#moda anni sessanta
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Style Elle Nos Années 60
François Baudot - Jean Demachy
Filipacchi, Paris 2002, 182 pages, 18x23cm, ISBN 9782850187476
euro 40,00
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La mode des années 60 autorise toutes les folies, encourage toutes, les audaces. De jeunes couturiers s'en donnent à cœur joie : Paco Rabanne s'attaque au métal pour Françoise Hardy, Pierre Cardin se joue des formes et des couleurs, Yves Saint Laurent ouvre sa propre maison de couture... Et les robes de Courrèges virevoltent dans les surprises-parties au rythme de Bob Dylan ou de Johnny, l'idole des jeunes. La mode aussi a ses idoles : les top-models font leur apparition. La fine silhouette de Twiggy et les grands yeux clairs de la " Shrimp " s'affichent un peu partout sur papier glacé. La popularité des stars hollywoodiennes ou de " Salut les Copains " se mesure dans la rue où l'on adopte le chignon impeccable d'Audrey Hepburn et les couettes ébouriffées de Sheila. Quarante ans plus tard, nous continuons d'être fascinés par cette décennie enchantée. Mieux qu'aucun miroir, ELLE a su en saisir tout l'éclat et les nuances. Et c'est à travers son prisme que nous pouvons la redécouvrir aujourd'hui.
16/04/24
#Stile Elle#LDO#Années 60#sixties fashion#Paco Rabanne#Pierre Cardin#YSL#Courrèges#Twiggy#Audrey Hepburn#Sheila#Romy Schneider#Alain Delon#moda anni sessanta#fashion books#fashionbooksmilano
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“In un commento su Instagram mi chiedevano di non vestirmi con abiti tropo attillati. Avevo infatti condiviso un video selfie in cui rispondevo a un tipo che mi aveva scritto "Dio Loredana non cominciare anche tu a uscire con le mutande, adesso. Questo commento da parte di un utente anonimo, che si firma con un punto interrogativo mi ha davvero infastidito, perché sono conosciuta anche per il mio atteggiamento da sempre trasgressivo, fiero della propria libertà. In una storia ho dunque risposto a muso duro alla richiesta, ribadendo di voler fare quello che voglio, senza che nessuno possa decidere per me. Quindi, caro punto interrogativo, visto che manco ti firmi, io in minigonna ci sono nata. Ricordi gli anni 60? Forse non c'eri, io sì. Comunque mi vesto come caz*o mi pare. A qualunque età, ragazze, donne vestitevi come volete, come vi sentite meglio con voi stesse e con gli altri. Io sono per la libertà totale, quindi sono libera di vestirmi e di fare quello che cavolo voglio.
Suggerisco a chi mi sta leggendo di prendersi la libertà di fare quello che si vuole, anche di poter uscire con la minigonna nonostante l'età. Ricordatevelo bene anche voi, fate come me: a sessanta anni, ma anche a settanta avete delle belle gambe? Mettete la minigonna più corta che avete, come me, ciao smack. E aggiungo, anche se non avete delle belle gambe mettete pure la minigonna, chi se ne frega. E a te, incognito, questo:🖕🏻. Ciao".
Loredana Bertè
(pienamente d'accordo con te, carissima Loredana)
(sei stata per me una grandissima amica e lo sei ancora , anche se mi facevi disperare con le creazioni di moda)
Un'abbraccio forte♥️
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Perfetti per l'estate
Come di consueto, proponiamo agli affezionati lettori delle biblioteche milanesi la nostra rubrica di consigli di lettura, perfetti per l’estate!
Fonte: Pexels
La recente ristampa de Al paradiso delle signore di Zola è una ghiotta occasione per leggere un romanzo avvincente, tomo XI del ciclo dei Rougon-Macquart: un feuilleton di gran classe per gli appassionati di moda, scritto da un maestro nell’arte della descrizione (il tema è simile a quello de Il ventre di Parigi, ma concentrato sull’abbigliamento), “che esplora lucidamente l’universo femminile”, spaziando per tutti gli strati sociali della Parigi di metà Ottocento. Una lettura che analizza la nascita di un fenomeno moderno tuttora in espansione: il grande magazzino, oggi diventato centro commerciale (come in Il denaro si descriveva la bolla finanziaria del 1860, profetica di quelle dei nostri tempi). Non erano necessarie le parole di Gide (e di molti altri critici citati nella preziosa prefazione di Mario Lunetta) per rivalutare questo capolavoro. Iperbolico, lussureggiante, immaginifico.
A questo romanzo è vagamente ispirata la serie televisiva italiana trasmessa da Rai 1 dal 2015, ora diventata una vera e propria soap, ma ambientata tra gli anni cinquanta e sessanta a Milano, dove esistette davvero un negozio chiamato “Paradiso delle signore”.
Ironico (di un’ironia antifrastica), divertente, scorrevolissimo, Di chi è la colpa? fu pubblicato nel 1947 ed è l’unico romanzo dello scrittore russo Aleksandr Ivanoviĉ Herzen. Dimenticatevi Tolstoj e Dostoevskij, il suo stile ricorda piuttosto il Gogol’ fantasioso e stravagante dei racconti. Citiamo dalla prefazione di questa recente ristampa: «È strano che questo straordinario scrittore, in vita celebre personalità europea, stimato amico di Michelet, Mazzini, Garibaldi e Victor Hugo, a lungo venerato nel suo paese non solo come rivoluzionario, ma come uno dei più grandi uomini di lettere, sia tuttora poco più di un nome in Occidente. Il piacere che si ricava dalla sua lettura … rende ciò una strana e ingiustificata perdita». Sottoscriviamo in pieno.
