#non ho neanche voluto rileggere
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Vi racconto una cosa di Twitter.
Almeno di quando ci lavoravo, anche se non penso che le cose siano cambiate. Non potrei farlo per via di una questione contrattuale, non potrei neanche dire che ho lavorato su twitter per contratto, comunque. C'è, o c'era ma vi ripeto certe cose non cambiano, una policy che si chiama 'gloryfication of violence' dove chi inneggia ad una qualsiasi violenza facendola passare come una cosa buona va punito, di solito cancellando il tweet ma se è a livello profilo anche il profilo va eliminato, per esempio se io scrivo che il baffetto stava facendo una cosa buona con gli ebrei cado in questa policy. Però mi capitò un caso dove la polizia, americana, uccise un tizio perché gli aveva tirato una molotov nella macchina e il tweet recitava tipo "hanno fatto bene ad ucciderlo sto tizio", levando il fatto che mi sono beccato un errore (ma questo è un altro discorso) e che l'analista mi fece rileggere a voce alta alcuni punti della policy, fastidio, tale policy non è applicabile "alle violenze che la polizia perpreta sui civili", al che ho fatto notare all'analista che non è una cosa buona perché così facendo, cioè lasciando le malefatte dei poliziotti sulla piattaforma si istiga all'odio verso la pula, l'analista era d'accordo con me ma siccome il lavoro era quello di seguire le policy mi sono beccato sto errore e sono dovuto stare zitto nonostante sia una cosa assurda. Questo perché come vi ho già detto in passato la piattaforma, come anche le altre made in usa, sono soggette al volere del governo americano, se il governo ti dice che devi seguire una linea tu lo fai se no ti fanno chiudere. Perché vi racconto sta cosa? Perché oggi ho letto un articolo su Ansa che parla di un assalto da parte di ragazzi ad una macchina della polizia, nel giornalino c'è scritto bene e diverse volte 'antagonisti', ma anche anarchici dei centri sociali, che c'azzecca?, perché nell'articolo si dice che non è tollerabile, perché manganellare dei ragazzi inermi è tollerabile? Poi c'è anche scritto che la dirigente di Pisa la spostano a Pescara, un pò come fa la chiesa con i preti pedofili invece di punirli li sospende per un pò e li sposta in un'altra chiesa, così si allarga il danno. Questa è una deriva regalataci dagli amici yankee? Oppure è solo emulazione da parte del governo attuale verso un sistema che fa gola per via del nazi/fascio che hanno intriso dentro? Sempre gli americani ah! Stiamo andando in quella direzione, o come negli stati uniti, dove poliziotti razzisti picchiano i ragazzini di colore malamente? Visto un video sempre su twitter per lavoro e ho dovuto lasciarlo perché non potevo cancellarlo grazie alla policy sopracitata, quindi le forze dell'ordine saranno usati sempre più per punire comportamenti che non piacciono al governo? Portandoli così ad essere odiati e di conseguenza quando succede qualcosa non li chiami perché potrebbero prendersela con te che in realtà ne hai bisogno. Sempre perché il governo attuale ha bisogno di cani rabbiosi, proprio come gli americani hanno bisogno che i sudditi siano cattivi e seguano una linea che porta al disordine e al caos.
Tutto questo accade dopo le dichiarazioni di ursula sul riarmo europeo, sulla guerra, sulle questioni spinose che in questo momento il vecchio continente sta affrontando, sempre grazie ai nostri alleati tossici. Qualcuno dice che sono mosse politiche pre elezioni, può essere, secondo me Ursula sta cercando di prendersi il posto dello stoltonberg a capo della NATO, quindi deve dimostrare di essere in linea con quegli psicopatici paranoici, perché io che sono europeo, come tutti voi, non la volevo questa guerra, non avrei mai voluto una guerra se pur per procura, non è la nostra guerra, se gli stati uniti vogliono distruggere la russia che vadano loro dalla parte dell'Alaska e non vengano qua a rompere i coglioni a noi che abbiamo già da doverci difendere da politici inutili che minano la nostra società. Nessuno vuole che l'Europa sia libera e indipendente per il fatto che una superpotenza con un grande passato e un futuro roseo potrebbe creare problemi a livello mondiale, quindi gli amichetti yankee non potrebbero fare le loro merdate in giro per il mondo, ma direi che è anche ora di levarci di torno sti adolescenti bulli che sanno solo roteare le loro pistole.
Mi fermo qua, perché potrei anche andare all'infinito e ho tante cose da fare oggi.
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Spiazzata. Un po’ vuota. Non capisco. Dovrei essere arrabbiata, triste, delusa, in realtà mi sento indifferente. Non riesco a leggermi. E’ un’emozione nuova, non ho mai fatto i conti con queste cose. Le emozioni, è tutta una lotta con il cervello.
E’ veramente questo essere adulti? Voglio tornare ad essere piccola, ancora protetta dal mondo esterno.
Ti amo perché sei la persona di cui mi fidavo. Ti detesto perché continuo ad amarti, nonostante faccia male da morire. Non voglio cancellare ciò che è stato, tu continui a farmi promesse, io continuo a crederci. Non so cosa pensare, in questo momento verità e bugia si sono fuse in un’unica miscela che fa a botte nei miei pensieri.
Non so che fare. Ho svuotato il mio cassetto delle lacrime, ieri sera sono scoppiata mentre ti stavo chiamando, perché i miei sentimenti sono così forti e impossibili da gestire che non riesco ad esprimerli. Pensa a te stessa.
I giorni a Bergamo ti hanno fatto solo del bene, lontano da tutto e da tutti. Ciò che hai sempre voluto, alla fine stai bene da sola. Come ti senti da sola? Indipendente? Libera? Oppure sola e basta?
Domani tornerai alla tua vita, alla tua quotidianità. Cerca di restare in piedi, non pensarci troppo, non entrare nello stato di inemotività, quello stato in cui una persona vedendoti ti domanda “che hai?” e l’unica cosa che vorresti fare sarebbe gridare o piangere; mentre tutto ciò che fai è rispondere con un semplice “niente” e finirla lì, dove non è neanche incominciata.
Bergamo ha una luce diversa quando sei triste. In un qualche modo diventa più bella, si notano tutti i suoi dettagli, non è monotona come pensavo. O forse le città sono più belle quando fuori splende il sole?
Il solito baretto, in città alta, è stato il mio posto in questi giorni. Sotto il sole, i raggi del sole che mi baciano la faccia, mentre bevo il mio solito caffè macchiato. I piccoli uccellini che ronzano intorno alle briciole sui piattini ormai vuoti, lasciati sui tavolini bianchi; io circondata da turisti, mezzi inglese e mezzi tedeschi, (forse anche un po’ ubriachi alle 10 di mattina) e dalle signore sulla ottantina, di un certo ceto, vestite anche in una certa maniera, con un cane legato al proprio braccio, che si riuniscono tutte le mattine al solito tavolino, a parlare delle loro vite e dei loro nipoti.
“E’ andato in Francia per migliorare il francese e non è più ritornato.” “Ho il nipote che non parla, ha quasi due anni, ma niente, speriamo cresca in fretta.” “Su instagram, mi hanno seguito delle donne, sai, quei profili con le donne nude, io le ho bloccate subito.”
Il loro accento mi entra dentro, non capisco se mi piaccia oppure no. Mi sembra di essere quella riga nera sulla pagina di un libro che devi rileggere tre o quattro volte perché non si capisce molto bene il significato delle parole. Vorrei sapermi leggere meglio.
Anche tua mamma al telefono ti ha sentita distante, svuotata. « Mamma non farmi piangere, sono in mezzo alla gente » con le lacrime ormai copiose sulle guance, come se in quel momento era più importante l’apparire bene.
In mezzo a queste persone felici e con in mano una tazza di caffè o una sigaretta, mi sento un pesce fuor d’acqua. Qui, seduta in un tavolino, al centro e accecato dal sole, io sono in cerca di qualcosa, forse di aiuto, da me stessa. Mi sento fuori dal mondo. Non ho voglia di restare lì, ma allo stesso tempo voglio, perché mi fa del bene.
Vorrei solo sparire, non ho più certezze. L’unica cosa che faccio è sospirare, prendere i soldi per pagare il caffè e chiamare Alice, per sentirmi ascoltata e forse per sentirmi meglio.
Ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me, perché io non ho il coraggio di farlo.
Dove sei?
