#non penso andrò a casa ma direttamente a lavoro
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INOLTRE mi si scarica il cell perché lo uso per passare il tempo e io odio avere la batteria sotto il 70%
#è al 72 ..#eye twitching it's fine posso sopravvivere#è che non ho neanche il caricabatterie dietro e se la tipa è talmente in ritardo/l'appuntamento è lungo/devo aspettare tanto il bus/whateve#non penso andrò a casa ma direttamente a lavoro#QUINDI A QUANTO ARRIVERÀ LA BATTERIA#però mi annoio a fissare il vuoto in questa triste saletta
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MAG117 - Caso #0170208 A-F - “Testamento”
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ARCHIVISTA
Dichiarazione di Jonathan Sim, Capo Archivista all’Istituto Magnus, Londra, riguardo all’imminente, um… operazione. 2 agosto 2017. Registrato direttamente dal soggetto.
I-io volevo mettere giù qualche pensiero prima di, um… tutto. Dovremmo farlo tutti, a dire il vero. Forse, forse lo dirò agli altri.
Sembra che sia deciso. Io, Daisy, Basira, e, uh, Tim andremo tutti a questa Casa delle Cere. Ci intrufoleremo come possibile. Daisy piazzerà le cariche mentre noi, qual è la frase che ha usato, “creeremo un diversivo”. Poi le attiveremo tutte quando comincerà il rituale. Gli appunti di Gertrude erano abbastanza chiari. A meno che il rituale non sia già in atto, ogni danno che facciamo potrebbe essere facilmente riparato. Ma se calcoliamo bene i tempi, ci vorranno secoli, forse, prima che possano riprovarci. Certo, se li calcoliamo male…
Daisy è stata molto chiara sul fatto che pensa che avremmo maggiori possibilità di successo se lei entrasse da sola, e, onestamente, fatico a non concordare. Ma Tim non se ne starà seduto in casa ad aspettare, ed Elias sembra insistere molto affinché vada anch’io. Parte di me pensa che sia perché così potrà vedere se qualunque “preparazione” stia cercando di fare su di me funzioni. Sai cosa? Quella stessa piccola parte di me spera quasi che non funzioni. Che tutto questo tempo, tutte le sue criptiche spinte e la sua attitudine da “imparare a volare cadendo”, finisca per essere un completo spreco di tempo. Giusto per fargliela vedere. Anche così, io, io… non sarebbe giusto non andare.
Penso che per Basira sia lo stesso. Verrà per fare da supporto a Daisy, o così dice. Non capisco proprio quelle due. Immagino che quello che hanno fatto, vedere quello che hanno visto… è un gran bel legame. Il genere di cosa che io ho fatto principalmente da solo. In ogni caso, questo a volte fa sì che sia difficile fidarsi completamente di loro…
Sai, sai cosa, no. Ho, ho chiuso con quello. Basta con la paranoia. Mi ha quasi fatto uccidere più di una volta, e Georgie aveva ragione. Se sto, um, scivolando allora ho bisogno di persone di cui mi possa fidare. E io... io non penso che ormai questo possa più accadere naturalmente per me, quindi prendo una decisione. Mi fido di loro. Di tutti loro.
A-a parte Elias, ovviamente, questo non è - voglio dire - ho ascoltato i nastri. Ho ascoltato i nastri, e so quello che dicono alle mie spalle, quanto hanno… sofferto a causa di questo posto. A causa mia. Dio. Povera Melanie.
E… a parte qualche, uh, uh, pettegolezzo da ufficio che non, non sono sicuro sia necessario o, uh, consono a un luogo di lavoro che… hey, è, è, è naturale, è, è normale. Non, non c’è, non c’è nessuna subdola motivazione nascosta o… va bene così. Va, va bene così.
Quindi, immagino… Entro i prossimi giorni andrò in missione speciale per far esplodere un museo delle cere. Non è esattamente quello che mi sarei aspettato da un lavoro di archivio. Mi preoccupo per Martin e Melanie, e di lasciarli indietro con… Immagino che faccia parte del fidarsi di qualcuno, no? Lasciare che aiuti come può.
Oh, già, ho trovato qualcosa sull’altro corpo che il circo ha rubato [ride], questo “George Icarus”. A quanto pare era stato sepolto all’inizio di quest’anno. Ho [ride] scavato più a fondo, e sembra che il lotto e la lapide siano stati pagati da… l’Istituto Magnus! E mi viene in mente solo un uomo morto negli ultimi mesi che l’Istituto potrebbe voler seppellire sotto pseudonimo. Solo uno che ha passato la vita così vicino alla paura che la sua pelle sarebbe utile in un rituale come questo. Non so cosa effettivamente fare con questa informazione, ma… dio. Jurgen Leitner. Non riesco proprio a liberarmene.
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BASIRA
Dichiarazione di Basira Hussain, 2 agosto 2017, come richiesto da Jonathan Sims.
Non, non so davvero perché sono qui. Voglio dire, so come ci sono arrivata. Tutte le decisioni che ho preso, finché improvvisamente: sì, questa è la mia vita! Ma non il perché. Non proprio. Ha senso?
[sospira] Non voglio essere qui. Ma alla fine, non volevo neanche essere in polizia, quindi, immagino che non faccio proprio quello che voglio. Il che… forse va bene lo stesso. Le mie opzioni… si sono ristrette molto negli ultimi anni. Non so, mi sento un po’ male. Tutti sembrano passarsela molto meglio di me, ma sarei dovuta essere io l’ostaggio. È fantastico quanto si possa ignorare tenendo la testa in un libro.
Mio padre odierebbe sentirmi parlare così. Lui non sopportava la gente che si lamentava passivamente dei suoi problemi. Diceva sempre, se non ti piace qualcosa, o lo accetti e ti adatti, o lotti e lo cambi. Piagnucolare non aiuta. Ho sempre cercato di vivere in quel modo. Ma penso che a volte ti sembra di adattarti, ma è solo negazione.
Ma non più. Ho intenzione di lottare e cambiarlo. Spero solo di non entrare nella battaglia sbagliata. Immagino che se Jon incasina le cose, agli altri non guasterebbe avere un paio di mani addestrate per aiutare. Quindi, cere siano. Vorrei solo non sentirmi così tanto come ste stessimo abbandonando Melanie. E Martin.
Ma almeno Daisy verrà. Voglio dire. So che lei è… difficile. Tutto quello che dicono su di lei, è vero, è giusto. Ma, è affidabile. Lei è un… un punto fisso, e se c’è lei so esattamente da che parte stare, esattamente cosa sto facendo, in relazione a lei. Lei non ha alcun dubbio. Entriamo, piazziamo le bombe, usciamo e li mandiamo tutti all’inferno con un’esplosione. O moriamo. Non penso avrò mai una chiarezza del genere. Nonostante tutto quello che ha fatto, lei, lei è comunque la migliore partner che abbia mai avuto.
