#occhio singolo
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MEDUSA, LA BELLA DONNA CHE È STATA PUNITA PER ESSERE STATA VIOLENTATA.
Secondo la mitologia greca, Medusa era una gorgone e aveva una caratteristica che la distingueva perché mortale e la più bella delle sue sorelle. Medusa è uno dei personaggi più facili da riconoscere ad occhio nudo nella mitologia greca. Con i suoi capelli di serpente aggrovigliati e il potere di trasformare chiunque la guardasse in pietra, è uno dei mostri più popolari dell'antichità. Ma c'è una parte della sua storia che non è mai stata raccontata.
La sua bellezza affascinava Poseidone, lui cercò di sedurla e violentarla nel tempio di Atena, dove lei andò innocentemente a chiedere aiuto alla Dea.
La rabbia di Atena era così grande che ha punito Medusa trasformandola in un mostro. Mani di metallo, denti affilati, occhi che emettono luce, chiunque li guardasse direttamente si trasforma in pietra.
Afrodite, che non ha ottemperato a questa punizione, era gelosa dei bei capelli di Medusa, quindi aveva serpenti al posto dei capelli in punizione, così Medusa fu esiliata e condannata a vivere in terre iperbariche.
Durante la relazione tra Poseidone e Medusa, si verificò una gravidanza che aumentò il risentimento di Atena, che ordinò a Perseo di uccidere Medusa.
Perseo le ha tagliato la testa con un singolo colpo di spada.
La testa di Medusa andò ad Atena, che la usò come scudo in tutte le sue battaglie, proprio come fece Perseo per salvare Andromeda e uccidere Polidectes.
Anche il suo sangue era conservato, perché la vena sinistra era un veleno mortale, e la destra aveva proprietà curative.
Quando Perseo le ha tagliato la testa, il gigante Crisaor e il cavallo alato Pegasus sono emersi dal suo collo. Entrambi sono considerati figli di Poseidone, il che significa che erano il risultato di uno stupro, e Medusa era incinta quando è stata uccisa.
Medusa non era il vero mostro in questa storia.
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Post davvero lungo su Germania, Italia, capitalismo e mondo del lavoro, dovrò saltare su diversi argomenti per farmi capire.
A me piace il lavoro che faccio, ma proprio dal punto di vista del contenuto. Certo, ci sono cose che mi rompono il cazzo, però ho degli spazi dove posso risolvere problemi, creare cose, in decenni di esperienza ho imparato a ritagliarmi i miei orticelli e, quando San Gennaro mi dà una mano, anche a farmeli riconoscere (ma questo lo considero un dippiù).
Quando arrivai in SAP, mi fecero subito notare, ed è accaduto per ben due volte in altre occasioni con delle accuse fatte in pubblico, che io ero uno che voleva strafare. Ai loro occhi, ero il classico italiano pronto a metterlo nel culo a chiunque, facendomi bello agli occhi del capo. Cosa che, ovviamente, non mi è mai interessata, a me piace scrivere software, lo faccio anche il sabato, la domenica, a Natale, a Capodanno, ogni volta che ho tempo e genio, senza chiedere il permesso a nessuno, semplicemente per il fatto che ne ho voglia, non l'ho mai fatto pesare a nessun/a collega, ognuno facesse quello che vuole, però poi il messaggio che passa(va) è che io sono il classico lecchino di merda. Ora, se questa cosa agli inizi mi creò qualche disagio, oggi sapete benissimo che opinione io abbia di queste ... vabbè, facciamo che non offendo nessuno a questo giro, quindi me la faccio scivolare addosso, continuo a "strafare", come dicono loro, lasciando la scopa nei loro deretani.
Adesso scaliamo la cosa.
Sempre quando arrivai in SAP 6 anni fa, l'azienda ti dava la possibilità di scegliere tra due piani relativi a come calcolare il bonus annuale, ovvero o sulla base della performance dell'intero team (piano A), o sulla base della performance individuale (piano B). Il piano B era visto di cattivo occhio, per i motivi espressi sopra, e per farsi volere bene alla fine si sceglieva il piano A, per questa mentalità di ... ehm, anacronistica che hanno qua (una volta feci pure un post sul film di Top Gun, https://www.tumblr.com/der-papero/634979034033471488/herr-papero-sto-vedendo-true-lies-in-tedesco , per far capire di cosa stiamo parlando).
Torniamo adesso un attimo indietro nel tempo.
Quando mia madre era operaia alla Siemens (poi diventata Italtel), tra la fine degli anni '60 e la fine dei '90, se tu lavoravi di più quando nessuno te l'aveva imposto o, ancora peggio, ti permettevi di non partecipare a qualche sciopero (a.k.a. crumiro), ti spaccavano la faccia. Ma nel vero senso della parola, ti menavano, e ti facevano passare la voglia di fare scelte opportunistiche che andavano contro il bene collettivo. Non entro nel merito se fosse giusto o sbagliato, posso anche sforzarmi di condividerne le ragioni, tuttavia per me oggi siamo (1) in un contesto storico/sociale diverso (2) in una modalità di lavoro completamente nuova. Per dirla in un altro modo, mentre mia madre, per lavorare di più, doveva presentarsi fisicamente sulla catena di montaggio, io ho il mio PC, e non è che puoi entrare a casa mia e randellarmi il cranio perché ho fatto un login di sabato mattina, la società è radicalmente cambiata, quindi, qualsiasi sia l'idea politica che abbiate, ce pass pu' cazz, perché adesso funziona così. Ovviamente il fatto che una persona possa scegliere cosa sia meglio per se stessa danneggiando potenzialmente gli altri è un bel cazzo di problema, ma è un problema che, dal punto di vista del singolo, non è risolvibile, ci dovrebbero pensare i governi, ma sappiamo già quale è la risposta, quindi evitiamo di entrarci altrimenti la zuppa si complica.
E qui entriamo nel capitalismo, che, anche se è fattualmente un cancro, è un cancro che abbiamo deliberatamente scelto tutti, nessuno escluso (checché la gente qui sopra ne scriva peste e corna come se fossero in grado di vivere come viveva mia nonna, ma lasciamo perdere, che i vaffanculo li tengo contati), semplicemente per il fatto che siamo una società basata sul consumo. Certo, esistono scelte virtuose, atteggiamenti orientati al bene comune, tutte cose belle, ma su larga scala le nostre azioni, piccole o grandi che siano, persino le più lecite ed eticamente corrette, alimentano questo mostro, ed è un fatto incontrovertibile che va al di là del nostro pensare più o meno ipocrita.
La Germania ha sempre provato a conservare questo aspetto "simil-operaio", di tutela del lavoratore vs. gli interessi del padrone, cosa lodevole, per carità, anzi, è uno dei motivi che mi ha convinto a venire qui, e mi dispiace tanto che in Italia sia diventata ormai utopia. Però qui non è Cuba, per citare Bersani, è come voler fermare l'acqua con le mani, non ho mai puntato sul fatto che ci sarebbe riuscita sul lungo periodo, è andata ancora bene che la quantità di soldi disponibile era talmente tanta che si potevano permettere di avere la moglie ubriaca (lavoratori tutelati) e la botte piena (società di consumo), ma adesso che le sostanze si stanno asciugando il modello capitalista sta entrando a gamba tesa nella realtà lavorativa tedesca, e tra poco qui i diritti dei lavoratori saranno solo un ricordo del passato. Anche in questo caso, i governi dovrebbero fare da scudo, ma basta contagiarne uno, e la china che poi si intraprende è a senso unico (indovinate quale governo sta iniziando a metterlo a quel posto ai lavoratori? tu guarda la combinazione, è di centro-sinistra).
Perché dico questo? La mia azienda, da quest'anno, offre solo il piano B, ovvero il bonus è legato solo alle performance individuali, vaffanculo il team, in culo alla collettività, ognuno si guarda il proprio orticello e, se proprio ne ha voglia, lo mette anche a quel posto al vicino di scrivania. Non vi dico le proteste, hanno usato una parola che non conoscevo, "Ellbogenmentalität", ovvero "mentalità da sgomitate", e la conseguenza di questa scelta aziendale, a loro modo di vedere, potrebbe solo peggiorare le cose. Hanno ragione? SÌ, assolutamente, ma non esistono più i mezzi per contrastare questo scenario. Io faccio quello che faccio nonostante i soldi, ma c'è sicuramente il mio Anticristo che lo fa solo per soldi, e sebbene ci possa anche essere una differenza etica, siamo sullo stesso piano lavorativamente parlando.
Morale della favola: tutto questo casino, e oggi esiste solo il piano B, che lo vogliano o meno, si sono rovinati con le loro stesse mani, perché, ed è qui la critica che io faccio sia agli operai dei tempi di mia madre che ai lavoratori digitalmente avanzati di oggi, ovvero si è sempre perso tempo a punire il proprio vicino di scrivania, non importa se per opportunismo o per bene collettivo, e mai chi prende effettivamente le decisioni che impattano le vite di ognuno. Come volevasi dimostrare, il capitalismo dei padroni ha vinto inevitabilmente anche in questo caso, lasciando che ci facessimo la nostra guerra tra poveri, mentre loro si ingrassano inventando nuovi modi creativi su come farci le scarpe tra noi. Ma per quando queste teste vuote arriveranno a capirlo, sarà troppo tardi, ad ogni modo, da buon capitalista, io continuerò a fare quello che mi pare.
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Ti capita mai di rivedere le nostre foto? O riascoltare gli audio?
Ho appena dato un occhio alla memoria del telefono e ci sono una marea di audio; alcuni li ho riascoltati, altre foto riviste, anche dei video e delle gif stupide.
E tiro un respirone pesantissimo e rimangono lì anche se chiunque, probabilmente anche tu, mi diresti di eliminare tutto.
Eppure, ragazzo mio, sono ancora qui che ogni tanto ci ripenso e mi dico "che stronzata che ho fatto"
Non posso sapere se è stata una stronzata davvero ovviamente; ai tempi probabilmente no per quel che poi è successo, che è stato il la di tante cose.
Ma il fatto che la mia testa e il mio petto ritornino lì ogni tanto, boh, mi da da pensare
Tu come stai, mi chiedo? Sì mi sto imponendo di non scriverti da capodanno compreso. Quindi scrivo qui, inconsapevole del fatto che tu possa o meno leggere.
