#natura della coscienza
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Il tredicesimo piano (1999), diretto da Josef Rusnak, è un film di fantascienza che esplora temi di realtà virtuale e identità.
La trama segue Douglas Hall, il cui mentore Hannon Fuller viene assassinato in un mondo virtuale ricreato per simulare Los Angeles nel 1937; Hall, sospettato del delitto, deve navigare tra due realtà per scoprire la verità, complicata dalla presenza della misteriosa figlia di Fuller.
Il film, ispirato al romanzo Simulacron 3, affronta la fragilità della percezione e la natura della coscienza.
#Il tredicesimo piano (1999)#Joseph Rusnack#film#fantascienza#Simulacron 3#realtà virtuale#identità#Douglas Hall#Hannon Fuller#film ispirato a romanzo#fragilità della percezione#natura della coscienza
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COSCIENZA: NATURA PROPRIA DELLA MENTE
di Luca Rudra Vincenzini “La Coscienza, che è la natura propria (svarūpa, della mente), nella forma della Dea Kuṇḍalinī appare nel corpo, manifestandosi come le lettere”, Śāradā-stotram. Il potere fonatorio può legare e può rendere liberi. Oggi anche la scienza (PNL, programmazione neurolinguistica) ha confermato che per mezzo del linguaggio possiamo guarire, attivando le funzioni vitali e…
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“Tra noi due, tu sei sempre stato il più colto, il più diligente, il più virtuoso, il più dotato in ogni campo, poiché possedevi anche un talento che tenevi segreto, quello della musica. Tu eri della razza di Chopin, eri cioè un essere pieno di riserbo e di orgoglio. Ma in fondo all’animo nascondevi un impulso spasmodico: il desiderio di essere diverso da quello che eri. È il tormento più crudele che il destino possa riservare a un uomo. Essere diversi da ciò che siamo, da tutto ciò che siamo, è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano. Giacché l’unico modo per sopportare la vita è quello di rassegnarci a essere ciò che siamo ai nostri occhi e a quelli del mondo. Dobbiamo accontentarci di essere fatti in un certo modo e sapere che, una volta accettata questa realtà, la vita non ci loderà per la nostra saggezza, nessuno ci conferirà una medaglia al merito solo perché ci siamo rassegnati a essere vanitosi ed egoisti, o calvi e panciuti – no, in cambio di questa presa di coscienza non otterremo né premi né lodi. Dobbiamo sopportarci quali siamo, il segreto è tutto qui. Sopportare il nostro carattere, la nostra natura di fondo, con tutti i suoi difetti, il suo egoismo e la sua cupidigia, che non saranno corretti né dall’esperienza né dalla buona volontà. Dobbiamo accettare che i nostri sentimenti non siano contraccambiati, che le persone che amiamo non rispondano al nostro amore, o almeno non nel modo che vorremmo. Dobbiamo sopportare il tradimento e l’infedeltà, e soprattutto la cosa che ci riesce più intollerabile: la superiorità intellettuale o morale di un’altra persona.”
Sándor Márai - Le braci
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C’è una forma di violenza silenziosa in chi decide di tagliare un legame senza spiegazioni. Questo comportamento, per quanto apparentemente passivo, è profondamente tossico, perché nega all’altro il diritto di capire, di confrontarsi, di crescere attraverso il conflitto.
Quando qualcuno scompare senza avvisare, per natura siamo portati a diventare giudice della nostra stessa esistenza: cosa ho fatto? Dove ho sbagliato? Cerchiamo delle spiegazioni all'accaduto ed il rischio più grande che incorriamo, se le nostre parti più egoiste, argute e fiere sono esiliate, è quello di dubitare di noi, di pensare di avere davvero qualcosa che non va.
Non esiste relazione senza il rischio di ferire e venire feriti, ma esiste l'incontro, la possibilità di dichiararsi tristi o arrabbiati, delusi o giudicati. Sapere questo è la relazione.
È un potere sottile, quello di chi sceglie il silenzio: ti lascia con un fardello che non è tuo, un senso di smarrimento e confusione che rimbalza tra pancia testa e gola.
Ma la tossicità di questo atteggiamento non riguarda solo chi lo subisce: è anche il riflesso di chi lo mette in atto. Tagliare un legame senza confrontarsi significa rifuggire la responsabilità emotiva, scegliere l’egoismo al posto del coraggio. È un atto di vigliaccheria travestito da autodifesa, un modo per proteggersi evitando il peso della verità.
Ciò che rende davvero tossico questo atteggiamento è la sua capacità di lasciarti intrappolato in un ciclo infinito: il rancore, il senso di colpa, il bisogno di spiegazioni che non arrivano mai. È un veleno lento che si insinua nella tua capacità di fidarti, di credere che i legami possano essere solidi e autentici.
Per uscirne, serve una presa di coscienza: comprendere che il silenzio dell’altro non parla di te, ma di loro. Non sei tu a dover colmare il vuoto che hanno lasciato, non sei tu a dover dare senso a un’assenza che non hai scelto. Liberarsi da questo peso significa imparare a distinguere tra chi ti abbandona e chi, invece, ti solleva. E scegliere, finalmente, di non aggrapparsi a chi non ha mai avuto il coraggio di restare.
Dott.ssa Noemi Bitonti
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"Scrivo a tutta la comunità per assumermi la responsabilità di una scelta, evidentemente controcorrente, in occasione della scomparsa di Silvio Berlusconi.
Di fronte a questa notizia naturalmente non si può provare alcuna gioia, anzi la tristezza che si prova di fronte ad ogni morte. Ma il giudizio, quello sì, è necessario: perché è vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati. Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell’Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico, dall’interesse personale come unico metro alla speculazione edilizia come distruzione della natura. In questo, e in moltissimo altro, Berlusconi è stato il contrario esatto di uno statista, anzi il rovesciamento grottesco del progetto della Costituzione. Nessun odio, ma nessuna santificazione ipocrita. Ricordare chi è stato, è oggi un dovere civile.
Per queste ragioni, nonostante che la Presidenza del Consiglio abbia disposto (https://www.governo.it/it/articolo/bandiere-mezzasta-sugli-edifici-pubblici-e-lutto-nazionale-la-scomparsa-del-presidente) le bandiere a mezz’asta su tutti gli edifici pubblici da oggi a mercoledì (giorno dei funerali di Stato e lutto nazionale), mi assumo personalmente la responsabilità di disporre che le bandiere di Unistrasi non scendano.
Ognuno obbedisce infine alla propria coscienza, e una università che si inchini a una storia come quella non è una università.
Col più cordiale saluto,
il Rettore
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Tomaso Montanari
Professore ordinario di Storia dell'arte moderna
Rettore dell'Università per Stranieri di Siena
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA PUREZZA DELL'IMPOSSIBILE
Helen Frankenthaler (1928 - 2011) è stata un'artista peculiare nella New York del secondo dopoguerra, la "grande mela" divenuta centro vitale della produzione artistica occidentale.
Nella congerie dell'espressionismo astratto, da Pollock a Rothko, da De Kooning a Sterne, da Newmann a Motherwell (con il quale fu sposata dal 1958 al 1971), la pittrice trovò ispirazione ma aprì un varco diretto verso una strada ulteriore e feconda: il "Color Field", la campitura vasta di campi di colore dotati di una dimensione segnica limitata al significante e dunque lacunosa di significato.
Dal "dripping" di Pollock al “soak-stain” che conferiva alle sue espressioni pittoriche la consistenza visiva dell'acquerello.
In sostanza, l'artista s'immerse nella corrente di ricerca sul colore che dagli anni '50 corse lungo due filoni: come contrasto e armonia o nella direzione della monocromia ispirata dal suprematista russo Malevič e proseguita dal francese Kline.
Ma Frankenthaler rimase coerente con l'intuizione iniziale, esplorandola fino alle sue vaste possibilità, nel tentativo di trarre dall'astrazione un'impressione di natura: "Montagne e mare" del 1952, conservato nella Galleria nazionale d'arte a Washington, è considerato una pietra miliare nella storia dell'arte contemporanea, paesaggio strappato da una potente sensibilità visiva all'atto di coscienza.
