Tumgik
#mi piace urlare nel vuoto
micro961 · 1 year
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Elisabetta Arpellino - Anita è  il suo secondo Ep
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Anita nasce per dare voce a tutte quelle donne che la voce la nascondono per paura, per tutte quelle voci che non vengono ascoltate, per tutte quelle voci che vorrebbero urlare.
artwork di Francesco Gori
Anita racconta una storia. Ogni traccia dell’EP è un capitolo della storia di cui Anita è protagonista. La sua è una storia di coraggio, di dolore, di violenza, ma anche d’amore, perché ci vuole coraggio ad uscire dal dolore, ma allo stesso tempo questo è un grandissimo atto d’amore nei confronti di sé stessi, amarsi prima di essere amati. Ascoltando le prime tracce, sembrerebbe che stia raccontando l’inizio di un amore, con tutte le sue incertezze e le sue paure, ed in parte è così. Dalla terza traccia però, attraverso una presa di coscienza che la vita non è come ci raccontano le favole, inizia ad emergere un dolore che vorrebbe esplodere, ma che viene nascosto dietro falsi sorrisi. Con la quarta e quinta traccia comprendiamo che quello che avevamo pensato inizialmente come amore, in realtà ci ha lasciato profonde cicatrici invisibili, che provocano un forte dolore. Il quinto pezzo, Solo un gioco, è sì il racconto di un abuso, ma è anche il pezzo di rinascita dove Anita prende atto di quello che le è successo e lo “urla”, è un pezzo che denuncia.
«Mi piace definirmi una cantastorie, perché sono storie quelle che voglio raccontare attraverso i miei testi, per dare voce non solo ai miei pensieri, ma anche a tutte quelle storie che incontri per strada o che ti vengono donate nel momento in cui ti vengono raccontate.» Elisabetta Arpellino
TRACK BY TRACK
L’AMORE COS’È: nasce per rispondere alla domanda “che cosa siamo noi?”. Siamo abituati a dover sempre dare un nome alle cose, a mettergli un’etichetta, anche ai sentimenti che proviamo. Eppure etichettare un sentimento è un po’ come metterlo in una gabbia, soprattutto quando si parla d’amore. L’amore cos’è è un elenco di luoghi comuni per definire l’amore, che finisce senza dare una vera risposta alla domanda iniziale, forse perché la vera risposta è che, come hanno scritto Fabi, Silvestri e Gazzè, “L’amore non esiste, ma esistiamo io e te”. Il tutto è racchiuso in un’atmosfera acustica, che spazia tra una prima parte più intima ad una seconda più giocosa.
NON SONO CAPACE: è un brano intimo e delicato, quasi sussurrato, che racconta del non sentirsi all’altezza e della paura di lasciarsi andare, di far vedere all’altro chi siamo veramente, senza maschere, depositare l’armatura e lasciare che l’altro ci ami per quello che siamo, eppure tra quelle braccia ci sentiamo a casa, e forse è proprio questa la vera paura. Un brano semplice per pianoforte e voce, in cui l’insicurezza la fa da protagonista.
SENZA FONDO: è un racconto di fragilità e paure. Nasce dalla presa di coscienza che la realtà non è come quella descritta nelle fiabe. Parla di mura costruite per difendersi dal dolore e di lotta contro le proprie insicurezze. È una richiesta di aiuto celata dietro a maschere di sorrisi. Questo è il brano scritto cronologicamente più indietro nel tempo di tutto l’Ep, scritto durante il primo anno a Milano di Elisabetta (quasi 6 anni fa). È nato dopo che un giorno un suo professore in accademia disse che non era possibile che lei avesse provato realmente quel dolore che raccontava in un altro testo: arrivata a casa di getto scrisse il ritornello di questo pezzo. Poi è rimasto per tanto tempo nel cassetto finché non l’ha ripreso in mano per lavorarci con Veronica Gori, per presentarlo nel suo spettacolo di tesi. Caratteristica di questo pezzo è la presenza di una coda strumentale interamente composta dalla stessa Veronica Gori.
ANITA: la title-track di questo Ep racconta di smarrimento, di vuoto, di violenza. Anita è una donna che cerca una via di fuga dal suo stesso dolore. Arpellino ha voluto raccontare la storia di Anita perché di storie come questa si parla troppo poco o solo in determinate occasioni, ha voluto dare voce a chi normalmente viene messa a tacere o che non parla per vergogna, a chi si nasconde, a chi soffre. Elisabetta dice «Anita è forse il brano a cui tengo di più, scritto di getto un giorno dopo aver ascoltato l’ennesima storia di dolore, dopo aver visto una ragazza che ogni giorno continuava a scomparire sempre di più nel suo maglione avvolta dal dolore». Un pezzo dalle forti sonorità acustiche, che lavora per sottrazione di elementi sonori.