Io va! Sto distruggendo delle cose, e sto imparando a dare importanza ad altre.
E ho un gigantesco rimpianto: non averti dedicato il tempo che dovevo dedicarti. Perché non prendiamoci per il culo: "prima c'è il singolo e poi noi" è sempre stata una stronzata che mi ha portato a mettere tutto sullo stesso piano. E ora che sto distruggendo (per fortuna o per sfortuna) alcuni equilibri con alcune persone mi rendo conto di quanto, ai tempi, non aveva senso tutto e che dovevo darti la giusta importanza, la più importanza. Non perché non volessi dartela, anzi il contrario! Mi struggevo un fottio inconsapevolmente, porca troia ma no, "dovevo" dare importanza anche alle altre cose. Che va bene, ma doveva essere inferiore. Perché eri il mio tutto davvero e non sono riuscito più a trovare un equilibrio e alla fine sono caduto perché io, in realtà, non posso essere perfetto per tutti e tutto.
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Non trovate che sia estremamente presuntuoso recludere il concetto di bellezza in dei canoni dettati dalle epoche, uniformando la percezione che abbiamo di essa a dei contorni sociali banali, limitanti e confinanti?
Per quanto ognuno di noi sia in grado di distinguere nettamente ed in modo oggettivo tra l'orrido e l'estasiante, ci saranno sempre dei disaccordi macro e microscopici figli di una moltitudine di fattori, legati alla soggettività e al vissuto di ognuno di noi: un infinito gioco di filtri e prospettive posato sulla base del senso comune e che colloca la bellezza negli occhio di chi osserva.
Il potenziale relativo alla bellezza è per questo sconfinato è destinato a mutare sia nel pensiero comune che nella mente del singolo, sottolineando quanto stupido sia incatenare il suo concetto a quello dell'oggettività, e ancor più a quello della collettività
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Buonasera Kon-igi. Stavo leggendo delle nuove norme di contenimento covid. Premesso che sarei anche d'accordo a un lieve allentamento delle misure, ammetto che la mia ignoranza in merito allo stato della pandemia/epidemia me le fa ritenere fin troppo permissive.
Considerato che sicuramente ne sai molto più di me: da non-quel-tipo-di-dottore tu cosa ne pensi? Sono corrette? Troppo lasche? Un giusto o pessimo compromesso?
Dal momento che sei una persona gentile, non vorrei mai che quanto sto andando a dire tu potessi in qualche modo pensarlo rivolto a te.
Consideralo una via di mezzo tra una riflessione e uno sfogo, entrambi intimi e personali ma declinati pubblicamente...
Non me ne frega più un cazzo.
Posso continuare a provare preoccupazione per la solitudine e la sofferenza del singolo e nel mio piccolo cercare di fare qualcosa per alleviarla ma per me l'argomento covid è chiuso.
E non intendo che non ne voglio più parlare ma che non mi interessa più discutere con certi toni di quella che oramai non è più una pandemia ma un'endemia, un qualcosa con cui conviveremo nelle centinaia di anni a venire.
Il Sars-CoV2 con tutte le sue varianti è entrato a far parte del serraglio microbiologico planetario. Punto.
E bada bene che - se ricordi i miei vecchi post - non è che io abbia cambiato idea su quello che ho detto, pensieri che non erano le mie predizioni di 'esperto' ma un qualcosa di condiviso da tutta la comunità scientifica e che io avevo ascoltato e letto con orecchio e occhio pazienti... solo che erano concetti incompatibili con l'irrazionalità generale dovuta al panico del periodo.
Allora, nessun personaggio pubblico poteva permettersi di parlare in modo chiaro, perché la cosa avrebbe generato dubbi e in quel momento c'era necessità di trasmettere indicazioni precise, anche usando il fear mongering.
Per risponderti, non c'è più nulla di sanitario nel modo in cui si affronta l'argomento Covid ma solo un approccio socio-economico, quindi soggetto alle fluttuazioni sociale ed economiche. E quindi politiche.
E delle tre a me interessa solo la prima.
Mi spiace ma non riesco a focalizzarmi sulla 'tutela degli anziani e degli immunodepressi' quando non solo questi ma tutti i soggetti fragili (quindi chiunque) sono MARTORIATI quotidianamente da scelte improntate a una normalizzazione forzata cioè a un adeguamento a una norma sociale decisa da una qualche mummia rinsecchita dal proprio sarcofago polveroso.
Il covid non c'è più.
Quello che c'è, però, è una società composta in stragrande maggioranza da persone che credono ancora al vetusto concetto di merito, di duro lavoro, di disciplina, di orgoglio e di... normalità. E che non si chiedono mai, nemmeno per un attimo, da dove arrivi tutto il benessere di cui lamentano quotidianamente la presunta mancanza.
Cosa ho fatto per meritarmi questo! - pensò la pulce gonfia di sangue mentre moriva per la grattata del cane.
Probabilmente alla prossima pandemia covid ci chiederemo la stessa cosa.
E la risposta, come sempre, sarà quella sbagliata.
Ci si vede nella luce.
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Mentre portavo fuori Lucky, all'andata c'era un camion della spazzatura fermo accanto al marciapiede, con il meccanismo che solleva i cassonetti apparentemente a metà, sembrava bloccato in alto, non al lato. Il camion sembrava parcheggiato, in modo stabile, senza niente che facesse pensare che stesse per cadere o chissà cosa; in mezzo al marciapiede c'erano un cono arancione e una busta, non sapevo perché. Sono passato a sinistra del cono, perché non avevo motivo di andare a destra e ho scelto di lasciare spazio aggiuntivo al camion e a chi c'era dentro. Più avanti, ai cassonetti, c'era un rettangolo di sabbia.
Sto tornando verso casa facendo il percorso al contrario. Più avanti, sulla destra del marciapiede secondo il mio punto di vista, vedo un cane che Lucky sopporta a malapena, ma è piccolino, e di solito non gli risponde. Decido quindi di non attraversare la strada e rimanere semplicemente sulla sinistra, per avere comunque una distanza di sicurezza. Quando arrivo vicino al camion il conducente mi urla di non passare sotto, e aggiunge "cazzo ma almeno guardare". Io mi adeguo alle informazioni che mi ha appena dato e non rispondo al suo commento.
Molto probabilmente era in un momento di stress, sta di fatto che il suo commento è stato inutile e ha dato per scontato che io non fossi attento, in modo non comprensivo. Ero attento ad altro, e per me non era così chiaro che quel singolo cono significasse "state alla larga". Poteva anche significare "non toccate questa busta qui vicino". Nel caso avesse avuto più coni, non so se li avesse con sé, avrebbe potuto disegnare un semicerchio che sarebbe stato molto più esplicativo. Nel frattempo lui se ne stava seduto nell'abitacolo, non attirava l'attenzione con la propria presenza sul marciapiede. Evidentemente almeno con un occhio guardava chi e come passava.
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Storia Di Musica #274 - AA.VV., Easy Rider (O.s.t.), 1969
Le storie di musica di Maggio le ho scelte pescando da un oceano immenso: le colonne sonore. Sono comparse già in passato in questa rubrica, ma non in senso organico. Nemmeno stavolta sarà possibile essere esaustivi, occorrerebbero centinaia di domeniche, ma ne ho scelte 4, particolari, dove il rapporto con la canzone rock è decisivo, anche e soprattutto come genesi dell’intero accompagnamento musicale al film. Easy Rider era uno slang un po’ sboccato per definire un playboy, ma dopo che Dennis Hopper decise di usarlo per il titolo del suo primo film, è divenuto sinonimo di motociclista, che vive la vita in libertà da antieroe. Hopper insieme a Peter Fonda firma la sceneggiatura di uno dei più grandi film degli anni ‘60, manifesto della stagione hippie americana, e nel 1969 esce nelle sale Easy Rider (che in italiano ha un sottotitolo Libertà E Paura): Wyatt e Bill, dopo avere trasportato un carico di cocaina dal Messico agli Stati Uniti, investono parte del guadagno in due motociclette nuove con l'intenzione di attraversare il paese, dalla California a New Orleans, per andare a vedere il carnevale. Le due moto, Captain America che aveva la bandiere a stelle e strisce sul serbatoio, e Billy Bike, che aveva il motivo a fiamme, sono i due nuovi carri della frontiera, in un viaggio dove i nostri sono visti sempre di cattivo occhio, vengono arrestati, incontrano altri personaggi bizzarri (come George Hanson, interpretato da un leggendario Jack Nicholson), sperimentano le droghe, un finale tragico (che lascio a chi non ha visto il film di scoprire). Hopper si dice che volesse in un primo momento usare come commento sonoro le canzoni che passava la radio mentre era in lavorazione in film. In un secondo momento, vennero contattati Crosby, Stills, Nash & Young, ma non si fece più nulla. Peter Fonda chiese al suo amico Bob Dylan di usare It’s Alright Ma (I’m Only Bleeding) per una delle scene decisive, ma Dylan declinò (per poi cedere all’utilizzo in un secondo momento), e leggenda vuole che scrisse su un foglietto questi versi: ”The river flows, it flows to the sea/Wherever that river goes, that's where I want to be/Flow, river, flow” con questo consiglio “Portalo a Roger McGuinn”. Fonda così fece e McGuinn scrisse Ballad Of Easy Rider, partendo da quel verso, che divenne la canzone colonna portante del disco. Hopper, che in verità all’inizio aveva problemi di bugdet, cerco di limitare le canzoni. Ma il film, che ebbe successo incredibile fin da subito, spinse la ABC Dunhill a pubblicare la colonna sonora. Dato l’alone mitico della pellicola, finì che le canzoni in essa contenuta diventeranno altrettanto mitiche: caso emblematico furono i due brani scelti degli Steppenwolf, The Punisher ma soprattutto Born To Be Wild, una delle prima canzoni proto metal, uscita un anno prima (1968) nell’album d’esordio della band e che è associata ormai a qualsiasi viaggio su una autostrada un po’ libera. Hopper scelse la magia di Hendrix, nella suggestiva If 6 Was 9, da Axis: Bold As Love del 1967, dove la chitarra di Jimi sembra un uccello magico spaziale nel finale, e poi altre chicche della stagione psichedelica musicale: il folk psichedelico dei The Holy Modal Rounders con If You Want To Be A Bird (Bird Song), l’ode all’erba di Don’t Bogart That Joint dei Fraternity Of Men (che fu il nucleo primitivo da cui poi nacquero gli stupefacenti Little Feat), la musica da carnevale di Kyrie Eleison/Mardi Gras (When The Saints) degli Electric Prunes che inizia come il kyrie delle messe preconciliari. Chiudono il tutto la ripresa di McGuinn di It’s Allright Ma (I’m Only Bleeding), i Byrds, che rifaranno come singolo di successo Ballad Of Easy Rider, che riprendono con garbo Wasn't Born To Follow (del magico duo Carole King/Gerry Goffin) e uno dei brani simbolo degli anni ‘60 della stagione americana, The Weight de The Band, che nel film è nella versione originale della mitica band canadese, nel disco è cantata da un gruppo che si chiama Smith, perchè la Capitol Records che aveva i diritti non li cedette per la colonna sonora su disco. Il disco fu anch’esso un successo, arrivando al numero 6 della classifica di Billboard e diventando disco d’oro nel gennaio 1970. Il film, che vincerà due premi Oscar a Nicholson come attore non protagonista e per la sceneggiatura originale, finirà per creare due archetipi: uno dal punto di vista visivo, l’altro sullo stesso uso della musica per i film, contribuendo anche all’idea stessa di una certa America, che continua ancora oggi a suggestionare, a confondere, ad affascinare ed impaurire.
