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Vicenza: aumentano le misure di controllo per la sicurezza dei cittadini e per preservare il territorio.
Vicenza: aumentano le misure di controllo per la sicurezza dei cittadini e per preservare il territorio. Si è conclusa nella mattinata odierna una ulteriore fase delle Operazioni di Controllo Straordinario del Territorio disposte con Ordinanza dal Questore della Provincia di Vicenza Paolo Sartori. Le attività effettuate nei giorni scorsi – concordate in sede di Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica – si sono concentrate per lo più nelle “aree a rischio” del Capoluogo, anche a seguito di segnalazioni pervenute da alcuni cittadini che hanno denunciato la presenza – soprattutto a Ponte degli Angeli, in Viale San Lazzaro, in Viale SS. Felice e Fortunato, in Via Muttoni ed ai giardini di Campo Marzio – di soggetti molesti, che assumerebbero spesso comportamenti inurbani ed a volte anche pericolosi per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica. Controlli specifici, inoltre, sono stati effettuati in Piazza Matteotti, in tutta la zona del Quadrilatero, in quella di Campo Marzio; sono stati ispezionati il Centro Commerciale “EMISFERO” ed il Centro Commerciale “PALLADIO”, mentre, nelle ore serali, inoltre, è stato attentamente monitorato il Centro cittadino. Nella zona del Mercato Nuovo, invece, gli le Forze dell’Ordine hanno eseguito un controllo minuzioso all’interno degli ex Magazzini Generali, dove hanno potuto individuare, in condizioni igieniche precarie, i segni di presenze e bivacchi non autorizzati. Lo scopo di queste attività operative è quello di contrastare, mantenendo una elevata visibilità della presenza delle Forze di Polizia, quei fenomeni di illegalità che causano una diffusa percezione di “insicurezza” nei cittadini, quali lo spaccio di stupefacenti, i reati contro il patrimonio ed in generale i fenomeni di microcriminalità connessi ai reati di tipo predatorio; in tale contesto, soggetti intenti a bivaccare sulle panchine, a consumare alcolici ed a disturbare persone ed attività commerciali, sono stati identificati ed allontanati dal Capoluogo con Misure di Prevenzione Personali ed altri provvedimenti analoghi disposti dal Questore. Nel corso delle varie fasi dell’operazione di Polizia – effettuate con l’impiego di uomini e donne appartenenti alla Questura di Vicenza, alla Guardia di Finanza con unità Cinofila, alla Polizia Locale del Capoluogo ed al Reparto Prevenzione del Crimine della Polizia di Stato – sono stati controllati 45 autoveicoli e 92 persone, di cui 37 straniere e 26 con precedenti penali e/o di Polizia, nonché 5 Esercizi pubblici / Sale VLT. Al termine delle attività operative il Questore Sartori ha adottato i seguenti Provvedimenti: • 4 Fogli di Via Obbligatori (dal Comune di Vicenza) a carico di persone gravate da precedenti penali e/o di Polizia, che si trovavano senza apprezzabile motivo ed in circostanze non giustificate nel Comune di Vicenza; • 5 Avvisi Orali (Misura di Prevenzione prevista dal Codice delle leggi Antimafia) nei confronti di altrettanti cittadini italiani e stranieri che denotano una spiccata pericolosità sociale a causa di precedenti penali e/o di Polizia per reati di varia natura tra cui reati contro la persona, per spaccio di sostanze stupefacenti, ovvero contro il patrimonio; • 4 Ordini di Allontanamento dal Territorio Nazionale nei confronti di altrettanti cittadini extracomunitari che, durante i controlli, sono risultati irregolari in Italia e con a proprio carico pregiudizi Penali e/o di Polizia. A seguito degli accertamenti esperiti da parte dell’Ufficio Immigrazione, il Questore ha emesso altrettanti Decreti di allontanamento, ordinando a queste persone di lasciare il territorio entro 14 giorni; in caso non ottemperassero, costoro verranno denunciati alla Procura della Repubblica ed accompagnati coattivamente verso il Paese di origine; “Il controllo sistematico delle aree ove solitamente trovano rifugio soggetti dediti a compiere reati in determinate zone della città è di fondamentale importanza per prevenire e contenere quei fenomeni devianti e quelle manifestazioni delinquenziali che incidono in maniera evidente sulla sicurezza dei cittadini – ha evidenziato il Questore Paolo Sartori al termine delle operazioni –. I controlli straordinari di Polizia effettuati nei giorni scorsi fanno parte di una costante e capillare attività di intervento in fase preventiva, che oltre a rendere concreta la percezione di sicurezza da parte dei cittadini si rende indispensabile per garantire una tranquilla e pacifica forma di convivenza civile.”... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Coronavirus: misure igienico-sanitarie Lavarsi spesso le mani. Si raccomanda di mettere a disposizione in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani;
#coronavirus#covid19#emergenza sanitaria#infezioni#italia#misure igieniche#misure sanitarie#montecorriere#montecosaro#regione marche
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Mi chiedevo, come sono le regole igieniche in Italia adesso? Tipo per i supermercati e tutti quanti. Qui in Sudamerica per esempio ci sono i posti per lavarsi le mani in fronte al supermercato (ed altro), quindi ti lavi le mani col sapone, poi c’è un tappeto con disinfettante, ti metti sopra per disinfettare le scarpe, poi ti prendono la temperatura prima di entrare e ti mettono il gel alcolico sulle mani. (Anche la mascherina è obbligatoria, ovviamente). P.1
Direi che fuori 80/90% della gente indossa la mascherina (anche se alcuni l’indossano male, tipo lo mettono sotto il naso), ma nei supermercati non ho visto nessuno senza. P.2
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Premessa iniziale perché è importante, non abito in una grande città, ma in un piccolo paese di poche anime, quindi non per forza quel che succede da me accade anche in centri come Milano, Napoli, Roma, Palermo ecc.
Dipende, nei supermercati grandi non ti so dire, sinceramente io e la mia famiglia li stiamo evitando, ma nei discount e piccoli alimentari è a discrezione del gestore. Nei piccoli esercizi commerciali c’è generalmente la distanza di sicurezza + uso di mascherine, e si entra pochi per volta. Alcuni hanno messo a disposizione dei guanti usa e getta, ma è roba che fanno più i discount che “il salumiere” e altre piccole botteghe.
Alle poste fino a poche settimane fa c’era la protezione civile che controllava l’affluenza, adesso si entra 1 o massimo 2 per volta.
