#momento catartico
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Un momento catartico il piantino fatto il pomeriggio del 31 dicembre finendo di leggere Intermezzo e in particolare le ultime parole: "Non sempre funziona, ma faccio del mio meglio. Vedi come va. Continua comunque a vivere."
#gli ultimi capitoli uno più bello dell'altro e mi è dispiaciuto molto finirlo#ci ho messo un po' ma è anche vero che si abbina bene al periodo festivo
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CHIAMA I RICORDI COL LORO NOME
Nel 2019, la mia compagna, le mie figlie e io decidemmo di intraprendere un percorso che alla fine ci avrebbe portato a diventare la famiglia affidataria di un minore e questo implicava un sacco di incontri, singoli e di gruppo, con cui assistenti sociali e operatori valutavano la nostra capacità di accudimento e contemporaneamente ci informavano e ci formavano su cosa significasse prendersi cura di un minore in modo continuativo ma parallelamente alla famiglia biologica, con la quale dovevamo rimanere sempre in contatto.
(anticipo che poi la cosa finì in un nulla di fatto perché poco dopo scoppiò il caso Bibbiano - 30 km in linea d'aria da Parma - e per precauzione/paura tutti gli affidi subirono un arresto. E poi arrivò il Covid)
La mia riflessione nasce alla lontana da un video che youtube mi ha suggerito questa mattina presto - è poco importante ai fini della storia ma è questo - che mi ha ricordato una caratteristica della mia infanzia...
Difficilmente riuscivo a essere felice per le cose che rendevano felici gli altri e quella vecchia canzone - che è considerato l'Inno del Carnevale di Viareggio, mio luogo di nascita e dei primi 20 anni di vita - ne è l'esempio emblematico, direi quasi sinestesico.
Tutti i viareggini la conoscono e la cantano nel periodo più divertente e frenetico della città ma io la associo a un'allegria dalla quale ero sovente escluso, odore di zucchero filato che non mangiavo e domeniche che significavano solo che l'indomani sarei tornato a scuola, preso in giro dai compagni e snobbato dalla maestra.
Vabbe'... first world problem in confronto ad altri vissuti (in fondo ero amato e accudito) però l'effetto a distanza di anni è ancora questo.
Tornando al quasi presente, una sera le assistenti sociali chiesero al nostro gruppo di futuri genitori affidatari di rievocare a turno prima un ricordo triste e poi uno felice.
E in quel momento ebbi la rivelazione che la quasi totalità dei presenti voleva dare amore a un bambino o a una bambina non propri perché sapeva in prima persona cosa significasse vivere senza quell'amore: gli episodi raccontati a turno non era tristi, erano terribili... violenza, abbandono, soprusi, povertà e ingiustizie impensabili nei confronti di bambino piccolo e, ovviamente, quando arrivò il nostro turno (la mia compagna non ne voleva sapere di aprire bocca) mi sentivo così fortunato e quasi un impostore che, in modo che voleva essere catartico e autoironico, raccontai di quando la maestra in terza o in quarta elementare chiamò un prete che davanti a tutta la classe mi schizzò di acqua santa perché - a detta della vecchia carampana - sicuramente ero indiavolato.
Ribadisco che la cosa voleva essere intesa come un modo per riderci su e detendere l'atmosfera pesante che il racconto dei vissuti terribili aveva fatto calare sul gruppo ma mentre sto mimando con una risatina il gesto del prete con l'aspersorio, mi accorgo che tutti i presenti hanno sgranato gli occhi e hanno dilatato le narici, nella più classica delle espressioni che indicano un sentimento infraintendibile...
La furia dell'indignazione.
Cioè... tu a 10 anni hai visto tua madre pestata a sangue da tuo padre e fatta tacere con un coltello alla gola ed empatizzi con me che ti sto raccontando una stronzata buona per uno sketch su Italia Uno?
Mi sono sentito uno stronzo, soprattutto quando la furia ha lasciato il posto a gesti e parole DI CONFORTO per quello che, evidentemente, sembrava loro una prevaricazione esistenziale orribile (cioè, lo era ma, per cortesia... senso delle proporzioni, signori della giuria).
