#mondiali 1970
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La partita del secolo!!!!
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Kobalt
Provocazione & cultura pop. Difficile definire l’arte di Kobalt e difficile definire Kobalt, creatore di musica elettronica, grafico pubblicitario, artista.
Nato a Parigi nel 1970 ha spaziato nei più vari ambiti artistici, collaborando anche, con la sua carriera da grafico, con l’iconica rivista Playboy. Nel 2010 una svolta decennale verso la fotografia, e poi un ritorno al suo primo amore, l’arte e l’illustrazione. Pioniere della creazione artistica assistita da computer, la sua arte viene venduta online e nelle maggiori gallerie mondiali.
Nelle sue opere ritroviamo riferimenti ad artisti contemporanei come Bansky e Shepard Farey, anche se quello che le contraddistingue è senza dubbio l’uso audace dell’umorismo. Così ci ritroviamo Wonder Woman e Cat Woman intente in un bacio appassionato, Batman seduto sulla tazza del water perché “Il mondo può aspettare”, Gesù Cristo ritratto sulla copertina di Vogue, i Simpson in una sfilata da red carpet.
Gioca con gli anacronismi, con le icone del mondo pop, con il consumismo, in una continua parodia: la fissazione per le grandi marche, la distorsione dei mass media, la celebrazione delle figure iconiche, tutto fa parte dell’immaginario spensierato e rivoluzionario di Kobalt, dove ogni regola viene sovvertita, sottoposta all’occhio del pubblico sorpreso. Il dialogo tra autore e spettatore è immediato, basato sul riconoscimento e l’interpretazione delle immagini.
Kobalt stesso è un essere mitico, che schiva i social, lavora sotto pseudonimo, non diffonde le sue foto private. Nonostante la ritrosia per esporre la sua persona al mondo digitale, ne usa ogni strumento possibile per dare vita alle sue creazioni e continuare ad espandere i confini dell’espressione artistica con una sottile miscela di ispirazione, innovazione e umorismo.
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La storia della Musica
Oggi è il 9 Ottobre ed in questo giorno, nel 1940, a Liverpool, nel Regno Unito, nasceva il musicista John Lennon. Fu cantautore, polistrumentista, paroliere, attore e regista. Fin dagli inizi fu uno dei più rappresentativi membri dei “Beatles”, scrivendo, in coppia con Paul McCartney, i maggiori successi del mitico gruppo. Ebbe un'infanzia travagliata, con la figura del padre praticamente assente fin da subito ed allontanato dalla madre, considerata irresponsabile, dall'età di 5 anni. La zia Mimi che se ne prese cura, accortasi del talento di John nel disegno, quando fu il momento, lo iscrisse al College Of Art di Liverpool, dove John si appassionò alla musica, imparando da autodidatta a suonare l'armonica ed a suonare la chitarra regalatagli dalla madre, la quale gli insegnò i primi accordi al banjo. A 16 anni formò las sua prima band ( I Quarrymen) e proprio durante un concerto con questo suo gruppo, conobbe Paul McCartney, che entrò a far parte del gruppo, e nel quale, dopo un po' entrò anche George Harrison. Nel gruppo entrò infine il bassista scozzese Stuart Sutcliffe, con il quale John Lennon decise un nuovo nome del gruppo, che passando per “Johnny and The Moondogs”, “Beatals”, “Silver Beetles” e “Silber Beatles” arrivò al definitivo “The Beatles”. Il gruppo, nel 1960, era inizialmente formato da John Lennon, Paul Mc Cartney, George Harrison, Stuart Sutcliffe e Pete Best per poi arrivare alla formazione definitiva nel 1962, con l'uscita di Best e Sutcliffe e l'ingresso di Ringo Starr alla batteria, che arrivò ai massimi successi mondiali del secolo scorso. Dopo la sua attività con i Beatles, conclusasi con lo scioglimento del gruppo, nel 1970, oltre che continuare l'attività musicale come leader, fu anche attivista politico e paladino del “pacifismo”, attività che gli causarono varie difficoltà e per le quali fu considerato un sovversivo (con relativi rifiuti di concessione della Green Card in diverse occasioni). John Lennon risulta il cantautore di maggior successo nella storia delle classifiche musicali britanniche ed un sondaggio della BBC del 2002 decretò Lennon all' 8° posto tra le 100 personalità più importanti di tutti i tempi del Regno Unito. Secondo la rivista “Rolling Stone” Lennon viene considerato al 5° posto nella lista dei 100 migliori cantanti e 55° nella lista dei 100 migliori chitarristi. Sia Julian (figlio ottenuto con la prima moglie Cynthia Powell) che Sean (avuto con il secondo matrimonio con l'artista Yoko Ono) hanno seguito la sua attività artistica. Fu ucciso con 4 colpi di pistola da un suo stesso fan, squilibrato, nel 1980, a New York.
Bruno Pollacci
Direttore dell'Accademia d'Arte di Pisa
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Misurare il tempo
Ieri è stato il 5 luglio, una data che ricorderò finché campo.
Il giorno di Italia- Brasile 3-2.
Mi fa strano pensare siano passati così tanti anni, ben 41. Una generazione, praticamente.
Penso che molti hanno visto l’Italia vincere i mondiali nel 2006 ma, hei… il 1982 era un’altra cosa e una Nazionale così non l’abbiamo più avuta e forse non l’avremo mai più. Parlo come mio padre che vide quella del 1970 e per lui quella era la Nazionale più forte mai avuta, anni in cui le formazioni le imparavi a memoria come una litania (Zoff, Gentile, Cabrini… oppure Albertosi, Burgnich, Facchetti). Datemi retta: nel 2006 la squadra azzurra era meno forte, quella dell’82 è leggenda.
Sono tanti però che non hanno visto neppure la corsa di Grosso, il rigore di Totti, la gomitata di De Rossi e il suo rigore in finale sotto l’incrocio, il rigore di Zidane e la sua testata a Materazzi e anche questo mi fa strano.
Penso che molti non hanno idea di cosa sia un floppy disk pur vedendo l’icona in alto usata come “salva file” in diversi programmi di video scrittura tipo Word del pacchetto Office, i CD non si vedono più ormai e i DVD sono rimasti in pochi, tipo quel giapponese che continuava a combattere perché nessuno gli aveva detto che la Guerra era finita.
Noi giocavamo a Subbuteo invece che alla PlayStation per riprodurre un campionato mondiale o un campionato nazionale. Ho ancora diverse nazionali chiuse in una scatola nel garage di mia madre, chissà se su Ebay qualcuno me le comprerebbe, non so neppure quanto valgono.
Ho il panno verde per il campo, le porte e le bandierine. Pure una terna arbitrale.
Chissà se a qualche ragazzino di oggi piacerebbe il Subbuteo.
Penso di sì. Dopotutto piace ancora Tom Cruise, c’è ancora Michael Keaton a fare Batman e Harrison Ford a fare Indiana Jones, per cui perché non dovrebbe piacere?
Forse dopotutto non è cambiato granché o forse il tempo non è passato così velocemente come pensavo.
#pensieri in solitudine#pensieri da wc#riflessioni#misuro il tempo con i mondiali#quanto tempo è passato?#mondiali di calcio#subbuteo
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Chrissie Hynde
https://www.unadonnalgiorno.it/chrissie-hynde/

Chrissie Hynde, cantante e musicista statunitense di stanza a Londra dagli anni settanta, ha tracciato una strada con il suo rock anomalo, melodico e avvolgente.Conosciuta soprattutto per essere la leader dei Pretenders, ha all’attivo quindici album, milioni di dischi venduti, hit mondiali e oltre quarant’anni dedicati alla musica senza mai scendere a compromessi.Una voce ruvida e diretta, ma anche melodica e jazzy, a suo agio tra le sferzate del rock come in atmosfere più pacate e sognanti.Nata ad Akron, in Ohio, il 7 settembre del 1951, ha iniziato a scrivere canzoni da piccola e comprato la sua prima chitarra a 14 anni.Nella fase hippy della sua adolescenza, frequentava la Kent State University’s Art School nel 1970, quando c’è stata la sparatoria in cui la polizia ha ucciso degli studenti che stavano manifestando, tra cui un suo amico.
A ventidue anni, nel 1973, si è trasferita a Londra, dove ha lavorato come giornalista per la rivista musicale New Musical Express e come commessa nel negozio di abbigliamento Sex di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren.
Decisa a rincorrere il sogno di fare musica ha girovagato tra Stati Uniti, Messico e Francia, sperimentando collaborazioni e fallimenti tra cui anche una breve incursione come chitarrista dei Clash, terminata dopo appena un tour.
Per problemi con l’ufficio immigrazione britannico, per ottenere i documenti ha provato a sposare prima Johnny Rotten dei Sex Pistols, poi Sid Vicious che si era offerto di aiutarla, ma quando si presentarono all’ufficio matrimoni trovarono chiuso per una festività prolungata. Il giorno successivo però lui aveva un’udienza processuale e non se ne fece più nulla
Era senza soldi, clandestina ma con un’enorme voglia di fare musica quando, nel 1978, ha incontrato Pete Farndon e, insieme, hanno fondato i Pretenders, di cui facevano parte anche James Honeyman-Scott e Martin Chambers. L’album di debutto del 1980 è stato un successo, così come il singolo reggae-rock Brass in Pocket.
Tre musicisti pieni di talento e un’eccellente frontwoman, la band ha tracciato un solco per la sua unicità e l’originalità con cui mescolavano stili e generi.
