#oggi fragile
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.... Sei diventata dura con il tempo.....
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PRIMA PAGINA Il Dubbio di Oggi venerdì, 17 gennaio 2025
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Il giorno dell’Angelo
Dunque, vediamo un po’ a che punto siamo con te. Sono decenni che ti seguo e ti guido paziente. Ti ho avuto in affidamento una trentina d’anni fa, secondo la vostra concezione limitata del tempo. Mi sei stato passato da un caro collega quando lui è stato premiato e promosso ad altro incarico di superiore responsabilità. Io ero e resto ancora solo un angelo alle prime armi. E con te ho di fatto imparato il mestiere: neppure noi “nasciamo imparati”, come dite voi, sai?
Forse è anche per questo mio goffo apprendistato sul campo, che te ne sono capitate parecchie. Ma in fondo te la sei cavata bene. Pochi punti sulla pelle. Tanti nell’anima. No, non ringraziarmi ancora, ché non è finita: vedrai che roba! Hai capito in qualche modo che ci sono, che cerco di tenerti a freno quando ti arrabbi. E di confortarti quando hai gli inevitabili momenti di scoraggiamento. Però sei testardo; hai quasi portato a compimento il tuo percorso.
Certo: nessuno sa qual è il chilometraggio che gli è stato assegnato, né quale sia la sua missione sulla Terra, il suo scopo primario nell’esistenza presente che gli è toccata. Hai capito sbattendo la testa più volte che c’è solo da usare il benedetto “libero arbitrio”, che altro non è se non scegliere la via più difficile e impegnativa. Sempre. Che poi è anche quella che ti farà tagliare le curve per accorciare il cammino dell’elevazione della tua anima - il tuo vero “io” - verso i piani superiori della scala evolutiva spirituale.
Certo: noi custodi vi guardiamo, da lassù e sorridiamo. O magari ci dispiacciamo degli sforzi che fate, delle lacrime di rabbia e delle fatiche fatte per conquistare traguardi in fondo futili, tutte cose caduche, che alla luce del tempo che passa valgono poco più di zero. Poi vi tradite, vi ingannate, vi odiate. Ma più spesso per fortuna ci stupite e ci commuovete con atti d’amore puro e disinteressato, con dolcezze inaspettate e infinite. Che spesso sono il frutto di scelte anche molto difficili, per voi. Vi ammiriamo, per queste cose.
Libero arbitrio. Un po’ vi invidiamo, perché a noi, senza un corpo che soffre, fragile, preda di influenze e bisognoso di continue cure, non è di conseguenza concesso provare emozioni forti, essere schiavi delle grandissime passioni che sono vostra croce e vostro privilegio. Per noi è tutto molto più diluito. Soffuso in una luce bianca benefica e morbida. Una sala d’attesa perenne, in pratica. Che poi il nostro grande desiderio di salire di grado è ciò che ci spinge infine a scendere sulla Terra, a incarnarci indossando a nostra volta dei corpi.
Opportuni mezzi per misurarci con cose vere e difficili, come la gestione dei rapporti tra esseri umani. Sappiamo bene che vivere è difficile. Per tutti. No, fidati: ognuno porta la croce che gli spetta, a seconda della propria posizione nel piano evolutivo concordato lassù prima di scendere. E per ciascuno c’è una fila di esistenze: lunga o breve. Alcune saranno necessariamente molto impegnative, altre cosiddette “di riposo” e altre ancora magari di utilità per altri esseri umani.
Perché soprattutto aiutare gli altri è ciò che fa bene all’anima. No, le esistenze terrene non avvengono in ordine “cronologico” come potreste immaginare: il tempo non si dispiega “in sequenza” come ve lo immaginate. Ma lasciamo perdere questo argomento, perché il tempo è impossibile da comprendere, per la natura umana. Oggi è per tutti un giorno uguale a ieri e sarà uguale anche domani. C’è molta sofferenza comune, in questo periodo sul pianeta blu.
Ciascuno rielabori intimamente e senza pregiudizi il messaggio portato dalle malatie e dalle soffrenze fisiche. Risulta evidente che qualcuno vi sta avvertendo: a livello individuale non è più possibile per nessuno pensare di essere “migliore” del suo vicino. Che si possa avere diritto a dei privilegi rispetto a un qualsiasi altro essere umano. O addirittura che l'uomo abbia su questo pianeta più diritti di esistenza di altre specie, che si possano sfruttare le risorse in modo scellerato, come avete fatto negli ultimi sessanta o settanta anni.