Mi sono quindi rimesso a sedere, incassando il supporto con un certo qual senso di vergogna, finché poi non è arrivato il momento della condivisione dei momenti felici.
Silenzio di tomba.
Nessuno parlava.
Nessuno riusciva a ricordare qualcosa che lo avesse reso felice.
Con un nodo in gola - perché avevo capito che razza di vita avevano avuto le persone attorno a me - mi rendo conto che io ne avevo MIGLIAIA di momenti felici da condividere ma che ognuno di essi sarebbe stato una spina che avrei conficcato nel loro cuore con le mie stesse mani.
E allora mi alzo e rievoco ad alta voce il ricordo felice per me più antico, quello che ancora ora, a distanza di decenni, rimane saldo e vivido nella parte più profonda del mio cuore...
-Le palle di Natale con la lucina rossa dentro. Quando ero piccolo, durante le vacanze di Natale aspettavo che mio papà e mia mamma andassero a letto e poi mi alzavo per andare a guardare l'albero... non i regali sotto, proprio l'albero. Era finto, di plastica bianca spennachiosa, ma mia mamma avvolgeva sempre intorno alla base una striscia decorativa verde a formare una ghirlanda e mio padre stendeva tutto attorno ai rami un filo con delle palle che, una volta attaccate alla presa elettrica, si illuminavano di rosso. Io mi alzavo di nascosto e nel caldo silenzio della notte guardavo le luci intermittenti dipingere gli angoli del divano e del tavolo, con un sottile ronzio che andava e veniva. Ero al caldo, ero protetto, voluto e amato. Se allungo le mani posso ancora tastare quel ronzio rosso che riempe la silenziosa distanza tra me e l'albero e niente potrà mai rendere quella sensazione di calda pienezza meno potente od offuscarne la completezza. Quello era l'amore che mi veniva dato e che a nessuno sarebbe mai dovuto mancare.
A un certo punto sento una mano che mi si poggia sul braccio (avevo chiuso gli occhi per rievocare il ricordo) e accanto a me c'è la mia compagna che sorride, triste e piena di amore allo stesso tempo.
E attorno a me tutti stanno piangendo in silenzio, esattamente quello che col mio ricordo semplice volevo evitare e che invece doveva aver toccato lo stesso luogo profondo del loro cuore.
E in mezzo alle lacrime (che figuriamoci se a quel punto il sottoscritto frignone è riuscito a trattenere) cominciano a scavare tra i ricordi e a tirarli fuori... il cucciolo che si lasciava accarezzare attraverso il cancello della vicina, il primo sorso dalla bottiglietta di vetro di cedrata, la polvere di un campetto da calcio che si appiccicava sulla pelle sudata, l'odore della cantina, il giradischi a pile...
E nulla. Non so più cosa dire e nemmeno cosa volessi dire.
Forse che sembriamo così piccoli, malmessi e fragili ma che se qualcuno ci picchietta sulla testa e sul cuore siamo capaci di riempire il mondo di cose terribili e meravigliose.
Decidere quali ricordare e quali stendere davanti a noi è una scelta che spetta non a chi picchietta ma a chi permette che essi fluiscano da quella parte profonda di sé a riempire lo spazio tra noi e il domani.
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L'inizio
“A poco a poco devi creare intorno a te una nebbia; devi cancellare tutto ciò che ti circonda, finché non si possa dare più nulla per scontato, finché più nulla è certo o reale…”
Questa frase, giunta chissà da dove, gli trapanò la testa in un nanosecondo e invase il suo cervello a ranghi compatti, come una falange dell’antica Roma.
Fortunatamente il foro prodotto permise anche alla musica, che proveniva dal potente impianto stereo poggiato sulla libreria, di entrare e ricamarsi il suo spazio, con un subitaneo effetto benefico.
“C’è un tempo per andare dritti giù all’inferno, c’è un tempo per tornare a saldare il conto…”
La musica e le parole che gli fecero drizzare i peli delle braccia e allargare il cuore, erano quelle della Gang, uno dei suoi gruppi preferiti. Il migliore nella vasta costellazione delle band italiane. Li aveva sempre amati, fin dal loro esordio, oramai molti anni prima. Li aveva ascoltati crescere, passo dopo passo, aveva approvato e condiviso senza riserve la scelta di passare dall’inglese all’italiano per la scrittura dei testi, anche se, lo sapeva con certezza, non sarebbero comunque mai arrivati a tutti con la dovuta forza. Peccato. E peccato anche non averli mai incontrati di persona. Chissà, forse le cose sarebbero potute andare diversamente. Chissà!
