#neoliberismo
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elkoko · 2 months ago
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rideretremando · 2 years ago
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"Si capisce perché il neoliberismo vada compreso, più che come una dottrina economica, come un dispositivo di soggettivazione, che produce non tanto degli economisti, quanto delle persone che pensano sé stesse in termini di aziende ‘individuali’ in concorrenza con altre aziende simili."
Felice Cimatti
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unita2org · 3 months ago
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IMPORTANTE INTERVISTA DE l'ANTIDIPLOMATICO A CHRIS HEDGES CHE RILANCIAMO PER L'IMPORTANZA DEI CONTENUTI
NORD-AMERICA 14 Ottobre 2024 13:00 Come si è estinta la democrazia negli Stati Uniti. l’AntiDiplomatico intervista Chris Hedges “I mass media si guadagnano da vivere vendendo al pubblico il mito dell’America. Questo è sempre stato vero. Ma ora le cose sono peggiorate. Laddove una volta si riusciva a trovare qualche voce che cercava di parlare onestamente di chi siamo come nazione e dei crimini…
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Chi è interessato a cambiare le cose dovrebbe studiare Bitcoin...
La controrivoluzione delle élite di cui non ci siamo accorti: intervista a Marco D’Eramo - L'indipendente on line
Fisico, poi studente di sociologia con Pierre Bourdieu all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, giornalista di Paese Sera, Mondoperaio e poi per lungo tempo de il manifesto. Marco D’Eramo ha di recente pubblicato il saggio Dominio, la guerra invisibile contro i sudditi (ed. Feltrinelli, 2020), un libro prezioso che, con uno stile agevole per tutti e dovizia di fonti, spiega come l’Occidente nell’ultimo mezzo secolo sia stato investito di una sorta di rivoluzione al contrario, della quale quasi nessuno si è accorto: quella lanciata dai dominanti contro i dominati. Una guerra che, almeno al momento, le élite stanno stravincendo e che si è mossa innanzitutto sul piano della battaglia delle idee per (ri)conquistare l’egemonia culturale e quindi le categorie del discorso collettivo. Una chiacchierata preziosa, che permette di svelare il neoliberismo per quello che è, ovvero un’ideologia che, in quanto tale, si muove attorno a parole e concetti chiave arbitrari ma che ormai abbiamo assimilato al punto di darli per scontati, ma che – una volta conosciuti – possono essere messi in discussione.
Ci parli di questa rivoluzione dei potenti contro il popolo, cosa è successo?
Nella storia i potenti hanno sempre fatto guerra ai sudditi, se no non sarebbero rimasti potenti, questo è normale. Il fatto è che raramente i sudditi hanno messo paura ai potenti: è successo nel 490 a.C., quando la plebe di Roma si ritirò sull’Aventino e ottenne i tribuni della plebe. Poi, per oltre duemila anni, ogni volta che i sudditi hanno cercato di ottenere qualcosa di meglio sono stati brutalmente sconfitti. Solo verso il 1650 inizia l’era delle rivoluzioni, che dura circa tre secoli, dalla decapitazione di re Carlo I d’Inghilterra fino alla rivoluzione iraniana, passando per quella francese e quelle socialiste. Da cinquant’anni non si verificano nuove rivoluzioni.
E poi cosa è successo?
Con la seconda guerra mondiale le élite hanno fatto una sorta di patto con i popoli: voi andate in guerra, noi vi garantiamo in cambio maggiori diritti sul lavoro, pensione, cure, eccetera. Dopo la guerra il potere dei subalterni è continuato a crescere, anche in Italia si sono ottenute conquiste grandiose come lo statuto dei Lavoratori, il Servizio Sanitario Nazionale ed altro. A un certo punto, le idee dei subordinati erano divenute talmente forti da contagiare le fasce vicine ai potenti: nascono organizzazioni come Medicina Democratica tra i medici, Magistratura Democratica tra i magistrati, addirittura Farnesina Democratica tra gli ambasciatori. In Italia come in tutto l’Occidente le élite hanno cominciato ad avere paura e sono passate alla controffensiva.
In che modo?