In altri posti tipo che ne so, cliniche private ecc, ti chiedono gentilmente di aspettare fuori, e poi quando è il momento di entrare ti mettono il gel alcolico sulle mani.
Per la mascherina: è obbligatoria, o almeno nella mia regione lo è, e si rischia pure una multa pesante se ti beccano senza. Buona parte della gente la usa, però c’è chi appunto non la mette bene. Stesso discorso per il distanziamento di un metro.
Comunque ripeto, abito in un piccolo paesino, qui di positivi ne abbiamo avuti solo un paio (già guariti), e pure negli altri centri abitati nei dintorni non è che ci sia stata un’esplosione di contagi, perciò le misure prese qui sono più leggere. Poi posso dirti che sempre nella mia regione ci sono stati interi comuni messi in “zona rossa”, e lì ovviamente le misure sono state molto più stringenti.
Chi magari abita in una grande città può rispondere meglio (e infatti se volete rispondere sotto a questo post fate pure).
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SEMBRAVA UNA COSA DELL'ALTRO MONDO
Carissimi amici non voglio fare polemica, non è questo il momento, ma condividere una riflessione si. Il coronavirus ci sta dando una grande lezione, ovvero che molti, troppi, italiani sono un popolo per certi versi irresponsabile ed egoista. Deve arrivare allo stremo per capire e comprendere il comportamento giusto per affrontare una crisi. Il benessere di questi anni ha di fatto creato molti individui spocchiosi, saputelli e individualisti. "Io vengo prima di te" e non "Io e te siamo sulla stessa barca". Dare la colpa a un Governo è molto facile, perdonatemi il paragone ma è come sparare sulla Croce Rossa. Diciamocelo, per natura noi non siamo mai completamente soddisfatti delle decisioni che prendono. Chi più chi meno. Abbiamo tutti osservato le immagini che a dicembre arrivavano dalla Cina, da Wuhan per l'esattezza, dove uomini in tuta anti contaminazione si muovevano goffi mentre soldati bloccavano, fermavano e controllavano. Gente con la mascherina e ancora arresti e fermi a mani alzate. Wuhan non è un villaggio ma una metropoli di 11mln di abitanti. Cose dell'altro mondo avremo pensato, anche quando a gennaio arrivò la notizia del primo morto. Visto e considerato che generalmente i regimi cercano di nascondere i loro malaffari, magari minimizzando i fatti, non si poteva pensare che forse era meglio prevenire che curare? Si è scelta la linea della politica, dire tutto e il contrario di tutto. Si scelse di abbracciare, di non fermarsi e di fare controlli ritenuti sicuri ma che di sicuro non avevano niente. Allora io penso questo, se ci fossimo mossi con anticipo e in maniera pesante contenendo e arginando quello che riusciva comunque a entrare sul nostro territorio, oggi lo scenario sarebbe diverso. I sette miliardi e rotti che il governo utilizzerà, ma saremo sempre noi a pagare, non erano più utili per pagare la marea di piccole e grandi aziende che oggi stanno per fallire? Si pagavano gli stipendi ai loro dipendenti, le rate dei leasing e mutui, si permetteva loro di stare a galla a un patto: tutti a casa. Chiusi. Invece i miliardi serviranno per curarci, e alle aziende non resterà nulla. Ci saremmo risparmiati tante cose, come: - Rimpiangere tutti i tagli alla sanità che sono stati fatti. - Maledirsi del fatto che i posti di terapia intensiva in Italia sono veramente pochi e oggi in alcune strutture stanno decidendo chi tentare di salvare e chi lasciar morire. - Comprendere di quanta gente è pronta scappare e abbandonare i posti dove lavorano o studiano, portando la morte nelle loro terre d'origine. Non si vuole bene ai propri cari, ma a se stessi, diversamente non rischieresti di contagiarli. - Capire come certe passioni degli italiani, dicasi calcio, fermate in nome della salvezza facciano saltare i nervi a tifosi che preferirebbero la pandemia, piuttosto che rinunciare al tifo. - Il senso civico nei giovani che viene a mancare a un altissimo numero di loro rappresentanti. Fuggono dalle zone rosse, fanno tutto il contrario dei protocolli anti contagio. Tutto videoregistrato e sbattuto sui social come trofeo. - Doversi sentire dire di stare a casa per evitare il contagio dagli influencer!! Cioè parliamone, non dai virologi preparati ma da gente che prima dell'arrivo dei social non sapeva che fare. E vengono ascoltati! Non i virologi naturalmente, quelli ma chi li caga. - Che l'igiene è un'utopia per molti. Manco con il virus s'impegnano a usare le norme igieniche di base. - Che in qualsiasi crisi c'è sempre chi ci specula, ma non credevo così tanti. - Rimpiangere le polemiche su Sanremo. - Sapere, lo sto vedendo e ascoltando di persona, che alcune famiglie hanno perso i loro cari senza dare loro ne conforto ne l'ultimo saluto. Neanche il funerale gli è stato concesso. - Che siamo fragili tutti, le nostre infrastrutture e il nostro sistema economico. Ci stavamo rialzando da una crisi epocale, lunghissima con una scia infinita di aziende morte, e non solo aziende. Credo che ci ritroveremo a dover ricominciare da capo. Tutto questo non era meglio risparmiarselo? Non avremmo saputo quanto irresponsabili sono gli italiani, in particolare tanti giovani. Quanto stupidi i politici che trasformano ogni evento per dividersi tra razzisti e buonisti, destra e sinistra e altre scemenze. Molti di noi, tantissimi, sono irresponsabili e nelle prossime ore aspettiamoci misure più restrittive. Perché se alcuni dopo i virologi, gli influencer, Fiorello non ascoltano manco la D'Urso vuol dire che non hanno cervello. Ad majora.