Infine sublimato in fenomeno creativo capace d'imprimere sulla tela la suggestione organica e fluttuante del vivente.
Se nel commento all'opera Morris Louis la descrisse come «un ponte tra Pollock e ciò che era possibile», in realtà ad emergere è l'avventurosa ricerca di purezza nell'immagine impossibile.
L'immagine di emozioni sedimentate nell'abisso delle percezioni.
Che delle emozioni fa muto linguaggio lirico.
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chi vinse veramente quando Einstein e Bergson discussero sul tempo?
Albert Einstein al College de France
La sera del 6 aprile 1922, durante una conferenza a Parigi, il filosofo Henri Bergson e il fisico Albert Einstein si scontrarono sulla natura del tempo in uno dei grandi dibattiti intellettuali del XX secolo. Einstein, che allora aveva 43 anni, era stato portato da Berlino per parlare alla Société française de philosophie della sua teoria della relatività, che aveva affascinato e scioccato il mondo. Per il fisico tedesco, il tempo misurato dagli orologi non era più assoluto: il suo lavoro dimostrava che eventi simultanei erano simultanei in un solo sistema di riferimento. Di conseguenza, aveva, secondo un editoriale del New York Times , "distrutto spazio e tempo" ed era diventato una celebrità internazionale. Fu braccato dai fotografi dal momento in cui arrivò a Parigi. L'aula magna era gremita quella sera di aprile.
Seduta tra la folla radunata c'era un'altra celebrità. Bergson, che allora aveva 62 anni, era altrettanto famoso a livello internazionale , in particolare per il suo best-seller L'evoluzione creatrice (1907), in cui aveva reso popolare la sua filosofia basata su un concetto di tempo e coscienza che chiamava " la durée " (durata). Bergson accettava la teoria di Einstein nel regno della fisica, ma non poteva accettare che tutti i nostri giudizi sul tempo potessero essere ridotti a giudizi su eventi misurati da orologi. Il tempo è qualcosa che sperimentiamo soggettivamente. Lo sentiamo passare intuitivamente. Questa è la "durata".
Il loro dibattito iniziò quasi per caso. L'incontro di aprile era stato convocato per riunire fisici e filosofi per discutere della teoria della relatività, ma Bergson si presentò con l'intenzione di ascoltare. Quando la discussione si spense, tuttavia, fu pressato a intervenire. Con riluttanza, si alzò e presentò alcune idee dal suo libro di prossima uscita, Duration and Simultaneity (1922). Come Jimena Canales ha documentato nel suo libro The Physicist and the Philosopher (2015), ciò che Bergson disse nella mezz'ora successiva avrebbe dato il via a un dibattito che avrebbe riverberato per tutto il XX secolo e fino al XXI. Avrebbe cristallizzato controversie ancora vive oggi, sulla natura del tempo, l'autorità della fisica rispetto alla filosofia e la relazione tra scienza ed esperienza umana.
Bergson iniziò dichiarando la sua ammirazione per il lavoro di Einstein: non aveva obiezioni alla maggior parte delle idee del fisico. Piuttosto, Bergson contestò il significato filosofico dei concetti temporali di Einstein e incalzò il fisico sull'importanza dell'esperienza vissuta del tempo e sui modi in cui questa esperienza era stata trascurata nella teoria della relatività.
Sebbene Einstein fosse costretto a parlare in francese, una lingua di cui aveva una scarsa padronanza, impiegò solo un minuto per rispondere. Riassunse la sua comprensione di ciò che Bergson aveva detto e poi liquidò le idee del filosofo come irrilevanti per la fisica. Einstein credeva che la scienza fosse l'autorità sul tempo oggettivo e che la filosofia non avesse alcuna prerogativa di intervenire. Per concludere la sua confutazione, dichiarò: "Non esiste un tempo del filosofo; esiste solo un tempo psicologico diverso dal tempo del fisico".
Henri Bergson nel 1908.
Ma nonostante quello che molti hanno finito per credere sul dibattito iniziato quella notte, Einstein si sbagliava. Esiste un terzo tipo di tempo: il tempo del filosofo.
Quando Duration and Simultaneity fu pubblicato più avanti nello stesso anno, il dibattito di Bergson con Einstein divenne più pubblico e diffuso, coinvolgendo molti altri fisici e filosofi. Ma man mano che si diffondeva, iniziarono ad apparire delle crepe nelle affermazioni del filosofo. L'argomentazione dimostrava che Bergson aveva frainteso un importante aspetto tecnico della teoria della relatività speciale di Einstein, in particolare per quanto riguarda la dilatazione del tempo (la differenza nel tempo trascorso, misurata da due orologi, dovuta alle loro velocità relative). A causa di questo fallimento, molti giunsero a credere non solo che Einstein avesse vinto il dibattito, ma che la filosofia della durata non avesse alcuna attinenza con il mondo della fisica. Bergson iniziò ad apparire fuori dal contatto con l'avanguardia della scienza. Come scrisse il filosofo Thomas L Hanna nel 1962:
Le teorie di Einstein ricevettero gradualmente una verifica sempre più drammatica, mentre le teorie di Bergson appassirono sulla vite. La migliore spiegazione per l'impressionante fallimento di Bergson ... [è che] non era sufficientemente esperto delle prospettive e dei problemi della matematica e della fisica.
Perfino il premio Nobel Ilya Prigogine e la filosofa Isabelle Stengers, che simpatizzavano con la filosofia di Bergson nel loro libro rivoluzionario L'ordine dal caos (pubblicato per la prima volta in francese nel 1978), scrissero che egli aveva "evidentemente frainteso la teoria della relatività di Einstein".
Ma un esame ravvicinato dell'opera di Bergson non conferma questi giudizi sbilanciati. Non era in contatto né con la scienza né con la matematica. In effetti, era abile in matematica: aveva vinto un prestigioso premio di matematica e il suo primo lavoro pubblicato era su una rivista di matematica. E sebbene si sbagliasse su un aspetto tecnico della teoria della relatività, aveva ragione su qualcosa di più fondamentale: il tempo non è solo ciò che misurano gli orologi. Deve essere compreso in altri modi che attingono direttamente alla nostra esperienza della durata.
Bergson ha insistito sul fatto che la durata propriamente detta non può essere misurata.
Per comprendere la visione del tempo del filosofo francese, dobbiamo tornare agli anni '80 dell'Ottocento, quando stava lavorando alla sua tesi di dottorato. Questo lavoro sarebbe stato pubblicato come il suo primo libro nel 1889, noto in inglese come Time and Free Will: An Essay on the Immediate Data of Consciousness , quando aveva 30 anni. Il contributo chiave del libro è l'idea che il tempo non è spazio. Di solito immaginiamo il tempo come analogo allo spazio. Lo immaginiamo, ad esempio, disposto su una linea (come una linea temporale di eventi) o un cerchio (come un anello di meridiana o un quadrante di orologio). E quando pensiamo al tempo come ai secondi su un orologio, lo spazializziamo come una serie ordinata di unità discrete, omogenee e identiche. Questo è il tempo dell'orologio. Ma nella nostra vita quotidiana non viviamo il tempo come una successione di unità identiche. Un'ora sulla poltrona del dentista è molto diversa da un'ora con un bicchiere di vino con gli amici. Questo è tempo vissuto. Il tempo vissuto è flusso e cambiamento costante . È 'divenire' piuttosto che 'essere'. Quando trattiamo il tempo come una serie di unità uniformi e immutabili, come punti su una linea o secondi su un orologio, perdiamo il senso di cambiamento e crescita che definisce la vita reale; perdiamo il flusso irreversibile del divenire, che Bergson chiamava 'durata'.
Pensa a una melodia. Ogni nota ha la sua distinta individualità mentre si fonde con le altre note e i silenzi che vengono prima e dopo. Mentre ascoltiamo, le note passate indugiano in quelle presenti e (specialmente se abbiamo già sentito la canzone prima) le note future potrebbero già sembrare risuonare in quelle che stiamo ascoltando ora. La musica non è solo una serie di note discrete. La sperimentiamo come qualcosa di intrinsecamente duraturo.