È già in testa a tutte le classifiche la nuova avventura, attesa da ben sei anni dopo Il morso della reclusa, dell’ispettore Adamsberg, creato dall’abile penna della scrittrice francese Fred Vargas, questa volta in trasferta nella selvaggia Bretagna, il regno di Asterix e dei menhir. Sulla pietra è il decimo resoconto della serie dell’improbabile ispettore e le profonde conoscenze storiche dell’autrice si dispiegano felicemente in questo noir ricco di misteri e di legami con il passato.
Appena ripubblicato da Edizioni Capricorno nella collana Capolavori Ritrovati, L’altare del passato di Guido Gozzano ci consente di scoprire, se ancora non l’abbiamo fatto, la prosa del poeta di “Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state”. In questi undici racconti “riaffiorano tutti i temi cari al poeta - la malinconia, il rimpianto per il tempo che passa, i ricordi ingialliti, l’esitazione amorosa, l’indulgenza verso gli oggetti inutili”.
A cento anni dalla nascita dell’autore (New Orleans 1924 - Bel Air 1984) Garzanti ha appena ripubblicato Bare intagliate a mano: cronaca vera di un delitto americano (presente anche nella raccolta Musica per camaleonti), sorta di reportage esposto in forma narrativa di Truman Capote. Non potevamo aspettarci niente di meno dallo scrittore che, dieci anni prima della pubblicazione di questo giallo, in Sangue freddo (da cui nel 2005 è stato tratto un film con la strepitosa partecipazione di Philip Seymour Hoffman) aveva romanzato un fatto di cronaca che nell’America del 1959 aveva destato grande scalpore: lo sterminio di un’intera famiglia per un bottino di pochi dollari.
Anche questo thriller, per quanto incredibile possa sembrare la sua progettazione (e poi realizzazione), si ispira alla realtà, raccontata in forma di dialogo tra l’autore e l’investigatore incaricato delle indagini. Uno stile assolutamente inimitabile.
Ambientato in una Milano semideserta di metà agosto (il cadavere di una donna annegata viene recuperato nel Lambro) Le conseguenze del male di Gian Andrea Cerone è ormai un best seller. Avevamo già proposto questo autore nel post natalizio (I libri della renna) per un racconto contenuto nell’antologia Un lungo capodanno in noir, la cui protagonista, Marisa Bonacina, era la moglie del commissario Mandelli, che invece campeggia in questo thriller estivo da leggere tutto d’un fiato. Il numero di donne trovate annegate è decisamente troppo alto perché si tratti sempre di suicidi e, contestualmente, il commissario, costretto a interrompere le ferie, si trova a fare i conti con il passato. Un duplice percorso di indagine guidato da una scrittura che attanaglia l’attenzione del lettore per non abbandonarla più.
Il Saggiatore ha appena ripubblicato una raccolta dei racconti di un autore ingiustamente dimenticato, Guido Morselli, intitolata Gli ultimi eroi. “Gli ultimi eroi raccoglie per la prima volta tutti i racconti di Guido Morselli, narrazioni in cui, come solo nelle sue opere più alte, la sua invenzione si libera, dando vita a realtà alternative e a commoventi ritratti umani: da un Mussolini che si trasforma per amore in leader democratico all’incontro fra Pio XII e uno Stalin che vuole sostituirlo con un sosia; dall’ultima grottesca resistenza di un gruppo di soldati nazisti fuggiti da un manicomio a un comico tentativo di far finanziare agli americani l’Unità d’Italia. Fantasmagorie proiettate sul muro da una lanterna magica, la cui luce ci permette di osservare per una volta, una volta ancora, l’abbacinante talento di un maestro nascosto”. Da non perdere.
Se ancora non l’avete letto, vi consigliamo Zipper e suo padre, uno dei migliori romanzi di Joseph Roth. Ambientato durante gli anni della Grande guerra e della repubblica di Weimar, è incentrato sul tema universale dei rapporti familiari e questo ne fa un’opera sempre attuale. Dal padre frustrato che maltratta e umilia la moglie e il figlio primogenito, al protagonista (amico del narratore, rappresentato dallo scrittore stesso) Arnold che, dopo la partecipazione al conflitto, si isola diventando angolista, neologismo che indica la sua volontà di stare in disparte in qualsiasi circostanza sociale, la famiglia Zipper rappresenta il simbolo dei danni provocati dalla guerra. Il risultato è la formazione di una generazione di indifferenti (per citare le parole dell’autore), proprio come li descriveranno Gramsci, nell’articolo Odio gli indifferenti, e Moravia, nel suo capolavoro. Si gusta ogni singola pagina.
#emile zola#herzen alexandr ivanovic#fred vargas#guido gozzano#truman capote#gian andrea cerone#guido morselli#joseph roth#antonio gramsci#alberto moravia#philip seymour hoffman
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Lila De Nobili
a cura di Vittoria Crespi Morbio
Testo di Vittoria Crespi Morbio, Polline di luce. L’arte di Lila De Nobili
Testimonianze: Gianandrea Gavazzeni; Carlo Maria Giulini; Franco Mannino.
Apparati: nota biografica e cronologia delle opere a cura di Emilio Carcano e Vittoria Crespi Morbio; catalogo delle opere realizzate per il Teatro alla Scala.
Ed.Teatro alla Scala, Milano 2002, 139 pagine, 24x29cm
euro 40,00
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Mostra Palazzo Busca Milano 2 ottobre 2 dicembre 2002
Nasce il 3 settembre 1916 a Castagnola (Lugano)
da una famiglia di origine ungherese da parte di madre, sorella del pittore Marcel Vertès, e ligure da parte di padre, un uomo d’affari che tra le varie iniziative produceva sigari toscani, che esportava negli Stati Uniti.
Le sue residenze durante l’adolescenza sono i grandi alberghi delle capitali europee e di New York. A Roma, dove studia presso l’Accademia di Belle Arti, abita con la madre al Grand-Hotel. Ma
la sua dimora eletta sarà Parigi dove trascorre la maggior parte della sua vita, dalla fine degli anni Quaranta fino al giorno in cui si spegne, il 19 febbraio 2002.