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Ma il fatto più scioccante di tutti è stato questo (ora, non sono una narratrice chissà quanto coinvolgente quindi magari non vi trasmetterò bene come mi sono sentita ma davvero io sono rimasta shockata e con gli occhi sgranati per cinque minuti buoni)
Entra un tizio col cane, mi chiede prima un quartino e poi sul bancone avevamo un quarto di focaccia ai cereali e un quarto con mozzarella e wurstel, quindi dice qualcosa tipo "un pezzo di quella e un pezzo di quella" insomma è ambiguo, siccome a volte sono proprio io rincoglionita, a volte è davvero la gente che non sa parlare, gli chiedo se voglia entrambi i pezzi interi o li voglia dividere al che lui mi fa capire di volerne la metà (mi dispiace non poter riportare il dialogo così com'è stato ma a parte che era confusionario, in questi casi tendo sempre a rimuovere subito eheh, comunque c'era il titolare pure lì presente ad ascoltare e ha confermato che ho fatto proprio quello che ha chiesto il cliente, anzi gliel'ho appunto chiesto pure cinquantamila volte per essere sicura) INSOMMA per farla breve prendo sti tranci, li taglio a metà, peso, incarto, stavo per dire il prezzo, al che arriva la titolare che stava servendo un'altra persona, quindi leva dal tagliere le metà che mi erano avanzate e le rimette in esposizione e il tizio interdetto dice tipo "MA CHE FA, quei pezzi sono miei"
E io:😕 no no, ho già preso la parte per lei. Metà e metà, giusto? Le ho messo metà di quel pezzo ai cereali e metà di quella con i wurstel
Il tizio inizia a lamentarsi e incazzarsi dicendo che non era quello che aveva chiesto, grazie titolare1 per avergli detto che ho fatto quello che mi ha chiesto (che qui passiamo sempre noi per i ritardati) peccato che al tipo questa cosa non abbia fatto piacerissimo, titolare2 prende in mano la situa (mentre io ero in un angolo già confusa perché. ceh. che bisogno c'è di comportarsi così. cosa devo fare come si gestiscono le persone così. bhoooo) e dice "va bene non abbiamo capito noi cosa ci aveva chiesto, adesso rimediamo subito, se per favore ci ripete quello che voleva" al che il tizio si abbassa prende il cane ed esce con aria infuriata dal locale.
#taglio qua senza aggiungere altro perché è stato proprio così immediato che. sono rimasta senza parole davvero#mamma santa come sono prolissa#non ho neanche voluto rileggere#lavoro#per oggi è tutto passo e chiudo
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Lo sai che alcune tue foto potrebbero essere prese come cattivo esempio per ragazze più piccole che inseguono canoni di bellezza lontani dalla realtà?
Gne gne gne
1) sul tumblr e sull'internet ci sono foto e video ben peggiori; 2) non ho mai voluto che qualcuno mi prendesse da esempio perché non sono un esempio da seguire in nessun ambito; 3) anche le persone sottopeso possono non amare il proprio corpo appunto perché troppo magro o informe, non solo le ragazzine che si vedono grosse ma che in realtà sono perfettamente normopeso.
mi dà sempre fastidio quando si pensa che i magri = perfetti perché, almeno per me, non è così neanche lontanamente o quando dicono "potresti indossare tutti i vestiti del mondo" perché se un vestito non lo riempi non te ne fai nulla, o quando dicono "beata te che ti sfondi di cibo e non ingrassi" perché non è mai bello finire due piatti di pasta e avere fame dopo 10 minuti perché sei piena d'ansia ed è come se non avessi mangiato niente.
Non ho neanche voglia di rileggere perché ho sonno, ma queste sentenze sparate a zero mi innervosiscono.
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29/07/2021
Sai,
sto continuando a rileggere il tuo ultimo post. Ogni volta che lo leggo trovo una sfumatura diversa che mi fa venire i brividi.
Quelle mezzenotti fanno male, non tanto perché senza risposta, ma perché non sai e non potevi sapere che anche se non ti sbloccavo, ero dietro lo schermo ad aspettarle, ad aspettarti. E nel mentre guardavo il cielo, nella speranza di sentirti più vicina.
Non ti nego che ormai ho tanta paura quando parlo con te. Ho paura che da un momento all’altro tu possa andartene. Ho paura che per qualche motivo tu possa farmi male.
Però ti amo, e questo me lo fa dimenticare.
Hai ragione, senza di te è come se perdessi ogni mio punto di riferimento. È un po’ come se tu fossi la mi stella in cielo. E sappiamo tutti che la notte, senza le stelle ti perdi nell’oscurità. Ecco: io senza di te finisco a vagare nella tristezza e la tua mancanza mi fa perdere nell’oscurità. E non sai quante notti ho passato con un solo chiodo fisso nella testa: “vorrei averti qui”.
Ieri sera, quando caricavo la poesia, dovevo scegliere la foto e mi sono imbattuto in tutte le nostre vecchie foto. Mi è venuto da piangere, ho tenuto botta, ma mentirei se dicessi che non mi è salito il magone. Se chiudevo gli occhi e viaggiavo con la fantasia, ti sentivo ancora lì, con quel vestito, e riuscivo a ricordarmi la tua coscia calda che scaldava la mia mano fredda.
Vorrei portarti a cena fuori, di nuovo, così da poterti veder ridere fino al momento nel quale ti avrei offerto tutto. E vederti parlare tutta la sera, saperti felice al mio fianco. Sapere che quel cazzo di sorrisino che mi manda in tilt è solo merito mio.
Mi ha fatto venire i brividi la parte del biglietto: è come se in quel biglietto cercassi la mia mano, e la cosa veramente mi ha fatto letteralmente tremare.
Ieri sera, se fossi stata qui, avrei voluto guardare un po’ le stelle con te. E poi avrei voluto fare l’amore tutta la notte ed andare a letto alle 5. Amarti e provocarti. Sentirti mia. E poi magari, durante le coccole, sentirmi ancora dire che ero la tua anima gemella. Lo avrei voluto. Volevo una notte come le nostre. E magari poi durante la notte fare cose nuove insieme, come farlo anche da ubriachi. E poi parlare tutta la notte, del più e del meno. Senza limiti. Ecco sì, voglio una notte, anzi, voglio una vita senza limiti con te. Però incomincerei accontentandomi di una notte😌.
Da quando sei salita passata una vita, sì. Ho bisogno di te.
Infine, sono d’accordo, mi rendo conto che con te il tempo vola, mi sono reso conto di come le ore sembrino minuti. Questa cosa è veramente inspiegabile, ma prima o poi giuro che capirò il perché. Anche ieri il tempo è volato via ed è arrivata l’una senza neanche che me ne accorgessi.
Ad un certo punto, quando mi hai detto che purtroppo non saresti andata in vacanza con i tuoi, mi stava venendo istintivo chiederti di venire con me a Firenze sai? E sarei un bugiardo se ti dicessi che un po’ non ci ho sperato che ti autoinvitassi a firenze, a torino o da qualsiasi altra parte con me. Ti avrei detto sì all’istante. Però boh, probabilmente non puoi comunque e comunque non posso chiedertelo, ho paura che tu mi dica di no.
Però ero li che fantasticavo di poterti baciare sotto la cupola del Brunelleschi o sul lungoarno, e mi venivano i brividi.
Amo l’effetto che hai su di me.
Amo come mi fai stare.
Amo quando mi provochi, ma amo anche quando ci sei nei momenti no e mi consoli.
E cazzo, tra qualche mese faremmo due anni... ci pensi dio?
Due anni...chissà cosa avresti fatto per me, chissà dove ti avrei portata a festeggiare.
Dio...nonostante tutto resti la mia bimba sorridente che non aspettava altro che quel discorso.
Nonostante tutto io ti amo.
Nonostante tutto...
noi.
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Sono un po’ triste, in realtà avrei voluto scrivere a penna, ma quando lo faccio ho sempre paura di rileggere quello che ho scritto. Non capisco cosa cambi di così importante tra qui e un foglio. Lo capirò, forse.
Stavo dicendo che sono un po’ triste, probabilmente è normale vista l’ora e il fatto che non ho nessuna notifica, aggiungo anche il fatto che non ho sonno quando in realtà vorrei dormire. Vorrei dormire solo perché non ho voglia di fare altro, probabilmente neanche di pensare.
Ho i pensieri incasinati, non seguono un filo logico, ma di una cosa sono quasi sicura, forse trasformare in parole il ricordo che ho di qualche giorno fa al supermercato, almeno ci provo.
Un po’ di giorni fa ho accompagnato mia mamma e mia nonna a fare la spesa, è stato tutto abbastanza carino tranne un momento. Mi sembra una cosa stupida ovviamente e probabilmente lo è. Stavo girando per i fatti miei nel supermercato e ad un certo punto mi è venuta la fissa che dovevo assolutamente comprare delle caramelle da tenere in camera. Vado nel reparto delle caramelle e come mio solito ci metto anni per scegliere i vari tipi di caramelle. Mentre continuo a guardare lo scaffale per cercare di decidere, dalla fine della corsia arriva una signora con il carrello, anche lei probabilmente doveva cercare qualcosa. Dopo poco, dall’inizio della corsia arriva una coppia, un ragazzo e una ragazza, anche loro guardano le caramelle. Tutti guardiamo le caramelle. La coppia parla e ride. Avevo tutte e due le vie d’uscita bloccate, da una parte la coppia, dall’altra la signora con il carrello. Non sapevo cosa fare, probabilmente ho iniziato a guardarmi intorno come una scema cercando di capire come uscire da lì in mezzo. Mi mancava quasi il fiato, poi la signora col carrello ha fatto un po’ di spazio e sono scappata il più velocemente possibile. Spero che le persone lì presenti non abbiano notato questa cosa. E se lo hanno notato chissà che stupida sono sembrata...
Soltanto pensare a questo, a quello che ho provato in quel momento, mi fa girare la testa e mi viene in mente anche la sensazione di quegli attimi, come se fossi in trappola, sembra davvero stupido da dire, molto stupido, però è successo e me lo ricordo bene.