Per misurare qualcosa, come volume, lunghezza, pressione, peso, velocità o temperatura, dobbiamo stabilire l'unità di misura in termini di uno standard. Ad esempio, un tempo il metro standard era stabilito essere la lunghezza di una particolare barra di platino lunga 100 centimetri conservata a Parigi. Ora è definito da un orologio atomico che misura la lunghezza di un percorso di luce nel vuoto in un intervallo di tempo estremamente breve. In entrambi i casi, il metro standard è una misura di lunghezza che ha essa stessa una lunghezza. L'unità standard esemplifica la proprietà che misura.
Bergson insisteva sul fatto che la durata vera e propria non può essere misurata. Per misurare qualcosa, come volume, lunghezza, pressione, peso, velocità o temperatura, dobbiamo stabilire l'unità di misura in termini di uno standard. Ad esempio, un tempo il metro standard era stabilito essere la lunghezza di una particolare barra di platino lunga 100 centimetri conservata a Parigi. Ora è definito da un orologio atomico che misura la lunghezza di un percorso di luce nel vuoto in un intervallo di tempo estremamente breve. In entrambi i casi, il metro standard è una misura di lunghezza che ha essa stessa una lunghezza. L'unità standard esemplifica la proprietà che misura.
In Tempo e libero arbitrio , Bergson sosteneva che questa procedura non avrebbe funzionato per la durata. Affinché la durata possa essere misurata da un orologio, l'orologio stesso deve avere una durata. Deve esemplificare la proprietà che dovrebbe misurare. Per esaminare le misurazioni coinvolte nel tempo dell'orologio, Bergson considera un pendolo oscillante, che si muove avanti e indietro. In ogni momento, il pendolo occupa una posizione diversa nello spazio, come i punti su una linea o le lancette in movimento sul quadrante di un orologio. Nel caso di un orologio, lo stato attuale, l'ora attuale, è ciò che chiamiamo "adesso". Ogni "adesso" successivo dell'orologio non contiene nulla del passato perché ogni momento, ogni unità, è separata e distinta. Ma non è così che sperimentiamo il tempo. Invece, teniamo insieme questi momenti separati nella nostra memoria. Li unifichiamo. Un orologio fisico misura una successione di momenti, ma solo l'esperienza della durata ci consente di riconoscere questi momenti apparentemente separati come una successione. Gli orologi non misurano il tempo; lo facciamo noi. Ecco perché Bergson credeva che il tempo dell'orologio presupponesse il tempo vissuto.
Bergson si rese conto che abbiamo bisogno dell'esattezza del tempo dell'orologio per le scienze naturali. Ad esempio, per misurare il percorso che un oggetto in movimento segue nello spazio in un intervallo di tempo specifico, dobbiamo essere in grado di misurare il tempo con precisione. Ciò a cui si opponeva era la sostituzione surrettizia del tempo dell'orologio con la durata nella nostra metafisica del tempo. Il suo punto cruciale in Tempo e libero arbitrio era che la misurazione presuppone la durata, ma la durata in ultima analisi sfugge alla misurazione.
Einstein aveva una diversa comprensione del tempo. Nel suo articolo 'On the Electrodynamics of Moving Bodies' (1905), sosteneva di aver definito il tempo interamente in termini oggettivi. Utilizzando 'certi esperimenti fisici immaginari' come procedure o test oggettivi, diede definizioni per i concetti di 'tempo', 'sincrono' e 'simultaneo'. Egli scrive:
"Dobbiamo tenere conto che tutti i nostri giudizi in cui il tempo gioca un ruolo sono sempre giudizi di eventi simultanei . Se, per esempio, dico: "Quel treno arriva qui alle 7 ", intendo qualcosa del tipo: "Il fatto che la lancetta piccola del mio orologio punti sulle 7 e l'arrivo del treno sono eventi simultanei".
Le definizioni basate su tali "esperimenti fisici immaginari" avrebbero continuato a supportare le idee di Einstein sulla relatività. Per Einstein, il "tempo" di un evento è "ciò che è dato simultaneamente all'evento da un orologio stazionario situato nel luogo dell'evento, questo orologio essendo sincrono, e in effetti sincrono per tutte le determinazioni di tempo, con un orologio stazionario specificato". Questa definizione usa la simultaneità tra un evento locale e un orologio locale per definire il tempo dell'evento. Ma ciò che conta come cosiddetta simultaneità locale dipende dall'esperienza diretta di qualcuno che percepisce sia l'evento che l'orologio insieme in un "adesso" soggettivo. Come sostenne Bergson nel dibattito del 1922, la simultaneità locale è sempre qualcosa che viene percepito da esseri coscienti. Gli orologi non si leggono da soli. Inoltre, la simultaneità locale è relativa al percettore: ciò che è localmente simultaneo per un microbo intelligente con un orologio delle dimensioni di un microbo, per usare l'esempio di Bergson, differisce da ciò che è localmente simultaneo per un percettore umano con un orologio. Ciò significa che le definizioni di Einstein non sono completamente oggettive: si basano sull'esperienza soggettiva del tempo del percettore per la loro significatività, non solo su procedure o test oggettivi. Solo un osservatore cosciente può stabilire la simultaneità tra un evento e un orologio. Per leggere un orologio, devi già sapere che ore sono , e questo è qualcosa che nessun orologio può dirti.
Il vero errore di Einstein fu quello di non omettere la durata dalla teoria della relatività speciale
Bergson accettò che, affinché i fisici potessero misurare momenti esatti (vale a dire, identificare con precisione il tempo di un evento), dovevano semplificare l'esperienza continua del tempo e astrarre dal concetto di durata. Non si oppose a questo genere di astrazioni. Ciò a cui si oppose fu la sostituzione surrettizia dell'istante (un intervallo temporale infinitesimale il cui passaggio è istantaneo) alla durata nella metafisica del tempo. Si opponeva al modo in cui Einstein aveva dimenticato che il concetto di istante ha senso solo come semplificazione astratta della nostra esperienza concreta della durata. Bergson voleva che Einstein vedesse che il concetto intuitivo o esperienziale di simultaneità, che si basa sulla nostra esperienza vissuta della durata, giaceva sepolto nella definizione a sostegno della teoria della relatività. Stava richiamando l'attenzione su un'amnesia dell'esperienza nella fisica matematica.
Queste obiezioni ebbero scarso impatto su Einstein, sia nel 1922 che negli anni successivi. Per il fisico, la prova finale era semplicemente se la sua teoria funzionava. Comprendere l'esperienza vissuta del tempo non lo avrebbe aiutato nella sua teoria, motivo per cui riteneva la durata irrilevante, e non c'è niente di sbagliato in questo. Il suo vero errore non fu quello di omettere la durata dalla teoria della relatività speciale. Piuttosto, era sua opinione che il tempo fisico, definito attraverso le misurazioni degli orologi, fosse più fondamentale del tempo vissuto.
A questo punto potresti obiettare: la durata non è solo qualcosa che accade dentro le nostre teste? La nostra esperienza del tempo che passa non è forse un'illusione cognitiva che nasce da un'attività misurabile nel nostro cervello? Ad esempio, se due luci vengono giudicate simultanee o sequenziali, o come una singola luce in movimento, dipende non solo dalla quantità di tempo tra di esse, ma anche da come si relazionano all'attività cerebrale del percettore. Allora perché non possiamo dire che la nostra esperienza della durata è solo il risultato del nostro cervello che leviga dettagli fini e granulari in modo che il tempo sembri scorrere?
Questo ci porta alla confutazione finale di Einstein della sera del 1922: "Non esiste un tempo del filosofo; esiste solo un tempo psicologico diverso dal tempo del fisico". Ciò che intendeva con "tempo psicologico" era che la nostra esperienza interna del tempo poteva essere allineata con il tempo dell'orologio esterno e che ciò avrebbe potuto consentire agli esperti di descrivere in modo significativo le nostre percezioni. Questa idea di un tempo psicologico, tuttavia, non affronta la questione filosofica più fondamentale sollevata da Bergson: la durata non è la stessa cosa del tempo psicologico.