Ammaliante con la sua chitarra e la voce pazzesca, con la sua impertinenza, ha lasciato il segno e fatto tendenza. Personalità libera e trasgressiva, spavalda e temeraria, aveva e ha ancora, l’aspetto da dura che affascina e conquista il pubblico.
Con il secondo album, Pretenders II, la band è esplosa negli Stati Uniti e lei è diventata la ribelle preferita dalle giovani.
Nel 1982 l’armonia all’interno del gruppo si è sfaldata, ostaggio della droga, Pete Farndon è stato cacciato, il 16 giugno James Honeyman-Scott è stato trovato morto per collasso da stupefacenti e l’anno successivo è toccato a Pete, ucciso dall’eroina.
Nonostante l’enorme dolore, Chrissie Hynde, ha deciso di andare avanti con Martin Chambers, il chitarrista Robbie McIntosh e il bassista Malcolm Foster. L’esordio della “nuova” band è stato col disco Learning To Crawl, tra i migliori della loro intera discografia.
Nel 1985, dopo aver partecipato al Live Aid, c’è stata una battuta d’arresto dovuta proprio a lei che aveva scelto di occuparsi delle figlie e esplorare vari generi, in una carriera solista che si è alternata con quella del gruppo.
Ha collaborato con gli U2 e Bob Dylan, di cui, successivamente, ha inciso un album di cover, cantato reggae insieme agli UB40, pop, folk e jazz, sempre in maniera mirabile e con celebri duetti.
Sono stati anni di alti e bassi, fino al 1994, quando ha rimesso in piedi il gruppo che ha continuato a fare il botto, suonando con i Rolling Stones in giro per il mondo.
Divisa tra musica e attivismo, a canzoni e album, ha affiancato il suo impegno per il pianeta e i diritti degli animali, collezionando arresti e denunce. Testimonial per la PETA, People for the Ethical Treatment of Animals, aveva anche aperto un ristorante vegetariano nella sua città d’origine.
Chrissie Hynde, oggi, continua a produrre dischi e esibirsi, con la sua potente personalità, l’eclettismo che da sempre la caratterizza e le straordinarie capacità melodiche della sua voce, velata di nebbia e fumo, nostalgica e insieme contemporanea.
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Francesca Porcellato: una leggenda dello sport paralimpico italiano
Francesca Porcellato è una delle atlete più rappresentative dello sport paralimpico italiano. Nata il 5 settembre 1970 a Castelfranco Veneto, ha costruito una carriera straordinaria che l’ha portata a competere in ben tredici edizioni dei Giochi Paralimpici, sia estivi che invernali, collezionando quindici medaglie. Il suo talento poliedrico le ha permesso di eccellere in diverse discipline, dall’atletica leggera allo sci di fondo, fino al paraciclismo.

Un destino segnato dallo sport
Soprannominata “la rossa volante”, Francesca Porcellato ha affrontato la vita con determinazione fin dalla giovane età. A soli diciotto mesi, un tragico incidente l’ha resa paraplegica, ma questo non ha fermato il suo spirito combattivo. A diciassette anni ha scoperto l’atletica leggera, un momento che ha segnato l’inizio della sua incredibile carriera sportiva. “Quando mi hanno dato la prima carrozzina, l’unica cosa a cui ho pensato è stata quella di farla andare più veloce che potevo – ha raccontato -. Ce l’ho fatta”. Da quel momento, lo sport è diventato il fulcro della sua vita.
Dominio nell’atletica leggera
Il primo grande palcoscenico per Francesca Porcellato è stato quello dell’atletica leggera. Ha partecipato a sei edizioni consecutive dei Giochi Paralimpici estivi, da Seul 1988 a Pechino 2008, vincendo un totale di quattordici medaglie. Si è cimentata su distanze che vanno dai 100 metri alla maratona, trionfando in alcune delle competizioni più prestigiose come le maratone di New York, Londra, Boston e Parigi.
Oltre ai successi paralimpici, ha brillato anche nei campionati mondiali ed europei, conquistando numerosi titoli e consolidando la sua posizione tra le leggende dello sport paralimpico. La sua velocità e resistenza le hanno permesso di emergere in un panorama altamente competitivo, rendendola un punto di riferimento per molte atlete con disabilità.
La svolta nello sci di fondo
Dopo i Giochi Paralimpici di Atene 2004, Francesca Porcellato ha deciso di intraprendere una nuova sfida sportiva, dedicandosi allo sci di fondo paralimpico. Ha partecipato ai Giochi Paralimpici invernali di Torino 2006, Vancouver 2010 e Soči 2014, dimostrando ancora una volta la sua incredibile versatilità.
Il suo momento di gloria è arrivato nel 2010 a Vancouver, dove ha conquistato la medaglia d’oro nella gara di sprint, un risultato che ha ribadito il suo talento ineguagliabile nello sport. Anche in Coppa del Mondo ha ottenuto successi di rilievo, dimostrando di poter eccellere anche sulle piste innevate.
Il paraciclismo e nuovi trionfi
Dopo aver lasciato l’atletica e lo sci di fondo, Francesca Porcellato ha intrapreso una nuova avventura nello sport, dedicandosi al paraciclismo su handbike nella categoria H3. Il suo debutto ai campionati del mondo su strada nel 2015 a Nottwil è stato trionfale, con la conquista di due medaglie d’oro nella cronometro e nella gara in linea.
La sua carriera nel paraciclismo è proseguita con ottimi risultati ai Giochi Paralimpici di Rio 2016, dove ha ottenuto due medaglie di bronzo. Il successo più recente è arrivato ai Giochi di Tokyo 2020, dove ha conquistato una prestigiosa medaglia d’argento nella cronometro femminile H1-3. Questi risultati confermano la sua capacità di adattarsi e primeggiare in ogni disciplina sportiva intrapresa.
Un palmarès da leggenda
Il palmarès di Francesca Porcellato parla da solo. Con dieci medaglie paralimpiche nell’atletica leggera, una nello sci di fondo e tre nel paraciclismo, il suo contributo allo sport paralimpico italiano è inestimabile. Ha inoltre collezionato numerosi titoli mondiali ed europei, rendendola una delle atlete più decorate della storia dello sport paralimpico.
La sua determinazione e la sua capacità di reinventarsi continuamente rappresentano un esempio straordinario di resilienza e passione per lo sport. La sua storia ispira migliaia di atleti in tutto il mondo, dimostrando che con impegno e dedizione si possono superare qualsiasi ostacolo.
Il contributo allo sport paralimpico
Oltre ai successi ottenuti in gara, Francesca Porcellato ha contribuito alla crescita dello sport paralimpico in Italia e nel mondo. La sua carriera ha aiutato a sensibilizzare il pubblico sull’importanza dell’inclusione nello sport, ispirando nuove generazioni di atleti con disabilità.
Grazie alla sua esperienza, ha dimostrato come lo sport possa essere un potente strumento di riscatto e affermazione personale. La sua capacità di eccellere in discipline diverse testimonia il valore della perseveranza e della passione, messaggi che continuano a guidare il suo percorso dentro e fuori dalle competizioni.
Conclusione
Francesca Porcellato rappresenta un’icona dello sport paralimpico italiano. La sua incredibile carriera, segnata da successi in atletica, sci di fondo e paraciclismo, dimostra che i limiti possono essere superati con determinazione e passione. Il suo contributo allo sport non si limita alle medaglie vinte, ma si estende all’ispirazione che offre a chiunque sogni di raggiungere grandi traguardi.
Con tredici partecipazioni paralimpiche e quindici medaglie, Francesca Porcellato continua a scrivere la storia dello sport, dimostrando che la forza di volontà può abbattere qualsiasi barriera. La sua storia è un inno alla determinazione e alla capacità di reinventarsi, valori fondamentali nello sport e nella vita.
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Italia - Israele 0-0 Gigi Riva ai campionati mondiali Messico 1970 C'ero anch'io… https://casatepa.it/ 🇮🇹 Made in Italy dal 1952
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2 lug 2024 11:54
IL MONDO DEL CALCIO PIANGE COMUNARDO NICCOLAI – L’EX DIFENSORE DEL CAGLIARI SCUDETTATO AVEVA 77 ANNI – FATALE UN MALORE MENTRE ERA IN OSPEDALE A PISTOIA – PASSO’ ALLA STORIA PER GLI AUTOGOL ANCHE SE DI RETI SBAGLIATE COMUNARDO NE MISE A SEGNO SEI, DUE IN MENO DI RICCARDO FERRI. SOLO CHE LE SUE ERANO OPERE D’ARTE, MICA SVARIONI - NICCOLAI SE NE VA POCHI MESI DOPO GIGI RIVA. INSIEME VINSERO UNO STORICO SCUDETTO A CAGLIARI: “AVEVAMO FATTO ANCHE IL MILITARE INSIEME, ALLA CECCHIGNOLA DI ROMA. QUANTE NE ABBIAMO COMBINATE. GLI ANNI PIÙ BELLI DELLA NOSTRA VITA” -
Carlo Baroni per corriere.it - Estratti
È morto oggi, martedì 2 luglio, a Pistoia, Comunardo Niccolai, che vinse lo scudetto con il Cagliari nel 1970.