“Quando un uomo decide di fare una determinata cosa, deve andare fino in fondo, ma deve prendersi la responsabilità di quello che fa. Qualunque cosa faccia, deve prima sapere perché lo fa e poi deve andare avanti con le sue azioni senza dubbi o rimorsi…”
Queste invece erano le parole del Libro. Dischi e libri insieme. Mescolati tra loro, impastati col suo stesso sangue, a formare un unico corpo con la consistenza del cemento armato e l’elasticità di una tela di ragno.
A ciò stava pensando l’uomo intento a radersi, ben piantato di fronte allo specchio del bagno. E radersi, per lui, non era una semplice operazione quotidiana di pulizia, che so, come lavarsi i denti o farsi la doccia,ma un vero e proprio momento catartico, una pulizia, vero, ma quasi più interiore che esteriore. Del resto anche la stanza da bagno somigliava più ad un luogo di meditazione e purificazione, piuttosto che al luogo che tutti conosciamo e vogliamo che rimanga. Era amplissima e luminosa, bianca, completamente bianca, muri, maioliche, sanitari, cornice dello specchio e la lunga mensola che correva su tre lati delle pareti: tutto rigorosamente bianco. Le uniche concessioni al colore e che davano carattere al luogo erano: la sedia a dondolo in bambù ed una stampa raffigurante l’Urlo di Munch; poste una di fronte all’altra.
“Bruciami l’anima, fammi ridere il sangue nel cuore, bruciami l’anima…”
Questo era il disco.
“C’è di male che una volta che ti conoscono, tu sei una cosa data per scontata e, da quel momento in avanti, non sarai più capace di rompere i legami dei loro pensieri. Io personalmente amo la libertà ultima di essere sconosciuto…”
Questo invece era il libro.
“E passala sta cazzo de palla, Salvato'! E’ vero che l’hai portata tu, ma ci dobbiamo giocare tutti! Cazzo!”
Questa era una voce nuova! E non proveniva né dal libro, né dal disco.
L’uomo terminò di radersi, si risciacquò il viso con abbondante acqua fresca e si affacciò sul vicolo sottostante. Un gruppo di una decina di ragazzini stava giocando al calcio in strada. Era una partita vera, cinque contro cinque, chi arriva prima ai dieci goal segnati, e i maglioni gettati in terra erano le porte regolamentari. La scena lo commosse e lo riportò indietro nel tempo, in un’altra galassia. Anche lui, secoli prima, era stato uno di quei monelli e si era battuto come un leone con i suoi coetanei, nei vicoli del suo paese, così simili a quelle vie della vecchia Roma che, in senso lato, erano diventate la sua nuova dimora.
Ma non aveva tempo per affogare nel miele dei ricordi. Con uno schiocco della lingua li ricacciò indietro e tornò alle sue faccende. Ammirò per l’ultima volta allo specchio il suo lavoro, approvò con un accenno di sorriso il disegno perfetto del pizzetto e si passò ripetutamente il palmo della mano sui corti capelli neri a spazzola. Gli sarebbe piaciuto rasarli a zero, lo aveva anche fatto tempo prima, molto tempo prima, ma si era accorto che dava troppo nell’occhio. Troppe persone lo notavano e non poteva permetterselo; così aveva optato per quel taglio anonimo.
Era vero che, negli ultimi due o tre anni, i pelati erano tornati di moda ed erano cresciuti in maniera esponenziale. E anche se le teste rasate erano ancora ben lungi dal raggiungere il numero delle teste di cazzo, si poteva tranquillamente affermare che la forbice si era ristretta.
