#ogni tanto pure a noi un po' di cose buone
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lesbian-steppenwolf · 4 months ago
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ti prego ti prego ti prego ti pregooooooo
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nellamentedie · 19 days ago
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Quella volta che... 1/2
Come vi avevo promesso vorrei portare con questo prossimo post qualcosa di realmente accaduto. In realtà all'inizio pensavo tipo ad una specie di serie, magari con post collegati da un filo comune ma ancora non ne sono sicura.
Ad ogni modo, per capire meglio quello che state per leggere urge, al solito, un po' di contesto. Fino ad un anno fa, quasi due ormai, convivevo con un ragazzo con cui ero fidanzata da diversi anni. Non era la relazione più sana del mondo ma al tempo era ciò che cercavo e tanto vi serve sapere. Inevitabilmente finivo col frequentare la sua cerchia di amicizie, si facevano pranzi/cene a casa di gente si andava a qualche evento insomma le cose che si fanno di solito tra amici. In questo gruppo di amicizie ho avuto modo di conoscere D. che ci provava sempre in modo sfacciato ed innocente con me. Sto parlando di una cosa quasi caricaturale, tant'è che non c'ho mai dato peso ed anzi avevamo un buon rapporto. Mi riferisco a quel tipo di amicizia che porta a conversazioni del tipo: "Che regalo vuoi per il compleanno?" "Palparti le tette" Erano toni molto scherzosi che avevano solo un retrogusto di malizia. Bene o male questo tipo di rapporto che avevo con D. non ha mai dato fastidio al mio ex, A., nonostante fosse una persona parecchio gelosa e possessiva sembrava non gli importasse; dico sembrava ma il perchè magari lo approfondiamo dopo.
Volevo quindi raccontarvi di quella volta che eravamo al termine di una di queste giornate di gruppo, avevamo fatto un pranzo enorme tutti quanti a casa del mio ex e al termine della giornata eravamo rimasti noi tre. D., da persona gentile quale è, se ne andava sempre per ultimo aiutando a risistemare le cose, lavare stoviglie pulire tavoli e via dicendo. Quella sera c'era una partita di non ricordo cosa alla tv e A. offrì a D. di rimanere per guardarla assieme e fermarsi per la cena visto gli avanzi. Eravamo quindi tutti e tre in soggiorno io sul divano insieme ad A. mentre D. sulla ponga (io la chiamo ponga la poltrona dell'ikea); loro due a guardare la tv io a leggere uno dei miei libri quando, dal nulla, il mio ex si rivolse a D. "Ti piace proprio E. " (che poi sarei io :D)
Loro due erano amici da diversi anni, penso già dalle scuole superiori se non dalle medie, però la domanda lo spiazzò chiaramente. Quando alzai gli occhi dal mio libro lo vidi rosso di vergogna in viso che cercava di sdrammatizzare: "Si ma non come pensi", "Non ti voglio mica rubare la tipa" e tutte cose così. Il mio ex rispose qualcosa riguardo il fatto che ogni tanto buttasse l'occhio su di me, sulle mie gambe scoperte (avevo degli shorts) e altre cavolate che chi si ricorda più. Il tono di A. non era arrabbiato o serio, questo lo ricordo abbastanza chiaramente, anzi era a mezza via tra il divertito e il dispettoso. Tipo quando un tuo amico ha fatto una figura di merda colossale e ti diverti a ricordagliela ogni volta che lo vedi. Poi la voce di A. si fece seria come se si trattasse di una delle questioni più importanti al mondo: "Le piace pure ingoiare"
A quel punto volevo solo sotterrarmi dalla vergogna. Certo ogni tanto nelle bevute in compagnia magari con qualche gioco alcolico saltavano fuori altarini e confessioni ma questa era decisamente un'altra cosa. Anche D. era ancora più spiazzato di prima non sapeva come reagire era come se avesse perso tutto il suo carisma. Io non capivo dove A. stesse cercando di andare a parare con questa conversazione, ma poi si girò verso di me e mi disse: "Vieni, fagli vedere" Ve l'ho detto la nostra non era proprio una delle relazioni più salutari del mondo, anzi secondo alcuni per certi aspetti era pure tossica. L'idea di essere completamente sottomessa ad una persona però mi eccitava da sempre e diciamo che con lui questa cosa veniva elevata alla massima potenza.
Se quindi lui mi diceva una determinata sera prima di uscire: "Stasera tieniti la camicia un po' sbottonata senza reggiseno. Vediamo quanti si girano" io ero contenta di ubbidire, mi sentivo totalmente sua. Questo nostro rapporto si rifletteva in tantissime cose e tantissime situazioni comunque, non solo nel vestiario di un sabato sera. Tra queste situazioni, appunto, c'era anche un pompino davanti ad un suo amico.
Mi alzai dal divano e mi inginocchiai di fronte a lui sul tappeto, il mio cuore batteva a mille: "Sicuro?" gli dissi, lui per risposta si abbassò i pantaloni e le mutande. Adoravo il cazzo del mio ex, non perchè avesse dimensioni da record o chissà che altro era semplicemente un bel cazzo. Era circonciso, abbastanza dritto e ben proporzionato. Era quello che si definirebbe uno "shower" o almeno così me l'hanno spiegata. Ovvero quegli uomini che anche da moscio hanno comunque il cazzo "grande" e quando poi va in erezione diventa semplicemente duro ma le dimensioni non aumentano di molto. Al contrario di quelli che magari da moscio hanno un pene minuscolo e poi diventa gigante una volta che va in erezione. Ad ogni modo lo adoravo, le sensazione di averlo in mano il peso che aveva le venature quando diventava duro.
Era lì col cazzo all'aria, moscio, e le palle rilassate. Mi chinai in avanti, gli presi il cazzo in mano, lo sollevai e gli baciai le palle. Con la mano cominciai a fargli una sega mentre prendevo in bocca una palla e la coccolavo con la lingua. Il suo cazzo stava diventando duro, potevo sentire le vene gonfiarsi lungo l'asta che si irrigidiva sempre di più. Alzai la testa e guardai D., sembrava incantato, poi guardai A. lui invece sorrideva. Tornai al pezzo forte, strofinai il viso prima sulle palle poi a salire lungo tutto il cazzo. Me lo feci scorrere sulla faccia e mi inebriavo di quel profumo. Era tutto duro, in tiro, appoggiai le labbra sulla punta e feci scivolare un po' di bava. Poi cominciai con la lingua a spalmarla lungo tutto il cazzo, la raccoglievo dal basso e poi a salire . Lo presi in bocca, feci entrare la punta facendola passare tra le labbra socchiuse, la sentii toccarmi il palato e continuai farlo entrare finchè non era quasi tutto dentro, all'entrata della gola. Adoravo averlo in bocca, così duro e caldo ma ancora di più adoravo sentirlo scivolare dentro e fuori; anche se non sono d'accordo con la definizione qualcuno direbbe "farsi scopare la bocca", ma nella mia testa scopare significa essere irruenti, metterci foga..no la sensazione che adoro io è quella di un cazzo che si fa strada piano tra le labbra e sulla lingua.
Buttai un'altra occhiata a D., lui mi fissava e gli feci vedere come lo leccavo, come riuscivo a farlo entrare (quasi) tutto in gola. Gli feci sentire tutti i rumori di risucchio, gli schiocchi con la bocca. Lui aveva ancora i pantaloni, ma ogni tanto si sistemava il pacco, non servivano i raggi X per vedere che aveva il cazzo gonfio che non aspettava altro se non uscire dai pantaloni.
Continuai così finché non venne. Mi prese la testa e la tenne ferma. Sentii il suo cazzo esplodere in bocca, schizzò contro il palato e poi mi riempì la bocca; dopo il primo schizzo i successivi uscirono con meno spinta scendendo direttamente dalla sua cappella alla mia lingua. Venne un sacco, più del solito, ma per fortuna il suo sperma non era particolarmente viscido anzi era piuttosto liquido. Ingoiai tutto e mi girai verso D. facendogli vedere che in bocca non avevo più nulla. Lui era ancora imbambolato, sapevo che quella sera si sarebbe ammazzato di seghe rivivendo le scene di me che succhio un cazzo e quest'idea non mi dispiaceva anzi, un po' mi eccitava.
"Te l'avevo detto no? Noi continuiamo in camera, se vuoi continuare a guardare sennò ci vediamo alla prossima" disse A. mentre si alzava.
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jobin-speedking · 3 months ago
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Cap. Precedente: Cap. 3-1
#3-2_takatomo_miyuki/ le voci irragionevoli che ho raccolto
"Cos'è successo oggi?" mi chiede mia madre. Prima era mio padre a chiedermelo ogni giorno. È stata un’abitudine fin da quando ero piccola. Da così tanto tempo che non riesco a ricordare. Da quando sono diventata una studentessa delle scuole medie, “Normale” ho iniziato a rispondere così.
“Normale, quindi” dice la mamma, insoddisfatta. “C’è stato qualcosa di buono o che ti ha dato fastidio?”
A volte va bene, a volte va male, ma, incluso questo, è tutto normale?
La mia vita di tutti i giorni di solito è così.
“Allora, oggi è stata una bella giornata per te, Miyu?” cerca di confermare mia madre.
È una seccatura, ma “È stata una bella giornata” rispondo.
Però, da quando?
Ogni volta che dalla mia bocca esce la frase ‘È stata una bella giornata’, mi sento il petto pesante e non riesco a respirare correttamente.
Perché non è stata affatto una bella giornata.
Da quando è diventato così?
La prima volta che ho sentito che qualcosa non andava—
Giusto.
“Hey, stai per caso tenendo in mano per sbaglio la mia matita meccanica?” e quando Nagisa lo disse, eh, ricordo di aver pensato questo. Frequentavo la stessa classe di Murahama Nagisa durante il nostro primo anno e siamo rimaste buone amiche dal secondo anno. Ho controllato il banco, l’astuccio e da altre parti, ma non sono riuscita a trovare la matita meccanica di Nagisa. “Quella, mi piaceva pure……” mentre Nagisa diceva qualcosa del genere, provai un senso di disagio e non sembrava essere convinta.
Dopo, noi abbiamo iniziato a diventare un po’ distaccate.
Stavo spesso insieme a Nagisa, Shimomaeda Yoriko e Kon Chiami. A essere sinceri, stavamo insieme abbastanza spesso. Non sono brava nelle attività di gruppo. Cos’è questa atmosfera in cui ti senti sempre come se dovessi stare in un certo gruppo? Mi sento soffocare. Se ci sono persone esterne al gruppo con cui vado d’accordo o che trovo interessanti, voglio poter parlare normalmente con loro. Lo facevo parecchio.
Dall’incidente della matita meccanica, Nagisa è diventata nervosa. Non era quel tipo di ragazza. Sentiva uno strano formicolio e non si sentiva bene la mattina. Andava in infermeria. Yoriko e Chiami erano piuttosto preoccupate per Nagisa. Anche io, certo, di essere preoccupata ero preoccupata. Ma non volevo dirlo troppo. Tutti abbiamo brutte giornate o brutti momenti. Non sarebbe meglio lasciar perdere invece di essere eccessivamente preoccupati o cercare di imporre la propria gentilezza a qualcuno?
Infatti, dopo un po’ Nagisa tornò ad essere la solita Nagisa. Nagisa.
Successivamente, fu Yoriko a iniziare a irritarsi.
Conosco Yoriko dal secondo anno e non abbiamo un gran rapporto. A quanto pare Yoriko è Nagisa sono andate insieme all’asilo e alle elementari. Nagisa scherzosamente “Migliori amiche, possiamo definirci migliori amiche?” disse. Però, non vado molto d’accordo con Yoriko. Non è che la odi, ma non mi piace poi così tanto. Qualcosa del genere, no? Yoriko può essere dura con le sue parole. A volte mi fa paura.
“Hey, sul serio, non c’è. Miii sono dimenticata di nuovo. Sta roba è strana, eeeh. Me lo dimentico così spesso? Non lo dimentico troppo spesso, vero?” e molte volte ho visto Yoriko frugare nel suo banco facendo schioccare la lingua. “Aspe, sul serio, mica mi è stato fottuto? Qualcuno me l’ha fottuto. Potrei non averlo manco a casa. Sul serio non riesco a ridere. Beh, effettivamente, perdo spesso le cose a casa. Anche questo è vero. Ma non è divertente. La mamma si arrabbierà di nuovo con me. Che shock……”
Nagisa e Chiami stavano ridendo e calmando Yoriko, ma non volevo avvicinarmi troppo a lei. Yoriko è una persona disordinata, e spesso dimentica le cose. Dire che qualcuno lo aveva rubato, o qualcosa del genere. Anche se era solo un impulso del momento, ci sono cose buone e cose cattive da dire. Non è uno scherzo.
Però, che qualcosa fosse strano……lo pensavo anche io. Yoriko era pallida. Anche la sua pelle era molto ruvida. Gli faceva male lo stomaco e non usciva dal bagno. A volte lasciava prima scuola.
Era strano……non trovate?
In un qualche modo. Ma lo sapevo. Era strano.
Perché, qualunque cosa accadesse, Chiami rimaneva quella di sempre.
Chiami era allegra ogni giorno, sia di mattina, sia durante le pause, sia durante il pranzo e sia dopo la scuola, chiama sempre Nagisa e Yoriko e parla di qualcosa—Beh, c’ero anche io—ride copiosamente, ci messaggia spesso, e se non rispondiamo, il giorno dopo “Eeeh, perché non mi hai rispostooo?” o qualcosa del genere, e non è che si arrabbi, ma è un po’ pressante.
Odiarla……non è così. Non penso sia una cattiva ragazza. È un po’ difficile quando siamo insieme. Chiami è una buona amica di Nagisa, quindi andavamo d’accordo. Nagisa e io eravamo amiche già da prima. Se così non fosse stato non sarei diventata amica di Chiami.
Non penso che Chiami sia una cattiva ragazza.
Che si tratti di Nagisa, di Yoriko o di me, quando succede qualcosa, Chiami è la prima ad accorgersene. Direi che ha occhio. O meglio, è gentile, pensavo.
“Puoi dirmi qualsiasi cosa” era la frase preferita di Chiami. Tuttavia, per me, dire questo genere di cose, è un po’ pesante. Lo dirò se vorrò dirlo. Se non lo dico significa che non voglio dirlo, quindi vorrei che mi lasciassi in pace.
Sia Nagisa che Yoriko sono costantemente esposte agli attacchi “Puoi dirmi qualsiasi cosa” di Chiami……Non è fastidioso?
Però, dopotutto loro due avrebbero anche “potuto dire qualsiasi cosa” a Chiami. A differenza mia.
Ero io quella che non riusciva a dire nulla.
Il mio smartphone non c’è più. Me lo aveva passato la mamma. Un vecchio iPhone. Stamattina a scuola, una volta, ho controllato le previsioni del tempo e i messaggi. Poi lo avevo messo nella borsa. Ho provato a guardarlo durante la pausa pranzo, ma non c’era. Ero nervosa. Non è possibile non sia qui. Mentre lo cercavo, “Che succede?” Chiami mi ha chiamata. “Ah, non è niente” ho risposto. “Sì?” Chiami non sembrava convinta, come se lo sapesse. Che il mio iPhone non c’è più.
Poi Chiami ha detto la sua solita frase.
“Puoi dirmi qualsiasi cosa”
Non sono riuscita a trovare il mio iPhone. Quando l’ho detto a mia madre, lei mi ha detto che l’iPhone ha una funzione che tiene traccia delle informazioni sulla posizione, quindi abbiamo provato a trovarlo usando quella. Tuttavia, non siamo riuscite a trovarlo perché non era acceso.
La mamma ha provato a contattare la scuola. Non volevo diventasse un grosso problema, quindi l’ho fermata.
“Starai senza smartphone per un po’. Ti va bene così?” mi ha detto la mamma.
Ho fatto la dura. “Va tutto bene”
L’iPhone è stato l’inizio.
Ogni pochi giorni, le cose intorno a me sparivano.
La gomma da cancellare, il notebook—la matita meccanica.
Non riuscivo a dirlo a nessuno. Né a Nagisa, né a Yoriko, né tantomeno a Chiami.
Ho anche altri buoni amici. A volte parlo con Kihomi, che è molto bella e simpatica, Kuze-san, che è intelligente, molto informata e mi insegna molte cose, e Rindou Takaya, che dice di voler diventare un comico, è davvero interessante. Masamune, che è una persona dal buon carattere, si era dichiarato a me, dato che aveva mal interpretato il fatto che al primo anno parlavamo molto. L’ho rifiutato con un nodo alla gola, ma adesso, anche se mi si avvicina, rispondo normalmente. Anche Shiratama-san frequentava la mia stessa classe dal primo anno, solo guardarla è una gioia per gli occhi, e a volte mi parla anche se non ha niente da fare. Ci sono molte persone con cui parlare.
Però, non riuscivo a dirlo.
Quando il mio sacchetto è scomparso, ho quasi fatto storie. Quel sacchetto conteneva cose per quel periodo del mese*. Sono nei guai senza. Non solo nei guai. Cosa dovrei fare? Dovrei chiedere a qualcuna di prestarmeli? È impossibile. Non ho altra scelta che andare in infermeria.
*Espresso con un modo di dire che si può tradurre letteralmente come "Per gli occhi della ragazza"
Il giorno in cui ho perso il sacchetto per la seconda volta, improvvisamente ci ho pensato. Forse anche per Yoriko era lo stesso. Yoriko era su tutte le furie*. È spaventoso rimanere senza prodotti sanitari. Chiedo a Yoriko? O è troppo tardi adesso? Inoltre, Yoriko sicuramente “dirà qualsiasi cosa” a Chiami. Sarebbe brutto se lo raccontasse a Chiami.
*Espresso con un modo di dire che si può tradurre letteralmente come "Aveva l'aspetto di un demone"
Avevo dei dubbi. Non è mica Chiami? Non è mica Chiami quella che ruba? Ha rubato le mie cose e le ha furtivamente nascoste da qualche parte. —Per quale ragione?
Voglio dire, come potrebbe mai farlo? Anche se potrebbe non essere impossibile quando si tratta di aule mobili. Io sto anche attenta. Ho iniziato ad allontanarmi da Chiami più di prima. Tuttavia, Nagisa, Yoriko, Chiami ed io, siamo spesso solo noi quattro. Sto controllando Chiami.
Chiami, probabilmente, non rubava. Non era opera di Chiami. Non c'è motivo di farlo. Chiami non è una cattiva ragazza. Sono sospettosa di una mia amica, di Chiami……Sono io quella strana?
Tuttavia, è vero che mancano le cose.
Quando Masamune mi ha chiesto “Cosa c'è che non va?”, mi sono arrabbiata. “Eh? Che cosa?”
È stato dopo. Stavo camminando da sola nel corridoio della scuola, quando ho sentito una voce.
(È strana, eh?)
Chi?
Ero da sola. Non c'era nessuno in giro. Sentivo le voci*? O è solo colpa della mia immaginazione?
*Espresso con un modo di dire che si può tradurre letteralmente come "Orecchie vuote"
(È strana)
L'ho sentito con le mie orecchie. Una lieve voce. Era un sussurro. Non ho potuto fare a meno “Chi è?” di chiederlo. Mi chiedevo se ci fosse qualcuno in giro. Alla fine non c'era nessuno. Nessuno nelle vicinanze.
Qualcuno ride in lontananza. Masamune stava facendo ridere i nostri compagni di classe davanti alla terza classe del secondo anno.
“……Chi?”
Chi lo aveva detto?
(Sei tu)
Anche se mi copro le orecchie, (Tu sei strana) una voce dice questo. Cos'è, questa voce? Chi è? Non voglio sentirla. Anche se non c'è nessuno qui. Anche se sono da sola.
“Chi sta parlando? Chi? Tu? Io? Chi? Cos'è, questa……”
Sto correndo per il corridoio. Sono corsa in bagno e sono entrata in una stanza privata. Ho chiuso la porta a chiave e ho fatto scorrere l'acqua anche se non lo avevo usato. Non la sento. Non dovrei riuscire a sentirla. Non riesco a sentire nessuna voce. Guarda. Non la sento. Non riesco a sentire niente. In quel momento non riuscivo più a sentirla.
In quel momento.
Quando ho provato a cambiarmi le scarpe nell'armadietto delle scarpe, solo una delle mie scarpe mancava. Ancora una volta, pensai. (Non è strano?) disse la voce. È strano? Lo pensai anche io. Forse sono impazzita. (È proprio così) disse la voce.
(Sei strana)
Nessuno era colpevole. È solo colpa mia. Io ero la colpevole. Perché sento una voce che non dovrebbe sentirsi. (Sei strana) disse la voce. Questo è strano. Io sono strana. Ero diventata strana. Sono strana? Mi sbaglio?
Non è una bugia. Scomparivano davvero. Stavo perdendo la mia roba. Qualcuno lo stava facendo. Chi lo stava facendo? Non so chi, ma qualcuno. (Non sarà perché sei diventata strana?) disse la voce.
(Perché sei strana) “Strana” (È colpa tua) “Colpa mia?”
Chi stava parlando?
Questa voce?
Chi?
(La cattiva qui—)
Mi sussurrò all'orecchio.
“Sono io?”
Era mia, quella voce?
“—Sono io”
“È colpa mia……?”
Sono stanca. Però non riesco a dirlo a nessuno. Quando abbasso la guarda, Chiami "Puoi dirmi qualsiasi cosa" mi chiama e mi dice questo. Non posso assolutamente dirlo. Io dico “Grazie” o “Sì” o “Certo”, a seconda dei casi. Per colpa sua sono ancora più stanca.
Non ce la faccio.
Sono già al limite.
Quando mi succede qualcosa di brutto vado sempre in un posto alto. Il mio posto preferito era il tetto dell'appartamento in cui vivevo prima di trasferirmi. Oppure il tetto del department store davanti alla stazione. Mi piace anche la ruota panoramica. La ruota panoramica del parco divertimenti dove andavo durante le vacanze estive quando ero alle elementari. Quando ne ho parlato a scuola, Masamune ha detto "Eeh, io ho paura delle altezze" tutto spaventato. Di cosa abbia paura, io non lo so. Quante volte sarò stata da sola sul tetto del department store? Anche se guardo attraverso le fessure del recinto, non ho affatto paura. Eppure non riesco a trovare il coraggio di scavalcare la recinzione. Quando qualcuno mi vede, deve pensare io sia strana. Forse mi vorrebbero fermare. Tacete. Tacete. Tacete. Voglio solo sentirmi a mio agio.
Ero nel mezzo della lezione. Non sentivo la voce. Ero tranquilla. Era tutto tranquillo. L’insegnante stava dicendo qualcosa. Però, era tutto tranquillo. Era così tranquillo che mi sentivo a disagio. Ho frugato nella scrivania. Era solo in momenti come questo che perdevo le cose. Qualcosa ha toccato la punta delle mie dita. Era duro. L’ho afferrato. Delle chiavi? Quando l’ho preso dalla scrivania, infatti, erano delle chiavi. Sulla targhetta della chiave, tetto, c’era scritto.
Cosa sono, queste? Le chiavi del tetto? Perché c’è qualcosa del genere, qui? All'interno del mio banco?
Il tetto. A me piacciono i posti alti. Chiavi. Il tetto è chiuso. Lo sapevo. Una volta ho detto a un amico che sarei voluta salire sul tetto. Una volta provai a salire. Tuttavia, l’ingresso del tetto era chiuso a chiave. Chiavi. Le chiavi del detto sono qui.
Mi sono alzata. Giusto, ho pensato.
“Hm? Che succede, Takatomo? —Takatomo……?”
L’insegnante sta dicendo qualcosa. Non importa. Posso andare. Mi stava dicendo di andare. Devo andare.
“Takatomo-san”
Un’altra voce mi chiama. Mi chiedo di chi sia quella voce. Shiratama-san. Shiratama-san si sta avvicinando. Mi sento come se stessi per vacillare.
“Non-Non venire!”
Non appena ho urlato, si sono sentite molte voci. Tacete. Smettetela. Mi sono tenuta la testa tra le mani. Le voci non smettevano di parlare.
“Non ce la faccio più……!”
Devo scappare. Se non scappo da qui, crollerò. Forse sono già crollata. Forse sono crollata molto tempo fa. Non voglio sentirmi come se stessi crollando. Sono scappata via. La verità è che sto scappando da molto tempo.