[sospira] Spero solo che Jon riesca a mantenere il controllo. E Tim… santo cielo, Tim. So che ne hanno passate molte, ma non hanno mai affrontato una cosa del genere prima. E se è in qualche modo simile a quando abbiamo dato la caccia a Rayner, le cose si faranno brutte. Il genere di brutto che si può superare solo rimanendo concentrati e mantenendo la mente lucida. Si manda giù la paura - e non perché sta nutrendo giù qualche strano orribile dio, come pensa Jon, ma perché è così che si va avanti.
Immagino, immagino che tutti dovremo solo fare ciò che saremo in grado di fare, e vedere cosa ne viene fuori. [sospira]
Come diavolo mi sono ritrovata a dover salvare il mondo?
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MELANIE
Melanie King, 2 agosto 2017. 23:23.
È tardi. Non so a che ora gli altri partano. Potrebbe essere domani mattina, immagino. Non mi dicono davvero quel genere di cose. Faranno sapere a me e Martin quando sono pronti, quando tutto sta effettivamente per partire. Probabilmente dovrei augurare loro fortuna, e sperare che non ci sarà un qualche tipo di terrificante apocalisse, ma è abbastanza difficile sperare qualcosa del genere al momento. La speranza non serve davvero a molto, è sempre stata l’azione per me. È, è sempre stato fare cose che aiutano. Non ho mai davvero visto l’utilità della speranza.
So perché non sono parte di questa azione. Ho, ho anche io le mie cose di cui occuparmi. Pensano che così mi stiano dando un’opportunità di affrontare i miei demoni aiutando a eliminare Elias. Non capiscono che l’unico modo di occuparsi di qualcosa come lui è guardare i suoi occhi spegnersi con le tue mani intorno alla sua gola. Oh, facciamo a modo loro, per ora, ma quando sarà il momento, voglio vederlo morto.
Sono, sono così arrabbiata che a volte, quando Jon blatera riguardo a una delle sue ultime intuizioni, è tanto se riesco a non tirargli un pugno sui denti. Mi sembra di avere sempre lottato. Nessuno fa spazio per gente come me. Ti devi fare strada a gomitate tra gli idioti comodi, e poi salire con gli artigli e i denti stretti. Ho dovuto faticare per tutto.
So che suona stupido chiamare una lotta l’aprire un canale di caccia ai fantasmi, ma l’ho fatto con le unghie e con i denti, e ho vinto. E poi sono andata in quell’ospedale, e ho incontrato Jon, ed è andato tutto a rotoli, ma sto ancora lottando. Per quanto mi sia stato utile. Sono ancora bloccata, ancora miserabile, ancora arrabbiata. Nuovi traumi, ma fanno male tanto quanto quelli vecchi. Elias pensa di avere questo modo ingegnoso per ferire le persone, ma è sempre solo la stessa storia in una nuova confezione inquietante. Dio, voglio solo strappargli-
Quando ho cominciato a perdere le parti di me che non erano solo rabbia? Hmm. Allora, se ascolti questo, Jon - se sopravvivi - so che volevi una dichiarazione riguardo al mio viaggio in India. Quindi,ecco.
Nel 1919, le truppe britanniche massacrarono quasi mille civili disarmati ad Amritsar. Sai che stavo indagando sugli spettri di guerra e violenza, e ho trovato delle segnalazioni secondo cui i fantasmi di questi soldati continuavano a manifestarsi. Ho fatto le mie ricerche, e ho capito dove e quando pensavo sarebbe accaduto di nuovo.
Ti ho detto cosa avrei fatto, e poi sono andata a vedere di persona. Avevo ragione. Si sono manifestati, ma non erano come mi aspettavo sarebbero stati. Erano fusi, in qualche modo, mescolati gli uni agli altri, una enorme massa arrabbiata di carne morta e armi. Sono scappata, ovviamente. Sono scappata. Non è che poteva inseguirmi. Ma è venuto fuori che i loro proiettili erano più solidi di quando mi sarei aspettata da delle antichità fantasma, e uno mi ha colpita. Mi sono fatta ricucire la ferita all’ospedale. Ho detto che ero stata derubata, anche se i raggi non mostravano niente là dentro.
E poi, sono venuta a casa. Quindi, sì, è tutto qui, questo è tutto quello che avrai. Perché ha fatto dannatamente male viverlo, e non l’ho fatto perché tu potessi grattarti il mento e dire che è affascinante.
Buona fortuna, Jon. Spero davvero che tu vinca. Ma spero anche che faccia male.
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MARTIN
Um, dichiarazione di Martin Blackwood, nella notte della partenza dei suoi colleghi. Dichiarazione rilasciata direttamente, 3 agosto 2017. Inizio della dichiarazione.
Ho, ho paura, immagino. No,aspetta. No, no, voglio dire, aww, non voglio che quello sia il mio ultimo messaggio, la cosa che mi definisce. “Martin Blackwood, aveva sempre paura, poi è morto. Fine.” Non voglio questo.
Ma è vero, no? Voglio dire, se ci sono delle cose là fuori che mangiano la nostra paura, io sono un buffet di lusso, immagino. Ho solo continuamente paura.
Lo so, lo so, io non morirò, non andrò neanche nella missione incredibilmente pericolosa. Io e Melanie, beh… non penso che la morte sia davvero la preoccupazione. È solo, questa sembra una fine? O, qualcosa? Come se niente potrà tornare alla normalità dopo di questo. Hey, hey, voglio dire, cos’è normale, giusto? Vivere in un vecchio magazzino di documenti è normale? Perdere un’amica e neanche accorgersene è normale? Corridoi, malvagi manager onniscienti… Immagino che ci si possa abituare a tutto.
Ma… questo sembra diverso. Ho bisogno che siano al sicuro. Ho bisogno che lui stia bene. Scu-scusa, umm. Non ho paura per me, però. Non è strano? Voglio dire, non è che io sarò al sicuro, che il mio piano non sia pericoloso, ma è, è mio. Quest’ultimo paio d’anni, sono sempre stato a scappare, sempre a nascondermi, preso nella trappola di qualcun altro, ma, ma ora è la mia trappola, e, beh, penso che funzionerà. Lo so, so che non è esattamente intricata, ma è stato bello tessere la mia piccola tela personale.
Oh, oh, Cristo, spero che Jon non ascolti davvero questi. “Buon Dio, Martin sta diventando una qualche sorta di persona ragno?” No, Jon, è un modo di dire, rilassati! E poi i ragni sono a posto. Voglio dire, sì, la gente ne ha paura, ovvio, ma i veri ragni, quelli vogliono solo aiutarti con le mosche.