Ci sono nomi che non si dimenticano. Ricciotti, per esempio. O magari Comunardo. Se poi li trovi nella stessa squadra capisci che sei davanti a qualcosa di magico e irripetibile. Come era Comunardo Niccolai ( a proposito Ricciotti era Greatti, suo compagno nel Cagliari). Niccolai ha segnato il suo ultimo autogol. A tutti quelli che gli volevano bene. Uscendo dal campo della vita.
Aveva 77 anni. Molti spesi a spiegare perché facesse sempre gol nella porta sbagliata. La sua. Una nomea esagerata, come tutti i pregiudizi. Di reti sbagliate Comunardo ne mise a segno sei, due in meno, giusto per dire, di Riccardo Ferri. Solo che le sue erano opere d’arte, mica svarioni. Colpi di testa all’incrocio che neanche Zamora poteva parare.
Si perse la partita del secolo
Solo che Niccolai era molto di più. Un difensore coi fiocchi di quelli che le caviglie degli attaccanti non vorrebbero mai incontrare. Anche le sue erano fragili. Se le doveva fasciare sempre prima di giocare. L’unica volta che si dimenticò si fece male sul serio. Solo che scelse la partita sbagliata: Italia-Svezia, il debutto ai Mondiali del 1970. Entrò Rosato e lui non giocò più. Si perse la partita del secolo con la Germania e la finale contro Pelé. Un altro autogol dei suoi.
Niccolai e il Cagliari che vinse tutto
Toscano di Uzzano nel Pistoiese si fece largo a fatica nel mondo del pallone dove non sempre i migliori fanno strada. Sarà anche per questo che il calcio è la metafora della vita. Fatto sta che finì nella squadra più improbabile per alzare qualche trofeo. Invece quel Cagliari vinse tutto. Perché uno scudetto in Sardegna valeva almeno tre Champions vinte altrove. C’era tutto un sistema da dribblare, arbitri compresi. E non era qualunquismo.
Niccolai con la sua faccia di chi le ha viste tutte e non si stupisce di niente, con un riporto sulla testa che lo portava avanti negli anni, era un baluardo per quelli davanti. I Domenghini, i Gori e soprattutto i Riva.
Su di lui potevano contare. Di lì non si passava. Al limite era lui a decidere il quando e soprattutto il come prendere un gol. Una garanzia per gli attaccanti, un incubo per i portieri, anche se si chiamavano Ricky Albertosi. Ma anche in questo caso si sconfina con la leggenda, peggio con l’esagerazione. La difesa dei sardi era praticamente imperforabile. Nell’anno dello scudetto subirono solo undici reti. Un primato. La retroguardia un mix perfetto tra la classe di Cera e l’andare per le spicce di Martiradonna.
Dicono che Scopigno, l’allenatore del Cagliari, davanti a Niccolai con la maglia della Nazionale commentò: «Niccolai in mondovisione. Adesso le ho viste tutte». A dimostrare una sfiducia che di sicuro non esisteva. Scopigno amava le battute mordaci, poi la sostanza diceva altro.
(...)
Da dove arriva il nome Comunardo
Il nome Comunardo veniva dal padre, ex portiere del Livorno e convinto anti fascista, che voleva ispirarsi alla Comune di Parigi di fine Ottocento. Un idealista come suo figlio sul campo.
Fa pensare che l’addio alla vita di Niccolai sia avvenuto pochi mesi dopo quello di Gigi Riva (a gennaio, al Corriere, Comunardo ricordava Riva così: «Ci conoscevamo da sempre. Avevamo fatto anche il militare insieme, alla Cecchignola di Roma. Quante ne abbiamo combinate. Gli anni più belli della nostra vita»). Due, che in modo diverso, i gol li sapevano fare. E qualcosa vorrà pur dire. Grazie Comunardo che il calcio con quelli come te non sarà mai un gioco come gli altri.
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Mondiali di calcio 2026: la partita inaugurale si giocherà a Città del Messico, la finale a New York
AGI – Lo stadio Azteca di Citta’ del Messico ospitera’ la partita inaugurale della Coppa del Mondo 2026. Lo ha annunciato il presidente della Fifa Gianni Infantino. Il torneo allargato a 48 squadre sara’ ospitato da Messico, Stati Uniti e Canada. L’Azteca diventera’ il primo stadio a ospitare le partite della Coppa del Mondo in tre edizioni distinte dopo quelle del 1970 e del 1986. L’impianto ha…
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Gli altri sport: Arturo Merzario

Il pilota che salvò la vita a Niki Lauda… Arturo Merzario nacque l’11 marzo 1943 a Civenna, in provincia di Como, a 19 anni guidò a Monza una Giulietta Spider, ebbe la sua prima vittoria nel Rally di Sardegna. Nel 1964 si fece notare alla guida di una Fiat-Abarth 1000, e partecipò alla 500 Km del Nürburgring. Dopo varie vittorie e diversi piazzamenti interessanti nella classe Turismo Europeo, il comasco divenne pilota ufficiale della scuderia dello Scorpione, dove impressionò Enzo Ferrari, grazie alle vittorie al Mugello nella classe Sport Prototipi e a Imola nel’Europeo della Montagna. Poco tempo dopo Merzario fu ingaggiato per correre il Mondiale Marche 1970, dove partecipò con la Ferrari 512 a Daytona, Sebring, Brands Hatch e Monza. Nel 1971, con l’Abarth vinse a Vallelunga la Coppa in memoria dello scomparso Ignazio Giunti e un anno dopo ci fu la prima importante vittoria con la 312P alla 1000 Km di Spa con il pilota inglese Brian Redman e, con Sandro Munari, arrivò il trionfo alla Targa Florio. Grazie a queste vittorie Arturo fece il suo ingresso in Formula 1, sostituendo di Clay Regazzoni, fermo per un incidente capitato mentre giocava a calcio. Al debutto in Inghilterra Merzario partì nono ed arrivò sesto guadagnando il suo primo punto iridato. Nel 1973 divenne pilota titolare Ferrari in coppia di Jacky Ickx, ma per lui ci furono solo nove gare su 15 mondiali di cui due piazzamenti al quarto posto in Brasile e Sud Africa e, due ritiri a Monaco e Monza. Al contrario nel Mondiale Sport Merzario fu secondo alla 24 Ore di Le Mans e alla 1000 km Nürburgring in coppia con Carlos Pace alla guida di una Ferrari 312 PB. Purtroppo nel 1974 il rapporto con Enzo Ferrari si deteriorò e il pilota abbandonò la scuderia passando su una Iso-Ford della scuderia di Frank Williams. L’anno seguente la Iso diventa Williams, Arturo disputò 5 gare con altrettanti ritiri, ma nel mondiale Marche Sport aiutò l’Alfa Romeo a vincere il campionato. Sempre con la scuderia del Biscione vinse la 800 km di Digione la 1000 km di Monza, la 1000 km di Pergusa, la 1000 km del Nürburgring e la Targa Florio in coppia con Nino Vaccarella, oltre ai secondi posti ottenuti al Mugello in coppia con Ickx, in Austria con Vittorio Brambilla e al Glen americano con Mario Andretti. Nel 1976 ci fu l’evento che fece entrare Arturo Merzario nei cuori dei tifosi con il salvataggio eroico del Nürburgring di Niki Lauda, quando il pilota comasco fermò la sua auto rischiando la vita per soccorrere il collega intrappolato, come raccontò anni dopo “Ero appena uscito dai box e vedevo in lontananza, due o tre curve avanti, una rossa Ferrari. Ad un tratto la vettura volò in aria, trasformata in una palla di fuoco. Ai quei tempi c’era molto magnesio nella costruzione di una monoposto, materiale molto infiammabile. Figuriamoci cosa successe con la benzina nel serbatoio. Mi fermai. C’era gente impietrita. Corsi verso un albero dove era appoggiato un estintore. Lo presi e raggiunsi la zona dell’incendio. Cercai di spegnerlo, c’era anche molto fumo. Vicino a me si trovavano altri due piloti, Harald Ertl e Brett Langer, però non osavano avvicinarsi. Io mi curvai sull’abitacolo e cercai di aprire le cinture di sicurezza. Niki si agitava. Ma così facendo le tendeva e io non riuscivo manovrare la levetta per sganciarle. Poi Lauda svenne, il corpo divenne inerte e finalmente fui in grado di estrarlo. Sembrava un bambino. Lo sollevai come se fosse pesato dieci chili appena. Quindi arrivarono i soccorsi” Merzario nel 1977, con Vittorio Brambilla, portò l’Alfa Romeo nuovamente al primo posto nel Campionato Mondiale Marche, poi negli anni successivi continuò a gareggiare nel Campionato Italiano Prototipi. Nel 2010 Arturo è stato eletto Presidente onorario della Scuderia del Portello, che si dedica alla conservazione e preparazione dei modelli sportivi e storici dell’Alfa Romeo da presentare per la strade del mondo. Read the full article
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“Gli oceani ci uniscono da prima di Internet”. Una Giornata Mondiale della Terra...virtuale

Il 22 Aprile 2020 si celebra la Cinquantesima Giornata Mondiale della Terra, istituita nel 1969 su proposta dell’attivista per la pace J. Mc Connell durante una conferenza UNESCO, sancita da lui stesso nel 1970 presso l’ONU e portata avanti da un movimento universitario per la conservazione delle risorse naturali. Il principio ispiratore è “Tutti, a prescindere dall'etnia, dal sesso, da quanto guadagnino o in che parte del mondo vivano, hanno il diritto etico a un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”
Nel corso del tempo si è sviluppata una vera e propria Settimana della Terra, durante la quale enti, associazioni e gruppi ecologisti organizzano eventi educativi ed informativi per grandi e piccoli, sulla conoscenza e la tutela della biodiversità e su stili di vita sostenibili basati su risparmio idrico ed energetico, riciclo dei rifiuti, acquisti responsabili, ecologici ed equosolidali, consumo di prodotti locali e riduzione degli sprechi nell’alimentazione, economia circolare di riciclo e recupero.