Hanno lanciato una sorta di controguerriglia ideologica. Hanno studiato Gramsci anche loro e hanno agito per riprendere l’egemonia sul piano delle idee. Partendo dai luoghi dove le idee si generano, ovvero le università. A partire dal Midwest americano, una serie di imprenditori ha cominciato a utilizzare fondazioni per finanziare pensatori, università, convegni, pubblicazioni di libri. Un rapporto del 1971 della Camera di Commercio americana lo scrive chiaramente: “bisogna riprendere il controllo e la cosa fondamentale è innanzitutto il controllo sulle università”. Da imprenditori, hanno trattato le idee come una merce da produrre e vendere: c’è la materia prima, il prodotto confezionato e la distribuzione. Il primo passo è riprendere il controllo delle università dove la materia prima, ovvero le idee, si producono; per il confezionamento si fondano invece i think tank, ovvero i centri studi dove le idee vengono digerite e confezionate in termini comprensibili e affascinanti per i consumatori finali, ai quali saranno distribuiti attraverso giornali, televisioni, scuole secondarie e così via. La guerra si è combattuta sui tre campi della diffusione delle idee, e l’hanno stravinta.
Quali sono le idee delle élite che sono divenute dominanti grazie a questa guerra per l’egemonia?
La guerra dall’alto è stata vinta a tal punto che non usiamo più le nostre parole. Ad esempio, la parola “classe” è diventata una parolaccia indicibile. Eppure Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del mondo, lo ha detto chiaramente: «certo che c’è stata la guerra di classe, e l’abbiamo vinta noi». O come la parola “ideologia”, anche quella una parolaccia indicibile. E allo stesso tempo tutte le parole chiave del sistema di valori neoliberista hanno conquistato il nostro mondo. Ma, innanzitutto, le élite sono riuscite a generare una sorta di rivoluzione antropologica, un nuovo tipo di uomo: l’homo economicous. Spesso si definisce il neoliberismo semplicemente come una versione estrema del capitalismo, ma non è così: tra la teoria liberale classica e quella neoliberista ci sono due concezioni dell’uomo radicalmente differenti. Se nel liberalismo classico l’uomo mitico è il commerciante e l’ideale di commercio è il baratto che si genera tra due individui liberi che si scambiano beni, nel neoliberismo l’uomo ideale diventa l’imprenditore e il mito fondatore è quello della competizione, dove per definizione uno vince e l’altro soccombe.
Quindi rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto siamo diventati un’altra specie umana senza accorgercene?
L’idea che ogni individuo è un imprenditore genera una serie di conseguenze enormi. La precondizioni per poter avviare un’impresa è avere qualcosa da investire, e se non ho capitali cosa investo? A questa domanda un neoliberista risponde: «il tuo capitale umano». Questa è una cosa interessantissima perché cambia tutte le nozioni precedenti. Intanto non vale l’idea del rapporto di lavoro come lo conoscevamo: non esiste più un imprenditore e un operaio, ma due capitalisti, dei quali uno investe denaro e l’altro capitale umano. Non c’è nulla da rivendicare collettivamente: lo sfruttamento scompare, dal momento che è un rapporto tra capitalisti. Portando il ragionamento alle estreme conseguenze, nella logica dominante, un migrante che affoga cercando di arrivare a Lampedusa diventa un imprenditore di sé stesso fallito, perché ha sbagliato investimento. Se ci si riflette bene, la forma sociale che meglio rispecchia questa idea del capitale umano non è il liberalismo ma lo schiavismo, perché è lì che l’uomo è letteralmente un capitale che si può comprare e vendere. Quindi non credo sia errato dire che, in verità, il mito originario (e mai confessato) del neoliberismo non è il baratto ma lo schiavismo. Il grande successo che hanno avuto i neoliberisti è di farci interiorizzare quest’immagine di noi stessi. È una rivoluzione culturale che ha conquistato anche il modo dei servizi pubblici. Per esempio le unità sanitarie locali sono diventate le aziende sanitarie locali. Nelle scuole e nelle università il successo e l’insuccesso si misurano in crediti ottenuti o mancanti, come fossero istituti bancari. E per andarci, all’università, è sempre più diffusa la necessità di chiedere prestiti alle banche. Poi, una volta che hai preso il prestito, dovrai comportarti come un’impresa che ha investito, che deve ammortizzare l’investimento e avere profitti tali da non diventare insolvente. Il sistema ci ha messo nella situazione di comportarci e di vivere come imprenditori.