Andò in camera ed iniziò a vestirsi. Erano le otto di sera di un bel sabato di fine settembre. L’aria era fresca e pulita e lui aveva un appuntamento cui non poteva mancare. Indossò il suo impeccabile vestito nero, comode ed eleganti scarpe di pelle, anch’esse nere, infilò la pattada sarda nella tasca interna della giacca e fece poi scivolare la sua trentotto special nella fondina ascellare perfettamente nascosta dal taglio dei suoi abiti. Infine spense la luce ed uscì in strada. Il lupo era sceso dalla montagna. La caccia era iniziata.
“Il mondo è un luogo misterioso. Specialmente al tramonto.”
Era di nuovo il libro a far udire la propria voce.
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Sullo scrivere di sesso
Quando scrivo di sesso di solito mi viene una cosa a metà strada fra Le undicimila verghe e Bukowski, l'intenzione sarebbe di fare Céline ma troppa grazia, non mi viene (anche Gadda quando scrive di certe cosine è un maestro, ma di nuovo, Gadda è irraggiungibile, gli viene bene tutto). Non riesco a trovare uno stile, spesso a rileggerle non mi eccitano nemmeno più, mi eccitano solo nel momento in cui le scrivo, ma forse è proprio questo il punto, che sono dei ready-made da prendere così come vengono, dei pezzi che esauriscono la loro funzione nell'atto stesso di scriverli, come dicono i professori: hanno un valore catartico. Invece De Sade è una roba ridicola, ne avevo cominciato una parodia del tipo La nuovissima nuovissima Justine, dove una coppia di sposini coinvolge nel suo ménage anche la sorella nubile di lei, Juliette, ma finisco per incartarmi sullo stile. Forse dovrei farmi meno questioni di stile.
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Saludos, voy a escribir esto en mi lengua materna ya que quiero desahogarme y así me resulta más catartico (y más fácil). Entonces, la cuestión es que soy una persona autista de 23 años sin grandes necesidades de apoyo (aunque todavía las tengo) con muy poca ayuda y hace algo más de dos semanas mi hermana tuvo una conversación conmigo en la cual, en resumidas cuentas, dijo que le preocupa que no tenga más amistades/relaciones (algo con lo que tengo muchos problemas), que no quiere tener que ser responsable de mi y que mi personalidad/manera de mostrar cariño/afecto le resulta agotadora, con ejemplos de que no le gusta que le hable o este con ella cuando llegamos del trabajo o que le pregunte sus opiniones y cosas así, además de que me había estado tratando de manera desagradable durante días antes de esto. Pues, viniendo esto de la única persona en esta tierra con la que me siento medianamente bien o confortable, verán que fue bastante fuerte y revelador para mí. En fin, eso el mismo día en que me enfermé y tuve que faltar al trabajo debido al burnout y parece que todo solo ha empeorado en mi cabeza y en mi comportamiento desde ese día. He estado constantemente iracundo/triste durante casi 3 semanas (no lo recomiendo), agotado mental y físicamente, con dificultades para hablar y con un deseo de suicidarme que no para, es literalmente en lo único que pienso. Sigo pensando en como no les resulto agradable a las únicas personas con las que he convivido de cerca en mi vida y cómo se molestan cuando muestro el hecho de que no soy solo un cerebro con patas glorificado con todo resuelto y que de verdad tengo problemas y necesidades. Solo me ha recordado con más fuerza que no importa que tan bien me pueda llevar con las personas en un momento dado, siempre me siento como si no pudiera hacer una conexión genuina con nadie, que nadie realmente me entiende o tiene interés en hacerlo y que al final mi verdadero yo solo le resulta extraño, rígido o intenso a los demás.