A Parigi frequenta l’Académie Ranson e debutta negli anni Quaranta come disegnatrice di moda e decoratrice d’interni. Collabora per Vogue (disegna i figurini per le collezioni Molyneux) e progetta memorabili vetrine per Hermès.
Si dedica casualmente alla scenografia nel 1947, per compiacere un’amica attrice, Françoise Lugagne, il cui marito, il regista Raymond Rouleau, insisteva nel chiedere di dipingere una scena. Con la rappresentazione di La rue des anges (Angel Pavement) di Jolm Boynton Priestley al Théâtre de Paris, comincia a dedicarsi al teatro con assoluta dedizione fino agli anni Sessanta, quando sceglierà di concentrarsi esclusivamente sulla pittura.
27/08/24
#Lila De Nobili#mostra Milano 2002#Teatro alla Scala#costumi treatrali#theatrical costumes#rare books#fashionbooksmilano
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Ci sono donne che sposano un rocker, e poi c'è una donna che ne ha sposato due.
Pattie Boyd era una bionda, ragazza dagli occhi da cerbiatta del sud-ovest dell'Inghilterra. Dopo aver trovato il successo nella moda, fu scritturata nel famoso film dei Beatles del 1964 ''A Hard Day's Night ''. Recitò la parte di una scolaretta la cui unica battuta era "Prisoners". Per quanto piccolo potesse essere stato quel ruolo, fu abbastanza per far sì che George Harrison la notasse.
Alla pausa pranzo, lui le chiese di uscire con lui, o più specificamente, gli chiese: "Mi vuoi sposare?" Boyd aveva un ragazzo al momento, e rifiutò.
"Ma sei scema? Lascia subito quel ragazzo'' gli disse un amica, così Boyd lo scaricò.
Pattie e George diventarono una coppia iconica. Lui era il timido Beatle, lei la modella di Vogue . Quando alla fine si sposarono nel 1966, Boyd disse: "Ero così felice che pensavo di poter scoppiare".
Il loro matrimonio fu segnato da diverse pietre miliari. La più famosa fu "Something", la canzone dei Beatles scritta per Boyd da Harrison. Fu lei a introdurre Harrison alla meditazione, gestendo il viaggio altamente pubblicizzato dei Beatles in India nel 1968.
Nonostante l'eccitazione, Boyd affermò che dopo il ritorno dall'India la spiritualità di Harrison lo rese sempre più isolato. Trascorreva ore da solo a cantare e meditare.
Nel frattempo, Harrison era diventato un buon amico di Clapton, che spesso frequentava la loro casa. Boyd capì presto che Clapton era interessata a lei.
Cominciò così l'ultimo triangolo amoroso rock and roll. Mentre Boyd si sentiva trascurata da Harrison, Clapton la riempì di attenzioni e complimenti. Non era solo un flirt leggero. Clapton si era infatuato di lei.
Come racconta Boyd, Clapton la invitò nell'appartamento di Londra che condivideva con i suoi Derek and the Dominos. Voleva farle sentire una canzone su cui stava lavorando. "Era una canzone incredibile", disse. Riguardava un uomo completamente affascinato da una donna, che la supplicava di essere sua. Si chiamava "Layla"
Ci fu una festa quella stessa sera. Boyd, Harrison e Clapton erano presenti. Ad un certo punto, Clapton andò con nonchalance al suo amico e disse: "Devo dirti una cosa. Sono innamorato di tua moglie. "
Harrison diventò furioso, disse a Pattie di andarsene con lui. Invece no, lei rimase con Harrison per altri tre anni. Ciò che alla fine convinse Boyd a lasciarlo fu la scoperta della relazione che Harrison stava avendo con Maureen Starr, la moglie di Ringo Starr.
Boyd e Clapton andarono a vivere insieme e si sposarono il 27 marzo del 1979.
Il che negli anni ruggenti degli anni sessanta, potrebbe essere anche considerato un lieto fine. Se non fosse per il fatto che il loro rapporto fu anche pieno di infedeltà e disordini: presunti amanti da entrambe le parti, le tendenze sempre più alcoliche di Clapton e infine un bambino avuto da Lory Del Santo, provocò una separazione nel 1987 e un divorzio nel 1989.