Ritiene che l’ideologia neoliberista abbia definitivamente vinto la propria guerra o c’è una soluzione?
Le guerre delle idee non finiscono mai, sembra che finiscano, ma non è così. Se ci pensiamo, l’ideologia liberista è molto strana, nel senso che tutte le grandi ideologie della storia offrivano al mondo una speranza di futuro migliore: le religioni ci promettevano un aldilà di pace e felicità, il socialismo una società del futuro meravigliosa, il liberalismo l’idea di un costante miglioramento delle condizioni di vita materiali. Il neoliberismo, invece, non promette nulla ed anzi ha del tutto rimosso l’idea di futuro: è un’ideologia della cedola trimestrale, incapace di ogni tipo di visione. Questo è il suo punto debole, la prima idea che saprà ridare al mondo un sogno di futuro lo spazzerà via. Ma non saranno né i partiti né i sindacati a farlo, sono istituzioni che avevano senso nel mondo precedente, basato sulle fabbriche, nella società dell’isolamento e della sorveglianza a distanza sono inerti.
Così ad occhio non sembra esserci una soluzione molto vicina…
Invece le cose possono cambiare rapidamente, molto più velocemente di quanto pensiamo. Prendiamo la globalizzazione: fino a pochi anni fa tutti erano convinti della sua irreversibilità, che il mondo sarebbe diventato un grande e unico villaggio forgiato dal sogno americano. E invece, da otto anni stiamo assistendo a una rapida e sistematica de-globalizzazione. Prima la Brexit, poi l’elezione di Trump, poi il Covid-19, poi la rottura con la Russia e il disaccoppiamento con l’economia cinese. Parlare oggi di globalizzazione nei termini in cui i suoi teorici ne parlavano solo vent’anni fa sembrerebbe del tutto ridicolo, può essere che tra vent’anni lo sarà anche l’ideologia neoliberista.
Intanto chi è interessato a cambiare le cose cosa dovrebbe fare?
Occorre rimboccarsi le maniche e fare quello che facevano i militanti alla fine dell’Ottocento, ovvero alfabetizzare politicamente le persone. Una delle grandi manovre in questa guerra culturale lanciata dal neoliberismo è stata quella di ricreare un analfabetismo politico di massa, facendoci ritornare plebe. Quindi è da qui che si parte. E poi bisogna credere nel conflitto, progettarlo, parteciparvi. Il conflitto è la cosa più importante. Lo diceva già Machiavelli: le buone leggi nascono dai tumulti. Tutte le buone riforme che sono state fatte, anche in Italia, non sono mai venute dal palazzo. Il Parlamento ha tutt’al più approvato istanze nate nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle piazze. Lo Statuto dei Lavoratori non è stato fatto dal Parlamento per volontà della politica, ma a seguito della grande pressione esterna fatta dai movimenti, cioè dalla gente che si mette insieme. Quindi la prima cosa è capire che il conflitto è una cosa buona. La società deve essere conflittuale perché gli interessi dei potenti non coincidono con quelli del popolo. Già Aristotele lo diceva benissimo: i dominati si ribellano perché non sono abbastanza eguali e i dominanti si rivoltano perché sono troppo eguali. Questa è la verità.