SOLO UN GIOCO: è l’ultimo tassello di questa storia ed è il racconto/ricordo della violenza subita. È la presa di coscienza di quello che è accaduto ad Anita, il motivo del dolore e dello smarrimento. È una denuncia di ciò che è successo, il pezzo di riscatto, di rinascita, perché finalmente Anita è riuscita a dire ad alta voce ciò che le è successo. Si differenzia da tutti gli altri pezzi per le sue sonorità elettroniche, in certi punti caotiche e ridondanti, è un pezzo di rottura. Solo un gioco è la fine, ma è anche l’inizio di qualcosa di nuovo, una nuova vita in cui Anita ha trovato il coraggio di tornare ad amarsi e a non nascondere più il suo dolore.
Prodotto insieme alla produttrice Veronica Gori, hanno suonato Mario Restivo (batteria), Antonello Labanca (basso), Luciano Rossi e Cristian Donà (Chitarre), Roberto Izzo (violino degli Gnu Quartet) e Antonio Cortesi (violoncello). Mix e registrazioni: Daniele Ronchi e master: Giacomo Mandelli
Elisabetta Arpellino (classe 1997) è una cantautrice di origine astigiana, trapiantata a Milano per perfezionare i suoi studi artistici presso il CPM Music Institute di Franco Mussida, dove si diploma a febbraio del 2022. Fin da piccola coltiva la sua passione per la musica e per la scrittura, infatti, ispirata dai grandi cantautori della musica italiana come Francesco Guccini, Fabrizio De André e Francesco De Gregori con i quali è cresciuta, all’età di 11 anni inizia a scrivere le sue prime canzoni. Negli anni partecipa a diversi premi per autori e festival, dove ha l’opportunità di crescere artisticamente dividendo il palco con i big della musica italiana: Festival di Saint Vincent (2013) vincitrice categoria inediti, Chieri in Festival (2013) vincitrice categoria inediti, Festival Voci nuove di Montecatini Terme (2013) vincitrice categoria inediti, Provoice Festival (2013) Premio miglior autore, Una canzone dal cuore ad Asti (2013), Festival di Castrocaro nel 2014 arrivando in semifinale, Premio d’Autore Città di Asti (2015), Incanto Summer Festival (l’edizione del 2018 e del 2019), Premio Lunezia (2018). Nel 2017 apre il concerto di Annalisa durante la manifestazione La Barbera Incontra a San Damiano d'Asti, e l’anno seguente apre  il concerto di Gino Paoli sempre durante la stessa manifestazione Nel 2019 pubblica il suo primo Ep “Da dove riparto” una raccolta di brani significativi scritti dal 2013 al 2018. Nel 2022 escono i singoli  “L’amore cos’è” e “Senza fondo” prodotti in collaborazione con Veronica Gori. Successivamente esce anche “Anita”, title track del secondo Ep dell’artista previsto per il 31 marzo 2023.