Per quanto drammatica fosse la situazione, l'amicizia di Clapton con Harrison sopravvisse. Harrison disse una volta: "Preferisco che lei stia con Eric piuttosto che in compagnia di qualche droga"
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Patrick Proctor, in cerca del mondo
Patrick Proctor, che era nato a Dublino il 12 marzo 1936, fu uno dei protagonisti della scena creativa londinese degli anni Sessanta quando, dopo aver lasciato la Slade School of Fine Art nel 1962, divenne famoso grazie a una fortunata mostra alla Redfern Gallery di Londra nel 1963. Da allora Proctor fu capace di tessere un’eterogenea cerchia sociale attorno a lui, con personalità che in seguito divennero soggetti nelle sue opere, come il pittore David Hockney, il regista Derek Jarman, il curatore Bryan Robertson e lo stilista Ossie Clark, e fu una figura di riferimento nel restituire con una propria temperatura i mondi edonistici dell'arte, della musica e della moda, inizialmente lavorando sia con l'olio che con l'inchiostro ma soprattutto nella tecnica dell'acquerello, che adottò durante una vacanza in Europa nell'estate del 1967. Spesso frainteso dai critici che ne individuano un percorso indipendente, anche se molto connesso a quello di Hockney, il pittore vene inserito in categorie che non lo soddisfacevano, ad esempio sul Financial Times fu chiamato Parmigianino della Pop Art, una definizione che lui stesso rigettò. Affascinato dalla luce, Proctor usò l'acquerello per conferire alle sue opere l'impressione di una retroilluminazione, dipingendo in negativo, con una rapidità d’esecuzione in acquerello che lo liberava dai tempi e dalle attese dell’olio su tela, consentendogli quell’approccio sensibile e personale alla pittura, ancora oggi così riconoscibile. Gervase I (1968) fu il primo di una lunga serie di ritratti dedicati da Proctor al giovane Gervase Griffith, un modello di origine sudafricana, che divenne il suo amante e modello per un paio d'anni. Mentre Gervase tentava di sfondare come rocker e produttore, l’artista gli dedicò a una serie di grandi ritratti ad acrilico e ne fece una personale a New York nel 1968, che però fu un solenne fiasco. Proctor non ebbe mai la fama del suo amico Hockney e una lunga serie di relazioni e drammi lo portò a cadere nel vizio dell’alcol e nel 1999 un incendio nella sua casa ridusse in cenere molte sue opere, lasciandolo pieno di debiti e con la salute in declino. Dopo la sua morte, avvenuta a Londra il 29 agosto 2003 all'età di 67 anni, l’arte di Proctor ha riguadagnato una certa attenzione ed è stata al centro di varie retrospettive come quella alla Huddersfield Art Gallery, Sheffield, nel 2012. Oggi le sue opere sono visibili alla Tate Gallery, al MoMA, alla National Portrait Gallery, alla Royal Academy, al MET e in altre fondamentali istituzioni. Read the full article
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ELIO FIORUCCI
Lo stilista, designer e imprenditore Elio Fiorucci a partire dagli anni Sessanta ha rivoluzionato il costume, la moda e la scena dell’arte contemporanea in Italia
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La Polo: Un Pilastro dell’Abbigliamento Sportivo e del Casual Elegante
Le Origini della Maglia Polo
Le radici della maglia polo affondano nella cultura sportiva dell’India coloniale, dove gli ufficiali inglesi scoprirono e adottarono il gioco del polo. Questo sport, già praticato in Persia, Tibet e Cina, fu introdotto in India dai conquistatori musulmani nel XIII secolo. Gli ufficiali britannici, affascinati da questa attività, iniziarono a praticarla con passione, fondando nel 1859 il primo Polo Club, seguito da quello di Calcutta nei primi anni Sessanta dell’Ottocento. Durante le partite, indossavano maglie leggere, perfette per le esigenze del gioco e ideali per le condizioni climatiche indiane.
Il diffondersi delle attività sportive tra nobiltà e borghesia europea alla fine del XIX secolo stimolò la creazione di capi di abbigliamento sportivo adeguati. La maglia polo si inserì perfettamente in questo contesto, diventando un capo essenziale non solo per il polo, ma anche per altre discipline che richiedevano un abbigliamento pratico e comodo. La sua leggerezza e la capacità di assorbire il sudore la resero particolarmente adatta a sport come il tennis e il golf.
L’Introduzione della Polo nel Tennis
Il tennis, uno sport che all’inizio del XX secolo veniva giocato con abiti molto formali, subì una rivoluzione stilistica grazie al tennista francese René Lacoste. Nel 1926, Lacoste disegnò una nuova maglietta, chiamata “jersey petit piqué”, ispirata proprio alla maglia utilizzata dai giocatori di polo. Questo capo, con il suo colletto e i suoi bottoni, era un’innovazione rispetto agli abiti ingombranti e scomodi indossati fino ad allora sui campi da tennis.
Lacoste introdusse una maglia che non solo migliorava la libertà di movimento, ma che si affermò rapidamente come standard per l’abbigliamento sportivo. L’idea di Lacoste di applicare un piccolo coccodrillo sulla maglietta – un simbolo che oggi è sinonimo di eleganza sportiva – rese la polo ancora più riconoscibile e desiderabile. Con la fondazione dell’azienda Chemise Lacoste nel 1933, la maglia polo divenne un fenomeno globale, conquistando sia il mondo dello sport che quello della moda.
L’Evoluzione della Polo: Dallo Sport all’Uso Informale
Il termine “polo” originariamente significava “palla” (dal tibetano “pula”), ma presto venne associato all’indumento indossato dai giocatori di questo sport. A fine Ottocento, i giocatori di polo cominciarono a preferire maglie con colletto e bottoni, per evitare che i colletti si sollevassero durante il gioco. Questa innovazione stilistica fu notata da John Brooks, che la introdusse nella produzione delle camicie “button-down”, ancora oggi un classico nell’abbigliamento sportivo e casual.
Negli anni Cinquanta, il termine polo si estese a tutte le magliette utilizzate nel tennis, consolidandosi come un capo di riferimento. Nel 1972, Ralph Lauren lanciò la sua linea di moda chiamata “Polo”, consacrando definitivamente la maglia polo come un’icona di stile, sia sui campi da gioco che nelle occasioni informali.
L’azienda argentina La Martina, fondata nel 1985, ha contribuito ulteriormente alla diffusione della maglia polo, producendo non solo selle e stivali, ma anche magliette per le squadre di polo. Le maglie Replica, fedeli riproduzioni delle maglie indossate dai giocatori, sono oggi molto popolari per il loro design accattivante e i dettagli curati, inclusi loghi e numeri ricamati.
La Polo Oggi: Un Capo Versatile e di Tendenza
Oggi, la maglia polo è un elemento chiave dell’abbigliamento sportivo e casual in tutto il mondo. Grazie alla sua capacità di combinare stile e praticità, la polo è ampiamente utilizzata in contesti dove non è richiesto un abbigliamento formale, ma dove un look completamente casual potrebbe risultare inappropriato. La versatilità della polo, disponibile in versioni a manica corta o lunga, la rende una scelta ideale per chi cerca un compromesso tra eleganza e comfort.