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『La festa di Natale sembrava la continuazione di un sogno, ed il sogno era finalmente giunto al termine. Una notte silenziosa seguì i festeggiamenti.
Akira: Wow. È stata una festa molto divertente. Sembra che tutti abbiano amato i loro regali…
Riflettei su ogni singolo momento del tempo indimenticabile che avevo trascorso con tutti. Le risate festose e vivaci che echeggevano nella stanza mentre festeggiavamo.
Akira: (Quest'intera giornata è stata come un sogno... sembra quasi uno spreco andare a dormire.)
Successe proprio mentre stavo per andare a letto dopo aver appeso vicino al cuscino la calza che avevo ricevuto da Oz…
All'improvviso, una porta apparve davanti a me e si aprì con forza violenta.
Mithra: Buonasera.
Akira: Mithra?!
Q-qual è il problema? Normalmente non usi la magia per venire nella mia stanza...
Mithra: Sto emulando quella cosa che chiami Natale dal tuo mondo.
Sai, quel vecchio che hai menzionato alla festa... era Santa Claws?
Akira: Per favore, non graffiarmi... È Santa Claus.
Mithra: Sì, quello. Santa Claus a Natale è qualcosa del genere, no?
Akira: E-ehm... immagino di sì. Indossa vestiti rossi e la notte entra nella tua stanza. Ora che me lo dici, immagino tu sia un po' come Santa Claus in questo momento...?
(Anche se probabilmente Santa Claus non avrebbe un modo così esagerato di apparire…)
A proposito, cosa fai qui a quest'ora? È qualcosa di urgente…?
Mithra: Hai dimenticato, signor Saggio? Non ho chiuso occhio.
Dopo aver detto questo, Mithra mi spinse da parte e si lasciò cadere sul mio letto.
Mi tese bruscamente la mano.
Mithra: … Sigh, oggi è stato così faticoso. Sbrigati e mettimi a dormire, per favore.
Akira: O-ok, farò del mio meglio...
Presi la mano di Mithra nella mia, e lui chiuse gli occhi. Potevo sentire il suo battito cardiaco regolare dal suo palmo freddo.
Akira: (Se non sto attenta, potrei finire per addormentarmi prima di lui...)
Le lunghe ciglia di Mithra si abbassarono come se anch'esse fossero stanche e anticipassero un sonno confortevole.
L'intera giornata fu così divertente e gioiosa che anch'io ne ero rimasta completamente esausta. Quindi, egoisticamente espressi un desiderio.
Akira: (...Per favore.)
Per favore, lascia che ci sia nella sua stanchezza anche una frazione della gioia che so di aver provato oggi.
Akira: …Buona notte, Mithra. Dormi bene.
Silenziosamente, la notte trascorse. E il giorno speciale che avevamo vissuto scomparve oltre la neve lontana.
La prossima volta che avrei aperto gli occhi, mi sarei sicuramente svegliata per vedere tra le mie mani uno dei tanti domani familiari. Ma anche quella familiarità era un regalo, decorato con un fiocco in cima.
Avendo deciso di tenere tutti questi regali cari e nel profondo del mio cuore, ho stretto ancora una volta la mano ormai calda nella mia.』
Da "Un regalo da una città innevata", capitolo 10.
#mahoutsukai no yakusoku#promise of wizard#mahoyaku#mhyk#mhyktl#mhyk mithra#akira masaki#christmas 2020
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[✎ ITA] Dazed : JungkookOra Viaggia in Una Corsia Tutta Sua | 12.09.2023
Si Cambia Marcia
Jungkook Ora Viaggia in Una Corsia Tutta Sua
Quando Jung Kook si è addormentato al pc, quest'estate, sei milioni di fan sono rimastə a guardarlo.
Ora, dopo aver spalancato le porte del pop per gli artisti dell'Asia Orientale, ci sta guidando nella tana del coniglio con la sua 'sorprendente' nuova era solista.
__ di TAYLOR GLASBY | Twitter | 📽 Retroscena
Jungk Kook, uno degli idol K-pop più grandi al mondo, anzi, una delle pop star più grandi al mondo – punto - sta cercando di descriverci come funziona il suo istinto.“È un po' come...”, ma non conclude la frase, mentre giocherella con i due piercing sul lato destro delle sue labbra. La maglietta bianca rende ancor più vistoso il suo braccio tatuato. “Non credo sia descrivibile”
Poi ride, dandosi un leggero colpetto di palmo sulla fronte. “Non mi vengono brividi o niente del genere, ho semplicemente quella sensazione, del tipo, sono certo questo andrà bene, è la cosa giusta da fare.”
La prima volta che ha sentito “Seven” - il suo singolo di debutto solista dalle sonorità UK garage, che vede la partecipazione della rapper americana Latto - era, riflette, tipo marzo e lui se n'è immediatamente innamorato. “Abbiamo subito fissato una sessione di registrazioni [a Los Angeles] e poi una riunione per discutere il concept del video musicale. È filato tutto assolutamente liscio”, ricorda.
La traccia, rilasciata a luglio, ha trascorso diverse settimane nella classifica singoli sia in Regno Unito che in America (dove ha raggiunto la pos. n.1), e si è conquistata il titolo Spotify come brano più rapido nella storia – soli 6 giorni – ad aver raggiunto le 100 milioni riproduzioni. Su YouTube, il suo video musicale – cui ha partecipato anche l'attrice sud-coreana Han So-hee – è stato visto 39 milioni di volte in un sol giorno. L'unica altra occasione in cui ha avuto una reazione così viscerale riguardo una canzone, ci dice, è stato con “I Need U” (2015), il primo singolo tratto dal terzo, pluri-acclamato album dei BTS, The Most Beautiful Moment in Life Part 1, universalmente considerato come uno dei trampolini più importanti verso la fama globale del gruppo.
Jung Kook tiene gran conto di tutto ciò che è istintuale ed intangibile: il primo è ciò che guida il suo presente, mentre il suo futuro è nelle mani del secondo, o almeno per quanto riguarda la visione che ha di sé come artista. Ma su questo torneremo più tardi, perché Jung Kook – che ha da poco compiuto 26 anni, ma è incredibilmente popolare già da 10 anni – al momento è più concentrato sulla sua identità presente. “Credo di essere piuttosto aperto sotto il punto di vista emotivo”, dice. “Cambio in fretta. Quindi ciò che voglio fare devo farlo subito.”
La nostra conversazione avviene via Zoom, Jung Kook si trova in un'anonima stanza dell'enorme edificio che è il quartier generale della HYBE, a Seoul – la società multi-etichetta nata come Big Hit Entertainment nel 2005 e che, prima dei BTS, non aveva mai preparato un gruppo di idol K-pop. La settimana scorsa, Jung Kook era a Londra, e quella prima, a New York, alle prese con un raffreddore testardo che però è riuscito a nascondere alla grande, sotto la perfezione delle sue esibizioni in diretta televisiva.
Nello studio, a Nord di Londra, in cui si tiene questo servizio fotografico, Jung Kook è paziente ed accomodante, ma anche estremamente silenzioso, lo sguardo che segue il via-vai attorno a sé. Di natura è introverso e, ad occhio e croce, sul set ci sono 40 persone, metà delle quali sono parte del suo entourage, comprese le due guardie del corpo in completo. Gli occhi di tutti sono costantemente puntati su di lui, attenti ad ogni sua mossa, fino al minimo spostamento di capelli, piega nei vestiti o cambio d'espressione. Dev'essere davvero estenuante. Un membro del suo staff scrolla le spalle e, sorridendo, commenta, “Ci è abituato.”
Tra uno scatto e l'altro, Jung Kook viene a salutarci. Ci eravamo già incontrati nel 2018, quando il successo dei BTS era sul punto di diventare stratosferico, quando stavano per passare dai concerti nelle arene agli stadi sold out. Già allora, era silenzioso, sebbene emanasse piuttosto una inquieta insofferenza, sia fisica che mentale. Ha ancora un po' di quella smania interiore, di cui non sembra in grado di disfarsi, ma la cosa è mitigata da una nuova baldanza e sicurezza di sé che, ci dice, non crede di avere mai avuto prima. Tratti questi che incarna da sempre sul palco, ma che solitamente non lo accompagnano nel quotidiano: “Quando salgo sul palco, tutti i pensieri e le emozioni vaganti, si spengono”, confida, e si è sempre esibito talmente tanto, che il divario tra questi suoi due mondi non sembrava poi così vasto.
