#operosa
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ub-sessed · 3 months ago
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Trick or treat! 🎃
You get a knitting Madonna!
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This is a detail from an altarpiece in Bologna by Tommaso da Modena, ca. 1345, which is located in the Pinacoteca Nazionale di Bologna.
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bludichartres · 3 months ago
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abscindere
Da quando ne serbo ricordo di questa stagione la cosa che più amo è il rumore delle foglie secche sotto i piedi. Nel mio paese natio era un continuo scalpiccio con le foglie di acero che segnavano i viali, a mucchi in ogni crocicchio erano un invito irresistibile. Il loro scrosciare, cedere, arrendersi sotto i miei passi era un momento cercato, un salto nel caduco. Forse per questo crescendo ho imparato ad amare i boschi, perché qui, quella sensazione è presente in ogni stagione. Qui, ciò che cade torna ad essere vita, silenziosa, operosa eppure incredibilmente potente.
Stamane il bosco mi ha accolto con l'alba, il cielo ancora grigio che istante dopo istante rubava l'azzurro. Qui è un ottobre sereno, celato sento il richiamo di un nibbio, starà volteggiando nel sole anche lui, pigro senza battito d'ali.
Io siedo poggiando contro un vecchio faggio, come vorrei sentirne il respiro. È immenso e mi ricorda che il tempo per lui è molto più dilatato, e mi ricorda che, stagione dopo stagione, accetta di cedere, lascia che le sue foglie cadano e così dovrei imparare a fare anche io. L'accettazione del cambiamento, di momenti, emozioni, sentimenti che cadono e sedimentano. Dopo tutto anche la perdita nasconde un canto di rinascita.
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vefa321 · 1 year ago
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Sta finendo l'anno, ma io non ho finito...
Sono rimasta indietro appreso alle cose da fare, alla routine didatrice, alla quotidiana e operosa monotonia dei doveri.
Sono qui da qualche parte, chiusa in un corridoio senza vere porte, senza via d'uscita se non quella di rompere i muri...
Sono consapevole dei tanti da fare per stare in equilibrio, per stare sul pezzo come scrivono quelli bravi.
Sono e non sono più, tra il tempo che passa a fare i saltimbanchi, io giocoliere di poche parole in un circo di pallottolieri impazziti, tutti pronti a dare numeri per la tombola della vita mentre la vita si gioca di noi e tiene il banco tirando carte false a più non posso...
Sta finendo l'anno per il tempo che è, io sarò ancora qui, ovunque sia, finire forse non è la chiosa delle cose, finire forse è solo passare ad altro...
J.D
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disorder-alice · 4 months ago
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Anche la Speme
Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
Tutte cose l’obblio nella sua notte;
E una forza operosa le affatica
20Di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
E l’estreme sembianze e le reliquie
Della terra e del ciel traveste il tempo.
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telefonamitra20anni · 2 years ago
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Resto in equilibrio, resto alla finestra.
Sono nato sotto una buona stella del segno della bilancia, sono una "bilancia socialista", che resta sempre in equilibrio tra chi sono e chi voglio essere, senza comprendere veramente questo socialismo astrologico che mi porto dentro. Resto sempre a guardare alla finestra, senza avere il coraggio di agire, ma con il fuoco vero di volerlo fare, avendo le gambe conflittualmente ben inchiodate per terra. Il solo modo in cui ci riesco, è indossando le vesti dell'attore. Quelle vesti mi danno coraggio di agire ma, nella mia vita di uomo, amerei poterlo fare senza timore. Sono insicuro, indeciso, ambiguo, e valgo molto; ma tendo sempre ad avere quell'equilibrio della mediocrità, tanto rassicurante ad altri occhi, meno per me. Sono in lotta eterna, gioco forza resto in equilibrio. Sono la neutralità egoica che ha voglia di raccontarsi, sempre all' operosa ricerca di un orecchio all'ascolto, di un colore deciso, anche nell'abbigliamento, mi nascondo dei rassicuranti beige, nei mezzi toni, ci affogo. Nelle mie scelte di attore quei mezzi toni li ho colorati, con colori accesi. Contrasti decisi per me che, in alcuni casi della vita sono rimasto a guardare. Nei compromessi sono irraggiungibile, atipico per un diplomatico emotivo. Ed ecco l'intrigo, gli uomini del mio tipo, sono coscienti di tutto, perfino della loro incoscienza. Mi chiedo a cosa servirà poi? tutto questo è da infelici. Sono un critico, crudele e sleale del mio essere, non mi piaccio, ma forse infondo, lo accetto. Con il tempo, ho imparato e ho lasciato che gli altri lo apprendessero a loro volta. Accetto perchè voglio distruggere. Sono un uomo di ombre e di luce, resto in equilibrio aspettando un segno. La fortuna non è stata sempre dalla mia parte, ma quando c'è stata l'ho accolta e carismaticamente sfruttata, infondo solo uno stupido darebbe un calcio al proprio destino, quello stupido non potevo essere io. Ecco il mio piccolo graffio. Se il piatto della "bilancia" pendeva, la mia forza contrapposta mi riportava su, un moto continuo e costante nel gioco della mia vita.