La misurazione del tempo, sia in fisica che in psicologia, è sempre a valle dell'esperienza vissuta della durata
Quando i neuroscienziati studiano la percezione del tempo, applicano il tempo dell'orologio ai correlati neurali, alle indicazioni comportamentali e ai resoconti verbali del tempo vissuto. Ciò consente loro di apprendere informazioni preziose su come il cervello umano analizza il tempo. Consente inoltre loro di produrre descrizioni in terza persona che collegano la coscienza al cervello come sistema fisico. Ma queste descrizioni in terza persona non sono sufficienti a spiegare l' esperienza in prima persona della durata. Rimane un divario inspiegato tra cervello e coscienza.
La durata ci aiuta a dare un senso a questa lacuna. Per produrre le loro descrizioni, i neuroscienziati si affidano alla loro esperienza in prima persona del tempo. Lo fanno ogni volta che leggono gli orologi e misurano gli intervalli di tempo in laboratorio; ogni volta che applicano il tempo dell'orologio a processi biologici e comportamentali osservabili; e ogni volta che deducono aspetti della durata che possono estrarre e stabilizzare come oggetti di pensiero e attenzione. In effetti, tutto il loro lavoro si svolge all'interno del tempo vissuto. Tuttavia, non possono mai uscire da questa esperienza e spiegarla in modo esaustivo. La durata viene opportunamente ignorata. Per queste ragioni, è sbagliato pensare che l'idea di durata di Bergson possa essere assimilata all'idea di tempo psicologico nel senso che intendeva Einstein. La misurazione del tempo dell'orologio, sia in fisica che in psicologia, è sempre a valle dell'esperienza vissuta della durata.
Einstein non capì questo punto. Bergson pensava che un'attenta analisi filosofica della teoria della relatività avrebbe dimostrato che l'intelligibilità del tempo misurabile dell'orologio era inestricabile dal tempo vissuto: questo era il compito che si era prefissato in Duration and Simultaneity . Sfortunatamente, il suo messaggio si perse nel dibattito a causa di un errore commesso nel suo trattamento della relatività speciale. Questo errore è il motivo per cui così tanti credevano che Einstein avesse "vinto" il loro dibattito. È parte del motivo per cui le teorie di Bergson "appassirono sulla vite" per tutto il XX secolo.
Il nocciolo dell'incomprensione di Bergson risiedeva nella sua lotta per conciliare le sue visioni filosofiche con le realtà empiriche della teoria di Einstein. In Tempo e libero arbitrio , Bergson aveva sostenuto che esiste un tempo universale di durata a cui partecipa tutta la coscienza. Confrontato con le idee di Einstein, cercò di conciliare la sua convinzione in una durata singolare e universale con i tempi plurali della teoria della relatività speciale. Il modo in cui lo fece fu sostenere che la pluralità di tempi dovesse essere considerata strettamente matematica piuttosto che fisicamente reale.
Bergson si è concentrato sul fenomeno della dilatazione del tempo. La dilatazione del tempo è la differenza nel tempo trascorso misurato da due orologi a causa delle loro velocità relative. L'orologio più veloce è quello a riposo e quello più lento è in movimento. Ma non esiste uno stato assoluto di riposo nella teoria della relatività. Ogni osservatore può considerare se stesso come a riposo mentre considera gli altri (ad esempio, altri sistemi di riferimento) come in movimento. Ecco perché la dilatazione del tempo influenza sempre l'orologio dell'"altro" osservatore considerato in movimento rispetto a quello considerato a riposo.
Bergson ragionò che, poiché non esiste un sistema di riferimento assoluto nella teoria della relatività speciale (e i sistemi di riferimento non subiscono accelerazione), le situazioni degli osservatori sono simmetriche e intercambiabili, e quindi la pluralità di tempi dovrebbe essere considerata solo matematica, e non fisicamente reale. E se i molti tempi fossero considerati strettamente matematici, allora potrebbero essere resi coerenti con l'unico tempo reale di durata. È qui che Bergson si è smarrito.
La dilatazione del tempo esiste solo in relazione ad un altro sistema di riferimento e può essere vista solo dall'esterno
Si è concentrato sul cosiddetto paradosso dei gemelli , in cui un gemello rimane sulla Terra mentre il fratello viaggia nello spazio su un razzo a una velocità prossima a quella della luce e poi torna sulla Terra alla stessa velocità. Secondo la teoria della relatività speciale, quando confrontano i loro orologi (che erano costruiti e sincronizzati in modo identico all'inizio del viaggio), è trascorso più tempo per il gemello rimasto sulla Terra e sembra essere invecchiato più del fratello. Bergson ha respinto questa idea. Ha sostenuto che, finché le situazioni dei gemelli erano rigorosamente identiche e non c'era accelerazione, l'orologio di ritorno non avrebbe mostrato alcun rallentamento al suo arrivo sulla Terra. A suo avviso, i tempi dell'orologio non erano fisicamente reali. Erano solo astrazioni matematiche. Ma Bergson si è dimostrato in errore. La dilatazione del tempo, prevista dalla relatività speciale, è stata confermata sperimentalmente come fenomeno fisico nel 1971.
Bergson aveva sostenuto due cose, una errata e l'altra corretta. Era un errore affermare che la dilatazione del tempo non è fisicamente reale, ma aveva ragione nell'affermare che nessuno sperimenta la dilatazione del tempo del proprio sistema di riferimento. La dilatazione del tempo esiste solo relativamente a un altro sistema di riferimento e può essere vista solo dall'esterno. Ciò significa che la dilatazione del tempo non è una misura del tempo di nessuno all'interno del proprio sistema di riferimento. Un sistema di riferimento è un'astrazione, non un dominio concreto dell'esperienza, e può essere specificato solo relativamente a un altro sistema di riferimento. E quindi, Bergson aveva ragione nell'affermare che ogni gemello sperimenta solo il proprio tempo. Questo punto, tuttavia, come molti altri, è stato ignorato o trascurato da Einstein.
Bergson ha insistito sul fatto che il gemello in viaggio non avrebbe sentito il rallentamento del tempo. Per notare la dilatazione del tempo, avrebbe dovuto stare fuori dal suo sistema di riferimento e confrontare le letture dell'orologio con il gemello rimasto sulla Terra. Senza questo confronto, la dilatazione non sarebbe stata notata perché non avrebbe sentito il rallentamento del tempo. Qualcuno potrebbe sostenere che Bergson ha trascurato la dipendenza dell'esperienza dall'attività cerebrale, che rallenta anche nel gemello in viaggio, il che significa che il flusso di coscienza del viaggiatore sarebbe trascorso più lentamente rispetto a quello del fratello. Tuttavia, questo rallentamento non sarebbe stato notato dal viaggiatore. La velocità di passaggio più lenta esiste, o è ciò che è, solo rispetto all'altro sistema di riferimento sulla Terra. Quindi non ha senso dire che il gemello in viaggio sperimenta un tempo diverso da quello del suo gemello. Entrambi sperimentano la durata, sebbene le loro esperienze individuali di durata siano particolari per loro. Nelle parole di Bergson, un gemello che sperimenta un tempo diverso è un "fantasma", una "visione mentale" o un'"immagine", che appare alla prospettiva del gemello sulla Terra.
Bergson pensava che se una misurazione del tempo perdeva la sua connessione con la durata, non era realmente una misurazione del tempo. E questo è ciò che credeva fosse accaduto ai diversi tempi della relatività speciale. Per Bergson, non c'era durata nella concezione di dilatazione del tempo di Einstein. La dilatazione del tempo si manifesta solo come una differenza tra le letture dell'orologio o una differenza tra le linee del mondo (i percorsi unici degli oggetti attraverso lo spaziotempo) calcolate da un fisico. Ma nessuno sperimenta una diversa velocità di passaggio. Tale differenza non può essere sperimentata direttamente perché non appena ti trasponi mentalmente nel sistema di riferimento in cui si verifica la dilatazione del tempo, la dilatazione del tempo scompare e riappare nel tuo sistema di riferimento originale. Qui, Bergson aveva ragione.