#Libero De Mente#coronavirus#covid19#pensiero#zona rossa#irrespnsabili#responsabilità#stupidità#stare a casa
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Lettera di Nicoletta Dosio sulla situazione in carcere in questi giorni. Care Compagne e Compagni, sta per iniziare un’ordinaria settimana di coronavirus. Per chi è in carcere sono giorni più pesanti che mai. Cresce l’impressione di sentirsi in trappola, costretti ad aspettare immobili un male che, da un momento all’altro, ci può saltare addosso. La tempesta di comunicati sul virus ci cala in testa dall’alto, dalle TV accese in tutte le celle. Le statistiche dei contagiati, dei morti, la corsa affannosa per tappare i buchi di una sanità pubblica da decenni volutamente falcidiata fanno da controcanto al tamburo del cuore che tra queste sbarre batte il ritmo dell’ineluttabile. Qui dentro non c’è prevenzione reale. Anzi, le cosidette “misure preventive” non hanno avuto altro risultato che peggiorare disagio ed isolamento. Niente colloqui con i parenti; niente pacchi, nè portati nè spediti; sospese tutte le attività scolastiche e culturali; nessuna possibile attività di supplenza via internet, dal momento che in carcere non c’è accesso a strumenti informatici. Anche le cose più semplici come lavare gli indumenti personali qui dentro diventano un’impresa: da settimane la lavatrice a gettoni non è utilizzabile; l’unica alternativa è farsi il bucato nella doccia comune, dove gli scarichi funzionano male e si è costretti a lavorare con i piedi immersi nell’acqua. Se qualcosa è cambiato, lo è in peggio, come il rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità, acquistabili soltanto allo spaccio interno. E veniamo alle presunte “misure igieniche” per prevenire il virus: per noi si limitano ad un bicchierino di sapone liquido ed una mezza bottiglietta di disinfettante per ogni cella (ci sono vietati i disinfettanti quali candeggina, alcool, ammoniaca). Quanto alle cosiddette mascherine, sono obbligatorie per gli avvocati, ma ne sono totalmente sprovvisti gli agenti (che pure vanno e vengono dall’esterno). Insomma… “io speriamo che me la cavo…”. Il dato più incontrovertibile e preoccupante è il sovraffollamento del carcere con la presenza di bambini, detenuti anziani e malati cronici: come nel resto del Paese anche alle Vallette si vive in una specie di polveriera, che deflagherarà al primo colpito dal morbo. La speranza di tutti è un qualche provvedimento che permetta la scarcerazione....L’unica cosa chiara del comunicato è che al momento sono sospesi per i detenuti tutti i permessi di uscita dal carcere…del resto il Ministro di “ingiustizia” l’ha dichiarato: niente svuotacarceri, indulti, amnistie; tranquilli “uomini d’ordine”. Inomma, l’ordinario rigore non muta, anzi peggiora in un clima di preoccupante irrazionalità: ci sentiamo più che mai espropriati di noi stessi ed in balia di chi “ci controlla”. Anche qui in carcere, ieri, una detenuta proponeva un’applauso collettivo al mondo fuori, in nome della “patria che resiste”. Ma la sua proposta non ha avuto successo. Quell’inno e quella bandiera non li sentiamo nostri: la fratellanza è una cosa seria, che non si confà all’indifferenza che dall’esterno sentiamo per il nostro destino di “figli di un dio minore”. Quanto al tricolore, è lo stesso che, insiema al vessillo UE, staziona all’ingresso del carcere e che viene esibito ogni giorno sulle divise dei nostri carcerieri. Non ci appartiene. Nicoletta.
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In questo momento nella regione dei Balcani si trovano alcune decine di migliaia di rifugiati e altri migranti. Una parte è accolta nei centri d’accoglienza ufficiali, mentre un gran numero di persone si trova fuori dal sistema, sopravvivendo grazie all’aiuto della popolazione locale e al sostegno dei volontari e delle volontarie nell’intera regione. Eppure, con la diffusione del virus COVID-19, la già difficile situazione in cui si trovano sta diventando ancora più grave e richiede l’urgente intervento delle autorità responsabili - attori locali e internazionali - e la solidarietà di tutti noi.
Lo Stato di Emergenza, oggi in vigore in molti paesi della regione, sta venendo usato come leva per mantenere e rafforzare le disuguaglianze sociali, diventando presto fattore scatenante di ulteriore stigmatizzazione e repressione dei più vulnerabili tra noi. Questa emergenza non può diventare un pretesto per continuare con politiche di esclusione, detenzione ed espulsione, che provocano sofferenza e disagio.
La paura che affrontiamo in questi giorni, per le nostre vite e le vite degli altri attorno a noi, per molti rappresenta una realtà quotidiana che ormai va avanti da molto più tempo. L’incertezza attuale ci porta a mettere in discussione in modo radicale quel sistema di gerarchie geopolitiche che attraverso divisioni razziali e di classe ci divide e classifica, producendo una popolazione di persone indesiderate e respinte in tutto il mondo e nei nostri paesi. In queste condizioni non ci resta altro che impegnarci e lottare per l’eliminazione delle differenze imposte in base allo status sociale o di cittadinanza.
Chiediamo quindi l’abolizione di pratiche discriminanti e disumanizzanti, ufficiali e non ufficiali, la cessazione dell’uso della violenza ai confini e la legalizzazione dell’esistenza di tutte e tutti, la chiusura di tutte le strutture detentive e campi sovraffollati che limitano la libertà di movimento e non assicurano basilari condizioni igieniche e umane. Da singole cittadine e singoli cittadini chiediamo l’affermazione dei valori di uguaglianza e libertà, rivendicando e chiedendo a tutti voi di attivarci in azioni di cura e solidarietà.
Allo stesso tempo, nell’ambito delle misure d’emergenza, chiediamo ai governi dei paesi membri dell’Unione Europea, ai governi della regione e a tutte le istituzioni e le organizzazioni responsabili, di garantire che tutti coloro che sono costretti a vivere per strada, in strutture improvvisate prive di condizioni igieniche, o in campi sovraffollati e inadeguati, ricevano sistematicamente alloggi con condizioni umane e sicure anche dal punto di vista sanitario. Chiediamo che siano garantite condizioni di vita adeguate e sane per tutti, che gli edifici pubblici e privati non in utilizzo, comprese le strutture turistiche, vengano utilizzati a tale scopo. In piena pandemia, occuparsi in maniera adeguata di tutti i casi a rischio dovrebbe essere la priorità di ogni politica pubblica ed ogni governo responsabile.
In tal senso, sottolineiamo che l’Unione Europea, specificatamente la Commissione Europea hanno una responsabilità particolare nei confronti dei rifugiati e degli altri migranti “bloccati” nei nostri paesi. Come hanno dimostrato apertamente con le loro recenti azioni sul confine greco-turco e su altri confini, vogliono mantenere rifugiati e migranti fuori dal loro territorio a tutti i costi e con ogni mezzo, anche se queste azioni si traducono in ulteriori violenze e sofferenze.