Anche se tutto questo mi rende un po’ triste sono contenta che dopo giorni che mi passava per la testa sono riuscita a scriverlo, probabilmente non con le parole giuste, ma un po’ l’ho tirato fuori.
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Un anno fa il 26 Novembre cadeva di lunedì.
Un anno fa, lunedì 26 Novembre, mi sono svegliata alle 5 dopo aver dormito 2 ore perché avevo un treno per Venezia da prendere con l'ansia a mille mila.
Un anno fa, lunedì 26 Novembre, ho passato l'intera Giornata con quella persona che sarebbe poi diventata X, la quale mi salvò da tante cose e me stessa prima di tutto.
365 Giorni fa era lunedì ed eravamo sedute ad un tavolino del Mc mentre tu ti accarezzavi i capelli e mi raccontavi della tua vita, chiedendomi scusa in continuazione perché non volevi essere troppo logorroica.
Un cappuccino, un succo all'ace e i tuoi sorrisi che si confondevano con i miei. Cazzo, eri veramente splendida. Mi hai portata in giro per una Venezia semi deserta in tutti i tuoi posti preferiti. Mi hai raccontato di tante ferite del tuo passato che ancora oggi ti fanno un male tremendo. Hai tardato apposta per prendere il treno successivo nonostante tuo padre ti aspettasse per cena. Lo avevi fatto per me perché probabilmente non ti aspettavi nemmeno tu che ti avrei preso così tanto. "Sai, tu ci sai fare" mi hai detto con un sorriso di sfida. Ti ho accarezzato un ginocchio e avrei voluto, più di ogni altra cosa al mondo, baciarti in quel fottuto istante. Ma non lo feci. Magari non volevi o magari ti avrebbe dato fastidio, che ne so io, mica era vero che ci sapevo fare ma volevo che tu lo credessi. Un bacaro in cui ho lasciato un pezzettino di me, di te e di quel noi che probabilmente è durato troppo poco per definirlo tale.
Un anno fa scrivevo da un treno quanto mi fossi piaciuta, quanto amavo i tuoi discorsi, la tua testa, il tuo modo di ragionare e dell' incredibile forza d'animo che ti aveva portata a rialzarti da un abisso profondo kilometri.
Sai, sono passati 365 giorni da quel lunedì e ancora non sono in grado di trovare il coraggio di tornare a Venezia senza piangere come una bambina. Non ho neanche il coraggio di rileggere la chat di quel giorno. Lo faccio solo quando voglio farmi del male. E non ho nemmeno la forza di voltare pagina perché ho l'irrazionale paura di poter dimenticare tutto quanto e io non voglio che accada...
Un anno fa era lunedì e io collezionavo ricordi meravigliosi in una città magica insieme ad una persona splendida. Adesso non rimangono che i primi impressi su una fotografia analogica che condivido da sola con la mia malinconia.
Chissà che ci vedevi in me... Però mi sorridevi e tu non sorridevi quasi mai. Cristo santo avevi un sorriso bellissimo. Cristo santo eri tutta bellissima e ti guardavo incantata con gli occhi a cuoricino che cercavo di tenere nascosti.
Trecentosessantacinque giorni fa cominciavo a provare qualcosa per una persona dopo un'immensità di tempo chiusa in me stessa.
Ti ho detto che mi sono sempre chiesta cosa ci trovassi in me? Sì forse un milione di volte ma me lo chiedo ancora, sai? E mi chiedo anche com'è che mi dipingi nei tuoi ricordi. Nei miei continui ad essere "fottutamente bella", nonostante tutto il resto...
Che poi alla fine avrei bisogno essenzialmente di 3 sole cose per descrivere questa giornata di 365 giorni fa:
Venice
Bacari
Someone special
(Seleziona tutto, ma stavolta non Cancella)
#mi manchi tanto ma come mi ripeto sempre 'spero che tu stia bene e che sia felice' perché te lo meriti#vasto immenso incredibile insieme di emozioni discordanti
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tu non capivi, perché io non ero brava a esprimerlo, ma io volevo solo stare con te, sempre in qualsiasi istante mi immaginavo di stare con te e fare le piccole cose o tutti quei momenti in cui ti sarei stata vicino ma non potevo e quando volevo le tue attenzioni non urlavo per ottenerle per la semplice paura di disturbare o fare la figura della gallina così rimanevo lì nel mio a guardarti. e non lo sai che io ho ancora la “sacca verde” so quella maledetta sacca verde che non ho il coraggio di svuotare con dentro le mie magliette che hai indossato ma hanno ancora il tuo odore anche se hai cercato di lasciargliene il meno possibile e non lo sai che ogni tanto la apro respiro forte e ho la sensazione che mi abbracci e gli occhi mi diventano lucidi perché non ci sei, non lo sai, che ho perso la tua chat su whatsapp e che non posso andare a rileggerla e solo ora se mi chiedessero di eliminare whatsapp lo farei tanto non ha alcuna importanza per me, non lo sai, che vado a rileggere le chat su telegram anche se le so a memoria e che mi accorgo di quanto fossi stupida a non capire che ci provavi con me, e non lo sai, che a volte ancora ti penso e mi costringo a non farlo e che i ricordi stanno svanendo come le cellule delle mie labbra che si sono ormai rigenerate e non ricordano più il sapore delle tue, e non lo sai, che vorrei sapere come stai e come va la tua vita e che, ancora oggi dico, se fossi ancora con lui avrei fatto questo per lui, che un piccolo pensiero ancora va a te nelle piccolezze a cui ho dato sempre tanto peso, che l’altro giorno dopo aver fatto punto mi sarei girata verso di te mandandoti un bacio come facesti tu quando mi dedicasti il gol e non lo sai che parlo ancora di te come se fossi qui con me e che quando mi chiedono come sto senza di te non so cosa rispondere. ci sono momenti in cui non mi manchi e altri che veramente mi stringono il cuore perché immagino ancora noi felici a parlare su quella panchina quella sera d’estate quando tutti pensavano che stessimo facendo chissà cosa invece tu ti giravi una sigaretta e mi facevi un discorso serio e io che ti ascoltavo ogni tanto ti dicevo la mia e un solo bacio ci dammo in quel momento in cui facemmo l’amore senza neanche toccarci, avrei voluto dirti che post malone era il mio cantante più ascoltato in primavera e che proverbialmente ora non posso piu ascoltarlo, avrei voluto finire quest anno con te e passare il natale in famiglia visto che ne facevi ormai parte dato che è il mio sogno avere una persona a natale di questo peso invece sono qui da sola di nuovo a natale e capodanno che non so con chi stare e che finalmente sto bene con tutti quei “soldi” e posso vivere in pace con la mia famiglia e avrei voluto che tu mi fossi accanto per condividere questa felicità con te e immaginare una fine più lontana. devo smetterla di parlare di te visto che non ci capisco nulla.
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Salve a tutti cari lettori (sempre che ci sia qualcuno che per caso o disgrazia mi legge ancora).
Oggi siccome ho troppa voglia di ripassare per l’esame di mercoledì (odio profondamente questa fase, perché non ne ho più voglia di stare a rileggere le solite cose), ho deciso che perderò un po’ del mio tempo scrivendo le mie ultime peripezie, con la speranza che qualcuno mi legga per darmi una sua opinione a riguardo, un consiglio o un commento. Dato che riguardano cazzate varie, prendetele come una specie di romanzo o telenovela, anche se scritta.
Più di due settimane fa sono andata a studiare nella “nostra” biblioteca, ormai è definita così, quella in cui andavamo io ed Elia, mio ex storico. Non c’era posto, quindi ho chiesto ad un ragazzo se potevo sedermi alla sua scrivania. Partiamo dal presupposto che di vista lo conosco, perché anche quando andavo con il mio ex, l’ho sempre visto lì a studiare e ho sempre pensato fosse un bel ragazzo (anche se il mio ex continuava ad infamarlo, dicendo che era solo un riccone superficiale). Forse per questo, l’ho sempre ritenuto pieno di ragazze che gli sbavavano dietro, ma alla fine era una cosa che ho collegato io all’opinione del mio ex, non è detto che lo sia. Fatto sta che mi sono messa accanto a lui a studiare. Ad un certo punto mi ha chiesto se poteva aprire un secondo il quadernone, il che mi ha fatto un po’ strano perchè comunque non occupavo molto spazio con i miei libri. Dopo pausa, in cui sono uscita a fumare, mi fa: “ti posso chiedere una cosa? Sai mica cosa significa -un termine che non saprei nemmeno ridire, perché molto strano-?”. Ovviamente non lo sapevo, e mi fa: “va beh, non ti preoccupare, cerco su internet”. Dato che insomma, non mi era indifferente a scherzo gli ho detto: “poi fammi sapere, che ora son curiosa”. Alla fine era un termine inglese e tradotto che riguardava ingegneria. A fine giornata se ne va e mi saluta.
Non so perché, ma questi due pretesti per parlarmi – perché non penso sia tanto normale chiedere il permesso per aprire un quaderno o chiedermi un termine che quasi sicuramente non sapevo- mi hanno fatto pensare che volesse attaccare bottone. E mi ci sono talmente fissata da cercarlo ovunque sui social dalle poche informazioni che avevo, tipo le iniziali sul suo computer, e dalle sue amicizie, per cercare di scoprire se era fidanzato o meno, di modo che, nel caso, avrei abbandonato l’idea di far nascere qualcosa.