Finché la pandemia non ha reso necessaria la cancellazione del Map of the Soul tour dei BTS, nel 2020, Jung Kook non aveva fatto che viaggiare in giro per il mondo con il gruppo, fin dal 2014. Tra il 2021 e il 2022, i BTS hanno tenuto concerti a Seoul, Los Angeles e Las Vegas, prima di annunciare una pausa temporanea nell'ottobre 2022, con l'intenzione di permettere ai 7 membri di sperimentare cose nuove attraverso progetti personali e, come da obbligo per tutti gli uomini sud-coreani, svolgere 18 mesi di servizio militare. Questo intervallo ha permesso a Jung Kook di disfare alcuni dei suoi nodi, dandogli così l'opportunità di affrontare i suoi attriti interiori, tra i quali troviamo quella che lui descrive come “pigrizia”, che - fino a quel momento lasciata incontrollata – aveva smorzato un po' le sue ambizioni e spirito competitivo. “È una cosa che non mi è mai piaciuta di me”, dice Jung Kook. “Credo fosse proprio per quello che non avevo autostima.” La soluzione, però, non è stata disfarsene, ma cercare di guardare a se stesso sotto una luce diversa. “Da quando ho cambiato prospettiva, ho scoperto di avere molti più tratti positivi. Invece di rimpiangere le opportunità mancate e colpevolizzarmi per questa pigrizia, invece di pensare ‘Perché non l'hai fatto quando ne avevi la possibilità’, ho deciso di accettarmi per quello che sono e di concentrarmi su ciò che sono in grado di fare. Fare le cose seguendo i miei ritmi è sicuramente un vantaggio. E se ho voglia di restare a letto o guardare la TV tutto il giorno, perché non spendere la giornata proprio così?”
Questo ha creato una sorta di effetto domino, permettendogli di comprendere meglio ciò che fa e come approcciarvisi. “Voglio diventare un cantante famoso, popolare, e per riuscirci devono esserci sintonia ed interazioni tra l'artista e le/i fan. Devi saper dare amore ed accettarlo. Tuttavia, non potevo che domandarmi e chiedere alle/gli ARMY ‘Perché mi date così tanto amore? Perché mi volete bene?’. Credo fossi davvero desideroso d'amore e sicuramente non lo do per scontato”, confida Jung Kook. “Sono sempre stato estremamente grato per l'affetto che ricevo, ma ad un certo punto ho imparato anche ad accettarlo, con molta umiltà. E forse sarà perché è trascorso altro tempo, ma trovo che ora sia il contrario: dato che ricevo così tanto amore e supporto dalle/i fan, vorrei tuttə loro fossero più sicurə di sé, che avessero più autostima, grazie a me. Ecco perché cerco sempre di fare del mio meglio.”
Una cosa che le/gli ARMY ripetono da lungo tempo è "i BTS hanno aperto/spianato la strada (BTS paved the way)". Specialmente in America, il gruppo ha spalancato porte che fino a quel momento erano appena appena socchiuse per gli artisti asiatici. La loro ascesa al successo è stata talmente intensa, veloce ed inaspettata che l'industria dell'intrattenimento statunitense, presa alla sprovvista, è riuscita a mala pena a rispolverare i ricordi della Beatlemania, sostituendola con ‘BTS-mania’. Il successo del gruppo è fatto di un trionfo epocale dopo l'altro, i quali hanno fruttato ai BTS 5 nomination ai Grammys e vendite album globali che si attestano approssimativamente intorno alle 105 milioni unità.
Nel corso degli anni, Jung Kook ha parlato con moltissimə ARMY e ora comprende alla perfezione per quale motivo il gruppo sia così amato dalla gente, qualunque sia la loro lingua, età, gender o provenienza.“I messaggi trasmessi dalle nostre canzoni e performance sono di conforto”, dice. “Credo la nostra musica abbia ampliato e diversificato i gusti musicali di chi ci ascolta, e culturalmente la diversità è importante.” Ma il cantante attribuisce il merito dei confini abbattuti anche agli sforzi fatti dalle/i loro fan per diffondere la musica dei BTS e “quella dei tanti artisti coreani che si esibiscono sui palchi di tutto il mondo, nonché le personalità [coreane] appartenenti al mondo del cinema, della TV e della moda. Non ci siamo solo noi.”
A dispetto dell'enorme influenza ed impatto di Jung Kook in quanto artista e superstar – prendiamo, ad esempio, le mega collaborazioni pubblicitarie come quella con Calvin Klein; il modo in cui tutto ciò che usa e – per caso – mostra alle/i fan va immediatamente esaurito, che si tratti di ammorbidente o kombucha; o dei tatuaggi ispirati ai brani solisti dei BTS, come “Euphoria”, sfoggiati con orgoglio dalle/gli ARMY – il suo portamento è modo di fare è molto terra terra e modesto. Jung Kook ha debuttato quando aveva 15 anni, e sebbene la cultura pop non sia sempre pietosa nei confronti delle star così giovani, lui è cresciuto sotto lo sguardo attento dei suoi compagni di gruppo, i quali hanno saputo metterlo in riga, quando necessario. Jung Kook è premuroso, sempre educato, curioso e dotato di un umorismo sbarazzino. Quando ha registrato “Seven” con gli autori/produttori Andrew Watt e Cirkut, non vedeva l'ora dare il meglio con un genere in cui non si era ancora mai cimentato, era visibilmente agitato di fronte al microfono ma anche visibilmente felice per tutti i complimenti ricevuti.
“Voglio provare quanti più generi musicali possibile, per vedere che tipo di musica posso creare con la mia voce”, commenta. Ma il successo del suo singolo di debutto solista, aggiunge, non andrà in alcun modo ad influire sul sound delle sue prossime canzoni. “Quando sento della musica che mi piace, ci lavoro su, qualsiasi sia il genere. Sono felice che la gente pensi ‘Oh, se la cava in tutti i generi’, sì, mi diverte sorprendere il pubblico.”
Fino ad un paio di anni fa, il cantante era solito eliminare quasi tutto ciò che scriveva. Ripensando a quel periodo, sorride, la luce che si riflette sui suoi orecchini. “Sto cercando di liberarmi di quell'abitudine, scrivere canzoni e poi cestinarle, ma quando riascolto tracce composte in passato, il me stesso di adesso non è molto soddisfatto. Se non è perfetto, preferisco non rilasciare nulla, ed evidentemente quei brani non mi sembravano un granché; ecco perché cancellavo tutto.”
Finché i BTS non si riuniranno, i limiti che Jung Kook vorrebbe superare sono i suoi personali. A settembre dello scorso anno, ha scritto una lettera che poi è stata inclusa nella Collector's Edition di Proof, dei BTS, e in un estratto da questo messaggio leggiamo: “Continuo a vivere con la convinzione che il protagonista della mia vita non sia altri che me. Ovunque io mi trovi e chiunque io abbia attorno, desidero pormi in primo piano, senza lasciarmi condizionare e con la certezza data dall'autocontrollo. È qualcosa che cerco di non dimenticare mai.” (tra parentesi, non c'è nessun accordo esplicito per cui Jung Kook debba filmare a petto nudo, per la sua copertina di Dazed; nessuno degli abiti a sua disposizione contemplavano espressamente questa possibilità, ma quando Jung Kook emerge dai camerini, è a torso nudo sotto una giacca di pelle nera. È lui ad aver deciso come vestirsi. Silenzioso, va a sedersi al volante di una Mercedes-Benz d'epoca, gli addominali definiti, e guarda fisso in camera, allettante.)
Jung Kook, il membro più giovane dei BTS, sa bene che la sua immagine da coniglietto nonché piccolino del gruppo è ancora predominante. “So che vi piace molto”, ha detto alle/i fan quando era a Londra, durante uno dei suoi frequenti live stream. “Poniamo che sia qualcosa che piaccia di me. Se dovessi solo sempre seguire quell'immagine, come potrei cambiare? Questo sono io, è la mia vita. Voglio cambiare. Voglio dire alle persone che mi vogliono bene, ‘io sono così’. Non siete obbligatə ad apprezzarmi. Sono sempre alla ricerca di cose nuove. Voglio creare qualcosa di nuovo e divertente. Ma vorrei anche le/gli ARMY mi accettassero per come sono.” Nella stessa occasione, ha anche risposto alle persone che gli chiedevano perché avesse pensato di includere una versione esplicita di “Seven”, in cui i versi “Ed è per questo che, notte dopo notte, ti amerò con passione” diventano “Ed è per questo che, notte dopo notte, ti scoperò con passione”. “Se tu l'hai percepita come volgare”, ha detto, “io cosa ci posso fare?... E poi, pensateci, quanti anni ho?”
Nel corso degli ultimi anni, Jung Kook ha iniziato a praticare pugilato, si è fatto piercing alle sopracciglia e sul labbro e ne ha aggiunti anche alle orecchie. Si è lasciato crescere i capelli ed è pesantemente tatuato. “Mi piacciono le cose un po' estreme”, confessa ridendo. “Tutti mi dicono sempre che sembro tondo e pacioccoso. Mentre io vorrei un'immagine più tagliente e d'impatto.” Il suo singolo di debutto solista, dice Jung Kook, “non era un tentativo di distanziarmi dalla mia immagine”. Ma crede questa sua evoluzione sia già iniziata e che “Seven” rispecchi quello che è ora. Ecco perché, durante quella fatidica diretta Weverse, è stato risoluto e schietto. “Ci tenevo a mostrare quanto sono maturato, anche come artista solista, ed il modo per farlo è accettare nuove sfide”, ci spiega Jung Kook “non restare nella mia bolla o accontentarmi di ciò cui sono abituato. Volevo essere molto onesto e chiaro a riguardo con le/i mie/i fan.”
E questo bisogno di trasparenza ed onestà nasce proprio dal profondo legame emotivo che Jung Kook condivide con le/gli ARMY. Quando ne parla, i suoi occhi si illuminano. “Quando penso alle/gli ARMY o ne sento la mancanza, attacco una diretta e passo un po' di tempo con loro”, racconta. Solo quest'anno, ha fatto 2 dozzine di live stream sulla piattaforma creata dalla HYBE, Weverse, principalmente da camera sua o dal salotto di casa, e spesso in piena notte, trascorrendo ore ed ore a rispondere ai commenti più disparati, sia seri che divertenti. In queste live, lo vediamo cantare, cucinare, bere, persino piegare la biancheria. A giugno, Jung Kook si è addormentato a metà di uno stream e 6 milioni di persone sono rimaste a guardarlo per circa 45 minuti, finché un membro dello staff, accortosi della cosa, ha staccato la diretta da remoto.