[di Andrea Legni]
https://www.lindipendente.online/2023/11/01/la-controrivoluzione-delle-elite-di-cui-non-ci-siamo-accorti-intervista-a-marco-deramo/?fbclid=IwAR0J1ttaujW9lXdoC3r4k5Jm46v3rQM_NMampT4Sd_Q-FX4D-7TFWKXhn3c
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bagnabraghe · 1 year ago
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Nixon, in un incontro sul Cile, ordinò al direttore della CIA, Richard Helms, di «far urlare l’economia»
Le riforme economiche attuate dal governo militare cileno presieduto dal generale Augusto Pinochet tra il 1973 ed il 1981 sono considerate la prima dimostrazione empirica delle teorie neoliberiste di Friedman: l’unico precedente in qualche modo simile è quello dell’apertura economica dell’Indonesia in seguito al colpo di Stato nel 1965 sostenuto dalla CIA e guidato dal generale Suharto. Il nuovo…
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bigarella · 1 year ago
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Nixon, in un incontro sul Cile, ordinò al direttore della CIA, Richard Helms, di «far urlare l’economia»
Le riforme economiche attuate dal governo militare cileno presieduto dal generale Augusto Pinochet tra il 1973 ed il 1981 sono considerate la prima dimostrazione empirica delle teorie neoliberiste di Friedman: l’unico precedente in qualche modo simile è quello dell’apertura economica dell’Indonesia in seguito al colpo di Stato nel 1965 sostenuto dalla CIA e guidato dal generale Suharto. Il nuovo…
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girlbenshapiro · 1 year ago
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she ra dropped white phosphorus on my house
dude i knew it
like she def voted for pete buttigieg because she respected his [redacted] work at mckinsey
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resilienciacoletiva · 1 year ago
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🎬 #Privatizações: a distopia do capital (2014), de Silvio Tendler
O filme de Silvio Tendler ilumina e esclarece a lógica da política em tempos marcados pelo crescente desmonte do Estado brasileiro. A visão do Estado mínimo; a venda de ativos públicos ao setor privado; o ônus decorrente das políticas de desestatização traduzidos em fatos e imagens que emocionam e se constituem em uma verdadeira aula sobre a história recente do Brasil. Assim é #Privatizações: a Distopia do Capital. Realização do Sindicato dos Engenheiros no Estado do Rio de Janeiro (Senge-RJ) e da Federação Interestadual de Sindicatos de Engenheiros (#Fisenge), com o apoio da CUT Nacional, o filme traz a assinatura da produtora Caliban e a força da filmografia de um dos mais respeitados nomes do cinema brasileiro.
Em 56 minutos de projeção, intelectuais, políticos, técnicos e educadores traçam, desde a era Vargas, o percurso de sentimentos e momentos dramáticos da vida nacional. A perspectiva da produtora e dos realizadores é promover o debate em todas as regiões do país como forma de avançar “na construção da consciência política e denunciar as verdades que se escondem por trás dos discursos hegemônicos”, afirma Silvio Tendler.
Vale registrar, ainda, o fato dos patrocinadores deste trabalho, fruto de ampla pesquisa, serem as entidades de classe dos engenheiros. Movido pelo permanente combate à perda da soberania em espaços estratégicos da economia, o movimento sindical tem a clareza de que “o processo de privatizações da década de 90 é a negação das premissas do projeto de desenvolvimento que sempre defendemos”.
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scienza-magia · 2 years ago
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Mondializzazione e somma dei problemi economici in policrisi
Sentiremo parlare di “policrisi”. Il termine va molto di moda per descrivere la situazione economica e politica mondiale, ma sta anche creando scetticismo. Da alcuni mesi, soprattutto sui media e negli ambienti economici anglosassoni, è diventata molto di moda la parola “policrisi”, in inglese “polycrisis”, un termine che cerca di descrivere l’attuale situazione mondiale in cui numerose grandi crisi (economica, climatica, politica) si accumulano e si amplificano l’una con l’altra. Il termine è piuttosto usato sui giornali, anche con qualche scetticismo, si trova nelle ricerche degli scienziati politici, è stato ritenuto una delle parole dell’anno appena trascorso, è stato usato da celebri economisti ed è diventato uno degli argomenti più discussi dell’ultimo World Economic Forum di Davos, all’inizio di quest’anno. “Policrisi” sta ottenendo qualche successo, sebbene più limitato, anche in Italia, e ha una storia