Chiediamo che nell’ambito delle misure previste e organizzate dalle autorità locali e statali, come di organizzazioni internazionali quali IOM (International Organization for Migration) e i loro partner, che in alcuni paesi della regione hanno assunto un ruolo chiave nel lavoro con la popolazione migrante, con urgenza organizzino e rendano attive squadre mobili per la distribuzione di acqua e cibo, materiale per la disinfezione e per l’igiene, a tutte le persone che ne hanno bisogno e che vivono fuori dai campi. In questo processo devono essere coinvolti anche cittadini e cittadine, senza alcun limite e su base volontaria, seguendo tutte le indicazioni sanitarie di esperti ed esperte, ed epidemiologi ed epidemiologhe.
Chiediamo a cittadine e cittadini, a volontarie e volontari internazionali presenti nella regione e che desiderano aiutare, di rispettare le indicazioni di esperti ed esperte e di epidemiologi ed epidemiologhe al fine di ridurre la possibilità di mettere a rischio se stessi, se stesse, e le persone che vengono aiutate. Facciamo appello affinché tutti lavorino in maniera collaborativa e coordinata. Solo così infatti sarà possibile contenere la pandemia della paura e ridurre seri rischi dei meno protetti.
Inoltre, chiediamo che alle persone che vivono già nei centri di accoglienza nell’intera regione, vengano forniti adeguata protezione e alimentazione di qualità, nonché il soggiorno in condizioni igieniche che garantiscano la dignità umana. Tra di loro vi sono molte persone che rientrano in categorie a rischio, come malati cronici o persone immunodepresse, alle quali è necessaria una cura maggiore. I centri di accoglienza in Bosnia Erzegovina, gestiti da IOM, sono probabilmente tra i peggiori, con condizioni ben al di sotto di ogni livello dignitoso. La maggioranza dei campi è sovraffollata, senza adeguate condizioni che permettano una regolare igiene personale, la regolare fornitura di acqua calda e di acqua potabile, materiali di base per l’igiene personale e disinfezione. I responsabili dovrebbero assicurare queste risorse di base in ogni momento, non solo in una situazione di pandemia.
Chiediamo che vengano coinvolti tutto coloro che hanno risorse e responsabilità per agire: dalle agenzie delle Nazioni Unite e i loro partner, soprattutto IOM che possiede la maggiore autorità, Medici Senza Frontiere (MSF), la Croce Rossa Internazionale (CRI) e le loro commissioni locali, il Consiglio danese per i rifugiati (DRC), Merhamet, Caritas e tutte le altre organizzazioni e gruppi che sono coinvolte nell’assistenza alle persone migranti.
Infine, chiediamo che a tutte le persone senza distinzione venga garantito l’accesso al sistema sanitario senza restrizioni, che le persone migranti non vengano discriminate, e dunque che anche a loro vengano assicurate concrete tutele nell’ambito delle misure di protezione previste per la popolazione. Chiediamo che si renda loro possibile l’accesso alle informazioni, nelle lingue da loro conosciute, affinché sappiano che cos’è e come si propaga questo virus nel micro contesto, come le modalità di contagio e le misure da attuare per tutelarsi. Nella lotta contro una pandemia, escludere una parte della popolazione nelle misure di protezione annulla ogni sforzo fatto per limitarne la diffusione.
I nostri governi sono obbligati per legge ad assicurare le condizioni affinché questo avvenga per tutte le persone a prescindere dal loro status sociale e di cittadinanza, nel caso di cura e prevenzione del COVID-19 si tratta di cure di pronto soccorso.
Pertanto, chiediamo inoltre che il governo renda possibile il regolare trattamento sanitario gratuito per questa popolazione e soprattutto in caso di contagio da virus o in caso di dubbio di contagio. Allo stesso tempo, questa situazione richiede cautela e apertura, mantenendo un sostegno organizzato ai rifugiati, i migranti e tutte le persone a rischio.
Questo ci viene richiesto da principi di elementare umanità e dalle logiche di base della salute pubblica, perché nessuno è al sicuro finché non lo siamo tutti!
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Fake news smentite sulla base delle attuali evidenze scientifiche.
1. Bere latte protegge e cura l’infezione da nuovo coronavirus
Non ci sono attualmente evidenze scientifiche che il latte abbia una azione protettiva o curativa nei confronti dell’infezione da nuovo coronavirus.
2. E’ possibile disinfettare mani o aree della pelle con i raggi UV
Le lampade a raggi ultravioletti (UV) non devono essere utilizzate per disinfettare le mani o altre aree della pelle. Le radiazioni UV possono causare irritazione alla pelle e danneggiare gli occhi. Lavarsi le mani con acqua e sapone o con soluzioni a base alcolica (igienizzanti per mani) sono i modi più efficaci per rimuovere il virus.
3. Mangiare peperoncino protegge dal nuovo coronavirus
Non ci sono evidenze scientifiche che mangiare o aggiungere peperoncino ai cibi prevenga o curi Covid-19. Il modo migliore per evitare di infettarsi con il nuovo coronavirus è quello di tenersi alla distanza di almeno 1 metro dagli altri e di lavarsi frequentemente e accuratamente le mani con acqua e sapone oppure con disinfettanti a base alcolica.
4. Le mosche possono diffondere l’infezione da coronavirus
Ad oggi non ci sono evidenze scientifiche che indichino che le mosche possano diffondere il nuovo coronavirus. Il virus si diffonde principalmente attraverso le goccioline che si generano quando una persona parla, tossisce o starnutisce (droplets). Ci si può infettare anche toccando superfici contaminate e poi toccandosi occhi, naso e bocca prima di lavarsi le mani. Per proteggersi dall’infezione si raccomanda di disinfettare le superfici toccate frequentemente, lavarsi spesso le mani e mantenere la distanza di almeno 1 metro dagli altri.
5. Il nuovo coronavirus si cura con acqua e bicarbonato
Non ci sono evidenze che il bicarbonato disciolto in acqua abbia una azione curativa, né protettiva, nei confronti della malattia da nuovo coronavirus.
6. Gli oli essenziali delle piante aromatiche come basilico, rosmarino, origano, proteggono dal nuovo coronavirus
Non ci sono attualmente evidenze che le piante aromatiche, né gli olii essenziali da queste derivanti, svolgano un ruolo protettivo nei confronti dell’infezione da nuovo coronavirus.
7. Le zecche possono trasmettere il coronavirus
Il virus responsabile della COVID-19 è un virus respiratorio e si trasmette da uomo a uomo principalmente attraverso le minuscole goccioline emesse con starnuti o colpi di tosse o portando le mani alla bocca, al naso o agli occhi dopo aver toccato superfici od oggetti contaminati di recente. Ad oggi non c’è alcuna evidenza scientifica di una trasmissione attraverso artropodi vettori, quali zecche, zanzare o altri insetti che invece possono veicolare altri tipi di virus (detti arbovirus), responsabili di malattie completamente diverse dalla COVID-19, come ad esempio la dengue e la febbre gialla.