Contatti e social
Facebook: https://www.facebook.com/elisabettarpellino Instagram: https://instagram.com/elisabetta.arpellino?igshid=YmMyMTA2M2Y= YouTube: https://youtube.com/c/ElisabettaArpellino
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gaysessuale · 3 years
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lodo guenzi ha postato, permettendomi di completare la sacra trinità
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e-ste-tica · 3 years
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io e S. cerchiamo un negozio dell’usato ma sulla via troviamo per caso C. e miele, si accodano e arriviamo al negozio tutti assieme ma è chiuso e comincia a piovere. cominciamo a ridere urlare parlare e non finiamo più. S. dice Andiamo a bere dalla nonna! La nonna? - chiede miele - gli dico Sì hai una nonna egiziana non lo sapevi? S. mi dice È argentina! facciamo una serie di tappe, C. mi dice che chiama miele “troiaccia” quando vuole fargli un complimento e io gli dico che in passato mi hanno dato il titolo di “Gran Troia” - Con le due maiuscole! ci tengo a precisare. la nonna prepara sei spritz, due moscow mule e due ciotole di taralli e olive. C. spiega come combatte la mascolinità performativa dicendo a chiunque che non gli piace scopare. ascolto loro tre che parlano dei padri che gli hanno insegnato a non piangere, C. dice che vorrebbe farlo ma non riesce, miele è silenzioso, S. ricorda che il padre gli ha detto che gli uomini piangono dentro. gli dico Anche i più decostruiti che conosco non piangono mai! (svariate ore dopo sui gradini sporchi di un portone in san vitale S. piangerà mentre mi racconta della sua adolescenza e di sua sorella). beviamo un giro di vodka, vediamo un poster di marx e a me vengono gli occhi lucidi mentre passiamo per una via che fino a poche settimane fa - prima di traslocare - calpestavo ogni giorno. mangiamo una pizza mentre parliamo della bolla che è questa città, C. dice che la percezione è genderizzata quando gli racconto che qui è un sogno in confronto alle molestie che offre roma sud, miele dice che si sente quasi in colpa a vivere in questo posto così diverso dal resto d’italia e poi tornare nel minuscolo paesino delle marche dagli amici che non se ne sono mai andati. ridiamo senza fine, urlo e sento che il giorno dopo mi farà male la gola. penso che sono fortunata, dico che siamo la gang del bosco, io e C. parliamo della tipa con cui non sa se ha scopato perché era troppo ubriaco, non sa della cotta che avevo e che da qualche tempo ho deciso di non avere più perché questi fratelli mi rendono felice così. sia miele che C. poggiano la testa sulla mia spalla almeno una volta, beviamo ancora in mascarella e S. come sempre incontra mille persone, conosce tutti e camminando lo salutano gli parlano gli sorridono. vino, mirto, C. beve qualcosa che non so. decidiamo di tornare a casa, accompagniamo C. per un tratto e ci chiama “bellissimi”. incontriamo un’amica di S. che si unisce a noi, siamo di nuovo quattro. poi diventiamo tre, poi due, io e S. camminiamo e nel frattempo una scena annerisce il mio umore. sto in silenzio, lui insiste per farmi parlare e vuoto il sacco faticosamente con parole confuse e tremando, piango, si scusa, parliamo tanto, dice Hai ragione sono un compagno ipocrita ma io non volevo farlo sentire giudicato, gli dico che ci stiamo tutti provando e che non deve invalidare la sua esperienza politica o il suo attivismo, poi gli dico la mia paura più grande, lui mi dice dove sta sua sorella e che la parola follia non è nel suo vocabolario. tutto è bene quel che finisce bene, dorme da me e la mattina gli leggo un passo di roland barthes a pagina 144. gli dico Scusa se non mi piace parlare, uso le parole degli altri, mi risponde Grazie per aver preso del tempo per cercarle.
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jordi-pilskog · 3 years
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Capitolo Due.
Eugene è un nome bellissimo, adatto a qualcuno dai tratti nobili. Basta dare un’occhiata all’etimologia su internet.
Ed il mio Eugene era bello, e buono.
“To calò o noùne òli.” si dice dalle mie parti, che vuol dire “Il bene lo conoscono tutti.”
E Eugene era tanto, tanto buono.
Non sto idealizzando la sua persona, lui davvero aveva un cuore grandissimo, pronto ad accogliere migliaia di persone problematiche nonostante lui stesso fosse sofferente. Ne usciva quasi sempre sanguinante, ed io e Riccardo cercavamo di esserci per curare le sue ferite.
Purtroppo però, per parlare di lui devo riaprire un capitolo della mia vita meglio lasciato chiuso, un ricordo orribile che ormai mi appartiene sempre meno. Abbiate pazienza.
In quel periodo mi chiamavo ancora Ilaria e piangevo abbastanza da potermi definire una persona triste di nuovo. La solitudine aveva preso piede nel mio territorio, dove le mie colpe erano nella mia stessa tristezza, nella mia insicurezza, nel mio non volermi bene, nello sbagliato che ho fatto e nel bello che ho bruciato di cui blateravano i miei famigliari. Capì quindi che il problema era ancora il mio corpo, io ero ancora io.
Avevo sofferto segretamente di anoressia tra i sedici e i diciotto anni, causa sconosciuta, sconfitta con successo, e ci stavo ricadendo a diciannove.
Avevo rinunciato alla vita.
Ogni tanto andavo in spiaggia con mia madre.
'Mi sta sul cazzo quella.'
'Chi?'
'La Santa Anoressica'
'Quella? Ma la conosci?'
'Veniva in palestra con me.'