L’ambiente naturale come contesto fondamentale di esperienza, apprendimento e crescita per i più piccoli è stato evidenziato da psicologi e pedagogisti, come J.Dewey e D.Kolb, ed è il nucleo dell’orientamento psicopedagogico definito Outdoor Education: un approccio educativo centrato principalmente su esperienze sensoriali all’aperto, attività di gioco in spazi esterni come il giardino o il cortile della scuola, o la creazione di orti didattici. Queste attività, inserite nei progetti educativi e scolastici, ma anche nella quotidianità a casa, infatti stimolano l’“intelligenza naturalistica” evidenziata da H.Gardner nella teoria delle intelligenze multiple, intesa come capacità di conoscere e classificare le caratteristiche degli elementi che costituiscono il mondo naturale ed utilizzare queste informazioni per relazionarsi con esso in modo proattivo e benefico. Si pongono così le basi di una coscienza ambientale e di comportamenti rispettosi dell’ambiente, evitando quello che R. Louv definisce “disturbo da deficit di natura”, cioè la mancanza di contatto con elementi naturali che si accompagna a disturbi dello sviluppo psicofisico sano nei bambini. Quella di oggi è quindi una data che onora il rispetto per l’ambiente e la salvaguardia del pianeta, ma paradossalmente nell’anno in cui l’interazione con l’ambiente circostante è possibile quasi esclusivamente a livello virtuale, a causa del lockdown imposto dalla pandemia Coronavirus Covid-19. Eppure, nonostante questo, le proposte di attività da realizzare da casa sono diverse, consultabili o scaricabili gratuitamente cliccando sul link: • La campagna Mission 1.5 “Quest’anno per la Giornata della Terra resta a casa e gioca per il clima ” invita a sperimentare Mission 1.5 , un video game online che educa le persone sulle politiche per l’azione sul clima e offre loro una piattaforma per esprimere un voto sulle soluzioni che vogliono vedere adottate. I voti saranno in seguito conteggiati e inviati ai leader mondiali. sito mission1point5.org • Cartoonito , proprio la sera del 22 aprile alle 19:40, presenta le prime puntate della serie animata MeteoHeroes, la storia di sei bambini dotati di superpoteri che impareranno ad usare per la tutela della natura e dell’ambiente e propone l’iniziativa “Salva il pianeta diventa un eroe” • L’azienda di giocattoli e prodotti educativi Clementoni offre attività gratuite ed educative, scaricabili al link A Casa da Scuola tra cui “Oggi ci sentiamo Green” per creare un raccoglitore in cui conservare e classificare foglie raccolte nei parchi o in escursioni e “Favole Yoga-Una goccia nel mare” in cui un viaggio di scoperta nella natura diventa un viaggio di conoscenza ed amicizia sotto la guida di un’aquila, mentre i bambini animano la favola con il corpo attraverso una serie di posizioni yoga suggerite e illustrate nelle pagine, che favoriscono il rilassamento. • Il Discovery Book “Rosa Corallo incontra un delfino” permette ai bimbi di vivere un viaggio nella biodiversità marina con un racconto e materiali da scaricare
Certamente un’esperienza virtuale non può sostituire del tutto un contatto diretto con l’ambiente naturale, ma può dare occasione di conoscere flora e fauna sconosciute, promuovere comportamenti sostenibili, mantenere la continuità dell’esperienza stessa, se si cerca per quanto possibile di viverla comunque come quando si passeggia davvero nella natura: lasciare la curiosità e l’attenzione diffusa e fluttuante, senza sforzo e fatica di catturare iperstimoli che richiedono una soluzione immediata.
Per non dimenticare che “gli oceani ci uniscono da prima di Internet” (R.Louv/L’ultimo bambino nei boschi)
#earthday2020#educazione#infanzia#outdooreducation#sostenibilità#educazionedigitale#educazioneambientale#lockdown#covid_19#meteoheroes#deficitdinatura#intelligenzanaturalistica#psicologia#pedagogia
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CHI SONO
Nato a Lago (Cosenza) il 09/12/1939. Vivo a Pagani (provincia di Salerno) dove ho ricoperto per oltre 30 anni la carica di consigliere comunale fino al Luglio del 1995 quando mi sono ritirato dalla vita politica attiva. Ho ricoperto la carica di Consigliere provinciale per oltre 30 anni e Consigliere regionale fino al 1994.
Sono stato Senatore della Repubblica nella IX legislatura nelle file del MSI.
Incarichi politici dal 1954 in poi:
- Presidente ASAN GIOVANILE ITALIA – Pagani
- Dirigente provinciale del Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori del MSI
- Segretario politico della sezione del MSI di Pagani
- Dirigente Provinciale della Federazione del MSI Salerno
- Segretario politico della Federazione del MSI Salerno (1982/1987)
- Componente dell Comitato Centrale e della Direzione Nazionale del MSI
- Componente dell’ORUN- Università di Napoli
- Consigliere Comunale a Pagani dal Novembre 1964 al Luglio 1995
- Consigliere Amministrazione Provinciale di Salerno dal 1970 al 1989
- Consigliere Regionale dal 1989 al 1995
- Senatore della Repubblica della IX Legislatura
- Componente delle Assemblee costitutive della Comunità Montana della Penisola Amalfitana e dell’ex USL 50.
Attività Socio - Culturali
Terminata l'attività politica pubblica nel 1995, mi dedico al "Sociale" facendomi promotore, insieme ad alcuni amici, di diverse iniziative di natura culturale e solidale. Prima Iniziativa è la fondazione della
AEEC - Associazione ex Consiglieri Comunali di Pagani
Perchè nasce l’Associazione?
dalla Collana “I Quaderni” - primo numero
per scaricare gratuitamente l’intera collana


Molteplici sono le attività svolte durante gli anni della mia presidenza a partire dalle iniziative di Solidarietà Concreta della quale l'Associazione si è resa promotrice :
costruzione in India di due dispensari e dotazione di una jeep ambulanza con strumentazioni sanitarie in aiuto alle Missioni rette dalle Figlie della Carità del Preziosissimo Sangue; (Fonte: Collana I Quaderni n. 16 Aprile 2011)
costruzione di scuole, trivellazioni, pozzi per acqua potabile per le Missioni dei Padri Redentoristi in Madagascar
invio di diversi containers con viveri, vestiari, medicinali donati dalla cittadinanza intera con il coinvolgimenti attivo di scuole ed esercizi commerciali nell'ambito della "Settimana della Solidarietà"
donazioni a favore dalla Protezione Civile Papa Charlie e della Human Health Foundation guidata dal Prof. Antonio Giordano per la ricerca sul cancro
Premio Internazionale di Letteratura Religiosa "Pagani Città di Sant'Alfonso e del Beato Tommaso Maria Fusco"
Il premio nasce nel 2003 con l'obiettivo di favorire una crescita sociale e culturale dell'Agro Nocerino Sarnese. L'interesse sul Premio è stato sin da subito molto forte e grazie al coinvolgimento delle forze più illuminate dei Comuni dell'Agro, degli Enti Ecclesiastici e, soprattutto grazie al forte impegno delle scuole e degli studenti, sono stati selezionati e premiati scrittori di fama mondiali:
1. Rodolfo Doni, fiorentino , considerato il più grande scrittore cattolico vivente , è stato il primo autore cui è stato assegnato il premio nel 2003;
2. Dominique Lapierre, scrittore francese di fama mondiale (tra le sue opere più famose si cita La Città della Gioia da cui fu tratto l'omonimo film) , è stato il vincitore della seconda edizione del Premio (2004) grazie allo spirito ed ai valori umani e religiosi delle sue opere;
3. Antonia Arslan, vincitrice della terza edizione del Premio (2005) premiata per la sua coraggiosa denuncia sull'eccidio del popolo armeno descritto nell'Opera La Masseria delle allodole (da cui è stato tratto un famoso film dei fratelli Taviani);
4. Franco Scaglia, giornalista genovese autore di importanti romanzi e saggi, Presidente di RAI Cinema, è stato premiato nel 2006 nella quarta edizione del Premio, grazie alla costante riflessione presente nelle sue opere sul male e sulla figura di Cristo come incarnazione suprema del male.
5. Ferruccio Parazzoli, tra gli scrittori italiani più significativi per l'intensità tematica e la peculiarità della ricerca letteraria (si cita la trilogia di Milano l'evacuazione, MM Rossa e Piazza della piazza) , è stato premiato nella quinta (2007) edizione del Premio
6. Magdi Allam, scrittore e giornalista che con le sue opere ha toccato profondamente il Mistero della Fede e della Spiritualità che ha comportato la sua conversione al cristianesimo. È stato premiato alla sesta Edizione del Premio (2008).