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solosepensi · 1 year ago
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All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?
Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l’obblío nella sua notte;
e una forza operosa le affatica
di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
e l’estreme sembianze e le reliquie
della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perché pria del tempo a sé il mortale
invidierà l’illusïon che spento
pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente de’ suoi? Celeste è questa
corrispondenza d’amorosi sensi,
celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l’amico estinto
e l’estinto con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall’insultar de’ nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
e di fiori odorata arbore amica
le ceneri di molli ombre consoli.
Sol chi non lascia eredità d’affetti
poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
fra ‘l compianto de’ templi acherontei,
o ricovrarsi sotto le grandi ale
del perdono d’lddio: ma la sua polve
lascia alle ortiche di deserta gleba
ove né donna innamorata preghi,
né passeggier solingo oda il sospiro
che dal tumulo a noi manda Natura.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
contende. E senza tomba giace il tuo
sacerdote, o Talia, che a te cantando
nel suo povero tetto educò un lauro
con lungo amore, e t’appendea corone;
e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo,
cui solo è dolce il muggito de’ buoi
che dagli antri abdüani e dal Ticino
lo fan d’ozi beato e di vivande.
O bella Musa, ove sei tu? Non sento
spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
fra queste piante ov’io siedo e sospiro
il mio tetto materno. E tu venivi
e sorridevi a lui sotto quel tiglio
ch’or con dimesse frondi va fremendo
perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio
cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
vagolando, ove dorma il sacro capo
del tuo Parini? A lui non ombre pose
tra le sue mura la città, lasciva
d’evirati cantori allettatrice,
non pietra, non parola; e forse l’ossa
col mozzo capo gl’insanguina il ladro
che lasciò sul patibolo i delitti.
Senti raspar fra le macerie e i bronchi
la derelitta cagna ramingando
su le fosse e famelica ululando;
e uscir del teschio, ove fuggia la luna,
l’úpupa, e svolazzar su per le croci
sparse per la funerëa campagna
e l’immonda accusar col luttüoso
singulto i rai di che son pie le stelle
alle obblïate sepolture. Indarno
sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti
non sorge fiore, ove non sia d’umane
lodi onorato e d’amoroso pianto.
Dal dí che nozze e tribunali ed are
diero alle umane belve esser pietose
di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi
all’etere maligno ed alle fere
i miserandi avanzi che Natura
con veci eterne a sensi altri destina.
Testimonianza a’ fasti eran le tombe,
ed are a’ figli; e uscían quindi i responsi
de’ domestici Lari, e fu temuto
su la polve degli avi il giuramento:
religïon che con diversi riti
le virtú patrie e la pietà congiunta
tradussero per lungo ordine d’anni.
Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi
fean pavimento; né agl’incensi avvolto
de’ cadaveri il lezzo i supplicanti
contaminò; né le città fur meste
d’effigïati scheletri: le madri
balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono
nude le braccia su l’amato capo
del lor caro lattante onde nol desti
il gemer lungo di persona morta
chiedente la venal prece agli eredi
dal santuario. Ma cipressi e cedri
di puri effluvi i zefiri impregnando
perenne verde protendean su l’urne
per memoria perenne, e prezïosi
vasi accogliean le lagrime votive.
Rapían gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte,
perché gli occhi dell’uom cercan morendo
il Sole; e tutti l’ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce.
Le fontane versando acque lustrali
amaranti educavano e vïole
su la funebre zolla; e chi sedea
a libar latte o a raccontar sue pene
ai cari estinti, una fragranza intorno
sentía qual d’aura de’ beati Elisi.