Nel secolo trascorso dal 1922, la distanza concettuale tra il fisico tedesco e il filosofo francese sembra essersi ridotta. Si scopre che esiste un modo per conciliare le idee di Bergson con la teoria della relatività speciale, anche se nessuno dei partecipanti al dibattito sembra averlo notato. Come ha suggerito il filosofo Steven Savitt , la durata può essere intesa come il passaggio del tempo locale o "proprio", il tempo misurato da un orologio che segue la linea di universo di un oggetto all'interno di un sistema di riferimento (ad esempio, seguendo un gemello che lascia la Terra alla velocità della luce). In altre parole, il tempo proprio può essere inteso come tempo di orologio misurabile basato sulla durata propria di un osservatore all'interno di un sistema di riferimento.
Ma questa riconciliazione implica che la durata è molteplice, non una, cosa che Bergson voleva evitare perché credeva che la durata fosse singolare e universale. Secondo questa riconciliazione, il passaggio del tempo è sempre dato da una prospettiva sperimentata nell'Universo e mai dall'esterno. La durata è molteplice perché non c'è un limite superiore al numero di possibili prospettive e linee di mondo associate. Ogni persona, ogni insetto, ogni roccia, ogni cosa , ha la sua linea di mondo. E ciascuna di queste linee di mondo riflette un passaggio unico attraverso il tempo e una possibile esperienza di durata. Meglio ancora, ogni linea di mondo rappresenta la distillazione di un flusso di durata unico, poiché una linea di mondo è un'astrazione matematica, mentre il passaggio (l'esperienza del tempo che passa) è concreto. L'Universo pullula di tempi e potenziali ritmi di durata. Ciò significa che non esiste una vista a volo d'uccello temporale dell'Universo che voli sopra e contempli tutti questi tempi come uno.
I tempi misurabili e i ritmi durazionali possono differire, ma l'esperienza del tempo che passa è in definitiva incommensurabile.
Attraverso questi tempi brulicanti e ritmi durazionali, possiamo vedere come la cosiddetta teoria dell'universo a blocchi , che si è pensato derivasse dalla teoria della relatività, vada fuori strada. Secondo questa teoria, il passaggio del tempo è un'illusione perché il passato, il presente e il futuro costituiscono tutti un singolo blocco nello spaziotempo quadridimensionale. Ma è impossibile concepire la realtà contemporanea di tutti gli eventi in un tale universo a blocchi senza adottare una prospettiva a volo d'uccello (o a volo di Dio) esterna all'Universo e al passaggio della natura. Riconciliare Bergson ed Einstein ci mostra che non può esserci una tale visione temporale a volo d'uccello dell'Universo. Non c'è modo di vedere al di fuori e al di sopra dei percorsi disparati attraverso lo spaziotempo e dei diversi ritmi di durata.
E tuttavia, nonostante questi tempi proliferanti, c'è un senso in cui la durata è anche singolare e universale, come pensava Bergson. Il tempo misurato presuppone sempre lo stesso ineliminabile fatto concreto della durata o del passaggio temporale. I tempi misurabili e i ritmi durazionali possono differire, ma l'esperienza del tempo che passa è in ultima analisi incommensurabile e resiste alla spiegazione in termini di qualsiasi altra cosa. Come sosteneva il matematico e filosofo Alfred North Whitehead più o meno nello stesso periodo di Bergson, possiamo individuare la caratteristica del passaggio della natura e descrivere la sua relazione con altre caratteristiche della natura, ma non possiamo spiegarla derivandola da qualcos'altro, come le unità temporali di un orologio. Quando misuriamo secondi, ore o altri intervalli temporali, misuriamo il tempo trascorso, che dipende dall'esperienza della durata. Ma, come sappiamo, la durata non può essere pienamente compresa misurando questi intervalli.
Poiché il tempo dell'orologio presuppone l'esperienza della durata, affermare che la durata e l'"adesso" sono un'illusione, come fece Einstein, elimina il terreno su cui deve poggiare la scienza. Indagare su quel terreno e acquisire intuizioni cognitive in esso sono il compito della filosofia, che trascende la scienza. C'è un tempo del fisico e un tempo dello psicologo. Ma c'è anche un tempo del filosofo, che sta al di sotto di entrambi e che Einstein non riuscì a cogliere.
Il dibattito iniziato la sera del 6 aprile 1922 e che si è esteso per tutto il XX secolo rappresenta un'occasione mancata per spostare la nostra visione scientifica del mondo oltre il suo punto cieco , ovvero la sua incapacità di vedere che l'esperienza vissuta è la fonte permanente e necessaria della scienza, comprese le teorie astratte nella fisica matematica. A posteriori, possiamo vedere che il dibattito è stato uno sfortunato malinteso. Le idee di Bergson ed Einstein sono più allineate di quanto entrambi abbiano realizzato durante le loro vite. Combinando le loro intuizioni, acquisiamo una comprensione di qualcosa di fondamentale. Tutte le cose, noi compresi, incarnano durate diverse mentre si muovono attraverso l'Universo. Non esiste un tempo unico. Attraverso i suoi tentativi di mostrare a Einstein un mondo nascosto di durata che passa sotto la relatività speciale, Bergson continua a ricordarci qualcosa di dimenticato nella nostra visione scientifica del mondo:
l'esperienza è la fonte ineliminabile della fisica.
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" Io credo aver trovato il senso della vita generale. L'individuo non può esser felice per se stesso, perché in fondo a tutto ciò è la morte. Il segreto dunque della felicità anche per l'individuo mortale è di sentirsi immortale, di sentirsi cioè vivere dentro gli altri, dentro l'umanità, dentro l'Essere universale. La morte dunque non m'importa: ripugna a tutta la compagine che forma il mio essere, ripugna alla vaga coscienza che hanno tutte le mie molecole, tutte le unità elementari che formano di me una colonia; esse anzi mi faranno sentire tutta la loro forza coesiva al momento dell'atto: ma non ripugna alla mia coscienza superiore. Vivere è per me troppo doloroso: ogni sofferenza altrui si ripercuote ora in me con troppa violenza. Io potrei essere il più sfortunato dei miei simili e non soffrirei un millesimo di quello che soffro ora, che mi sento penetrato, inebriato da tutta la sofferenza degli uomini. Fuggire l'agglomeramento, la città, il contatto dei miei simili e rifugiarmi nei campi, isolarmi in mezzo alla natura sana e serena? Ma ora anche le lande, ove gli eremiti si seppellivano, sono proprietà d'alcuno e in nessuna parte tace l'eco della miseria… D'altronde è troppo tardi. "
Giovanni Cena, Gli ammonitori, a cura di Folco Portinari, Einaudi (collana Centopagine n° 43, Collezione di narratori diretta da Italo Calvino), 1976¹; pp. 186-187.
NOTA: l'unico romanzo del poeta di Montanaro Canavese fu pubblicato per la prima volta nell'estate del 1903 sulla prestigiosa rivista «Nuova Antologia», della quale Cena era redattore capo.
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THIS LAND IS MINE
@sirkaj ha detto:
Non so se posso riuscire a portare argomentazioni diverse ma ho visto molti video su YouTube e studiato diverse mappe. Non è un genocidio, secondo me, ma un conflitto fra popoli che si odiano. Le risposte ai post non possono essere lunghe. Invito ad aprire YouTube e dare un occhiata ai molti reportage che danno una immagine più precisa, anche se sempre asettica, insapore e inodore. Certo il governo attuale di Israele non è il mio ideale, ma è stato eletto e di elezioni ne hanno avuto diverse negli ultimi anni. È un paese con dinamiche di popolazione complesse ma resta un paese democratico. Come lo è il nostro, anche se il governo attuale non mi piace, o l'Ungheria, che sceglie Orban perché non c'è una opposizione. È vendetta? Invito a vedere le immagini. L'orrore è che parliamo di uomini, donne, bambini, che non hanno scampo. Israele ed Egitto non li vogliono, e il mare è bloccato. E lo era prima del sette ottobre. Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere», sentenziava Ludwig Wittgenstein. E questo mi hanno insegnato da ragazzo. Sono posti lontani...orrori lontani. Dal nostro paese abbiamo mandato una nave ospedale che non ha modo di operare. Tutto inutile. Cerchiamo di fare bene a chi è il nostro prossimo e chissà... Magari è un onda, altrimenti solo ipocrisia.