7. Edith Bruck, scrittrice ungherese sopravvissuta alla deportazione nazista che attraverso le sue Opere testimonia l’importanza della Memoria soprattutto per le nuove generazioni. È stata premiata alla settima Edizione del premio (2009).
il Giornale “il Pensiero Libero”
Le stagioni della vita - Il dovere della semina
Raggiunti i settanta anni incomincio a tirare le somme; l’altra Vita sta dietro l’angolo, giorno più, giorno meno… Quello che ho in mente di fare non è un modo di mettermi a posto la coscienza dopo un’esistenza spesa in maniera balorda, anzi… Non intendo parlare dell’ormai mio lungo ieri, ma, per quel tanto che mi rimane , si. Lo scorso anno, nauseato da metodi e sistemi praticati nella ricerca del consenso da taluni candidati al consiglio provinciale, pensai di ritirarmi nel privato. Avrebbe avuto senso spendersi in tante attività tutte protese a far maturare una coscienza civica se poi una parte della classe dirigente politica con i comportamenti sarebbe stata la prima a non raccoglierne i messaggi? Questo stato d’animo manifestavo ad alcuni amici, in uno all’intendimento di non aver intenzione di troncare il fervido rapporto con tutto un mondo a me prima sconosciuto e con il quale molto di positivo era stato costruito dando lustro non solo a Pagani. Lo strumento di raccordo è questo foglio. Nasce senza grandi pretese ma con la finalità principale di continuare a parlare al cuore ed alla mente soprattutto dei giovani. Accompagnare, raccogliere sogni e speranze loro perché diventino conquiste concrete nella vita, almeno per coloro i quali non si faranno corrompere dai falsi idoli, dalla voglia del solo apparire, dall’avere tutto e subito barattando la propria libertà, fino a prostituirsi al volere del padrone di turno. Alcuni mesi sono trascorsi da quando è stata autorizzata la testata; mi sono serviti anche per chiedere utili consigli. Ritenevo, ad esempio, che il periodico dovesse trattare la realtà territoriale solo marginalmente, volendo privilegiare il momento formativo dei ragazzi quasi sul modello scolastico - universitario. Sono stato dissuaso da amici, alcuni dei quali addirittura mi hanno consigliato di attingere dal mio retaggio politico perché, bontà loro, avrei anticipato di decenni soluzioni alle sempre difficili presenti problematiche territoriali. A ben riflettere la formazione dei ragazzi non può non tenerne conto perché sarà demandato loro, almeno ai più inclini, il governo della cosa pubblica. Penso, pertanto, che sia addirittura doveroso riservare una particolare attenzione alla politica in senso lato in questa vigilia di attesa per le riforme istituzionali, sempre che non si vada ad elezioni politiche anticipate per il crepitio delle minacciate scintille; alla Regione Campania all’indomani di una spigolosa tornata elettorale e con le aspettative di una programmazione che segni il decollo del territorio e dia certezze di un lavoro serio e duraturo. E non va dimenticata qualche riflessione anche sul manifestarsi di sempre più accentuate punte di astensionismo in talune tornate elettorali, rispetto a quelle quasi bulgare in altre… Su questi argomenti il mensile sarà aperto a tutte le scuole di pensiero. Non sono sostenitore del pensiero unico, anzi… Non mi è mai appartenuto anche quando la militanza nel MSI era fervida, e forte e determinato il mio essere nelle Istituzioni. Già le prestigiose firme su questo primo numero ne sono la conferma, ad iniziare da quella dell’amico Biagino Franza che mi ha regalato quella indispensabile per le gerenza. A riguardo, a tutti questi amici il mio più profondo ringraziamento. Senza il loro apporto questo foglio non sarebbe nato. Il mio auspicio è che altre intelligenze collaborino e che le loro riflessioni determinino un proficuo dibattito. Penso, ad esempio, all’anniversario dei 150 anni dell’Unità Italia, ad argomenti di forte impatto sociale ed ambientale. Per questo motivo ho invitato gli amici che curano le pagine della Cultura e del Costume a voler promuovere anche l’approccio e l’intervento diretto dei ragazzi. Questo foglio, nei limiti del possibile, si aprirà alle scuole, all’università. Ai Presidi, ai Docenti chiedo di condividere anche questa nuova stagione culturale. Lo scopo è sempre il medesimo: accompagnare i ragazzi negli anni più difficili della loro crescita: attrezzarli, per quanto possibile, ad affrontare la vita. Mi rendo conto che sei pagine, quantitativamente,sono poca cosa qualora i lettori volessero interagire, interessati dagli argomenti trattati. Per questo motivo ho avviato la procedura per rendere visibile il giornale anche attraverso il web che certamente offre maggiori possibilità di contatto. Non è superfluo aggiungere che il giornale verrà distribuito gratuitamente nelle scuole. Con questa iniziativa non ho inteso avviare un’impresa commerciale. Il solo profitto che interessa me e gli amici che collaborano è costituito dalla circolazione delle idee e dal bene comune che ne potrà derivare. Direttore editoriale (Gerardo De Prisco)
I MIEI LIBRI
1 ) Il Lungo Viaggio ( edizione del dicembre 2014 )

Introduzione
È indispensabile riportare quanto ebbi a scrivere a conclusione dell’articolo:
“Ottobre-Novembre 1914, una svolta epocale nella politica italiana”, quale introduzione allo “Speciale Pagine di storia 1914-1944 per pensieri liberi da condizionamenti” pubblicato nell’Ottobre 2014.
Questa la parte incriminata, un eufemismo, ovviamente: “... il fatto è che siamo tutti un poco pigri. Questo è il motivo che da qualche tempo mi stimola a non ritirarmi nel guscio dell’egoismo personale. Non un fatuo egocentrismo ma la determinata consapevolezza di un dovere da compiere
anche nel recuperare “momenti della storia” per quel tanto di utile che potranno trarne le generazioni dei più giovani”.
Da tempo frullava nella mia mente l’idea di mettere su carta dei pensieri riconducibili al vissuto nell’ambito familiare con i miei genitori e con i miei fratelli e sorella.
Quel vissuto riferito soprattutto, se non esclusivamente , ai momenti che hanno segnato la famiglia nell’insieme e me, in particolare , per quel tanto che ha influenzato la mia crescita, con la formazione del carattere e, via via, le scelte fatte nella vita che sono il frutto anche di quel vissuto.
Dico subito che intendo scrivere in primis dei miei genitori costretti a dolorose decisioni per i tempi difficili, dall’immediato dopoguerra con la loro definitiva decisione di stabilirsi a Pagani. Queste pagine, e vado al sodo, sono indirizzate ai miei figli, ai miei nipoti. Ai figli perché siano la stella polare dei loro comportamenti qualora dovessero, anche se solo per un momento, smarrire la giusta via che abbiamo loro indicato, mia moglie ed io. Ai nipoti, oggi in tenera età, e poi ai loro figli, perché abbiano memoria dei loro progenitori e che ne coltivino la pedagogia dei valori.
Quando non ci saremo più, i nostri nipoti potranno avvalersi di queste pagine per orientare i propri comportamenti, soprattutto in presenza di egoismi, lusinghe , dissapori, gelosie ecc. Quante lacerazioni in tante famiglie, tra fratelli, tra genitori e figli, tra cugini per questioni ereditarie, tanto per fare l’esempio più ricorrente. Sarebbe una grande delusione per me e per mia moglie se i nostri figli dovessero comportarsi in uguale maniera; ma li conosciamo. Siamo certi che sapranno lasciarsi guidare dagli esempi ..
Questi valori mi prefiggo di fare emergere nel corso di questo breve racconto.
Al centro mio padre Cleto, mia madre Vannina, i miei germani Mimì, Rosa Raffaele, Alfonso. Ciascuno di loro con la concretezza dell’esserci,
con pesanti rinunce e sacrifici, con gesti anche simbolici sempre vivi in me…
link per scaricare gratuitamente il libro
2 ) In Principio fu la predica ( edizione del aprile 2018 )

Introduzione
In questi ultimi mesi, sollecitato dai ricordi, ho avvertito l’esigenza di mettere su carta esperienze vissute nel privato e nell’impegno politico; soprattutto, però, di non far calare il muro di silenzio su amici coi quali avevo condiviso un’esperienza entusiasmante, anche quando taluni dissentivano su certe mie valutazioni e drastiche decisioni.
alcuni di questi miei amici sono deceduti. Li ricordo sempre, e questo non è un modo di dire...Ogni giorno, il pensiero va a loro. Entro nello studio, tante le immagini alle pareti; non posso non incrociare i loro volti, assieme a quelli di taluni viventi.
Lo scorso anno ho segnato un anniversario che non potrò scordare; quest’anno un altro ancor più significativo. Tutti e due hanno come riferimento il Cilento.
Questo il motivo del presente libro. Oltre alla mia scrittura, alcune pagine sono dedicate ad amici defunti; altre sono testimonianze dirette di amici viventi. Altre Pagine ancora, sono documenti e riporti di giornale.
Buona lettura
per scaricare gratuitamente il libro
3 ) Il RACCONTO di una vita ( edizione giugno 2021 )
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Gordon Banks morto a 81 anni. Fu l'eroe dei mondiali del 1966
#GordonBanks è morto questa notte all'età di 81 anni. Fu campione del mondo nel #1966 e fu il protagonista della #paratadelsecolo che compì contro niente meno che #Pelè
Gordon Banks è morto ieri notte dopo aver perso la battaglia che combatteva da molto tempo contro il cancro. E’ considerato il più grande portiere della storia del campionato inglese.