Pietosa insania che fa cari gli orti
de’ suburbani avelli alle britanne
vergini, dove le conduce amore
della perduta madre, ove clementi
pregaro i Geni del ritorno al prode
cne tronca fe’ la trïonfata nave
del maggior pino, e si scavò la bara.
Ma ove dorme il furor d’inclite gesta
e sien ministri al vivere civile
l’opulenza e il tremore, inutil pompa
e inaugurate immagini dell’Orco
sorgon cippi e marmorei monumenti.
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,
decoro e mente al bello italo regno,
nelle adulate reggie ha sepoltura
già vivo, e i stemmi unica laude. A noi
morte apparecchi riposato albergo,
ove una volta la fortuna cessi
dalle vendette, e l’amistà raccolga
non di tesori eredità, ma caldi
sensi e di liberal carme l’esempio.
A egregie cose il forte animo accendono
l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra
che le ricetta. Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue;
e l’arca di colui che nuovo Olimpo
alzò in Roma a’ Celesti; e di chi vide
sotto l’etereo padiglion rotarsi
piú mondi, e il Sole irradïarli immoto,
onde all’Anglo che tanta ala vi stese
sgombrò primo le vie del firmamento:
- Te beata, gridai, per le felici
aure pregne di vita, e pe’ lavacri
che da’ suoi gioghi a te versa Apennino!
Lieta dell’aer tuo veste la Luna
di luce limpidissima i tuoi colli
per vendemmia festanti, e le convalli
popolate di case e d’oliveti
mille di fiori al ciel mandano incensi:
e tu prima, Firenze, udivi il carme
che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco,
e tu i cari parenti e l’idïoma
désti a quel dolce di Calliope labbro
che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
d’un velo candidissimo adornando,
rendea nel grembo a Venere Celeste;
ma piú beata che in un tempio accolte
serbi l’itale glorie, uniche forse
da che le mal vietate Alpi e l’alterna
onnipotenza delle umane sorti
armi e sostanze t’ invadeano ed are
e patria e, tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria agli animosi
intelletti rifulga ed all’Italia,
quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi
venne spesso Vittorio ad ispirarsi.
Irato a’ patrii Numi, errava muto
ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo
desïoso mirando; e poi che nullo
vivente aspetto gli molcea la cura,
qui posava l’austero; e avea sul volto
il pallor della morte e la speranza.
Con questi grandi abita eterno: e l’ossa
fremono amor di patria. Ah sí! da quella
religïosa pace un Nume parla:
e nutria contro a’ Persi in Maratona
ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,
la virtú greca e l’ira. Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Felice te che il regno ampio de’ venti,
Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l’antenna
oltre l’isole egèe, d’antichi fatti
certo udisti suonar dell’Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode retèe l’armi d’Achille
sovra l’ossa d’Ajace: a’ generosi
giusta di glorie dispensiera è morte;
né senno astuto né favor di regi
all’Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l’onda incitata dagl’inferni Dei.
E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.
Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de’ fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama. -
Cosí orando moriva. E ne gemea
l’Olimpio: e l’immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.
Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l’amoroso
apprendeva lamento a’ giovinetti.
E dicea sospirando: - Oh se mai d’Argo,
ove al Tidíde e di Läerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.
E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.
Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.
E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.
I Sepolcri-Ugo Foscolo.
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fashionbooksmilano · 2 years ago
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La realtà dell'illusione
Luisa Spinatelli, Stella Casiraghi, Moniafelicia Torchia
Scalpendi, Milano 2021, 368 pagine, 28 x 24,5 cm, rilegato, Ediz. italiana e inglese, ISBN 9788832203738
euro 60,00
email if you want to buy [email protected]
La storia professionale di Luisa Spinatelli è una favola dal sapore antico che racconta avventure e fatiche dell’anima operosa e audace di Milano. Diplomatasi con Tito Varisco in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, debutta giovanissima nel 1965 al Teatro alla Scala con il balletto "Francesca da Rimini" con Carla Fracci e, nel 1976, è la prima donna-scenografo chiamata all’Arena di Verona. Ha lavorato in Italia e all’estero in oltre trecento spettacoli e appartiene a pieno titolo a quella generazione di teatranti artigiani che nel triangolo Brera-Scala-Piccolo Teatro si sono sentiti a casa. Il suo studio-laboratorio che s’affaccia sui Navigli è un incredibile archivio di stili e citazioni visive che si compongono con rigore e fantasia fra pezzi unici di trovarobato teatrale, libri, bozzetti, figurini, manichini, maschere, tempere e cavalletti e numerosi premi internazionali alle pareti. Il volume intende raccontare con la sua voce la vita nel teatro e dietro le quinte di una grande costumista e scenografa milanese legata agli innumerevoli allestimenti scaligeri, alla danza internazionale e al lungo sodalizio con Giorgio Strehler.