La polo continua a essere un capo fondamentale nell’abbigliamento sportivo, apprezzata non solo per la sua storia e tradizione, ma anche per la sua capacità di adattarsi alle esigenze moderne. Che sia indossata sul campo da golf, durante una partita di tennis, o semplicemente per un’uscita informale, la maglia polo rimane una scelta di stile senza tempo, capace di attraversare decenni senza mai passare di moda.
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Isabella Rossellini
Buon compleanno, Isabella Rossellini!
Isabella Rossellini è modella, attrice, scrittrice, produttrice, regista, etologa e fiera fondatrice della fattoria organica MAMA Farm.
Una vita intensa in cui ha saputo costruirsi e ricostruirsi seguendo le proprie attitudini.
Figlia d’arte di due figure iconiche del mondo del cinema, l’attrice svedese Ingrid Bergman e il regista italiano Roberto Rossellini, è nata il 18 giugno 1952 a Roma.
Fin da piccola ha frequentato i set cinematografici, anche se il suo più grande interesse era per i costumi, più che per la recitazione. Ha studiato all’Accademia di costume e di moda della capitale e iniziato a lavorare come assistente costumista per alcuni film del padre. Ha debuttato sul grande schermo nel 1976, nel cast di Nina, accanto a sua madre, diretta da Vincente Minnelli.
Ha recitato in cast internazionali con registi del calibro dei fratelli Taviani, David Lynch, Nikita Mikhalkov, Abel Ferrara, Peter Greenaway, per citarne alcuni.
Nel 1979 si è trasferita negli Stati Uniti dove ha iniziato a lavorare come modella. Fotografata da artisti come Bruce Weber, Richard Avedon, Helmut Newton, Annie Leibovitz e Robert Mapplethorpe, è comparsa sulle copertine delle maggiori riviste femminili come Vogue, Marie Claire, Harper’s Bazaar, Vanity Fair e Elle.
Nel marzo 1988 le è stata dedicata una mostra fotografica, chiamata Ritratto di donna, presso il Museo d’Arte Moderna di Parigi.
Anche la pop star Madonna ne ha celebrato la bellezza inserendola prima nel videoclip Erotica e nel libro fotografico Sex.
L’industria cinematografica statunitense, all’inizio, diffidava di lei, la sua fortuna è stata quella di aver lavorato per produzioni indipendenti o europee grazie alle quali non è stata etichettata in alcun modo.
Protagonista di diversi documentari, nel 2023 è stata diretta da Alice Rohrwacher in La chimera, presentato in concorso al Festival di Cannes. Nello stesso anno ha ricevuto il premio alla carriera ai David di Donatello e alla Festa del Cinema di Roma.
Insignita di altri prestigiosi premi, ha ricevuto un Independent Spirit Awards come migliore attrice protagonista per la sua parte in Velluto blu, una nomination ai Golden Globe come migliore attrice in una miniserie per la tv per il suo ruolo in Crime of the Century ed una nomination agli Emmy Award come guest star nella serie drammatica Chicago Hope.
È consigliera del Wildlife Conservation Network e direttrice della Howard Gilman Foundation, istituzione impegnata nella salvaguardia della natura e nella conservazione dell’arte, della fotografia e della danza. Ha anche collaborato con il Central Park Conservancy e sostiene varie associazioni per l’addestramento di cani-guida per persone cieche. È stata anche amministratrice della George Eastman House che le ha conferito un premio onorario per il sostegno alla conservazione dei film.
Ha scritto diversi libri tra cui l’autobiografia, Some of me, nel 1997; Looking at Me (on pictures and photographers) nel 2002 e In the name of the Father, the Daughter and the Holy Spirits: Remembering Roberto Rossellini, nel 2006, che è stato accompagnato dal cortometraggio di Guy Maddin Mio padre ha 100 anni in cui ha interpretato quasi tutti i ruoli, maschili e femminili. In My Chickens and I, del 2018, documenta la sua esperienza e ricerca sull’allevamento di galline di razze antiche.
Il coraggio di sperimentarsi l’ha portata a diventare regista a cinquant’anni e il grande amore per gli animali a conseguire una laurea in etologia a sessanta.
La prima parte della sua vita è stata definita dalla fama di altre persone, in primis i celebri genitori e poi i suoi celebri compagni come Martin Scorsese, Gary Oldman e David Linch.
Nella seconda è prevalsa la passione per gli animali e la natura.
Trascorre gran parte del suo tempo al MAMA Farm, azienda agricola incentrata sulla biodiversità che ha fondato nel 2013 sulla costa sud di Long Island, nello stato di New York.
Attenta alla sostenibilità e alla moda etica, per cui ha condotto numerose campagne, ha istituito un fondo che eroga borse di studio che premiano studenti e studentesse di moda che integrano la lana di pecore di razza antica e filiera certificata nelle loro collezioni.
Ha anche sviluppato una capsule collection utilizzando i filati provenienti dalla sua fattoria.
Regista di deliziosi film educativi sugli animali in cui si traveste da verme, mosca, lumaca.
Isabella Rossellini, libera, originale, ironica, intelligente, impegnata, sul suo profilo Instagram, in cui è molto attiva, si definisce: attrice, film maker e contadina.
Accetta con disinvoltura il passare degli anni, ama le sue rughe e continua a sfoggiare il suo bellissimo sorriso, lanciando messaggi di consapevolezza e libertà femminile, insistendo sulla cultura della cura dell’ambiente e di ogni specie animale.
Ritiene l’arte di invecchiare un oscillare tra ottimismo e incoscienza, tra inseguire i sogni e farsi sopraffare dai problemi, gettarsi in nuove sfide, come un corso di ornitologia, e non considerare mai di essere nell’ultimo atto della propria vita.