Gordon Banks è ritenuto quasi all’unanimità il più forte portiere della storia del calcio, al pari di mostri sacri come Dino Zoff, eroe dei mondiali del 1982 e Lev Yashin, unico portiere della storia ad alzare al…
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Semplicemente "Tata"
L'Azteca è lo stadio di Città del Messico. All'ingresso c'è una targa che ricorda il "Partido del Siglo", la "Partita del Secolo" quella disputata tra Italia e Germania il 17 luglio del 1970 finita 4-3 per gli Azzurri.
Il quella partita interminabile il capitano tedesco Beckenbauer si lussò una spalla ma non fu sostituito ma giocò con una fasciatura per poter continuare a giocare.
Mi è tornato in mente oggi questo episodio quando ho letto della morte di José Luis Brown detto "Tata" libero dell'Argentina campione del mondo 1986.
La storia di Brown campione del mondo è abbastanza particolare. Alla vigilia del Mundial messicano del 1986 ha 30 anni e il Deportivo Español ha fatto sapere che non gli rinnoverà il contratto per l'anno successivo per cui il "Tata" è svincolato.
L'Argentina assegna i numeri in ordine alfabetico indipendentemente dai ruoli in quegli anni tranne per alcuni giocatori, per cui capita di vedere un centrocampista come Ardiles indossare la maglia con il numero 1 nell'82 o il portiere Fillol con il numero 7 in Spagna e con il numero 5 nel '78 nei mondiali che l' Argentina vince in casa sua. Nell'86 i portieri hanno i numeri 18 il titolare Pumpido, il 15 Islas e il 22 il terzo portiere Zelada. Gli unici giocatori che non seguono l'ordine alfabetico nell'assegnazione dei numeri sono Valdano a cui tocca il suo solito 11, Passarella cui toccherà il numero 6 essendo il libero della squadra e, ovviamente, Maradona cui va la 10. A Brown tocca il numero 5, lo stesso numero che aveva Beckenbauer nel '74 quando si era trasformato da regista a libero.
Passarella ha perso da qualche anno la fascia da capitano della nazionale Argentina a vantaggio di Maradona non senza qualche polemica. Alla vigilia del mondiale però si dice sarà lui il libero titolare del 5-3-2 dell'Argentina. Ma le cose vanno diversamente: Passarella è colpito da una forte gastroenterite che taluni ribattezzano la "Maledizione di Montezuma" così il suo posto al centro della difesa lo prende proprio José Luis Brown che ha capacità d'impostazione oltre ad essere un difensore roccioso e attento.

Sarà sempre titolare nelle 7 partite che l'Argentina disputa in quel mondiale fino alla finale contro la Germania Ovest.
I tedeschi, si sa, sono un osso duro e lo dimostra il fatto che quella è la seconda finale consecutiva che disputano.
Però l'Argentina parte bene e passa in vantaggio proprio con Brown.
youtube
Cuciuffo, terzino destro dell'Argentina, subisce fallo e il conseguente calcio di punizione viene battuto da Burruchaga il cui cross è troppo alto per il portiere tedesco Schumacher. Brown intuisce che il portiere ha sbagliato il tempo dell'uscita così salta per prendere quel pallone. Solo che davanti ha sé ha Maradona. A quel punto lui si rende colpevole di "lesa maestà" perché spinge via il suo capitano e fa gol.
Poco dopo però Brown si scontra con un avversario e si lussa una spalla.

La finale di un mondiale è troppo importante per farsi fermare da una semplice lussazione. In fondo se non sei un portiere le mani non ti servono così Brown discute col medico e decide di restare in campo, testardamente.
Prende la maglia bianco celeste che indossa, la strappa con i denti all'altezza dell'addome e infila il pollice del braccio che gli fa un male cane in quel buco. Niente fasciature, solo un dito infilato in uno strappo.

Continuerà a giocare così il resto della partita fino al 2-0 di Valdano e alla rimonta della Germania Ovest, la Germania che non si arrende mai come ben sappiamo noi italiani da quel 17 luglio del 1970, nello stesso stadio dove ora sta giocando contro l'Argentina.
Ma anche stavolta la Germania verrà battuta. Da un gol di Burruchaga lanciato da Maradona a pochi minuti dalla fine: 3-2 il risultato finale.
Beckenbauer è il CT della Germania il giorno della finale del 1986 in quello stadio dove 16 anni prima aveva giocato col braccio al collo.
Brown sarà vicino a Maradona quando "El Pibe de Oro" riceve la coppa del mondo FIFA scolpita dall'orafo Gazzaniga.
Da diverso tempo soffriva di Alzheimer e oggi a 62 anni se ne è andato.
Sarebbe bello se per questo ultimo viaggio avesse indossato quella maglietta bucata con i colori della sua nazione, quella indossata quando fece il primo gol di quella finale, quando divenne Campione del Mondo.

#il demone del calcio#Jose Luis Brown#Argentina 1986#campionati mondiali di calcio#Tata#storie di calcio
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Lella Lombardi
https://www.unadonnalgiorno.it/lella-lombardi/

Lella Lombardi è stata la prima e unica donna italiana a conquistare punti nel campionato mondiale di Formula 1.
Seconda pilota della storia a guidare una monoposto, la prima è stata Maria Teresa de Filippis negli anni cinquanta, di cui abbiamo già scritto, ha disputato 12 Gran Premi contro i 4 della sua predecessora.
Nata col nome di Maria Grazia Lombardi il 26 marzo 1941 a Frugarolo, in provincia di Alessandria, era figlia di un macellaio e produttore di salumi. Grintosa e vivace, attratta dalla velocità sin da bambina, a soli nove anni prese per la prima volta in mano un volante, a tredici guidava già un’auto. A diciotto anni, lavorava sui camion dell’azienda di famiglia.
Ha iniziato a correre con i kart all’inizio degli anni ’60 cimentandosi nelle categorie minori del motorsport, la sua prima vettura era stata pagata a rate.
Nel 1970 ha vinto il campionato italiano Formula 850 ed è diventata campionessa della Formula Ford Mexico.
Nel 1974 ha esordito in F1 nel Gran Premio di Gran Bretagna, dopo una lunga gavetta nelle categorie inferiori È arrivata sesta – ultimo posto utile per conquistare punti mondiali – nel Gran Premio di Spagna, sul circuito del Montjuic.
Capelli corti, testarda e riservata, si è fatta rispettare in uno sport che ancora oggi ha difficoltà a rapportarsi con il mondo femminile. Alla domanda insidiosa di un giornalista rispose: “Se la F1 è cosa da ragazze? Visto che sono qua e corro, giudicate voi“.
Nel 1976 si è ritirata dalla Formula 1 passando alle gare di durata, ha partecipato a eventi iconici come la 6 Ore di Silverstone, i 1000 chilometri di Monza e la leggendaria 24 Ore di Le Mans con una scuderia che portava il suo nome, Lombardi Autosport. Nel 1988 si è ritirata dalle competizioni ed è diventata team manager. Si è spenta, a causa di un tumore, a Milano il 3 marzo 1992, dopo qualche giorno avrebbe compiuto 51 anni.
Lella Lombardi ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’automobilismo. Il suo coraggio e la volontà di distinguersi in un mondo da sempre dominato dagli uomini è di grande ispirazione.
Donna coraggiosa, indipendente, appassionata e anticonformista, non ha avuto paura di andare veloce e lottare contro gli stereotipi.
È stata ricordata, a trent’anni dalla morte, al Mauto – Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Per l’occasione è stato proiettato il docufilm americano Beyond driven sulla storia della sua vita e dei suoi traguardi.
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Lanciato in picchiata verso la giungla, un aereo della marina ha lasciato cadere un insieme di dispositivi sulla fitta rete di alberi in basso. Alcuni erano microfoni, usati per cogliere i passi dei guerriglieri o l’accensione di camion. Altri erano rilevatori d’attività sismica, adattati per cogliere vibrazioni minime sul terreno. I più strani di tutti erano sensori olfattivi, alla ricerca dell’ammoniaca presente nell’urina umana.
Decine di migliaia di questi dispositivi elettronici hanno trasmesso i loro dati ad alcuni droni e poi ai computer. Nel giro di pochi minuti, degli aerei da guerra stavano arrivando per bombardare a tappeto una porzione di terreno determinata da un algoritmo. L’operazione Igloo white (iglù bianco) era il futuro della guerra. Nel 1970.
Il tentativo degli Stati Uniti d’interrompere il sentiero di Ho Chi Minh dal Laos al Vietnam non ebbe successo. Costò circa un miliardo di dollari all’anno (circa 7,3 miliardi di dollari attuali), ovvero centomila dollari (730mila di quelli attuali) per ogni camion distrutto, e non ha messo fine alle infiltrazioni.
Nuovi sviluppi Ma il fascino di una guerra semiautomatizzata non è mai svanito. L’idea di raccogliere dati dai sensori, processarli tramite algoritmi sempre più raffinati e capaci di agire più velocemente del nemico è al cuore del dibattito militare tra le principali potenze mondiali. E oggi la cosa è amplificata dai nuovi sviluppi in materia d’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale è “pronta a cambiare la natura stessa del campo di battaglia del futuro”, ha dichiarato il dipartimento della difesa degli Stati Uniti nel suo primo documento strategico relativo all’intelligenza artificiale, del febbraio 2019.
Nell’estate 2018 il Pentagono ha lanciato il Centro di coordinamento per l’intelligenza artificiale (Jaic) e quest’anno a marzo si è riunita per la prima volta la Commissione per la sicurezza nazionale sull’intelligenza artificiale. Il bilancio del Pentagono per il 2020 ha previsto l’ingente cifra di quasi un miliardo di dollari per l’intelligenza artificiale e una cifra più di quattro volte superiore per le strumentazioni autonome o senza equipaggio che si affidano a essa.