interessante. Il termine, sviluppato negli anni Novanta, era stato recuperato alcuni anni fa dall’ex presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker. Ma è diventato davvero celebre soltanto dopo essere stato adottato da uno degli storici dell’economia più famosi degli ultimi anni, il britannico Adam Tooze, che l’ha usato come un modo per interpretare la confusa situazione dell’economia mondiale, complicata dalla crisi climatica, dalla guerra e da numerose altre crisi. “Policrisi” sta trovando però anche molte resistenze, soprattutto tra chi dice che in realtà non contribuisce a definire un fenomeno nuovo, e che per questo l’utilizzo del termine è una moda passeggera destinata a sparire. Adam Tooze ha dedicato numerose edizioni della sua popolare newsletter Chartbook alla policrisi, ma la descrizione più sintetica del termine si può leggere probabilmente in un articolo pubblicato dallo stesso Tooze sul Financial Times lo scorso ottobre. Tooze parte da una citazione di Larry Summers, ex segretario del Tesoro americano e uno degli economisti più celebri del mondo, che di recente ha detto, commentando l’accumularsi di varie crisi di livello globale come la pandemia e la guerra: «Questa è la più complessa, disparata e trasversale serie di sfide che ricordi nei 40 anni da quando ho cominciato a fare attenzione a queste cose». La tesi, secondo Tooze, è che ci troviamo in un momento in cui le grandi crisi globali «interagiscono tra loro in maniera tale che l’insieme delle parti è più opprimente della loro semplice somma». Ciascuna crisi, secondo Tooze, diventa un fattore di un’altra crisi, e contribuisce ad amplificarla. La pandemia da coronavirus, oltre alle conseguenze dirette e terribili in termini di morti e lockdown in tutto il mondo, è stata una delle cause scatenanti della grande crisi dei commerci globali. Sempre la pandemia, che ha spinto i governi occidentali ad adottare politiche economiche molto espansive per sostenere la popolazione durante i periodi di lockdown, è una delle tante cause dell’aumento dell’inflazione, soprattutto negli Stati Uniti. Ma anche la crisi dei commerci globali ha un evidente ruolo nell’aumento dell’inflazione. La guerra in Ucraina provocata dalla Russia di Vladimir Putin ha amplificato a sua volta i problemi dell’inflazione, e ha contribuito ai blocchi commerciali. A questo si aggiunge la crisi climatica, con tutta una serie di problemi e complicazioni. Si potrebbe andare avanti. In uno dei numeri della sua newsletter, pubblicato ormai qualche mese fa, Tooze ha realizzato uno schemino della policrisi per come la vede lui, che non ha un gran valore dal punto di vista esplicativo ma aiuta quanto meno a comprendere l’enorme confusione e interconnessione delle crisi.
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Da Chartbook di Adam Tooze Tooze riconosce che il mondo è sempre stato complesso, e non è certo la prima volta che numerose crisi si amplificano l’una con l’altra. Ma secondo lui «ciò che rende le crisi degli ultimi 15 anni così disorientanti è che non sembra più possibile indicare una singola causa e, di conseguenza, una singola soluzione». Ancora negli anni Ottanta del Novecento, sostiene Tooze, era possibile immaginare che il “mercato” avrebbe sistemato le crisi economiche, o incolpare il “neoliberismo” di tutte le disgrazie del mondo, a seconda delle appartenenze politiche. Oggi non lo è più: le crisi non hanno più una sola origine, e dunque non hanno più una sola soluzione. Il termine policrisi fu inventato dal filosofo e sociologo Edgar Morin negli anni Novanta, in riferimento soprattutto alla crisi climatica. Non ebbe molto successo sul momento, ma fu recuperato nel 2016 da Jean-Claude Juncker, che allora era presidente della Commissione Europea, che disse, in riferimento alle molte crisi che l’Europa stava vivendo in quel momento (da quella del debito sovrano a quella migratoria), che l’Unione Europea rischiava di «camminare come una sonnambula da una crisi all’altra, senza mai svegliarsi». Ma policrisi è diventato celebre in questi mesi soprattutto grazie a Tooze, perché riesce con una parola sola a definire una sensazione di disagio diffuso e complessità impossibile da districare che accomuna molte persone in tutto il mondo. Altre parole stanno cercando di esprimere questo stesso disagio: il dizionario d’inglese Collins ha eletto come parola dell’anno 2022 “permacrisis”, mentre il celebre economista Nouriel Roubini in un libro da poco uscito ha cercato di rendere popolare il termine “megathreats” (che significherebbe “mega minacce” e in italiano è stato tradotto con “grandi minacce”). “Policrisi” rimane