Nessun’anima è migliore o più degna di quella di un altro: ci sono solo miliardi di anime in marcia parallela verso la Luce. Ognuna soffre e fa esperienza secondo il proprio livello di spiritualità, evoluzione e comprensione delle leggi cosmiche. E le religioni dovrebbero servire poi a farvi amare, rispettare, aiutare; non a essere pretesto per le guerre e per l’accumulo di beni, alla fine tutti deperibili e totalmente inutili. “Le guerre non nascono perché la gente è religiosa, ma perché non lo è abbastanza.” (Enzo Biagi)
Comunque, tu: niente paura. Sono qui, ti sorveglio e ti sarò vicino. Sino al momento della tua prossima transizione. Perché, grazie a Dio, almeno tu sai con fiducia che non sei la carne che pure curi, bensì lo spirito che la abita. E poi continuerai il tuo viaggio in altra maniera. Avrò cura di te, perché dopotutto anche a me servono i… “contributi” per salire di grado! E tra l’altro anche se al momento indosso le ali, non mi è dato sapere se ho finito il mio ciclo di studi, di reincarnazioni sulla Terra. Per un po’ ancora, probabilmente anche per me quassù vale il “carpe diem”.
Sei tu il mio lavoro di oggi. Ma in passato, sai, ho avuto di peggio: cose che non posso dirti, per la legge sulla Privacy Eterna. Oggi che col freddo invernale non si può andare a fare un picnic o una gita al mare, guarda i link qui sotto e rifletti. Roba vecchia? Ti ricordo che il tempo non esiste, che il male è connaturato alla natura umana. E che tutti noi svolgiamo un’enorme, lunga e molto complessa recita. Senza il male, non riconoscereste quanto può essere importante una carezza o un segno d’approvazione, un aiuto. O un bacio appassionato. Buona riflessione.
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RDA
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CONTENZIONE CONTROINTUITIVA
Certe volte tratto alcuni argomenti che mi stanno a cuore in modo prolisso e rivolgendomi ai miei interlocutori come se non sapessero distinguere il lato giusto da quello sbagliato del foglio di cartaigienica.
Non è mancanza di fiducia nelle altrui capacità intellettive ma piuttosto timore di non essere abbastanza chiaro e comprensibile nello sviscerare un qualcosa che conosciamo solo io e il poveraccio che tengo chiuso in cantina affinché ci sia almeno una persona entusiasta di ascoltarmi (sennò non gli do da mangiare).
Quello che andrò a trattare si divide in tre livelli di realtà cognitivo-esperenziale, il primo per i profani della cura sanitario-socio-assistenziale del paziente fragile, il secondo per gli addetti ai lavori e il terzo a un livello che chiameremo stato crepuscolare di coscienza.
I profani pensano in maniera assolutamente incolpevole che la cura di un soggetto fragile sia questa:
e voglio dirvi che sì, è ANCHE questa ma NON SOLO questa.
Ribadisco, in maniera del tutto incolpevole perché sia la società che gli addetti ai lavori farebbero fatica a veicolare il messaggio reale secondo il quale trattandosi di ESSERI UMANI - la quasi totalità delle volte sofferenti per una fragilità organica o per una patologia della psiche - questi possono urlare, bestemmiare, sputare, picchiare, sporcare sé e chi hanno attorno e odiare tutto e tutti con la forza della disperazione.
Queste due realtà - immaginata la prima e vissuta la seconda - implicano una gestione discordante della cura quotidiana che si traduce nel solito scontro servizio di Report su presidio sanitario lager VS parenti cintura nera di mena-dottori-e-infermiere.
E qua arriva una pratica che un professionista del sanitario conosce, accetta e che dà per scontata e che invece il profano non conosce e che aborrisce una volta scoperta la sua esistenza/frequenza di utilizzo.
Questa:
Vi avverto: l'argomento è TRAGICO nella sua esplicazione, nelle sue motivazioni e, soprattutto, nelle sue implicazioni, ragion per cui ci saranno una piccola manciata di voi che sanno PERFETTAMENTE di cosa sto parlando e altri che non possiedono proprio gli strumenti e l'esperienza anche solo per cominciare a capire la fatica di tutto ciò.
Sintetizzando (sempre a disposizione per ampliare l'argomento) l'assistenza del paziente fragile - geriatrico o giovane disabile - da sempre è passata per il metodo coercitivo-contenitivo cioè per l'applicazione di tutta una serie di misure meccaniche e ambientali che limitassero la libertà del soggetto, nel nome di una tutela della sua salute fisica quando messa a repentaglio da atti di aggressività auto o eterodiretta.