Quando le/gli ARMY gli dicono di andare a dormire o di non bere troppo, Jung Kook rifiuta con garbo, ma “lo dicono soltanto perché sto loro a cuore e mi vogliono bene, quindi non mi dà alcun fastidio”, confida. Quando le/i fan lo aspettano presso la palestra o gli mandano del cibo a casa, Jung Kook – con educata fermezza – chiede loro di smetterla. “Non è un rapporto poi così complicato. Io parlo loro apertamente e le/gli ARMY possono fare lo stesso con me, sta a me scegliere se ascoltarlə oppure no. Se dicono qualcosa di inappropriato, anche in quel caso è una mia scelta, sono libero di accettarlo o ignorarlo.”
In un'intervista del 2021 con Vogue Korea, Jung Kook si è descritto come un esagono grigio (“un colore neutro, che non si è ancora evoluto in nulla”) e crepato che vorrebbe essere perfetto, nonché una persona che aspira a “vette più alte”. Ma l'ha detto con freddezza, e con un pizzico di speranza, perché questo pensiero lo motiva a fare di più. Nel suo vocabolario – ora come allora - ‘di più’ significa “diventare un cantante migliore, più figo”, ci dice con passione. “Personalmente, non credo d'essere il cantante che volevo diventare, non rispecchio l'immagine che mi ero fatto di un cantante, ecco perché voglio di più.”
Ma quel ‘di più’ è tuttora un mistero, perché fa parte di un futuro che Jung Kook considera ancora intangibile, fatto di sensazioni più che di obiettivi chiari. L'artista non sa spiegare quale sia effettivamente l'immagine cui vorrebbe assomigliare: “Non ne sono ancora sicuro, ma ho questa sensazione, so che c'è qualcosa.” E indica un punto imprecisato a mezz'aria con l'indice. “È proprio lì, lo so. Solo che non ci sono ancora arrivato.”
Al Jung Kook del 2023 va bene non avere ancora un'idea chiara. Cerca di vivere al presente e di non complicarsi l'esistenza, anche se è più facile a dirsi che a farsi. “Non pensarci affatto è impossibile”, sospira. “Sapete la sensazione di quando torna in mente qualcosa e non si riesce a smettere di pensarci e si finisce sempre più in un buco senza ritorno? Potrebbe anche risultare in qualcosa di positivo ma io, a volte, mi lascio trascinare da pensieri negativi. Però, ora che mi sento più sicuro di me, sono più le volte che riesco ad escludere il pessimismo, che il contrario.” E, nelle occasioni in cui, appunto, si esercita a trovare pace mentale, riesce a “preoccuparmi meno per ciò che deve ancora accadere, e mi dico, ‘E anche non dovessi riuscire a rispecchiare le mie aspettative?’”
Ma in fondo in fondo, Jung Kook – che sta lavorando a nuova musica in previsione di un album solista – sa quanta strada ha già fatto. “Ho seguito il mio istinto [per il mio singolo di debutto solista], chiedendomi, ‘Così facendo, riuscirò ad arrivare al pubblico? A tante persone?’ E credo di aver avuto la mia risposta, di aver dimostrato di potercela fare.” E ora, invece d'essere quell'ambiguo esagono grigio, Jung Kook – che sorride del sorriso più grande il suo viso possa ospitare – confida, “Preferirei essere bianco, così da potermi colorare di qualsiasi sfumatura io desideri.”
Estratti extra non inclusi nell'articolo finale | by Taylor Glasby
In un'intervista del 2021, ti sei descritto come un esagono grigio. . .
JungKook: Ricordo d'aver detto d'essere un esagono grigio e crepato, e credo quelle crepe, ora, siano state colmate perché sono più sicuro di me.
(ride) In realtà, no, non penso siano ancora del tutto sparite.
Non è qualcosa che vale per tutti? Abbiamo tutti dei difetti.
JungKook: Non credo riuscirò mai a colmare quelle lacune, nel corso della mia vita.
Provi attaccamento rispetto le tue cose? Ad esempio, ti affezioni spesso a cose come vestiti o libri...?
JungKook: Sono solito regalare cose, come oggetti di elettronica o vestiti, alla mia famiglia o alle persone più care. Ma non provo un attaccamento particolare per le mie cose.
Immagino ti adorino per questo...
JungKook: Mi chiamano “l'angelo delle donazioni” (ride).
⠸ Ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
#Seoul_ItalyBTS#Traduzione#TradITA#ITA#Intervista#BTS#방탄소년단#Jungkook#전정국#Jungkook_Seven#SEVEN#DAZED#120923
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Le alte torri di Valaskjalf si ergevano in lontananza, manifestandone tutta la loro imponenza.
I Vanir che ne sarebbero stati ospiti rimasero colpiti dall’oro che adornava il magnifico palazzo del regno eterno.
Segno tangibile di una terra nata dal sangue e dalla schiavitù.
Un’antica civiltà fiorente, costituita da fieri e indomiti guerrieri.
Un popolo che tuttavia mirava al futuro, nonostante fosse fedele alle proprie tradizioni.
Due giovani di entrambe le stirpi divine sarebbero presto convolate a nozze, principalmente per interesse politico.
Asgard sarebbe stata l’assoluta spettatrice del lieto evento, generando una miriade di pettegolezzi.
Ossia uno degli argomenti più chiacchierati della cittadella celeste.
Sigyn ammirò la bellezza del luogo, ritenendolo colmo di fascino.
Le Norne avevano filato per lei un triste destino, ma necessario per la salvaguardia dell’amata patria.
Un’alleanza tra due popoli era più che conveniente per le sorte di ambedue i regni.
Gli Einherjar liberarono il passaggio per lasciarli passare.
Iniziarono a percorrere i vasti corridoi della reggia, decorati da diversi affreschi che narravano la storia degli Æsir.
La Dea della Fedeltà si soffermò su uno in particolare: ovvero quello raffigurante i membri della famiglia reale.
Fu lesta ad osservare ogni singolo dettaglio del dipinto, incuriosita soprattutto dallo sguardo malizioso e intrigante del figlio minore dei sovrani.
Un sorrisetto furbo e crudele, intriso di inganni e bugie.
Proseguirono col cammino, finché non giunsero all’interno della maestosa sala del trono.
Odino avrebbe stabilito l’accordo matrimoniale con entrambe le famiglie.
L’anziano osò alzarsi dal proprio scranno, intimando a costoro di avvicinarsi.
Il suo unico occhio buono cominciò a scrutare l’esile figura della giovane, passando successivamente al futuro consorte.
Theoric era il suo nome.
Egli era noto per essere il capitano delle guardie personali di Padre Tutto, eppure i suoi atteggiamenti si rivelarono alquanto discutibili.
Ciò avvenne durante il pranzo dopo aver ultimato il colloquio con il re.
Manifestò un’aria rozza e volgare, disgustando i presenti.
Sigyn era intimorita, desiderosa di fuggire altrove.
Avrebbe dovuto sottostare al volere dei suoi familiari e dello stesso Odino, costringendola a sposare un soldato sudicio e gretto.
Prigioniera di una terribile sorte, costituita da una vita infelice.
Abbandonò il refettorio, recandosi ai giardini reali: costei avvertiva l’assoluto bisogno di riflettere.
Il clima primaverile le permise di provare un profondo benessere.
Uno stato di quiete, durato solo pochi attimi.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da un fruscio tra gli arbusti, come se qualcuno ne stesse osservando i movimenti.
Un sibilo improvviso la fece sussultare di paura, lasciandola sbigottita.
Si ritrovò nientemeno che un piccolo serpente attorno al braccio, scomparendo tramite la magia.
Un incantesimo ambiguo e al contempo inquietante da provocarle uno strano moto di nervosismo.
“Lo consideri come un modo per darle il mio benvenuto in codesto regno.”
Proferì dal nulla una voce beffarda e canzonatoria.
Ella si voltò di scatto, ritrovandosi dinnanzi a sé un giovane uomo dalla chioma corvina e la pelle diafana.
Costui indossava un’armatura dagli inserti verdi e dorati, donandogli un portamento regale ed elegante.
Lo riconobbe all’istante, rammentando lo sguardo smeraldino e malevolo raffigurato sopra l’affresco.
“Lei è Loki.”
Constatò gelida, guadagnandosi una risatina sardonica da parte dell’ingannatore.
“Perspicace, devo ammetterlo.”
Commentò sorpreso, quasi meravigliato in verità.
“Ha rischiato di spaventarmi, lo sa?”
Inveì la bella vanir, accigliando le iridi azzurre.
“Per un innocuo scherzetto ho osato spaventarla? Chiedo venia mia cara, ma lo ritengo divertente.”
Replicò il Dio dell’Inganno, protendo le braccia.
Una frase pronunciata col solo scopo di deriderla.
“Non si azzardi a prendermi in giro, è chiaro?”
Intimò la ragazza, alzando il tono vocale.
Tale reazione rallegrò Lingua D’Argento, ricevendo un’occhiata truce.
Stuzzicarla per puro divertimento sarebbe stato interessante.
“Alquanto indisciplinata oserei dire.”
Ghignò in maniera perfida, venendo colto alla sprovvista da una sfera d’energia.
Sigyn si permise di scagliargliela, lasciando intendere che padroneggiasse l’arte del Seiðr.
Arte di cui era un vero e proprio maestro, tramandatagli dalla madre e sovrana della splendida Asgard.
Una straordinaria virtù di cui entrambi disponevano.
“Sfidarmi è stato un errore, piccola figlia di Vanaheim.”
Sibilò infido, lanciandole un’occhiata maligna e sprezzante.
La figlia di Bjorn fu pervasa da un velato terrore, temendo il peggio.
Riuscì a salvarsi grazie all’arrivo dei genitori, impegnati con le ricerche nei confronti di quest’ultima.
L’ingannevole divinità si dileguò giusto in tempo attraverso un bagliore dai riflessi verdastri.
Si guadagnò un leggero rimprovero da parte loro, rientrando infine a palazzo con aria assorta.
Aveva rischiato di essere aggredita dall’astuto principe e signore indiscusso delle menzogne.
Uno scontro lasciato in sospeso per via di alcuni imprevisti.
Giunta nelle proprie stanze, Sigyn girò il chiavistello del portone, attivando il meccanismo della serratura.
L’idea di passare il resto dell’esistenza con Theoric Elvindson le fece raggelare il sangue.