In ogni caso, immagino di essere solo stufo di restarmene con le mani in mano a bere tè e sperare che tutti stiano bene. Così, finalmente posso fare qualcosa. Farà male, ma sono pronto. E voglio farlo. E poi avrò la possibilità di bruciare qualcosa, il che è forte! Davvero spero solo che ritornino tutti.
Non voglio vincere da solo.
Oh, e spero che il mondo non finisca. Ovviamente. Solo… solo non morire, Jon. O, o Tim, Basira, o… Daisy? Immagino? Solo… potete per favore tornare tutti a casa?
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[Sospiro, suono di oggetti spostati]
DAISY
Okay.
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TIM
Va bene. Non so cosa tu sia, non so neanche se tu stia ascoltando. Non mi importa. Solo, se ci sei, voglio che tu sappia che ti odio. Ti odio per, per avere assistito a quello che ci è successo.
Incolpavo mio fratello per essersene andato da solo e aver ficcato il naso dove non era voluto. Incolpavo me stesso per non averlo aiutato. Ma ora… ora non importa. Ho letto abbastanza di queste cose da sapere che non importa. L’unica cosa che devi avere perché la tua vita sia distrutta da questa roba è solo sfortuna. Parli con la persona sbagliata, prendi il treno sbagliato, apri la porta sbagliata, ed è fatta!
Farò loro del male, però. Farò del male alla cosa che ha rubato mio fratello e rovinato la mia vita. Io sono la distrazione. Se sembrerà che uno qualsiasi dei tizi del circo, i manichini, qualunque cosa siano, stia per vedere gli altri, farò il più grande casino possibile, li attirerò via, li terrò occupati. [ride] So cosa significa. L’hanno dato a me perché pensano che mi arrabbierò e farò comunque qualcosa di stupido. E probabilmente hanno ragione. Quindi forse è meglio così.
Sai, per tantissimo tempo, ho pensato che il segreto stesse nell’equilibrio. Nella simmetria del lavoro di qualche vecchio polveroso architetto. Ma lui ha fallito, non è vero? E cosa stava mai cercando di ottenere? Ha vissuto come chiunque altro, è morto come chiunque altro. Qualunque cosa stesse cercando nel suo “equilibrio e paura”, non penso l’abbia trovato. Per come la vedo io, c’è solo una persona che sia mai riuscita a far loro del male, a far loro davvero del male. E quella è Gertrude Robinson. Era fredda, spietata, e li ha colpiti quando erano vulnerabili, e ha sacrificato molte persone per farlo.
Onestamente, spero che Jon abbia imparato qualcosa da lei perché, perché non mi aspetto di ritornare da questa cosa. Non so se voglio farlo. E se lui avrà bisogno di tirare il grilletto, di usarmi per fermarlo… beh, sarà meglio che abbia il fegato di farlo.
Timothy Stoker, 4 agosto 2017. [ride] Fine della dichiarazione.
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ARCHIVISTA
Questo è tutto, allora. Credo. A parte, uh… io, uh, io non l’ho bruciata.
La pagina di Gerard… Gerry. I-io so che c’è dell’altro che potrebbe dirmi - lui, lui non vorrebbe, ce-certo, lo, lo so. ma lui lui… lui continuerebbe a esserci, qu-quella, quella conoscenza, co-continuerebbe a esistere…
N-n-non posso… Voglio aiutare, i-io voglio farlo… ma ho, ho paura…
Sto registrando, fallo e basta! Fallo!!!
[Suoni di annaspamenti di dolore]
[Suono di combustione]
...m-me ne devi una, Gerry. Riposa in, uh… solo riposa.
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[Traduzione di: SIlvia]
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Herman Melville a Capo Horn. Il viaggio del 1860 nella lettera al figlio Malcolm. “La nave si piega, terribilmente, soffia neve e grandine, il vento è freddo & aguzzo. All’improvviso, un tonfo, violento – un povero marinaio che giace morto sul ponte”
Nel 1856, dopo la scarna fortuna di Moby Dick e il disastro editoriale di Pierre – “è forse il romanzo più folle mai scritto”, decretò il Boston Post; il New York Literary World lo disse “un vizio eccentrico della fantasia” – Melville, il più influente scrittore americano del Novecento (William Faulkner, Thomas Pynchon, Cormac McCarthy, per dire, sono delfini del capodoglio albino), era un uomo finito. Cominciano allora le estatiche, sfiancanti peregrinazioni – “ha lasciato la casa di Pittsfield, ha sistemato sua moglie e il resto della famiglia a Boston, presso il suocero, credo, ed è ora diretto a Costantinopoli”, appunta Hawthorne – un po’ anima penitente e pia, un po’ malmostoso Enoch che vaga tra gli incavi dei segreti mondani e divini. Nel 1857 è a Gerusalemme, poi ad Atene, poi a Roma, a Firenze, a Milano, a Torino, a Francoforte; per tutto il 1858 e il ’59, anelando una fetta di fama, attraversa da destra a sinistra e da Nord a Sud gli Usa e il Canada spremendosi in tre cicli di conferenze che hanno per tema il viaggio, le ‘vacanze romane’ (titolo: Statue a Roma), i mari del Sud. Nel 1860, a fine maggio, Melville si prende una vacanza: s’imbarca a Boston, sul “Sailor”, il veliero guidato dal fratello Thomas, più giovane di lui di dieci anni. Destinazione San Francisco, passando Capo Horn. Di questa crociera, con toni da torbida fiaba, abbiamo notizia nella lunga lettera che lo scrittore invia, terminato il viaggio, al figlio primogenito, Malcolm, che ha 11 anni. Le visioni antartiche e il passaggio tra le isole della Terra del Fuoco si alternano alla descrizione, cruenta, della morte di un giovane marinaio e alle scudisciate paterne (“ora è il momento di mostrare quello che sei – se si un bravo ragazzo o un buono a nulla”). In realtà, la crociera è una onirica circumnavigazione del passato, nell’oro della giovinezza: Melville ripercorre i viaggi dei primissimi romanzi, e ci morde la nostalgia quando, avvistando una baleniera nell’Oceano Pacifico, lascia la nave del fratello, “ho preso una scialuppa”, s’avventa, memore di Moby Dick, a rincorrerla. La baleniera è piena di “selvaggi… arruolati in una delle isole intorno a Rarotonga”, che ricordano Queequeg, il formidabile ramponiere del “Pequod”. Questa serie di déjà-vu, forse, corrodono lo spirito di Melville, che dopo San Francisco, pasturando la propria irrequietezza, si dirige verso Panama, Cuba, infine New York. Esattamente sette anni dopo aver scritto questa lettera, Melville trova il figlio Malcolm riverso nel sangue, morto: si è sparato. Pochi mesi prima Herman aveva trovato lavoro come ispettore di dogana al porto di New York, incarico che esercitò per vent’anni, con mistica rassegnazione. “Per quanto fosse un parlatore affascinante quando era in vena, era anormale, come la maggior parte dei geni, e andava trattato con cautela”: Peter Toft, pittore, ricorda Melville, conosciuto da vecchio. “Sembra fare poco conto delle sue opere, e scoraggiò i miei tentativi di discuterne. ‘Le conoscete’, diceva, ‘meglio di me. Io le ho dimenticate’”. Melville non è stato la Balena Bianca né Ismaele e tantomeno Achab. Era l’oceano. Quieto, indomito – ha incenerito la propria opera, continua ad abitare il nostro futuro. (d.b.)