Vuoi scappare dalla finestra? -> ti lego al letto
Rischi di cadere? -> ti lego alla carrozzina
Ti mordi le dita o tiri pugni? -> ti lego le mani
Se vi sembra assurdo vuol dire che non siete mai entrati in una casa di riposo, in una RSA o in una residenza psichiatrica. Punto.
La tragicità sta tutta in un'altra discordanza, molto italiana: nel 2025 stiamo curando pazienti gravi sanitari e gravi disturbanti con tabelle di rimborso ASL risalenti al 1995... alla metà degli anni '90, infatti, chi usufruiva dei servizi di assistenza alla terza età e alla disabilità pisco-fisica erano pazienti senza supporto della rete familiare ma fondamentalmente quasi autosufficienti, mentre gli altri erano accuditi a casa dalla donna casalinga e, in seguito, dalle badanti.
Oggi non c'è nessuno a casa perché tutti lavorano fino a novantasettemila anni d'età, le badanti servono a ritardare il problema (ingigantendolo poi) e ad acquietare i sensi di colpa, col risultato che quando gli utenti accedono alle strutture sono zombie piagati e pieni di tubi che urlano, picchiano e rotolano di sotto dal letto. E quando non picchiano e riescono a camminare, vogliono scappare per andare a radunare le mucche in una stalla che è stata abbattuta dai bombardamenti dei tedeschi 80 anni prima.
I profani inorridiscono al pensiero di legare una persona e gli addetti ai lavori di non poterlo fare.
E poi ci sono io che sfiletto alla julienne il cazzo di tutte e due le categorie con quello che prima ho definito STATO CREPUSCOLARE DI COSCIENZA.
In verità la definizione non c'azzecca niente con quanto sto per dirvi ma siccome sono un appassionato di true crime, questa descrizione di psichiatria criminale m'è sempre sembrata ganzamente degna di finire su una carta di Yu-Gi-Ho! (insieme al TESTICULAR TORSION SPELL) e allora l'ho usata per fare un po' di clickbait per giusta causa.
'E poi ci sono io' però è ingiusto nei confronti di tutti quei professionisti dai quali ho imparato a ragionare sull'argomento e con i quali ho condiviso il percorso istituzionale che oggi mi vede docente di corsi di formazione sulla materia.
Sintetizzando al massimo, io insegno al personale sanitario e socio-assistenziale a fare un passo indietro™ e a considerare la contenzione non un mezzo di salvaguardia psico-fisica del paziente fragile ('Lo lego sennò cade e si fa male') ma un qualcosa che, controintuitivamente, non evita le cadute ma invece le provoca.
Come questo avvenga è controintuitivamente lungo e palloso da spiegare (perciò sviscererò l'argomento qualora vogliate farmi qualche domanda quando il tizio della cantina dorme) ma ho potuto fare mia questa teoria perché poi ho riconosciuto in essa IL MIO ATAVICO ODIO VERSO IL METODO EDUCATIVO COERCITIVO, inutile se non a creare futuri adulti frustrati facili a perpetrare questa semplificazione banale della realtà.
Per concludere, la contenzione non è male a prescindere ma che si parli di una cintura in carrozzina o di una metafora per indicare la nostra imposizione sull'altrui libertà di essere, credo sia fondamentale fare sempre un po' di metacognizione preventiva e chiederci se poi noi si sia davvero dei magister vitae proprio così infallibili.