Entro un anno sarebbe convolata a nozze con un individuo del genere.
Ciò che ebbe modo di turbarla maggiormente fu il primo incontro con lo spregevole Dio degli Inganni.
Molte volte aveva sentito parlare di lui e della sua natura illusoria, ricorrendone all’utilizzo per adescare le vittime prescelte.
Intrighi letali, nati appositamente per confondere e ingannare il malcapitato di turno.
Scrutò ogni angolo degli alloggi, finché non percepì una gelida sensazione sulla carne.
L’assalitore compì l’azzardo di imprigionarla in una morsa dolorosa e opprimente.
Sigyn tremò in preda ad una terribile angoscia.
“Apprezzo molto tale prodezza e coraggio da parte vostra, tuttavia ritengo inaccettabile chi osa sfidarmi.”
Sussurrò il famigerato Fabbro di Menzogne vicino al suo orecchio.
“Che cosa vuole da me?”
Chiese impaurita, provando ad ostentare un atteggiamento più risoluto e sicuro.
“Non ho alcuna intenzione di recarle del male, ma potrei essere costretto se proverà nuovamente a nuocere la mia persona tramite determinati mezzi.”
Minacciò il moro, ottenendo una risposta d’assenso.
Aveva commesso un madornale sbaglio sin dal principio, noncurante a cosa stesse andando incontro.
Sfidare il Dio delle Malefatte equivaleva ad addentrarsi nella tana del lupo.
La liberò, dissolvendo il pugnale dalla sua mano.
Dopodiché le afferrò un polso, voltandola delicatamente verso di sé.
Il verde dei suoi occhi iniziò a scontrarsi con quello azzurro della donna, producendo un gradevole contrasto.
Non si scomodò a poggiare le eleganti dita di mago, sollevandole il mento per squadrarla meglio.
Ammise quanto fosse graziosa ed eterea, basendosi che stesse divenendo la futura moglie del rozzo capitano degli Einherjar.
L’Amica della Vittoria provò un moto di sensazioni inspiegabili che stentava ad identificare.
“A presto, piccola Sigyn.”
Si limitò a pronunciare freddo e impassibile, abbandonandola al suo destino.
La suddetta assunse un’espressione esterrefatta, ripensando al contatto ravvicinato con l’oscuro Ase della città dorata.
L’effetto che suscitava nei confronti della bionda Vanir era alquanto strano e insolito.
Loki si ritirò all’interno delle camere private, rimuginando sugli ultimi avvenimenti.
Nessuna donna disponeva di un simile temperamento.
Provò persino a sfidarlo, suscitandone l’effettiva curiosità.
Nemmeno Sif si era mai presa la briga di agire in tale maniera.
Cacciò quegli assurdi pensieri, scuotendo la testa.
L’avrebbe considerata nient’altro che una sciocca ragazzina, proveniente da una terra straniera.
L’ennesima sprovveduta da non considerare.
Perlomeno era ciò che si sarebbe prefissato nei giorni a venire.
Ma non avrebbe mai rinunciato ad infastidirla: provocarne l’ira funesta lo dilettava parecchio.
Egli si concesse un bagno ristoratore, sorseggiando del buon vino in un calice d’argento.
Lo avrebbe aiutato a distrarsi dall’eventuale monotonia.
Ordire nuove trame e vendette si sarebbe rivelato il suo principale obbiettivo da raggiungere.
𝑭𝒊𝒏𝒆
One Shot:
~ Mischief And Fidelity ~
Name Chapter:
~ First Meeting ~
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Niente di nuovo o quasi.
Ieri ennesimo giorno con la head chef, che dire, più che insegnarmi le cose e visto che è solo un lavoro estivo diciamo che comanda ed è psicopatica nel senso che è troppo puntigliosa, pesare ogni singolo ingrediente e lo fai male onestamente, perché le verdure le metti ad occhio, il culmine è stato quando ho messo due porzioni di patatine fritte, 500g, mi chiede quanto sono, rispondo, mezzo chilo, sgrana gli occhi e dice :"500g + 100g il contenitore" a modi robot, vado nella bilancia che c'è sul pass e metto il contenitore segnava 601g, cioè fammi capire, sono 20 anni che lavori in quel posto e non sai che 500g sono mezzo chilo? Che minchia di head chef sei? Va bè, anche se non va bene, mi sembra un pò che sta qua non è solo puntigliosa ma anche troppo inquadrata e pesa anche le parole, certo avrà capito che non sono una cima nella loro lingua e non mi aspetto che parli almeno inglese, però minchia non puoi chiamare tutti i tipi di pasta maccaroni, questa è una cosa che hanno dal periodo dell'unione sovietica, perché per i russi tutte le paste sono maccaroni, c'è scritto anche sulla confezione "penne rigate", senza contare che fa bollire la pasta 12 minuti e passa quando nella confezione c'è scritto 9 minuti, ma sorvolo su tutto stringo i denti e vado avanti sperando di trovare prima possibile l'altro cuoco, giusto per farmi una giornata di lavoro senza stress.
Per il resto mi è venuto un bel mal di schiena per via del fatto che mi devo piegare ogni minuto a prendere le cose nei frigo, questo è dovuto più che altro all'età e alla scarsa mobilità che ho avuto per diversi anni, ho il rimedio metodo McKenzie, adesso non sto a spiegarvelo ma se avete mal di schiena lombare è un tocca sana vi rimette a nuovo in 10 minuti. Quindi vado a piegarmi un pò e poi a suonare.
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Giusto una scena breve per Halloween
Una sottile, spettrale nebbia serpeggiava attraverso l’antica foresta, avvolgendo radici morte e le ossa di statue da tempo dimenticate, mezze sprofondate nella terra scura e fertile. Gli alberi si ergevano alti e densi, proiettando ombre simili a ragnatele sotto la pallida luna, gonfia come un occhio silenzioso e vigile. La sua luce argentea illuminava la radura abbandonata, scolpendo forme e sagome dal buio e mettendo in risalto le particelle di polvere sospese nell’aria, scintillanti come un migliaio di piccole stelle.
Nella penombra, due figure stavano come spettri contro il nero degli alberi. Vana era appoggiata a un’alta pietra, frastagliata e consumata dal tempo; la sua silhouette scura ed elegante era un contrasto al rosso sangue delle sue onde di capelli, che catturavano ogni singolo raggio di luna come se fossero intrecciate di fiamme. I suoi abiti, aderenti e ombrosi, sembravano bere la notte stessa, aderendo alla sua figura come fossero parte di lei. Era immobile, come scolpita nel marmo, con il viso parzialmente in ombra, ma con gli occhi che brillavano di una luminosità innaturale—un’intensità silenziosa e consapevole. Il suo sguardo era fisso in avanti, soffermandosi sull’altra figura nella radura.
Lynn stava poco oltre, circondata da una nebbia così densa da sembrare quasi viva, come una creatura antica evocata dai recessi più profondi della notte. I suoi capelli d’argento scendevano in morbide onde lunari, ogni ciocca catturava la luce come fili di metallo fuso, incorniciandole il volto e scendendo sulle spalle. I suoi occhi erano due scarlatti tizzoni che brillavano di un fuoco ultraterreno, fissando Vana senza batter ciglio. La nebbia vorticava e pulsava intorno a lei, viva di magia, spostandosi e avvolgendole i piedi come in segno di riverenza. Si innalzava in sottili volute, serpeggiando fino alle braccia e rivestendola d’ombre, i flebili fili si intrecciavano tra le sue dita, attorcigliandosi e ritirandosi con ogni lieve movimento.
Per un po’ restarono semplicemente lì, studiandosi in un silenzio spesso e impenetrabile come la nebbia stessa. I suoni della foresta sembravano dissolversi nel nulla, lasciando solo il lieve sibilo della nebbia che accarezzava le foglie e il leggero fruscio del mantello di Vana mentre cambiava appena il peso da un piede all’altro.
Alla fine fu Vana a parlare, la sua voce un sussurro vellutato, velata di un tono divertito. «Sai, Lynn,» iniziò, il suo sorriso tenue ma affilato, «non tutto ciò che brilla nel buio è innocuo.»
Lynn inclinò la testa, i suoi occhi rossi brillavano mentre la osservava con uno sguardo fermo, inflessibile. Le sue labbra si incurvarono appena, rivelando un accenno di sorriso che non era né caldo né crudele, ma qualcosa di molto più calcolato. «E non tutto ciò che giace nell’ombra è pericoloso quanto sembra, Vana.»
Le parole restarono sospese nell’aria tra loro, cariche e pesanti, come una corda tesa pronta a spezzarsi. La nebbia intorno a Lynn si ispessì, innalzandosi fino a formare una barriera ondeggiante intorno a lei, sfumando i bordi della sua figura, dandole l’aspetto di qualcosa di presente ma etereo. Cominciò a girare lentamente intorno a Vana, i suoi movimenti fluidi, lo sguardo mai distolto dal viso di Vana. I suoi passi erano silenziosi, scivolavano come se i suoi piedi sfiorassero appena il terreno, un fantasma avvolto nella nebbia.
Vana restò immobile, la sua espressione impassibile, anche se nei suoi occhi danzava una scintilla di malizia, forse persino un accenno di sfida. Le sue dita accarezzavano i bordi della nebbia di Lynn mentre le passava accanto, sentendo il freddo e setoso tocco della foschia sulla pelle, come se stesse accarezzando qualcosa di vivo, qualcosa di senziente.
Il suo sorriso si allargò, la sua voce si abbassò a un mormorio. «Siamo legate dall’inganno, io e te,» disse, lasciando che le parole fluissero come miele, ricche e cariche di significato. «Un piccolo colpo di polso, una bugia sussurrata, e il mondo può cambiare. Così tante bugie da tenere sotto controllo… e così tante verità da nascondere.»
Lo sguardo di Lynn si fece più penetrante, i suoi occhi scarlatti brillavano di un’intensità che sembrava trapassare il buio stesso. Lasciò sfuggire un lieve, quasi musicale, risolino, che echeggiò nella radura come il lontano rintocco di una campana. «Gli inganni ci tengono in vita in questo mondo, Vana. Ma il peso di tutto questo… mi domando, non diventa mai troppo, persino per te?»