8. L’ozono sterilizza l’aria e gli ambienti e non mi fa infettare dal nuovo coronavirus
L'ozono non ha proprietà sterilizzanti propriamente dette.
Si tratta di una sostanza attualmente sottoposta a valutazione all'interno del Regolamento 528/2012 Biocidi, in attesa di essere autorizzata all'uso come biocida (disinfettante). Le sue proprietà, note in letteratura scientifica e già applicate in alcuni settori, non sono al momento sufficienti a garantirne l'adeguatezza dello specifico uso tecnologico come disinfettante, in quanto deve essere sottoposto a prove di efficacia e di sicurezza (potenziali effetti collaterali da scorretto uso o concentrazione inappropriata). Rimane la possibilità di un uso per la sanificazione intesa come intervento di pulizia approfondita incluso in un contesto generale di ottimizzazione delle misure igieniche e microclimatiche, realizzato da parte di personale appositamente formato e adeguatamente protetto.
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Mortalita' infantile: Nord e Sud diversi dalla nascita
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Mortalita' infantile: Nord e Sud diversi dalla nascita
Un recente studio condotto da un medico italiano, Mario De Curtis, e da una esperta di statistica, Silvia Simeoni, ha confermato quello che in realtà si sospettava da anni: ovvero che le misure finora adottate e le promesse di colmare il gap che esiste tra Nord e Sud non sono servite a molto.
Tra gli indici più sensibili per valutare lo stato di salute, il benessere sociale e lo sviluppo economico di una nazione c’è certamente il dato relativo alla mortalità neonatale e infantile, ovvero il numero di morti nei primi 28 giorni e nel primo anno per 1000 nati vivi.
In Italia queste percentuali sono diminuite, ma non in tutto il paese allo stesso modo ha raggiunto Come hanno confermato i dati dell’ISTAT, relativi a 5 aree geografiche (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud e Isole), aumentano sensibilmente man mano che scende lungo lo stivale fino alle isole maggiori: la media nazionale della mortalità neonatale è di 2, ma nel Nord Ovest è pari 1,8; nel Nord Est è più bassa, 1,5, nel Centro è pari a 2,0; nel Sud 2,3 e nelle Isole 2,5. stessa cosa per la mortalità infantile: 2,9 la media nazionale, che a fronte di un dato relativo al Nord Ovest di 2,6 e di 2,4 nel Nord Est; vede il Centro salire a 2,9, il Sud a 3,3 e le Isole addirittura a 3,6.
Se si guarda all’escursus storico della mortalità neonatale e infantile dei residenti in Italia nel corso degli ultimi 10 anni, emerge ancora una volta una situazione nelle Regioni del Sud e nelle isole ben peggiore rispetto a quella delle Regioni centro settentrionali: un bambino nato in una Regione del Sud Italia ha una probabilità di mortalità di circa il 40% più elevata di un bambino del Nord.
Nel 2015 sono nati in Italia 485.780 neonati, da genitori italiani l’85% e da immigrati il 15%. Nello stesso periodo sono deceduti 1407 bambini nel primo anno di vita (77% italiani e 23% figli di immigrati). Molte secondo i ricercatori le possibili cause di questo divario: come la riduzione (spesso definita eufemisticamente “razionalizzazione”) dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno, i piani di rientro della spesa sanitaria, e molto altro.
Anche l’aumento delle migrazioni potrebbe aver influenzato questi numeri: nel 2015 i residenti immigrati rappresentavano circa l’8% di tutta la popolazione, ebbene un altro aspetto di disuguaglianza è la maggiore mortalità neonatale e infantile nei nati proprio da genitori immigrati. Tali differenze potrebbero avere numerose concause: maggior numero di gestanti minorenni e ragazze-madri, basso reddito familiare, attività lavorativa meno garantita e più pesante, alimentazione incongrua, carenti condizioni igieniche ed abitative, cure ostetriche e pediatriche tardive o inadeguate. Lo confermerebbero i numeri: la mortalità infantile dei nati da immigrati è diminuita (passando dal 5,0 a 4,5) ma rimane decisamente più elevata di quella dei nati italiani (da 3,2 a 2,6 per mille nati vivi). Per alcuni gruppi però questi dati risultano ancora molto elevati: pari a 8,2 per mille per i bambini nati da donne africane provenienti da aree sub-sahariane.
Si tratta di dati sui quali ci sarebbe molto da dire e da fare e sui quali i cittadini dovrebbero riflettere attentamente e chiedendo alle forze politiche la realizzazione di specifici interventi in ambito di salute pubblica. Anche l’opinione pubblica dovrebbe sottolineare la presenza ingiustificata di queste differenze dopo decenni di politiche “comunitarie” e “unitarie”. A patto, naturalmente, da riuscire per un attimo a non pensare allo sbarco di questo o quel natante….