<3
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E' il simbolo d'appartenenza per eccellenza. L'hai voluto con insistenza. Perché rappresenta pubblicamente un nostro codice molto intimo. Il costo, se non ricordo male, era di pochi euro. Però oggi il suo vero valore, per noi, è inestimabile. L'ultima cosa che getteresti al vento o regaleresti. È un piccolo oggetto: fragile ma potentissimo, un pegno d'amore. Spero tu lo conserverai sempre con cura. ❤️
Aliantis
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TEMPESTUS MAXIMUS - IL FIGLIO DI GIOVE - - NOVUS REX (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1473908693-tempestus-maximus-il-figlio-di-giove-novus-rex?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=LUKE7025 Nella città eterna di Roma, dove storia e modernità si intrecciano in un equilibrio fragile, vive un giovane di nome Alessio Tempesta. Ha 23 anni, è straordinariamente bello ma timido, e conduce una vita apparentemente normale come agente di polizia. La sua bellezza è evidente, ma non è ciò che lo caratterizza. Alessio è riservato, introverso, e si sente più a suo agio nel mondo virtuale, dove può esprimersi senza le barriere della sua timidezza. Passa le sue giornate tra il lavoro e le chat, rifugiandosi in un mondo digitale che è diventato una seconda realtà per molti di oggi. I rapporti con i colleghi sono per lo più formali, basati su una cortesia reciproca, senza mai sfociare in vere amicizie o confidenze. Ma tutto cambia durante una notte, quando, nel silenzio della sua stanza, Alessio viene improvvisamente attraversato da un calore intenso, quasi insopportabile. Si sveglia di soprassalto, il cuore che batte furiosamente nel petto. Sente qualcosa di diverso, eppure stranamente familiare. Si alza, si guarda allo specchio, e vede nei suoi occhi una luce strana, una luce che non aveva mai visto prima. È una luce vivida, quasi ultraterrena, che brilla come un fulmine incandescente. In quel momento, Alessio capisce che qualcosa dentro di lui è cambiato. Un potere antico, latente per secoli, si è risvegliato. E con esso, una consapevolezza che non è più solo un giovane poliziotto timido e riservato. È qualcosa di più, qualcosa di molto più grande. Senza sapere come o perché, inizia a percepire una connessione profonda con la natura, con le tempeste, con il cielo stesso. Quello che Alessio non sa ancora è che lui è l'incarnazione di Tempestus Maximus, il figlio dimenticato di Giove, signore delle tempeste eterne. Un potere che ha attraversato i millenni, nascosto nel sangue umano, e che ora, in un'epoca di caos e incertezze, si è risvegliato in lui, pronto a reclamare il suo posto nel mondo. CHAPTER 9 IN ITALIAN ENGLISH
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Il tempo passa, a volte corre.
Mi accorgo di questo quando mi fermo e mi volto, guardando la strada percorsa e le cose fatte. Incredibile, a volte non ci credo.
Vedo i volti, sento le voci, annuso gli odori, i profumi e ammiro paesaggi, tutti ricordi che sono attraversati dal mio percorso di vita.
C'è un volto tra tutti, me lo ricordo più di chiunque altro, che mi segnò la vita in maniera profonda quando lo vidi.
Il volto di un esserino appena nato, anzi in parte ancora del tutto uscito da sua madre.
Questo volto, lungo il sentiero della mia vita, è cambiato tante volte.
Ha avuto varie espressioni, dimensioni e colori ma le ricordo tutte. Sono passi del mio cammino importanti, quelli percorsi da padre.
Oggi quel volto che appartiene a te Daniele è quello di un ragazzo buono, condizione che da un certo punto di vista mi preoccupa visto il mondo che ti sto lasciando, ma di cui io sono fiero.
Avrai tanta strada da percorrere tu per un sentiero che, ne sono sicuro, ti porterà ad ammirare paesaggi e orizzonti che io neanche posso immaginare.
Esistono durante la nostra vita dei punti di svolta, dei momenti ben precisi dove le cose cambiano o, addirittura, si capovolgono.
Sento ancora la tua stretta negli abbracci, come la presa della tua manina con la mia, dove cercavi protezione.
Il non volere che io ti abbandonassi. Mai.
Ma nei giorni scorsi c'è stato uno di quei punti di svolta che ti dicevo, un tuo abbraccio in cui per la prima volta mi sono sentito protetto io.
Le tue lunghe braccia che hanno abbracciato un padre che oggi si sente fragile.
Con la differenza che non posso permettermi di chiederti di non lasciarmi mai, perché arriverà il giorno in cui tu prenderai la tua strada e la mia si fermerà. In quel punto, ammirandoti.
Nella vita non esistono i punti di non ritorno, no, credo invece che esistano punti dove si debbano prendere delle decisioni.
Continuare o fermarsi, prendere un'altra direzione o proseguire con lo stesso orientamento.
Arriverà la tua consapevolezza, quando ti volterai per guardare le immagini del tuo percorso, prima di riprendere il cammino, dove probabilmente vedrai ancora il mio volto. Le mie mani stringere le tue, le mia braccia stringerti a me.
Credimi, non avere di questi ricordi del proprio padre è una mancanza pesante, io mi ricordo dei miei abbracci a un uomo che oramai stava per lasciare questa vita.
Cammina, cammina più che puoi Daniele. Percorri più strada possibile e assapora, ascolta, annusa, ammira, tocca e ricorda ogni momento che ti ha creato emozioni e, mi auguro tante, gioie.
