del piacere: a tutti è accessibile il piacere, a patto di seguire l'esatto calcolo epicureo dei piaceri necessari da preferire a quelli superflui;
Dolore fisico: se il dolore è lieve, è sopportabile, se è moderato passa presto, se è acutissimo conduce presto alla morte, che è assenza di dolore. Per il dolore dell'anima rivolgersi alla filosofia e alla parola dei saggi.
Il tetrafarmaco è qualcosa di veramente ingenuo e oltretutto costellato qua e là da astuti sofismi privi di una reale utilità, sta di fatto che a motivo di questo elenco Epicuro è stato un po' superficialmente elevato da un certo pensiero contemporaneo a santino del pensiero laico e materialista, come se laicismo e materialismo fossero di per sé il culmine di un percorso di verità, ingenuità della filosofia da banco.
[traspare qui chiaramente la mia antipatia per Epicuro, che considero essenzialmente un venditore di patacche]
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Al Sindaco di Martina Franca
Egregio Sindaco,
offriamo alla Sua riflessione e a quella del Consiglio Comunale alcune valutazioni sulla figura di Carol Wojtyla alias Giovanni Paolo Secondo.
Nel suo ruolo di Monarca vaticano ha stretto la mano a dittatori crudeli come Pinochet.
Ha dato un supporto senza precedenti all’Opus Dei, una organizzazione che ha dato particolare sostegno alle dittature di destra violente e sanguinrie dell’America Latina.
Ha dato copertura planetaria ai pedofili clericali con la direttiva De Gravioribus.
Ha avviato una campagna di demonizzazione in Africa contro l’uso dei preservativi la cui assenza ha causato la morte per HIV di un numero incalcolabile di persone, compresi bambini.
Ha dato potere assoluto a Paul Marcinkus messo a capo dello IOR nel periodo del crack del Banco Ambrosiano e dell’omicidio di Roberto Calvi, e ne ha negato l’estradizione.
Ciò che emerge dalle inchieste giornalistiche sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, conferma che le coperture su quanto realmente accaduto, furono di tale mole che, a distanza di quaranta anni nessuna inchiesta potrà mai più disvelare come è stata fatta sparire.
Il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi scomparve e nessuno dei suoi cari potrà mai avere il conforto delle sue spoglie, ove fosse stata, presumibilmente uccisa.
Carol Wojtyla all’epoca era il Monarca assoluto del Vaticano e oggi, nella Città che Lei amministra, il suo nome è omaggiato con la intitolazione del palazzetto dello sport, il PalaWojtyla.
Nel quarantesimo anniversario della scomparsa di Emanuela Orlandi in nome del partito che rappresentiamo, Le chiediamo di revocare l’intitolazione a Giovanni Paolo II del palazzetto dello sport.
Alla luce delle già indicate considerazioni, mantenere quella intitolazione è quantomeno imbarazzante.
Cordialità
Carla Corseti
Segretaria nazionale di Democrazia Atea
Giuseppe Ancona
Referente di Democrazia Atea di Martina Franca
ww.democrazia-atea.it
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