'Perché anoressica?'
'Guardala.'
'Magari è così di costituzione, Ila... Non so, guarda, secondo me... Non è che tutte le persone più magre di te siano anoressiche... E anche se fosse dovresti compatirla.'
'Io non compatisco nessuno, per quel che mi riguarda, può anche morire. E poi, lasciatelo dire, 'ste stronzate sulla costituzione risparmiamele: nessuno ha la cassa toracica di fuori per costituzione.'
'Ma perché devi dire 'ste cose cattive... E se lasciavamo morire te?'
'Io non sarei mai morta!'
La Santa Anoressica la denominai così perché riusciva a farsi trattare come una povera martire. In palestra, alla domanda 'Come mai così magra?' rispondeva 'Costituzione. Cerco di farmi i muscoli infatti.'  Peccato però che poi gli attrezzi adatti allo scopo di metter massa non li toccava, e stava due ore buttata su cyclette e tapis roulant. Le frequentatrici più anziane della palestra quando la vedevano parlavano fra di loro del fatto che è evidentemente troppo magra, le chiedevano se mangiasse, se fosse vero che fosse effettivamente stata sempre così. L'istruttore ogni volta che la vedeva corrucciava le sopracciglia, ma non la cacciava, dopotutto pagava.
Un giorno la Santa Anoressica, dopo tre ore di palestra, camminava come se le sue gambe non fossero più sue, le ginocchia tremanti, si appoggiava ovunque. Ovviamente, attirò l'attenzione della gente e la sua amica le fece 'Hai mangiato oggi?'.
Questo è troppo, mi dissi io, e in palestra non ci tornai più.
Odiavo essere così. Odiavo fare pensieri inutili come Quando ero in quella condizione io, non mi era concesso andare in palestra. Non ci andavo a mare, stavo sempre nascosta come un verme. La Santa Anoressica aveva l'aria di una che credeva di essere completamente guarita solo perché si sforza di mangiare una fetta di pane in più. Andava in palestra con l'amica, andava a mare sculettando, ogni tanto si toccava le costole e le ossa del bacino come per controllare di non aver messo peso. Si vede che aveva deciso di essere una persona normale, ma non aveva accettato il fatto che avrebbe dovuto  metter peso. Si vede, che non era ancora stata messa alla prova. Ed era così serena, che mi faceva incazzare. Perché io ho dovetti rinunciare alla mia androginità e ho dovuto far finta e pretendere di piacermi in qualunque forma, il diritto di dire 'Questo non mi va, non lo mangio.' mi era stato tolto. Perché io in quel momento ero a dieta. E lei pure.. Lei salta le tappe e fa già le cose che farebbe una persona normale.
La invidiavo.
E odiavo me stesso. Era vero che ero cattivo, perché in quel momento, avrei goduto come un maiale se l’avessero internata davanti a me. Una in meno! avrei urlato di me. E non sarei stato più invidioso della sua vita facile.
L’anoressia è una brutta bestia.
Per tutta la vita, ho come avuto una coscienza frantumata, di cui molte parti rifiutavo e ignoravo. La mia parte maschile era spiccata dentro di me, e io la cacciavo via per la vergogna.
Volevo un corpo androgino, non femminile, e ogni giorno quando aprivo gli occhi e visualizzavo la mia realtà di giovane donna e come apparivo veramente, desideravo diventare insensibile. Insensibile agli sguardi altrui, alle critiche, ma soprattutto al fatto che tutti mi vedessero in maniera differente da come mi sentivo io. Volevo essere insensibile al mio riflesso nello specchio, ho odiato quello specchio e quel riflesso. La mia identità, sentivo, giaceva là dentro, nell’immagine titubante e dubbiosa di una ragazza bionda e allampanata mai soddisfatta di sé, e temevo di non potervi sfuggire mai nella mia vita.
Ero una persona debole, per me contavano tanto le parole altrui dette per definirmi con leggerezza, e continuavano a ronzarmi nella testa per giorni, a volte mesi. Mi spezzavo facilmente e mi sentivo inerme, e, pensavo, che il mio essere sempre fermo in un punto a rimuginare facesse sì che le persone riuscissero a tastare i miei punti deboli e a stuzzicarli per divertimento.
Lo sapevo che avrei dovuto muovermi. Volevo muovermi!
Ero così frantumato allora, però. Ma speravo che un giorno mi sarei riconciliato con me stesso e con il mondo.