Oggi sono 21 anni che cammini, che sei inciampato ma ti sei alzato con caparbietà, che hai preso strade a fondo chiuso ma hai saputo trovare altri passaggi per proseguire. Questo non è da tutti.
Sono fiero di te, ma sono di più orgoglioso di essere tuo padre. Perché tu mi stai dando tantissimo.
Ti abbraccio ora. Ti abbraccerò per sempre.
Auguri di buon compleanno Daniele
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Oggi sono fragile.
Va bene anche così.
Passerà anche questa giornata.
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Sono andata a scuola con Pamela Mastropietro, la ragazza romana uccisa e smembrata nel 2018.
Mentre scrivo cerco di rendere quello che sento e che ho sentito all’epoca il meno autoreferenziale possibile, eppure mi accorgo che non riesco, ché mi viene da scriverne perché poco fa ho visto un video con la sua faccia dove veniva ripercorsa la vicenda, apprendendo ulteriori scenari, e non riesco perché ogni volta che mi torna in mente lei mi ricordo la sensazione corporea quando ho appreso della sua morta, scorrendo il cellulare, ed ho capito che una ragazza che vedevo fino a dieci giorni prima in classe era stata fatta a pezzi e messa in una valigia. Lo so, è ancora autoreferenziale, ed è il motivo per cui non parlo di questa storia mai - non è la mia, non ne ho il diritto -, anche se mi lacera ancora oggi, ed è forse il motivo per cui non ho mai toccato droghe pesanti in quel periodo orribile.
Io vorrei descrivere Pamela, darne un ritratto fedele, autentico, descrivere il suo accento romano, la sua camminata, il suo atteggiamento duro e spaccone - tranne quando si rivolgeva a me, ché ero fragile all’epoca e forse lei lo aveva capito. Vorrei parlare del rapporto che aveva con la mia professoressa di filosofia, di quanto fosse in gamba, di come parlasse bene, ma non riesco, perché io non sono stata niente per lei, io ero solo una spettatrice, e non posso neanche avere il diritto di sentirmi così dilaniata.
Succede che poco fa apprendo che, prima della sua morte, ben due autisti di taxi hanno consumato un rapporto con lei in cambio di un passaggio per Roma - era appena scappata da una comunità per tossicodipendenti. Solo successivamente ha incontrato lo spacciatore che poi l’ha uccisa, dopo avere abusato di lei. Quando leggo questo io non riesco più neanche a parlare di Pamela, non riesco a dare un ritratto non autoreferenziale della mia angoscia perché mi sale la rabbia cieca e frustrata e senza speranza nel pensare che in quei due giorni ogni figura maschile e adulta incontrata non le abbia teso una mano, non abbia chiamato le autorità, non abbia infierito su quel corpo e quella psiche a pezzi. Aveva 17 anni.
Come si può tollerare una violenza sistemica così atroce? Come si possono tollerare la negligenza e la noncuranza verso una vita così indifesa e fragile? Come non può estendersi, questo fatto, a macchia d’olio, e non farmi salire una rabbia atroce e disperata nei confronti della violenza, della violenza sui deboli - della violenza sulle donne, sempre loro.
Io non lo so come si fa a non mettere la propria sofferenza in mezzo, scusa Pame’, ma ogni tanto m’incazzo; avrei tanto voluto che qualcuno ci fosse stato per te.
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PRIMA PAGINA Corriere Della Sera di Oggi sabato, 01 febbraio 2025
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Cucinata a puntino
Ho avuto una settimana durissima. Dopo lunghi studi e con grandi sacrifici, sono riuscita a creare e a far prosperare la mia società di consulenza informatica. Per portare il lavoro in azienda e mantenerne alto lo standard qualitativo, sono costretta a essere rigorosa e spesso molto dura, spietata: con la concorrenza e con i miei stessi dipendenti.
So dei soprannomi che mi affibbiano: il più tenero è “stronza”; poi ci sono “cagna bastarda”, “troia frigida” etc… Ma il venerdì sono libera di sciogliermi. Tu sei sposato e fai i salti mortali per liberarti di venerdì. Io sono separata da tre anni. Ti vedo e ceniamo insieme, sempre nello stesso ristorantino di un paesello qui vicino.
Dopo mangiato, in macchina prima di ripartire mi tieni al caldo sul tuo petto e mi coccoli. Con te io sono al sicuro: mi sento protetta, tra le tue braccia. Sei un maschio vero, sei molto forte, sicuro di te. Mi inebrio del tuo odore e del tuo calore.