L’attrattiva dell’automazione è evidente: i robot sono più economici, più resistenti e più sacrificabili degli esseri umani
Attività altrettanto febbrili sono in corso in Cina, un paese che ambisce a diventare leader mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale entro il 2030 (non è chiaro secondo quali criteri), e in Russia, dove il presidente Vladimir Putin è noto per aver predetto che “chiunque diventerà leader in questo campo diventerà il dominatore del mondo”. Ma il paradosso è che l’intelligenza artificiale potrebbe allo stesso tempo squarciare e rafforzare la “nebbia della guerra”, permettendo di condurre il conflitto con una velocità e una complessità che lo renderebbero sostanzialmente oscuro per gli esseri umani.
Intelligenza artificiale è un’espressione generica e imprecisa, che copre una gamma di tecniche che vanno dai sistemi di rispetto delle regole, sperimentati la prima volta negli anni cinquanta, all’apprendimento automatico basato sulla probabilità di oggi, nel quale i computer insegnano a se stessi a svolgere alcuni compiti.
L’apprendimento profondo – un potente approccio all’apprendimento automatico, e che coinvolge molti strati di reti neurali modellate sul cervello – si è dimostrato particolarmente efficace per i compiti più disparati come la traduzione, il riconoscimento di oggetti e le esperienze ludiche.
Tre categorie di applicazione Michael Horowitz dell’università della Pennsylvania paragona l’intelligenza artificiale al motore a combustione interna o all’elettricità – una tecnologia pratica dotata di una miriade di applicazioni – dividendo le sue applicazioni militari in tre categorie. Una consiste nel permettere alle macchine di funzionare senza supervisione umana. Un’altra nel processare e interpretare ampi volumi di dati. La terza nel contribuire, o addirittura nel dirigere in prima persona, le attività belliche di comando e controllo.
L’attrattiva dell’automazione è evidente: i robot sono più economici, più resistenti e più sacrificabili degli esseri umani. Ma una macchina in grado di vagare per un campo di battaglia, e a maggior ragione di versare sangue su di esso, dev’essere abbastanza intelligente da sostenere un simile fardello. Un drone privo d’intelligenza non sopravviverà molto in una battaglia. Peggio ancora, un robot privo d’intelligenza e dotato di armi da fuoco può facilmente portare a un crimine di guerra. All’intelligenza artificiale è quindi richiesto il compito di fornire alle macchine le abilità necessarie. Tra queste ce ne sono di semplici, come la percezione e la navigazione, e altre più raffinate, come il coordinamento con altri agenti.
La macchine intelligenti che coniugano queste abilità possono fare cose impossibili per gli esseri umani. “Già oggi, un sistema d’intelligenza artificiale può avere prestazioni più elevate, all’interno di un combattimento aereo simulato, di quelle di un pilota militare esperto”, spiega Kenneth Payne del King’s College di Londra. A febbraio l’agenzia statunitense di progetti di ricerca avanzati per la difesa (Darpa), la sezione che si occupa di sviluppo del settore aereo del Pentagono, ha condotto i più recenti test su una flotta di sei droni capaci di collaborare in un ambiente “ad alto rischio”, anche in assenza di un contatto con esseri umani.
La vista dei computer è imperfetta e può essere ingannata in modi che non passerebbero inosservati a un occhio umano
Ciò nonostante, la maggior parte dei sistemi è dotata di un tipo d’intelligenza limitata e instabile: buona per eseguire un compito in un ambiente ben definito, ma destinata a fallire miseramente in condizioni non consuete. Tra le armi autonome esistenti ci sono missili mobili che si abbattono su radar oppure armi da fuoco rapide che difendono navi e basi militari. Utili ma non rivoluzionarie, e nessuna di esse ha davvero bisogno delle tecniche di apprendimento automatico sperimentate negli ultimi anni e oggi di moda.
Apprendimento profondo Ma sarebbe un errore pensare che l’intelligenza artificiale sia utile solo per le attività di routine su un campo di battaglia. I robot, che siano assassini o meno, devono agire in base a ciò che vedono. Ma per molte piattaforme militari, come satelliti e aerei spia, il punto è raccogliere dati grezzi che possano essere trasformati in utili elementi d’intelligence. Oggi quest’attività è più prospera che mai: solo nel 2011, l’anno più recente per il quale esistano dati, i circa undicimila droni statunitensi hanno raccolto oltre 327mila ore (37 anni) di filmati.
La maggior parte di questi non è stata visionata. Fortunatamente la seconda principale applicazione dell’intelligenza artificiale nelle forze armate consisterà nel processare dati. Nel 2015, durante i test di laboratorio, le prestazioni degli algoritmi hanno superato quelle degli esseri umani nella classificazione delle immagini. Tra il 2015 e il 2018 inoltre sono stati quasi il doppio più efficaci in un compito più arduo, la segmentazione di oggetti, che consiste nell’individuare oggetti multipli a partire da una singola immagine, secondo l’indice annuale dei progressi dell’intelligenza artificiale compilato dall’università di Stanford. La vista dei computer è lungi dall’essere perfetta e può essere ingannata in modi che non passerebbero inosservati a un occhio umano. Nel corso di uno studio, l’alterazione dello 0,04 per cento dei pixel dell’immagine di un panda, impercettibile per gli esseri umani, ha spinto il sistema a vedere al suo punto un gibbone.
I governi occidentali sostengono che gli esseri umani continueranno a essere coinvolti come supervisori delle operazioni
Malgrado queste debolezze, nel febbraio 2017 lo stesso Pentagono ha concluso che gli algoritmi di apprendimento profondo “possono avere prestazioni di livello prossimo a quello degli esseri umani”. Per questo ha creato una squadra di “guerra algoritmica”, nota come progetto Maven, che usa l’apprendimento profondo e altre tecniche per identificare oggetti e azioni sospette, inizialmente a partire da filmati di guerra contro il gruppo Stato islamico (Is) e oggi in maniera più ampia. L’obiettivo è produrre elementi d’intelligence utili nella pratica: quelli che di solito portano le forze speciali a sganciare bombe e a sfondare le porte.
Una persona ben informata del funzionamento del progetto Marven sostiene che i benefici per gli analisti, come guadagno di tempo e nuove conoscenze, sono ancora marginali. Le telecamere grandangolari che possono osservare intere città, per esempio, producono un ampio numero di falsi positivi. “Ma la natura di questi sistemi è altamente ripetitiva”, dice. Il progresso è rapido e il progetto Maven è solo la punta dell’iceberg.
Earth-i, un’azienda britannica, può usare algoritmi d’apprendimento automatico provenienti da un’ampia gamma di satelliti per identificare diverse varianti di velivoli militari presenti in decine di basi, con una precisione superiore al 98 per cento, secondo Sean Corbett, un vicemaresciallo aeronautico della Royal air force (Raf) in pensione, che oggi lavora per l’azienda. “La parte interessante”, dice, “sta quindi nello sviluppare metodi per stabilire automaticamente quello che è normale e quello che non lo è”. Osservando le basi nel corso del tempo, il software può distinguere i movimenti di routine da quelli irregolari, avvertendo gli analisti in caso di novità significative.
Dal vecchio mondo al cloud Gli algoritmi, naturalmente, sono onnivori e possono essere alimentati con ogni genere di dati, non solo le immagini. “Le masse di dati unite a moderne tecniche di analisi rendono trasparente il mondo di oggi”, sostiene Alex Younger, capo dell’Mi6, l’agenzia di spionaggio britannica. Nel 2012, una fuga di dati provenienti dall’Nsa, l’agenzia d’intelligence statunitense, ha fatto emergere l’esistenza di un programma (chiamato in maniera rassicurante Skynet) che applicava l’apprendimento automatico ai dati dei telefoni pachistani per individuare persone che forse agivano da corrieri per i gruppi terroristici, come per esempio quelle che avevano viaggiato da Lahore alla città frontaliera di Peshawar nell’ultimo mese e avevano spento o cambiato il proprio telefono. “Si sta passando dal vecchio mondo dell’intelligence, in cui i comandanti facevano una domanda e le agenzie usavano il patrimonio dati a loro disposizione per rispondere, a un mondo nel quale le domande si trovano… nel cloud, nella nuvola”, osserva Richard Barrons, un generale in pensione che ha diretto il Coordinamento delle forze britanniche fino al 2016.
Effettivamente i dati in questione non provengono necessariamente da un nemico. Il primo progetto del Jaic non è stato né un’arma né uno strumento di spionaggio, ma una collaborazione con le forze speciali volta a prevedere i problemi ingegneristici dei loro elicotteri Black hawk. La prima versione dell’algoritmo è stata consegnata ad aprile. I test delle forze aeree sugli autotreni e gli aerei del comando e controllo hanno mostrato che una simile manutenzione predittiva potrebbe ridurre di quasi un terzo le riparazioni non pianificate, il che potrebbe permettere grandi risparmi nei 78 miliardi di dollari che il Pentagono spende attualmente per la manutenzione.