09/07/23
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victorianrob · 2 years ago
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Fortuna operosa
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phedre-delunay · 2 years ago
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Sii molto.
Molto gentile con te stessa
Molto dolce quando respiri tra i crampi ed i fiordalisi interiori
Molto attenta quando scendi in grondante cantina deserta a toccare il dolore
Molto delicata quando racconti storie alla tua bella addormentata
Molto lieta quando apri la porticina del tuo cuore
E tenerissima quando attraversi i ponticelli belli su cui si son acquattate le raggomitolate paure.
Sii ardita.
Arditamente generosa tanto dentro quanto fuori
Arditamente premurosa nella cura e negli amori
Arditamente folle nei tuoi rimpettoranti ardori
Arditamente buona quando tocchi a luci spente i tuoi sapori
Arditamente contenta del tuo incarnare il quotidiano in modo
Poeticamente sano.
Sii tanto.
Tanto armoniosa nel movimento di grembo che ti accende alla grazia
Tanto melodiosa
Tanto silenziosa
Tanto operosa
Tanto sposa
Tanto
Davvero tanto sposa
Del tuo essere
Inevitabilmente
Meravigliosa.
*Ste, La Bruja del Viento*
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piece-of-my-heart2 · 20 days ago
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Para onde quer que voltes o olhar, ali está o fim de teus males. Vês aquele local escarpado? Por lá desce à liberdade. Vês aquele mar, aquele rio, aquele poço? A liberdade está assentada em seu fundo. Vês aquela árvore acanhada, ressequida, estéril? Pende dali a liberdade. Vês tua cerviz, teu pescoço, teu coração? São vias de escape da servidão. Mostro-te saídas por demais operosas e que exigem muita coragem e energia? Buscas qual seja o caminho para a liberdade? Qualquer veia em teu corpo.
(Sêneca, em "Sobre a Ira")
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frateclaudio · 2 months ago
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La sorgente paterna
Il Signore Gesù richiama i suoi discepoli alla necessità di un’attesa che sia operosa e fattiva: «Non chiunque mi dice “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). La volontà del Padre, cui la parola del Signore rimanda il cammino personale e intimo di ogni discepolo, non è una realtà che ci sovrasta né tantomeno che ci…
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mynenesan · 4 months ago
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cerentari · 5 months ago
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Valle Padana
Cassiano sapeva che siamo atrio d’Europa preda ambita da Diocleziano. Stanca e sporca quando si vende, Valle Padana umida e operosa come qualcuno vorrebbe ancora lasciar credere. Qui gli uccelli cadono stecchiti, solo i colombi vivono di carità, la cacciagione è sempre meno le vipere sempre più. Aumenta la media giornaliera dei sudari. Il vento asciuga e poi ritorna. La nebbia ha delocalizzato…
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carmenvicinanza · 6 months ago
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Antonietta Raphaël
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Antonietta Raphaël, pittrice e scultrice, è stata un’importantissima rappresentante della Scuola Romana.
Ha avuto una vita intensa, operosa e devota all’arte, mostrando la verità senza illusioni e con grande determinazione.
Ha trasformato la pratica artistica in uno strumento di indagine sul suo mondo interiore, evocando dimensioni oniriche e immaginifiche in cui la figura femminile l’ha fatta da protagonista.
Soprattutto con l’autoritratto, che ha segnato tutta la sua produzione, ha messo al centro il tema dell’identità esplorata attraverso il racconto di sé e del suo mondo.
Nata a Kovno, un piccolo villaggio nei pressi di Vilnius, in Lituania, il 29 luglio probabilmente del 1895, era l’ultima figlia del rabbino Simon e di Katia Horowitz. Nel 1905, dopo la morte del padre, andò a vivere con la madre a Londra, dove si era diplomata in pianoforte alla Royal Academy e si manteneva dando lezioni di solfeggio. Nella seconda metà degli anni Dieci del Novecento, nacque il suo interesse per il disegno.