Non posso farci nulla: ti vedo e mi tremano le gambe. Poi divento tenerissima, la mia voce si fa tenue: arrossisco, non reggo il tuo sguardo, abbasso gli occhi e sono da subito pronta a essere divorata dalla tua bocca e lavorata dalle tue mani robuste. Con te divento di gelatina. Non aspetto altro che faccia buio e che tu decida di riaccompagnarmi a casa.
Prima di lasciarmi davanti al portone per tornare dai miei figli, prenderai la nostra solita stradina sterrata secondaria, quella che porta al boschetto nascosto nostro complice d'amore. Fermerai la macchina e come sempre farai di me ciò che vuoi. Mi spoglierai quel tanto che ti serve per arrivare al mio seno e saziartene.
Non vedo l'ora di offrirtelo e sarò felice quando me ne succhierai uno. Mettendotelo tutto in bocca, me lo divorerai; aspirerai tirando come se volessi staccarmelo. Dio, che sensazioni meravigliose mi sai regalare! Spesso vengo, quando mi succhi i capezzoli.
Nel frattempo, metterai una tua mano tra le mie cosce, me le allargherai ed entrerai con il medio nella mia passera per eccitarmi. E ci riuscirai. Perché io ti do tutto ciò che vuoi. Esplorerai la mia fica e il mio ano. Farai di me quello che ti piacerà: con te sarò solo un pupazzetto della consistenza di un budino; divento fragile e molle, nelle tue mani.
Poi se vorrai, mio signore, ti basterà una tenerissima e leggera pressione sulla mia nuca, per indirizzare la mia testa verso il tuo membro. Allora io docilissima, obbediente e felice scolaretta, golosa ti accoglierò in bocca e mi impegnerò per farti godere. Ti pomperò e succhierò quanto vorrai: se dovrai venire, sarai il benvenuto. Se preferirai altro invece, io sarò pronta per te.
Il mio menù è vario e in esclusiva per te. Quando vorrai, mi girerò sul sedile sdraiato e ti farò entrare dove vuoi. Se preferisci la mia fregna: è tua, lo sai. Io però ti gradisco molto nel culo, perché adoro quando mi ci sborri dentro, quando mi inondi le viscere.
Ti sento moltissimo, quando infili il tuo cazzo nel mio sfintere stretto. Sono nata per darti il maggior piacere possibile. Anche se, al solito, nel culo soffrirò molto, perché sei un bestione alto, grosso e mi fai male. Ma lo prendo in culo volentieri, da te. Mi piace, quando soffro per farti godere.
Se invece mi vorrai in maniera tradizionale, io sarò a tua disposizione. E prendo la pillola per non obbligarti a usare preservativi. Mi dispongo bella aperta, alzo il bacino, contraggo e rilasso di continuo i muscoli vaginali per massaggiarti il cazzo mentre mi scopi. Accolgo la tua lingua in bocca e ci gioco con la mia per almeno dieci minuti: ogni bacio è un racconto torrido.
Cerco di eccitarti, per farti venire. Ti dico all'orecchio: “dai mio stallone, sfondami. Spaccami la fregna.” Ti infilo il medio nell'ano fino alla base mentre sborri. E tu allora allarghi le tue natiche e mi sussurri parolacce: “maledetta puttana… sei una cagna… sei una vera troia, molto esperta… fammi godere… quanti cazzi hai preso fino a oggi…” e varie altre parole gentili che sono musica per il mio cuore.
Quando esci dal mio corpo, con delle salviette umide ti pulisco il cazzo, me lo metto in bocca e finalmente me lo succhio tutto, per il mio intimo piacere: mi piace gustare le ultime gocce del tuo seme e adoro sentirmi completamente tua, amata. Tu lo sai e sorridendo come un assassino me lo lasci fare. L'intimità con te è totale. Quando mi sorridi, te lo succhio più forte.
Soprattutto io desidero con tutta l'anima che tu abbia una buona serata, che ti rilassi e che venga libero dentro di me, senza problemi. Spero che del mio culo, del mio seno, della mia bocca, della mia fregna e della mia malizia quando scopiamo tu non ti stanchi mai. Amami sempre. Andiamo via dal ristorante, adesso. Ti voglio. Ti desidero troppo dentro il mio corpo, Non resisto più, amore mio: scopa la tua cagna. Oh, se i miei dipendenti mi vedessero quando sono con te!
RDA
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VITTIMA DEL MATRIARCATO
Dovevano essere i primi anni ottanta e credo di essere stato in quinta elementare o al massimo in prima media, quando un pomeriggio di Agosto in spiaggia a Viareggio mentre tra amici guardavamo una partita di calcetto tra nuvole di sabbia, qualcuno vicino a me indicò una ragazza in bikini bianco, di uno o due anni più grande di noi e mi chiese a bruciapelo 'Quella lì te la tromberesti?'.