Ho preso le chiavi del tetto e mi sono recata ovunque. Quando stavo per essere trovata, sono corsa via. Mi sono nascosta nel bagno o anche nel ripostiglio degli attrezzi sotto le scale. Ero irrequieta. Sapevo cosa fare. Se è così, lo farò e basta.
Quindi l’ho fatto.
Ho salito le scale, ho inserito la chiave del tetto nella serratura e l’ho girata. La porta si è aperta, finalmente sono dove dovrei essere. Il vento mi dà una bella sensazione. Sono molto felice di poterlo sentire, una bella sensazione. Mi viene da piangere.
Ho fatto un respiro profondo e ho camminato da un angolo all’altro del tetto. C’è un basso muro rialzato sul bordo. Ci sono salita sopra e, una volta, mi sono affacciata.
“Cos’è successo oggi?” è come se mia madre me lo stesse chiedendo. Non posso rispondere. Poi la mamma chiede: “Oggi è stata una bella giornata per te, Miyu?”
“Per niente”
Ho scosso la testa
“Non è stata una bella giornata. Scusa, mamma”
Scusami se ho detto così tante bugie. Non sono una brava ragazza, scusami. Devo chiedere scusa anche a papà. Voglio scusarmi anche con Shiratama-san. Ha provato a fermarmi. Scusa.
Quando ho guardato il giardino sottostante, c’erano delle persone. Sono Otogiri-kun, della mia stessa classe, e il custode Haizaki-san.
Di qualunque cosa. Non ne posso più.
Mi sono sporta in avanti. Non era spaventoso. Però è una bugia. Ho chiuso gli occhi, perché in realtà avevo un po’ paura. Si sentì subito un forte rumore.
Cap. Successivo: Cap. 3-3
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elenascrive · 3 years ago
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Caro Joker,
oggi torno a scriverti e so già che Ti aspettavi che lo facessi, considerata la giornata particolare. Oggi infatti non è un Giorno qualunque; è il 6 Giugno, la data che Ti ha visto venire al Mondo 9 anni orsono. È il Tuo Compleanno ed Io non posso non tenerne conto. Anche se non sei più con Me fisicamente, il Mio Cuore Ti sta già festeggiando e queste Mie modeste Parole vogliono essere il Mio Regalo. Da quel dannato 5 gennaio 2021, non hai mai smesso di starmi accanto, manifestandomi la Tua Presenza affettuosa e continua attraverso ogni cosa Ti venisse alla mente, con ogni mezzo possibile ed immaginabile dunque, soprattutto nei momenti di difficoltà quando la Tua mancanza è ancora più straziante. Proprio come hai fatto ultimamente, quando mi hai vista parecchio insofferente a causa di quelle brutte ingiustizie che Tu conosci bene. Così hai fatto sì di venirmi a trovare in una notte apparentemente normale, mentre stavo dormendo agitata e smarrita, facendo capolino in un Sogno che è finito con il diventare d’oro, calmandomi di colpo. Era da tanto che non accadeva che venissi a trovarmi, da più di un anno, subito dopo che Te ne sei andato. È stato fantastico rivederti, nonostante non sia riuscita ad accarezzarti. Ti ho visto sereno e gioioso segno perciò che Ti stai trovando bene dove sei adesso, anche se lo so che Ti stiamo mancando un Mondo, proprio come Tu manchi a Noi tutti! Grazie a questo Sogno le giornate a seguire sono state meno inquiete. Che potere che hai, non so se Te ne rendi conto?!
Ma non è finita qui, poiché hai trovato il modo di fare molto di più, facendomi incontrare in un giorno soltanto diversi Beagle, finendo pure con l’accarezzarne qualcuno, e lì è stato l’apoteosi poiché è stato come donare una carezza a Te, quella stessa carezza che non sono riuscita a darti mentre beata Ti sognavo. Questi episodi meravigliosi hanno finito con il sconvolgermi un sacco, semplicemente perché ancora una volta ho potuto constatare che non sono mai da sola, non finché ci sarai Tu sempre pronto a vegliare su di Me, donandomi la carica necessaria per continuare a combattere la Mia difficile, tortuosa Battaglia!
Joker, da quando Te ne sei andato molte cose sono cambiate, alcune perfino peggiorate senza possibilità di poterle migliorare in qualche modo, nonostante la Mia buona volontà e l’impegno che lo sai bene, non mancano mai! Alle volte è difficile resistere a tutto questo e non Ti nascondo che quando penso che ogni Mio sforzo sia praticamente inutile per provare a cambiare un po’ le sorti di questa negatività buttatami prepotentemente addosso, mi prende un po’ di sconforto che mi fa sentire ancora più orfana della Tua Assenza. Fortuna che poi riesci ad accorgertene tempestivamente, venendo subito in Mio soccorso come in questo caso. Oramai lo hai capito che non posso fare a meno di Te, ecco perché continuo ad amarti immensamente con tutta la Mia Anima, poiché Tu sei il Mio JOKER e lo sarai per sempre!
Ti Amo Mio Monello Adorato,
sempre Ti amerò!
Al prossimo incontro allora,
sperando che Tu possa trovarmi più serena di ora!
Buon Compleanno e Tanti Auguri di Cuore,
Angelo Peloso con le Ali al posto delle orecchie.
Tua infinitamente
Lellina
@elenascrive
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intotheclash · 4 years ago
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CAPITOLO 10
“Cazzo marcio! La mia non vuol saperne di accendersi!” Imprecò Schizzo, tenendo in una mano la sigaretta e nell'altra il fiammifero acceso.
“Sfido io che non ci riesci, coglione che non sei altro!” Lo rimbrottò, sghignazzando, Tonino, “Mica è un ramo secco! La devi metter in bocca e tirare, tonto!” Concluse, dando il buon esempio e assumendo quell'aria da scafato che io odiavo. Quella di chi crede di saperla sempre più lunga di tutti. Cercammo comunque di imitarlo. Titubanti e maldestri come un branco di elefanti in una cristalleria.
“Come ti senti?” Chiese sottovoce Bomba, seduto al mio fianco.
“Cosa hai detto?” risposi. Ero concentrato sull'operazione e sulle possibili trasformazioni del mio corpo, a seguito di quella prima, clandestina, fumata.
“Ti ho chiesto: come ti senti?” Domandò di nuovo. Stavolta a voce più alta. Talmente alta che tutti si voltarono a guardarlo e scoppiarono in una rombante risata.
“Che c'è, Bomba? Hai fifa? Guarda che mica devi mangiartela!” Lo provocò Sergetto. Ma si vedeva che pure lui era impaurito. Ce lo aveva scritto in faccia.
“Se era da mangiare, un sol boccone e sarebbe sparita! Anzi, si sarebbe pappato anche le nostre sigarette!” Rincarò la dose il Tasso.
Bomba lasciò scivolare a terra le provocazioni. Era turbato, preoccupato, si, insomma, aveva una fifa della Madonna. Tanto che mi chiese, per la terza volta:“Allora, Pietro, me lo dici come ti senti?”
“Che vuoi che ti dica: secondo me non fa un cazzo! A parte la puzza e la bocca cattiva, sto esattamente come prima. Niente di niente.” Era vero. Non riuscivo proprio a capacitarmi del perché si dovesse fumare. Che gusto ci provavano?
“Ma tu, lo mandi giù il fumo?” Chiese l'insegnante Tonino.
“Giù dove? Dove cazzo devo mandarlo?”
“Nei polmoni, tonto! Dove se no? Nel buco del culo? Davi aspirare, mandare giù, trattenere un po’ il respiro e buttarlo fuori così!” Disse, soffiando fuori il fumo dalle narici. Lo guardammo ammirati ed anche invidiosi. Lui si che ci sapeva fare. Si vedeva che non era la prima volta.
“Come cazzo hai fatto?” Gli chiese il Tasso, fissandolo come a carpirne il segreto.
“E’ facile, butti dentro il fumo e respiri col naso. Puoi farcela anche tu!”
“Se sei capace tu, che sei nato stupido e, crescendo sei pure peggiorato, sicuro che ne sono capace anch'io! State a vedere!” Il Tasso si concentrò sulla parte, diede una gran tirata, ma la parte finale non fu mai partorita. Gli si riempirono gli occhi di lacrime, il viso si accese di un rosso violento e iniziò a tossire come il motore della macchina di mio padre quando è ingolfata e di partire proprio non ne vuol sapere. Quello si che era un bell'effetto! Si alzò in piedi e iniziò a girare in tondo piegato su se stesso. Tossiva e sputava, quasi volesse liberarsi pure dei polmoni in fiamme. Alla fine si vomitò pure l'anima.
“Che schifo!” Esclamò Schizzo, inorridito alla vista di quella scena.
“Che succede, Schizzo? Non dirmi ora che ti fa schifo il vomito!” Chiesi.
“Il vomito no, ma questa bestia ha mangiato i piselli. Guardali lì, sono ancora interi! Io i piselli li odio!”
La prima esperienza con le sigarette fu molto istruttiva. Ci insegnò che…facevano vomitare. Ma non mollammo. Da lì a non molto, saremmo diventati, tutti e sei, dei fumatori incalliti. Avremmo scoperto, sempre a posteriori, che anche il vino poteva far vomitare, e la marjuana e le donne, in qualche caso, tuttavia cercammo sempre, con tutta la nostra volontà, di non farci mancare niente di quanto sopra elencato. C'era quasi da credere che vomito e piacere fossero due facce della stessa medaglia.
“Senti, Tonino, dove le hai sgraffignate le sigarette? Dalla giacca di tuo padre?” Domandò Sergetto.
“Mica voglio morire da giovane! Le ho fregate a mio fratello, Francesco.”
“Cosa?” Intervenne preoccupato il Tasso, che ancora sussultava per la tosse, “Ecco perché ho vomitato! Erano drogate!”
“Che cazzo vai dicendo, idiota?”
“Mio padre dice che tuo fratello è un drogato. E che, prima o poi, si metterà nei guai.”
“Certo che sei proprio uno stronzo, Tasso! E pure tuo padre! Anzi no, forse tuo padre non è stronzo, ma un drogato vero!”
“Drogato si, ma di pippe!” confermò sorridendo Bomba.
“Pipparolo! Pipparolo!” Gridammo in coro. In parte per stemperare la situazione, ma molto di più perché niente era così divertente come prendere per il culo qualcuno.
“Fatela finita! Mio padre non è un pipparolo!” Si difese il Tasso, assumendo la tipica posizione da combattimento del suo spirito guida.
“Se è come dici tu, allora perché tutti lo chiamano Pippo?” Chiese Sergetto. Non mollare mai. Era una delle regole fondamentali del gioco.
“Perché è il diminutivo di Filippo, deficiente che non sei altro!”
“Si, ma perché hanno scelto la parte finale del nome? Ci sarà un motivo! Lo avrebbero potuto chiamare Fili!”
“Fili? Hai mai sentito nessuno con quel nome?”
“Sarà pure come dici tu, Tasso, però la faccia da pipparolo ce l'ha davvero. Eccome se ce l'ha!” Sentenziò Schizzo. E l'ilarità toccò di nuovo il suo picco massimo.
“Non prendertela, Tonino,” Dissi, non appena ebbi riacquistato l'uso della parola. “Lo sai come sono fatti i genitori, no? Si preoccupano di tutto, non va mai bene niente e nessuno. Solo loro sono perfetti. Non sbagliano mai, fanno sempre la cosa giusta. Il Tasso non voleva offenderti.”
“Certo che non volevo offenderti! E non volevo offendere nemmeno tuo fratello. Mi sta pure simpatico. Ride sempre e mi saluta, ogni volta che mi incontra. Ho solo detto cosa ne pensa mio padre. Non volevo farti incazzare!”
“Mi dispiace, Tonino, ma anche mio padre dice che tuo fratello si droga. Ma che vuol dire? Io non lo dico! E neanche lo penso!” Disse Sergetto, avvampando di vergogna,
Tonino lo guardò di traverso, ma non replicò. Era diventato improvvisamente triste. Non aveva più voglia di combattere quella battaglia. Poi sapeva che non era con noi che doveva combattere, Noi eravamo i suoi amici. Stavamo dalla sua parte, perdio!
“Non volevo dirtelo, pure a me dispiace, ma mia madre dice esattamente le stesse identiche cose.” Aggiunse timidamente Bomba.
“E tu, Pietro? Che mi dici?” Mi chiese direttamente, Tonino, ma senza guardarmi in faccia. Conosceva già la risposta. Da qualche minuto era impegnato a gettare pietre nell'acqua, cercando di colpire le foglie dei cerri che viaggiavano in balia della corrente. Dava l'impressione che tutto il suo mondo si esaurisse lì. Mi schiarii la voce, avrei voluto indorare la pillola, ma non potevo. Eravamo amici, meritava la verità, per quanto cruda fosse: “Che vuoi che ti dica? Lo conosci mio padre, lo sai come è fatto. Quando ci si mette è il peggio di tutti. Per lui non solo tuo fratello è un drogato, ma lo sono anche tutti i suoi amici. Drogati e scansafatiche. E quelle tre ragazze che stanno sempre insieme a loro sono tre troiette che te le raccomando!” Avevo vuotato il sacco.
Ci fu un attimo di silenzio lungo una settimana. Tonino lanciò l'ultimo sasso, si voltò verso di noi con gli occhi arrossati dallo sforzo di trattenere le lacrime e disse: “ Lo sapete qual è la cosa che mi fa più incazzare?  Che anche mio padre, che poi dovrebbe essere anche il padre di mio fratello, la pensa come i vostri genitori. E, ogni tanto, glielo dice pure! si fanno certe litigate che sembrano non finire mai. Prima o poi, andrà a finire che si ammazzeranno di botte. Anzi, andrà a finire che mio fratello ammazzerà di botte mio padre. E io sarò felice! Perché mio padre è uno stronzo, ma mio fratello è un grande! Ecco cosa penso!”
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magicnightfall · 5 years ago
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THAT’S ALL FOLK(LORE)
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Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. E folklore, l’ottavo album a sorpresa di Taylor Swift, è esattamente questo. È anche un capolavoro, forse IL capolavoro, ma è, prima di tutto e soprattutto, il colpo di genio teorizzato dal Perozzi di Amici miei.
Tuttavia quella definizione, declinata al 2020, è monca: bisogna per forza aggiungervi anche “noia”.
Perché più che il contratto poté la quarantena.
Mentre noi ci parcheggiavamo davanti alla tv per vedere Giuseppe Conte fare nomi e cognomi, o per cercare di carpire da Benedetta Rossi il segreto del pane fatto in casa, e poi litigavamo sulla portata del termine “congiunti”, Taylor Swift si metteva di buzzo buono e scriveva un disco. Così, ex nihilo.
Immagino sia questa la differenza che corre tra un’Artista col pedigree e noialtri comuni mortali, svaccatori seriali, rassegnati all’idea che “tanto moriremo tutti”, come ci insegnava vent’anni fa Wilhelmina Packard, e allora che senso ha sbattersi?
Deve essere bello riuscire a vedere un’opportunità in ogni difficoltà, anziché una difficoltà in ogni opportunità come invece faccio io (ma questo solo se ho gli occhiali: senza non vedo né l’una né l’altra, e allora forse non è poi tanto male).
Perché le cose sarebbero potute andare diversamente. Anche Taylor avrebbe potuto passare tuttu lu jornu a fa’ lu pà e a fettà lu ciauscolo, indossando lo zinale invece del cardigan, e con in mano lo ramarolo invece della chitarra. Meno dea dal multiforme ingegno e più vardascia. Una di noi, insomma. Ma si può accettare di buon grado un divario siffatto; si può rinunciare a una certa dose di identificabilità, se poi noi (svaccatori seriali ma col pane fresco) ne guadagniamo un disco come folklore.
Che è tutto, e pure di più.
Il 23 luglio, quando, all’improvviso, Taylor ha annunciato con un tweet che di lì a poche ore sarebbe uscito TS8, album su cui ancora non avevamo nemmeno iniziato a fantasticare, a meno di un anno dall’uscita di Lover, io ero (svaccata, cvd) sul divano a guardare i Simpson. La mia timeline, me compresa, è andata da 0 a 100 in due decimi di secondo: gente che urlava, gente che si chiedeva se fosse uno scherzo, gente che chiamava il cardiologo perché temeva di infartare, altra gente che invece chiamava il proprio ministro di culto per fare ammenda dei propri peccati perché sì, insomma, Taylor Swift che annuncia un album dal nulla, senza proclami, bandi, gride manzoniane, conti alla rovescia, indizi, senza niente di niente, è il segnale più incontrovertibile che l’apocalisse è prossima. Ancor più di una pandemia, diciamocelo, è Taylor Swift che sposta gli equilibri globali.
Già nell’agosto 2017 aveva modificato lo status Qui Quo Qua di tutto il mondo mondiale pubblicando quella misteriosa clip di un serpente per annunciare l’arrivo di reputation, ma l’agitazione provocata da folklore è di tutt’altra natura; intanto perché relativa a qualcosa di totalmente inaspettato: nemmeno nei nostri wildest dreams potevamo immaginare che in quest’anno di tribolazione e miseria avremmo avuto un regalo simile. Una cosa buona nel 2020, vien quasi da chiedersi cosa ci sia sotto.
Allo stato di febbrile eccitazione senza precedenti ha poi contribuito il cambio di genere, con una virata inaspettata dal pop all’indie folk, e il colpo di grazia l’hanno dato le otto differenti copertine dell’edizione deluxe, che è un po’ come trovarsi in pizzeria e andare nel panico perché si deve ordinare un solo piatto e non tutto il menu.
Ora, non è la prima volta che Taylor si avventura nel folk, ma la splendida Safe & Sound, scritta (e interpretata) per il film Hunger Games insieme al duo The Civil Wars, è stata fino a oggi l’unica incursione nel genere che fosse possibile portare a esempio, e sembrava destinata a restare tale per sempre. A onor del vero, già It’s Nice To Have A Friend aveva un gusto alternativo, e forse avrebbe trovato collocazione più adatta proprio in folklore che non in Lover (se non fosse che, all’epoca, folklore non esisteva nemmeno, quindi quella canzone è destinata a pagare lo scotto della sua ricercatezza con uno snobbamento generale. Chissà che ora le cose non cambino…).
Se vogliamo, un assaggio di come potrebbero apparire i testi di Taylor ammantati di sonorità diverse dalle sue tradizionali (cioè il country e il pop) ce l’ha dato Ryan Adams con il suo cover-album di 1989. Anche se l’idea di base è interessante, non si può, tuttavia, dire che l’esperimento sia riuscito. Se alcune reinterpretazioni in chiave alternative-rock dei brani di Taylor hanno funzionato abbastanza (penso a Welcome To New York, Bad Blood), altre invece ne hanno stravolto completamente la natura e il senso (Blank Space, Shake It Off), risultando banali e noiose, e comunque tutte uguali, tanto che si riesce a distinguerle l’una dall’altra solo perché si conoscono i testi. Quel che mancava a quel progetto era, tra le altre cose, il cuore: è abbastanza ambizioso prendere le canzoni di qualcuno come Taylor, che ha fatto delle emozioni (sue e, in una sorta di rapporto empatico, di chi ascolta) il proprio cavallo di battaglia, e pretendere di riuscire ad avere lo stesso impatto emotivo.
E proprio perché Taylor è una cantautrice di razza, per lei vale per forza l’espressione “se vuoi che le cose vengano bene devi fartele da solo”. O, comunque, con l’aiuto di poca gente che si sa fidata o dalla maestria indiscussa (penso a Andrew Lloyd Webber con cui Taylor ha scritto Beautiful Ghosts, che è tanto meravigliosa quanto il film cui è stata destinata, Cats, è abominevole). Ecco allora, per esempio, che tra i co-autori qui compare di nuovo Jack Antonoff, che ha collaborato con Taylor alla scrittura di alcuni suoi pezzi più belli (per citarne solo un po’: The Archer, Death By A Thousand Cuts, Getaway Car).
E il risultato, ma non c’è bisogno che ve lo dica io che sono di parte (però ve lo dico lo stesso), è fenomenale.
Ora, direi che è inutile dilungarsi ulteriormente, e andiamo al sugo di tutta la storia. Ladies and gentlemen, cari amici vicini e lontani, vardasce di ogni ordine e grado, ecco a voi
il Tomone 5.0™ . THERE GOES THE LOUDEST WOMAN THIS TOWN HAS EVER SEEN the 1
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
La prima canzone dell’album segna un po’ il passo per tutto il resto, dando un assaggio della malinconia che, dove più e dove meno, lo pervade.
In particolare, qui si guarda al passato e ci si ferma a pensare a come diversamente sarebbero potute andare le cose (“If one thing had been different / would everything be different today?”). E sebbene c’è sì una punta di mestizia, tuttavia non c’è quel rimpianto duro e puro che si può individuare in altri brani come Last Kiss, Back To December, I Almost Do o Sad Beautiful Tragic.
Intanto, in the 1 si riflette da un punto di vista di conquistata serenità (“I’m doing good, I’m on some new shit”; “And it’s alright now”), e immagino che sia proprio per questo che non fa tanto male cercare di capire come sarebbe il presente se si fossero prese decisioni diverse. Infatti si dice che sarebbe stato “piacevole” se l’altra persona si fosse rivelata quella giusta (“But it would’ve been fun / If you would’ve been the one”), e non che la propria esistenza avrebbe svoltato definitivamente e ora non c’è proprio più alcuna possibilità che migliori e tanto la vita è miseria e poi si muore. Non è andata, pazienza. È bello da ricordare, ma nulla per cui serva a qualcosa dolersene ora.
#AlcoholicCount: 1 (rosé)
#CurseWordsCount: 2 (shit)
#FavLyrics: “But we were something, don’t you think so? / Roaring twenties, tossing pennies in the pool” cardigan
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
cardigan è il primo singolo estratto, con tanto di video musicale girato e prodotto durante la quarantena. Non si il tormentone estivo, è semplicemente una canzone che crea l’atmosfera confortevole e rassicurante dell’abbraccio di un caldo cardigan. Checcefrega del cileno e checcefrega se è luglio. Cardigan sia.
(vorrei che sia messo a verbale che, mentre scrivo queste righe, mio fratello gira per casa gridando “Cardigaaaan, cardigaaan” sulla melodia di Sandokan)
La particolarità di questa canzone è il far parte di un trittico, insieme ad august e betty. Come Taylor stessa ha dichiarato, nei tre brani viene raccontato di un triangolo adolescenziale, di un amore giovane e immaturo destinato a disintegrarsi (“You drew stars around my scars / but now I’m bleeding”). Il triangolo è narrato da altrettanti punti di vista. In particolare, cardigan dovrebbe essere il punto di vista di quella che poi sarà individuata come Betty, che scopriremo essere stata tradita da James. Proprio qui si fa riferimento all’inseguire due ragazze e perdere quella giusta (ovviamente la diretta interessata si ritiene tale): “Chase two girls, lose the one”.
Non solo, ma c’è anche un riferimento che ricorre, qui e in betty, cioè l’immaturità giovanile: “When you are young, they assume you know nothing” e “I’m only seventeen / I don’t know anything […]”. Immaturità, dei due, che però caratterizza soltanto James: “‘cause I knew everything when I was young” sono infatti le parole di Betty. La ragazza, proprio in quanto meno scema, ha anche provato a cambiare il finale della loro storia, probabilmente perché aveva intuito che era destinato a essere — e in effetti è stato — come quello di Peter Pan (“Tried to change the ending / Peter losing Wendy”): Peter, che si rifiutava di crescere, ha dovuto dire addio a Wendy che, di ritorno dall’Isola che non c’è, è andata avanti con la sua vita.
(e comunque Peter Pan era un cagacazzo, ma chi te vòle aho #TeamUncino4Evah)
Anche il riferimento ai sampietrini (cobblestone) ricorre in entrambi i brani. Qui mi sembra quasi come se il rumore dei tacchi sui ciottoli (che si sente anche nella canzone) funzioni come una sorta di trigger, ed è per questo che Betty si trova a fantasticare su un amore perduto ma mai dimenticato (“But I knew you’d linger like a tattoo kiss / I knew you’d haunt all of my what-ifs / the smell of smoke would hang around this long”).