Alla morte dalla madre, nel 1919, si era trasferita a Parigi e successivamente, a Roma dove, nel 1925, frequentando l’Accademia di Belle Arti, aveva conosciuto Mario Mafai, con cui nacque un fruttuoso sodalizio artistico e una lunga e travagliata storia d’amore che ha portato alla nascita delle figlie Miriam, Simona e Giulia.
Nel 1928 ha realizzato alcuni dei suoi dipinti più noti, come Autoritratto con violino, Mafai che disegna e Simona in fasce, che raffiguravano scene familiari.
L’anno seguente, ha esposto per la prima volta il suo lavoro alla I Mostra del sindacato fascista degli artisti, nel palazzo delle Esposizioni di Roma. È stato in quell’ambito che il gruppo espressionista di cui faceva parte insieme a Mafai, composto da Scipione, Cipriano Efisio Oppo, Amerigo Bartoli, Alberto Ziveri, Arturo Martini, Wanda e Alfredo Biagini, venne battezzato con il nome di Scuola di via Cavour prendendo spunto dall’indirizzo della loro abitazione.
Ancora nel 1929, le sue opere esposte alla Mostra collettiva presso la Casa d’arte Bragaglia e alla Camerata degli artisti nella mostra Otto pittrici e scultrici romane le portarono importanti segnalazioni da parte della critica.
Dal 1930 ha vissuto a Parigi e poi a Londra, tornando definitivamente a Roma alla fine del 1933. Si era, nel frattempo, appassionata alla scultura, il mezzo di cui è diventata un’imponente protagonista nella storia dell’arte.
Il 20 luglio 1935, dopo separazioni e ritrovamenti, ha sposato Mario Mafai che è rimasto l’amore della sua vita, fino alla fine.
Ha esposto alle Mostre del Sindacato dal 1936 al 1938 fino a quando le leggi razziali fasciste costrinsero la famiglia a cercare rifugio prima a Forte dei Marmi e poi a Genova, dove rimase fino alla fine della guerra, conducendo una vita appartata, sostenuta dalla solidarietà e dall’amicizia di importanti collezionisti, come Emilio Jesi e Alberto Della Ragione. Il marito era stato, intanto, arruolato nel 1942.
Nei difficili anni della guerra ha realizzato le sue sculture più mature, tra cui Madre di Alberto Della Ragione (1941), Mafai con il gatto (1942), Busto di Simona (1943) e Mafai con i pennelli (1943).
Dopo tante ristrettezze economiche arrivarono le prime mostre importanti alla Galleria Barbaroux nel 1947 e poi la Quadriennale di Roma nel 1948 e nel 1959 e alla Biennale di Venezia nel 1948 e nel 1950, nel 1952 e nel 1954.
Nel 1956 è stata premiata al Premio Spoleto.
Nel 1960 è stata pubblicata la prima monografia e il Centro Culturale Olivetti le ha dedicato la prima grande retrospettiva sul suo lavoro, con 39 dipinti e 13 sculture, poi trasferita a Torino e a Roma.
Gli anni Sessanta sono stati segnati da tanto lavoro (ancora sculture e grandi dipinti dedicati a temi biblici come Il cantico dei cantici e Le lamentazioni di Giobbe), ma anche dal dolore per la malattia e poi la morte del marito, nel 1965. Sul filo della memoria ha dipinto, l’anno seguente la tela Omaggio a Mafai.
Nel 1967 un ampio nucleo delle sue opere realizzate tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta venne presentato nella mostra Arte moderna in Italia 1915-1935 a palazzo Strozzi a Firenze.
Alla fine del decennio, grazie al successo crescente delle sue mostre, è riuscita a portare a compimento la fusione in bronzo di tutta la sua produzione plastica.
Nel 1970 venne selezionata dalla Quadriennale di Roma per la mostra Scultori italiani contemporanei. 
Si è dedicata con passione anche alla litografia mentre continuava ad affrontare, con l’energia straordinaria che ha caratterizzato tutta la sua vita, le ultime due grandi tele, forse le più gioiose di tutte la sua produzione: Omaggio a Picasso e Grande Concerto sul Lago di Vico.
È morta a Roma il 5 settembre 1975 lasciando una traccia indelebile nella storia artistica del nostro paese.