***
A Malcolm Melville, 16 settembre 1860
Oceano Pacifico (Al largo delle coste del Sud America, sul Tropico del Capricorno)
Sabato primo settembre 1860. Mio caro Malcolm: sono passati esattamente tre mesi da quando il “Sailor” è partito da Boston – un quarto di anno. Durante tutto questo tempo, la nave è stata sempre in moto, ha attraccato soltanto per due giorni. Immagino che tu abbia seguito la rotta sulla mappa (spero che il mio globo sia messo meglio – altrimenti dì a Mamma di pulirtelo) da Boston a San Francisco. La distanza, in linea retta, è di 16.000 miglia; ma prima che sia arrivata, la barca dovrà navigare per 18 o 20.000 miglia. Quando abbiamo attraversato l’Equatore, sull’Oceano Atlantico era molto caldo; & per diverse settimane è stato così; poi spostandoci verso Sud il caldo ha cominciato a scemare, il clima è diventato fresco, poi freddo, poi sempre più freddo, e infine è spuntato l’inverno. Indossavo due maglie di flanella, guanti enormi & un cappotto, poi un grosso cappello di Russia, che è un berretto di cuoio molto spesso chiamato così dai marinai. Infine siamo arrivati in vista di una terra coperta di neve – disabitata, dove non vive nessuno e nessuno mai vivrà – tanto arida, fredda, desolata. Si chiama Staten Land – un’isola. Vicino, c’è la grande Terra del Fuoco. Siamo passati attraverso quel dedalo di isole, siamo riusciti a osservarle. Alcuni “selvaggi” vivono nella Terra del Fuoco; ma essendo tanto abissale l’inverno, credo che vivano in caverne. Ad ogni modo, non ne abbiamo visti. Il giorno dopo eravamo a Capo Horn, il punto più a Sud di tutto il continente americano. Il tempo era cattivo, alle tre di pomeriggio è caduto il buio. Il vento fischiava in modo terribile. Abbiamo subito una tempesta di grandine e di neve, il ponte si è ghiacciato. La nave ha rollato, abbiamo imbarcato tanta acqua da lavarci le gambe. Scrosci d’acqua hanno colpito diversi marinai, che hanno rischiato di essere sbalzati dalla nave. Questo mi ricorda una cosa molto triste che è accaduta il mattino stesso in cui eravamo al largo del Capo. Era la prima luce dell’alba; soffiava selvaggio il vento; lo Zio Tom ordina che le vele superiori (quelle grandi) vengano piegate. Mentre i marinai armeggiavano su un albero, la nave si piega, terribilmente, soffia neve e grandine, il vento è freddo & aguzzo. All’improvviso, Zio Tom vede qualcosa che cade, poi un tonfo, violento – guardiamo: un povero marinaio che giace morto sul ponte. Caduto dall’albero, morto all’istante. I compagni lo prendono e lo portano sotto coperta. Quando il tempo lo permette, un uomo cuce il corpo dentro un pezzo di tela per le vele, mette delle palle di ferro – palle di cannone – ai suoi piedi. E quando tutto è pronto, il corpo è posto su un’asse e scortato lungo il fianco della nave, alla presenza di tutti. Allora lo Zio Tom, il capitano, legge una preghiera, poi dice una parola, i marinai inclinano l’asse, il corpo scivola verso l’oceano barbaro, scompare. Così un povero marinaio è stato sepolto in mare. Ray – così si chiamava quel marinaio. Aveva un amico, volevano raggiungere insieme la California, pensavano di vivere lì – e guarda cosa è accaduto.
Siamo stati in tempesta per quaranta o cinquanta giorni. Ora il tempo è buono, il sole splende, caldo.
Oceano Pacifico. 16 settembre 1860. Mio caro Malcolm: da quando sei arrivato alla quarta pagina di questa lettera, navighiamo nella bella stagione, il tempo procede buono. L’altro giorno abbiamo avvistato una baleniera; ho preso una scialuppa e ho navigato nell’oceano fino alla baleniera, sono stato lì per un’ora. A bordo c’erano otto o dieci “selvaggi”. Il capitano della baleniera li ha arruolati in una delle isole intorno a Rarotonga. Dovrebbero aiutare a tirare la balena dopo che è stata catturata. L’equipaggio dello Zio Tom ora è tutto preso a rendere elegante la nave per quando arriveremo a San Francisco. Sistemano il sartiame, dipingono la nave & gli alberi e la coperta. Adesso la nave è corrosa da tutto il brutto tempo che abbiamo subito fino a poco fa. Quando arriveremo a San Francisco ti spedirò la lettera, la riceverai entro 25 giorni. Con un piroscafo voglio andare in un posto chiamato Panama, sul Golfo di Darién (tira fuori la mappa & cerca) poi attraverserò l’istmo grazie alla ferrovia fino ad Aspinwall [l’attuale Colón, ndr] o a Chagres sul Golfo del Messico; lì prenderò un altro piroscafo e dopo aver toccato L’Avana, a Cuba, andrò direttamente a New York, e poi a Pittsfield.
Spero che, quando arriverà, questa lettera ti troverà bene, te e tutta la famiglia. Spero che tu ricordi quello che ti ho detto prima di partire riguardo al tuo comportamento. Spero che tu abbia obbedito alla mamma, le abbia dato aiuto, le sia stato di supporto. Ora è il momento di mostrare quello che sei – se sei un bravo ragazzo o un buono a nulla. Qualunque ragazzo che alla tua età disobbedisce alla madre, o è irrispettoso, è un povero disgraziato; se conosci qualcuno di questi ragazzi, è bene che non li frequenti.
Ora, mio caro Malcolm, devo finire la lettera per te. Penso spesso a te, a Stan & Bessie e Fanny; e spesso vorrei stare con te. Ma non può accadere questo, per ora. Ho una immagine di te in testa, la guardo, finché non mi sembra reale. Ti saluto, mio caro ragazzo, & Dio ti benedica, il tuo affettuoso padre,
Herman Melville
*Il testo è tratto da: “The Letters of Herman Melville”, a cura di M.R. Davis e W.H. Gilman, Yale University Press, 1960
L'articolo Herman Melville a Capo Horn. Il viaggio del 1860 nella lettera al figlio Malcolm. “La nave si piega, terribilmente, soffia neve e grandine, il vento è freddo & aguzzo. All’improvviso, un tonfo, violento – un povero marinaio che giace morto sul ponte” proviene da Pangea.