Perdonami ma qua non dobbiamo valutare se Israele sia uno stato democratico o meno (se vogliamo toglierci subito di torno la reductio ad Hitlerum, anche la Germania nazista tecnicamente lo era, con un parlamento e un cancelliere eletto dal popolo)...
La democrazia è un qualcosa che riguarda i cittadini, mentre noi stiamo discutendo di scelte politiche nei confronti di una minoranza.
Perché Pisani e Livornesi si odiano, da centinaia d'anni, ma possono farlo in modo libero e paritario... Ebrei e Arabi si odiano da migliaia di anni ma ora assistiamo a una contrapposizione sproporzionata tra uno stato armato dalla più grande potenza bellica mondiale e due milioni di poveracci senza cibo, acqua e medicine intrappolati in una striscia di terra larga come Milano e provincia.
Poi, sinceramente, non ho capito se tu concordi o meno oppure il tuo sia solo un flusso di coscienza pieno di dubbi.
Il fatto che siano posti e orrori lontani vale anche per le decine di conflitti MOLTO più sanguinosi, di cui infatti si parla poco o nulla ma la questione è proprio quella: qua tutti non solo ne parlano ma partecipano attivamente al conflitto, anche solo impedendo - letteralmente - che sia promossa una qualsivoglia voce discordante con la narrazione comune.
O urli Bene! Bravo! Bis, Israele! oppure stupri e bruci vive le ebree nei kibbutz.
Una polarizzazione così enorme e univoca negli ultimi anni l'ho vista solo nel conflitto Russo-Ucraino, con la differenza che in quel caso ce la prendevamo con gli oppressori e non con gli oppressi.
Per concludere, vi prego di non continuare a massacrare Wittgenstein citando e ricitando quella sua affermazione senza mai aver letto il suo Tractatus logico-philosophicus... se tu lo avessi fatto avresti capito che il suo tacere si riferisce alle leggi della natura che sfuggono alla comprensione umana e che quindi non possono essere spiegate tramite il verbo logico filosofico, meramente descrittivo pur in modo attivo.
Io, per non far rigirare personaggi illustri nella tomba uso questo:
P.S.
La nave ospedale che abbiamo mandato è un'onda... anzi, uno tsunami. Di ipocrisia.
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Un Maestro zen vide uno scorpione annegare e decise di tirarlo fuori dall’acqua.
Quando lo fece, lo scorpione lo punse.
Per l’effetto del dolore, lasciò l’animale che di nuovo cadde nell’acqua in procinto di annegare.
Il Maestro tentò di tirarlo fuori nuovamente e l’animale lo punse ancora.
Un giovane discepolo che era lì gli si avvicinò e gli disse:
“Mi scusi maestro, ma perché continuate? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall’acqua vi punge? “.
Il Maestro rispose:
“La natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è di aiutare.”
Quindi, con l’aiuto di una foglia tirò fuori lo scorpione dell’acqua e gli salvò la vita, poi rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò:
“Non cambiare la tua natura: se qualcuno ti fa male, prendi solo delle precauzioni, poiché gli uomini sono quasi sempre ingrati del beneficio che gli stai facendo. Ma questo non è un motivo per smettere di fare del bene, di abbandonare l’amore che vive in te. Gli uni perseguono la felicità, gli altri la creano. Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione. Perché la tua coscienza è quello che sei, e la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. Quando la vita ti presenta mille ragioni per piangere, mostrale che hai mille ragioni per sorridere”.
Itsmyecho
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I draghi non sono creature mitiche, ma esseri antichi che un tempo vagavano per la Terra sia in forma fisica che energetica. Queste entità potenti e maestose sono intrecciate nel tessuto di innumerevoli culture e mitologie, riflettendo il loro profondo significato spirituale. I draghi esistevano in un'epoca in cui il velo tra il regno fisico e quello spirituale era più sottile, consentendo loro di manifestarsi più pienamente nel nostro mondo. Man mano che la coscienza dell’umanità cambiava e l’energia della Terra diventava più densa, i draghi si ritiravano in dimensioni più elevate, sebbene la loro presenza e influenza rimangano accessibili a coloro che sono in sintonia con la loro essenza spirituale.
I draghi possiedono immense proprietà spirituali, spesso simboleggiano forza, saggezza e trasformazione. Sono esseri elementali, che incarnano le forze primordiali della natura. In quanto guardiani dell'antica saggezza, i draghi custodiscono i segreti dell'universo e i misteri della creazione. In molte tradizioni spirituali, i draghi sono visti come protettori della conoscenza sacra e porte verso stati di coscienza più elevati. Rappresentano il potere di trascendere i limiti, innescare la trasformazione personale e sfruttare l'energia latente dentro di sé per la crescita spirituale.
Per coloro che risuonano con i draghi come animali totem, questa connessione riflette qualità come leadership, coraggio e una profonda conoscenza interiore. Un totem del drago suggerisce che l’individuo ha una forte energia trasformativa e un’innata capacità di affrontare le sfide della vita con resilienza e forza. Coloro che possiedono l'energia del drago spesso possiedono un'anima antica, che porta dentro di sé un profondo senso di scopo e autorità spirituale. Come totem, i draghi offrono una guida per abbracciare il proprio vero potere, proteggere il proprio percorso spirituale e raggiungere l'equilibrio tra il mondo fisico e quello spirituale.
I draghi fungono anche da potenti spiriti guardiani, spesso proteggendo non solo individui ma interi lignaggi o spazi sacri. Custodiscono i tesori, sia materiali che spirituali, assicurando che la conoscenza sacra rimanga nascosta finché non si è pronti a riceverla. I draghi sono i guardiani della saggezza, degli antichi misteri e del progetto divino della creazione. Assumono questo ruolo a causa della loro connessione con le forze elementali che sostengono la vita e della loro comprensione dell'ordine cosmico. Come guardiani, aiutano coloro che sono sotto la loro protezione ad affrontare le sfide spirituali, offrendo forza e intuizione durante i periodi di trasformazione e crescita.
Quando i draghi si propongono come spiriti guida o totem, spesso comunicano attraverso potenti simbolismi, come sogni ricorrenti, visioni di creature serpentine o sincronicità che coinvolgono fuoco o acqua. Coloro che sperimentano la presenza dell’energia del drago possono sentire un’intensa ondata di forza interiore o una chiamata ad abbracciare la trasformazione. I draghi vogliono che l’umanità si risvegli al suo vero potenziale, esortandoci a sfruttare il nostro potere interiore e a vivere in allineamento con le verità universali. La loro intenzione è guidarci verso la maestria spirituale, proteggendo la sacra fiamma della saggezza dentro ognuno di noi. Su una scala più ampia, i draghi svolgono un ruolo vitale nell’universo come protettori dell’equilibrio cosmico, mantenendo l’armonia tra creazione e distruzione e ricordandoci della nostra interconnessione con le forze della Natura e del Divino.
Condiviso da Milton Foster art by Razor Picz ***************************** Dragons are not mythical creatures, but ancient beings that once roamed the Earth in both physical and energetic form. These powerful and majestic entities are woven into the fabric of countless cultures and mythologies, reflecting their profound spiritual significance. Dragons existed at a time when the veil between the physical and spiritual realms was thinner, allowing them to manifest more fully in our world. As humanity's consciousness changed and the Earth's energy became denser, dragons retreated into higher dimensions, though their presence and influence remain accessible to those in tune with their spiritual essence.
Dragons possess immense spiritual properties, often symbolizing strength, wisdom, and transformation. They are elemental beings, embodying the primal forces of nature. As guardians of ancient wisdom, dragons guard the secrets of the universe and the mysteries of creation. In many spiritual traditions, dragons are seen as protectors of sacred knowledge and gateways to higher states of consciousness. They represent the power to transcend limitations, ignite personal transformation, and harness the latent energy within for spiritual growth.
For those who resonate with dragons as totems, this connection reflects qualities such as leadership, courage, and deep inner knowing. A dragon totem suggests that the individual has strong transformative energy and an innate ability to meet life’s challenges with resilience and strength. Those who possess dragon energy often possess an old soul, carrying within them a deep sense of purpose and spiritual authority. As totems, dragons offer guidance in embracing one’s true power, protecting one’s spiritual path, and achieving balance between the physical and spiritual worlds.