Io rimasi un po' spiazzato dalla domanda ma visto che si trattava di una risposta per forza dicotomica e comunque dell'argomento sapevo giusto giusto le basi teoriche, ovviamente risposi di sì.
Il tipo (che non era proprio un amico ma piuttosto una di quelle conoscenze estive estemporanee) sghignazzò e in men che non si dica si avvicinò alla suddetta ragazzina e indicandomi le disse qualcosa a bassa voce.
Dobbiamo dire che allora (come ora) io per le cose mondane non ero certo il più sveglio della cucciolata e quindi non riuscii a collegare quanto avevo detto al tipo poco prima con l'espressione furiosa e sconvolta della ragazza, che con le lacrime agli occhi corse verso il gruppo dei genitori sotto gli ombrelloni, tra cui c'era anche mia madre.
Dovevano essere le tre del pomeriggio ma io posso ancora ricordare che a un certo punto era sera (c'era la mezza luna in cielo) e mia madre non smetteva ancora di urlarmi contro PER LA COSA SCHIFOSA CHE AVEVO DETTO A QUELLA RAGAZZA E CHE MI DOVEVO VERGOGNARE PERCHÉ LEI DI SICURO DI VERGOGNAVA DI AVERE UN FIGLIO COSÌ.
Quando mio padre rientrò a casa ricominciò tutto da capo ma in stereo, con lui a braccia conserte che scuoteva la testa e mi diceva che ERO STATO UNA GROSSA DELUSIONE E CHE QUELLA RAGAZZA AVREBBE SOFFERTO MENO SE LE AVESSI DATO UN PUGNO NELLO STOMACO.
La cosa strana è che non provai nemmeno a difendermi spiegando che in realtà non le avevo detto proprio nulla... ho accettato il fatto di essere stato beccato mentre ballavo il tip tap in un campo minato e il giorno dopo continuai a fare quello che facevo fino al giorno prima ma diffidando di più della gente che faceva le domande stupide.
Vedete, il fatto è che io sono stato cresciuto in un ambiente familiare davvero molto aperto e inclusivo, dove c'era poco spazio per il giudizio frettoloso verso il diverso, il fragile e l'emarginato, quindi quell'episodio più che ingiusto mi parve strano... davvero c'era gente che andava in giro a dire alle donne che le voleva trombare? Ma dov'erano i genitori di queste persone?
E più tardi capii che erano proprio loro a dire queste cose e i figli semplicemente imparavano.
E ne ho conosciuto davvero tanti di figli così (che, per inciso, sono i genitori di oggi da cui altri figli imparano) e a volte non c'è nemmeno stata una responsabilità genitoriale diretta nell'aver insegnato loro certi comportamenti... a volte basta non dare peso, sorridere a certe battute e derubricare certi comportamenti a scherzi presi troppo sul serio.
Perché poi, alla fine, è sempre questione di saper stare allo scherzo, no?
E fatevela 'na bella risata invece di stare sempre a pensare a cose macabre tipo che una donna viene uccisa ogni quattro giorni!
No?
No.
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«Il cuore di un Anarchico sanguina sempre, il mio perchè sono consapevole che Anarchia è solo pura utopia, e perchè il mondo che osservo con i miei occhi non mi piace, e lo vorrei diverso.
Vorrei che nessuno fosse padrone e che nessuno fosse più servo,
vorrei che l'uomo riuscisse finalmente ad autogestirsi e a collaborare con gli altri, vorrei non avere più nessun uomo politico che gestisca il mio futuro e quello di migliaia di altre persone, vorrei che nessuno sia più mercenario di guerra al servizio del potere.
Vorrei che l'uomo non avesse più inibizioni come una legge imposta dall'alto e che l'unica legge fosse la nostra morale. Vorrei che la gente smettesse di credere in valori sbagliati come il consumismo.
Vorrei che l'uomo fosse finalmente libero.»