Quanto al video, anche questo diretto da Taylor come già quello di The Man, ha trovato l’approvazione di mio fratello (sì, quello di prima, quindi non so quanto valga ‘sta cosa). Io ho trovato di particolare impatto la scena del pianoforte quale àncora di salvezza in un mare in tempesta: mi ha fatto venire in mente la frase “People haven’t always been there for me, but music always has”.
In effetti, il video stesso potrebbe far pensare a una metafora ben più ampia: si parte da una stanzetta piccola, circoscritta e protetta (Taylor che fa musica per il gusto di farlo), poi ci si addentra — letteralmente — nel pianoforte e ci si ritrova in un ambiente più vasto e molto diverso, una foresta magica e rigogliosa (una carriera ormai avviata, il successo, sperimentazione di nuovi generi). Quello che colpisce però è la solitudine, l’unica compagnia è sempre quella del pianoforte (è una sorta di sineddoche: la parte per il tutto, in questo caso lo strumento per la musica). Tant’è che nel testo si dice chiaramente “A friend to all is a friend to none” (inutile circondarsi di tanta gente, le squad che tanto facevano parlare i media, che poi alla fine di vero non c’è nulla). Poi la tempesta colpisce, la stessa tempesta che ha portato a reputation, e infine si ritorna alle origini, si ritorna alla stanzetta, alla musica per amore della musica. E in effetti folklore, nato in un periodo sui generis come il lockdown dovuto a una pandemia, è proprio l’esempio perfetto di arte per arte. Un album nato per l’umanissima esigenza di esprimersi liberamente, e non per rispettare i termini di un contratto.
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Tried to change the ending / Peter losing Wendy” the last great american dynasty
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
La mia canzone preferita di tutto l’album. Anche se epiphany e seven (e forse anche mad woman) (e forse anche betty) (e forse anche my tears ricochet) (ochèi, sono un tantino in difficoltà) le contendono da molto vicino la posizione più alta del podio, per ora questa persists and resists.
Il brano ha un po’ il sapore di Starlight, in quanto anche qui si raccontano le vicende di persone realmente esistite. Se là protagonisti erano Ethel e Bobby Kennedy (anche loro una dinastia americana), qui è Rebekah Harkness (con una breve menzione al secondo marito William).
Rebekah Harkness, detta Betty (ma non la stessa Betty), è stata una compositrice, scultrice e filantropa statunitense. Con immagini un po’ gatsbyane, Taylor ci accompagna attraverso un matrimonio incantevole e tuttavia pacchiano, feste eleganti e tuttavia rumorose, e poi, dopo la prematura morte di Bill, attraverso una girandola di situazioni che tradiscono lo spirito evidentemente moderno, e il temperamento estroso, della vedova (“Filled the pool with champagne and swam with the big names / and blew through the money on the boys and the ballet / and losing on card game bets with Dalí”; “And in a feud with her neighbor / she stole his dog and dyed it key lime green”). Tra l’altro, nel corso della canzone, ci si riferisce a lei con i superlativi “maddest” (la più pazza) e “most shameless” (la più senza vergogna), probabilmente giudizi che la comunità riservava a chi non viveva seguendo determinate convenzioni (una donna, per di più! Orrore e raccapriccio!).
Interessante è il riferimento a Salvador Dalì, non un semplice tocco di colore: le ceneri della Harkness, infatti, riposano in un’urna progettata dall’artista, dal valore di 250.000 dollari. Can’t relate: la mia urna potrà al massimo essere una scatola da scarpe.
Quel che mi piace della canzone è anche il legame tra la protagonista e Taylor stessa: quest’ultima, infatti, ha acquistato la casa di Rhode Island, la “Holiday House” che qui si menziona, in precedenza appartenuta a Rebekah. Un passaggio di testimone. Mi ha fatto venire in mente la serie antologica Why Women Kill, in cui la medesima abitazione fa da sfondo alle vicende dei personaggi nelle varie epoche in cui l’hanno rispettivamente abitata (1963, 1984 e 2019).
#AlcoholicCount: 1 (champagne)
#CurseWordsCount: 1 (bitch)
#FavLyrics: “They say she was seen on occasion / pacing the rocks staring out at the midnight sea / and in a feud with her neighbor / she stole his dog and dyed it key lime green” exile (feat. Bon Iver)
[Taylor Swift, Justin Vernon, William Bowery]
Non si faceva un tale parlare di “esilio” dai tempi di Ugo Foscolo, il quale si esiliava da solo ogni trenta secondi (e se ne lamentava pure), perché probabilmente non aveva di meglio da fare. Aprite infatti un social a caso, e ci sarà uno swiftie che starà struggendosi ascoltando exile. E a ragione, perché è un pezzo splendido.
Si tratta di una collaborazione con il gruppo indie folk Bon Iver. È da The Last Time, con Gary Lightbody degli Snow Patrol, che non si aveva un duetto tanto bello. Per fortuna, l’esecranda e improvvida versione di Lover con l’altrettanto esecrando Shawn Mendes è stata ben presto derubricata ad “allucinazione collettiva” ed è come se non fosse mai esistita.
La voce di Justin Vernon, frontman dei Bon Iver, bassa e vibrante, contrasta con quella delicata di Taylor, in piacevole gioco di chiaroscuri, per fondersi meravigliosamente sul finale.
Il contrasto, tuttavia, non è solo sonoro, ma anche concettuale. La canzone, infatti, offre i punti di vista di entrambe le persone coinvolte nella relazione naufragata. Da un lato, c’è chi soffre nel vedere quanto velocemente (“And it took you five whole minutes / to pack us up and leave me with it”, dove quel “five whole minutes” è ironico) l’altra persona si sia dimostrata capace di voltare pagina (“I can see you standin’, honey / with his arms around your body); dall’altro c’è chi si era resa conto che la relazione era sempre stata precaria (“Balancin’ on breaking branches”; “We always walked a very thin line”).
È un continuo rimarcare due posizioni ormai non più conciliabili: “You never gave a warning sign (I gave so many signs)”. In realtà, c’è una cosa su cui sono concordi entrambi: che la storia ormai è finita. Il ritornello, infatti, seppur con minime differenze, è lo stesso per entrambi, e viene cantato dapprima singolarmente e poi insieme.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “You’re not my homeland anymore / so what am I defending now? / You were my town / now I’m in exile seein’ you out” my tears ricochet
[Taylor Swift]
Il punto di vista di questa canzone è peculiare a dir poco: è quello di una persona trapassata e remota, insomma, morta hai presente la tua maestra la signorina Brenda è morta sparita per sempre morta di una morte orrenda e super dolorosa andata andata andata come il tuo cane il mio cane è morto l’ho messo sotto con la macchina quando sono arrivato tutti quelli che ami intorno a te stanno morendo. L’ambientazione, infatti è una veglia funebre, con tanto di frase cerimoniale di circostanza (“We gather here”).
Solo su questa canzone si può scrivere una tesi di laurea. Taylor ha dichiarato che il pezzo racconta di un “tormentatore incattivito” che si presenta al funerale del defunto oggetto della sua ossessione. Intanto, è curioso l’uso del termine “tormentor”. Non un amante, non una persona cara (sarebbe stata una canzone anche romantica, se così fosse stato), ma un “tormentatore”, una figura negativa: un oppressore, insomma.
Non è un caso che, stando alla teoria che va per la maggiore nel fandom, la canzone riguardi la vicenda Big Machine e le ribalderie messe in atto da quei tangheri ciurmatori di Scott Borchetta e Scooter Braun.
È indubbio che, per molto tempo, il rapporto tra Taylor e la sua prima etichetta fosse stato buono (“Crossing out the good years”), tanto che è stato un fulmine a ciel sereno vedere come sono andate a finire le cose (“Did I deserve, babe / all the hell you gave me? / ‘cause I loved you / I swear I loved you”).
Tutta la questione dei master mai restituiti (“You wear the same jewels / that I gave you / as you bury me”; “You hear my stolen lullabies”) è stato un vero picco di meschinità da parte dei pitocchi di cui sopra, e Taylor non ha potuto far altro che rendere la cosa pubblica, sollevando un polverone (“I didn’t have it in myself to go with grace”), a cui i due pisquani hanno risposto che “noooo, ma figurati se non vogliamo restituirle i master, certo che glieli restituiamo, le diamo un album vecchio per ogni album nuovo che lei butta fuori, una roba super ragionevole, quasi beneficenza, eh, in dodici, toh, massimo quindici anni è di nuovo tutto suo, che occasione ghiotta, e anzi ci feriscono molto queste accuse, è quasi come se ci volesse far passare per mentecatti, cioè, dai, non è proprio possibile, noi, mentecatti, eeeeeh” (“And you’re the hero flying around saving face” — perché, sì, ci hanno provato a salvare la faccia, più o meno nei termini esposti sopra).
Così Taylor è stata costretta a mollare baracca e burattini, a lasciare quella che è stata la sua casa fin dall’esordio, e trovare ospitalità presso un’altra etichetta. (“And I can go anywhere I want / anywhere I want / just not home”). Nel mentre, la Big Machine si è trovata economicamente con l’acqua alla gola (“And if I'm on fire / you'll be made of ashes, too”; “You had to kill me, but it killed you just the same”), avendo perso la gallina dalle uova d’oro e potendo ora contare solo sui diritti delle vecchie canzoni (“And if I’m dead to you why are you at the wake?”). Ci credo sì, che avrebbero desiderato che fosse rimasta e che ora ne sentano la mancanza (“Wishing I stayed”; “but you would still miss me in your bones”). E adesso, be’, ai due crotali tremebondi non resta che piangere la sorte abietta che si sono chiamati addosso da soli. Il verso “looking at how my tears ricochet”, infatti, io lo interpreto nel senso di un karmico rimbalzo. È una ruota che gira, le lacrime di una ora sono diventate le lacrime di quegli altri.
Come Miss American & The Heartbreak Prince è un’unica, grande metafora (il liceo per la politica), così my tears ricochet: grattando appena la superficie del letterale si apre un altro mondo. Analizzare i testi di Taylor è come cadere nella tana del bianconiglio. E come “Alice si era talmente abituata ad aspettarsi solo cose straordinarie” così a noi, dopo un ascolto di folklore, sembra “quasi noioso e stupido che la vita continu[i] sempre allo stesso modo” [Alice nel paese delle meraviglie, Newton Compton Editori, trad. Adriana Valori-Piperno].
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “We gather stones / never knowing what they’ll mean / some to throw / some to make a diamond ring” mirrorball
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Quando uno pensa a una palla da discoteca, pensa agli anni ’70, ai luccichii, ai lustrini, ai pantaloni a zampa, alla febbre del sabato sera, alla disco music (e, se siete fan dei Simpson, anche a Disco Stu). Insomma, a roba psichedelica e spensierata. Poi è arrivata Taylor che ha detto: “Senti, cocco, reggimi un attimo la strobosfera che ne parliamo”.
Il pezzo è una ballad malinconica in cui ci si paragona a una palla da discoteca, osservata da tutti: ed è proprio per questo che l’unica preoccupazione è quella di compiacere gli altri, anche a costo di rinunciare alla propria individualità (“I can change everything about me to fit it in”; “Shining just for you”).
E il bridge è esplicativo di una vita vissuta solo per gli occhi degli altri: “I’m still on that tightrope / I’m still trying everything to get you laughing at me”; “I’m still on that trapeze / I’m still trying everything to keep you looking at me”.
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “And they called off the circus / burned the disco down / when they sent home the horses / and the rodeo clowns” seven
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
In un commento su YouTube, sotto al lyric video di seven, qualcuno ha scritto che non è che gli altri artisti non siano bravi, è solo che Taylor Swift è differente. Onestamente non avrei saputo dirlo meglio. E questa canzone — sebbene in quest’album sia difficile decidere quale brano, a livello di testo, spicchi di più — è forse la cartina al tornasole delle sue capacità di autrice.
Qui Taylor richiama alla memoria un’amica di infanzia. Il riverbero nella voce contribuisce a creare una certa lontananza temporale. Addirittura, Taylor non è nemmeno in grado di ricordare il viso della sua compagna di giochi (“And though I can’t recall your face”) tanto è il tempo trascorso (ventitré anni almeno).
La canzone è pervasa da una certa dose di levità, acuita anche da questa immagine di Taylor da bambina sull’altalena, così in alto da avere la Pennsylvania sotto di lei. Quel che più colpisce, però, è il contrasto tra contenente e contenuto. La piccola amica, infatti, vive a casa una situazione tutt’altro che leggera, tutt’altro che serena, fatta probabilmente di rabbia e di litigi. Si fa riferimento a un padre sempre arrabbiato, ai pianti e al nascondersi, forse per evitare di assistere all’ennesima lite tra i genitori. Non si faccia, tuttavia, l’errore di credere che l’evidente leggerezza della melodia e della voce di Taylor sia un segno di superficialità. È, piuttosto, il modo migliore per rendere la purezza e l’innocenza dei bambini, anche di fronte a situazioni ben più grandi di loro. Così, cosa c’è di più ovvio e di più facile, agli occhi di una bambina di sette anni, per salvare l’amica dalla sofferenza, se non proporle di diventare delle piratesse? Dopotutto, chi hai mai visto un pirata piangere o nascondersi nell’armadio? Il “then” nel verso“then you won’t have to cry” ha infatti qui un valore consequenziale.
La parte più bella e più esplicativa di questo punto di vista di infantile innocenza è tuttavia data dai versi “I think your house is haunted / Your dad is always mad and that must be why”. Il rasoio di Occam vuole che “a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. Agli occhi di una bambina di sette anni, ignara e inconsapevole delle dinamiche che governano gli adulti, specie quelli arrabbiati come il padre dell’amica, è ovvio che la causa di quel livore non può che trovarsi nell’infestazione di fantasmi della casa in cui vivono. Insomma, che altro mai potrebbe essere? È un verso davvero semplicissimo, ma di un’efficacia incredibile.
Ora, la tematica della canzone me ne ha fatta venire in mente un’altra che mi piace parecchio, Little Toy Guns di Carrie Underwood. Anche lì c’è una bambina che è costretta a nascondersi nell’armadio, tra i cappotti, per non assistere alla scena dei suoi genitori che litigano furiosamente (“In between the coats in the closet she held on to that heart shaped locket”; “Mom and daddy just wouldn’t stop it fighting at the drop of a faucet”; “Puts her hands over her ears / starts talking through her tears”). La canzone è di certo accattivante per l’energia e la potenza della voce della Underwood, ma a livello di testo non ci sono guizzi, è tutto letterale. Taylor, invece, con molte meno parole ma accuratamente selezionate, dipinge un quadro tanto vivido quanto evocativo.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: Before I learned civility / I used to scream / ferociously august
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
august è la parte centrale del trittico composto da cardigan e betty. La narrazione qui è affidata all’altra ragazza, ovvero l’avventura estiva di James (quella “summer thing” che si menzionerà in betty).
La loro storia è volata via come è volato via agosto: era impossibile costruire qualcosa perché, nonostante le rassicurazioni (“saying ‘Us’”), James non era mai stato suo (“you weren’t mine to lose”).
Il collegamento con betty è evidente: “Remember when I pulled up / and said ‘Get in the car’” e “She said ‘James, get in, let’s drive’”.
La canzone mi piace ma, come agosto scivola via dal calendario, così questa mi scivola via dalla testa e, per quanto mi riguarda, fatico a ritenerla memorabile (a parte il bridge).
#AlcoholicCount: 3 (wine)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Back when we were still changing for the better / wanting was enough /for me, it was enough / To live for the hope of it all / cancel plans just in case you’d call” this is me trying
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Questa canzone mi devasta fin nei più oscuri recessi della mia anima, perché per certi aspetti (molti aspetti) sembra che mi stia descrivendo. E se da un lato è bello vedere messe nero su bianco certe sensazioni (con più eloquenza di quanto potrei fare io stessa), dall’altro mi ci fa rimuginare e quindi niente, soffroh. Perché a una che, ogni mattina, si alza e pensa che non si tratta altro che di un nuovo giorno di un’esistenza sprecata, sentire “I had the shiniest wheels, now they’re rusting” e “They told me all of my cages were mental / so I got wasted like all my potential” fa un certo effetto. E non fatemi nemmeno iniziare a parlare di “I have a lot of regrets about that”.
Particolarmente interessante è il verso “I was so ahead of the curve, the curve became a sphere”. Credo significhi che Taylor fosse così avanti agli altri che a un certo punto si è trovata a dover competere costantemente con se stessa: rectius, l’hanno costretta a competere con se stessa, e un album in meno venduto, e un biglietto in meno staccato erano prova incontrovertibile che ormai fosse finita, kaputt, ciaone (mi ricordo quell’articolo di Forbes, datato 4 gennaio 2018, che titolava “Taylor Swift Ss No Longer Relatable, And Her Ticket Sales Prove It”; ma mi ricordo anche l’articolo del primo agosto seguente, del medesimo autore, che titolava, chissà se con una punta di rammarico, “Taylor Swit’s Reputation Tour Is A Massive Success: Looks Like She’s Relatable After All”). Questo anche quando, a confronto con qualsiasi altro artista, il peggior risultato di Taylor equivale al loro migliore.
#AlcoholicCount: 1 (whiskey). E quanto a me, da astemia che sono, questa canzone mi fa venir voglia di iniziare.
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “I’ve been having a hard time adjusting / I had the shiniest wheels, now they’re rusting” illicit affairs
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Da vera donna del Rinascimento qual è, Taylor non si accontenta di dedicarsi al mero cantautorato poetico e fa una breve incursione nella manualistica, come già a suo tempo con How You Get The Girl. Stavolta, oggetto della trattazione sono le tresche, le relazioni clandestine e, appunto, “illecite”, per la buona riuscita delle quali si danno consigli di comportamento (come fingere di andare a correre, così che il rossore sulle guance sia attribuito all’attività fisica e non all’incontro con l’altra persona — o comunque, a un’attività fisica di altra natura, if you know what I mean).
Ma vabbè, facezie a parte. Non è la prima volta che Taylor parla di tradimenti; è un tema che ricorre: Should’ve Said No, Girl At Home, Babe (canzone poi passata agli Sugarland ma in cui Taylor canta dei versi), Getaway Car.
A differenza delle altre, però, questa canzone è di una tristezza infinita. La prima strofa ha riguardo al fatto che si è costretti a vivere di menzogne, e qualcosa che in condizioni normali sarebbe bella (il rossore sulle guance dovuto a una piacevole emozione) in questo caso non sarebbe altro che un simbolo di infamia, e come tale deve essere nascosto, o giustificato con una squallida balla.
La relazione clandestina, poi, è in qualche misura paragonata alla droga: si è consapevoli che ci sta facendo del male, ma non ci si riesce a fermare (nonostante quello che uno si ripete: “Tell yourself you can always stop”). E se mai un effetto benefico c’è stato, ormai è svanito da un pezzo (“A drug that only worked / The first few hundred times”).
Nella seconda strofa c’è un altro consiglio che si aggiunge a quelli della prima: “Leave the perfume on the shelf”, così che non si lascino tracce. Apoteosi dell’annullamento di se stessi (peggio che in mirrorball): “like you don’t even exist”.
Nel bridge c’è però un colpo di coda, arrabbiato, in cui volano parole dure, durissime parole taglienti (o di certo lo sono per lo standard di Kent Brockman di Canale 6: “Look at this godforsaken mess that you made me”; “Look at this idiotic fool that you made me”) ma alla fine si torna sempre al punto di partenza: “And you know damn well / for you I would ruin myself / …a million little times”.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “And you wanna scream / Don’t call me kid / Don’t call me baby / Look at this godforsaken mess that you made me” invisible strings
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Questo brano mi fa pensare alla leggenda orientale del filo rosso del destino, secondo cui esiste un filo invisibile e indistruttibile che lega una persona alla sua anima gemella.
(una specie di filo di Schrödinger, in effetti, visto che è rosso e invisibile allo stesso tempo)
(*tap tap* è acceso questo coso?)
Qui, però, il filo è dorato. L’oro, d’altronde, è un colore più adatto a rappresentare ciò che Taylor ci sta raccontando. Se è vero che il rosso è tipicamente associato all’amore, alla passione (ma anche alle intemperanze emotive — non è certo un caso, per esempio, che la Regina di Cuori del Paese delle meraviglie sia contraddistinta dal rosso), l’oro, per parte sua, richiama il sole, la luce, in generale sensazioni positive. È anche un colore prezioso, come prezioso è il legame che condividono i due innamorati.
È evidentemente una canzone molto intima e molto personale, con certi dettagli che fanno pensare a Taylor stessa (“Bad was the blood of the song in the cab on your first trip to LA”; “she said I looked like an American singer”) e non a personaggi fittizi come in altri brani dell’album.
In questa canzone il passato non si guarda con amarezza (“Time / mystical time / cutting me open, then healing me fine”; “Cold was the steel of my axe to grind for the boys who broke my heart / now I send their babies presents”) perché tutto è servito per arrivare alla serenità attuale (“Hell was the journey but it brought me heaven”).
Ora che mi ci fa pensare, anche io credo di avere un filo invisibile che mi lega a qualcosa, e quel qualcosa sono le patatine San Carlo lime e pepe rosa.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Time / mystical time / Cutting me open, then healing me fine” mad woman
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Questa è, per me, una punta di diamante in un disco che non è certo composto da zirconi.
Quello che amo di questo brano è come un’incazzatura viscerale e profonda sia stata camuffata con una melodia delicata. Urlare e sbraitare rischia di passare per un semplice bluff, un gatto che si gonfia per sembrare più grande e più pericoloso, e una rabbia espressa con calma e lucidità è molto più temibile. Allora, è interessante il contrasto che si crea tra la pacatezza con cui si pronunciano i versi “Now I breathe flames each time I talk / my cannons all firing at your yacht” e l’immagine che quegli stessi versi veicolano.
Anche la prima strofa è notevole. Non ci si gira troppo intorno, si va dritti al punto: “What did you think I’d say to that?”, come pensi che avrei reagito (al torto che mi hai fatto)? È ovvio che non me ne sarei restata zitta e buona, lascia intendere Taylor. Povero ingenuo figlio dell’estate, hai presente de chi stamo a parlà? Come uno scorpione che, provocato, punge per uccidere, lei uguale. Metaforicamente parlando, s’intende (be’, più che altro si spera).
Tematicamente, trovo che vi sia similitudine con il primo, epicissimo singolo di reputation: “Look what you made me do” da una parte e “No one likes a mad woman / You made her like that”. Poi, ovviamente, le situazioni sono diverse. Se il brano precedente credo riguardasse i tentativi meschini e truffaldini di quei due peracottari di Kanye West e Kim Kardashian di affossare reputazione e carriera di Taylor, qui mi viene da pensare che riguardi invece la vicenda Big Machine, la questione dei master mai restituiti (“‘cause you took everything from me) e la tirannica condizione di un album vecchio per ogni album nuovo pubblicato, ciò che da noi si dice “contratto capestro”. Il capestro non è altro che un cappio, in inglese — wait for it — “noose” (“and you find something to wrap your noose around”). Anche se la coincidenza linguistica (qui nel senso di “identità, sovrapposizione di concetti”) è del tutto fortuita, ciò non toglie che, quale che sia il termine in uso in inglese per quella situazione, le condizioni imposte dall’etichetta precedente non avessero nulla di diverso da un cappio al collo.
Poi in realtà la canzone — ed è qui la bravura di Taylor — può adattarsi a numerose altre situazioni (come già my tears ricochet), per esempio un tradimento non professionale ma sentimentale (“She should be mad / Should be scathing like me”, perché entrambe le donne sono state raggirate dal medesimo “master of spin”). Insomma, ognuno può leggerci quel che vuole, perché i testi di Taylor, pieni di metafore, allusioni, sottostesti sono, come la creta, modellabili a seconda di ciò che, chi ascolta, ha bisogno di sentirsi dire.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (fuck)
#FavLyrics: “What did you think I’d say to that? / Does a scorpion sting when fighting back?” epiphany
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Inutile girarci intorno: ne abbiamo fin sopra i capelli della retorica, abbastanza stucchevole, che paragona la COVID-19 alla guerra. È da febbraio che osserviamo giornalisti, giornalai e finanche pennivendoli (il confine tra le categorie è molto labile) usare (più che altro abusare) un linguaggio bellico, fatto di termini come “battaglia”, “fronte”, “prima linea”, “trincea”, “eroi”, che non sai più se stai guardando il tg della sera o un documentario sull’offensiva della Mosa-Argonne.