#actually autistic#autism#disability#autistic things#mental illness#actually mentally ill#adhd#adhd problems
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
Gaia Giani
Playlist Playlast. The impossible Karaoke – Partecipative Performance
Micamera, Milan + More
Se mi lasci ti cancello è un film di 20 anni fa in cui per smettere di soffrire per amore si immagina di eliminare dalla memoria chi non ci ama più. Ora che le tracce digitali delle nostre relazioni sono ovunque e sempre a portata di smartphone, quando finisce un amore dobbiamo decidere che cosa farne, se no quella memoria resta sempre con noi. Non si tratta solo di messaggi, foto, link e video, ma anche di canzoni. L'artista visiva Gaia Giani e il suo compagno hanno condiviso esattamente 2244 brani, ovvero 200 ore e 41 minuti di musica (il corrispettivo di 9 giorni e notti) per colmare la distanza di 10mila km e 9 ore di fuso orario tra Italia e Arizona di una relazione durata oltre 4 anni, iniziata a novembre 2019 quando si sono conosciuti a Milano, e vissuta du- rante la pandemia, che ha posticipato a gennaio 2021 la prima volta in cui si sono potuti rivedere. Le canzoni sono state il loro linguaggio, come lettere d'amore per dire ciò che si vuole esprimere senza dirlo esplicitamente, creando un'ambiguità fantasmatica che si alimenta di bellezza e di struggimento. È stato lui a iniziare Gaia a questa arte delicata di fare playlist: il giorno di Natale 2019 le ha inviato un dono digitale, una playlist privata su Spotify dal titolo Photo-Karaoke (sono entrambi artisti e la prima sera in cui sono usciti sono andati al karaoke). Nel corso della relazione hanno creato insieme altre 16 playlist tematiche (Summer Dream in a Pandemic Year, Ninna Nan- na-Close Your Eyes etc...) come loro dialogo quotidiano intimo: lui postava una canzone e Gaia rispondeva con un'altra e così via, e il brano che lui aggiungeva alla playlist la sera era la prima cosa che Gaia ascoltava al mattino. Ogni playlist era un viaggio e un'attesa tra un viaggio e l'altro e i testi rappresentavano tutte le parole non dette, le emozioni, la seduzione e il desiderio; chiama- vano la loro relazione creativa "our hood", la nostra capanna, il nostro cappuccio di felpa sotto cui sentirsi al caldo. Quando a marzo di quest'anno Gaia si è sentita dire che non era una buona idea andarlo a trovare, ha capito che era finita e senza un vero perché. Da allora ha iniziato a indagare, partendo da quello che aveva di più vicino, il profilo di lui su Spotify, e si è resa conto che, a partire da un certo momento, lei non era più il "my first and only Spotify love" come lui le aveva scritto. Le dichiarazioni d'amore non durano in eterno, e quando ha realizzato che era proprio finita, si è proiettata alla ricerca di un perché. Da lettere d'amore le playlist si sono trasformate in possibili indizi della fine di una relazione e Gaia ha passato molto tempo a ricostruire quello che era suc- cesso controllando capillarmente l'attività di lui sulla piattaforma musicale. Per aiutarla a uscire da questa ossessione, le persone a lei più vicine hanno iniziato a suggerirle di buttare via tutte le playlist come atto catartico e poi, un po' per gioco, è nata l'idea di farlo insieme, inventando un rito collettivo da vivere con gli amici: una performance-karaoke per cantare e ballare assieme un'ultima playlist creata per l'occasione e battezzata Playlist Playlast, ricavata autorizzando gli amici a entrare nelle 17 playlist private della loro relazione e a selezionare con la sua supervisione 17 canzoni per raccontare la sua storia. Il primo brano è Eight Days a Week dei Beatles e l'ultimo è Dancing with Myself di Billy Idol, come un punto esclamativo finale. Un atto di cura verso se stessa e di guarigione dal dolore.
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Momento catartico
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11 giungo 2011
I nomi degli artisti che si sono esibiti al gay pride di Milano non me li ricordo. È una grossa differenza con l’ultimo gay pride a cui sono stata nel lontano 2011, anno in cui io stavo per compierne 30 e decisi di andare da sola a percorrermi l’ultimo tratto perché volevo, anche, sentire Lady Gaga al circo massimo. Sì perché nel 2011 vivevo a Roma e adesso, 2023, vivo a Milano, o quasi.