In queste due settimane non ho fatto altro che tornare in quella biblioteca per cercare di rivederlo e creare un’occasione per parlarne, ma non c’è mai stato niente, se non un “ciao” e sorrisoni smaglianti e da ebeti quando ci si incrociava, o proprio un far finta di niente perché magari era in compagnia e mi vergognavo.
Poi una mattina, giovedì mi sembra, siamo entrati praticamente insieme, ma anche lì, solo un ciao e un sorriso. Quando sono uscita mi sono accesa una sigaretta, nell’attesa che uscisse anche lui, e siccome c’era un convegno, mi passa davanti e mi fa: “c’è un po’ di coda”. “eh, si”. Incapace, come sempre, nelle relazioni umane. Poi -credo di essermi svegliata con il piede giusto, idk- mi sono fatta coraggio e gli ho chiesto se avesse trovato quel termine curioso che mi aveva chiesto. Allora mi ha iniziato a spiegare tutte le cose scientifiche del caso, siamo usciti dal cancello, e ogni tanto si guardava indietro per vedere dove fossi. E mi fa “oggi ci sei?”. Io sorda come pochi, non avevo capito e me lo sono fatta ripetere tipo altre due volte. Gli ho detto che avrei mangiato il mio pranzo al sacco e che sarei rientrata, mentre lui sarebbe andato al bar, mi ha salutato con un “a dopo allora”.
Io già mi stavo facendo i pipponi mentali, e quando sono rientrata stava piovendo, e per colpa della mia troppa gentilezza, mi sono puppata una ragazza che non mi si scollava, solo perché le avevo offerto un riparo dalla pioggia con il mio ombrellino. Quindi i piani di entrare insieme e mettersi a sedere allo stesso tavolo erano svaniti. Però gli sono passata davanti, e siccome l’ho visto sdegnato gli ho chiesto: “preso male?, se vuoi dopo si fa pausa”. Niente pausa, perché non mi è venuto a chiamare ed io ho evitato di rompergli i coglioni e fare la solita cagnolina. Destino vuole che abbiamo fatto chiusura insieme, pioveva, e allora gli ho offerto un passaggio con il mio ombrellino, ma lui ha rifiutato, perché sarebbe andato a casa a piedi. Al che siamo usciti insieme e lui se ne esce con: “mi sa che faccio una mattata”. “Del tipo?”, “mi sa che mangio un boccone e vado al ***”, “che ci vai a fare al *** di giovedì sera?” “eh, lì la biblioteca è aperta fino alle 22”, “ma te sei un matto, ma quando ce li hai gli esami?” e da lì abbiamo fatto due discorsi sull’università, ho scoperto che ha 25 anni, perché alla mia domanda “a che anno sei?” ha capito che gli avessi chiesto l’età, dicendomi “lascia stare, oggi sono sordo”. E lì figura di merda colossale: “va beh, non ti preoccupare, che te ne frega, io sono sorda quasi tutti i giorni”. Boh, mi era presa male ahahah. Ci siamo salutati e amen.
Il giorno dopo, ovviamente, sono tornata in biblioteca. Casualità vuole che fosse a sedere da solo, quindi ho chiesto se fosse libero e mi sono seduta accanto a lui (lo so, ho fatto passi da gigante). E ogni tanto mi parlava, mi ha detto che alla fine non era andato a studiare, che ha mangiato un pezzo di pizza ed era andato a casa, che sentiva un spiffero d’aria e cazzate varie. Verso le 17 si alza e mi dice “io vado a pauseggiare”, tempo 5 minuti che mi sono alzata anche io con nonchalance e sono andata alle macchinette, perché mi ero scordata la merenda. C’era anche lui e quando ha visto che mi stavo avvicinando alla macchinetta, una volta che ha finito lui, ha fatto tipo il gesto di “ah, se sapevo che prendevi qualcosa te lo offrivo io” o almeno, questo è quello che mi è sembrato. Mi sono messa a mangiare fuori nel cortiletto e lui mi ha raggiunta, nonostante stesse parlando con un suo amico. Stava fumando una sigaretta elettronica quindi automaticamente gli faccio “che fumi?”. da lì abbiamo iniziato a parlare del fumo e siccome gli ho riportato una frase di una mia amica, mi è venuto automatico ripetere il mio nome, quindi ILLUMINAZIONE, mi fa: “a proposito, non ci siamo neanche presentati “piacere ***”, “come? ma sei italiano? (intendevo se fosse nato in Italia, perchè era ovvio che avesse origini straniere, dato i suoi lineamenti asiatici - continua a pensare che gli italiani non mi sanno di niente, dato le mie esperienze passate: greco e colombiano, ma dettagli)”. Mi ha ripetuto il nome, perchè io sono sorda (per l’appunto) e non essendo italiano - altra figura di merda- mi spiega che ha origini coreane, ma lui è nato in Italia, perchè i suoi genitori si sono trasferiti per motivi lavorativi. Abbiamo riparlato di due stronzate, tra cui università, studio, maturità, superiori, di dove siamo e siamo rientrati. Appena ci siamo messi a sedere mi fa, così dal nulla, cosa che mi ha spiazzato un po’: “come ti chiami su instagram?” e io ovviamente, ho fatto finta di essere una ragazza poco social, ma lui “ok, ho capito, aspetterò fino a quando non me lo dirai”. Ci siamo seguiti e fine. Abbiamo fatto di nuovo chiusura insieme, altri due discorsi alla io boia e mi ha augurato buona serata.
Sabato, sono tornata in biblioteca, ma un po’ più tardi del solito, quindi ho deciso di non fare figure di merda e di studiare fuori dalla biblioteca. E’ uscito prima di pranzo, mi è passato accanto e mi fa: “che fai prendi il sole?”, magari! Comunque ci siamo salutati, “a dopo”. Ma stavolta è stato strano. Nonostante mi fossi seduta al suo tavolo, da sola, prima che entrasse lui, non mi ha raggiunta, anzi è andato a parlare con un suo amico ed è andato a un altro tavolo da solo. Lui ha fatto pausa con un suo amico, io da sola, facendo finta di niente. E’ uscito passandomi davanti senza manco salutarmi. E’ inutile dire che ci sono rimasta male.
Sono andata in biblioteca anche ieri e non c’era. Faccio per sistemare le mie cose, che lo intravedo a un angolo. E’ uscito per far pausa e niente. E’ rientrato, ha salutato un suo amico che praticamente era vicino a me, ho fatto per alzare la testa e salutarlo, ma ha tirato dritto senza cagarmi. Al che, ho fatto pausa da sola, già nella disperazione, messaggi a amiche per dire dell’accaduto, tempo 5 minuti che è uscito anche lui e quindi, forse quasi per forza, ci siamo salutati, abbiamo fatto due discorsi e boh fine. Ieri è uscito un po’ prima del solito e RULLO DI TAMBURI, mi è passato dietro, mi ha toccato una spalla per salutarmi. IO SCIOLTA.
FINE.
Comunque niente di che, io ho preso una di quelle cotte adolescenziali assurde, perché appena mi saluta, sorride o parla, io vado in un altro mondo. Però, nonostante i suoi pretesti iniziali di attaccare bottone per delle stronzate, non mi sembra di interessargli, perché se avesse voluto mi avrebbe chiesto un caffè o una pausa pranzo insieme, non ci vuole niente. Mi sembra molto focalizzato sullo studio e sugli amici, più che su una relazione. Magari è semplicemente un trombino, dato che lo becco sempre con una diversa da quell’altra (lo so, possono essere semplici amici, ma boh). A VOI I COMMENTI, sempre che siate riusciti ad arrivare fino in fondo senza morire o bestemmiare. Lo so, sono una patologica. Lo so, ho fatto 6362388912 di grammatica e ortografia, ma capitemi, non scrivo da tanto, in più mercoledì ho un esame e dovrei ripassare, quindi non ho manco riletto. Abbiate pietà di me.
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Eravamo re
Ehi,
Ti ricordi tre anni fa? Quando ti ho chiamata disperata?
Vagabondavo da chissà quante ore per Torino dopo aver discusso pesantemente con lei, tu eri a scuola ed io ti ho iniziato a tartassare di messaggi.
Ti ho chiamato una, due, tre volte. Alla quarta hai risposto.
"Sara?"
"Dove sei?"
"A scuola... Che succede?"
"Ho litigato con lei.."
Silenzio. Sapevo che quando ti dicevo queste quattro semplici parole tu cadevi in un abisso più profondo del mio, lo sapevo, perché la mia vita era in mano tua.
O mi gestivi o per me era la fine... E lo sapevi bene..
"Dove sei?"
"Non lo so.."
"Passo a prenderti"
"Cosa pensi di fare? Girare tutta Torino per trovarmi?"
"Dove avete litigato?"
"A scuola..."
"Ti ricordi dove volevi andare quando sei andata via da scuola?"
"A casa.."
"Aspettami."
Riattacca il telefono e io crollo per terra.
Inizio a piangere a dirotto, perdo la cognizione del tempo.