Faber❤️
Oggi è l'11 Gennaio ed in questo giorno, nel 1999, a Milano moriva il grande cantautore Fabrizio De Andrè. Era nato a Genova nel 1940 e viene considerato uno tra i più grandi cantautori italiani di ogni tempo. Insieme a Gino Paoli, Bruno Lauzi, Umberto Bindi e Luigi Tenco ha fatto parte della cosiddetta "Scuola Genovese". Libertario, pacifista e di pensiero anarchico, i suoi testi hanno raccontato di emarginati, prostitute e ribelli, ma anche il tema dell'amore è stato affrontato con grande e particolare originalità. Alcuni suoi testi, considerati vera e propria "poesia", sono stati inseriti in antologie scolastiche di letteratura. E' il cantautore con maggiori riconoscimenti dal "Premio Tenco" (prestigioso premio tra i più importanti riconoscimenti musicali italiani, creato in omaggio a Luigi Tenco e riservato ai cantautori) con sei targhe e la vittoria di un Premio Tenco. Attraverso le sue canzoni s'interessò anche di rivalutare certi idiomi locali, come il genovese ed il gallurese. Conosciuto anche con l'appellativo di “Faber”, che gli dette l'amico attore Paolo Villaggio, riferendosi alla predilezione da parte di De Andrè per le matite ed i pastelli “Faber-Castell”. L'esordio discografico avvenne nel 1961 con un 45 giri che conteneva i due pezzi: Nuvole Barocche” e “E Tu La Notte” e nel 1963 avvenne il suo debutto televisivo nel programma “Rendez-Vous”. Tra la miriade dei grandi successi di De Andrè, possiamo ricordare ' in estrema sintesi, “La Canzone di Marinella”, “Il Pescatore”, “Via Del ampo”, “Bocca di Rosa”, “Creuza De Ma'”, “La Guerra di Piero”, “Amore Che Vieni, Amore Che Vai”, “Dolcenera”, “Amico Fragile”, “Don Raffaè”. Dopo la scomparsa, gli furono intestate in varie parti d'Italia, vie, piazze, parchi, biblioteche e scuole.
Bruno Pollacci
Direttore dell'Accademia d'Arte di Pisa
Ricordando Faber...Buongiorno🌈
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Non ti vedo. So bene che sei qui, dietro una parete fragile di calce e di mattoni, alla portata della mia voce, se chiamassi. Ma io non chiamerò. Ti chiamerò domani, quando ormai non vedendoti, immagini che ancora tu sia qui, accanto a me, e che basti oggi la voce che ieri ho trattenuto. Domani… quando tu sarai al di là di una fragile parete di venti, di cieli e di anni.
Pedro Salinas
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La fragilità, negli slogan mondani dominanti, è l'immagine della debolezza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso; e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell'indicibile e dell'invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d'animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi.
[...]
La fragilità è un modo di essere emozionale ed esistenziale che vive del cammino misterioso che porta verso l'interno e che non si riconosce se non andando al di là dei comportamenti, e scendendo negli abissi della nostra interiorità e dell'interiorità altrui. Ancora oggi si tende ingiustamente a guardare alla fragilità come ad una forma di vita inutile e antisociale, e anzi malata, che ha bisogno di cure e che non merita nel migliore dei casi se non compassione; e non si sanno intravedere in essa le tracce incandescenti della sensibilità e della gentilezza, della timidezza e della tenerezza, della creatrice malinconia leopardiana.
Certo, come la sofferenza passa, ma non passa mai l'avere sofferto, così anche la fragilità è un'analoga esperienza umana che, quando nasca in noi, non viene mai meno in vita e che imprime alle cose che vengono fatte, alle parole che vengono dette, il sigillo della delicatezza e dell'accoglienza, della comprensione e dell'ascolto, dell'intuizione dell'indicibile che si nasconde nel dicibile.
Sì, ci sono momenti in cui la presenza, o almeno la percezione, che ciascuno di noi ha della sua fragilità si accentua, o si inaridisce, ma in ogni caso dovremmo educarci a riconoscerla in noi ma soprattutto a riconoscerla negli altri da noi: un impegno etico, questo, al quale noi tutti siamo chiamati in vita.
Nel concludere queste mie nomadi considerazioni sulla fragilità vorrei citare una breve e stremata poesia di Rainer Maria Rilke.
La poesia è questa:
Era tenero e fine il suo sorriso come brillio d'antico avorio, come nostalgia, come neve che a Natale sull'oscuro villaggio discende, come turchese in mezzo a fitte perle, come raggio di luna su un caro libro.
Cosa c'è di più fragile di un sorriso, e cosa di più fragile della nostalgia, della neve che cade a Natale e di un raggio di luna su un caro libro? Vorrei augurarmi che in queste bellissime immagini possa riassumersi il senso umbratile e fugace di un discorso incentrato sulla fragilità come leitmotiv della condizione umana.
Eugenio Borgna
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