Vana inclinò la testa, riflettendo sulle parole di Lynn, e per un momento il sorriso svanì dalle sue labbra, la sua espressione divenne seria, riflessiva. I suoi occhi si sollevarono verso la luna, seguendo la sua fredda luce argentea mentre illuminava eterea la radura. Una lieve brezza sussurrò tra gli alberi, facendo frusciare le foglie, e la nebbia intorno a loro si mosse, portando con sé l’odore di terra umida e pietra antica.
«Dipende,» rispose lentamente, la voce ora più soffusa, quasi contemplativa. «Dipende da chi è degno di essere ingannato… e chi merita di essere deluso. C’è una certa soddisfazione in questo, sai?» Il suo sorriso tornò, ma questa volta era più cupo, quasi crudele, anche se temperato da qualcosa di molto più complesso—una stanchezza profonda, nascosta. «Dopotutto, il tradimento è un piacere raro, una piccola crudeltà riservata solo a coloro che lo meritano.»
Il sorriso di Lynn si allargò, i suoi occhi che riflettevano un barlume di comprensione. Fece un passo avanti, la nebbia avvolgendola strettamente come a schermarla dal resto del mondo. «Coloro che si aspettano fedeltà sono spesso i primi ad attaccarsi troppo strettamente ad essa, non credi? Ma il tradimento… quello richiede precisione, un’arte raffinata. E pochi lo comprendono come lo comprendiamo noi, Vana.»
Una risata bassa e senza allegria sfuggì a Vana, che scosse la testa, i suoi capelli rossi si sparpagliarono sulle spalle, catturando la luce lunare come gocce di sangue nella notte. «Lasciarli cadere, lasciarli inciampare… condurli su una strada solo per sottrargliela da sotto i piedi. È una piccola, deliziosa crudeltà,» sussurrò, la voce poco più di un respiro. «Un’arte, come hai detto.»
Un silenzio tornò a distendersi tra loro, denso di significati non detti, di strati di memoria e di intenti che nemmeno la nebbia riusciva a nascondere. Sopra di loro, le stelle brillavano, fredde e distanti, come indifferenti alla tela intrecciata che si stava formando lì, in quell’angolo nascosto della foresta. In lontananza, un uccello notturno cantò, il suo canto malinconico che spezzò la quiete, prima di svanire di nuovo, come se percepisse la tensione nell’aria.
Gli occhi di Lynn restarono fissi su Vana, inespressivi, ma pieni di una promessa non detta, di un accordo silenzioso tra loro. Fece un passo avanti, il viso illuminato dal chiarore argenteo della luna, la sua pelle pallida quasi luminescente contro la nebbia oscura che vorticava intorno a lei. «Allora suppongo che, per ora, entrambe conosciamo abbastanza bene i nostri ruoli,» mormorò, la voce poco più di un sussurro, eppure carica del peso di verità nascoste e segreti non detti.
Vana annuì lentamente, lo sguardo che vagava sulla distesa nebbiosa intorno a loro, come se scrutasse un’enorme distanza invisibile oltre il velo di foschia. «Per ora,» concordò, la voce morbida ma ferma, come se riflettesse su qualcosa di più grande di entrambe. I suoi occhi tornarono a posarsi su Lynn, e l’espressione si fece tagliente, la voce bassa e carica di un avvertimento. «Ma sappi, Lynn, che i ruoli sono fatti per essere infranti.»
Per un singolo battito, gli occhi di Lynn si accesero, un bagliore di qualcosa di oscuro e feroce che balenò nelle profondità scarlatte, e poi la sua espressione si ammorbidì, il suo sguardo divenne pensieroso, quasi malinconico. «Forse,» disse, mentre la sua figura iniziava a dissolversi nella nebbia, il suo contorno diventava sfocato e indistinto, come un sogno che scivola tra le dita.
Vana restò per un istante in più, osservando mentre le ultime tracce di Lynn scomparivano nella foschia, lasciando solo un leggero increspamento nella nebbia a segnare il punto in cui era stata. Con un lieve sospiro, Vana si voltò, la sua silhouette oscura si fuse con le ombre mentre si allontanava, svanendo nella notte come un fantasma, lasciando dietro di sé solo il lieve sussurro delle loro parole, trasportato dal vento che scivolava tra gli alberi.
La radura tornò silenziosa, avvolta di nuovo nell’oscurità, come se nulla l’avesse mai disturbata, salvo l’eco persistente di segreti e ombre, che svanivano nella notte infinita.
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"DISCO VIVO", il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri
Dal 4 ottobre 2024 è disponibile sulle piattaforme digitali di streaming "DISCO VIVO", il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri dal quale è estratto il singolo "Bandiere sporche" in rotazione radiofonica per Blackcandy Produzioni. L'album sarà presentato venerdì 11 ottobre alle 21.30 presso l'Arci Progresso di Via Vittorio Emanuele II 135 a Firenze (ingresso € 10 + tessera Arci).
"Bandiere Sporche" è un canto folk, segreto, che si apre a chi è in ascolto, per dire quel che vede nel mondo. Un insetto perso in mezzo a mille altri, tra la sua tana e la strada, racconta ciò che sente, sul filo di un arrangiamento acustico e intimista. È così che voce, chitarra e archi prendono sempre più corpo e respiro fino al crescendo del ritornello, che con dolcezza e disperazione, dipinge in punta di blues, il tempo che viviamo.
Commenta l'artista a proposito del brano: "Era dicembre e faceva ancora caldo. Una mattina di sabato avevo lo sguardo a terra, mentre ero al parco e spingevo mia figlia sull'altalena. Una bimba sui quattro anni mi si è avvicinata e ha cominciato a prendermi fitto fitto a calci negli stinchi, urlando 'sorridi, è Natale'. Così è nata Bandiere Sporche".
Il videoclip di "Bandiere sporche", diretto dalla mano e dal sapiente "occhio musicale" di Agustin Cornejo, che ha dato a questa esperienza visiva e sonora, i giusti toni autunnali e di calda intimità, vede come protagonista Sara, accompagnata dalla band Progetti Futuri, davanti a un pubblico di circa trenta persone, tutte in cuffia e sedute a terra su tappeti e cuscini, nella grande sala del GRS, a Firenze.
Guarda il lyric video su YouTube: https://youtu.be/vf9P270jThg?si=piMVcSM6aUriS69W
"Disco Vivo" è un disco dal vivo. Ma non è per questo che si chiama così, almeno non solo: è un'esperienza che racchiude un tempo grande, che parte dalla scrittura delle prime melodie dentro casa, ai concerti e concertacci a giro per i club di Firenze, alle tempeste di cervelli in sala di registrazione con i ragazzi della band, le bevute e le mangiate… e le seghe mentali! Poi questo grande tempo approda a una sera di Febbraio del 2024, in cui Sara e Progetti Futuri (Mike, Zanfo e Pozzo) si portano gli amici in studio, li fanno accomodare su un grande tappeto, e suonano, si emozionano, respirano, sbagliano. A qualche brano partecipa anche l'amico e riccioluto pianista, Fabrizio Mocata.
Sara, tra un pezzo e un'altro, parla, ragiona, spara qualche bomba. Tutto questo, tempo vivo, è "Disco Vivo".
L'album è stato registrato - e ripreso in video dal sapiente occhio musicale di Agustin Cornejo - nel GRS Studio a Firenze.
Taketo Gohara ci ha messo su le mani per il mix, Giovanni Versari per il mastering.
Infine, durante i mesi estivi, Michele Staino, contrabbassista e figlio del noto disegnatore Bobo, ha realizzato, una ad una, l'imagine di copertina le grafiche dei brani e dell' album.
Spiega l'artista a proposito dell'album: "Disco Vivo è un ossessione che ho trasformato in realtà mettendoci un sacco di tempo, paura e fatica. Per questo, vada come vada, gli voglio bene: è un pezzo della mia vita. Un ringraziamento sentito va a tutti loro, agli amici e i sostenitori del progetto, a Blackcandy Produzioni e Alessandro Gallicchio per la paziente assistenza (psico)promozionale, ai babbi le mamme e i consorti che ci sostengono, e soprattutto alle innumerevoli chat di WhatsApp: un cruccio quotidiano, che però ha reso possibile questa grande orchestra."
Biografia
Nata e cresciuta a Firenze, in una famiglia dove si pensa e si mangia meridionale, ma Il cognome è del nonno slavo. Registra da sempre i ricordi su mangianastri, foglietti, mani, telefonini, e butta tutto quanto dentro a un pugno di accordi. Ha esordito in adolescenza, come vocalist di un gruppo punk. Tra il liceo e la laurea, ha continuato a esplorare le potenzialità della voce, grazie all'arte del litigio e del pianto, e allo studio della lirica e del jazz. Nel 2008 ha vinto il premio Ciampi e Scalo 76 su RAI2, ed è stata due volte tra i sedici finalisti di Musicultura, nel 2010 e nel 2021.Porta in giro quadri sonori dal sapore onirico, eppure concreto e immediato, grazie alla collaborazione coi Progetti Futuri: Michele Staino al contrabbasso, Sergio Zanforlin al violino, e Gabriele Pozzolini alla batteria e percussioni.I suoi spettacoli abbracciano gli anni di produzione personale fin qui, e un paio di cover stravolte ad hoc. La linea di tutto è quella del sogno, a occhi sia aperti che chiusi, e del continuo compromesso tra desiderio e realtà
"Disco vivo" (Blackcandy Produzioni) è il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri disponibile sulle piattaforme digitali di streaming dal 4 ottobre 2024 dal quale è estratto il singolo in rotazione radiofonica "Bandiere sporche".
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"DISCO VIVO", il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri
Dal 4 ottobre 2024 è disponibile sulle piattaforme digitali di streaming "DISCO VIVO", il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri dal quale è estratto il singolo "Bandiere sporche" in rotazione radiofonica per Blackcandy Produzioni. L'album sarà presentato venerdì 11 ottobre alle 21.30 presso l'Arci Progresso di Via Vittorio Emanuele II 135 a Firenze (ingresso € 10 + tessera Arci).
"Bandiere Sporche" è un canto folk, segreto, che si apre a chi è in ascolto, per dire quel che vede nel mondo. Un insetto perso in mezzo a mille altri, tra la sua tana e la strada, racconta ciò che sente, sul filo di un arrangiamento acustico e intimista. È così che voce, chitarra e archi prendono sempre più corpo e respiro fino al crescendo del ritornello, che con dolcezza e disperazione, dipinge in punta di blues, il tempo che viviamo.