Sento la porta di una macchina sbattere forte e due braccia sollevarmi, l'attimo dopo ero nella macchina di tua mamma con la testa appoggiata sulla tua spalla e le tue mani che mi accarezzavano dolcemente il viso.
Ti ricordi al mare? Ero sola, con i miei genitori, mi annoiavo ormai da troppo giorni, l'unica persona con cui messaggiavo eri tu, come sempre, del resto...
Una mattina mi sveglio con un tuo messaggio, vai ai bagni 90, c'è una sorpresa per te.
Ricordo che quel messaggio mi ha fatto preparare nel giro di 3 minuti (e tu sai i miei tempi di preparazione quali sono) non ho fatto neanche colazione. Vado ai bagni e ti vedo li, sdraiato sotto un ombrellone con la solita maglietta per proteggerti dal sole e i tuoi soliti occhiali.
Ti corro e ti abbraccio forte. Ti giuro, quell abbraccio avrei voluto durasse per sempre...
Tu ci sei sempre stato, dai momenti più brutti a quelli più belli, sei presente in ogni ricordo.
Sei la persona che ho più paura di perdere, ma quella che credo di aver già perso...
Sei sempre stato tutto per me. Ti sei sempre lamentato del mio "cuore ghiacciato", litigavamo spesso per la mia stupida apatia, eppure, ti sei sempre sciolto nel vedermi piangere sotto casa tua per la paura di perderti.
Ora tutto questo è cambiato, finalmente hai trovato lei, così diversa da me eppure così uguale..
Il modo in cui la guardi è lo stesso sguardo che riservavi a me quando eravamo una cosa sola.
I tuoi modi di fare con lei sono gli stessi che avevi con me.
L'amicizia che hai con lei è la stessa che avevi con me.
Ti giuro che per quanto sappia che tu le stai così vicino perché innamorato di lei, non posso sopportarla. Perché mi ha portato via l'unica persona che ho voluto più bene che a me stessa. Mi ha portato via te.
Scusami se le frasi non hanno avuto senso e i verbi sono completamente sbagliati, ma non ho voglia di rileggere tutto quello che ho scritto. Spero di riaverti vicino prima o poi, perché per quanto io stia soffrendo ora, per te ci sarà sempre spazio.
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“La pratica della poesia non è mai tanto auspicabile come nei periodi di eccesso del principio egoistico e calcolatore”: sia lode a Shelley (e al suo principesco traduttore)
Poco meno di duecento anni fa, Il 15 agosto 1822, arse la pira di Percy Shelley sulla battigia di Viareggio. Era naufragato al largo l’8 luglio nel suo “Don Juan” e il corpo era stato “straccato” a terra il 18 luglio, sepolto provvisoriamente, poi riesumato dopo uno scambio di carte bollate con le autorità sanitarie e cremato in una cassa di ferro appositamente realizzata dall’amico e biografo Trelawny (detto il Pirata). Una storia drammatica di cui si è continuato a favoleggiare. Byron che assiste alla macabra scena sotto il sole cocente e poi si getta in mare, Trelawny che strappa dal rogo ciò che resta del cuore e lo consegna alla vedova, le ceneri infine sepolte nel Cimitero degli Inglesi a Roma, non lontano da quelle dell’altro grande poeta perito giovanissimo, John Keats. A lui Shelley aveva dedicato nel 1821 il suo capolavoro, il poema “Adonais”, che è anche epitaffio commosso del sogno poetico neoclassico di Shelley stesso. Un po’ mortuari questi giovani romantici, Byron Shelley Keats, destinati a brillare molto ma per poco come le stelle cadenti d’agosto.
Tutti molto fortunati anche in Italia, Shelley grazie a Carducci, D’Annunzio e i loro compagni di eroici sogni d’arte. Ma anche pressoché popolari, nel loro mito. A Viareggio il busto di Shelley fu collocato nei pressi del luogo dove il suo corpo fu rinvenuto (con le poesie di Keats in tasca) e bruciato. A San Terenzo di Lerici possiamo contemplare il sacrario di Casa Magni (oggi B&B), dove Mary Shelley e Jane Williams attesero trepidanti il ritorno dei mariti su quello sfortunato Don Juan, inghiottito da un improvviso temporale. Strano a dirsi, Percy non aveva mai voluto imparare a nuotare, e ogni volta che veniva invitato a farlo si lasciava andare sul fondo, curioso, diceva, di far la prova di cosa c’era “di là”. Voleva morire e certo non fece nulla per salvarsi, mentre l’amico Williams, uomo di mare, e il mozzo inglese devono pur averci provato. Il Don Juan era stato costruito a Genova in base a un problematico progetto inglese su cui Williams si intestardì. Ciò non toglie che il veliero fu recuperato dopo esser finito per caso nelle reti di una paranza, fu restaurato e navigò ancora molti anni. Byron lo vide ormeggiato a Genova e ne soffrì, Shelley essendo l’amico di cui aveva la più alta affettuosa opinione. Che storie complesse e infiniti intrecci: Frankenstein, aborti, vampiri, incesti, suicidi, figli legittimi e no (come Allegra, la sfortunata deliziosa figlia di Byron perita di febbri in un convento dove il padre la relegò: da non perdere la biografia che ne scrisse Iris Origo, che ebbe anche una traduzione italiana).
Ma siamo qui per parlare dell’ultimo e maggior omaggio dedicato a Shelley italiano, due bei Meridiano Mondadori, Opere poetiche (pp. CXXXIX+1614, € 80,00), Teatro, prose e lettere (pp. LXIV+1326, € 80,00) curati da Francesco Rognoni, che ha fatto miracoli. Racconta con sensibilità la storia della poesia, poi offre una Cronologia in cui si troveranno ben ordinate e riferite le informazioni sopra riportate fra tante altre, con citazioni dei protagonisti. Un mondo abbastanza lontano, ma a noi in parte vicino geograficamente, minutamente ricostruito, con verve di scrittore che però non deborda mai nel compiacimento e nella strizzata d’occhio. Insomma critica seria, con il dono di interessare con fatti, giudizi, commenti.
E poi c’è la poesia, tutto quello che Shelley scrisse nei suoi pochi anni di attività febbrile. Scomunicato, ateo, adultero (queste le accuse…), soprattutto perennemente creativo e votato a ideali di libertà nell’Europa della Restaurazione. Leggeva Platone in originale e scriveva una tragedia sulla liberazione della Grecia, Hellas, sul modello dei Persiani di Eschilo… Oppure il meraviglioso paradiso del Prometeo liberato, altra risposta ad Eschilo. Tutta la cultura antica e moderna riviveva in lui.
Ma era anche un bel giovane giocoso e innamorato, autore di liriche che sono la gioia del lettore: “A Jane, con una chitarra”. Visioni dell’Italia, Roma, Pisa, il Serchio, Lerici con le lampare, le Alpi…. Titoli come “La Maga dell’Atlante”, “La sensitiva”… C’è di che sognare. E le traduzioni sono scritte in un bell’italiano moderno, sicché Shelley in italiano è un romantico più facile da leggere di Foscolo o Manzoni. Paradossi della traduzione. “La musica, quando soavi voci muoiono, / nella memoria vibra. / Profumi, quando sfioriscono le dolci viole, vivon nei sensi che han destato”. Music, when soft voices die…
Il lettore che si procurerà questi due Meridiani avrà il privilegio di assistere alla nascita di una delle più significative ricreazioni poetiche e critiche di questi anni. E avrà il piacere di perdervisi quando e quanto vorrà. Magari sostando a San Terenzo davanti alla fatale Villa Magni.
Massimo Bacigalupo
***
Piccola nota per il lettore. Ho inseguito Francesco Rognoni la scorsa estate. Non potevo fare altrimenti. Di mestiere è ordinario all’Università Cattolica del Sacro Cuore, insegna Letteratura anglo-americana e Letteratura inglese. Di fatto, è tra i massimi studiosi della letteratura anglofona in Italia. Il ‘capolavoro’ di Rognoni, che già ha curato le “Opere” di Shelley per la ‘Pléiade’ Einaudi, era il 1995, sono i due volumi Mondadori dei ‘Meridiani’ che raccolgono “TuttoShelley” – ma nel volume dedicato al “Teatro, prose e lettere” hanno cannato la copertina: non è lui il raffigurato… Insomma, preso da estro romantico ho ‘preteso’ una intervista da Rognoni. L’ho letteralmente inseguito, in effetti. Una volta era a Edimburgo, l’altra in Grecia, la terza altrove. Alla fine mi ha risposto, e ho tenuto le risposte in congelatore in attesa del momento opportuno. Eccolo. Le utilizzo ora, a corollario del pensiero critico di Bacigalupo (chi meglio di lui). (d.b.)
*
Percy Bysshe Shelley: come mai solo ora un ‘Meridiano’, per giunta doppio? Cosa ha ancora da dirci un poeta mitico, mitizzato, che diventa, nell’immaginario, l’emblema della poesia tout court?