Taylor, in questa canzone, utilizza il medesimo espediente narrativo: anche lei mette a confronto il virus e la guerra. Con la differenza, però, che lei ne ha tirato fuori un piccolo gioiellino.
(dite la verità, vi avevo spaventati, eh?)
Ha detto di aver preso spunto dalle vicende del nonno a Guadalcanal nel 1942, ma le sue parole nelle prime due strofe evocano immagini universali, non legate a un singolo episodio.
Dopo il primo ritornello, altre due strofe ci dipingono uno scenario differente, non più bellico ma ospedaliero. Qui, tuttavia, anche se resta ugualmente vaga, con i versi “Something med school / did not cover” Taylor richiama alla mente una situazione ben più specifica, quale l’emergenza sanitaria globale del 2020. Emergenza che, infatti, ha colto il mondo alla sprovvista, e ha evidenziato le carenze di chi ha dovuto affrontarla, qualcosa per cui, appunto, l’università non li aveva preparati.
È interessante notare come, al sesto verso della seconda strofa e, parallelamente, al sesto della quarta, Taylor ponga in posizione enfatica, perché all’inizio della frase, i termini “Sir” e “Doc”: questi, da un lato, servono a delineare con maggior chiarezza il contesto (un campo di battaglia e un ospedale), dall’altro rafforzano la metafora, l’accostamento delle due situazioni. In entrambi i casi c’è una autorità superiore cui appellarsi (tant’è che si tratta di un complemento di vocazione), che sia il comandante più alto in grado o il medico.
Nel brano viene anche fatto uso dell’anafora, figura retorica che consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di versi successivi (“Keep your” / “keep your” ; “With you I” / “with you I”; “Watch you” / “watch you”; “Someone’s” / “someone’s”), con la funzione di sottolineare un concetto. Qui, le parole ripetute (e quindi enfatizzate) richiamano un’idea di tenacia (“keep”), di solidarietà (“with you”), di presenza verso l’altro, anche se magari non si può essere materialmente d’aiuto (“watch you”), del fatto che questi eventi coinvolgono persone che sono qualcosa per qualcuno (“someone’s” — “daughter” o “mother” che sia) e non semplici numeri snocciolati aridamente in un bollettino della protezione civile.
Infine, la strofa “Only twenty minutes to sleep / but you dream of some epiphany / just one single glimpse of relief / to make some sense of what you’ve seen” è comune a entrambe le situazioni, la guerra e la pandemia, in cui si cerca di dare un senso a quello a cui si è assistito.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Keep your helmet / keep your life, son / just a flesh wound / here’s your rifle” betty
[Taylor Swift, William Bowery]
L’intro di questo brano, con l’armonica a bocca tipica del folk, mi rimanda direttamente a Bob Dylan, e allora è anche legittimo chiedersi se le risposte alle domande che pone James — il personaggio che qui parla, la canzone è dal suo punto di vista — non stiano soffiando nel vento.
Questa canzone è l’ultimo pezzo del trittico di cui fanno parte anche cardigan (che viene esplicitamente nominato) e august (e infatti si fanno riferimenti all’estate). Delle tre, è quella che di gran lunga preferisco.
James, il traditore, cerca di riconquistare Betty ammettendo sì i suoi sbagli (“The worst thing that I ever did / was what I did to you”), ma giustificandoli con l’immaturità, già accennata in cardigan, dei suoi diciassette anni (“I’m only seventeen / I don’t know anything but I know I miss you”). Ma che, davero?
(e presumo che Betty sia una sua coetanea, però non è tonta come un banchetto quanto lui) (scusa, James, ma sappi che anche se sei un cretino mi ispiri simpatia)
Di nuovo ricorrono i sampietrini, che però qui sono rotti (broken): non perché siamo a Roma sotto l’amministrazione Raggi, ma perché a essere a pezzi è lo stesso James, evidentemente pentito di essere motivo del dolore di Betty. Ma è anche vero che chi è causa del suo mal…
Un altro legame con cardigan è il portico. Betty immaginava infatti che avrebbe trovato lì il fedifrago, una volta raffreddata l’eccitazione della tresca (“I knew you’d miss me once the thrill expired / and you’d be standing in my front porch light”) ed è infatti proprio lì che James progetta di recarsi (“Will you kiss me on the porch in front of all your stupid friends?), una volta arrivato alla sua festa (ed è più di quanto abbia fatto Jake Gyllenhaal, quindi un punto per James). Comunque non credo che poi Betty se lo sia ripreso, perché la canzone finisce con “you know I miss you”, al tempo presente. Se fossero tornati insieme, immagino che James avrebbe detto “missed”.
Ora, questo mini trittico è la cosa più vicina a un concept album che abbiamo mai avuto, ossia un disco in cui si racconta una storia precisa, dove ogni canzone è un capitolo della vicenda narrata. È una tipologia di album molto in voga nel metal (penso ai Rhapsody of Fire, che nei loro dischi portano avanti intere saghe fantasy, o agli Avantasia), e mi piacerebbe davvero tantissimo averne uno di Taylor: sarebbe un esperimento interessantissimo dove lei potrà dare libero sfogo alla fantasia e noi potremo tentare di capire i contorti e insondabili meccanismi che muovono il suo cervello.
#AlcoholicCount: zero, ma tanto al party di Betty non avranno mica servito solo Crodino.
#CurseWordsCount: 1 (fuck)
#FavLyrics: “You heard the rumors from Inez / You can’t believe a word she says / Most times, but this time it was true / The worst thing that I ever did / Was what I did to you” peace
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Non credo che ascolterò molto spesso questa canzone in un futuro più o meno prossimo o più o meno remoto o comunque più o meno ricompreso nella vasta gamma di possibilità contemplate dalla grammatica italiana. Che in effetti sono ben poche. In realtà non so nemmeno perché non mi piaccia più di tanto, so solo che c’è qualcosa che non mi aggancia. Che ce devo fa, de gustibus.
Se, perlomeno, mi piace parecchio la parte strumentale dell’intro, tutto il resto mi suona come una nenia (parole dure di una blogger davvero strana, direbbe il già citato Kent Brockman), che mi si riprende un po’ solo nel bridge, con alcuni versi cantati abbastanza veloci come fossero uno scioglilingua (“Give you the silence that only comes when two people understand each other / family that I chose now that I see your brother as my brother”).
Questa canzone, più che malinconica, è granitica nel suo disfattismo: “No, I could never give you peace”, dove quel “No” suona come un’affermazione incontrovertibile; “But the rain is always gonna come / if you’re standing with me”.
Per altri aspetti, al contrario, Taylor sembra essere più conciliante con se stessa: “But I’m a fire and I’ll keep your brittle heart warm”. A causa delle circostanze, l’unica cosa che non si può offrire, o garantire, è la pace. Ma, forse, non potrebbe essere già sufficiente tutto il resto?
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (shit)
#FavLyrics: “Swing with you for the fences / sit with you in the trenches” hoax
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Nella canzone si respira un generale senso di resa (“My eclipsed sun”; “My winless fight”; “I am ash from your fire”; “You knew the hero died, so what’s the movie for?”; “You knew you won, so what’s the point of keeping score?”; “My kingdom come undone / my broken drum / you have beaten my heart”), e ciò è innegabile. Quel che però non mi è chiarissimo è in che termini vada interpretato il brano nel suo complesso: in senso negativo o in senso positivo?
Per quanto riguarda il senso negativo, è presto detto: si canta di una relazione ormai finita che ha portato solo dolore, ma che forse non si riesce a lasciar andar del tutto (“You knew it still hurts underneath my scars / from when they pulled me apart”).
Per quanto riguarda il senso positivo (e in tutta onestà questa interpretazione mi piace di più, perlomeno è così che l’ho intesa fin da subito): c’è stata sofferenza, sì (“You knew it still hurts underneath my scars / From when they pulled me apart”), ed è per questo che Taylor non progettava di innamorarsi di nuovo, dopo le delusioni, ma è successo lo stesso, senza che potesse evitarlo. Ecco allora il significato di quel “But what you did was just as dark / darling, this was just as hard”: l’altra persona ha fatto qualcosa di altrettanto terribile di chi l’ha distrutta: ne ha rimesso insieme i pezzi (col rischio, allora, di mandarla in frantumi di nuovo: l’amore, infatti, è ancora visto come un imbroglio).
La melodia è caratterizzata da un pianoforte che ricorda un po’ una dolce ninna nanna: a maggior ragione questo mi fa pensare a un generale senso positivo del brano.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “You knew the hero died, so what’s the movie for” (SPOILEEEER) the lakes
[Taylor Swift … ]
La misteriosa bonus track dell’edizione deluxe che ancora non ha ascoltato nessuno.
#AlcoholicCount: ?
#CurseWordsCount: ?
#FavLyrics: ? PASSED DOWN LIKE FOLK SONGS THE LOVE LASTS SO LONG Da swiftie anziana quale sono, in circolazione dal lontano autunno del 2009 (sì, poco dopo il famoso incidente degli MTV Video Music Awards), non ricordo di aver mai visto un album che mettesse d’accordo — così tanto d’accordo — sia fan che critica. O forse è proprio perché sono anziana che non me lo ricordo, tutto può essere.
Certo, c’è sempre lo zoccolo duro dei detrattori per partito preso, quelli che preferirebbero affrontare il supplizio del toro di Falaride anziché ammettere che Taylor Swift è brava, ma a parte questa schiera di malmostosi, folklore ha riscosso un plauso trasversale.
In questo disco — nato nelle circostanze peculiari di un 2020 ammorbato — c’è tutta l’essenza di Taylor: di una persona, cioè, che ha sempre creato musica per il solo gusto di farlo. Forse è proprio questo il vero punto di forza di folklore: evidenzia come, per qualcuno, creare sia tanto necessario quanto è, per qualcun altro, fruire quella creazione. Questa seconda cosa, la quarantena ce l’ha dimostrata ampiamente: in un mondo per lo più fermo, costretti a una stasi innaturale sia mentale sia fisica e a un’incertezza paralizzante, noi tutti ci siamo rivolti ai creatori di contenuti e alle loro opere: libri, film, telefilm, musica, fumetti, videogiochi. Nei loro mondi di finzione abbiamo cercato non tanto un modo per combattere la noia imperante, quanto, piuttosto, un modo per non… qual è il termine… ah, sì, sbroccare del tutto. Quello, insomma, che si dice nella scena famosa del film L’attimo fuggente, solo che lì lo dicono meglio. Io, da parte mia, ho letto un sacco, più di quanto riesca a fare in condizioni normali, e quelli in compagnia dei libri sono stati momenti di pace di cui avevo un disperato bisogno (ecco perché dicevo che per me la quarantena è stata un’opportunità).
Ed è stato anche un modo per stabilire un’umana connessione, per quanto filtrata dalla pagina del libro, dallo schermo del computer o dalle cuffiette del nostro lettore musicale, impossibilitati com’eravamo a trovarla al di fuori delle mura di casa. Quella connessione virtuale che ha il suo tramite nell’arte, non solo durante i lockdown, è tanto più potente quanto più c’è una vocazione in chi quell’arte la realizza. In piena pandemia Taylor poteva mettersi a guardare video di gatti e a fare la pizza, e invece ha fatto folklore: non tanto per dovere o per contratto, ma per essenza ontologica. Taylor è una cantautrice, non fa la cantautrice. E credo che quest’album ne sia la prova definitiva.
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sangha-scaramuccia · 4 years ago
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FESTA DELL'ESTATE 2021 E ARRAMPICATA AL FORELLO
Sabato pomeriggio ho appuntamento con Donatella e Bea per andare a Scaramuccia per la festa dell'estate. Carichiamo la pandina con l'occorrente per la notte e per l'arrampicata del giorno successivo. Incredibilmente ci entra tutto, anche il mio dolce “moretto” e il buon piatto di melanzane di Donatella.
La strada per andare è breve e, quando arriviamo, qualcuno è già accomodato nel prato. Poco dopo arrivano in tanti, con molti ci si è visti questa primavera, con altri, come Ubaldo o Massimo e Sara è da tanto che non ci si incontra. Li saluto con piacere e incominciamo a sistemarci per la cena e così, tra panche da spostare e pensieri in compagnia, le distanze si fanno più corte e anche con chi non vedevo da tempo mi sembra di avere molte cose da dirsi e da condividere. La tavola si riempie dei piatti che ciascuno ha cucinato, ci sono molte cose dai sapori diversi, io apprezzo tutto naturalmente e c'è pure la birra servita direttamente in un mega catino pieno di ghiaccio e di bottiglie al centro del prato.
Si mangia bene, si beve un po' e ci si sente in armonia, sia con le persone, che con un posto così immerso nella natura. Presto scende il sole e si vedono anche un paio di magnifiche stelle cadenti, ci sembrano quasi fuochi di artificio, e per finire un sorgere della luna a dir poco spettacolare. Certo ferve anche lo spirito del tifoso, visto che in concomitanza sta giocano l'Italia, Lenticchia si è attrezzato con il telefonino e ogni tanto ci aggiorna sull'andamento della sofferente partita, seguita da un capannello di appassionati, che alla fine esultano soddisfatti. Cominciano i saluti, vorrei che tutti si fermassero per il giorno successivo ma alcuni purtroppo non possono. Si rassetta, qualcuno inizia ad andare a dormire e, visto che anche io mi fermerò per la notte, trovo già preparato il mio materassino gonfiabile, purtroppo un po' rumoroso. C'è posto per tutti nello zendo e mi addormento quasi subito. Mi sveglio con la luce del sole e dopo un po' ci si prepara per il caffè e per i Sutra. Per me sono un po' complicati perché è la prima volta che li recito insieme agli altri, tuttavia trovo questo entrare nel flusso di parole insieme al Maestro e agli altri praticanti molto partecipativo e coinvolgente. Ci si prepara per la falesia del Forello perché quelle del Monte Amiata, in passato, sono risultate essere troppo affollate. Anche noi siamo in molti, ci sono: Teresa, Doc, Gloria, Fabrizio, Sara, Massimo, Pietro, Daniela, Beo, Maurizio, Danila, Donatella, Silvia, Marco, Lea, Alvise, Laura, Fabian, Lena, Valentina, Giorgio e Simone.
La falesia è vicina e immersa nel verde e questo fa si che sia fresca fino a tarda mattinata. Sara monta un paio di vie, Alvise e il Maestro le altre più a destra, la falesia è quasi tutta nostra. E' diversa dalle altre che ho frequentato, qualcuno mi dice “queste vie non regalano nulla”, io ho anche le scarpette nuove, mi sale un po' di preoccupazione, ma con la sicura del Principino faccio del mio meglio sulle vie più facili e le pareti “a gradoni piatti” anche nelle prese, nonostante la fatica, mi divertono. Sicuramente grazie anche ai consigli, alle risate e all'impegno nella “lotta con l'Alpe” (Beo è sicuro che al CAI la chiamino così). Io nelle Alpi non ho mai arrampicato ma anche le falesie dei nostri territori mi lasciano sempre piacevolmente stanca e contenta di aver condiviso la giornata con gli altri. Si incomincia a sentire il caldo e così torniamo alle auto e ricosteggiamo il Lago di Corbara per andare a prenderci una birra tutti insieme e mangiare qualcosa. Si sta un po' ai tavoli ma fa veramente caldo e così ci si saluta perché, con le partenze per il mare di alcuni, le camminate di altri e le Dolomiti, con molti ci si rivedrà alla settimana di agosto a Ferentillo.
Un saluto a tutti
Stefania P.
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seinatoconlealipervolare · 5 years ago
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Si può stare con una persona che ami da morire, ma che è completamente diversa da te?
Dicono che scrivere faccia bene al cuore e al cervello. Non so se è vero, ma io ci provo. Tanto ormai non ho più nulla da perdere. Magari mi aiuta a togliermi di dosso tutta questa cosa che non so spiegare e liberarmi per poter studiare e darci dentro per il prossimo esame.
Perchè qui su Tumblr e non su un foglio Word? Non lo so, forse perchè questo è il mio posto sicuro nel mondo e preferisco affidare i miei pensieri a chi (forse) leggerà questo post piuttosto che alle persone che mi circondano nella vita reale.
Per chiunque incontrerà questo post potete pure saltarlo è solo un sfogo mio personale.
Dunque iniziamo, ieri (Domenica 12-07-2020) sono tornata dal mare dopo due giorni di “vacanza” con il mio moroso. Nulla di speciale, ma doveva servirci per prenderci un pausa dalla quotidianità ed essere solo noi 2.
Beh probabilmente se avessi seguito il mio istinto (che ha sempre ragione e che io mi ostino a non ascoltare) e non fossi andata al mare questi due giorni, forse ora sarei felice e starei dando il 100% nello studio per gli esami. E invece mi trovo qua a sfogare la mia tristezza/delusione di questi due giorni che mi hanno fatto capire tanto. 
Quando ho accettato di fare la vacanza “stacchiamo da tutto” (così l’avevamo chiamata) pensavo davvero che sarebbero stati due giorni di completo relax. Ma ho capito che nonostante io ami tantissimo il mio moroso e mi ci trovo benissimo abbiamo due idee di vacanza totalmente opposte che purtroppo (o per fortuna?) non vanno assolutamente d’accordo.
Perchè? Beh perchè la mia idea di vacanza relax è quella di mettermi sotto l’ombrellone in spiaggia, leggere il mio libro e alzarmi solo per fare una passeggiata in riva al mare, un bagno o andare a mangiare. La sua invece è quella di stare 1/2 orette sotto l’ombrellone poi andare a bere qualcosa, o fare aperitivo, andare in un bagno/lido a ballare la musica da discoteca, fare notte tarda, ecc.. Non è che a me non piace andare a ballare o bere qualcosa, ma non sono una fan di tutto ciò. Per me la vacanza deve essere rilassante non uno stress così.
Quindi mi sono trovata al mare con una persona con idee completamente diverse dalle mie, con uno stile di vita diverso dal mio che forse fiche si tratta di uscire 1 sera a settimana (quando siamo a casa) mi va bene e mi ci trovo in sintonia, ma quando si parla di condividerci 2 giorni (o addirittura la vita) mi sta “scomoda”.
Sto cercando di non parlarne con lui perchè lo conosco e inizierei una “discussione” lunga non so quanto che mi rovinerebbe l’umore e non mi farebbe studiare. Perciò ne parlo qua con non so chi, forse da sola. Perchè se continuo a tenermelo dentro scoppio in lacrime ogni 2 secondi. 
Forse sono sbagliata io? Forse ho troppo la testa sulle spalle? Sono troppo matura per la mia età? Io non lo so. Ma la domande più grande per me in questo momento è... Si può stare con una persona che ami da morire, ma che è completamente diversa da te?
Per non parlare degli altri problemi di coppia che se sfogassi ora questo post non finirebbe più. 
Sono sempre stata convinta di essere nata in un’epoca sbagliata, dove l’amore e lo stare insieme non esiste più. Dove un “Ti amo” non ha più importanza e non si da più tempo alle cose. Cosa intendo? Beh io sto col mio moroso da solo 4 mesi e se non fosse stato per me (che frenavo), avremmo già fatto tutto in 1 mese. Già questa vacanza per me era troppo presto. Figurati il resto.
Vorrei restare con lui perchè lo amo, ma vorrei lasciarlo perchè so che col tempo questo creerà solo dei problemi. Mi sembra di stare un po’ in una cosa finta, dove si “manda giù” il male e si fa buon viso a cattiva sorte. Ma questa cosa arriverà a logorarmi. Devo decidermi. E in fretta.
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garkissimo · 4 years ago
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So chi sei e perché l’hai fatto
Finalmente un fine settimana ricchissimo, quello appena trascorso sui migliori canali della tivvù: alla tanto attesa seconda puntata del coming out dell’ormai eroe nazionale dei diritti LGBT ospite a Verissimo segue a sorpresa su La7 un approfondimento da inchiesta graffiante sull’AresGate con Giletti che intervista addirittura Tarallo in persona, altrimenti noto come Lucifero, praticamente estraneo a ogni apparizione tv. Un polittico che contrappone da una parte un nuovo Garko, loquace, prolisso e spesso tendente alle lacrime e dall’altro l’affermato produttore, pacato, dai toni misurati, che però sul finale ricordano quelli della malavita organizzata. 
Tumblr media
Ma andiamo con ordine.
L’intervista a Garko è una discreta palla che un po’ ho pure dormito un quasi monologo ricco di sfumature. A differenza delle precedenti ospitate che ci offrivano un divo misterioso e sfuggente dai mille segreti, qui sviscera con riflessioni e digressioni ogni punto, facendo riferimento anche al suo percorso psicanalitico, di fronte a una Toffanin (distante sei metri come da normativa) che per gran parte dell’intervista se ne resta in silenzio, con una espressione permanente sul volto da “esticazzi” ma che sembra direi anche “fossero tutti questi i problemi Gabriè”. Mentre lui, pur ricordando a ogni piè sospinto che non intende fare la vittima, narra delle sue sofferenze e dei suoi dolori di un percorso che alla fine regala pochi scoop. La storia di mamma e papà che hanno sempre saputo, la negazione per poter lavorare nel settore, i paparazzi ovunque, il rapporto con Eva Grimaldi, Adua con la quale a malapena si incontravano, la sua riservatezza intrinseca e, severo ma giusto, una battuta di profondo sdegno e di buonsenso contro chi nei giorni scorsi lo ha accusato di aver ricevuto cachet stellari per il suo coming out, che alla fine a ogni ospitata televisiva sossoldi e non si capisce perchè queste ultime due debbano fare eccezione (Selvaggia Lucarelli, per caso vai a fare ballando con le stelle a gratis? Eh??). 
A un certo punto la Toffanin (che per lo più pare davvero disinteressarsi dell’andamento dell’intervista) interviene con toni sobri: “Sì va bene ma tu hai mai avuto degli amori tuoi? O hai del tutto ucciso te stesso?”. Segue emozione di Garko, un sorso d’acqua dal bicchiere, silenzio, turbamento, lacrime, Garko invoca la pubblicità, lo sa che ora può parlare ma non ce la fa, è più forte di lui. Mentre lei hai ripreso la sua posizione da sfinge e se ne sbatte. Qualcosa di più esce, un fidanzato di 11 anni che finge di essere solo un amico e di abitare in un altro luogo anche agli occhi della governante di casa Garko (giuro, dice veramente governante), la storia con Gabriele Rossi che ora è finita e una storia che sta muovendo i suoi primi passi ma insomma anche qui sbadiglioni interrotti solo dal momento comico in cui lei poi citando il libro di Garko uscito qualche tempo fa ricorda tra le altre cose “alcuni pregiudizi in merito alle tue capacità di recitazione da parte della critica”. Alcuni.   
Certo, con un’ingenuità che va ben oltre l’ingenuità standard Mediaset e che la Toffanin tenta di arginare, ma con un modo anche tutto sommato decente che ci dice “nessuno mi ha costretto”, Garko accenna i contorni di una tassonomia dei mestieri dello shobiz sui quali sia stata sdoganata l’omosessualità e quali no: il cantante sì, il calciatore no, e via discorrendo. Del resto, aggiungo io, così a bruciapelo vi viene in mente il nome di un altro attore italiano dal successo nazional popolare che sia omosessuale dichiarato?  Perfino la Toffanin cede e si trova a citare il triste destino di Rupert Everett. 
Si conclude chiedendo a Garko, che è poi la questione che ci sta più a cuore di tutte, se questo suo coming out inciderà sui ruoli che interpreterà in futuro (su questo vorrei anche rimandare i lettori ad approfondire la posizione del manzissimo Darren Chriss in merito), e se si orienteranno più su personaggi etero o gay: non so se mi ri offriranno parti come quella di Tonio Fortebracci dice lui (e questo ci getta nella disperazione, ndr) ma del resto ho già interpretato ruoli di omosessuali come ad esempio - interpretazione fantastica ci tiene a sottolineare la Toffanin - nelle Fate Ignoranti. E qui chiuderei, rimembrando l’unica interpretazione del nostro beniamino veramente degna di questo nome, che però, ricordiamolo, credo sia racchiusa tutta in 3 battute da malato terminale che per gran parte del film giace su un letto o atterrito sotto la pioggia.