Dragons also serve as powerful guardian spirits, often protecting not just individuals but entire lineages or sacred spaces. They guard treasures, both material and spiritual, ensuring that sacred knowledge remains hidden until one is ready to receive it. Dragons are guardians of wisdom, ancient mysteries, and the divine design of creation. They take on this role because of their connection to the elemental forces that sustain life and their understanding of the cosmic order. As guardians, they help those under their care navigate spiritual challenges, offering strength and insight during times of transformation and growth.
When dragons act as spirit guides or totems, they often communicate through powerful symbolism, such as recurring dreams, visions of serpentine creatures, or synchronicities involving fire or water. Those who experience the presence of dragon energy may feel an intense surge of inner strength or a call to embrace transformation. Dragons want humanity to awaken to its true potential, urging us to harness our inner power and live in alignment with universal truths. Their intention is to guide us toward spiritual mastery, protecting the sacred flame of wisdom within each of us. On a larger scale, dragons play a vital role in the universe as protectors of cosmic balance, maintaining harmony between creation and destruction and reminding us of our interconnectedness with the forces of Nature and the Divine.
Shared by Milton Foster art by Razor Picz
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Dall’eco-ansia all’eco-razzismo
Di Marcello Veneziani
L’angoscia si esprime oggi in due modi: ego-ansia ed eco-ansia. Siamo angosciati per l’io e per il pianeta; di tutto quel che sta nel mezzo – persone, famiglie, società, nazioni, popoli, culture, religioni, civiltà, umanità – ci interessa sempre meno.
L’eco-ansia è la patologia dei nostri giorni, una specie di infiammazione ecologica. I malati più acuti sono i ragazzi, poi vengono i media e tutti gli altri; ma ne patiscono anche alcuni ministri. La nuova linea di discriminazione tra i buoni e i cattivi, gli insider e gli outsider, è quella: se ti affibbiano il marchio di negazionista ambientale sei fritto, come il pianeta; hai perso ogni rispetto, non puoi coprire alcun ruolo, devi solo nasconderti.
Ma cos’è l’eco-ansia? E’ un fenomeno non solo italiano ma occidentale, trae suggestioni dal movimento di Greta Thunberg, però non nasce dal nulla: alcune emergenze ambientali e climatiche toccano reali alterazioni dell’eco-sistema. Quanto però queste dipendano dai comportamenti umani è da verificare: alcune di più (per es. la plastica nei mari), altre assai meno (i mutamenti nell’ecosistema). E poco dipendono da singoli stati e singoli paesi, di modeste dimensioni, come il nostro. L’eco-ansia è divenuto improvvisamente ossessivo, monomaniacale, con un giacobinismo ideologico e un fanatismo patologico.
Ma la sua motivazione originaria, la salvaguardia della natura in pericolo, è sacrosanta. Ed è più coerente con una visione del mondo conservatrice e tradizionale, in cui è un bene primario la difesa, il rispetto e l’amore per la natura, a partire dalla natura umana. Il legame profondo tra l’uomo e la terra, le sue radici, il suo habitat, i suoi luoghi originari e identitari sorgono non a caso in una concezione della tradizione, nei suoi legami spirituali e biologici, naturali e culturali. A lungo questa visione della natura ha trovato come suoi avversari il capitalismo e il comunismo, il mercato globale e la pianificazione statale socialista, figli entrambi della rivoluzione industriale, e legati entrambi a una visione utilitarista, produttivista e antinaturale. Alla fine degli anni ottanta, in Processo all’Occidente, analizzai questo scontro tra la difesa della natura e i suoi nemici ideologici, sovietici e mercantilisti.
Poi con gli anni è avvenuto qualcosa: da una parte l’insensibilità verso i temi della natura in pericolo da parte di una “turbo-destra” liberista e ipermercatista, dall’altra la sostituzione di madre natura con la maternità surrogata dell’ambiente, termine più asettico che può valere per qualunque habitat, anche una fabbrica. Da lì nasce il ménage à trois fra eco-ansia, progressismo radical e capitalismo “eco-sostenibile”.
Il risultato che ne è derivato è questo ambientalismo allarmato, antinatura, ideologico e funzionale al nuovo capitalismo globale e allo sfruttamento del business ambientale. Al massimalismo ideologico e al suo profitto politico si unisce così l’eco-speculazione. La strategia pubblicitaria delle grandi aziende alimentari non vanta più le qualità dei prodotti ma il fatto che siano eco-sostenibili; vantano la loro buona coscienza ecologica oltre alla buona coscienza ideologica (gli spot con dosi obbligate di mondo verde, ma anche nero, gay e arcobaleno). Il pregio principale del prodotto è che non nuoce all’ambiente ed è ideologicamente conforme; non conta la qualità del cibo ma i rifiuti e gli effetti ideologici derivati. All’industria del food eco-sostenibile si è aggiunta la cosmesi e la moda eco-sostenibile; grandi marchi vendono vestiari, scarpe, creme eco-sostenibili. L’eco-sostenibile leggerezza dell’essere… Ma il core business dell’eco-ansia è nei farmaci, nella sanità e nelle cure psicanalitiche. Viene monetizzata l’ansia. Per non parlare della riconversione verde dell’industria e delle case, dei trasporti e dell’energia. Un business enorme sullo spavento diffuso e sulle nuove norme obbligate da adottare.
Sulla nuova pandemia chiamata eco-anxiety e sul suo target giovanile, ho scritto nel recente libro Scontenti. L’eco-ansia investe la salute mentale; vi si accompagna un disturbo psichico chiamato solastalgia, generato dal cambiamento eco-climatico. I sintomi e gli effetti dell’eco-ansia sono: attacchi di panico, traumi, depressione, disturbi da stress, abuso di sostanze, aggressività, ridotte capacità di autonomia e controllo, senso d’impotenza, fatalismo e paura, spinta al suicidio. E un grande senso di colpa ambientale. Il popolo degli eco-ansiosi reputa il futuro “spaventoso”.
Gli eco-ansiosi sono considerati malati virtuosi, i loro disturbi sono ritenuti lodevoli perché denotano sensibilità green. I colpevoli invece sono quegli adulti che hanno così malridotto il pianeta e non patiscono eco-ansia. L’umanità viene nuovamente divisa in buoni e cattivi, e dopo i no-vax, i no-war, ecco i no-eco: da una parte le vittime gli eco-ansiosi, dall’altra i negazionisti, gli eco-mostri, che minimizzano il problema da loro creato.
La follia ulteriore di questa drammaturgia ambientale è che non produce effetti concreti sull’ambiente: una volta esaltata la minoranza benemerita degli eco-attivisti e vituperata la minoranza maledetta degli eco-negazionisti, non viene fuori alcun risultato pratico in tema di degrado ambientale. Si è solo usata un’ennesima discriminazione ideologica per sostenere un nuovo, manicheo eco-razzismo da cui trarre profitto politico. Allo stesso tempo l’eco-ansia dirotta il mondo dalla realtà: l’incubo è il clima, concentriamoci sul riscaldamento globale, il resto è irrilevante o meno urgente. Non pensate più all’economia e alla politica, alla società reale e all’economia, alla famiglia e alle ingiustizie, alla disumanizzazione e alla fine della civiltà; è in ballo il pianeta da salvare. Tra l’io e il pianeta c’è di mezzo il vuoto; di quello spazio se ne occupa la governance globale. Voi pensate al clima, agli animali e ai ghiacciai, e al vostro io angosciato. Il mondo si va disumanizzando, ma il tema su cui concentrarsi è il clima. L’importante è salvare il pianeta; e se l’umanità è di ostacolo, salviamo il pianeta anche a prezzo dell’umanità.
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Mi permetto di riportare le parole di un antroposofo, Tiziano Bellucci, scritte pochi giorni prima della tragedia di Paderno- Dugnano.
APPELLO AL GENERE UMANO: TU CREDI CHE IL MALE NON POSSA IMPOSSESSARSI DI TE?
L’essere umano è un involucro che di solito contiene un’anima, ma può “svuotarsi” da essa e lasciare che altri “io” non umani possano penetrarvi e prendere il comando.
Questo “io” non umani hanno un morale diversa, la quale si basa sulla distruzione dell’esistenza.