almeno per ora la versione più popolare. Il termine, benché evocativo ed efficace, è tuttavia molto generico, soprattutto se utilizzato in ambito economico: da alcuni è stato definito un «meme» che deve ancora essere riempito di significato. Per questo negli ultimi mesi c’è stato un certo dibattito attorno al tentativo di individuare le caratteristiche di una policrisi. Per brevità possiamo tornare all’articolo di Tooze sul Financial Times, secondo cui «nella policrisi gli shock sono numerosi, ma interagiscono in maniera tale che l’insieme è più sconvolgente della somma delle parti. A volte sembra che si perda il senso della realtà». Con quest’ultima frase Tooze intende dire che nella policrisi i problemi sono così intricati e connessi tra loro che a un certo punto diventa difficile mantenere la stessa percezione tra tutte le persone che li devono affrontare. Com’è prevedibile, un termine così generico ha creato ampi e giustificati scetticismi. In particolar modo, è stata attaccata l’idea che la policrisi sia un fenomeno nuovo, e che le crisi mondiali siano diventate in qualche modo più complesse, intricate e irrisolvibili oggi che nei decenni passati. Sono usciti articoli che elencavano i numerosi periodi di enormi e complesse crisi, a partire dalle due Guerre mondiali del Novecento. Su Bloomberg, l’economista Andreas Kluth sostiene che finora gli apologeti della policrisi non siano stati in grado di dimostrare che la parola descriva un fenomeno nuovo: una molteplicità di crisi che si intersecano e si amplificano l’una con l’altra è comune a molti grandi fenomeni storici, basti pensare alla caduta dell’Impero romano. Per questo, sostiene, un neologismo che non definisce nessun fenomeno nuovo non è utile e non merita di essere utilizzato. Read the full article
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elkoko · 2 months ago
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Nunca deje de soñar Martínez.
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rideretremando · 1 year ago
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«Siamo passati da un sistema basato su valori sociali nei quali individualmente potevi dare qualche premio o incentivo, a considerare normale che il mercato regoli anche sfere che fino a 30 anni fa erano considerate beni sociali non commerciabili: sicurezza nazionale, giustizia, scuola, salute, protezione ambientale, la stessa procreazione. Perché preoccuparsi di questa mercatizzazione? Per due motivi. Il primo, più evidente, riguarda il principio di uguaglianza. In una società nella quale tutto è in vendita, la vita diventa ancora più difficile per chi ha meno. La mancanza di denaro non porta solo a vivere in condizioni più modeste, ma diventa una condanna. Il secondo, forse meno evidente, più difficile da descrivere, riguarda il potere corrosivo dei mercati. Dare un valore monetario a un bene civico lo corrompe, svaluta o altera la sua immagine. Abbiamo visto che nelle scuole che multavano i genitori che venivano a prendere i figli in ritardo, i ritardi sono aumentati. Perché il valore della puntualità è svanito e la multa è stata percepita come una tariffa: il prezzo di un sistema di recupero all’uscita più flessibile. Allo stesso modo pagare gli studenti per studiare riduce, nella loro mente, il valore etico dello studio.
Michael Sandel
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unita2org · 1 year ago
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L'ARGENTINA E LE NUOVE FORME DI POTERE
a cura della redazione di Radiograd e Radio Sonar https://gemininetwork.it/yesterdays-papers-argentina-e-le-nuove-forme-di-potere/ La crisi economica mondiale si traduce ancora una volta in una forma politica dispotica: si tratta dell’elezione di Milei, nuovo presidente dell’Argentina che, contro tutti i sondaggi, vince con una percentuale di voti enorme – simile solo a quelli ottenuti…
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PREMESSA: io odio qualunque forma di governo autoritaria che mi imponga come comportarmi nella vita privata, cosa posso pensare e cosa posso dire, nonché come spendere i miei soldi e dove posso o non posso andare e quando posso farlo.
Fatta questa premessa, qualcuno mi sa spiegare perché vedono il comunismo ovunque, anche dove non c'è?
Voglio dire, con il comunismo tutti hanno casa e lavoro, mentre qui si sta cercando di togliere a tutti la casa, il lavoro e persino la macchina...! Il comunismo vuole una ridistribuzione della ricchezza verso il popolo, mentre qui la ridistribuzione è verso l'alto. Insomma, cosa c'è di comunista in questa società che io non vedo?