L’11 giugno del 2011 abbiamo festeggiato i 30 anni del mio migliore amico in campagna dai suoi, a Rieti. Bellissimo posto, bellissima cascina, bellissima compagnia. Eravamo già abbastanza grandi da essere ognuno in un posto diverso del mondo, infatti Nando era tornato da Grenoble, Manu dalla Svizzera, Tommaso da Berlino, Riccardo da Cambridge e io stavo per andare via, dopo 13 anni di vita, dalla città che mi aveva cresciuto. Il 2011, io ero già alla terza o quarta vita, avevo già vecchi amici che non avrei più rivisto, avevo cambiato già 15 case, due continenti, diversi paesi e stavo per compiere 30 anni, non ero felice. L’11 giugno del 2011 non avevo una casa in cui tornare a dormire, ero una vagabonda, tre anni di convivenza finiti, lavoro precario, sottopagato e frustrante, una vita sessuale randagia, poligamica e insoddisfacente. Finita la festa me ne sono andata al pride, volevo sentire Lady Gaga, presentava il suo secondo album e mi sa che cantò The edge of Glory? Possibile, ho questo ricordo, il circo massimo era stracolmo e i carri del sound erano quelli dei centri sociali e delle organizzazioni non profit sul territorio, qualche partito esponente dei diritti umani. Io ero da sola e fu un momento catartico. Quella sera, me ne andai dal circo massimo e mi chiamò Nando che era in giro, ci trovammo a Monti a bere birra, ad un certo punto ci raggiunsero anche Riccardo e Tommaso e Daria e ce ne siamo andati in giro a bere birra dei bangla e sederci sui gradini per il rione, una calda sera quasi estiva a Roma ho deciso di mollare tutto a andarmene da quella città soffocante e decadente, lontana e diversa da quella che mi aveva accolto. Quella notte restammo con Nando ad aspettare il bus con cui tornava a casa e poi a Grenoble, non l’ho più rivisto, se non in video call. Adesso vive negli USA. Riccardo era andato via poco prima. L’ho rivisto al concerto di Manuchao, qui a Monza, qualche anno fa. È tornato a Roma adesso. Tommaso, Daria ed io passammo la notte insieme, a casa di Daria, in tre nello stesso letto. La mattina prestissimo (poche ore dopo esser tornati) prima di partire per Berlino, lui ci diede un bacio sulla guancia ad entrambe, con delicatezza per non svegliarci e se ne andò in silenzio. Lo ricordo ancora adesso. Lui non è più a Berlino, fino prima della guerra credo fosse in Russia, adeso non saprei. Non l‘ho più rivisto. Io avrei lasciato Roma da lì a poco.
Sabato scorso sono stata al gay pride di Milano, dodici anni dopo.
Sono andata con i mio compagno, una coppia di amici e il loro bambino. Non avevo un goccio di alcol in corpo e nemmeno della droga leggera. Pulita. Ero comunque vestita da zoccola.
I carri col sound non erano più quelli dei centri sociali e delle organizzazioni, ma c’erano quelli degli sponsor, senza i quali oggi la parata sarebbe impossibile, c’era quello della CocaCola, che ai miei tempi si boicottava perché ammazza(va) i sindacalisti in Colombia, c’erano le banche e le corporation.
È anche perché, a scopo di marketing, queste realtà si espongono che la comunità LGBTQI+ ha una voce con una cassa di risonanza, come dice un mio amico.
È anche perché il mercato si è accorto di “loro” che le cose sono cambiate e stanno cambiando in meglio per “loro”, anche, non solo.
Mi da fastidio vedere il carro della CocaCola? All’inizio ero perplessa, ma poi ho pensato che ognuno ha le proprie lotte da vincere, avremo sempre delle lotte da vincere, perderemo dei pezzi, non sapremo a volte quando un saluto è stato effettivamente l’ultimo saluto, cambieremo pelle e chissà se la vita dei sindacalisti ammazzati non sia valsa un passo in più nella lotta, io non posso sapere tutto, non voglio sapere tutto.
Ogni processo tende a complicarsi, se il flusso porta miglioramento allora credere nel flusso.
Devo per forza credere nel flusso.