Ma per svegliarci un poco spostiamoci nello scoppiettante studio di Giletti dove lui ci attende con l’espressione delle inchieste più serie e delicate! I più attenti ricorderanno che dopo le dichiarazioni di Adua del Vesco - alias Rosalinda - e quell’altro del grande fratello vip, gravissime come ricorda Giletti stesso, che lanciavano come petali dalla finestra accuse di sequestro di persona, plagio e istigazione al suicidio, si erano susseguiti in settimana pareri autorevoli divisi a squadre: Manuelona nostra e nientepopodimeno che Ursula Andress si erano levate sdegnatissime in favore della generosità e integrità di Tarallo, Giuliana de Sio e Nancy Brilli avevano solo lievemente preso le distanze dal modus operandi della Ares sottolineando come non avessero poi granchè piacere a lavorarci e il buon Francesco Testi, meglio noto come Renè Rolla dei nostri cuori, ha fatto una sintesi brillante tipo l’amico un po’ regaz dichiarando che finché la regola della casa di  produzione era di scopare in giro senza fidanzarsi a lui era andata poi bene, ma che lui poi è una persona quadrata e quindi non teme condizionamenti. 
E a questo punto arriva in tivvù Tarallo, insignito da Giletti del titolo di Re delle Fiction. Tarallo che viene da una famiglia devota a Padre Pio, Tarallo che ha fatto il coming out a 14 anni, Tarallo che è in studio solo per onorare la memoria del suo compagno Teodosio Losito. Losito che, ricordiamolo, prima di questo momento era stato seppellito con una certa furia nei campi dell’oblio, e solo noi  e pochi altri ne sentivamo una struggente mancanza.
Tarallo che accompagnato passo passo da Giletti costruisce una narrazione di sé di vero e proprio, generosissimo, benefattore di tutti gli attori, nel ridente contesto di Zagarolo che, tra ville di attori famosissimi, dependance di Vip e Vippissimi, santo cielo vi prego qualcuno mi ci porti. Lui ha sempre fatto il bene di tutti, aiutando, formando, lanciando, offrendo lavoro, seguendo e consigliando, facendo anche da supporto psicologico, senza mai obbligare nessuno. Lui insieme a Teo, si capisce, che era l’animo più sensibile. Quasi mai contrasti con nessuno, solo una volta “Quando diedi ad Adua e Morra da leggere Il Giovane Holden e  Il piccolo principe” (faceva parte della formazione a quanto pare, che bellissimo) e mi prendevano in giro fingendo di averli letti” (capre!!). Una immagine questa poi confermata da 3 attori che interverranno dopo in studio per raccontare la loro esperienza con la Ares e osannare Tarallo. Si difende con sdegno dalle accuse ricevute e infila su Adua una serie di affermazioni che la fanno uscire, così cos,ì come una psicolabile diciamo. 
E poi. Poi si prepara per il gran finale. Cioè dopo aver tenuto per tutta l’intervista un tono mediamente sobrio, un modo affabile e pacato da professionista della TV, mette la freccia e supera a destra Garko e il picco trash della lettura della lettera ad Aduarosalinda.
Sempre spalleggiato da Giletti, si alza e tra le lacrime, con alle spalle una foto di Teo, legge la lettera che Losito gli ha scritto poco prima di suicidarsi. Così, senza motivo, se non per difendersi dall’accusa gravissima lanciata da Auda. Ma no, non è Adua, Adua è solo uno strumento: è stata plagiata poverina che è mezza instabile, dietro a lei e a Morra c’è una macchinazione di una persona che si muove contro di lui. 
E quindi infine, con uno sguardo degno del migliore fetuso, sibila "A questa persona voglio dire: “So chi sei e so perchè l’hai fatto. Chi ha distrutto Teo non distruggerà me, perchè io sono più forte”. 
Cala il sipario. E forse questo climax è il miglior omaggio a Losito in cui potessimo sperare. 
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thedeathofthemoon · 4 years ago
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Ci ho pensato molto. Credo sia stato inevitabile: sai, tra la quarantena e tutto il resto per riflettere c'è stato tanto tempo. Non credo mi sentirai più, per questo non temere. Ho semplicemente deciso di sbattermene un po' il cazzo. Sai, ho constatato che attorno a me c'è molto egocentrismo; siete in molti a credervi al centro dell'universo, chi consciamente e chi no. Vi sbattete delle emozioni degli altri come se per voi non avessero mai contato niente, le calpestate convinti di averne diritto. Ho creduto che non fosse importante, che avrei potuto passarci oltre. Ho sbagliato, perché questo non sarebbe stato segno di forza; non lo è mai mettersi in secondo piano e nascondere i propri pensieri. Dicevo, per queste ragioni ho deciso di sbattermene un po' il cazzo: se d'altronde è d' egocentrismo che si campa, penso di potermi permettere di comportarmi nella stessa maniera. D'altronde, a causa delle svolte che hanno preso ultimamente per me i rapporti umani che ritenevo importanti, credo sia inevitabile che io mi facessi qualche domanda. Me la sono fatta e, anche se non sempre ho trovato risposte, ho riflettuto molto. Ecco, questi pensieri non voglio più tenerli per me. Mi sono proprio rotta il cazzo di farlo. Nessuno ha avuto particolari attenzioni per me, e non vedo perché io dovrei averne. Li sputo come veleno e me ne libero. Non voglio più avere simili tarli dentro me; e voglio che sia chiaro: lo faccio per me, e per nessun altro.
Per me sei stata importante. Non voglio dire che tu lo sia stata dal primo istante, ma quasi. Indubbiamente lo stato d'animo con cui ero costretta a convivere ha fatto la sua: naturale, mi sono sentita un po' meno sola, compresa. Uno dei classici errori che commetto da una vita, nulla di personale.
Comunque sia, credo che per quanto questo possa aver giocato in modo forte soprattutto quando ti conobbi, non sia mai stato solo questo. In qualche maniera ti ho conosciuta, sempre più; mannaggia a me e al mio affezionarmi tanto, consapevolissima del dolore che poi ne scaturirà. Però ero convinta di quel che facevo, questo te lo concedo: in fondo, ho sempre saputo che per te avrei sofferto. Credo sia nella tua indole, e forse un po' anche nella mia: sotto questo aspetto assomigli molto alla me di qualche anno fa, una me che tu non hai mai conosciuto. Probabilmente è stato meglio così, ti sei evitata un gran caos: hai sempre espresso il tuo desiderio di ascoltarmi parlare, ma in fondo non credo tu lo abbia mai voluto davvero. Probabilmente te ne saresti andata prima.
Ad ogni modo, questo non è importante. Sai, pensandoci un po' sono giunta alla conclusione che, se realmente mi hai voluto il bene che dici di avermi voluto, questo era in verità indirizzato alla persona che credevi che io fossi; all'idea che avevi di me; alla compagnia che io ti davo. Non a me, mai a me. Se per me addormentarmi assieme a te ed al rumore della pioggia aveva una certa valenza, abbracciarti o far qualche cagata in giro, per te ne ha sempre avuta un'altra. D'altronde, sei sempre stata più furba: hai fatto in modo che non rimanesse niente. Non hai visto casa mia, non hai conosciuto i miei fratelli, non hai visto chi c'è stato né i luoghi in cui son cresciuta. Nulla. È stato facile dimenticarsi di tutto vero? É stato facile dimenticarmi, vero? Certo che lo è stato, non so nemmeno come io abbia potuto anche solo pensare che ti importasse tanto.
Ad ogni modo quel che stato è stato, è andata, e d'altronde è inconcludente prender parte a questo giochino del cazzo del "ma io" e del "ma tu". Di errori ne son stati fatti, io son stata troppo buona e tu troppo stronza. Questo non si può cambiare.
Mi hai chiesto di avere un buon ricordo di noi, ed ancora non ho ben capito il perché. Che ti importa di ciò che penso, se non ti sei curata nemmeno di come stessi? È un gran paradosso.
Ad ogni modo, ho smesso di chiedermelo tanto frequentemente. Questo è un bene.
Ecco, ciò che credo esser davvero cambiato in tutto questo sono io e la mia visione delle cose: ho messo da parte tutto ciò che pensi o potresti pensare tu, ed ho iniziato a chiedermi cosa pensassi io. In fin dei conti, se un ricordo è tutto ciò che resta, vorrei che restasse mio, mio e basta.
Questo processo mentale, sarò sincera, non è durato poco. Liberare la mia mente da te è stato come disintossicarsi. Ha fatto male, ma è stato indispensabile.
Il problema è che parte di te è rimasta in me. Nel cuore come si suol dire, nell'anima, e questo mi faceva arrabbiare. Mi sarei squartata la carne per tirarti fuori da lì, avevo schifo di me.
Ora, capace di scindere mente e corpo, non me ne frega più un cazzo: ho capito che non posso farci niente. Sei stata importante per me e, in questo caso, possiamo pensare che io abbia sbagliato a lasciare che io mi affezionassi a te; una volta però che questo è accaduto, eliminare ciò che è stato risulta impossibile.
Ecco, ciò che penso di quel noi e di quel che ne è stato l'ho impresso sulla pelle: scuro e ombroso, poco chiaro.
Come un segno sulla pelle rimarrà sempre in qualche modo ma, se prima era un rimando a tutto quell'affetto, ora non è più nulla. È nero, il vuoto e la sua paura. Horrorvacui.
È un punto da cui ripartire, che non si cancellerà andando avanti ne tornando indietro. È un punto di non ritorno.
Ecco, per me tu sei questo: una stronza, egocentrica per cui avrei dato l'anima. Avrei. Ma in fondo, hai sempre avuto ragione dicendo che non torno mai. Non so fidarmi di chi mi ha tradito.
Sono oramai stanca di essere presa per il culo.
Non mi importa se ci godi nel farlo, divertiti pure, ma bada a temere queste cazzate lontane da me.
A tal proposito, sono felice se con ***** ti trovi bene, se siete amichette o tutto quello che volete. Una cosa però voglio proprio dirtela: se anche solo una briciola del vostro rapporto è tenuto insieme dalla rabbia nei miei confronti, così come d'altronde appare, non posso che provare pena.
Anche rabbia certo, ma quello è affare mio. Sono molto gelosa della mia rabbia, nulla di personale.
Sai, avevi ragione quando dissi di trovarmi cambiata. Quel che forse però non compresi è che quel cambiamento era indispensabile. Io non potevo morire, dovevo cambiare. L'avresti accettato se mi avessi voluto bene davvero, credo. Io l'ho fatto.
Al di là di questo, una cosa vorrei dirtela: smettila di fare la stronza, perché non ti resterà nessuno; e ti garantisco, c'è chi avrebbe voluto starti a fianco. Ma l'hai cacciato via.
Io non credo che tu sia veramente una merda tale ti comporti. Ma ciò non toglie che ti comporti da tale. E questo, purtroppo, non lo posso cancellare, non potrò mai. Mi sono illusa che tu fossi diversa, e mi son sbagliata.
Ti auguro però di riuscire a guardare al di fuori di te stessa, prima o poi. Sai, il mondo è molto più grande di te. Magari riscoprirai anche delle cose belle, che ne sai. Magari troverai nuovi amici, farai nuove esperienze. Te lo auguro.
Tutto sommato ti auguro buona fortuna. Cioè, prima spero ti torni indietro parte del male che hai causato, affinché tu possa acquisire consapevolezza. Dopo di che, ti auguro una buona vita.
Ti ho voluto tanto bene, sorella mia.
Anche se sei una figlia di puttana te ne ho voluto.
Mi manchi ma fanculo.
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ribbit-darthvalz · 4 years ago
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Polvere viola
“Mi chiedo come sia sopravvissuta... è sicuramente una strega... non ho altre spiegazioni altrimenti.” “...aiutami, mettiamola sul tavolo” Una folata d’aria gelida, mi trapassò da fianco a fianco, sentii mani calde sollevarmi, con una rigidità e una cura quasi religiose. Poi il legno del tavolo, mi bruciava, delle parti di me bruciavano con un intensità tale da farmi gridare. Anche gridare era doloroso, sentivo le corde vocali stridere, come se le stessi portando allo stremo, c’era come della ruggine nella mia gola. Un sapore disgustoso e terribile mi raggiunse la lingua, era sangue, ed era lì da un po’, come se non avessi respirato o deglutito. Il fuoco tornò a riempirmi i pensieri, sentivo le fiamme avvolgermi la gamba e forse anche il braccio destro, forse era la schiena. Aprire gli occhi mi costò altre urla, poiché la poca luce che c’era, mi fece aggrottare la fronte e percepii delle cicatrici, o forse croste, sul viso che venne tirato di conseguenza. Ma niente era come il fuoco che sentivo sul corpo.  Potevo vedere benissimo il cielo, era notte, le stelle iniziavano a comparire sopra di me, non feci troppo caso alla neve sulle cime degli alberi, o attorno a quelli che erano i resti di un camino e le assi di legno che una volta componevano le pareti della casa. Era buio, freddo, ma bellissimo, quando realizzai che poteva essere inverno, mi forzai di non sentire il fuoco che mi avvolgeva. Di fatto poco dopo sparì. 
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“Ci dispiace signorina, non abbiamo potuto fare niente...” La voce di prima mi sorprese, ma non riuscivo a muovere il collo, una forte fitta alla schiena me lo impediva, ora sentivo quel maledetto braccio destro, pesante, stanco, non morto, ma nemmeno felice di muoversi, e il collo con lui.
 “Oh dio, scusa... ecco sono qui. Non puoi vedermi se sto di qua...”
Sentii dei passi prima dietro, cioè all’altezza della mia testa, poi al fianco e in fine un’ombra sovrastò il viso, senza però coprire il cielo. Era un ragazzo dalla faccia simpatica, sembrava il tipico eroe puro e un po’ ingenuo. Faccia da brava persona, naso di una certa importanza, barba media e curata, i capelli corti ma non troppo da essere radi. Evidentemente lo stavo guardando con troppa insistenza, tanto che sgranò gli occhi esclamando “Ti prego, sta calma, non siamo qui per farti del male... giuro”
“Se avessi voluto farmi del male, adesso ...” Mi bloccai a metà, la mia voce era diversa, la cosa mi fece raggelare. Vidi esitazione nel suo volto, scrutò una parte della casa che era fuori dal mio campo visivo, era in difficoltà, provai pena per lui. Ero così stanca da non riuscirmi a preoccupare per me stessa. Provai a richiamare la sua attenzione muovendo una mano nella sua direzione, afferrargli il giaccone di pelliccia era l’intento, nella realtà si accorse di me perché iniziai a soffrire come un cane. Inspirò profondamente. Mi guardò, provai ancora dispiacere per lui, chissà chi era e che incontro crudele doveva essere stato questo.  “... Siamo a fine Novembre. Ti abbiamo trovata questo pomeriggio, non sappiamo da quanto tempo tu sia qui, come vedi ha nevicato e questa baracca è andata distrutta dopo solo Dio sa cosa.” Si fece un po’ più indietro, si spostò appoggiandosi al tavolo, in modo che potessi vederlo bene. 
“Sono quello che chiameresti babbano o no-mag, non magico. Però mi occupo di occulto, sai chi vive su questi monti è molto abituato ad avere a che fare con cose strane... pensiamo che tu sia entrata in contatto con quello che molti chiamano baubau, o uomo nero, insomma hai sicuramente sentito parlare di questa leggenda.”  Ci fu una sferzata d’aria gelida, socchiuse gli occhi infastidito, io rimasi muta ed immobile. La porta, o qualcosa fatto di legno, sbatté lontano da entrambi, successivamente sentii dei passi, più pesanti e affrettati.  “Ah... finalmente sei tornato... bravo accendi il fuoco, ne abbiamo bisogno” “... e lei... è sveglia? dovrebbe esserlo dai, ho fatto tutto quello che ho potuto per ...insomma scongelarla... o qualsiasi cosa abbia fatto a se stessa” 
La voce del secondo uomo aveva un accento molto diverso da quello vicino a me. Mentre parlava, lo sentivo fuori campo che spezzava legna e l’accatastava non poco lontano da dov’eravamo. 
“Sì Sandro, è sveglia... però le stavo raccontando una cosa un po’ seria. Tu finisci con il fuoco e io col racconto...” La stizza del ragazzo mi fece divertire. Colui che rispondeva al nome di Sandro, rispose facendo una serie di rumori infantili, tipo “gne gne” 
“Scu-scusami... volevo essere serio e darti una risposta credibile, che ti lasciasse tranquilla, mi dispiace.” si sfregò le mani per scaldarsi. Solo allora notai che le sue labbra si erano inscurite e tremava tantissimo “Mi ricollego a quello che ha detto il mio collega... ti abbiamo trovata in questa catapecchia ed era come se il tuo corpo si fosse congelato, o boh, fatto sta che il cuore non era fermo fermo, era solo... lento... credo”  Guardò verso il compare e una luce gialla e calda gli illuminò il viso. Sentii un leggero caldo pure io, quasi impercettibile.  “Penso che tu lo sappia, in Italia la magia è cosa più comune di quanto non si dica. Ci sono tipi di magie, attività magiche... sì, diciamo così... che possono essere tramandate o imparate. Sandro ha provato a scongelarti o insomma... farti tornarne qui, con le tecniche che ha imparato dalla sua famiglia. Ha usato una pozione, diciamo...”  Una mezza risata si levò dal centro della stanza.  “... da quando le pozioni si danno nel costato tipo pulp fiction ... “ La cosa mi sorprese, ma evidentemente non sapevano come darmi quella roba che mi aveva riportata vigile.  “Eh sì insomma... fatto sta che hai tantissime ferite ed evidentemente sei rimasta in quello stato per diverso tempo, te ne sarai accorta dallo sforzo che hai fatto nel provare a parlare o anche solo urlando. Sfortunatamente sei finita in un postaccio, non so dove stessi andando... anzi, temo di saperlo, ma penso anche che tu non abbia vissuto niente di reale negli ultimi mesi... almeno le poche cose che ricordi, non credo siano vere...”  “Ma scusa, falle vedere il volantino che ho trovato, no!?”  Il ragazzo si illuminò e un po’ parve confuso, rovistò in una delle tasche interne del giaccone e mi mostrò una pergamena di scomparsa.  “Già... è del tuo mondo.” vedere la mia foto dell’ultimo anno di scuola, che si muoveva, ad un palmo da me, mentre io nemmeno riuscivo a parlare, mi fece lacrimare silenziosamente. 
“è di questa estate... il ministero ha contattato ehm.. beh, siamo tipo dei ranger, cioè definirci maghi sarebbe troppo... insomma ha contattato noi esperti del luogo e di queste creature, poco dopo la tua scomparsa...” 
“La parola giusta sarebbe, coglioni che non si fanno i cazzi propri e vanno a rovinare la festa a casa del Baubau... ma meglio di no, qui sono superstiziosi nel pronunciare quel nome” Sandro si intromise e sentii la sua voce farsi più vicina, per poi fermarsi al lato opposto del tavolo. Prese l’unica sedia che c’era e si sedette come se niente fosse.
“Quindi... è iniziato dopo il diploma... mi ha presa prima che iniziassi...” provai a dire due parole, la gola raschiava meno e forse il mio corpo bruciava meno, il braccio mi pesava così tanto che non riuscii a concentrarmi a dovere.
“Il tirocinio, iniziassi il tirocinio, già. Le ricerche sono partite dal ministero, poi si sono spostate nella sezione del nord, questa qua, dove saresti dovuta arrivare tu. Veniamo da quelle zone, la comunità magica e non magica vivono a stretto contatto, c’era un gran vociare sulla sconfitta di quel mago cattivo e sull’arrivo di qualcuno dell’accademia di magia. Una sparizione così, per una persona tanto attesa, ha fatto pensare al peggio subito...” Il ragazzo mi parve più rilassato, sicuramente meno infreddolito. 
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Sandro si intromise, aveva un tono tranquillo ma sicuro non andava preso alla leggera. “Poi non ti abbiamo trovata subito, perché il bau-bau è un gran burlone e nasconde tutto a tutti. Un po’ brutto come primo incontro con un criptide. Ogni cosa può essere piegata alla sua volontà e le leggi della magia moderna, non funzionano con lui. Ti spiego, per contrastarlo, anche solo in cose minori, come piccole manipolazioni della realtà, siamo dovuti ricorrere ai libri di sua nonna...” La risata stavolta non venne da Sandro “non mi ci far pensare... una volta i rituali, anche solo i sigilli, venivano tramandati in modo segreto. Ho dovuto leggere appunti su appunti su come fare la polenta, e tutti i tipi di polenta esistenti all’epoca, per estrapolare qualche informazione sui sigilli di protezione e su come una volta si riparavano da questa minaccia...” Il suo viso tornò a farsi scuro. “Certo Vale, abbiamo avvertito i soccorsi e presto una squadra del ministero sarà qui...mi dispiace se provi tanta paura... lo so”
Sandro batté una mano sul tavolo “Non la toccare! ah-ha! Sai che non puoi usare i poteri su di lei, non sappiamo se una traccia del nostro amicone è ancora dentro di lei... potrebbe farti sentire o vedere cose che non sono mai esistite...” Si sporse e lo vidi in viso per la prima volta, una facciotta rotonda, allegra e resa ancor più gioviale dalle guance rese rosse dal freddo, ma le sopracciglia erano aggrottate in un’espressione di preoccupazione e disappunto.  “Tu non le hai pensate quelle cose, vero. Non gli hai chiesto...” “No. Non so di cosa parla...” Dissi con un filo di voce.  Sandro continuò a parlarmi, lanciò uno sguardo al suo compare e in tono consolatorio disse “Vedi, il nostro caro amico Furio è nato con un potere a metà tra il tuo mondo e quello babbano. Peccato che il buon cuore lo renda terribilmente stupido!” Tuonò, più in senso amichevole, quasi per tirarlo su di morale stuzzicandolo che per rimproverarlo. “Può leggere nella mente delle persone e vedere i loro ricordi, ma solo se le tocca. Oltre a ciò riesce a percepire la paura delle creature, come dire, piccole... indifese, insomma tipo te ora”.
Furio rimase distante, guardava il fuoco, probabilmente. “Già. Io sono di queste zone. Non sai quante volte, da piccolo, sentivo cose che non potevo comprendere, bambini portati via da quel mostro terribile, sentivo la loro paura, anche se vivevo in città e non in questa foresta. La paura dei bambini per l’uomo nero... speravo di non sentirla più...” “Quindi, brutto cretino, sai anche che rischi corri se entri in contatto con una persona come lei, che le ha resistito.” ci fu una pausa “E tu non solo gli hai resistito... chissà come, hai trovato il suo libro. Sei l’unica che torna indietro con questo” Mi mise davanti agli occhi una sorta di giornalino pieno di macchie d’inchiostro. “Il libro dei cuori perduti, o dei cuori neri. Si dice che sia il mezzo con cui il Baubau si metta in contatto con le vittime, però poi sparisce con loro. Questo fatto è singolare, sicuramente aiuterà quelli del ministero a fare luce sulla faccenda...” “Ma puoi tenerlo... così...” Chiesi, un po’ sorpresa dalla semplicità con cui lo teneva in mano.  Solo allora mi accorsi che le sue mani erano completamente segnate di viola, c’erano dei disegni su ogni falange, sul dorso della mano e anche sui palmi. Evidentemente Furio notò la mia faccia incuriosita e sollevò un braccio, tirando su la manica della pelliccia.
 “Prima di entrare in questa foresta, ci siamo dovuti far segnare questi dalle vecchiette dell’ultimo villaggio vicino, quello mezzo magico. Usando le informazioni dei libri di mia nonna e la loro conoscenza. E come noi, anche le altre squadre di maghi, altrimenti saremo finiti tutti come te” Il suo braccio era pieno di rune a me sconosciute ed altri simboli intricati. 