Se gli algoritmi saranno privi della comprensione degli esseri umani, emergeranno problemi legali, etici e di fiducia
L’obiettivo del processare informazioni, naturalmente, è agire in funzione di esse. E la terza modalità con cui l’intelligenza artificiale cambierà la guerra è penetrando nel processo decisionale militare, dalle unità di livello più basso ai quartier generali nazionali. Northern Arrow (freccia del nord), uno strumento costruito da Uniqai, un’azienda israeliana, è uno dei tanti prodotti sul mercato che aiutano i comandanti militari a pianificare le loro missioni assemblando grandi quantità di dati relativi a variabili come le posizioni del nemico, il tipo di armi, il terreno e il meteo: un processo che normalmente, usando i vecchi metodi come mappe e diagrammi, richiederebbe ai soldati dalle 12 alle 24 ore di lavoro.
Northern Arrow è alimentato con dati presi da libri e manuali, per esempio sulla velocità dei carri armati a differenti alture, ma anche con interviste a comandanti esperti. L’algoritmo offre poi ai comandanti militari in difficoltà alcune alternative, oltre che una spiegazione del perché è stata scelta ciascuna di esse.
Queste piattaforme di tipo “sistema esperto”, come Northern Arrow e l’analogo software Cadet degli Stati Uniti, possono funzionare molto più velocemente del cervello umano – due minuti rispetto alle 16 ore-uomo in un test – ma continuano a usare tecniche predeterminate dal punto di vista algoritmico. Secondo gli standard storici si potrebbe parlare di intelligenza artificiale, ma poiché la maggior parte usa metodi deterministici, significa che gli stessi input determineranno sempre gli stessi risultati. Un meccanismo familiare ai soldati che si affidavano ai risultati di Eniac, il primo computer multiuso elettronico del mondo, che generava tabelle per il fuoco d’artiglieria nel 1945.
Nel mondo reale, la casualità spesso diminuisce la possibilità di fare previsioni corrette, e quindi molti sistemi moderni d’intelligenza artificiale aggiungono al rispetto delle regole una casualità ulteriore, facendone un punto di partenza per una pianificazione più complessa. Il software Real-time adversarial intelligence and decision-making (Raid) di Darpa ha lo scopo di prevedere gli obiettivi, i movimenti e perfino le possibili emozioni delle forze nemiche con un anticipo di cinque ore. Il sistema si basa su una variante della teoria dei giochi che riduce i problemi a giochi più piccoli, diminuendo la potenza computazionale necessaria a risolverli.
Nei primi test effettuati tra il 2004 e il 2008, Raid si è dimostrato più preciso e veloce dei pianificatori umani. Nella simulazione di una battaglia di due ore a Baghdad, alcune équipe umane sono state messe contro Raid o altri esseri umani: meno di metà delle volte si sono dimostrate in grado di distinguere le une dalle altre. I colonnelli in pensione arruolati per simulare i ribelli iracheni “hanno avuto così paura” del software, racconta Boris Stilman, uno dei suoi progettisti, che “hanno smesso di parlarsi e hanno cominciato a comunicare a gesti”. Raid è attualmente sviluppato per usi militari.
I problemi di una partita di go L’ultimo dei sistemi di apprendimento profondo è forse il più enigmatico di tutti. Nel marzo 2016, AlphaGo, un algoritmo d’apprendimento profondo costruito da DeepMind, ha battuto uno dei migliori giocatori al mondo di go, un antico gioco di strategia cinese. Nel farlo è ricorso a varie mosse altamente creative che hanno confuso gli esperti. Il mese successivo, l’Accademia cinese di scienze militari ha organizzato un laboratorio dedicato alle implicazioni di questa partita. “Per gli strateghi militari cinesi, una delle lezioni tratte dalle vittorie di AlphaGo è stata che un’intelligenza artificiale potesse creare tattiche e stratagemmi superiori a quelli di un giocatore umano in un gioco paragonabile a un gioco di guerra”, ha scritto Elsa Kania, esperta d’innovazione militare cinese.
Nel dicembre 2018 un altro dei programmi di DeepMind, Alpha Star, ha nettamente battuto uno dei migliori giocatori al mondo di StarCraft II, un videogioco giocato in tempo reale e non a turni, con informazioni nascoste ai giocatori e con molti più gradi di libertà (mosse potenziali) rispetto a go. Molti funzionari sperano che un simile atteggiamento di gioco possa in seguito trasformarsi in una predisposizione all’inventiva e alle abili manovre celebrate dalla storia militare. Michael Brown, direttore dell’unità per l’innovazione nella difesa, un ente del Pentagono incaricato di sfruttare la tecnologia commerciale, sostiene che ottenere un “ragionamento strategico” alimentato dall’intelligenza artificiale sia una delle priorità della sua organizzazione.
Ma se gli algoritmi, oltre a superare la creatività umana, saranno privi della comprensione degli esseri umani, emergeranno problemi legali, etici e di fiducia. La legge militare impone una serie di giudizi su concetti come la proporzione (tra danno civile e vantaggio militare) e la necessità. Dei software che fossero incapaci di spiegare perché è stato scelto un determinato obiettivo probabilmente non sono in grado di rispettare tali leggi. E anche se fossero in grado di farlo, gli esseri umani potrebbero non fidarsi di un consulente decisionale che ha l’aspetto di una magic 8 ball, la pallina giocattolo per prevedere la fortuna.
Un intero campo di battaglia automatizzato “Cosa facciamo quando l’intelligenza artificiale è applicata alla strategia militare e ha effettuato un calcolo probabilistico delle possibili interazioni ben oltre quelli che possiamo prendere in considerazione come esseri umani, e consiglia una linea d’azione che non capiamo?”, si chiede il tenente colonnello Keith Dear, un ufficiale d’intelligence della Raf. Porta come esempio, in questo senso, quello di un’intelligenza artificiale che consigli di finanziare un teatro dell’opera a Baku in risposta a un’incursione militare russa in Moldavia: una manovra surreale, in grado di confondere anche le proprie truppe, figuriamoci il nemico. Eppure questo potrebbe avvenire perché l’intelligenza artificiale è stata in grado di cogliere una catena d’eventi politici non immediatamente percepibile dai comandi militari.
Anche in questo caso, prevede che gli umani accetteranno il prezzo da pagare per passare dall’imperscrutabilità all’efficienza. “Anche con i limiti della tecnologia attuale, un’intelligenza artificiale potrebbe sostenere, se non addirittura farsi carico, dei processi decisionali di un combattimento militare nel mondo reale”, usando “un’imponente simulazione quasi in tempo reale”.
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I governi occidentali sostengono che gli esseri umani continueranno a essere coinvolti, come supervisori delle operazioni. Ma anche molti dei suoi ufficiali non ne sono convinti. “Sembra probabile che gli umani saranno sempre più esclusi dal processo decisionale, sia tattico sia strategico”, dice il comandante Dear. La sensazione che i combattimenti accelereranno fino a “superare le capacità della cognizione umana” ritorna anche negli articoli cinesi, dice Kania. Il risultato non sarebbero solo armi automatiche, ma un intero campo di battaglia automatizzato. All’inizio di una guerra, sistemi d’intelligenza artificiale interconnessi sceglierebbero gli obiettivi, dai lanciamissili alle portaerei, e organizzerebbero rapidi e precisi attacchi per distruggerli nella maniera più efficiente.
Le conseguenze più ampie della cosa rimangono poco chiare. La prospettiva di attacchi rapidi e precisi “potrebbe erodere la stabilità, aumentando il rischio percepito di un attacco a sorpresa”, scrive Zachary Davis in un recente articolo per il Lawrence Livermore national laboratory. Ma l’intelligenza artificiale potrebbe anche permettere a chi si difende di rispondere a tali attacchi, identificando i segnali rivelatori di un attacco imminente. Oppure, come la febbre da diffusione di sensori nella giungla vietnamita degli Stati Uniti negli anni settanta, simili progetti potrebbero rivelarsi dei fallimenti costosi e mal concepiti. Eppure nessuna potenza vuole correre il rischio di rimanere indietro rispetto ai suoi rivali. Ed è in questo che la politica, e non solo la tecnologia, potrebbe avere un ruolo importante.
Le spese del Pentagono per l’intelligenza artificiale sono minime rispetto a quelle stanziate dalle grandi aziende tecnologiche nel 2016, tra i venti e i trenta miliardi di dollari. Nonostante molte aziende statunitensi siano felici di accettare il denaro dell’esercito – Amazon e Microsoft stanno perfezionando un contratto col Pentagono da dieci miliardi di dollari per servizi di clouding informatico – altre sono più caute. Nel giugno 2018 Google ha dichiarato che nel 2019 avrebbe sospeso il suo contratto di lavoro per il progetto Maven, di un valore di nove milioni di euro, dopo che quattromila sue dipendenti hanno protestato contro il coinvolgimento dell’azienda in attività di “tecnologia bellica”.
In Cina, d’altro canto, le aziende possono essere spinte più facilmente a lavorare per lo stato, e le leggi sulla privacy sono un ostacolo minimo. “Se i dati sono il carburante dell’intelligenza artificiale, allora la Cina potrebbe avere un vantaggio strutturale sul resto del mondo”, ha avvertito Robert Work, ex sottosegretario alla difesa degli Stati Uniti, a giugno. Non è chiaro se i dati civili possano o meno alimentare gli algoritmi militari, ma la questione è al centro delle preoccupazioni dei leader militari. Il direttore del Jaic, il generale Jack Shanahan, ha espresso le sue preoccupazioni il 30 agosto: “Non voglio assistere a un futuro in cui i nostri potenziali avversari siano dotati di forze totalmente equipaggiate d’intelligenza artificiale, e noi no”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.
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