Un Meridiano solo ora? Negli ultimi vent’anni c’è stata una Pléiade (che, per la verità, negli ultimi dieci era pressoché introvabile). E ci sono stati l’Oscar di Roberto Sanesi, e la breve BUR di Giuseppe Conte (che su Shelley ha scritto anche un romanzo)… In realtà i Meridiani non hanno mai prestato grande attenzione al Romanticismo inglese. Entro l’anno uscirà un “Keats”, ma continuano a mancare ‘Meridiani’ “Blake”, “Wordsworth”, “Coleridge” e “Byron”: se qualcuno se la sentisse di ritradurre il Don Juan, ne uscirebbe un Meridiano magnifico! E di Blake e Coleridge circolano traduzioni d’autore (Ungaretti il primo, Fenoglio e Giudici il secondo) che arricchirebbero un eventuale volume – un po’ come l’appendice di traduzioni storiche arricchisce il Meridiano “Dickinson”. Quanto a quello che Shelley ha ancora da dirci, direi che basta citare un paio di frasi dalla Difesa della poesia: “Ci manca la facoltà creativa per immaginare quello che già sappiamo; ci manca l’impulso generoso per mettere in pratica quello che immaginiamo; ci manca la poesia della vita. […] La pratica della poesia non è mai tanto auspicabile come nei periodi in cui, per un eccesso del principio egoistico e calcolatore, i materiali della vita esteriore si sono accumulati al punto di eccedere la capacità di assimilarli alle leggi interne della natura umana. Allora il corpo è diventato troppo ingombrante per lo spirito che lo anima”.
Soprattutto: cosa hai ‘scoperto’ di Shelley e cosa ci resta da leggere del grande poeta?
Cosa ho scoperto di Shelley? Che come poeta, e come autore tout court, mi affascina e convince ancor più adesso, a cinquantott’anni, di quanto mi affascinasse e convincesse fra i trenta e i trentacinque, gli anni che avevo quando ho lavorato alla Pléiade… E dire che, tradizionalmente, si dice che Shelley piace ai giovani, ma delude nella maturità… Se ci si prende la briga di leggere entrambi i Meridiani, credo che dovrebbe bastare… Ma può darsi che qualcuno trovi la forza e il coraggio di tradurre il lungo poema allegorico Laon and Cythna. In Francia lo hanno fatto qualche anno fa, nella collana di poesia della Gallimard: si sono basati sulla seconda edizione, dal titolo “attuale” The Revolt of Islam: in realtà, la versione più “rivoluzionaria” è la prima!
Che lettura diamo, oggi, del “Prometeo slegato”: ricordo una antica traduzione di Pavese, è buona? Che idea di poesia (prometeica?) attraversa l’opera di Shelley?
Ti confesso che non ho mai letto davvero la traduzione di Pavese. Benché ‘antica’, è stata pubblicata solo nel 1996, l’anno dopo la mia Pléiade, quando neanche con una pistola alla tempia qualcuno avrebbe potuto costringermi a rileggere il poema… Sono certo che Pavese ne abbia fatto tesoro per le sue teorie del mito, ma non sono in grado di dare un giudizio sulla traduzione. Gli anni Venti hanno visto la pubblicazione (presso Sansoni) delle traduzioni annotate di Raffaello Piccoli: quelle sì splendide, tuttora utilissime per i commenti (le analisi metriche del Piccoli restano insuperate). Di Prometheus Unbound sono possibili molte letture contemporaneamente: le più immediate, una lettura politica e una psicologica (se non già proprio psicanalitica). Entrambe restano vive; e aggiungerei almeno la lettura in chiave ambientalista (finché Prometeo resta incatenato, l’aria è terribilmente inquinata!), più necessaria ora che ai tempi di Shelley…
Come è nato l’amore per la letteratura anglo-americana? Quali sono gli autori che ha studiato di più, perché? In appendice, una domanda più provocatoria: non le pare che l’Italia sia afflitta da letteratura anglo-americana? Insomma, sono così bravi a scrivere solo negli Usa?
L’amore per la letteratura anglo-americana è nato dall’amore per il cinema. A vent’anni volevo fare il regista: sono stato assistente di Vancini, Damiani, Olmi, non ho avuto il coraggio di seguire quella strada e so che me ne porterò il rimpianto nella tomba… Ho studiato a lungo Elizabeth Bishop e Robert Lowell; ma forse l’ho fatto per le ragioni sbagliate, perché non credo di aver scritto cose davvero importanti su di loro…! Di certo non ho scritto quella storia della loro amicizia a cui mi ero preparato in anni non sospetti, quando il loro carteggio era inedito non solo in Italia ma anche negli USA, e agli archivi di Vassar e della Houghton Library ti permettevano ancora di lavorare sugli originali dei loro mss… Adesso ci lavorano in troppi, esiste una vera e propria “industria-Elizabeth-Bishop”, ma negli anni Ottanta era ancora una poetessa quasi segreta. Un po’ di quel lavoro (troppo poco!) è confluito nel mio commento a Day by Day, l’ultimo libro di Robert Lowell, la cui traduzione ho pubblicato negli Oscar nel 2002. Devo esser il maggior esperto vivente (lo dico con ironia!) di Anatole Broyard, uno scrittore quasi sconosciuto per l’eccellente ragione che non ha scritto quasi niente; o meglio, non ha scritto quello – il romanzo – che avrebbe voluto scrivere… Ho curato l’edizione italiana delle sue memorie di gioventù, Furoreggiava Kafka (ed. Bonnard) e dei suoi racconti (La morte asciutta, Rizzoli); ho anche creato un libro inedito, raccogliendo alcuni suoi pezzi dedicati all’amore per i libri: Giorno di trasloco e altre astuzie per vivere coi libri (Sedizioni). Il mio interesse per AB deve aver dei risvolti autobiografici: Broyard ha sofferto per tutta la vita di writer’s block, una malattia che conosco bene; ed era un nero che “passava” per bianco (s’è detto che a lui si sia ispirato Philip Roth per La macchia umana), mentre io sono un bianco che, almeno fino a qualche anno fa, veniva spesso preso per nero!
Sì, abbiamo un complesso di inferiorità rispetto agli USA… ma gli americani sono bravi davvero! Che ci piaccia o no, sono ancora loro al centro dell’impero…
Provo a ragionare sui tempi presenti. Cosa si legge oggi negli Usa? Che valore ha la letteratura e la poesia laggiù? Che senso ha, ancora, la ‘tradizione’ (penso, per dire, all’ansia canonizzante di Harold Bloom, che eleva il poeta americano a misura di tutte le scritture poetiche)?
Non sono sicuro di sapere cosa si legge negli USA al momento… Sono stato a NYC (che non è gli USA) un paio di settimane a giugno, non ci andavo da un po’ di anni: si vede dappertutto Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie, che a me non sembra proprio un gran romanzo… Temo ci sia in giro troppa ideologia: l’aberrazione di un presidente come Trump è generata (anche) da una certa ideologia pseudo-progressista. Quando Harold Bloom parla di “canone”, mi sembra che voglia rivendicare il valore della “tradizione” sulla “ideologia” (o sulla “moda”). Bloom – straordinario insegnante – le sue cose migliori le ha scritte prima del suo Canone occidentale, che secondo me è stato soprattutto una scommessa editoriale vincente. Una collana come quella della NYRB Classics dà la salutare impressione che gli americani vogliano leggere anche al di fuori della loro tradizione: ma si tratta sempre di minoranza. O vogliano uscire dalla moda, dall’ossessione di generare autori sempre nuovi: penso, ad esempio, alla riscoperta dei magnifici romanzi di John Williams, che si deve proprio alla NYRB.
Ultima. A suo avviso, da lettore avveduto, in che stato versa la letteratura (poetica e in prosa) italiana recente?
La poesia mi sembra, come sempre, in buona salute: di recente ho letto l’ultima raccolta di Francesco Dalessandro e il volume delle poesie complete di Alba Donati – poeti molto diversi ma di mio pieno gradimento entrambi, ho letto i loro libri dall’inizio alla fine, come romanzi… Lo stesso non posso dire della condizione del romanzo, che in Italia non è mai stato davvero in buona salute… A mia memoria, l’ultimo romanzo italiano importante è Il cardillo addolorato della Ortese. Ma può darsi che ricordi male; e, se non mi fa difetto la memoria, è comunque certo che uno non ha mai letto abbastanza, c’è sempre un bel libro che non si conosce: anche perché, da almeno cinque o sei anni, io non leggo i giornali, tanto meno i supplementi letterari. Un bel romanzo relativamente recente: Il celeste scolaro di Emilio Jona (Neri Pozza), sulla vita del povero Federico Almansi – il fanciullo-poeta, amato da Umberto Saba, di cui io stesso ho curato l’opera poetica (Attesa, Sedizioni 2015). Un’opera narrativa diseguale ma assi convincente nel suo complesso: quella di Hans Tuzzi (pseudonimo di Adriano Bon), bibliofilo, giallista, romanziere, saggista… Ma, ahimè! mi accorgo che sto citando autori che conosco di persona – amici o quasi – e questo non è un buon segno!
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vedete che i dubbi sulla loro amicizia li avete pure voi? altrimenti perché temete che non si parleranno neanche, nel backstage del wind summer festival stasera?
No io non ho nessun dubbio e ti invito a rileggere il commento che ho scritto, giacché mi sa che hai voluto travisare anon.
Poi, ovviamente, non sono intermediaria di nessuno, io. Parlo per me. Ed io non ho dubbi.
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Ho ritrovato la carta d'identità
L'avevo persa in casa tre anni fa.