“Poi io ne ho molti meno perché non ci credo a questo mostro farlocco, ah-ha. Che si palesi come fece l’uomofalena, quello sì che è un signore...” C’era una nota di fierezza nella voce di Sandro, ma anche tanta voglia di smorzare gli animi. Mi strappò una sincera risata “...l’uomo falena... il mio preferito..”  sussurrai esausta ma molto più presente a me stessa. Ormai quei due mi avevano incuriosita abbastanza da farmi sentire un po’ più al sicuro, quindi dentro di me si accesero altre necessità, necessità da persona viva e cosciente, dopo tanti mesi. Feci uno sforzo enorme ma con uno scatto che sembrò più uno spasmo, sfiorai una delle dita di Furio.  “Devo sapere... scusa” Sentii la mia energia rinvigorirsi, come un fiume che torna a sgorgare. Non era giusto intrufolarsi nella mente di una persona che aveva poca dimestichezza coi propri poteri, anche meno potente di me, dato che babbana, però parlare mi stancava davvero tanto, volevo sapere tutto sul Baubau. Appena lo toccai, sentii che la mia energia veniva come strappata, afferrata di forza da qualcos’altro, era la sua mente affamata di ricordi.
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Ero così arrabbiata... mi accorsi che ero arrabbiata, solo quando mi vidi riflessa nei pensieri di Furio.  Quella creatura teneva sotto scacco la foresta da secoli, c’era una zona nera, come il triangolo delle bermuda, in cui tutto svaniva, niente poteva giungervi e fare ritorno, la magia per spostarsi non funzionava, anche alcune bacchette davano problemi. Vidi un mare di alberi neri, diventare rossi sotto la luce del tramonto, poi fogli, inchiostro, un bambino che gioca nel giardino di una vecchia casa. Un’anziana lo tiene d’occhio mentre stende il bucato. Era tutto silenzioso e avvolto da un’aura stranamente pacifica. Non si muoveva una foglia, in quel pomeriggio, ma niente faceva pensare che fosse normale.
Una lunga ombra serpeggia sul prato ma il bambino non se ne accorge. Un fuoco altissimo, di colpo, con lingue blu e viola, si alzano dal prato a due passi dall’ombra che sta per schizzare fuori dall’erba, sta per farsi viva, ma non ci riesce.  “Tornerò a prenderlo... o lo farà la foresta per me...” Ulula la bestia, sgusciata fuori dalla sua tetra dimora, sfruttando l’ombra degli alberi, la giornata che va a morire. Una donna, rossa come il sole che la illumina, tiene stretto il bambino. “Vorrà dire che ogni cosa brucerà”  Anche l’anziana accorre e la donna gli porge il bambino che viene subito riportato in casa. Intravedo della polvere viola sulle imposte della vecchia casa, poi tutto diventa velocissimo e non posso controllarlo, posso solo guardare e stare in silenzio, aspettare il momento in cui vorrà mostrarmi qualcosa di rilevante, ancora.  Scatoloni, polvere, fogli, inchiostro, tanto inchiostro, giocattoli, sorrisi, una città, alberi che diventano palazzi, cielo azzurro e spensierato che diventa grigio e plumbeo. Tanti ragazzini, tanta solitudine, verifiche, errori, altre risate. Un viaggio, una ragazza, un anello. Poi nuovamente tanti alberi, il fumo di una casa di legno, un camino, della tecnologia babbana, tante persone allegre, diverse tra loro, ma sembrano stare bene insieme. Un villaggio pacifico e pieno di maghi, di colpo fogli, altri fogli, inchiostro. La mia foto. Il buio del bosco, quel prato dove l’ombra apparve, la veranda della nonna, ormai vuota. Polvere viola, sigilli, fuoco.  Un’auto, la mia auto, viene ripescata da un lago ormai ghiacciato. E’ mezza fuori, come nei film thriller. Il cuore quasi mi si ferma. Camminano nella foresta, tutto è estremamente pesante, fa freddo, sembra che il sole non sorga mai. Trovano la mia bacchetta vicino ad una roccia piatta, ha sopra dei simboli che non ho mai visto, che ci fa lì... non ci sono mai stata. La marcia continua, il sole sorge ma per pochissimo. Qualcosa li attacca, piccoli esserini neri, come gatti estremamente magri e spigolosi. Sandro gli tira contro delle ampolle, uno salta sul suo braccio ma appena tocca i sigilli, si polverizza.  Una scossa percorre Furio e la sento pure io, che sensazione terribile, come se qualcosa ti tirasse dai piedi e ti trascinasse sul fondo di un lago ghiacciato, come svegliarsi nel cuore della notte e vedere qualcuno sul proprio letto per poi scoprire che è solo un cumulo di vestiti da lavare.  Dopo poco il mio corpo. Mi viene da vomitare. “Smettetela adesso o vi taglio le mani!” Un clap mi riporta alla realtà, Sandro ha tirato uno schiaffo all’amico per interrompere il nostro collegamento, io vengo sbalzata fuori come se lo avesse tirato pure a me. 
“Signorina ce l’ho anche con te... non ti posso prendere a schiaffi solo perché sei a tanto così dalla morte”  Furio intanto scuote il capo e si lamenta “Potevi anche allontanarmi di peso, non importano gli schiaffi ora...”
“Ho come l’impressione che non sarebbe bastato, e poi te lo meriti, così impari a trascinare gli altri dentro di te... ti avevo detto di non farlo, o sbaglio!?”  Sandro è molto stizzito ma si capisce che la sua è sincera preoccupazione da amico più che altro. 
“Volevo solo che vedesse... è entrata e non..” mi lanciò un occhiata stanca e un po’ dispiaciuta “Non ho potuto fare a meno di usare la sua energia, i suoi poteri, per, per... non lo so” rimase distante da me, quasi a scusarsi.
“Visto!? Non sappiamo nemmeno come funzionano i tuoi poteri, almeno non fino in fondo. Poteva succedere qualsiasi cosa... vieni qui tu! Sta ferma mi raccomando!” Mentre Sandro rimproverava Furio, lo sentii mettermi un braccio su entrambe le cosce, per tenerle immobili. Estrasse qualcosa da una borsa che prima non avevo notato, simile a quelle vecchie di pelle, quelle dei dottori per intenderci. Subito dopo ci fu uno sparo. Urlai, o meglio, aprii la bocca cercando di far uscire un suono, ma non uscì niente poiché contrariamente a quanto mi aspettavo, non sentii alcun dolore.  “Smetterò di entrare nella testa delle persone o insomma, usare questi poteri a caso, quando TU smetterai di sparare le tue pozioni sulla gente SENZA AVVERTIRE!”  Sandro rise di gusto, con in mano quella che era una pistola ma che ai miei occhi stanchi sembrava boh, un paio di grosse forbici da dottore, o una cosa del genere. All’affermazione di Furio mi feci un po’ più preoccupata, sentii la tensione ma anche l’adrenalina che circolavano in ogni parte del mio corpo, percepivo il freddo pungente e la faccia non mi faceva così male, quel colpo mi aveva fatto sicuramente bene, la mia gamba non andava più a fuoco.
“Bene mia cara, ora non sentirai alcun dolore, per le prossime ore. Però non significa che tu sia guarita, ma almeno potrai riposare... ora ti do questo che dovrebbe aiutarti con la gola, poi penso a ripulirti le bende e ti sistemo un po’ per farti trasportare al meglio dai tuoi amici.” Prese una vecchia coperta e me la mise sotto la testa, riuscivo finalmente a vedermi i piedi senza nessuno sforzo, avrei preferito non vederli, ma almeno in quella posizione mi era più facile parlare con loro due e prendere la pozione, che sembrava più uno sciroppo per la tosse mescolato con la vodka, che mi passò Sandro poco dopo.  La gamba che sentivo in fiamme, aveva ogni ragione per esserlo. Riuscivo a vedere quello che penso fosse la mia rotula, mentre attorno la carne era rossa e viva come non mai, però Sandro riusciva a sdrammatizzare abbastanza mentre mi cambiava quella porzione di bende. Ero scalza, mi avevano trovata coi vestiti strappati e induriti da un mix di sangue e neve. Quando mi avevano messa sul tavolo, prima ero stata fasciata e cosparsa di unguenti, rimedi insomma, pseudo magici, poi avvolta in una sorta di lenzuolo con sopra una coperta termica. Le mie cose erano state ritrovate nella mia borsa, a pochi metri dal mio corpo. Anche se era territorio del Baubau, quei due erano così tranquilli, affiatati tra loro, e propensi a stuzzicarsi e prendersi in giro, che la mancanza di un soffitto per quella baracca nella foresta, era poca cosa. Sprigionavano calore familiare, accoglienza, sicurezza.  “E così il tuo ex ragazzo era un vampiro... che storia... non ero sicuro esistessero. Dev’essere stato terribile...” Mentre mi cambiava le bende, Sandro chiese a Furio di disegnarmi sulle braccia gli stessi simboli che avevano pure loro, quindi per tenermi sveglia iniziò a chiedermi cose sul mio vissuto. Il suo sciroppo magico alla vodka, dopo una prima fiammata alle corde vocali, sembrò ripulirle dal tempo e dal sangue in un istante. Quindi attaccai subito con la mia instancabile parlantina, un po’ per rimanere presente a me stessa, un po’ per esorcizzare le cose che mi aveva fatto vedere quella bestia. 
“Mh, pure della peggior specie. Non posso nemmeno impalarlo” sbuffai “Sapete, nel mondo magico i vampiri sono accettati, tanti si sanno contenere, ma tanti altri ancora sfruttano gli umani... come fossimo inferiori”
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“Il mondo è molto più complicato di come lo descrivono nei libri per ragazzi, eh vabbè” Sandro fece spallucce riferendosi alla famosissima serie di libri, che per tanti babbani sono pura fantasia. Sistemate le mie bende, rimise le sue cose nella borsa e si spostò verso il fuoco, ormai ero sicura fosse alle mie spalle, vedevo la sua luce proiettata in ciò che rimaneva del muro di legno, davanti a me. Furio stava ancora disegnando rune, così assorto che non parlava già da un po’. “Quindi, tua madre è una strega...” sussurrai, pensando alla donna coi capelli rossi, le fiamme blu e viola, su quel prato nei suoi ricordi.
 Alzò lo sguardo dal mio gomito e mi guardò come se non avesse capito bene ciò che avevo detto.  “Penso di sì...” sospirò e si guardò attorno un po’ incerto. “Non lo so, sono cresciuto in città, non ricordo bene come fosse qui quando ero piccolo... scusami, ho cercato di fartelo vedere per... non so, forse speravo che avresti potuto dirmelo tu.”  Erano passate ore, il cielo era più sereno, e mentre mi parlava pieno di incertezze, iniziammo a sentire rumori strani, come di pentole che vengono sbattute. Più si avvicinavano più suonavano familiari.  “Schiantesimi?!” borbottai, aggrottando la fronte, che iniziò a pizzicarmi per il freddo. “Beh la fuori è pieno di quei cosini scemi, qua non possono entrare, tranquilla, ma se i tuoi amici sanno come farli saltare in aria... beh, non mi metto a piangere, anzi”.  La risposta sarcastica di Sandro, mi distrasse completamente dalla conversazione che stavo avendo, e sentii il calore della salvezza, credo, invadermi il cuore. Più si avvicinavano, più gli incantesimi volavano, ma entrambi i miei compari, erano tranquilli e continuavano con le loro cose. Erano così vicini che vedevo i fasci verdi, azzurri e rossi, riflessi nelle finestre.  Sospirai profondamente. “E’ arrivata la cavalleria...” Furio accennò una risata.  “Coi fuochi d’artificio. In grande stile” Risposi sinceramente divertita, mi sentivo così piena di speranza, che quel duro tavolo di legno, divenne comodo come il letto di casa mia. Ero rilassata, dopo mesi e giorni passati al freddo, rattrappita dalla paura e dalla neve. Che splendida sensazione. 
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furiarossa · 4 years ago
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Dai Cactus di Fuoco...
Newsletterina breve mensile per i nostri follower! YAY! No... no, aspettate. Non è finito semplicemente un mese, si è concluso un anno, il 2020! L'anno più doloroso, schifoso, orrendo della nostra storia personale e forse degli ultimi trent'anni in generale. Abbiamo qualcosa da festeggiare? Forse.Abbiamo qualcosa da comunicare? Sicuramente!Cominciamo con le cose piccole... e poi andiamo a quelle più grandi. Ecco l'anno dei Cactus di Fuoco (e anche un accenno di sorprese per il futuro): 1. Anche Dicembre 2020 è finito! Una piccola cosa, se confrontata con l'immensità di quest'anno, ma abbiamo lavorato duro (come sempre). Ed è dunque è il tempo di rivelare quello che abbiamo creato in questo mese. Ecco la lista completa, con tutti i link: https://fantasydiario.blogspot.com/2021/01/dicembre-2020-cosa-abbiamo-creato.html Esploratela e divertitevi, germoglietti! 
2. Ma se questo mese abbiamo pubblicato così tanta roba... quanto abbiamo creato in tutto l'anno? Detto fatto! Abbiamo sparso su internet, fra disegni, schede dei personaggi, capitoli di romanzo e illustrazioni varie, ben 896 cose diverse! (di cui la maggior parte sono proprio disegni). Ci sono artisti che non fanno così tanta roba in tutta la loro carriera. Beccatevi questo! Siamo stati bravi eh? Eh? Eh? (E allora perché ci sentiamo come se avessimo buttato quest'anno nella spazzatura?) 3. Ci siamo fatti l'account di Instagram! Non ci followa (si dice così fra voi gggiovani, vero?) praticamente nessuno, ma noi non ci scoraggiamo e vi buttiamo qui il link, giusto in caso a qualcuno venga il ghiribizzo di essere sempre informato su tutte le sciocchezze che facciamo: https://www.instagram.com/cactusdifuoco/ 4. Pure Le nostre artiste, Furiarossa e Mimma, si son fatte un account instragram! Probabilmente pubblicheranno roba una volta ogni morte di papa e non lo useranno granché (ce l'hanno solo per stalkerare i concorrenti ed i giudici di X Factor, let's be sincere), però ogni tanto pubblicheranno contenuti fighissimi, perciò... seguitele! https://www.instagram.com/furiarossaandmimma/ 
5. Abbiamo vinto (DI NUOVO!) un premio Watty! Che vi dobbiamo dire? Andate a leggervi il libro, è lungo, è completo, ed è abbastanza carino. Vi piacciono i licantropi, vero? E anche se non vi piacciono... vabbé, potete sempre tifare per l'antagonista (anzi, a dire il vero vi conviene): https://www.wattpad.com/story/109061795-urban-legends 6. Quest'anno abbiamo pure pubblicato un casottone di libri su Amazon! Un autore normale quanti libri pubblica in un anno? Uno. Se va proprio benissimo e ha la mano posseduta da un dio del fuoco, due. Noi ne abbiamo pubblicato cinque. Potrebbero essere sette, ma abbiamo deciso di tenerci bassi, anyway, perché non vogliamo far venire gli scompensi a tutti gli scrittori del mondo. I titoli? Io sono il Drago, Blindfury, Autobiografia (forse romanzata) di un drago dorato, Io, Dracula e altri mostri e il Bambino dei Cimiteri. E Blindfury è pure un fumetto, ecco. 7. Stiamo scrivendo per voi delle nuove storie pazzissime! Due saranno fanfiction strane, ma anche se non conoscete quello di cui parliamo le potrete leggere e divertirvi lo stesso, perché come sempre introdurremo pian piano i personaggi come se fossero originali, quindi li potrete conoscere e fare finta che non si tratti di fanfiction (anche perché quando avremo finito cambieremo i nomi e le pubblicheremo come libri... avete presente come hanno fatto con le Cinquanta Sfumature di grigio? Ecco, quella era una fanfiction di Twilight, lo sapevate?). Vi diamo degli indizi? Sì, vi diamo degli indizi, parole a caso: Megalo Box, Tha Supreme, cantante libanese, arcobaleni, wrestling. 8. Stiamo scrivendo anche delle storie un po' meno pazze, per la vostra saga preferita, quella del Cammino delle Leggende. Se siete fans di Mark McWoodland e Paul Grimm, adorerete il nostro prossimo libro.
9. Tutte queste cose le stiamo scrivendo con penne biro su quaderni, quindi abbiate pazienza, ci vorrà un po' di tempo per trascriverle.
Abbiate cura di voi, proteggetevi dalle intemperie, innaffiatevi abbondantemente e leggete quanto vi è necessario! Possa il fuoco dell'ispirazione illuminarvi, e le spine metafisiche stuzzicare il vostro intelletto.
 BUON ANNO NUOVO! -I Cactus di Fuoco
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veronica-nardi · 5 years ago
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Chiamatemi Anna, Commento Terza Stagione
Quando finisco una serie mi chiedo sempre che cosa mi ha lasciato e cosa mi porterò dietro, e qui posso subito dire che la versione del cartone animato mi ha lasciato molto di più di questa serie.
Considero Chiamatemi Anna una serie carina, godibile, che ho visto volentieri, ma nulla di eccezionale.
Questa serie mi ha lasciato perplessa nei primi episodi, mi sono piaciuti quelli di mezzo, ma gli ultimi mi hanno fatta pensare a certe cose e ho finito la storia un po' emozionata (poco), un po' perplessa, e un po' infastidita (abbastanza).
Prima di iniziare, due cose:
1) Ho ODIATO il doppiaggio di questa serie dal primo all'ultimo minuto, che mi ha, in piccola parte, rovinato la visione.
2) C'è un motivo se mi sono appassionata alle serie asiatiche: perché ogni storia è raccontata in media in 16-20 episodi. Mentre le serie americane sono divise in stagioni, che escono una volta all'anno o una volta ogni due anni, periodo di tempo durante il quale io MI DIMENTICO COSA È SUCCESSO. Per esempio, in questo caso, quando ho visto in scena la tizia bionda, Winnie o come si chiama, la pseudo fidanzata di Gilbert per intenderci, mi sono chiesta chi cavolo fosse e se fosse stata presente anche nelle stagioni precedenti. Ancora me lo chiedo.
Detto ciò, parto con le cose che mi sono piaciute:
Anna
Devo ammettere che la protagonista, a livello generale, è stata una buona e convincente Anna Shirley. Anna è un personaggio particolare che è difficile interpretare senza risultare una scema o una pazza, e penso che la scrittura del personaggio e l'interpretazione dell'attrice abbiano rispettato bene la natura del personaggio.
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Inoltre, non amo molto i personaggi "perfettini" (come Gilbert, ma ci arrivo dopo), a me piacciono i personaggi con varie sfaccettature e che presentano dei difetti, e che quindi ai miei occhi risultano umani e credibili. Anna non è una protagonista perfetta, e questo l'ho apprezzato molto.
Anna è testarda, orgogliosa, impulsiva, esuberante, parla tanto e ascolta poco, si lascia trasportare dalle emozioni finendo col non riuscire a ragionare nella maniera più lucida possibile, anche se le sue intenzioni sono buone. Un esempio lampante è quando pubblica l'articolo femminista sul giornale senza consultarsi con la maestra e con gli altri compagni. Le sue intenzioni sono nobili, e ciò che scrive è giusto, ma il giornale non è suo, non può prendere e pubblicare come le pare perché presa dall'impulso del momento, perché se può farlo lei, allora possono farlo tutti. E Anna avrebbe dovuto parlarne anche con Josie, la diretta interessata, e assicurarsi che fosse d'accordo con la pubblicazione di quell'articolo che avrebbe portato tutti a parlare di lei.
Anna si lascia trasportare dall'emozione e agisce impulsivamente, e questo perché prende a cuore le cose e combatte per ciò che è giusto. Per via del suo difficile passato, sa cosa vuol dire soffrire e cosa significa essere maltrattati e subire ingiustizie. Anna è uno dei personaggi più empatici che abbia mai visto, e di certo è il personaggio dalla più grande apertura mentale della serie (è amica con un ragazzo gay, con gli indiani e con le persone nere, più aperta di così...)
Anche se preferisco la versione di Anna del cartone animato, questa Anna non è male, anche se c'è una cosa che mi ha fatto storcere un po' il naso quando me ne sono accorta: in questa terza stagione Anna compie sedici anni, e nel cartone animato a questa età Anna è già molto più tranquilla, calma, posata, mentre qui si comporta ancora come una bambina. Anche quando alla fine indossa il vestito lungo da donna, si aggira per la città tutta sorridente e quasi saltellando, come se fosse ancora la ragazzina di qualche anno fa. A quell'epoca, a sedici anni, si era già delle giovane donne in età da marito, e il fatto che Anna si atteggi come una bambina la trovo una stonatura, accentuata dalla maturità della sua mente che dimostra più volte, come quando dice a Josie:
"Ora sono amata, ma quando non lo ero non significa che non lo meritassi."
Un concetto molto maturo e consapevole per una ragazza di sedici anni... peccato che poi la vedi fare la melodrammatica, piangere disperatamente e vivere come una tragedia tutto ciò che le succede. Potevo accettarlo quando aveva dodici/tredici anni, ma non ora che dovrebbe essere una giovane donna.
Ma, ripeto, in generale, è stata una buona Anna Shirley.
Marilla
Questa versione di Marilla non mi fa impazzire, ma nemmeno mi dispiace. In lei posso vedere la rigidità e austerità tipiche del suo personaggio, unite al profondissimo affetto che ormai prova per Anna.
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Rispetto al cartone, qui Marilla è un po' più "energica", e può piacere o non piacere, ma credo che in linea di massima il personaggio sia stato rispettato abbastanza bene.
Inoltre la trovo molto umana nei suoi pregiudizi verso gli indiani e la paura verso queste persone, e questo mi piace. E mi è piaciuta anche la sua paura al pensiero di poter perdere Anna qualora la ragazza fosse riuscita a trovare la sua famiglia. L'ho trovata umana e realistica, e in linea col personaggio.
In generale, mi è anche piaciuto il rapporto tra lei e Anna. L'ho trovato credibile ed entrambe sono rimaste nei loro personaggi.
Josie.
Josie mi è piaciuta un sacco. Forse perché è l'unico personaggio ad avere una vera evoluzione. Dopo la brutta esperienza con Billy, si arrabbia momentaneamente con Anna, per poi capire che l'amica sta effettivamente lottando per la cosa giusta, e quindi si schiera dalla sua parte, mandando poi Billy a cagare.
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Simbolica la scena in cui si scioglie i capelli dopo che la madre le ha preparato i boccoli per la notte dicendole:
"Non possono portarti via la bellezza."
Che significa: non importa se un ragazzo ti importuna e ti molesta portandoti via la dignità, non importa se piangi e se stai male, tutto quello che devi fare è essere bella e pensare a fare un buon matrimonio.
Josie capisce che non è giusto chiederle di essere soltanto una bella bambolina perché è una donna. È una persona con delle idee, pensieri e sogni propri, e che merita sempre il massimo rispetto.
Le scenografie.
Vogliamo parlare di come le scenografie di questa serie siano semplicemente spettacolari?
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AMO Green Gables e i paesaggi dell'Isola del Principe Edoardo.
I costumi.
Belli, devo ammettere, e in linea con l'epoca storica. Unica pecca: le ragazze vanno a scuola con dei grembiuli talmente bianchi che mi sembrano bambine della prima elementare.
Dialoghi
Ok. Alcune volte sono semplici se non addirittura banali, ma in più di una scena sono rimasta colpita dal modo di parlare tipico dell'epoca, e questo l'ho apprezzato.
E ora passiamo alle cose che NON mi sono piaciute (ora smonto la serie).
Matthew
Questa versione di Matthew non mi piace. Non dico che mi faccia cagare, è carino, ma il Matthew del cartone animato era semplicemente adorabile.
Matthew è introverso, riservato, timido, tenero, impacciato. Tutte caratteristiche che il Matthew della serie sembra non avere quasi per nulla.
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Nel cartone Matthew si esprime a monosillabi, qui è un po' impacciato, ma alla fine parla con una certa scioltezza. E non ho assolutamente visto il suo enorme imbarazzo nei confronti delle donne, un aspetto tipico del personaggio di Matthew.
Quello che mi ha lasciato l'amaro in bocca più di tutto è stato il finale. Qui Matthew diventa improvvisamente brusco con Anna perché sa che sentirà la sua mancanza quando andrà al college. E questo già mi va a cozzare col personaggio di Matthew, che dovrebbe essere l'uomo più tenero del mondo con la sua Anna.
E quando alla fine si riconcilia con lei spiegandole quello che prova, avrebbe dovuto dirle quello che le dice nel cartone, che non gli importa se lei non è un ragazzo, che è orgoglioso di lei, la sua ragazza, la sua Anna. È una delle frasi più belle della storia secondo me, ed è qualcosa che Anna ha bisogno di sentirsi dire.