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INTERVISTA Jonathan Siegrist – Jumbo Love 9b
Jonathan Siegrist by Mati
Jonathan Siegriest ha recentemente effettuato la terza ripetizione di Jumbo Love 9b (5.15b). La via, quasi 80m di lunghezza, sale lungo una parete strapiombante a 45° nella falesia del monte Clark, all’interno della Mojave National Preserve. Jumbo Love era stata originariamente chiodata da Randy Leavitt come un itinerario di tre tiri, ma Chris Sharma, per primo, ebbe l’idea di unire le tre lunghezze in un unico tiro monstre effettuando la prima salita in libera nel 2008. Fu necessario attendere fino 2015, pima che Ethan Pringle, dopo quasi otto anni di tentativi, riuscisse a compiere la prima ripetizione.
Jonathan aveva provato la via già nel 2016 ma senza successo. E’ tornato al progetto nell’aprile di quest’anno e dopo circa un mese di sforzi ha chiuso la via alcuni giorni fa. Ecco quello che ci ha raccontato (intervista raccolta da Rock And Ice, traduzione livellozero.net):
* * * * *
Quali sono le tue sensazioni dopo il successo?
Sono veramente emozionato. Questa è una via che avevo in mente da moltissimo tempo, anche se, in tutta onestà, non è qualcosa che avrei mai immaginato di poter fare. Ancora mi ricordo di aver visto le copertine delle riviste all’epoca della prima salita da parte di Chris Sharma! Onestamente mi sembra ancora tutto così surreale.
Il tuo viaggio su Jumbo Love come è stato?
Ho provato la via per la prima volta nel 2016. Non ricordo esattamente, ma ci ho fatto circa una decina di giorni di tentativi, più o meno. All’epoca iniziai a provarla perché ero molto contento di stare a Las Vegas ed avevo pensato che valesse la pena dargli un’occhiata visto che era una falesia così vicina a casa. Avevo appena salito un paio di vie di 5.15a (9a+) e mi ero detto che era forse venuto il momento di provare qualcosa di più difficile.
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love all’epoca era probabilmente troppo dura per me e non ho mai avuto veramente la sensazione di poterla fare. Il mio miglior tentativo del 2016 non era nemmeno lontanamente vicino a una possibile salita in libera. Ero in grado di fare tutti i movimenti e riuscivo a collegare alcune sequenze, ma non molto di più.
In questi due ultimi anni me l’ero anzi un po’ tolta dalla testa. Pensavo che forse era troppo difficile per me, e ho perseguito altri progetti. Quando però mi sono ri-trasferito a Las Vegas quest’inverno mi è venuta ancora la voglia di tornare a provarla, visto che generalmente non è facile trovare vie realmente dure in falesie vicino a casa.
Ho cominciato a pensare sempre più spesso alla possibilità di salirla e ad allenarmi specificatamente per questo progetto. Nel frattempo ho anche salito altre vie tipo Bone Tomahawak ed altre vie bulderose nella zona di Austin, Texas, e pensavo sarebbero state d’aiuto nel processo di preparazione e di allenamento per Jumbo Love. Ho iniziato a provare la via seriamente circa un mese fa.
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Quanti giorni di tentativi hai fatto quest’anno?
Credo che il giorno della libera fosse il dodicesimo quest’anno, per un totale di circa 25 giorni di arrampicata sulla via, contando quelli del 2016.
Come è stata la salita in libera? Tutto tranquillo? Hai fatto qualcosa prima di partire, tipo allacciare le scarpe ben strette?
Ho lavorato la via in maniera diversa da quanto avevano fatto Chris Sharma o Ethan Pringle. Anche Alex Megos è stato qui a provarla qualche settimana fa ed il suo approccio era molto simile a quello di Chris e di Ethan. Tutti e tre cadevano al passaggio chiave superiore, poco distante dal bordo della grotta.
C’è però un passaggio chiave anche più in basso con un monodito ed una specie di lolotte che per me è stato molto più difficile superare, in parte a causa della mia altezza ed in parte perché non mi trovo a mio agio su movimenti relativamente bulderosi tipo quello.
Chris Sharma 2008
Al primo tentativo della giornata sono infatti caduto sul passo chiave sotto, come era successo già almeno 20 volte quest’anno. Ho ricontrollato il metodo e fatto un piccolo aggiustamento, poi mi sono calato e ho fatto un lungo riposo. Quando sono partito sono riuscito a superare il primo passaggio chiave e dopo quello sono arrivato direttamente in catena. E’ stata addirittura la prima volta che sono riuscito a fare il crux inferiore quest’anno, e quindi riuscire ad arrivare in catena al primo colpo è stato incredibile.
Dal bordo della grotta sono altri venti metri di arrampicata fino alla fine della via. Meno male che avevo fatto un sopralluogo studiandomeli bene qualche giorno fa (per la prima volta), e sono contento di averlo fatto perché quell’ultimo tratto è un’arrampicata stressante e più difficile di quello che avrei pensato. Sarà al massimo 8a/8a+, ma hai già scalato in strapiombo per sessanta metri e quando arrivi lì anche se fosse solo 6c sarebbe comunque duro. Ci ho messo almeno mezz’ora per salire quell’ultima parte e circa 50 minuti totali sulla via.
Pensi che Jumbo Love sia una via che riflette il tuo stile?
La via non è per niente adatta ad arrampicatori che abbiano la mia altezza. In particolare i due passaggi chiave sono veramente problematici per chi sia più basso di 1,75 m.
Mi sono allenato molto quest’inverno per farla, anche se Jumbo Love non è una via sulla quale ho potuto mettere alla prova le mie qualità intrinseche. Penso di essere forte sopratutto di dita, il che è abbastanza irrilevante su una via come questa. Le prese sono infatti generalmente buone e si tratta per lo più di movimenti molto fisici ed ampi. In più è veramente lunga e bulderosa, non come altre vie di resistenza pura ad Oliana, per esempio.
Hai parlato della via con Chris o Ethan?
Con Chris non ci siamo sentiti ma ho parlato della via con Ethan a lungo. Lui è un caro amico e, già all’epoca, avevo seguito tutti gli sforzi che aveva fatto per liberare la via. E’ stato quindi bello avere qualcuno con cui poter discutere anche dei dettagli più insignificanti.