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non ho abbastanza ex per il momento catartico, però il piantino ci sta lo stesso grazie gazzelle
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ㅤㅤ ㅤㅤ ×× ──── ᴍᴏᴍᴇɴᴛ jan. 23rd, 2025 ⌵ manhattan, ny ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ Battito furente si contrapponeva alla freddezza di quegli occhi cerulei che s'agitavano per tutta la stanza. Sentiva il peso del momento, catartico come ma null'altro avrebbe potuto essere. Sentiva il peso di parole che, una volta pronunciate ad alta voce, sarebbero arrivate ad ogni ospite ivi presente. Vestiti eleganti ondeggiavano come in un caleidoscopio di colori, pronto ad unirsi e amalgamarsi come nella tavolozza di un pittore. Uomini e donne di spicco, persone che erano semplicemente lì per sostenere una causa ben più che degna di sostegno, per offrire quel contributo che ancora troppo spesso bisognava elemosinare. Col suo vestito inamidato, il britannico osservava, ogni dettaglio era stato incamerato nella sua memoria, mentre la mente correva indietro nel tempo, in un passato che aveva seppellito tanto tempo fa, ma che nelle sere più buie gettava i suoi tentacoli per aggredire quella forma di normalità. Un sorriso qui, un'occhiata là, e il cuore che continuava a battere come impazzito. Aveva seppellito nel profondo la sua storia, i ricordi chiusi in un cassetto in cui aveva gettato via la chiave, e le sensazioni soffocate come se non fossero mai esistite. Eppure il suo lavoro era l'unico obiettivo, l'unico punto di riferimento avrebbe mai avuto. Solitario come il buio, avanzò sul palco, appena dopo gli interventi tenutisi poc'anzi e con passò certo arrivò al microfono. Avrebbe mostrato quel lato composto che mostrava ogni volta che incontrava gli studenti della Columbia University, avrebbe mostrato professionalità, compostezza ma la sua mente avrebbe sempre ricordato. ㅤㅤ ㅤㅤ ᴇᴛʜᴀɴ ʀᴀʟᴇɪɢʜ « Ciò che spesso dimentichiamo è che ci sentiamo soli. Soli nel combattere, soli nell'affrontare situazioni difficili, soli con emozioni e sentimenti che nessuno comprende a fondo, e che perfino possiamo definire sbagliate. Ma lasciatemelo dire, nulla di tutto questo è sbagliato, ma soprattutto nessuno di voi è davvero solo. Il mio più grande grazie va alle persone che hanno potuto mettere in atto questa serata, ma soprattutto chi ha avuto il coraggio di osare, di mettersi in gioco per qualcosa che è molto più grande di noi. Impegnarsi in un progetto come questo è per me un onore, e per chi non mi conosce, mi chiamo Ethan Hughes, sono uno psicologo. Non sono una persona di molte parole, chi mi conosce perfino potrebbe sorridere in questo momento, e ogni parola dopo quelle che si sono susseguite sarebbero solamente delle ripetizioni, ma una cosa vorrei che rimanesse nella vostra mente: nessuno di noi è solo, nessuno di noi deve affrontare le cose da solo, non esiste vergogna nel dire "non ce la faccio da solo". Grazie per essere qui questa sera… A tutti voi! » ㅤㅤ ㅤㅤ Era un sorriso quello che abbozzò prima di fare un cenno del capo verso un punto qualsiasi. Gli occhi azzurri come il mare scandagliarono la platea, accolse l'applauso con un semplice ringraziamento silenzioso prima di allontanarsi e scendere per ritrovare quella solitudine che lo avrebbe sempre accompagnato. Avrebbe messo a disposizione il suo sapere, il tuo tempo, ma soprattutto il suo bisogno di aiutare gli altri, avrebbe affrontato con ogni paziente, ciò che lui aveva fatto tanto tempo fa. ㅤㅤ ㅤ
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Da grande lettrice il regalo che preferisco fare (e ricevere) è un libro perché è qualcosa che va oltre la carta stampata e alcune letture te le porti dentro tutta la vita. 💝
Se siete alla ricerca di un bel libro da regalare a un vostro caro o amico o da regalare a voi stessi, perché è bello anche farsi qualche auto-regalo, posso consigliarvi "Il tesoro è nei ricordi. Diario di un amore felino". È una lettura che vi lascerà qualcosa, un romanzo autobiografico delle mie gatte, Nanà e Muschy, piena di amore, che immedesima il lettore e lo sensibilizza al rispetto e amore per gli animali ed è adatta anche ai più piccoli.
Una lettura piena di amore❣️
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TRAMA: ✒️
"Non puoi amare se non ti permetti di soffrire."
Nanà e Muschy, le due povere gatte compagne di vita dell'autrice, sono le protagoniste di questo diario memoir. Grazie a loro Elena conobbe un mondo nuovo e affascinante, fatto di giochi, piccoli riti quotidiani e racconta come ne fu arricchita a sorpresa.