Sebastian.
A parte il fatto che non capisco il senso di questo personaggio nella serie, ma poi non è nemmeno interessante. Un bravo marito, un bravo padre, un buon amico, un buon lavoratore. Wow. Che personaggio complesso.
È carino, per carità, ma diciamocelo: Sebastian, Mary e compagnia bella, che cosa c'entrano con Anna dai capelli rossi? Questi personaggi non sono presenti nel cartone animato, perché li hanno inseriti?
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Ammettetelo: avete inserito i personaggi neri solo per fare bella figura. Solo per poter dire: ehi guardate, abbiamo messo dei personaggi neri nella nostra storia, noi parliamo anche di loro, parliamo anche del razzismo, quanto siamo bravi.
Seriamente, che cosa c'entra la questione delle persone nere e del razzismo con Anna dai capelli rossi?
Il finale favolistico.
Questa serie è andata a finire a mo' di film Disney. Personalmente non sopporto i finali così. Mi sanno da falsi e irrealistici.
Qui TUTTO finisce bene.
Sebastian migliora i rapporti con la madre e fa pace col figlio di Mary così d'ora in avanti saranno una bella famiglia felice che lavorano tutti insieme nei campi (ma andate a cagare); Anna fa pace con Josie e tutte le compagne di scuola sono amiche per la pelle e non esiste nemmeno un'ombra di antipatia tra nessuna di loro; Diana ottiene il permesso di andare al college e passa gli esami ANCHE SE NON HA STUDIATO UN CAZZO MA SICCOME SIAMO IN UNA FAVOLA FACCIAMOLA PURE PASSARE; la signora Lind riesce ad allargare il consiglio della città con la presenza di tre donne; il giornale viene ridato in mano alla scuola e tutti sono amici con tutti.
Persino nel cartone animato il finale è più triste e realistico, con la morte di Matthew, la vista malandata di Marilla e Anna costretta a rinunciare all'università.
L'unica storyline che non posso dire sia finita bene è quella ragazzina indiana portata al collegio cristiano (prigione), da cui non la lasciano più uscire. Peccato che non si sa come finisce perché non ce lo mostrano, e da quello che ho capito questa era l'ultima stagione della serie....
Diana
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Diana per me è stata un flop totale. Hanno totalmente cambiato questo personaggio rispetto al cartone.
Innanzitutto si sono inventati la "storia d'amore" con Jerry e non ho capito bene per quale motivo visto che il tutto si conclude con lei che lo molla freddamente e tanti saluti.
La litigata tra Anna e Diana l'avrei accolta ben volentieri, ma non ho capito perché Diana non ha raccontato di Jerry all'amica. Anna è la prima a confidarsi con lei riguardo Gilbert, non ha problemi a parlare dell'amore, quindi perché Diana non ha fatto lo stesso? Forse per via delle differenze tra lei e Jerry, lei ragazza ricca e colta, e lui povero e un po' sempliciotto. Forse, sapendo che questa storia non avrebbe mai portato da nessuna parte, ha preferito tenersela per sé. Ma qui deduco che non fosse qualcosa di importante per Diana: se fosse stata davvero innamorata di Jerry si sarebbe confidata con Anna e avrebbe lottato per lui, così come ha lottato per il college. Quindi per lei è stata solo un'opportunità per fare pratica su come baciare e provare l'ebbrezza della libertà in quei momenti con lui. Scusate, ma questa non è affatto la Diana del cartone animato....
E parlando del college.... delusione totale.
Innanzitutto, è semplicemente assurdo che Diana abbia passato gli esami dopo che per un anno non ha studiato quanto gli altri.
E poi, mi spiegate perché hanno cambiato la sua storyline trasformandola in una giovane ragazza soffocata dai genitori che dalla figlia richiedono solo il matrimonio mentre lei vuole andare al college? Perché hanno scritto questo personaggio facendola diventare la giovane emancipata della situazione? La Diana del cartone animato non era forse emancipata?
Parliamoci chiaro. Consideriamo un attimo le due versioni di Diana:
Nella serie Diana VUOLE andare al college.
Nel cartone Diana VUOLE restare a casa e dedicarsi alla moda.
In cosa la prima versione è più femminista o emancipata della seconda? Nel cartone Diana non va al college non perché ostacolata dai genitori, ma perché semplicemente non le piace studiare e vuole dedicarsi ad altro. Deve decidere del suo futuro, e Diana SCEGLIE di non andare, E QUESTO È FEMMINISTA.
Per come la vedo io, la Diana del cartone è molto più coraggiosa e femminista di quella della serie.
Perché una donna (Diana) che sceglie di restare a casa e pensare al matrimonio, non è meno femminista di una donna (Anna) che sceglie di andare al college e fare l'insegnante.
Tra l'altro, la Diana della serie non ha alcuna passione o interesse particolare, mentre quella del cartone amava la moda e i vestiti (ed era anche più saggia e più matura).
E poi, diciamocelo, pensate che Diana avrebbe insistito nell'andare al college se Anna non ci fosse andata? Se Anna e tutti gli altri compagni non fossero andati, io non penso che Diana sarebbe voluta andare. Quindi, alla fine, è solo una pecora che ha seguito il gregge. Per questo dico che nel cartone è più coraggiosa, perché ha avuto il coraggio di staccarsi da Anna e fare qualcosa di diverso dalla sua amica.
E poi, Diana va al college... per fare cosa? Dio solo lo sa.
Gilbert
Come Matthew, non dico mi abbia fatto schifo, ma non mi ha nemmeno fatto innamorare.
Questo ragazzo praticamente è il principe azzurro che sogna ogni ragazza: è un ottimo studente e vuole fare il dottore, è bravo, buono, gentile, fa diventare Sebastian (un uomo nero) suo socio nella fattoria, non ha alcun tipo di pregiudizio e tratta i neri come suoi pari, sostiene Anna nella sua lotta femminista marciando in prima fila con lei. Insomma, particolari difetti io non ne ho visti, non mi ha fatto fare chissà quali riflessioni, e quindi, ai miei occhi, non è un personaggio interessante.
Qui, del vero Gilbert, quello del cartone animato, ho visto ben poco. Il Gilbert del cartone aveva fascino anche stando fermo in silenzio a mangiare una mela, questa versione di Gilbert invece ha il fascino di un manico di scopa vestito. La protagonista femminile, Anna, ha molto più fascino e carisma di lui.
Senza contare il fatto che l'attore scelto non mi è sembrato perfettamente adatto per il ruolo. L'ho trovato più "piccolo" rispetto a Gilbert. Più cucciolo.
E poi non ho amato molto tutte quelle "faccette" che ha esibito dall'inizio alla fine. Non so se fosse qualcosa previsto da copione o se è l'interpretazione dell'attore, ma il più delle volte l'ho trovato fastidioso.
La love story
Qui stendo quasi un velo pietoso. La storia d'amore di Anna e Gilbert ha lo stesso fascino di un grissino e la stessa profondità di una pozzanghera.
Ho trovato completamente inutile il personaggio della fidanzata di Gilbert, messa lì solo per ingelosire Anna, ma nel complesso è stata solo un di più. Non ha una propria storyline, non ha un'evoluzione, e non è interessante.
Negli ultimi episodi, la storia d'amore tra i due protagonisti cade in uno dei più grandi cliché delle storie d'amore: il biglietto perduto. Anna scrive un biglietto a Gilbert in cui gli dice che lo ama e glielo lascia sul tavolo. Ancora prima di vederlo, sapevo che Gilbert non avrebbe MAI letto quel biglietto. La nota in questione compie un viaggio mirabolante: viene messa sotto un vaso di fiori, cade per terra, viene calpestata da Gilbert che se la porta in giro per casa senza saperlo, e infine viene lasciata nell'erba mezza distrutta. Metà puntata per seguire gli spostamenti di questo biglietto. La storia si ripete quando anche Gilbert lascia un biglietto ad Anna, lei lo vede subito ma lo straccia ancora prima di leggerlo, per poi pentirsene e cercare di mettere insieme i pezzi.
Ora, non ditemi che tutta questa trafila dei biglietti perduti è qualcosa di originale. È un classico. È qualcosa che ho visto in altre 4838484883 storie d'amore. Per questo la cosa non mi ha dato emozione: perché sapevo che una volta scoperto il contenuto dei rispettivi biglietti, entrambi si sarebbero corsi incontro per poi baciarsi appassionatamente.
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Mi dispiace ma questa storia d'amore non mi ha coinvolto, l'ho trovata come qualcosa di "già visto".
L'unica scena che ho trovato carina è stato il momento del ballo, in cui scatta la scintilla e i due si guardano in modo diverso.
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Sulla signorina Stacy non so sinceramente che cosa dire. Non è un personaggio che ha lasciato il segno su di me. Anche in questo caso preferisco la versione del cartone animato. Qui le hanno appioppato la storyline del "tuo marito è morto quindi trovatene un altro", qualcosa che hanno messo giusto per riempitivo e che se non facevano non cambiava nulla.
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Ora, arrivo alla questione per me più spinosa, una questione che quando ci ho pensato mi ha lasciato prima perplessa, poi mi ha infastidita non poco.
Mentre vedevo gli episodi, io la visione me la sono goduta.
È stato bello e interessante vedere portate in scena questioni come l'articolo femminista di Anna, la molestia subita da Josie, tutto il discorso sulla parità, sui diritti delle donne ecc.
Trovo un po' favolistico come Anna riesce a trascinarsi dietro tre quarti del paese nella sua marcia per andare a fare il culo al consiglio, ma non posso negare come la serie mandi dei messaggi importanti a chi guarda:
1) Se una ragazza viene molestata la sua reputazione è rovinata. Perché? E quella del ragazzo?
2) Una ragazza non va MAI a "cercarsi" una molestia o una violenza. La colpa è solo di chi aggredisce.
3) Prima di fare qualcosa, un ragazzo deve assicurarsi che la ragazza che ha di fronte sia a proprio agio e che sia d'accordo con quello che sta succedendo.
Sono temi perfettamente attuali, e per esempio trovo importantissimo parlare del consenso. Sono ottimi spunti di riflessione per i ragazzi e le ragazze di oggi.
Mi ha fatto riflettere anche un'altra scena. Siamo alla fiera, e Billy cerca di impressionare la sua ragazza, Josie, cimentandosi in un gioco di forza, con il palese atteggiamento "ti faccio vedere quanto sono forte, guarda quanto sono uomo".
Peccato che finisce per fare una brutta figura, marcata dall'arrivo di Jerry che, abituato a lavorare nei campi, riesce a colpire il bersaglio in un colpo solo. Ora, Billy ha sentito di aver sfigurato, ma io non la vedo così: il fatto che non sia riuscito a colpire il bersaglio non lo rende meno uomo rispetto a Jerry.
Qui ci fanno chiaramente vedere la mentalità del: uomo forte=vero uomo, uomo debole=pappamolla.
Perché il valore di un uomo deve essere misurato in base alla forza fisica, e il valore di una donna in base alla sua bellezza?
Sono delle tematiche molto importanti da portare in scena, e allora perché ho detto di essere infastidita?
Per un semplice motivo. Questa serie ha buttato dentro un po' di tutto: femminismo, diritti umani, la libertà di stampa, il razzismo, gli indiani, le persone nere, maschilismo, sessismo, omosessualità.
Hanno toccato tutti temi "caldi" facendo un bel minestrone, e la cosa che mi infastidisce più di tutte è... tutto questo, cosa c'entra con Anna dai capelli rossi?
Perché Anna dai capelli rossi non parla di queste cose, e alla fine della fiera della storia originale rimane ben poco: sostanzialmente, solo gli esami per il college, e Anna e Gilbert che si mettono insieme. Il resto è tutto inventato.
Posso apprezzare le scene in cui Anna desidera conoscere di più sui suoi veri genitori e torna all'orfanotrofio per fare ricerche, Marilla e Matthew preoccupati di perderla, la litigata tra Anna e Diana. Posso anche accettare il cambiamento del rapporto tra Anna e Gilbert (nel cartone non si parlano per anni, qui sono molto amici), perché comunque tutto questo è direttamente collegato alla storia principale e alla protagonista.
Ma, per fare un esempio, la scena in cui la ragazza (dovrebbe essere Prissy?) va dal padre dicendogli che vorrebbe dare una mano nella gestione dell'azienda di famiglia, e il padre non la degna di uno sguardo e liquida la questione affermando che le donne non devono occuparsi di certe cose, ecco, quella scena a cosa serve? Perché è stata messa? Per dirci che in quell'epoca storica le donne non erano trattate in modo paritario? Sì ok... ma non è questo di cui parla la storia di Anna. Tra l'altro mi è sembrata una scena buttata lì un po' a caso, perché la tizia arriva, il padre la tratta di merda, tanti saluti e fine. Poi non se ne parla più, e la tizia non si vede più in scena.
Non dico che non bisogna parlare di certe tematiche, ma se fate una serie su Anna dai capelli rossi, mi aspetto di vedere una serie su Anna dai capelli rossi. Se volete parlare di certi temi come le prime battaglie femministe, allora fate una serie che parli di quello, vi inventate una storia e dei personaggi nuovi. Non che prendete una storia già esistente e la travolgete per parlare di quello che volete.
È come se io prendessi I Tre Moschettieri e ci facessi sopra una serie, inserendo temi come molestie sessuali e diritti delle donne, trasformando d'Artagnan in un femminista del XVII secolo, e già che ci sono ci butto dentro un po' di razzismo che non fa mai male, e poi, perché no, faccio che Athos e Aramis sono gay.
COSA CAVOLO C'ENTRA???
I Tre Moschettieri non parla di queste cose, e lo stesso vale per Anna.
Oppure faccio una serie su Harry Potter dove faccio succedere che Hermione viene molestata da un ragazzo e per tutta Hogwarts parte una marcia femminista.
Tutto ciò continua a lasciarmi assai perplessa e infastidita. Ed è per questo che non so come giudicare queste serie e che voto darle. Forse non è nemmeno giudicabile, visto che in fondo non è una serie su Anna dai capelli rossi (lo è tipo al 20-30% a essere generosi).
Davvero non capisco perché la storia di Anna dai capelli rossi è diventata una manifestazione delle tematiche più bollenti di questi anni.
Non è che se non ne parlate fate schifo eh.
Ultima cosa che mi viene in mente sono le musiche: non ne ho in mente nemmeno una, segno che non sono state di impatto. NULLA IN CONFRONTO CON LE BELLISSIME MUSICHE DEL CARTONE.
Detto ciò, di solito concludo un commento consigliando o meno la serie in questione, e dando il voto finale. Qui non so bene che cosa dire.
La serie è carina e posso anche consigliarla, ma sappiate che vi troverete davanti tanta roba che con Anna non c'entra niente.
Se dovessi dare un voto basandomi sulla fedeltà della storia originale, sarebbe 1 e 1/2.
Se guardo la serie per quella che è, facendo finta che la storia originale non esista, posso arrivare a 7, ma solo perché sono generosa (e lo sono davvero, visto che oggi sto inca**ata).
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lonleysometimes · 4 years ago
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Eccomi qua, anche io con una relazione difettosa, o forse quella difettosa sono io.
Sono una ragazza di 30 anni, indipendente, ambiziosa e che sa il fatto suo e il suo valore nella vita e nel lavoro che sto intraprendendo. Sto cercando di costruirmi una carriera. Viaggio tanto, ho un giro di amicizie fantastiche, tanti interessi e una famiglia che mi ama e mi supporta in tutto quello che faccio. Le relazioni amorose però, per un certo verso, non sono il mio forte.
Ti faccio una premessa, ho perso mia madre quando avevo 10 anni e mio padre a 19. Genitori che ho amato/amo alla follia. In particolare mio padre. Un uomo che ad oggi, con un po’ di complesso di Elettra, vedo perfetto e inarrivabile. Un padre che però mi ha insegnato che non avrei mai dovuto dipendere da uomo, ma quest’ultimo doveva essere un compagno di vita che sceglievo per amore indipendentemente dal resto. Dovevo insomma essere felice.
Ti tralascio i dettagli di storie passate andate male, una miriade di amori non corrisposti in cui mi sono persa inutilmente, non sono riuscita a stare con uomini che non amavo, ma loro mi avrebbero portato la luna. Relazioni brevi e fugaci, mai nulla di veramente serio, ma sono sempre loro che mi lasciano e poi trovano una nuova che sembra “l’amore della vita”. Mi chiedo come mai, dove sbaglio, perché sono l’eterna seconda e che cosa mi manca per non essere scelta. Troppo super donna? Troppo indipendente? Troppo incasinata? Troppo ingestibile? O forse no, forse sono solo io che mi vedo così e in realtà non c’è grande valore in tutto quello che ti racconto di me.
Eppure io cerco qualcuno con cui costruire una vita e chissà magari una famiglia e più cresco più ho voglia di questo.
Arriviamo alla mia ultima relazione difettosa.
L’anno scorso ho incontrato P., poco più grande di me, affascinante e intrigante. Già ci conoscevamo, io sapevo che lui non era in cerca di cose serie, ma io, uscita da un’altra storia difettosa, decido di accettare un suo invito. Parte così una relazione friends with benefits, cercata da entrambi ma principalmente imposta da lui (ma dai). Lui mi inizia a piacere sempre di più, quindi arriva un punto in cui questa relazione non è abbastanza per me.
Chiudo la relazione facendomi piano piano di nebbia, con dispiacere ma senza rancore. Incontro un altro ragazzo E., sulla carta il principe azzurro. Fa tutte quelle cose che P. non faceva. “Ti vengo a prendere in stazione”, “Mi manchi”, “Passiamo una giornata insieme”. Insomma tutte quelle cose belle da relazione normale. P. appena scopre che mi sono fidanzata mi cerca e mi ricerca, convinto che mi avrebbe portata tra le sue braccia di nuovo. Ma io non ci casco, non posso farlo a me stessa e al rispetto che ricevo in questa relazione. Lo respingo più e più volte per 8 mesi. Come un fulmine a ciel sereno E. mi lascia con un “non provo sentimenti”. La vera realtà dei fatti è che aveva incontrato un’altra. A quel punto, dopo una delusione iniziale, capisco che questa relazione, che sembrava perfetta e un trampolino verso una vita insieme, in realtà non mi aveva lasciato niente.
Ovviamente cosa faccio, ovviamente torno da P. – Cerco di impormi più leggerezza, “quel che viene viene”.
Non ho aspettative e sono più sicura di me. Per tre mesi ci vediamo, di base sembra solo sesso, ma è tutto diverso rispetto all’anno prima. Parliamo, ceniamo insieme. Io vedo solo lui e lui vede solo me, ma rimaniamo nel limbo. Viviamo e stiamo bene. Accade la quarantena e non ci possiamo più vedere. Il tempo si ferma e siamo alienati. Veniamo sottratti del sesso, ma abbiamo entrambi voglia di sentirci accanto. Parliamo tanto e ci preoccupiamo l’uno dell’altra “mi man
chi” “non vedo l’ora di vederti” “quando finisce tutto stiamo un giorno insieme”. Io ovviamente non sono immune a tutto questo, ma mi ripeto che è il disagio della quarantena che spinge lui a fare questo, per proteggermi
La quarantena volge al termine, torniamo a una vita pseudo normale. Ci vediamo, lui è freddo e distante. Io quindi mi comporto di conseguenza. Di lì a qualche settimana mi dice che ha iniziato a frequentare seriamente un’altra, ma che a me ci tiene, magari “rimaniamo amici”. Di nuovo, l’eterna seconda, quella che non è abbastanza.
Senza rancore, scenate o spiegazioni, gli auguro il meglio e gli dico che possiamo mantenere un rapporto civile. Sono ferita, ma intraprendo la graceful exit, da signora. Lui continua a scrivermi continuamente (ammetto che mi fa pure piacere), io rispondo per educazione ma ovviamente distante e senza provocarlo. Lui rigira la frittata, dicendo che sono fredda, arrabbiata e che non ne ho motivo. Quindi adesso sbaglio pure le reazioni? Troppo dura? Cosa si aspettava l’amicona o la gatta morta che continua a provarci? Niente Ester, vorrei avere la forza di uscire definitivamente da questa storia e abbandonare questa persona, ma una voce dentro di me mi dice di provare il tutto per tutto perché non hai niente da perdere.
Scusami per il papiro.
Grazie mille.
G. 
Cara G.,
insomma siamo sempre qui. Che mi squaderni a fare il curriculum della prima della classe se poi non usciamo dal desiderio somaro di relazione complessa? A che serve aver letto i libri giusti, viaggiare, l’iscrizione al circolo arci?
Devo provare tutto perché non ho niente da perdere. Che invidiabile disprezzo per il tempo, G., hai trovato il negozio che vende vite di riserva a poco prezzo senza intercessione del demonio?
Dannarsi piace e tutte le scuse sono buone. C’è poco da fare a parte ammetterlo.
La prendo con leggerezza, quello che viene, viene – la balla suprema. Chi sa pendere le cose con leggerezza inconsistente è la gattamorta, padrona e gran Ciambellana dei sentimenti. E le gattamorte certo non scrivono, sono offline a comandare il mondo. È una questione di carattere. Per le cose prese con leggerezza ci vuole la mano, il talento, lo spirito, serve fregarsene in fondo dell’amore e serve nascerci. Quelle streghe sono inarrivabili, disinvolte bellissime. Pure io volevo essere una di loro.
Tuo padre aveva totalmente ragione. Serve un uomo perbene, rispettoso, di rette abitudini e sani pensieri, non prepotente, forte, generoso, lucido, intelligente, cresciuto, risolto. Ce ne sono, questa è la buona notizia, non con tutte le qualità in equo bilanciamento, ma ce ne sono. Codesti masculi santi non sono neanche avvolti nelle tenebre, occultati, tenuti a chiavistello. A differenza del marcio, il buono non è qualità che resta nascosta a lungo. Insomma il bravo figliolo di solito lo riconosci, non serve scavare alla ricerca di qualità inabissate.
Gli inutili, quelli che scrivono ma non ti vogliono, pure loro ci tengono a farsi riconoscere, a dirla tutta. Certi (come il tuo) propongono senza tema il contratto di assunzione alla poveracrista: non voglio niente di serio da te. Sei al nero, baby. E il pesce abbocca lo stesso! Senza esca! Alcune automunite si recano anche a casa sua! We deliver!
La verità è che la femmina non vede l’ora: si sente sfidata a riuscirci, tu non mi vuoi ma io ti plagerò – l’eroina, la cretina. Alzi la mano chi l’ha fatto e si scagli la prima pietra da sola.
Parità di genere sarebbe accettare davvero l’accordo “va bene così”. Poi però non va mai bene così e precipitiamo negli eterni anni novanta del “perché non chiama?”.
A complicare le cose ci si mette la fortuna di incontrare per la via gente che invece a te ci tiene. Ogni relazione decente che il padreterno ti manda sarà sempre sfregiata da una domanda: epperò come mai non provo niente? Perché sono invece attratta da eccetera?
Succede perché il buono non garba tanto spesso, G., figurarsi a vent’anni, trenta. Bisogna essere persone con tutti i bulloni a posto per innamorarsi solo degli adatti, servono troppe circostanze fauste: eccellenti genitori, belle amicizie, vita in città con alternative facili – dove basta cambiare quartiere per cambiare gente. E soldi, non parliamo di quanto aiutino i soldi a non innamorarsi male.
Non mi prendo la responsabilità del freddo che sta per scendere su questa pagina, lascio a Flaiano. Che spiega perché molte di noi sono sceme, o sono state sceme per qualche decennio, e in generale perché il mondo va alla rovescia.
Indulgenza per la gente che si comporta male. Chi non suscita né simpatia né compassione è l’uomo medio, onesto e senza grandi inclinazioni al male. L’uomo che lavora per tirare avanti, che mette su famiglia e la mantiene. L’uomo medio è antipatico. (Io sono antipatico. Mi si sopporta). Per diventare simpatico bisogna comportarsi da canaglia, per farsi amare bisogna farsi mantenere. È l’equivoco erotico che continua. Il malvagio dà quelle garanzie sessuali che la persona per bene non dà. Chi si comporta rettamente ammette la sua «ordinaria» attività sessuale e non interessa.