#alimentazione incongrua#aumento delle migrazioni#CAlessandro Mauceri#carenti condizioni igieniche#genitori immigrati#mortalità neonatale#mortalita'infantile#residenti in Italia
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Palermo, NAS in azione: i risultati delle ispezioni
Palermo, NAS in azione: i risultati delle ispezioni A partire dall'inizio di giugno 2023 i Carabinieri del N.A.S. di Palermo, nell'ambito dell' Operazione "ESTATE SICURA 2023" disposta dal Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, hanno eseguito 277 servizi di vigilanza e repressione delle violazioni nel settore alimentare e sanitario. I controlli sono stati effettuati con la collaborazione dei Comandi territoriali dell' Arma delle province di Palermo, Trapani e Agrigento, allo scopo di prevenire e reprimere le condotte illecite e vigilare sul rispetto delle normative a tutela del benessere dei cittadini. I controlli Nel corso di questo impegnativo periodo dell'anno i militari hanno ispezionato numerose attività di commercio fisso e ambulante, stabilimenti balneari, strutture ricettive, parchi acquatici, agriturismo, aziende agricole, esercizi di ristorazione, gelaterie, punti di ristoro stradali, traghetti, nonché numerose comunità alloggio per anziani Così i Carabinieri hanno riscontrato 35 violazioni penali e 89 amministrative, per le quali sono state comminate sanzioni amministrative per complessivi 165.000 euro circa nonché segnalate, per le valutazioni di competenza, 103 persone alle Autorità amministrative e sanitarie e 37 all'Autorità Giudiziaria. I sequestri Nel corso delle ispezioni, che hanno interessato anche le Isole di Ustica, Favignana, Pantelleria, Lampedusa e Linosa i militari hanno posto sotto sequestro amministrativo prodotti alimentari per circa 2.000 chilogrammi, di cui 1.046 di prodotti ittici nonché prodotti vinosi per complessivi 617.000 litri, per un valore complessivo di circa 313.500 euro ed hanno altresì proceduto all'esecuzione di provvedimenti di interdizione delle attività in 20 strutture. Le infrazioni Fra le infrazioni più spesso riscontrate nel settore alimentare e sanitario si annoverano le carenze igieniche dei locali, l'assenza o il mancato aggiornamento della registrazione sanitaria, la mancata predisposizione delle procedure di autocontrollo, l'omessa indicazione sui prodotti preparati in loco ed esitati alla vendita e di tracciabilità sulla loro provenienza. E non solo, ma anche la mancata attuazione delle procedure di autocontrollo alimentare e, in relazione alla sicurezza dei luoghi lavoro, carenze nella predisposizione di adeguate misure antincendio. Read the full article
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Sono fuggiti dalla violenza e oggi temono l'arrivo del coronavirus Con oltre 65.000 sfollati dalle loro case a causa della violenza del conflitto jihadista nel Sahel, Barsalogho (Burkina Faso) è uno dei campi più popolati del paese. I suoi abitanti temono l'arrivo del covid-19 I bambini rappresentano un'alta percentuale di sfollati nel Burkina Faso. Le condizioni di sovraffollamento, sia per coloro che vivono nelle scuole sia per coloro che dormono nei negozi, complicano notevolmente le misure di allontanamento per prevenire le infezioni da coronavirus. Uno dei maggiori problemi per gli sfollati è l'accesso all'acqua. Ogni mattina un camion riempie alcuni carri armati autorizzati dall'Istituto Barsalogho e gli sfollati, la maggior parte dei quali donne e bambini, vengono con brocche e secchi per prendere l'acqua. L' UNHCR assicura che ci sono 880.000 sfollati interni al conflitto in Burkina Faso, un numero che continua a crescere. Le cattive condizioni igieniche e il sovraffollamento di questo spazio in cui sempre più persone fuggono dalle loro case complicano la risposta alla covide19. EL PAIS
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La recente emergenza sanitaria legata all’epidemia da COVID-19 ha imposto l’adozione di misure eccezionali, giungendo da ultimo (art. 2 DPCM 10 marzo 2020 ed ancora con DPCM 11 marzo 2020) al divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico, ciò che costituisce una forte compressione di diritti costituzionalmente tutelati. Tutte le misure adottate sono tese a limitare i rischi di contagio e dunque a evitare che si creino condizioni in cui le persone si trovino vicine e in condizioni di promiscuità.
Per tale ragione sono stati sospesi servizi essenziali, come le scuole e le università, oltre a attività nelle quali si possano generare occasioni di aggregazione di persone, come tutte quelle legate ad eventi culturali, ricreativi o sportivi; da ultimo tali misure sono state estese anche a tutti gli esercizi commerciali esclusi quelli di vendita e somministrazione di beni primari. In questo quadro generale, desta agli scriventi estrema preoccupazione la condizione nei CPR, ove un numero elevato di persone vive in condizioni di promiscuità, spesso in condizioni sanitarie precarie ed in assenza di adeguati presidi sanitari interni ai centri.
In considerazione della diffusione del virus, nonché della circostanza che i Centri sono, necessariamente e quotidianamente, frequentati da persone che vivono all’esterno (dal personale di polizia e dell’esercito, al personale degli enti gestori, ai mediatori, agli operatori, ai giudici e avvocati), e che non può certo ridursi o evitarsi tale afflusso, nonché del fatto che per quanto a conoscenza degli scriventi (e sulla base delle informazioni diffuse) il pericolo di contagio proviene anche da soggetti asintomatici, anche le misure eventualmente adottabili (autocertificazioni, uso di mascherine, mantenimento della distanza di almeno un metro tra trattenuti e altre persone) non appaiono idonee a scongiurare il rischio che avvengano contagi all’interno. Peraltro, tra i trattenuti non sarebbe certo ipotizzabile, per i limiti strutturali propri dei Centri, ipotizzare l’applicazione delle misure (distanze, misure igieniche, uso di mascherine) previste dalle disposizioni e raccomandazioni nazionali di tutela sanitaria.
Appare, ancora, del tutto evidente che un contagio all’interno della popolazione dei CPR avrebbe conseguenze drammatiche: le condizioni promiscuità renderebbero molto facile la diffusione del contagio nella popolazione trattenuta; molti trattenuti sono affetti da varie patologie, che ne debilitano il corpo, con conseguenti maggiori pericolo anche per la stessa esistenza in vita; un contagio in larga scala non potrebbe essere affrontato con misure di isolamento dei soggetti che risultassero contagiati, sia in quanto non sono normativamente previste aree siffatte, sia in quanto ciò significherebbe concentrare in condizioni di promiscuità, in aree isolate e con privazione dei diritti fondamentali, un numero sempre maggiore di trattenuti contagiati, con conseguente peggioramento delle loro condizioni, non impedendo al contempo la diffusione del virus, e non consentendo la somministrazione di adeguate cure di contrasto agli effetti del virus (contrasto che non può certo adeguatamente essere operato nelle infermerie dei CPR); l’esplodere del contagio nei CPR, dunque, imporrebbe presumibilmente un aumento significativo del numero di ricoveri in ospedale dai CPR medesimi, con conseguenti effetti anche sulla tenuta e funzionalità de sistema sanitario (già gravemente sollecitato dall’emergenza in atto).
A ciò si aggiunga che, nell’attuale congiuntura, molti Paesi hanno limitato se non vietato le possibilità di ingresso ai soggetti provenienti dall’Italia, con il conseguente rischio di dilatazione a dismisura dei periodi di trattenimento.
Appare, quindi, sin da subito necessaria l’adozione di misure che limitino il rischio di contagio e, nel bilanciamento tra i diritti e gli interessi in gioco (bilanciamento imposto da varie norme, prime tra tutte quelle di cui alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), obbediscano al prioritario obiettivo di ostacolare la diffusione dell’epidemia e salvaguardare la salute e la vita dei trattenuti e della popolazione tutta.