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Roma: intervento di valorizzazione dei reperti archeologici nel Parco d'Affaccio a Ponte Milvio
Roma: intervento di valorizzazione dei reperti archeologici nel Parco d'Affaccio a Ponte Milvio. Nell'ambito dei lavori di realizzazione del Parco d'Affaccio "Oasi di Ponte Milvio", sono stati riportati alla luce parte degli antichi argini del Tevere in tufo, risalenti al I secolo a.C., un tratto dell'Antica via Flaminia con il tradizionale basolato imperiale e un tratto di sanpietrini del '900. Già nel corso delle indagini archeologiche preventive si era individuata un'area di particolare interesse caratterizzata dalla presenza di un cippo di età romana e un muro in blocchi di tufo, parzialmente affiorante tra la vegetazione. Al di sotto di sedimenti alluvionali recenti è stato, inoltre, riportato in luce un complesso di strutture poste a ridosso della sponda destra del Tevere, afferenti un'antica sistemazione dell'argine databile probabilmente al I secolo a.C. Le opere menzionate sono state parzialmente esposte nel corso di alcuni lavori realizzati nel 1947. Negli anni Sessanta risultavano ancora visibili, ma successivamente se ne era persa memoria e traccia, poiché completamente sommersi dal limo e, successivamente, dalla terra. L'intervento in corso, oltre ad integrare la documentazione di queste strutture con un corretto posizionamento, offre la possibilità di recuperare fasi di frequentazione più antiche testimoniate da lacerti di strutture in opera reticolata e due basoli individuati sotto la fondazione del muro settentrionale. Il progetto a cura del Dipartimento Tutela Ambientale valorizzerà tali ritrovamenti che rimarranno scoperti e inclusi nelle lavorazioni in corso. I lavori di realizzazione del Parco d'Affaccio, inoltre, non dovrebbero subire rallentamenti. Agli scavi, insieme al personale di Roma Capitale, hanno partecipato tecnici della Sovrintendenza Capitolina e della Soprintendenza di Stato. "Vogliamo che la città si riappropri del suo fiume e questi reperti daranno l'opportunità di caratterizzare uno splendido parco, anche sul piano archeologico e storico, oltre che su quello naturalistico. Questo luogo rappresenta uno degli snodi più importanti dell'antica Roma e noi vogliamo valorizzarlo ancora di più. Questo sarà un Parco d'Affaccio unico, su cui stiamo investendo 1 milione di euro, grazie alla particolarità di reperti archeologici che riporteremo alla luce". Così il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri. "I lavori per la realizzazione del Parco d'Affaccio Oasi di Ponte Milvio continuano regolarmente. Ciò che presentiamo oggi incrementa ulteriormente il valore di questo straordinario parco. I ritrovamenti archeologici saranno parte integrante della fruizione dei cittadini, che potranno godere delle bellezze naturalistiche, archeologiche e del paesaggio romano. I lavori si completeranno entro gennaio del 2025. Da un'area oggi del tutto inaccessibile e sottoposta al degrado, al termine del nostro intervento avremo 6,5 ettari di superficie, di cui 1 ettaro di bosco, completamente bonificati e riqualificati. È previsto un percorso di attraversamento in legno antiscivolo e tre aree di sosta attrezzate: una prima area, sotto pioppi e salici, permetterà di godere di un giardino acquatico; una seconda area, al centro del parco, dotata di pavimentazione in legno, sarà un luogo per attività didattiche, in cui dar vita ad una vera "aula verde"; e, infine, una terza area, di rilevante interesse archeologico che potrà unire storia e presente. Il progetto dell'Oasi, come spazio fluviale completamente riqualificato, offrirà ai cittadini l'opportunità di godere davvero del fiume, della sua storia e della sua bellezza. Lavoriamo per far sì che il Tevere diventi il più grande parco lineare della città, una vera infrastruttura ambientale a disposizione di tutte e tutti" - ha dichiarato Sabrina Alfonsi, assessora all'Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei Rifiuti.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Matthias Schonweger Saldi a cura di Valerio Dehò
Vanno fatte alcune considerazioni attorno al kitsch, terribile e affascinante categoria artistica emersa e teorizzata negli anni Sessanta. Intanto è cambiata la sensibilità che lo accolse ed è cambiato anche il gusto: nella moda, per esempio, convivono il minimalismo di Prada con gli eccessi di Westwood o Cavalli. Anche il pubblico è diverso e si è fatta l'abitudine ad accostamenti un tempo giudicati stravaganti . Si può dire che il kitsch abbia vinto? Forse sì, ma soprattutto questa categoria che opponeva la cultura alta a quella bassa, una cultura che fungeva da modello e l'altra che la imitava maldestramente, ormai si è dissolta nell'evoluzione della società e dell'arte. E' accaduto che è scomparso il problema, che gli effetti di un'antica opposizione sono diventati nulli. Il kitsch mostra anche i segni di una riappropriazione da parte degli artisti delle linee basse della comunicazione perchè altrimenti non si capirebbe la lezione delle avanguardie storiche senza il tentativo di far scendere la soglia linguistica del codice artistico fino ai sensi del popolo. E' come portare il ludico nell'arte, come ha sempre fatto Matthias Schonweger, e naturalmente questo comporta l'uso dell'ironia e non quella dell'accettazione di modelli decisamente stuporosi e baloccheschi: l'arte è critica della società e dei modelli di rappresentazione. Un Duomo di Milano di zucchero o il Bacio di Rodin rifatto in fotografia a colori da due aitanti francesi d'aujourd'hui, li puoi far entrare nel mondo dell'arte attraverso la porta del gioco. Del resto cosa fece il sommo Duchamp con i celebri baffi alla Gioconda e cosa fece con le sue inquietanti bambole Bellmer? Le avanguardie, non ultima la grande apoteosi Fluxus che scaturì 40 anni fa, hanno saccheggiato l'universo ridondante del kitsch: basti pensare a quell'eccessivo di Ben Vautier e ai suoi carretti siciliani ricolmi di cianfrusaglie raccattate nei mercati di pulci delle periferie o direttamente dai cassonetti della spazzatura. Il kitsch in fondo contiene non solo la solenne lezione delle avanguardie dal Dada ai fluxisti, ma anche l'approccio popolare di chi vuole dall'arte il piacere del caos, dello sberleffo, dell'inesauribile riserva di possibili meraviglie che hanno origine dall'assemblaggio degli oggetti comuni. Questo Schonweger lo sa bene e la galleria-museo che ha creato a Merano nel Passaggio Steinach è una sintesi di come il kitsch si è evoluto ed è diventato parte integrante della nostra cultura. Inoltre conosce bene i suoi meccanismi perchè da 20 anni riesce a tessere sottili trame tra culture differenti, tra generi distinti, tra mondi incomunicabili. E lo fa senza lasciarsi andare a facili provocazioni, ma anzi restando al di sotto della soglia consentita per scandalizzare il pubblico, per èpater les bourgeois. Accade così che i giocattoli si mescolino con i santini, ma in questo modo scopriamo che questi sono veramente simili tra di loro, che l' origine della loro diffusione consiste nel fatto che sono realmente parenti. L'arte è scoperta, rivelazione di rapporti che non erano ancora stati pensati e dichiarati, ma che tuttavia esistevano.