Mi sembra una sindrome, uguale e contraria, come quella di chi vede il fascismo ovunque.
Forse si sono persi la lezione di economia sul neo-liberismo? Oppure è stato bandito il termine "capitalismo" e la sua variante "turbo"? O, magari, hanno problemi di comprensione e non afferrano il concetto di giustizia sociale, concetto che sembra essere stato cancellato da ogni discorso politico? O, semplicemente, sono troppo materialisti, avidi ed egoisti per concepire la solidarietà?
In ogni caso, stiamo vivendo in un sistema dittatoriale mascherato da democrazia (in Occidente, altrove hanno tolto la maschera e sono meno ipocriti) che nulla ha a che fare con tutto ciò che ho detto sopra. La giustizia non esiste, che sia sociale o giuridica, il governo del popolo men che meno, poteri sovranazionali corrompono i governi con il solo scopo di arricchire entità private che hanno già un reddito superiore al PIL di alcune (molte) nazioni, le valute fiat sono emesse da banche centrali di proprietà privata, anziché pubblica, e gli Stati si indebitano sempre di più, prosciugando i risparmi dei loro cittadini... Cosa c'è di comunista in tutto ciò, a parte la dittatura che, però, non è una caratteristica comunista ma del socialismo reale e, anzi, è la deriva di ogni potere a causa del delirio di onnipotenza e di impunibilità che acquisisce ogni essere umano appena gli si dà una divisa, un ruolo più o meno dirigenziale e lo si mette un gradino più su dell'ultimo della scala sociale?
Con questo tipo di opposizione, che sfrutta il ribaltamento dei termini per sostenere il contrario di quello che fa (la guerra è pace), che vede un nemico inesistente ed indica il lampione anziché la luna, che speranze abbiamo di cambiare realmente la situazione? Il mondo che vorrebbero gli "anti-comunisti" è un mondo in cui il povero e gli ultimi vengono abbandonati a se stessi esattamente come avviene oggi, che alternativa rappresentano a ciò che stiamo già vivendo?
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il loro obiettivo è far vivere tutti come loro: nel TERRORE.
Dal Terrore ripara solo la FEDE CIECA NEL PRECETTO STATALISTA, il Protettore Educatore Punitore, con la sua naturale conseguenza: tanta tanta tanta sottomessa rassegnazione.
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dominousworld · 2 years ago
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Il rifiuto del neoliberismo e del globalismo
Il rifiuto del neoliberismo e del globalismo
di Alexander Dugin Nell’ambito delle teorie delle relazioni internazionali, il realismo e il liberalismo sono espressioni eclatanti dell’egemonia concettuale: costruiscono tutti i loro concetti sulla base dell’universalismo implicito dell’Occidente e dei suoi valori (e anche interessi) e, di conseguenza, garantiscono e sostengono attivamente l’ordine egemonico.Su un altro piano, il modello…
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colonna-durruti · 3 months ago
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Si scopre, 45 anni dopo, che coloro che ci odiano veramente per le nostre libertà non sono la schiera di nemici disumanizzati creati dalla macchina da guerra - vietnamiti, cambogiani, afghani, iracheni, iraniani o persino talebani, al-Qaeda e ISIS. Sono i finanzieri, i banchieri, i politici, gli intellettuali pubblici e gli opinionisti, gli avvocati, i giornalisti e gli uomini d'affari cresciuti nelle università e nelle business school d'élite che ci hanno venduto il sogno utopico del neoliberismo.
Chris Hedges
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falcemartello · 1 year ago
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COS' È LA DISTRAZIONE DI MASSA...
🔻Noam Chomsky, uno dei piu' importanti intellettuali oggi in Vita, ha elaborato la lista delle 10 strategie della manipolazione attraverso i mass media.
Dedicate 5 minuti e non ve ne pentirete.
Non foss'altro per ampliare le proprie conoscenze.
1-La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.
Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare.
Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà.
O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3- La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi.
E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4- La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura.
E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato.
Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato.
Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale.
Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile.
Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo.
Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.
7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori".
8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti ...
9- Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s'incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione.
E senza azione non c’è rivoluzione!
10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti.
Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca.
Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Noam_Chomsky
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