Per tutti questi motivi gli scriventi chiedono che venga disposta l’immediata sospensione di ogni nuovo ingresso nei CPR, che vengano disposte anche quanto a soggetti già trattenuti le misure alternative al trattenimento di cui all’art 13, co. 5.2, Testo Unico Immigrazione, e che si proceda con la massima tempestività alla progressiva chiusura dei Centri.
ADESIONI (in aggiornamento...): Legal Team Italia; Campagna LasciateCIEntrare; Progetto Melting Pot Europa; Mai più Lager - No ai CPR; ASGI; Clinica del diritto dell’Immigrazione - Università Roma Tre; Rete Antirazzista Catanese; Aps Lunaria; Osservatorio della repressione; Associazione Yairaiha onlus; Carovane Migranti; ADIF; Antenne Migranti; BeFree; Associazione Immigrati Cittadini; Il grande Colibrì – Essere LGBT nel mondo; LGBT+ diritti; Laboratorio 53 Onlus; ActionAid Italia; Associazione Casa a Colori; Rete Lenford - Avvocatura per i diritti LGBTI; Associazione Diritti di Frontiera, Roma; Lab!Puzzle; Csa Astra; Portoamico; Renzo e Lucio A.P.S.; Partito della Rifondazione comunista-Sinistra Europea; Ambasciata dei Diritti Marche;
Avvocata Ghirardi Natalie, foro di Torino; Avvocato Dario Belluccio, foro di Bari; Avvocata Vilardi Eleonora, foro di Torino; Avvocata Davini Silvia, foro di Pisa; Avvocato Geremia Marco, foro di Perugia; Avvocato Andrea Maestri, foro di Ravenna; Avvocata Maria Chiara Arca, foro di Milano; Avvocato Capriata Marco, foro di Alessandria; Avvocato Guido Savio, foro di Torino; Valeria Capezio, funzionario pubblico; Giuseppe Tiano, dirigente sindacale, Torino; Avvocata Bava Donatella, foro di Torino; Denaro Chiara, assistente sociale/ricercatrice, Palermo; Fernandez Rojo Gabriela, giurista, Milano; Avvocata Friso Gabriella, foro di Torino; Santangelo Thomas Vladimir, operatore legale, Napoli; Avvocato Cardaci Filippo, foro di Varese; Avvocata Clementi Chiara, foro di Prato; Panizza Andrea, operatore sociale, Lecco; Nucci Federica, operatore legale, Grosseto; Enrica Rigo, professoressa associata, Roma; Avvocata Salerno Margherita, foro di Roma; Bucci Immacolata, operatrice sociale, Carosino; Avvocato Diroma Andrea, foro di Trieste; Contegiacomo Caterina, commerciante, Taranto; Avvocato Francesco Roppo, foro di Forlì; Cricenti Luca, ricercatore e consulente legali in materia di immigrazione, Roma; Avvocata Barbero Alessandra, foro di Cuneo; Avvocato Guidobono Elisabetta, foro di Torino; Andrea Bermond; Avvocata Celoria Eleonora, foro di Torino; Giovannelli Stefano, pensionato, Prato; Del Vecchio Marco; Vigilanti Cecilia, consulente legale, Ferrara; Avvocata Laura Furno, foro di Torino; Avvocato Salvini Nicola, foro di Torino; Avvocato Francesco Conte, foro di Bologna; Buzzi Antonella, consulente legale msna, Bologna; Esposito Gabriella, biologa, Taranto; Avvocato Mughini Luigi, foro di Firenze; Avvocato Brizio Roberto, foro di Torino; Avvocata Ximenes Maria Cristina, foro di Cagliari; Nieloud Clara, praticante avvocato, foro di Torino; Avvocato Pigato Chiara, foro di Bassano del Grappa; Avvocato Castrale Stefano, foro di Torino; Avvocata Collenea Isernia Alessandra, foro di Venezia; Avvocata Giulia Virdis, foro di Parma; Avvocato Pellegrino Davide, foro di Torino; Avvocata Bonafé Maria Ester, foro di Como; Francesca Cimino, dottoranda, Venezia; Martinelli Marco, dipendente, Milano; Avvocato Marchio Marco, foro di Torin; Avvocata Di Rosa Daniela, foro di Torino; Gennaro Avallone, ricercatore,Università di Salerno; Avvocata Nadia Buso; Avvocata Serena Terzuolo; Avvocata Monica Checchin; Avvocata Elisa Costanzo; Stefano Galieni, giornalista; Annamaria Rivera, antropologa, già docente nell’Università di Bari; Casaccio Valentina; Avvocata Alessia Pasero, foro di Torino; Avvocato Antonio Guarascio, foro di Torino; Avvocato Lamarucciola Antonio, foro di Como; Avvocata Cischino Emanuela, foro di Saluzzo; Carlo Della Pepa, Medico Ricercatore Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco – Università di Torino; Cestonaro Gaetano, medico, Ivrea, Maurizio Acerbo - segretario Rifondazione comunista-Sinistra Europea;
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I ristoratori italiani sono una delle categorie più colpite dalla pandemia e dalle misure adottate dai vari governi che si sono succeduti.
L’attuale esecutivo carrozzone che ha imbarcato quasi tutte le forze politiche non sembra discostarsi dalla dura linea fin qui seguita.
Ancora non capisco perché se e quando potranno riaprire trattorie, ristoranti, osterie, pizzerie, wine bar non potranno essere aperti la sera.
E sicuramente l’asporto non è sufficiente a coprire nemmeno le spese. I buoni ristoranti degli agriturismi non possono nemmeno praticare l’asporto essendo dislocati fuori dalle città.
In tutta Italia i ristoratori sono scesi in piazza per protestare e chiedere di poter riaprire seguendo le giuste norme igieniche.
È partito da Milano “Io apro Tour” che coinvolge molte città per chiedere la riapertura della attività di ristorazione.