Il seguito, quello che osservo sugli esiti degli amori stracciati, ovvero la convalescenza, come guarisce la testa di femmina che picchia sul muro alla ricerca dell’amore fatto apposta per me, è una lenta convergenza verso uno stato d’animo non troppo definibile, fatto della stessa sostanza della vittoria e della rassegnazione, che s’addensa in luoghi comuni. Sono il patrimonio dell’umanità femminile che viene tenuto nelle stanze segrete, questi luoghi comuni.
Li avrai sentiti pure tu. Più ti allontani dai vent’anni meno sanno di rancido. Eccone alcuni, ho preso i più banali: “Poi subentrano altre cose” “L’amore non è quello dei vent’anni” “se mi mettevo a cercare quello perfetto lo trovavo all’ospizio” “le favole lasciamole alle ragazzine” “leviamole pure alle ragazzine”.
L’amore è fatto di una mezza misura perfetta, G.. E’ una lenta aggiustata delle aspettative, una sudata discesa nelle valli del compromesso. Vedi tu per che via arrivare alla relazione finale. Guerra o pace. Se sei più a tuo agio dentro le dolenti poesie o in un messaggio whatsapp che dice “manca il detersivo per la lavastoviglie”.
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gloriabourne · 5 years ago
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The one with the insecurities
Le cose tra Ermal e Fabrizio erano sempre andate piuttosto bene.
Alti e bassi come in ogni relazione, ma niente di irrisolvibile. Sembrava che entrambi fossero in grado di risolvere i problemi dell'altro con uno schiocco di dita.
Quasi.
In realtà, c'era qualcosa che Fabrizio non sapeva come risolvere e che, anzi, a volte credeva addirittura di peggiorare.
  E ti darei i miei occhi quando tu non ti piaci
E quando poi ti chiedi perché stai con me
E quando il mondo ti sta stretto
Tu chiudi gli occhi e pensa solo a me
  Che Ermal avesse qualche insicurezza su di sé e sul suo aspetto, non era una novità.
Era stato così da quando si erano conosciuti, da quando durante le interviste Ermal aveva detto apertamente più volte che Fabrizio era più bello. Ma Fabrizio non ci aveva mai dato peso.
Sorrideva imbarazzato, abbassava lo sguardo e finiva lì.
Non aveva mai pensato che Ermal dicesse sul serio o che comunque dietro quelle parole si nascondesse una reale insicurezza.
Non lo aveva capito fino a quando avevano iniziato a frequentarsi.
Solo a quel punto aveva notato quanto tempo Ermal trascorresse davanti allo specchio, cercando di sistemare anche la più piccola delle imperfezioni. E non lo faceva per narcisismo.
Lo faceva perché non si vedeva così bello come invece lo vedeva Fabrizio. Lo faceva perché aveva sempre l'impressione di non essere abbastanza.
Fabrizio ricordava con estrema precisione una conversazione avuta una sera, appena prima di uscire da casa di Ermal per trascorrere una serata con i suoi amici.
Fabrizio aveva fatto una battuta sul fatto che Ermal stesse sempre davanti allo specchio e lui aveva risposto: "Mica siamo tutti come te, che pure se esci di casa con le occhiaie e i capelli spettinati sei bello."
Fabrizio aveva sorriso, pensando fosse uno dei soliti complimenti che Ermal ogni tanto gli faceva, ma poi si era reso conto di quanto fosse serio.
Si era avvicinato a lui e aveva detto: "Lo sai che lo stesso vale per te."
Ed era convinto di quello che diceva, perché per lui Ermal era davvero l'uomo più bello al mondo.
Ermal aveva fatto una smorfia prima di dire: "No, non è vero. E ci sono anche abituato in realtà, ma da quando sto con te è diverso."
"Che vuoi dire?"
"Che spesso mi guardo allo specchio e mi chiedo che ci trovi in me di tanto bello."
Fabrizio era rimasto in silenzio.
L'unica risposta possibile sarebbe stata che non c'era modo di spiegare come Fabrizio vedesse Ermal, non c'era modo di capire quanto fosse bello ai suoi occhi.
Se fosse stato possibile fargli vedere sé stesso con i suoi occhi, di certo Fabrizio avrebbe obbligato Ermal a farlo, a vedersi con i suoi occhi. A vedere quanto, per i suoi occhi, fosse dannatamente bello.
Non era una cosa fattibile però.
E allora non gli restava che ripetergli quanto fosse bello e sperare che prima o poi Ermal iniziasse a crederci.
  Vorrei dirti ti amo e non ci riesco mai
  In realtà, secondo il modesto parere di Roberto - che ormai era diventato il consulente di Fabrizio - poteva esserci anche un'altra soluzione: fare capire a Ermal quanto fosse innamorato di lui.
E dirglielo poteva essere un buon inizio.
Non che Fabrizio certe cose non le provasse. Sapeva di essere innamorato di Ermal, lo sentiva.
Solo che non riusciva a dirglielo e iniziava a pensare che forse anche quello fosse causa delle insicurezze del compagno.
Lo spaventava a morte sapere di essere in parte causa dello stato d'animo di Ermal, ma non sapeva come risolvere la situazione.
Quelle parole, per quanto sentite, proprio non volevano saperne di uscire dalla sua bocca e Fabrizio temeva che prima o poi sarebbe diventato davvero un problema.
"Io non capisco cosa ci sia di tanto difficile. Lo ami, giusto? E allora diglielo!" gli aveva detto Roberto più di una volta.
Ma niente da fare.
Fabrizio si bloccava ogni volta che stava per dirlo.
  Di cosa siamo capaci? Se non siamo capaci
di sbagliare ogni giorno
Però di prenderci cura uno dell'altro
Ma quanto mette paura?
non riuscire a mostrarlo, non riuscire mai a dirlo
Di cosa siamo capaci? Se non siamo capaci
Di misurare distanze
Cicatrizzare le assenze
E poi rimetterci in gara
Pronti per nuove partenze
  Fabrizio ci provava sempre a dimostrare con i fatti piuttosto che con le parole quanto amasse Ermal, quanto tenesse a lui.
Ci provava fin da quanto avevano iniziato a frequentarsi, forse anche da prima.
Cercava di prendersi cura di lui nel miglior modo possibile, di non fargli mancare nulla, di fargli capire che era lì per lui e lo sarebbe sempre stato.
Cercava di cicatrizzare le sue assenze, di rendere più sopportabile la distanza. Eppure sembrava che non fosse mai abbastanza, che non riuscisse mai a dimostrarlo fino in fondo.
Forse perché per dimostrarlo fino in fondo, doveva imparare a usare le parole.
Sollevò per un attimo sguardo su Ermal, seduto di fronte a lui e con uno spartito tra le mani. Osservava le note con la fronte aggrottata, cercando di capire cosa ci fosse di sbagliato nel brano che aveva appena terminato di scrivere.
Era bello da morire, con lo sguardo concentrato e i ricci che gli cadevano sulla fronte.
"Lo sai che sei proprio bello?" disse Fabrizio. Quello era l'unico modo che conosceva per fargli capire davvero quanto lo considerasse bello: dirglielo.
Ed era anche l'unica, tra le mille cose che pensava di lui, che riusciva a dire con facilità.
Ermal si lasciò sfuggire una risata sarcastica e, senza staccare gli occhi dal foglio, disse: "Certo, sono sicuro che sono le occhiaie a rendermi interessante."
"Sai che dico seriamente."
"E sai che penso seriamente che tu non ti renda conto di quello che dici" disse Ermal sollevando lo sguardo e fissando il compagno per un attimo.
"Non riesco a capire come mai non mi credi" disse Fabrizio.
"Perché è un dato di fatto che io non sia così attraente."
"Pensi che starei con te se non mi piacessi?"
"Non dico che non ti piaccio. Dico che non sono bello."
Fabrizio si alzò e si avvicinò a lui, stampandogli un bacio sulle labbra. "E invece sì. È anche per quello che..."
Ermal trattenne per un attimo il respiro, aspettando che finalmente Fabrizio pronunciasse quelle parole che aspettava di sentirsi dire da tempo, ma il più grande si bloccò per un attimo e poi disse: "È anche per quello che sto con te."
Ermal sospirò vagamente deluso, ma sorrise cercando di non mostrare al compagno quanto in realtà ci fosse rimasto male.
Sapeva che Fabrizio lo amava, era evidente. Eppure, per una volta, avrebbe voluto sentirselo dire.
E forse a quel punto, avrebbe creduto anche a tutte le altre cose che Fabrizio continuava a dirgli.
  La tua fragilità e la mia nostalgia
L'amore che ci è stato tolto e quello conquistato
E che non va più via
Più o meno come noi
Che siamo una famiglia
O quel che in parte ci somiglia
A farci compagnia
  Dopo la sua rottura con Giada, Fabrizio era sempre stato fermo sulla convinzione che far entrare ufficialmente nella sua famiglia qualcuno con cui aveva deciso di intraprendere una relazione non sarebbe stato adatto.
Non voleva creare troppi problemi ai figli, metterli di fronte a troppe novità.
La separazione era già stata una cosa grossa da superare, non era necessario aggiungere altra carne al fuoco.
Con Ermal, invece, era stato diverso.
Probabilmente era stato solo perché la prima volta che Ermal era stato a casa sua in presenza dei bambini, erano solo due colleghi che lavoravano insieme a un pezzo.
Quando avevano iniziato a frequentarsi, Libero e Anita ormai lo conoscevano bene e non avrebbe avuto senso tenerlo lontano dalla sua famiglia.
Ma Fabrizio era convinto che ci fosse dell'altro.
Era certo che il vero motivo per cui si era sentito a suo agio a far entrare Ermal nella sua famiglia, fosse perché di fatto Ermal ne faceva parte.
Era un pezzetto di puzzle in più da aggiungere alla sua meravigliosa famiglia.
E quello, di certo, era amore. Non poteva essere nient'altro.
E in quel momento, mentre Ermal aiutava Libero e Anita a fare i compiti, Fabrizio si rese conto davvero di quanto lo amasse. E di quanto avrebbe voluto dirglielo.
Non solo perché era quello che provava, ma anche e soprattutto perché era convinto che Ermal sarebbe stata l'ultima persona di cui si sarebbe innamorato in vita sua.
Osservò Ermal alzarsi dalla sedia e lasciare i bambini liberi di continuare da soli i loro compiti, dirigendosi verso la cucina e riempiendosi un bicchiere d'acqua. Mosso da un istinto che non aveva intenzione di combattere, Fabrizio lo raggiunse.
"Come sta andando?" chiese, riferendosi alla sessione di compiti che Ermal sembrava gestire egregiamente.
Ermal bevve un sorso d'acqua, prima di posare il bicchiere sul ripiano della cucina e rispondere: "Molto bene. Stanno continuando senza bisogno del mio aiuto. I tuoi figli sono meravigliosi."
E per quanto quell'ultima frase fosse un complimento e fosse detta con tono leggero Fabrizio la sentì terribilmente pesante.
Sapeva che era ovvio che Ermal li definisse così, d'altronde non erano figli suoi. Lui era solo il fidanzato del padre.
Eppure sembrava quasi che Ermal si sentisse tagliato fuori da quella famiglia, ed era l'ultima cosa che Fabrizio avrebbe voluto percepire.
Da un po' di tempo, aveva la sensazione che tutto stesse andando a rotoli, che ogni cosa tra loro si stesse sgretolando: prima per la sua incapacità di rassicurare Ermal quando aveva dubbi su sé stesso, poi per quel blocco che aveva ogni volta che voleva dirgli che lo amava, infine perché gli sembrava di non far sentire Ermal parte della sua famiglia.
Doveva fare qualcosa per risolvere quel casino.
"Tu lo sai che questa famiglia è tua tanto quanto mia, vero? Sai che fai parte di questa famiglia?"
Ermal inclinò la testa su un lato e lo guardò confuso, senza capire dove volesse arrivare.
"È che a volte sembra che tu non ti senta del tutto a tuo agio qui. Come se questa fosse solo la mia famiglia e tu ti sentissi un po' un intruso. Non voglio che tu ti senta così" disse Fabrizio.
"Di fatto lo sono, però. Intendo un intruso" disse Ermal abbassando lo sguardo.
Era una cosa che non aveva mai confessato a Fabrizio, ma in effetti spesso gli sembrava di essere di troppo in quel quadretto familiare.
"No, non lo sei. Sei parte di questa famiglia, della mia famiglia. Lo sei perché aiuti i bambini con i compiti, giochi con loro e li sgridi se fanno qualcosa che non va. Lo sei perché sopporti i miei sbalzi d'umore, perché mi stai vicino quando ne ho bisogno. Lo sei perché..." disse Fabrizio, prima di bloccarsi. Aveva quelle due paroline sulla punta della lingua, che lottavano per uscire e finalmente si sentiva pronto a dirle.
Prese un respiro profondo e disse: "Sei parte della mia famiglia perché ti amo. E le persone che amo sono la mia famiglia."
Ermal sorrise mentre i suoi occhi diventavano improvvisamente lucidi di commozione e mormorò: "Ti amo anch'io."
"Mi dispiace di averci messo tanto a dirlo. Non è che non lo pensassi, solo che non è così facile per me dire cosa provo così apertamente."
"E ora è stato facile?"
"Per niente! Ma stranamente mi sentivo pronto a dirtelo. Il punto è che ti amo così tanto che vorrei far sparire tutte le tue insicurezze, ma purtroppo non so come fare."
"Sono cose che fanno parte di me, non spariranno da sole da un giorno all'altro" disse Ermal. Poi si avvicinò a Fabrizio e si sporse verso di lui abbracciandolo.
"Però dirmi che mi ami è un bel modo per provarci. Chissà, se continui a farlo magari mi sento meglio" sussurrò al suo orecchio.
Fabrizio lo strinse maggiormente a sé e sorrise.
Avrebbe continuato a dirglielo. Se solo avesse potuto, non avrebbe fatto altro per il resto della vita.
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intotheclash · 4 years ago
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"Non più di un'ora dopo eravamo già in vista della casa del Maremmano. Avevamo spinto sui pedali con foga, senza lamentarci e senza troppe parole. Persino quella salita infame ci era sembrata meno infame della volta passata. E Schizzo ci era rimasto sempre a fianco, senza prenderci in giro, anzi, fingendo pure di faticare. Il primo che scorgemmo nel cortile fu Antonio, come si poteva non vederlo. Era a torso nudo e stava armeggiando con un trattore che doveva avere la stessa età di Matusalemme. Certo che era grosso, perdio! Non il trattore. Cioè, anche il trattore era grosso, ma Antonio metteva paura. A ripensarci, credo che anche Sansone in persona ci avrebbe pensato due volte prima di attaccare briga con lui. Appena si accorse di noi, lasciò andare gli attrezzi che stava usando, si pulì le mani sui pantaloni da lavoro e ci illuminò con un sorriso a trentadue denti. Cazzo, pure i denti mi sembrarono giganteschi. “Ma bentornati, amici miei! Sono davvero felice di rivedervi.” E felice lo sembrava davvero. E ci aveva anche chiamato amici! Non vedevo l'ora di tornare in paese e raccontarlo a tutti. Col cazzo che qualcuno avrebbe ancora osato trattarci male o, peggio, malmenarci. Se la sarebbero vista con lui. Se li sarebbe mangiati vivi! Ma quello non era un giorno per le fantasticherie, avevamo un dovere da compiere. Una missione. Tagliai corto ed imboccai la via maestra delle parole: “Ascolta, Antonio, siamo venuti a parlare con…” Mi interruppe prima di aver finito. “Pietro sta giù alla vigna, giovanotti. Deve zappare l'erba sotto a tutti i filari. E noi abbiamo una vigna sterminata. Si è beccato una bella punizione stavolta. Nostro padre ha avuto la mano pesante.” Poi si abbassò sulle ginocchia e si guardò intorno con circospezione esagerata, tanto da strapparci un mezzo sorriso. “Credo che il vecchio voglia fargli pagare anche un po’ delle mie colpe. Cose vecchie, di qualche anno fa. Ma, personalmente, posso farci ben poco, in compenso il vostro amico è uno tosto e se la caverà senza danni.” Concluse, facendo l'occhiolino. “Veramente non siamo venuti per parlare con lui. Non subito almeno. Siamo venuti per parlare con tuo padre.” Mi voltai verso i miei amici, come a cercare conforto e appoggio. Loro annuirono contemporaneamente, indossando delle facce serie, adatte alla circostanza. “Dove possiamo trovarlo?” Antonio si alzò in piedi, oscurando il sole. Cazzo, nella sua ombra ci stavamo comodi anche tutti insieme. Forse c'era abbastanza posto anche per qualcun altro. “Andiamo, è giù alla stalla che sta terminando di mungere le mucche. Vi accompagno.”  Lo seguimmo in silenzio fino alla stalla. Lui si fermò sulla porta e ci fece segno di entrare. “qualunque cosa dobbiate dirgli, credo sia una faccenda privata. Vi aspetterò qui fuori, ma vi dico fin da ora che sono dalla vostra parte.” Disse. E ci scompigliò i capelli, uno per uno. Uno per uno nel senso di ad ognuno di noi; non nel senso dei capelli. Entrammo in fila indiana, non ci prendemmo per mano solo perché era roba da femminucce, non che non ne avessimo avuto voglia. Il vecchio maremmano era seduto su uno sgabello di legno, con un secchio di metallo tra le gambe divaricate e le sue mani viaggiavano veloci sulle enormi mammelle di una mucca pezzata, che non sembrava affatto infastidita. Anzi, ogni tanto, si voltava a guardarlo, come a volerlo ringraziare. Segno che quelle tettone gonfie da scoppiare qualche problema glielo davano. Il vecchio ci dava le spalle e si accorse del nostro arrivo solo all'ultimo, quando potevamo quasi toccarlo. Si voltò di scatto e gli lessi la sorpresa sul volto, ma si riprese subito. Ci sorrise. Anche lui, come Antonio, sembrò felice di rivederci. “Che piacere vedervi ragazzi! Benvenuti di nuovo in casa mia. Cosa posso fare per voi?” Lo sapeva. Sapeva il motivo della nostra visita, ma non sapeva tutto. “Siamo venuti per parlare con lei, signore.” Dissi, non riuscendo ad impedire alla mia voce di tremare. Smise di mungere, diede un colpo a mano aperta sull'enorme culone della mucca, che si avviò pigramente verso l'uscita della stalla, ci fissò uno per uno e rispose: “Bene, vi ascolto. Prima però perché non bevete un bicchiere di questo latte appena munto? E’ delizioso e vi farà digerire meglio tutta la strada che avete dovuto fare per arrivare quassù.” Non fece in tempo a terminare, che Bomba aveva già sposato la proposta, seguito a ruota dal Tasso, da Tonino e da Sergetto. A me non piaceva molto il latte, figurarsi quello appena munto, con quel sapore così prepotente, ma annuii lo stesso, per cortesia, senza troppo entusiasmo. Schizzo ci pensò sopra qualche secondo, a cercare parole che, evidentemente, non trovò, visto che disse, senza mezzi termini: “A me il latte fa schifo. Signore.” “Per prima cosa, non chiamarmi signore, sembra che tu voglia tenermi a distanza. E mi fa sentire più vecchio di quello che sono. Chiamami Giovanni, che è così che mi chiamano tutti. Anche perché è il mio nome. Seconda cosa: come può farti schifo il latte? Anche tu, come tutti noi, sei cresciuto grazie al latte. E sono sicuro che, da piccolo, non ti bastava mai.” “Si, ma ero piccolo. Ed era di mia madre! non era di mucca appena munta!” “Certo, non era di mucca, ma a mungere, se mi lasci passare il termine, tua madre ci pensavi tu stesso e la tua voglia di diventare grande. Ma non serve discutere. Hai ragione anche tu: se non ti piace non devi berlo per forza.” Prese cinque bicchieri da una vecchia credenza che, sicuramente, aveva vissuto momenti migliori, ed iniziò a riempirli. “Ditemi allora. Cosa volevate chiedermi?” Ci fu un attimo di panico a quella domanda diretta, mi accorsi che le parole proprio non volevano uscire. Fu Tonino il più lesto a reagire: “Senta signor Giovanni, abbiamo saputo della punizione. Di quella che ha dato a Pietro. Siamo venuti a chiederle di ripensarci.” Lui continuava a guardarci, ma senza parlare. Segno che c'era bisogno di altre parole. Dovevamo convincerlo. Tonino aveva rotto il ghiaccio, ora potevo proseguire: “Si, lui non merita di essere punito. Ci ha difesi, è stato coraggioso. Lo ha fatto per noi. Non ha avuto paura di battersi per una cosa che riteneva giusta. Ed era giusta, cazz…volo! E quelli erano in tre e lui da solo. E se le avesse prese, nessuno di noi si sarebbe sognato di dargli una mano. Me ne vergogno ancora, ma è così. Mai nessuno di noi ha mai osato  mettersi contro i grandi, invece Pietro le ha suonate a tutti e tre. Anzi, a due, perché il terzo se l'è fatta sotto. Merita un premio, non una punizione. Si è comportato meglio di tutti noi messi insieme. È  un amico vero! Per questo la preghiamo di lasciarlo andare. Basta punizione. Ma se non è di questo parere, se è deciso a continuare, allora punisca anche noi. Al campo c'eravamo tutti. Stavolta non ci nascondiamo e la punizione la dividiamo in parti uguali. Questo dovrebbero fare dei buoni amici.” Parlai tutto d'un fiato, senza nemmeno una pausa. Forse evitando persino di respirare, per non permettere alle parole di nascondersi. Il vecchio ci fissò a lungo, quasi a voler saggiare la fermezza della nostra volontà. “Quello che hai appena detto ti fa onore giovanotto. Anzi, vi fa onore, perché immagino che la pensiate tutti allo stesso modo, vero?” Non ricevette risposte, ma i segni di assenso fatti con la testa non lasciavano spazio a diverse interpretazioni. “Si, lo immaginavo,” Proseguì, “Sembrate decisi ad andare fino in fondo. Anche se, in cuor vostro, ne sono sicuro, sperate che non ce ne sia bisogno. Che mi commuova. Ma avete dato la vostra parola e, tra uomini, la parola è sacra. E’ un impegno che va mantenuto a tutti i costi. Mai mancare alla parola data, è questo l'insegnamento che riceverete oggi. Ne va della vostra credibilità e della vostra dignità di persone.” La cosa non sembrava prendere una bella piega. Si avvicinò ad una cassapanca tutta tarlata e ne tirò fuori una scatoletta di metallo, dalla quale estrasse un gigantesco sigaro toscano. Lo accese con esasperante lentezza fino a farne uscire una nuvola di fumo azzurrino e puzzolente. “Sapete già dove ho spedito il vostro amico?” “Si, lo sappiamo, signor Giovanni.” Rispose Tonino preoccupato. “E sapete anche cosa sta facendo?” “Sappiamo anche questo.” Disse il Tasso, tradendo una crescente impazienza. Sembrava lo stesso gioco che fa il gatto con il topo. Con i topi, in questo caso. Eravamo tutti impazienti. Ci stava mettendo alla prova, ma se sperava che avremmo mollato, si sbagliava di grosso. Eccome se si sbagliava. Aveva intenzione di punirci tutti? Bene, che lo facesse allora. Anzi, male, ma non ci avrebbe messo paura. Tutti per uno! Ci indicò, con la punta del sigaro, un angolo ben preciso della stalla. “Laggiù ci sono cinque zappe, prendetene una a testa e raggiungete il mio ragazzo. Uno di voi rimarrà senza, così potrete darvi il cambio e riposarvi a turno. Su, andate, che c'è molto da fare. Ricordate che oggi si pranza alle due in punto. Vedo che non portate orologi, quindi regolatevi con il sole. Se non sapete come si fa, chiedete al vostro compagno di sventura, lui ha imparato.” Dovette godersela un mondo ad ammirare le nostre facce smarrite. Non era certo quello il risultato che speravamo di ottenere quella mattina. Aveva ragione mio padre: il vecchio maremmano era bello tosto. Ci fece un mezzo sorriso, non saprei dire se per confortarci, o per prenderci per il culo, poi ci congedò: “ Andate pure, fuori c'è Antonio che sarà lieto di indicarvi la strada. Buon lavoro, ragazzi!” Si, ci stava decisamente prendendo per il culo. “Buon lavoro una bella sega!” Pensai, mentre con la mia zappa in spalla uscivo mogio, mogio, dalla stalla.
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