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love si trova in una location particolarmente remota e selvaggia, e quindi la programmazione deve necessariamente comportare qualcosa in più del sapere quali sono le prese o come tenerle. In generale ho provato la via un giorno sì e uno no. L’avvicinamento è talmente lungo e faticoso che le giornate di arrampicata durano 12 o 13 ore, tra andata e ritorno. Mi ha fatto quindi molto piacere poter discutere con Ethan di altri dettagli importanti per la riuscita, come ad esempio cosa portare da mangiare, su quali vie fare il riscaldamento, quanto tempo riposare tra un tentativo e l’altro oppure le ore del giorno più adatte.
Quale è stato l’aspetto più difficile per te? Un movimento in particolare? La sfida mentale del dover affrontare un itinerario così lungo?
Ad essere sincero la parte più interessante di questo progetto è stato il riuscire ad affrontarlo in maniera poco o per nulla stressante. Questo credo sia dovuto in larga parte al mio continuo cercare di relazionarmi con Jumbo Love come se non fosse una via che necessariamente meritassi di salire. Come arrampicatori spesso abbiamo questo atteggiamento, generato dal nostro ego, che ci fa pensare che, in qualche modo, ci stiamo meritando di salire una via piuttosto che un’altra. E’ una cosa tipo: “finora ce l’ho messa tutta e quindi mi merito di salirla”. Ho cercato di impedirmi in tutti i modi di avere questo tipo di sensazione e di focalizzarmi piuttosto sui piccoli progressi incrementali di ogni tentativo. Ho cercato solo di essere molto calmo e paziente.
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Avrebbe tranquillamente potuto andare avanti ancora e ancora e ancora. Penso che sia la via più dura che abbia fatto finora, ed ero fisicamente pronto ad affrontarla. Di sicuro sono riuscito ad avere une mentalità più aperta rispetto a questo progetto di quanto non abbia fatto in passato.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Sto cercando di risparmiare un po’ di soldi e quindi non andrò in Europa quest’anno. Ho diversi progetti negli Stati Uniti ai quali voglio dedicarmi a partire dall’autunno. Penso che mi rilasserò un pochino nei prossimi due mesi. Sulla carta sembra quasi che non mi sia dedicato molto a questa via, ma in realtà mi sono preparato per quasi cinque mesi, e quindi questa ripetizione è stata per me il momento culminante di un lungo lavoro di preparazione.
xxx INTERVISTA Jonathan Siegrist - Jumbo Love 9b Jonathan Siegriest ha recentemente effettuato la terza ripetizione di Jumbo Love 9b (5.15b).
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INTERVISTA Jonathan Siegrist – Jumbo Love 9b
Jonathan Siegriest ha recentemente effettuato la terza ripetizione di Jumbo Love 9b (5.15b). La via, quasi 80m di lunghezza, sale lungo una parete strapiombante a 45° nella falesia del monte Clark, all’interno della Mojave National Preserve. Jumbo Love era stata originariamente chiodata da Randy Leavitt come un itinerario di tre tiri, ma Chris Sharma, per primo, ebbe l’idea di unire le tre lunghezze in un unico tiro monstre effettuando la prima salita in libera nel 2008. Fu necessario attendere fino 2015, pima che Ethan Pringle, dopo quasi otto anni di tentativi, riuscisse a compiere la prima ripetizione.
Jonathan aveva provato la via già nel 2016 ma senza successo. E’ tornato al progetto nell’aprile di quest’anno e dopo circa un mese di sforzi ha chiuso la via alcuni giorni fa. Ecco quello che ci ha raccontato (intervista raccolta da Rock And Ice, traduzione livellozero.net):
* * * * *
Quali sono le tue sensazioni dopo il successo?
Sono veramente emozionato. Questa è una via che avevo in mente da moltissimo tempo, anche se, in tutta onestà, non è qualcosa che avrei mai immaginato di poter fare. Ancora mi ricordo di aver visto le copertine delle riviste all’epoca della prima salita da parte di Chris Sharma! Onestamente mi sembra ancora tutto così surreale.
Il tuo viaggio su Jumbo Love come è stato?
Ho provato la via per la prima volta nel 2016. Non ricordo esattamente, ma ci ho fatto circa una decina di giorni di tentativi, più o meno. All’epoca iniziai a provarla perché ero molto contento di stare a Las Vegas ed avevo pensato che valesse la pena dargli un’occhiata visto che era una falesia così vicina a casa. Avevo appena salito un paio di vie di 5.15a (9a+) e mi ero detto che era forse venuto il momento di provare qualcosa di più difficile.
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love all’epoca era probabilmente troppo dura per me e non ho mai avuto veramente la sensazione di poterla fare. Il mio miglior tentativo del 2016 non era nemmeno lontanamente vicino a una possibile salita in libera. Ero in grado di fare tutti i movimenti e riuscivo a collegare alcune sequenze, ma non molto di più.
In questi due ultimi anni me l’ero anzi un po’ tolta dalla testa. Pensavo che forse era troppo difficile per me, e ho perseguito altri progetti. Quando però mi sono ri-trasferito a Las Vegas quest’inverno mi è venuta ancora la voglia di tornare a provarla, visto che generalmente non è facile trovare vie realmente dure in falesie vicino a casa.
Ho cominciato a pensare sempre più spesso alla possibilità di salirla e ad allenarmi specificatamente per questo progetto. Nel frattempo ho anche salito altre vie tipo Bone Tomahawak ed altre vie bulderose nella zona di Austin, Texas, e pensavo sarebbero state d’aiuto nel processo di preparazione e di allenamento per Jumbo Love. Ho iniziato a provare la via seriamente circa un mese fa.
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Quanti giorni di tentativi hai fatto quest’anno?
Credo che il giorno della libera fosse il dodicesimo quest’anno, per un totale di circa 25 giorni di arrampicata sulla via, contando quelli del 2016.
Come è stata la salita in libera? Tutto tranquillo? Hai fatto qualcosa prima di partire, tipo allacciare le scarpe ben strette?
Ho lavorato la via in maniera diversa da quanto avevano fatto Chris Sharma o Ethan Pringle. Anche Alex Megos è stato qui a provarla qualche settimana fa ed il suo approccio era molto simile a quello di Chris e di Ethan. Tutti e tre cadevano al passaggio chiave superiore, poco distante dal bordo della grotta.
C’è però un passaggio chiave anche più in basso con un monodito ed una specie di lolotte che per me è stato molto più difficile superare, in parte a causa della mia altezza ed in parte perché non mi trovo a mio agio su movimenti relativamente bulderosi tipo quello.
Chris Sharma 2008
Al primo tentativo della giornata sono infatti caduto sul passo chiave sotto, come era successo già almeno 20 volte quest’anno. Ho ricontrollato il metodo e fatto un piccolo aggiustamento, poi mi sono calato e ho fatto un lungo riposo. Quando sono partito sono riuscito a superare il primo passaggio chiave e dopo quello sono arrivato direttamente in catena. E’ stata addirittura la prima volta che sono riuscito a fare il crux inferiore quest’anno, e quindi riuscire ad arrivare in catena al primo colpo è stato incredibile.