Commenta l'artista a proposito del brano: "Era dicembre e faceva ancora caldo. Una mattina di sabato avevo lo sguardo a terra, mentre ero al parco e spingevo mia figlia sull'altalena. Una bimba sui quattro anni mi si è avvicinata e ha cominciato a prendermi fitto fitto a calci negli stinchi, urlando 'sorridi, è Natale'. Così è nata Bandiere Sporche".
Il videoclip di "Bandiere sporche", diretto dalla mano e dal sapiente "occhio musicale" di Agustin Cornejo, che ha dato a questa esperienza visiva e sonora, i giusti toni autunnali e di calda intimità, vede come protagonista Sara, accompagnata dalla band Progetti Futuri, davanti a un pubblico di circa trenta persone, tutte in cuffia e sedute a terra su tappeti e cuscini, nella grande sala del GRS, a Firenze.
Guarda il lyric video su YouTube: https://youtu.be/vf9P270jThg?si=piMVcSM6aUriS69W
"Disco Vivo" è un disco dal vivo. Ma non è per questo che si chiama così, almeno non solo: è un'esperienza che racchiude un tempo grande, che parte dalla scrittura delle prime melodie dentro casa, ai concerti e concertacci a giro per i club di Firenze, alle tempeste di cervelli in sala di registrazione con i ragazzi della band, le bevute e le mangiate… e le seghe mentali! Poi questo grande tempo approda a una sera di Febbraio del 2024, in cui Sara e Progetti Futuri (Mike, Zanfo e Pozzo) si portano gli amici in studio, li fanno accomodare su un grande tappeto, e suonano, si emozionano, respirano, sbagliano. A qualche brano partecipa anche l'amico e riccioluto pianista, Fabrizio Mocata.
Sara, tra un pezzo e un'altro, parla, ragiona, spara qualche bomba. Tutto questo, tempo vivo, è "Disco Vivo".
L'album è stato registrato - e ripreso in video dal sapiente occhio musicale di Agustin Cornejo - nel GRS Studio a Firenze.
Taketo Gohara ci ha messo su le mani per il mix, Giovanni Versari per il mastering.
Infine, durante i mesi estivi, Michele Staino, contrabbassista e figlio del noto disegnatore Bobo, ha realizzato, una ad una, l'imagine di copertina le grafiche dei brani e dell' album.
Spiega l'artista a proposito dell'album: "Disco Vivo è un ossessione che ho trasformato in realtà mettendoci un sacco di tempo, paura e fatica. Per questo, vada come vada, gli voglio bene: è un pezzo della mia vita. Un ringraziamento sentito va a tutti loro, agli amici e i sostenitori del progetto, a Blackcandy Produzioni e Alessandro Gallicchio per la paziente assistenza (psico)promozionale, ai babbi le mamme e i consorti che ci sostengono, e soprattutto alle innumerevoli chat di WhatsApp: un cruccio quotidiano, che però ha reso possibile questa grande orchestra."
Biografia
Nata e cresciuta a Firenze, in una famiglia dove si pensa e si mangia meridionale, ma Il cognome è del nonno slavo. Registra da sempre i ricordi su mangianastri, foglietti, mani, telefonini, e butta tutto quanto dentro a un pugno di accordi. Ha esordito in adolescenza, come vocalist di un gruppo punk. Tra il liceo e la laurea, ha continuato a esplorare le potenzialità della voce, grazie all'arte del litigio e del pianto, e allo studio della lirica e del jazz. Nel 2008 ha vinto il premio Ciampi e Scalo 76 su RAI2, ed è stata due volte tra i sedici finalisti di Musicultura, nel 2010 e nel 2021.Porta in giro quadri sonori dal sapore onirico, eppure concreto e immediato, grazie alla collaborazione coi Progetti Futuri: Michele Staino al contrabbasso, Sergio Zanforlin al violino, e Gabriele Pozzolini alla batteria e percussioni.I suoi spettacoli abbracciano gli anni di produzione personale fin qui, e un paio di cover stravolte ad hoc. La linea di tutto è quella del sogno, a occhi sia aperti che chiusi, e del continuo compromesso tra desiderio e realtà
"Disco vivo" (Blackcandy Produzioni) è il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri disponibile sulle piattaforme digitali di streaming dal 4 ottobre 2024 dal quale è estratto il singolo in rotazione radiofonica "Bandiere sporche".
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"DISCO VIVO", il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri
Dal 4 ottobre 2024 è disponibile sulle piattaforme digitali di streaming "DISCO VIVO", il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri dal quale è estratto il singolo "Bandiere sporche" in rotazione radiofonica per Blackcandy Produzioni. L'album sarà presentato venerdì 11 ottobre alle 21.30 presso l'Arci Progresso di Via Vittorio Emanuele II 135 a Firenze (ingresso € 10 + tessera Arci).
"Bandiere Sporche" è un canto folk, segreto, che si apre a chi è in ascolto, per dire quel che vede nel mondo. Un insetto perso in mezzo a mille altri, tra la sua tana e la strada, racconta ciò che sente, sul filo di un arrangiamento acustico e intimista. È così che voce, chitarra e archi prendono sempre più corpo e respiro fino al crescendo del ritornello, che con dolcezza e disperazione, dipinge in punta di blues, il tempo che viviamo.
Commenta l'artista a proposito del brano: "Era dicembre e faceva ancora caldo. Una mattina di sabato avevo lo sguardo a terra, mentre ero al parco e spingevo mia figlia sull'altalena. Una bimba sui quattro anni mi si è avvicinata e ha cominciato a prendermi fitto fitto a calci negli stinchi, urlando 'sorridi, è Natale'. Così è nata Bandiere Sporche".
Il videoclip di "Bandiere sporche", diretto dalla mano e dal sapiente "occhio musicale" di Agustin Cornejo, che ha dato a questa esperienza visiva e sonora, i giusti toni autunnali e di calda intimità, vede come protagonista Sara, accompagnata dalla band Progetti Futuri, davanti a un pubblico di circa trenta persone, tutte in cuffia e sedute a terra su tappeti e cuscini, nella grande sala del GRS, a Firenze.
Guarda il lyric video su YouTube: https://youtu.be/vf9P270jThg?si=piMVcSM6aUriS69W
"Disco Vivo" è un disco dal vivo. Ma non è per questo che si chiama così, almeno non solo: è un'esperienza che racchiude un tempo grande, che parte dalla scrittura delle prime melodie dentro casa, ai concerti e concertacci a giro per i club di Firenze, alle tempeste di cervelli in sala di registrazione con i ragazzi della band, le bevute e le mangiate… e le seghe mentali! Poi questo grande tempo approda a una sera di Febbraio del 2024, in cui Sara e Progetti Futuri (Mike, Zanfo e Pozzo) si portano gli amici in studio, li fanno accomodare su un grande tappeto, e suonano, si emozionano, respirano, sbagliano. A qualche brano partecipa anche l'amico e riccioluto pianista, Fabrizio Mocata.
Sara, tra un pezzo e un'altro, parla, ragiona, spara qualche bomba. Tutto questo, tempo vivo, è "Disco Vivo".
L'album è stato registrato - e ripreso in video dal sapiente occhio musicale di Agustin Cornejo - nel GRS Studio a Firenze.
Taketo Gohara ci ha messo su le mani per il mix, Giovanni Versari per il mastering.
Infine, durante i mesi estivi, Michele Staino, contrabbassista e figlio del noto disegnatore Bobo, ha realizzato, una ad una, l'imagine di copertina le grafiche dei brani e dell' album.
Spiega l'artista a proposito dell'album: "Disco Vivo è un ossessione che ho trasformato in realtà mettendoci un sacco di tempo, paura e fatica. Per questo, vada come vada, gli voglio bene: è un pezzo della mia vita. Un ringraziamento sentito va a tutti loro, agli amici e i sostenitori del progetto, a Blackcandy Produzioni e Alessandro Gallicchio per la paziente assistenza (psico)promozionale, ai babbi le mamme e i consorti che ci sostengono, e soprattutto alle innumerevoli chat di WhatsApp: un cruccio quotidiano, che però ha reso possibile questa grande orchestra."
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Nata e cresciuta a Firenze, in una famiglia dove si pensa e si mangia meridionale, ma Il cognome è del nonno slavo. Registra da sempre i ricordi su mangianastri, foglietti, mani, telefonini, e butta tutto quanto dentro a un pugno di accordi. Ha esordito in adolescenza, come vocalist di un gruppo punk. Tra il liceo e la laurea, ha continuato a esplorare le potenzialità della voce, grazie all'arte del litigio e del pianto, e allo studio della lirica e del jazz. Nel 2008 ha vinto il premio Ciampi e Scalo 76 su RAI2, ed è stata due volte tra i sedici finalisti di Musicultura, nel 2010 e nel 2021.Porta in giro quadri sonori dal sapore onirico, eppure concreto e immediato, grazie alla collaborazione coi Progetti Futuri: Michele Staino al contrabbasso, Sergio Zanforlin al violino, e Gabriele Pozzolini alla batteria e percussioni.I suoi spettacoli abbracciano gli anni di produzione personale fin qui, e un paio di cover stravolte ad hoc. La linea di tutto è quella del sogno, a occhi sia aperti che chiusi, e del continuo compromesso tra desiderio e realtà
"Disco vivo" (Blackcandy Produzioni) è il nuovo album di Sara Rados e Progetti Futuri disponibile sulle piattaforme digitali di streaming dal 4 ottobre 2024 dal quale è estratto il singolo in rotazione radiofonica "Bandiere sporche".
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WUT ci racconta il suo nuovo singolo dal titolo "Ragazza O.D"
Esce venerdì 13 settembre 2024 su tutte le piattaforme digitali il primo singolo del progetto WUT, dal titolo “ragazza o.d.“. Il primo capitolo di una serie di brani che narrano le vicende di tre ragazze immerse in diverse parti di società, per un progetto strizza un occhio all’alternative rock e uno all’indie, “ragazza o.d.” parla di come l’abbandonarsi possa avere una sfumatura drammatica con…
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