Questa un'altra caratteristica del nuovo kitsch. Perduto il carattere frammentario ormai abbiamo di fronte delle poetiche rigorose anche se non rigide, Weltanschauung di singoli artisti, ma che sono comunque inscrivibili in una filosofia dell'arte (e della vita) che ci appartiene sempre di più. La mediazione tra culture può certamente portare al kitsch perchè gli accostamenti perdono di significati ulteriori e le stesse origini si mescolano. E' come trovarsi di fronte a delle nuove razze, a degli ibridi o a delle creature partorite dalla fantasia di genetisti ebbri. Non bisogna mai smettere di dubitare, ma certe volte da artisti come Schonweger impariamo delle associazioni che erano nascoste: questa è la sua vittoria sia quando assembla gli oggetti che quando crea nuovi giochi linguistici. Valerio Dehò, gennaio 2003
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Stardust David Bailey
Con un saggio di Tim Marlow
Skira, Milano 2015, 272 pagine, 26x33,8cm, Inglese, ISBN 9788857227795
euro 58,00 - 50% €29,00
email if you want to buy [email protected]
Catalogo Mostra PAC 1 marzo 2 giugno 2015
Oltre 300 fotografie, alcune delle quali inedite, selezionate personalmente da David Bailey dal suo immenso archivio, ripercorrono più di mezzo secolo di carriera del grande artista.
Francis Bacon, Salvador Dalí, Johnny Depp, Bob Dylan, Mick Jagger, Man Ray, Bob Marley, Jean Shrimpton: una straordinaria galleria di attori, scrittori, musicisti, politici, registi, modelle, artisti, ma anche persone incontrate durante i suoi viaggi in Australia, India, Sudan e Papua Nuova Guinea; molti famosi, alcuni sconosciuti, tutti assolutamente coinvolgenti e memorabili. Nato a Londra nel 1938, negli anni Sessanta David Bailey si è affermato nella fotografia di moda come collaboratore di Vogue, divenendo uno dei più popolari esponenti del mondo della fotografia d’autore; la creazione di ritratti, geniali e spesso provocatori, è sempre stata un interesse centrale nella sua attività. Pubblicata in occasione della grande mostra milanese (co-prodotta da Comune di Milano, PAC Padiglione d’Arte Contemporanea e Tod’s) proveniente dalla National Portrait Gallery di Londra, la monografia è suddivisa per temi, con immagini iconiche affiancate da ritratti meno noti e inediti, ed è introdotta da un saggio dello storico dell’arte Tim Marlow. David Bailey, membro onorario della Royal Photographic Society, è considerato uno dei più grandi fotografi viventi. Nel 2001 è stato insignito del titolo di Commander of the Order of the British Empire, come riconoscimento per il suo impegno artistico. Ha recentemente pubblicato Bailey’s East End (2015). Tim Marlow, storico dell’arte inglese, autore di numerosi libri e presentatore di programmi radiofonici e televisivi, è direttore delle mostre della galleria londinese di arte contemporanea
18/01/24
#David Bailey#Stardust#photography exhibition catalogue#PAC Milano 2015#Francis Bacon#Mick Jagger#Joseph Beuys#Anna Piaggi#Jean Shrimpton#Salvador Dalì#Bob Dylan#Man Ray#Bob Marley#Jerry Hall#Jack Nicholson#Diana Vreeland#Grace Jones#Kate Moss#Vivienne Westwood
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'Il talento, lo stilista', mostra celebra Walter Albini
La formazione come illustratore, le collaborazioni come stilista freelance e poi tutto il percorso creativo che lo ha reso uno dei protagonisti della moda italiana, dagli anni Sessanta agli Ottanta. A poco più di quarant’anni dalla sua prematura scomparsa, a Prato si rende omaggio allo stilista Walter Albini con una mostra curata da Daniela Degl’Innocenti ed Enrica Morini, in programma dal…
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Sabato 13 gennaio alle ore 12.00 sarà inaugurata a Roma, nella sala polifunzionale del Museo di Arte Contemporanea Crocetti, in Via Cassia 492, dedicato alle opere dello scultore italiano Venanzo Crocetti, famoso anche per la realizzazione della Porta dei Sacramenti nella Basilica di San Pietro, l’esposizione di alcune opere pittoriche su carta e tela, ispirate al mondo della moda e al costume, realizzate dagli artisti Emanuela Di Filippo e Irakli Mekvabishvili diplomati presso l’Accademia di Belle Arti di Roma da oltre tre lustri, raccolte sotto il titolo “Moda & Costume nelle Arti Visive”. L’esposizione è stata idealmente programmata per essere allestita all’interno di un “Fashion pop up store”, per raccontare il rapporto e l’unione tra il mondo dell’arte e quella del fashion. che, come documenta la storia della Moda, si sviluppa già durante il Modernismo dall’Art Nouveau, nelle Avanguardie agli anni Quaranta, Cinquanta fino a raggiungere la massima espansione negli anni Sessanta in poi.. Emanuela Di Filippo espone una selezione delle sue opere (oltre 200 illustrazioni) eseguite tra il 2014 e il 2023 durante la sua residenza tra Londra, Bristol e Roma: disegni di figure acefale dagli esili tratti e colli slanciati, ispirate alla storia della moda