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nexisis · 8 months ago
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Con profondo rammarico e indignazione, ci troviamo di fronte all'ennesima tragedia che ha colpito una delle fasce più vulnerabili della nostra società: i lavoratori immigrati costretti a operare in condizioni di sfruttamento e disumanità. L'ultima morte, causata da queste circostanze inaccettabili, è un grido disperato che richiede la nostra attenzione, il nostro intervento e la nostra compassione.
Il lavoro nero, praticato a danno di chi cerca una vita migliore lontano dalla propria patria, è una piaga che mina i fondamenti della nostra civiltà. Esso non solo viola i diritti umani, ma disumanizza gli individui, riducendoli a meri strumenti di profitto. Questa situazione è una chiara offesa alla dignità della persona umana, principio cardine tanto della nostra fede quanto della nostra società.
Richiamo con fervore la classe politica a non rimanere sorda e cieca di fronte a tale ingiustizia. È imperativo che vengano adottate misure concrete per combattere il lavoro nero e garantire condizioni di lavoro dignitose e sicure per tutti, indipendentemente dalla loro origine. Non possiamo più tollerare la complicità silenziosa che avvalla queste pratiche disumane.
Mi rivolgo anche alla Chiesa, madre e guida spirituale, affinché rinnovi con vigore il suo impegno a favore degli ultimi e dei più deboli. Che sia voce di denuncia contro ogni forma di sfruttamento e testimone di una carità operosa e concreta.
Infine, esorto ogni cittadino a riflettere sulla propria responsabilità morale. Non possiamo rimanere indifferenti di fronte al dolore e alla sofferenza di chi vive ai margini. Siamo tutti chiamati a costruire una società più giusta e fraterna, dove nessuno sia lasciato indietro.
Che questo tragico episodio ci scuota e ci sproni ad agire con determinazione per un cambiamento reale. Non dimentichiamo mai che il grado di civiltà di una società si misura dal modo in cui tratta i suoi membri più vulnerabili.
Con dolore e speranza,
Rosaria
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cristianemagalhaes · 9 months ago
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A primavera da pontuação – Vitor Ramil
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Uma belíssima surpresa!!! Um livro delicioso de se ler, feito com inventividade, conhecimento e humor, pontuando acontecimentos históricos de forma lúdica e não deixando de fazer suas críticas, muito pertinentes. Ambientada na cidade de Ponto Alegre, essa fábula crítica é imperdível!
“Os pontos e vírgulas estão sendo conduzidos a uma aposentadoria forçada. As exclamações, ao contrário, vêm sendo empregadas em excesso, o que anula seu efeito e as desvaloriza. Banalizadas pelo uso inadequado, deixam de ocupar posições importantes e significativas. Passa algo parecido com as reticências...”
“.. alugara uma nova casa para eles, do outro lado da cidade, uma casa grande o suficiente para servir de moradia e de sede da Igreja do Caminho, cujo registro legal já fora providenciado pela operosa Palavra-ônibus. Aliás, a facilidade para abrir uma igreja a impressionara: poucas horas e alguns trocados haviam bastado. Considerando todas as vantagens posteriores, pareceu-lhe que aquele era um negócio do céu mesmo, mais do que da China...”
“... Mesóclise deu um pulo da cadeira e se pôs de pé. “Sentar-te-ás primeiro, por favor”, ele acrescentou, num misto de superioridade autoritária e cavalheirismo sedutor. Ela se sentou tão rapidamente quanto se levantara.  Esse sentou tão rapidamente quanto se levantara. “Como já fiz em outras oportunidades, dir-te-ei o que sei, e alegrar-te-ás”..”
“...a alguns metros dali, no estacionamento aberto do Pontocentro, dentro de um Puma cinza-metálico, Vladimir cuidava dos últimos preparativos para o atentado que poderia mudar a história do país. Parecia tudo certo, a fiação, o detonador, os pacotes de pó amarelo espalhados pelo corpo franzino...”
“... O fato é que ninguém mais confiava em ninguém. O pior de cada cidadão parecia ter aflorado. As manifestações da pontuação, que haviam deflagrado o caos social, agora o potencializavam, na medida em que tornavam difícil, quase inviável, a prática daquilo de que a sociedade mais necessitava: o diálogo.”
“Duas quadras para lá dos muros da propriedade de Carlos Alexandrino, em frente à casinha que camuflava a saída da passagem secreta, o automóvel de Grego e Latino, sem sair do lugar, soltava estampidos ao ser acelerado Houaiss, Houaiss, pó, pó, pó, pó, bum, Houaiss, ...”
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