Dal bordo della grotta sono altri venti metri di arrampicata fino alla fine della via. Meno male che avevo fatto un sopralluogo studiandomeli bene qualche giorno fa (per la prima volta), e sono contento di averlo fatto perché quell’ultimo tratto è un’arrampicata stressante e più difficile di quello che avrei pensato. Sarà al massimo 8a/8a+, ma hai già scalato in strapiombo per sessanta metri e quando arrivi lì anche se fosse solo 6c sarebbe comunque duro. Ci ho messo almeno mezz’ora per salire quell’ultima parte e circa 50 minuti totali sulla via.
Pensi che Jumbo Love sia una via che riflette il tuo stile?
La via non è per niente adatta ad arrampicatori che abbiano la mia altezza. In particolare i due passaggi chiave sono veramente problematici per chi sia più basso di 1,75 m.
Mi sono allenato molto quest’inverno per farla, anche se Jumbo Love non è una via sulla quale ho potuto mettere alla prova le mie qualità intrinseche. Penso di essere forte sopratutto di dita, il che è abbastanza irrilevante su una via come questa. Le prese sono infatti generalmente buone e si tratta per lo più di movimenti molto fisici ed ampi. In più è veramente lunga e bulderosa, non come altre vie di resistenza pura ad Oliana, per esempio.
Hai parlato della via con Chris o Ethan?
Con Chris non ci siamo sentiti ma ho parlato della via con Ethan a lungo. Lui è un caro amico e, già all’epoca, avevo seguito tutti gli sforzi che aveva fatto per liberare la via. E’ stato quindi bello avere qualcuno con cui poter discutere anche dei dettagli più insignificanti.
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love si trova in una location particolarmente remota e selvaggia, e quindi la programmazione deve necessariamente comportare qualcosa in più del sapere quali sono le prese o come tenerle. In generale ho provato la via un giorno sì e uno no. L’avvicinamento è talmente lungo e faticoso che le giornate di arrampicata durano 12 o 13 ore, tra andata e ritorno. Mi ha fatto quindi molto piacere poter discutere con Ethan di altri dettagli importanti per la riuscita, come ad esempio cosa portare da mangiare, su quali vie fare il riscaldamento, quanto tempo riposare tra un tentativo e l’altro oppure le ore del giorno più adatte.
Quale è stato l’aspetto più difficile per te? Un movimento in particolare? La sfida mentale del dover affrontare un itinerario così lungo?
Ad essere sincero la parte più interessante di questo progetto è stato il riuscire ad affrontarlo in maniera poco o per nulla stressante. Questo credo sia dovuto in larga parte al mio continuo cercare di relazionarmi con Jumbo Love come se non fosse una via che necessariamente meritassi di salire. Come arrampicatori spesso abbiamo questo atteggiamento, generato dal nostro ego, che ci fa pensare che, in qualche modo, ci stiamo meritando di salire una via piuttosto che un’altra. E’ una cosa tipo: “finora ce l’ho messa tutta e quindi mi merito di salirla”. Ho cercato di impedirmi in tutti i modi di avere questo tipo di sensazione e di focalizzarmi piuttosto sui piccoli progressi incrementali di ogni tentativo. Ho cercato solo di essere molto calmo e paziente.
[irp posts=”3754″ name=”Adam Ondra libera il primo 9a+ in Romania”]
Avrebbe tranquillamente potuto andare avanti ancora e ancora e ancora. Penso che sia la via più dura che abbia fatto finora, ed ero fisicamente pronto ad affrontarla. Di sicuro sono riuscito ad avere une mentalità più aperta rispetto a questo progetto di quanto non abbia fatto in passato.
E ora che farai?
Sto cercando di risparmiare un po’ di soldi e quindi non andrò in Europa quest’anno. Ho diversi progetti negli Stati Uniti ai quali voglio dedicarmi a partire dall’autunno. Penso che mi rilasserò un pochino nei prossimi due mesi. Sulla carta sembra quasi che non mi sia dedicato molto a questa via, ma in realtà mi sono preparato per quasi cinque mesi, e quindi questa ripetizione è stata per me il momento culminante di un lungo lavoro di preparazione.
INTERVISTA Jonathan Siegrist – Jumbo Love 9b INTERVISTA Jonathan Siegrist - Jumbo Love 9b Jonathan Siegriest ha recentemente effettuato la terza ripetizione di Jumbo Love 9b (5.15b).
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INTERVISTA Jonathan Siegrist – Jumbo Love 9b
Jonathan Siegriest ha recentemente effettuato la terza ripetizione di Jumbo Love 9b (5.15b). La via, quasi 80m di lunghezza, sale lungo una parete strapiombante a 45° nella falesia del monte Clark, all’interno della Mojave National Preserve. Jumbo Love era stata originariamente chiodata da Randy Leavitt come un itinerario di tre tiri, ma Chris Sharma, per primo, ebbe l’idea di unire le tre lunghezze in un unico tiro monstre effettuando la prima salita in libera nel 2008. Fu necessario attendere fino 2015, pima che Ethan Pringle, dopo quasi otto anni di tentativi, riuscisse a compiere la prima ripetizione.
Jonathan aveva provato la via già nel 2016 ma senza successo. E’ tornato al progetto nell’aprile di quest’anno e dopo circa un mese di sforzi ha chiuso la via alcuni giorni fa. Ecco quello che ci ha raccontato (intervista raccolta da Rock And Ice, traduzione livellozero.net):
* * * * *
Quali sono le tue sensazioni dopo il successo?
Sono veramente emozionato. Questa è una via che avevo in mente da moltissimo tempo, anche se, in tutta onestà, non è qualcosa che avrei mai immaginato di poter fare. Ancora mi ricordo di aver visto le copertine delle riviste all’epoca della prima salita da parte di Chris Sharma! Onestamente mi sembra ancora tutto così surreale.
Il tuo viaggio su Jumbo Love come è stato?
Ho provato la via per la prima volta nel 2016. Non ricordo esattamente, ma ci ho fatto circa una decina di giorni di tentativi, più o meno. All’epoca iniziai a provarla perché ero molto contento di stare a Las Vegas ed avevo pensato che valesse la pena dargli un’occhiata visto che era una falesia così vicina a casa. Avevo appena salito un paio di vie di 5.15a (9a+) e mi ero detto che era forse venuto il momento di provare qualcosa di più difficile.
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love all’epoca era probabilmente troppo dura per me e non ho mai avuto veramente la sensazione di poterla fare. Il mio miglior tentativo del 2016 non era nemmeno lontanamente vicino a una possibile salita in libera. Ero in grado di fare tutti i movimenti e riuscivo a collegare alcune sequenze, ma non molto di più.