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Grosseto: torna "TTS Street Food” con esibizioni e street chef professionisti
Grosseto: torna "TTS Street Food” con esibizioni e street chef professionisti. Per tre giorni, dalle ore 12:00 fino a tarda sera, l'affascinante atmosfera del Bastione del Mulino a vento ospiterà stand culinari, con Street Chef professionisti, provenienti da diverse parti d’Italia. Ad accompagnare i cittadini e i visitatori in questo viaggio all'insegna del buon cibo saranno le esibizioni di alcuni artisti di strada di livello internazionale. L’obiettivo sarà quello di promuovere l’afflusso turistico e commerciale del centro storico, offrendo, allo stesso tempo, una vasta selezione di prodotti di qualità adatti a tutti. Ad occuparsi dell’organizzazione e della gestione dell’intera manifestazione sarà la società MELA srls. Quest'ultima adotterà tutti gli accorgimenti atti ad evitare assembramenti e assicurerà l'utilizzo delle idonee misure igieniche.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Carenza di prodotti disinfettanti e celle gremite fanno temere ai detenuti la continuazione della politica di “negligenza medica deliberata”. Timori e panico hanno caratterizzato la maggior parte degli ultimi 10 giorni in Cisgiordania, visto che il numero di casi di contagio da coronavirus continuano a salire. A partire da venerdì scorso, il Ministero della Sanità Palestinese ha confermato che il numero di casi ufficiali hanno raggiunto i 35, trentaquattro dei quali a Betlemme, nella parte meridionale della Cisgiordania. Ma non appena le misure prese dal governo per fermare la diffusione del virus hanno riportato un po’ di calma, ecco che i Palestinesi si sono svegliati con notizie ancora più terribili: il coronavirus è entrato nelle carceri israeliane, nelle quali migliaia di prigionieri politici palestinesi sono incarcerati. Il Comitato per gli Affari dei Prigionieri Palestinesi ha riferito che un detenuto nel carcere di Ashkelon è venuto a contatto con un medico israeliano che è poi risultato positivo al virus. Qadri Abu Bakr, presidente del comitato, ha annunciato che il detenuto non ancora identificato, assieme ad altri 19, ha dovuto essere messo in quarantena. Intanto, i media israeliani e palestinesi hanno riferito che vi sono casi sospetti di contagio da questo virus in altre due prigioni: il carcere di Ramleh nella zona centrale di Israele, ed il centro detentivo di Moscobiya a Gerusalemme. Sia in Ramleh che in Moscobiya, i detenuti sono stati posti in quarantena dopo essere venuti a contatto con agenti penitenziari israeliani sospettati di essere stati esposti al virus. Il Servizio Penitenziario Israeliano (ISP) ha presentato i progetti per evacuare un carcere che si trova vicino al confine egiziano, da utilizzare per le quarantene dei detenuti esposti al virus, ed una pausa nelle visite familiari per i prigionieri palestinesi. Però i Palestinesi sono preoccupati che il governo israeliano e le autorità penitenziarie non adottino le misure adeguate per prevenire la diffusione del virus e per curare coloro che potrebbero ammalarsi. Sporco e sovraffollato “Le carceri israeliane sono notoriamente vecchie, sporche e sovraffollate e sono carenti di tutte le condizioni igieniche fondamentali”, ha raccontato a Middle East Eye Mohammed Abed Rabo, 48 anni, ex-prigioniero palestinese ed attivista. “Nella migliore delle prigioni, in una cella si trovano tra i sei ed i dieci detenuti, ma in molti casi ve ne sono di piú”, ha detto, aggiungendo che, durante i pasti e le attività all’aperto, si ritrovano insieme anche fino a 120 detenuti per volta. Il livello di sovraffollamento nelle carceri israeliane, come teme Abed Rabo, sará uno dei principali fattori che potrebbe far diffondere il focolaio di coronavirus tra i prigionieri palestinesi. Oltre a ciò, ha detto, la mancanza di prodotti disinfettanti per le mani e sapone non faranno altro che peggiorare la situazione. “Le carceri sono già terribili e ai detenuti vengono forniti solo prodotti igienici di base e necessari”, racconta Abed Rabo, aggiungendo di aver ricevuto informazione tramite gli avvocati dei detenuti contagiati che l’IPS non ha effettuato nessun cambio radicale all’interno delle carceri per affrontare il problema. “Dovrebbero fornire ai detenuti maschere, guanti, disinfettanti per le mani, maggiori quantità di sapone, possibilità di lavare più spesso i loro vestiti e le loro lenzuola”, ha detto. “Ma tutto quel che viene fatto, invece, è metterli in quarantena”. Abed Rabo sostiene inoltre che i detenuti posti in quarantena vengono semplicemente gettati nelle celle di isolamento delle carceri. “Come potrebbero eventualmente ottenere le cure adeguate di cui hanno bisogno, quando vengono soltanto gettati in queste orrende celle di isolamento?” chiede. “E’ in questo modo che si trattano gli essere umani ammalati?”. “Negligenza medica deliberata”. Per anni, le associazioni palestinesi per i diritti umani hanno documentato quella che loro definiscono come la politica della “negligenza medica deliberata” nelle varie carceri israeliane, in tutto il paese. Si stima che dall’inizio della Seconda Intifada, scoppiata dal 2000 al 2005, siano morti 17 detenuti palestinesi come diretto risultato di negligenza medica. In una pubblicazione del 2016, l’associazione per i diritti dei prigionieri Addameer ha rilevato la presenza di almeno 200 pazienti con malattie croniche, compresi una ventina di pazienti oncologici, altre decine che soffrono di disabilità fisiche e psicologiche, e 25 che risiedono permanentemente presso la clinica del carcere di Ramleh. “Alcuni di questi pazienti con malattie croniche hanno problemi respiratori e cardiaci, oltre a malattie autoimmuni”, ha riferito Abed Rabo a MEE, sottolineando il fatto che una parte significativa della popolazione carceraria sia costituita da uomini di mezza età o anziani. “Le caratteristiche demografiche dei detenuti coincidono con i dati demografici di coloro che sono piú esposti agli effetti letali del coronavirus”, ha dichiarato. “E ciò è terrificante”. I detenuti malati, ha detto Abed Rabo, già attualmente non stanno ricevendo le cure mediche appropriate delle quali avrebbero bisogno. “Raramente vengono visitati dai medici, ai pazienti con problemi seri vengono spesso prescritti dei normali antidolorifici, mentre coloro che necessitano di trattamenti come la dialisi e la chemioterapia non vengono sottoposti ad un programma di trattamento adeguato”, ha affermato Abed Rabo. “Quindi immaginate se questi detenuti dovessero affrontare un focolaio di coronavirus”, continua. “Pensate che riceverebbero i trattamenti e le terapie adeguati?”. Nonostante la serietà con la quale Israele sta affrontando l’epidemia di coronavirus nel suo paese, Abed Rabo ha affermato che dubita che tratteranno i prigionieri palestinesi con la stessa urgenza ed attenzione. “Volta dopo volta, hanno sempre dimostrato di non preoccuparsi delle vite dei Palestinesi, soprattutto dei nostri prigionieri, quindi perché dovrebbero cambiare proprio adesso?”. Traduzione per InfoPal di Aisha Tiziana Bravi
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