Non sono entità extraterrestri, ma forze che sono sempre esiste sulla terra e sempre hanno attentato all’uomo: ma soprattutto ora, con il propagarsi di reti virtuali ed elettromagnetiche, hanno il massimo accesso, la loro invasione è favorita ai massimi gradi.
“𝑄𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 ℎ𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑖𝑢𝑡𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙’𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑜𝑚𝑖𝑐𝑖𝑑𝑎 𝑒𝑟𝑜 “𝑓𝑢𝑜𝑟𝑖 𝑑𝑖 𝑚𝑒”, 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠‘𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜 𝑠𝑖 𝑒̀ 𝑖𝑚𝑝𝑜𝑠𝑠𝑒𝑠𝑠𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑚𝑖𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑐𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎”: così affermano coloro che vengono accusati come “assassini”.
Queste entità attaccano soprattutto i ragazzi, adolescenti, oppure gli adulti fortemente materialisti, informatizzati.
Il “progresso” tecnologico, sta sorpassando troppo i ritmi di comprensione umana; la scienza non è stata capace di stare al passo con la coscienza dell'uomo.
Non si è voluto rispettare le attuali capacità umane di “gestione” morale delle macchine e degli strumenti informatici.
Il risultato è che l’individuo viene “svuotato” dagli automatismi che gli vengono indotti dalla tecnologia.
Gli individui meno autonomi, quindi più immaturi sono maggiormente a rischio: ma sono molti quelli che si credono “protetti” o maturi, pur non essendolo.
Queste entità non umane approfittano delle occasioni di “vuoto” e prendono al volo la possibilità di “occupare” le coscienze umane.
Quale è il rimedio?
Primo: non credere di essere esenti da questa minaccia;
secondo: proteggere i più giovani evitando che diventino succubi della tecnologia;
terzo: limitare al massimo l’uso del virtuale, ritornando ad uno stile di vita più essenziale e naturale.
Piaccia o non piaccia, questa realtà esiste lo stesso, anche se non la si accetta, anche se non si è d’accordo. Anzi, coloro che non la riconoscono sono potenziali vittime di una imminente “occupazione”.
Quando avviene l’“egemonia” di una forza dentro di sé, è troppo tardi per tornare indietro.
So che queste parole possono sembrare fuori dal tempo e paradossali, ma esse sono la risposta a tutte le quelle manifestazioni delittuose e irragionevoli verso le quali non si riesce a dare una spiegazione razionale o sensata.
L’uomo è di natura un essere benevolo: può però divenire il veicolo di forze del male.
Il “sequestro si sè” non è solo una superstizione che appartiene al medioevo: coloro che ironizzano, e dicono “𝑖𝑙 𝑑𝑖𝑎𝑣𝑜𝑙𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒, 𝑜𝑐𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒 𝑎𝑛𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑎𝑣𝑎𝑛𝑡𝑖!” la risposta è: "𝒔𝒊 𝒅𝒆𝒗𝒆 𝒕𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒆 𝒊𝒏𝒅𝒊𝒆𝒕𝒓𝒐 𝒊𝒏𝒗𝒆𝒄𝒆, 𝒓𝒊𝒕𝒓𝒐𝒗𝒂𝒓𝒆 𝒒𝒖𝒆𝒍 𝒕𝒆𝒎𝒑𝒐 𝒊𝒏 𝒄𝒖𝒊 𝒔𝒊 𝒂𝒗𝒆𝒗𝒂 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒓𝒊𝒔𝒑𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒅𝒊 𝒔𝒆 𝒔𝒕𝒆𝒔𝒔𝒊 𝒆 𝒅𝒆𝒈𝒍𝒊 𝒂𝒍𝒕𝒓𝒊. 𝑬 𝒔𝒊 𝒔𝒂𝒑𝒆𝒗𝒂 𝒄𝒉𝒆 𝒊𝒍 𝒎𝒂𝒍𝒆 𝒆̀ 𝒖𝒏’𝒆𝒏𝒕𝒊𝒕𝒂̀ 𝒓𝒆𝒂𝒍𝒆”
Non possiamo rimanere indifferenti a questo pericolo.
Tiziano Bellucci
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Meloni ha successo perché mente spudoratamente ed è notorio che le masse hanno una propensione ad essere prese in giro. Aveva sbandierato la sua determinazione ad eliminare le accise sulla benzina e non lo ha fatto, ma per rendersi ancora più credibile, ha persino registrato un video nel quale ha affermato che questa promessa risaliva al 2019 e, resasi conto della impossibilità a mantenerla, non ne aveva fatto cenno nel programma elettorale nelle ultime elezioni. Sapendo che nessuno sarebbe andato a leggersi il programma elettorale del suo partito, ha mentito con sicumera, e poco importa se nel programma del suo partito aveva detto esattamente ciò che ora nega: “Sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”. La strage di Cutro in cui hanno perso la vita 60 persone è stata la diretta conseguenza del sistema di monitoraggio e respingimento voluto dalla sua fazione politica, e quando la tragedia si è materializzata proprio perché sono state applicate le norme e le procedure volute dalla destra, ha mentito teatralizzando la sua estraneità al naufragio e accusando di falsa coscienza chi osava addebitarle la responsabilità di quelle morti. Nel programma elettorale aveva chiesto agli elettori il consenso alla elezione diretta del Presidente della Repubblica e ora nega di aver chiesto agli elettori di votarla sulla base di questa promessa, e ha invece presentato una proposta di modifica della Costituzione che prevede l’elezione diretta non certo del Presidente della Repubblica, ma del Presidente del Consiglio. Un simile stravolgimento della Costituzione, in abbinamento allo scellerato progetto di Autonomia Differenziata, determinerebbe la fine della Repubblica e l’inizio di una dittatura come quella di Putin o di Erdogan. Sperare che gli italiani si accorgano della vera natura di costei, sperare che siano in grado di comprendere il livello di mistificazione, è una speranza vana, tanto più che una consistente parte di italiani, questo piano di falsità lo condivide e lo approva. Il dissenso, quando si è in torto, si gestisce solo con la menzogna, e con Meloni la menzogna è sistema e l’arroganza stagna nella cecità autoreferenziale. Non resta che auspicare un referendum oppositivo dopo che la riforma costituzionale avrà ottenuto l’approvazione parlamentare da una maggioranza semplice, dove semplice non è da intendere solamente in riferimento al quorum dei votanti, quanto piuttosto nel senso di miserabile. Democrazia Atea, Facebook
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🔥 EQUANIMITÀ
1. Pace interiore e centratura.
2. Aumento della consapevolezza.
3. Distacco dal giudizio.
4. Riduzione della reattività.
5. Compassione autentica.
6. Accettazione e abbandono dell’ego.
7. Vivere nel presente.
8. Liberazione dalla sofferenza emotiva.
9. Apertura alla saggezza.
10. Minor attaccamento materiale.
11. Allineamento con la propria essenza spirituale.
12. Purificazione della mente e del cuore.
13. Coltivazione dell’umiltà e della sincerità spirituale.
14. Senso di unità e interconnessione.
15. Espansione della coscienza.
16. Sviluppo di una profonda gratitudine.
17. Riconoscimento della natura impermanente delle cose.
18. Avvicinamento alla liberazione spirituale.
19. Senso di leggerezza e gioia spirituale.
20. Capacità di affrontare la Morte con serenità.
- Osservati con amorevole distacco.
- Apriti all'esperienza attuale con accoglienza totale.
- Non giudicare, né giudicarti.
- Medita ogni giorno.
- Lascia andare.
- Sii grato.
- Ama.
CONTINUA TU. 🔥
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❤️ @animasulsentiero
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Siamo inclini a immaginare il nostro futuro come un’estensione del nostro passato. Ma non abbiamo alcuna garanzia che il nostro futuro somiglierà anche in minima parte al nostro passato. Ripensando alle trasformazioni importanti della mia vita, mi rendo conto che la natura del cambiamento nella coscienza sta nell'abbandonare un vecchio sistema di convinzioni e nel sostituirlo con uno nuovo è più vasto. Proprio quando pensi di sapere tutto, arriva la vita e ti dice: “Ecco, lascia che ti mostri un universo più grande!"
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