Ho ritrovato la carta d'identità ed è stato un ritrovamento del tutto fortuito. L'altro giorno mamma è tornata a casa con delle agendine rosse bellissime e stavo pensando che potrei usare la mia per appuntarci pensieri sparsi, quindi mi sono ricordata dell'agendina con i pinguini che mi portavo dietro qualche anno fa, allo stesso scopo, e mi son messa a cercarla. Facile. Appena l'ho aperta ho trovato la carta d'identità. Sono rimasta un po' interdetta: quando fu, la cercai in lungo e in largo, e poi sono solita rimestare tra le mie cose, riguardarmele, rileggere qualcosa ogni tanto, possibile che io non abbia sentito il bisogno di curiosare in quell'agendina per tre anni? Non ricordavo proprio cosa potessi averci scritto.
L'ho aperta e ci ho trovato dentro così tanto dolore che non mi stupisco il mio inconscio abbia voluto nasconderla, rimuoverla, dimenticarla. L'ho chiusa in un cassetto e non l'ho mai ripresa neanche per cercare la carta, andata. Tre anni.
Ho trovato anche una risposta, o meglio, un indizio. In un paio di frasi faccio riferimento alla morte dei sentimenti, quindi cercherò di concentrarmi su quel periodo e provare a ricordare, chissà che non trovi la spiegazione esatta del perché sono spesso molto cervello e poco cuore e non riesca, almeno a volte, a invertire la rotta.
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Pale September, I wore the time like a dress that year.
Ciao Settembre, ben arrivato. Prima di scrivere, come ogni anno, sono andata a rileggere cosa scrivevo un anno prima e mi sono stupita del fatto che un anno fa non avessi niente da dire, niente da augurarmi, niente da voler cambiare, niente da volermi ricordare. Sinceramente, provo a ripensarci e non riesco a ricordare molto di un anno fa. Sì, ricordo qualcosa - alcune cose meno carine altre più carine -, ma niente di chi, niente di memorabile, tutte cose tra qualche anno penserò "ma che anno era?". Non era un bel periodo, proprio per niente. E quest'anno? Quest'anno non lo so. Va ad alti e bassi, come va un po' a tutti del resto. Cos'è cambiato nell'ultimo anno? Tutto e niente. Cos'è successo? E' successo che un anno fa mi sono iscritta a un corso di danza aerea per principianti. Dovevano essere due lezioni di prova, si è trasformato in un appuntamento fisso due volte a settimana. Non sono brava, sono quella che ci mette più tempo a imparare le figure, quella che per andare in pallina ci ha messo una vita - "eri totalmente non allenata e ti scoraggiavi, non ti poteva venire no!" - e che ancora si domanda perché continua, ma sono anche quella che ci ha preso gusto a tornare a casa con un segno rosso o un livido. Mi piace, mi fa sentire leggera, mi fa spegnere la testa per un'ora. Perché ho iniziato a parlare di questo? Perché più i muscoli delle mie braccia di rinforzavano, più imparavo a staccare i piedi da terra, più capivo come andare a testa in giù senza essere convinta che sarei caduta, più imparavo a stare been con me stessa, più mi liberavo di tutte quelle sicurezze che mi facevano evitare tante cose. Le prime lezioni erano per me odi et amo: odiavo socializzare, odiavo dover andare in tshirt e leggins - e sappiamo che a dire la verità sono gli ubriachi, i bambini e i leggins -, odiavo tentare di fare qualcosa e non riuscirci, odiavo quello che per altri era normale. Amavo, però, quella sensazione bellissima quando ti riusciva qualcosa - e poco importa se è il primo o il decimo tentativo -, amavo la sensazione di libertà che cresceva giorno dopo giorno. Imparare a stare sui tessuti era una rivoluzione. Una rivoluzione che non so quando sia iniziata, non ha una data precisa, non c'è stato un giorno o un'ora, è stato un lento inesorabile percorso di cambiato. Ho smesso di preoccuparmi del giudizio degli altri, di entrare in un negozio e di negarmi anche il solo provare qualcosa perché "sarei ridicola", ho smesso di guardarmi allo specchio e vedermi come un insieme di difetti. E' successo che così imparassi ad alternare i jeans a delle gonne, a stare a scegliere con cura cosa mettermi prima di uscire con un'amica anziché optare subito per i jeans e felpa - o, se ero in buona, per la camicia - come ho smesso di dovermi preparare psicologicamente con giorni di anticipo prima di mettermi una gonna. E non so neanche quando è successo che gli altri hanno iniziato ad accorgersene, a dirmi che mi vedevano cambiata, che mi vedevano bene. E' successo addirittura che un'amica mi confessasse di essersi quasi emozionata quando mi ha vista uscire da Tezenis con un costume dopo anni che per convincermi a fare una mezza giornata di mare dovevano piangere in turco: io che odiavo mettermi in costume ne avevo comprato uno (quando questo discorso è uscito davanti al suo ragazzo si è stupito, non gli sembravo il tipo da farsi problemi). La cosa più bella di questo cambiamento non è che ogni tanto esco vestita "da femmina" - come ha detto qualcuno -, ma è che esco come mi piace, esco essendo me stessa: un giorno sembro una piccola wannabe punk girl, il giorno dopo sembro quasi femminile fino a che non apro la bocca, il giorno dopo sono coi miei jeans preferiti e una tshirt enorme. Non penso più a cosa diranno gli altri, faccio quello che voglio anche mettermi un bellissimo costume intero di Wonder Woman regalatomi dalle amiche. Certo, non va sempre bene. Ci sono giorni in cui sto male, in cui mi faccio schifo, in cui la sola idea di provarmi un vestito che un'amica non mette più e che so essere aperto sulla schiena mi fa stare malissimo, ma poi passa. Passa perché guardo le foto del saggio, la foto di fine luglio seduta su un cerchio a quella che solo un anno prima mi sembrava un'altezza impossibile - ed è ancora basso - e mi dico che "se ho fatto questo, posso farcela". In tutto questo, ho anche imparato a socializzare, a relazionarmi con gli altri anche in situazioni dove conosco poco persone - se non proprio nessuno, come in vacanza - anziché mettermi in un angolo, ricordo ancora la sera che un'amica lontana mi ha raccontato che erano fieri del fatto che fossi a socializzare ad una grigliata. Rido, scherzo, parlo con gente mai vista seduta a tavolate piene, a volte mi sento ancora fuori posto, incapace di relazionarmi, ma poi passa. E non è sempre tutto rosa e fiore, tutto facile. Ci sono ancora periodi in cui faccio fatica ad uscire di casa, in cui vorrei solo chiudere la porta di camera e fare finta che non esista niente se non il peso sul petto che non mi fa respirare; ci sono momenti in cui mi tremano le mani così forte che per non farlo notare devo stringerle a pugno così forte che poi mi fanno male, ci sono notti che le passo in preda agli incubi. Ci sono giornate come ieri, come oggi, che guardo i libri da studiare e non metto a fuoco niente o che mando un report per il blog della Radio dell'università dicendo a me stessa che fa schifo - e nessuno è d'accordo, non capisco chi sbaglia - e mi si capovolge lo stomaco a comunicare che "l'ho mandato in revisione". Ci sono giorni, settimane, periodi più o meno lunghi che va tutto male e fingo che vada benissimo, che reggo tutti senza far vedere come sto, ma alla fine me la cavo, non sempre bene, ma me la cavo. E, Settembre, se dobbiamo parlare di cose leggere e farci anche una risata, sembra che tutto quello scritto sopra abbia effetti positivi: c'è chi c'ha provato, finendo generalmente in un nulla di fatto, ma è successo. Certo, poi c'è chi ti resta nelle canzoni costringendoti a sentire ridendo, ma questo è un discorso a sé. Sai Settembre, stasera avrei voluto uscire, è sabato sera, ma invece a breve tornerò a studiare. Gli altri non gli ho sentiti, forse BFF è ancora impegnata a sistemare la casa in cui è ufficialmente andata a convivere, forse sono rimasti su o chi lo sa - se lasciassi parlare la vocina nella testa, direbbe che sono usciti senza di me perché non mi volevano -, ma vocina a parte è okay anche così e non lo dico come tempo fa perché dovevo autoconvincermene, va bene davvero. Sai, nonostante i mesi, mi fa ancora strano come io abbia imparato a non odiarmi, ma a convivere con me stessa e soprattutto come io passi periodi con me stessa perché mi va, non perché socializzare a forza mi ha messo ko - sì, certo, ci sono ancora sere in cui torno e mi fa male la testa per essere stata a contatto con gli altri, non perché io beva o altro, solo stare in mezzo alle persone. Sai Settembre, ho passato così tanto tempo senza scrivere per non parlare con me stessa che ora faccio fatica a smettere, ci sono così tante cose che vorrei scrivere a te che non esiste per dirle a me che potrei scrivere in eterno, ma ci sarà tempo. Cerca solo di essere più buono di altri anni, cerca solo di non darmi sfide troppo grandi, di non darmi troppo da affrontare.
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La lettera
La cassapanca di legno massiccio, la serratura di ferro con la grossa chiave, un oggetto che mi aveva sempre affascinato e che sapevo custodire un tesoro prezioso, il corredo di nonna Clara.