Nel momento di dirgli addio per l’autrice contarono l'affetto e i ricordi, perché non furono solo animali domestici o, peggio, oggetti sostituibili, ma visse un vero e proprio lutto.
Un'intima confessione d'amore, fatta di coccole e graffi, scoperte e dubbi, curiosità e paure, gioie e rimpianti, crescita e colpe, in cui le emozioni si mescolano ai ricordi e al senso di colpa, fino a diventare un potente strumento catartico.
Un romanzo autobiografico per gli amanti dei gatti.
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Hace unos meses tomé una de las decisiones más importantes de mi vida, aunque necesite un momento catartico para que se ejecutará; el saber que ya no amaba como naturalmente lo hacía, me culpe enormemente de no dar el amor que esperaban de mí, pero sé que eso abstracto del amor es inagotable, mutable, que mejor lo aleje de la violencia que causaba y en ese trayecto volvió el amor, con otra forma, otro color, otro cuerpo, otros regalos, una nueva vida. La transmutación se manifestó.
El mejor regalo que he dado es dejar la apertura a qué el amor se transforme en mí y los vínculos de mi pasado y presente, deseo que broten de manera amable los nuevos afectos y que la manzana olímpica; ese fruto dorado que tanto he anelado, pueda ser deborada por todos.
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Saremo noi: Giorno 8
Che fatica scrivere oggi! Non so se per mio sovraccarico personale o se la seconda settimana di scrittura quotidiana sta chiedendo il suo scotto. Anche oggi ho superato le duemila parole e di questo passo potrei perfino raggiungere le 15mila parole domani, ma sta arrivando il weekend e so che il tempo che potrò dedicare alla scrittura sarà molto ridotto, quindi non voglio caricarmi di troppe aspettative.
Quante parole ho scritto: 2029 // 13100 (totale)
Quando ho scritto: dalle 11:00 alle 12:30 e dalle 17:00 alle 19:30.
Che musica ho ascoltato: Credo di aver ascoltato tutta la playlist del romanzo due volte e poi una playlist con suoni di treni, perché ero in difficoltà e avevo bisogno di ricentrarmi.
Osservazioni: Ho chiuso l'ultima sessione di oggi con una scena molto intensa che è stata lunga da preparare, ma sorprendentemente rapida da scrivere. Cielo è sul punto di avere un meltdown e ho dovuto descrivere tutta l'escalation che la porterà a esplodere. Una volta definiti gli elementi scatenanti, mi è bastato attingere alla mia esperienza personale: è stato faticoso, ma anche catartico, in un certo senso.
Estratto di oggi:
«Sei arrivata quarta, sai?» Aggrotto le sopracciglia. «Come?» «In classifica, eri quarta.» «Come fai a saperlo?» «Ho fatto una visita alla sala stampa e sono riuscito a ottenere una copia della classifica completa.» «Non ci posso credere!» Gli colpisco il braccio. «Posso vederla?» Me la passa dal finestrino. «Guarda chi c’è in cima.» Guardo il foglio. Al primo posto della classifica c’è Cielo. Maryam si è posizionata subito dietro di me. «Sai che cosa significa, vero?» Karl riprende la lista. «Al momento è lei il tuo avversario principale.» «Ci sono tre posti al festival in palio. Se vince lei, non significa che perdo io.» «Può essere… Verrà stasera?» «No. Gliel’ho chiesto, ma ha preferito tornare a casa.» «La prossima volta convincila a restare.» Mentre lo guardo allontanarsi in auto mi chiedo se si ricordasse che è proprio quello il titolo della sua canzone.
A domani!
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Enzo D'Alò racconta il cinema di animazione in Italia
http://www.afnews.info segnala: “L’animazione è la possibilità di raccontare con delle tecniche, che ormai padroneggio, delle storie dai contenuti forti, in maniera poetica e metaforica. L’animazione è un processo di identificazione e di partecipazione, un momento catartico. per chi vede trasformarsi alcuni personaggi in quelli che ritrova nella vita reale”. Parola di Enzo D’Alò… Leggi il resto…
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