a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta ed in particolare per l’iconico Brand Britannico Biba. Le opere, di varie dimensioni, sono realizzate su carta e tela, in tecnica mista, con campiture vivaci dai colori caldi e freddi, con il fondo rappresentato da una superficie colorata. Attualmente la sua indagine continua a guardare la storia della moda in relazione all'arte, interpretando e schizzando su carta abiti, accessori di Brand Italiani e internazionali inseriti nella piramide della moda. La mostra sarà anche occasione per una breve presentazione di una vasta gamma di corsi di “Fashion Culture”, di “The language of Fashion” e di “The language of Italian Art” che Emanuela offre individualmente durante tutto l'anno. L’artista Georgiano, Irakli Mekvabishvili, in arte Mekira, si ispira ad immagini scenografiche senza tempo, poetiche, classiche e vernacolari, elementi, questi, visivamente incapsulati nella sua serie di lavori nati dieci anni fa che si evolvono fino ad oggi. Un termine appropriato per queste opere sarebbe “Collage Paintings” poiché il collage è una parte importante nel processo della creazione dell’artista. Il progetto nasce dall'idea di ricreare ambienti, scene e personaggi immaginari, enigmatici e surreali. Queste opere attestano la continua ispirazione dell'artista dai testi, il fascino per il teatro, il cinema, la fotografia e Moda. La mostra, patrocinata dall'Ambasciata di Georgia presso la Santa Sede, resta aperta fino al 18 gennaio negli orari di apertura del Museo: dal lunedì al venerdì dalle 11.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 e il sabato dalle 11.00 alle 19.00.
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Derby Club Cabaret: la comicità anarchica e surreale di Milano
Dagli inizi degli anni Sessanta fino al 1985, anno in cui chiuderà definitivamente i battenti, il Derby Club Cabaret fu uno dei punti di incontro più alla moda di Milano. Derby Club Milano – Photo by A Milion Steps Velasca Per più di vent’anni, sul palcoscenico dei coniugi Bongiovanni, si esibirono varie generazioni di comici destinati a entrare nella storia dello spettacolo cittadino e…
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A zonzo per la Francia: Gaston Lenotre
Il maestro della pasticceria francese nel Novecento… Gaston Lenotre nacque il 28 maggio 1920 a Saint-Nicolas-du-Bosc in Normandia, primogenito di due cuochi che fin dalla sua infanzia lo condussero nel meraviglioso mondo dell’arte della cucina francese. Poco più che ventenne Gaston dovette affrontare il terribile periodo della Seconda Guerra Mondiale, anni dove il settore gastronomico in gran parte del mondo crollò totalmente. Nell’immediato dopoguerra, il giovane cuoco dimostrò una grande forza d’animo e iniziò a girare Parigi con la bicicletta vendendo i suoi cioccolatini a chi incontrava per strada e nel 1947 riuscì, con la prima moglie Colette, ad aprire la sua prima pasticceria nel leggendario 16esimo arrondissement. Gaston si fece notare da subito, infatti nelle sue ricette ridusse le quantità di zucchero e farina, oltre a sostituire a classica crema pasticcera con una mousse aromatizzata anche con frutti tropicali come la guava, il lime e il mango. I suoi dolci erano leggeri, freschi e il burro utilizzato era sempre il migliore sul mercato oltre ad aver portato, primo in Europa, la cultura culinaria giapponese soprattutto per l’arte dell’impiattamento, dove il dolce deve apparire accattivante ed elegante nascondendo la tecnica e la precisione necessarie a realizzarlo. Tra le sue innovazioni tecniche ci furono il raffreddamento controllato veloce e l’utilizzo della gelatina nelle mousse, oggi usate dai più grandi pasticceri e che permettono una migliore conservazione del dolce. Dalla fine degli anni sessanta Gaston aprì una società di catering, oltre a diversi ristoranti che conquistano le tre stelle Michelin e una scuola di cucina a Parigi da dove sono usciti fino ad oggi quasi tremila professionisti che sono ancora parte del mondo gastronomico francese. Amava spesso dire che “La pasticceria è il miglior allenamento anche per gli chef grazie alla precisione e alla perfezione necessarie; il pasticciere invece deve conoscere i sapori e giocare con gli abbinamenti andando anche oltre la classica dolcezza“ al punto che Paul Bocuse, suo grande amico e collega, dopo aver assaggiato l’Operà, la torta di mandorle farcita con crema al caffè e glassata al cioccolato di sua invenzione, disse che “Gaston sorprende come Monsieur Dior nella moda“. Nel 1982 il pasticcere fondò, con Bocuse e Roger Vergé, il Pavillon de France pressò il Walt Disney World Resort di Orlando, in Florida. Gaston Lenotre morì l'8 gennaio 2009 nella sua casa di Sennely ed è sepolto nella basilica di Notre-Dame-de-la-Couture, a Bernay e suo nipote Patrick continua la sua storia come rinomato chef e pasticcere. Read the full article
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