Prima di morire aveva detto al figlio, mio padre, che l’ultimo desiderio era quello che fosse destinato alla sua unica nipote, a me.
Prossima alle nozze, mia madre ed io abbiamo deciso di visionare la biancheria che giace da anni in quello scrigno, senza essere mai stata usata.
Mia nonna, infatti, era rimasta vedova subito dopo le nozze a causa delle guerra, mentre era incinta. Era tornata a vivere nella casa dei genitori, in quella che era stata la sua stanza di fanciulla. Nello stesso letto che l’aveva vista bambina, una notte era nato mio padre, il suo unico figlio, a cui aveva dato lo stesso nome del defunto marito. Nonostante fosse ancora molto giovane non aveva voluto più risposarsi, continuando a vivere con i propri genitori, fino a quando furono in vita, insieme a suo figlio. Il corredo di giovane sposa rimase così nella cassapanca, inviolato.
Sulle lenzuola di lino sono ricamate le iniziali dei giovani sposi, piccoli boccioli di rosa incorniciano quelle cifre che con mani delicate aveva cucito davanti al fuoco nelle lunghe sere d’inverno. Nonostante il tempo la biancheria è in ottime condizioni, appena ingiallita dai lunghi anni in cui non ha visto luce ed aria. Delicatamente abbiamo iniziato a svuotare il baule con l’intenzione di rinfrescare quei lini e valutare cosa effettivamente avrei potuto usare e cosa era il caso di continuare a custodire in quanto troppo prezioso. Tra le lenzuola, gli asciugamani e le tovaglie ci sono dei piccoli sacchetti contenenti dei fiori di lavanda, il cui vago sentore persiste ancora.
Poi, sotto l’ultimo lenzuolo, una lettera.
La busta riporta il nome della nonna e il suo indirizzo, il nome del mittente è quello del nonno.
È chiusa.
L’abbiamo osservata a lungo prima di decidere se aprirla e leggerla. Se era nascosta sul fondo della cassapanca vuol dire che la nonna non l’aveva mai vista. Forse era giunta dopo la notizia della scomparsa del marito in guerra, e per paura che l’emozione avrebbe potuto procurarle un malore visto il suo stato, le era stata nascosta dalla madre. La busta è ingiallita, la calligrafia delicata ed elegante appena sbiadita.
La colla, ormai secca, non ha fatto alcuna resistenza, la busta si è aperta lasciando la carta intatta. La lettera era stata inviata dal fronte, il luogo nel quale il nonno aveva perso la vita neanche una settimana dopo averla scritta.
Sedute sul divano, una accanto all’altra, io e mia madre abbiamo letto quelle parole che erano rimaste mute per tutto questo tempo, in silenzio.
Alla fine, il nostro sguardo ha siglato un tacito accordo.
Abbiamo riposto la lettera nella busta e poi sul fondo della cassapanca, nello stesso punto nel quale l’avevamo rinvenuta. Mio padre non avrebbe saputo della sua esistenza e del suo contenuto, come del resto sua madre, prima di lui …
… Ho atteso che mia madre dormisse profondamente prima di alzarmi e accendere la candela del moccolo. Ho visto dove ha nascosto la lettera che stamattina il postino le ha consegnato, quella lettera che le ha fatto sbiancare il volto. Sollevo piano il coperchio della madia, facendo attenzione che il legno non scricchioli.
È una lettera di Mario, mio marito, giunta dopo la sua morte. Il figlio che porto dentro di me si muove, forse anche lui ha sentito il mio cuore battere più forte. Non voglio strapparla, voglio conservarla intatta come una reliquia. Scaldo un po’ d’acqua sulla fiamma che languisce nel camino, mi basta solo del vapore per aprirla.
Devo rileggere quelle parole molte volte perché non riesco a capire o forse perché non voglio credere.
Mi dice che se riuscirà a sopravvivere, se riuscirà a tornare a casa, mi lascerà. Sentire, vedere la morte intorno a sé ogni istante gli ha fatto capire che la vita è troppo importante e non va sprecata. Si è reso conto di non amarmi e che non potrà mai farlo, nonostante il figlio che porto in grembo. Provvederà a lui certamente, ma vuole essere libero. Dice che anche io, col tempo, capirò e che addirittura gliene sarò riconoscente. Non c’è niente che valga più della libertà.
Ripongo la lettera nella busta che richiudo usando un po’ di melassa, rimettendola nella madia dove era stata nascosta.
Il sangue nelle mie vene scorre ancora ma è gelato, come se fossi morta. Come te, in quella trincea. Sono calma e so cosa farò.
Sarò la tua vedova, crescerò nostro figlio nel tuo ricordo, lo educherò con i valori che ci sono stati tramandati dalle nostre famiglie, il coraggio, l’onestà. Sarò fedele alla tua memoria.
Non ti concederò neanche da morto, quella libertà che tanto agognavi, quella libertà che ti saresti preso incurante della mia dignità, del mio onore. Sarai mio marito per sempre.
Finché morte non ci separi.
Laura T.
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a te, che non ci sei ma dovresti esserci
La morte di mio fratello mi ha insegnato tantissimo e continua a farlo. La frase “ami una cosa solo quando la perdi” è così vera. Non perchè prima non gli volessi un bene dell’anima, non perchè in quei due mesi io non sia stata felice che ci fosse. Era l’ottavo fratello, non era una novità che mamma fosse ancora incinta, anzi, era quasi la cosa più normale nella mia famiglia. Eppure, quando io ho scoperto che avrei avuto un altro fratello, non sono stata solo contenta. Ai tempi, mi vergognavo di avere una famiglia così numerosa e ripensandoci mi viene da ridere, perchè adesso sarei disposta a tutto pur di riavere lui con noi.
Il dolore per la sua perdita rimarrà sempre una ferita aperta e il mio terrore è che si chiuda, che non smetta mai di farmi stare male, perchè questa sofferenza mi ricorda che lui c’è stato e mi ha donato tanto. Negli anni mi rendo sempre più conto di quanto mi manca. Non è giusto che lui non ci sia più, perchè adesso avrebbe nove anni e sarebbe il piccolo della famiglia, ma io non ho neanche avuto l’occasione di capire come sarebbe stato. Il più divertente? Il più bello? Quello più amato? Ora in realtà non ho dubbi, lui è quello che amo di più. Ho scritto dieci righe senza piangere e ora sto cominciando.
Una volta mi sono ubriacata e io ho la sbronza triste, perciò ho iniziato a piangere e chiedere perchè i miei amici credessero in Dio se lui ha pensato che fosse giusto uccidere mio fratello, portarlo via dopo solo due mesi. Urlavo e chiedevo il perchè e ricordo che ho fatto piangere tutti i presenti, ma non era quello che volevo, io volevo una risposta, perchè questo è quello che, a nove anni, mi ha allontanato per sempre dalla fede. Probabilmente mi sarei allontanata più avanti, per tanti motivi diversi, ma la differenza è che lui nella mia vita non c’è e io non capisco perchè, se davvero esiste un Dio, l’abbia voluto come angelo togliendomi la possibilità di conoscerlo.
“Le battaglie più complicate vengono date ai guerrieri più valorosi”. Questa è una delle cose che mi ha detto uno dei miei amici presenti quella sera, in mezzo ad un discorso che mi ha sinceramente commossa, perchè lui una risposta ce l’ha, anche se non mi ha convinta. Io non mi sento una guerriera valorosa, non mi sento forte, anzi, sento che questo mi porta sempre in un abisso di tristezza da cui non riesco ad uscire e il dolore mi divora.
La vita avrebbe un sapore diverso se non la dovessi trascorrere sentendo la sua mancanza. A volte penso che forse sarebbe meglio non esserci che esserci ma senza di lui.
Le mie giornate passano e io mi chiedo sempre come sarebbe la vita con lui, come sarebbe un altro mondo in cui lui è ancora con me. Mi manca quasi il respiro a pensarlo, inizio a viaggiare con i pensieri e questo mi fa solo piangere.
Voglio solo sapere dove sei, voglio solo sapere se un giorno io potrò stare di nuovo con te. Qual è il senso della vita? Penso davvero che sarebbe diverso con te qui, penso davvero che avrei meno voglia e meno paura di morire se tu fossi accanto a me. Non saprei cos’è la sofferenza viscerale. Questo dolore ti rincorre sempre e quando ti prende ti trascina giù. Non puoi far altro che piangere in silenzio, perchè non hai il coraggio di parlarne con nessuno. Chissà com’è condividere questa stretta al cuore da cui è impossibile liberarsi.
Dove sei? Perchè mi hai lasciata qui da sola? Perchè non mi hai permesso di conoscerti e starti vicino? Perchè? Solo perchè. Sei l’angelo più prezioso che ci sia e vorrei solo averti qui. Come fai a mancarmi anche se non ti ho mai avuto davvero? Come fai a occupare uno spazio così grande dentro il mio cuore quando sono stati solo due mesi quelli che ci sono stati concessi?
Ora non riesco neanche a vedere quello che scrivo perchè ho gli occhi pieni di lacrime e non ho intenzione di rileggere, anche se so che ci sono moltissimi errori e che non si capiranno tanti passaggi né tantomeno la logica di quello che ho detto. Rileggere mi farebbe stare solo peggio.
Angelo mio, mi manchi ogni giorno.
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