In questi due ultimi anni me l’ero anzi un po’ tolta dalla testa. Pensavo che forse era troppo difficile per me, e ho perseguito altri progetti. Quando però mi sono ri-trasferito a Las Vegas quest’inverno mi è venuta ancora la voglia di tornare a provarla, visto che generalmente non è facile trovare vie realmente dure in falesie vicino a casa.
Ho cominciato a pensare sempre più spesso alla possibilità di salirla e ad allenarmi specificatamente per questo progetto. Nel frattempo ho anche salito altre vie tipo Bone Tomahawak ed altre vie bulderose nella zona di Austin, Texas, e pensavo sarebbero state d’aiuto nel processo di preparazione e di allenamento per Jumbo Love. Ho iniziato a provare la via seriamente circa un mese fa.
[irp posts=”3790″ name=”Nuovo 9b per Pirmin Bertle”]
Quanti giorni di tentativi hai fatto quest’anno?
Credo che il giorno della libera fosse il dodicesimo quest’anno, per un totale di circa 25 giorni di arrampicata sulla via, contando quelli del 2016.
Come è stata la salita in libera? Tutto tranquillo? Hai fatto qualcosa prima di partire, tipo allacciare le scarpe ben strette?
Ho lavorato la via in maniera diversa da quanto avevano fatto Chris Sharma o Ethan Pringle. Anche Alex Megos è stato qui a provarla qualche settimana fa ed il suo approccio era molto simile a quello di Chris e di Ethan. Tutti e tre cadevano al passaggio chiave superiore, poco distante dal bordo della grotta.
C’è però un passaggio chiave anche più in basso con un monodito ed una specie di lolotte che per me è stato molto più difficile superare, in parte a causa della mia altezza ed in parte perché non mi trovo a mio agio su movimenti relativamente bulderosi tipo quello.
Chris Sharma 2008
Al primo tentativo della giornata sono infatti caduto sul passo chiave sotto, come era successo già almeno 20 volte quest’anno. Ho ricontrollato il metodo e fatto un piccolo aggiustamento, poi mi sono calato e ho fatto un lungo riposo. Quando sono partito sono riuscito a superare il primo passaggio chiave e dopo quello sono arrivato direttamente in catena. E’ stata addirittura la prima volta che sono riuscito a fare il crux inferiore quest’anno, e quindi riuscire ad arrivare in catena al primo colpo è stato incredibile.
Dal bordo della grotta sono altri venti metri di arrampicata fino alla fine della via. Meno male che avevo fatto un sopralluogo studiandomeli bene qualche giorno fa (per la prima volta), e sono contento di averlo fatto perché quell’ultimo tratto è un’arrampicata stressante e più difficile di quello che avrei pensato. Sarà al massimo 8a/8a+, ma hai già scalato in strapiombo per sessanta metri e quando arrivi lì anche se fosse solo 6c sarebbe comunque duro. Ci ho messo almeno mezz’ora per salire quell’ultima parte e circa 50 minuti totali sulla via.
Pensi che Jumbo Love sia una via che riflette il tuo stile?
La via non è per niente adatta ad arrampicatori che abbiano la mia altezza. In particolare i due passaggi chiave sono veramente problematici per chi sia più basso di 1,75 m.
Mi sono allenato molto quest’inverno per farla, anche se Jumbo Love non è una via sulla quale ho potuto mettere alla prova le mie qualità intrinseche. Penso di essere forte sopratutto di dita, il che è abbastanza irrilevante su una via come questa. Le prese sono infatti generalmente buone e si tratta per lo più di movimenti molto fisici ed ampi. In più è veramente lunga e bulderosa, non come altre vie di resistenza pura ad Oliana, per esempio.
Hai parlato della via con Chris o Ethan?
Con Chris non ci siamo sentiti ma ho parlato della via con Ethan a lungo. Lui è un caro amico e, già all’epoca, avevo seguito tutti gli sforzi che aveva fatto per liberare la via. E’ stato quindi bello avere qualcuno con cui poter discutere anche dei dettagli più insignificanti.
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love, Credits @bearcam media
Jumbo Love si trova in una location particolarmente remota e selvaggia, e quindi la programmazione deve necessariamente comportare qualcosa in più del sapere quali sono le prese o come tenerle. In generale ho provato la via un giorno sì e uno no. L’avvicinamento è talmente lungo e faticoso che le giornate di arrampicata durano 12 o 13 ore, tra andata e ritorno. Mi ha fatto quindi molto piacere poter discutere con Ethan di altri dettagli importanti per la riuscita, come ad esempio cosa portare da mangiare, su quali vie fare il riscaldamento, quanto tempo riposare tra un tentativo e l’altro oppure le ore del giorno più adatte.
Quale è stato l’aspetto più difficile per te? Un movimento in particolare? La sfida mentale del dover affrontare un itinerario così lungo?
Ad essere sincero la parte più interessante di questo progetto è stato il riuscire ad affrontarlo in maniera poco o per nulla stressante. Questo credo sia dovuto in larga parte al mio continuo cercare di relazionarmi con Jumbo Love come se non fosse una via che necessariamente meritassi di salire. Come arrampicatori spesso abbiamo questo atteggiamento, generato dal nostro ego, che ci fa pensare che, in qualche modo, ci stiamo meritando di salire una via piuttosto che un’altra. E’ una cosa tipo: “finora ce l’ho messa tutta e quindi mi merito di salirla”. Ho cercato di impedirmi in tutti i modi di avere questo tipo di sensazione e di focalizzarmi piuttosto sui piccoli progressi incrementali di ogni tentativo. Ho cercato solo di essere molto calmo e paziente.
[irp posts=”3754″ name=”Adam Ondra libera il primo 9a+ in Romania”]
Avrebbe tranquillamente potuto andare avanti ancora e ancora e ancora. Penso che sia la via più dura che abbia fatto finora, ed ero fisicamente pronto ad affrontarla. Di sicuro sono riuscito ad avere une mentalità più aperta rispetto a questo progetto di quanto non abbia fatto in passato.
E ora che farai?
Sto cercando di risparmiare un po’ di soldi e quindi non andrò in Europa quest’anno. Ho diversi progetti negli Stati Uniti ai quali voglio dedicarmi a partire dall’autunno. Penso che mi rilasserò un pochino nei prossimi due mesi. Sulla carta sembra quasi che non mi sia dedicato molto a questa via, ma in realtà mi sono preparato per quasi cinque mesi, e quindi questa ripetizione è stata per me il momento culminante di un lungo lavoro di preparazione.
xxxxxxxxx INTERVISTA Jonathan Siegrist - Jumbo Love 9b Jonathan Siegriest ha recentemente effettuato la terza ripetizione di Jumbo Love 9b (5.15b).
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