Al ritorno dal mare mia madre guardava verso la mia figura con preoccupazione e così anche mio padre. Per loro ero solo una malata e volevo essere qualcosa di più, davvero, ma sentivo di essere stato così poco per una vita intera, una bambina da tenere sempre sotto controllo, per un motivo o per l'altro, ché non se la sa cavare sola.
‘Ecco qua, questa è la tua parte di pane, mangiala.’
Ecco... vedi mamma, piuttosto mi mangio le mani, che almeno contengono solo proteine. Però non le mangerei ora a cena, le proteine le mangio sempre a pranzo, ricordi? ‘Se una cosa mi va me la prendo sola grazie. Mangialo tu.’
Uno schiaffo doloroso.
‘Lasciatemi campare col mio fottuto piatto di spinaci fino al pranzo di domani!’
Non è che avessi una grande motivazione o che altro, per essere arrivato fin là. A pensarci bene, oggi ho realizzato che in realtà ero una persona parecchio frustrata, e se così non fosse non avrei scritto su un blog tutti i miei problemi in post giornalieri. Se avessi dovuto descrivere come mi sentivo, avrei detto che essere me era come essere in uno di quei spara-tutto americani, di quelli a quadri in cui sei armato di poche munizioni e sei senza compagni contro tutti, e quando muori scleri, 'che devi ricominciare daccapo. Mi sentivo un po' così nella mia lotta contro la bilancia.
Ero senza pietà, nei miei confronti, e non mento. Non compativo il mio povero corpo in amenorrea, che lottava per mantenersi in piedi, anzi lo martoriavo con sigarette, integratori alla senna, e giri in bici. Fingevo di non sentire le gambe intorpidite, lo stomaco gorgoglia, nessuna pietà. Era come cercare di sterminare gli zombie quando si è già stati morsi, con il virus che ti infetta sempre più. ‘Tic tac, tic tac, l'orologio scorre e il virus avanza, ma se ce la metto tutta non morirò, passerò anche questo quadro.’
Ero come del fottuto popcorn ipercalorico.
-Pop!-
Scoppiato. E non sei più nulla agli occhi degli altri, nulla, nulla se non quel numero... e quel mucchio d'ossa che ti piace tanto. Erano giorni che correvo e divoravo chilometri in bici e non sentivo neanche il minimo senso di fame. Perché tutto ciò che avevo ottenuto e costruito in quei giorni avrebbe potuto scomparire in una notte, chissà. Mi sentivo così inutile, che non ho trovato altro da fare. Ma ero anche incazzato, e mi sentivo qualcosa dentro che credo si avvicinasse abbastanza ad essere forte.
Avevo paura di dire a tutti cosa stavo vivendo. Di come non avessi più un'aspirazione o di come non vedessi un futuro per me stesso. Di quanto le parole offensive dei miei mi consumassero dentro, quanto odiassi me stesso per non avere il coraggio, e le capacità, di restare in piedi e lottare per me,me, di come non potessi più sentire una cazzo di emozione che non fosse frustrazione. Mi sentivo morto, intorpidito e amaro e vuoto dentro.
A volte mi sembrava che l'autolesionismo fosse l'unico modo con cui potessi affrontare la vita.
Quanto avrei voluto urlare contro i miei genitori, dirgli che era tutta colpa loro, se non reggevo il peso di niente, e io stesso ero un niente che contava calorie. Avrei detto una cosa così orribile se avessi saputo che avrebbe potuto scalfirli in qualche modo, ma non sarebbe stato così, vero?
Solo loro, conoscevano i tasti da premere per farmi rendere conto di quanto io sia negato quando si tratta del mio corpo. Mamma, papà, solo voi.
La rabbia saliva, e scesero le lacrime.
Mi portarono dallo psicologo.
Il fatto era semplicemente che le persone cercavano una persona che non c'era più.
Gliel'avrei spiegato volentieri, allo psicologo, ma avevo un nodo in gola. Dimenticai come si chiama e dubito fosse molto importante. Sulla scrivania aveva un pacco di Malboro Light, ma non ne ha fumate. Disse
'Parla, che non ti abbandoniamo'.
Ed io ho parlato.
Poi andò in vacanza e mi sentì abbandonato.
"Hai detto che accetti di uscire solo se i tui amici non hanno da fare."
No. Non io. Loro. Aspetto che loro si ricordino di me. "Detta così sembra che tu viva un pò al rimorchio degli altri." Fui diagnosticato con la distimia. Distimia... Suona un pò come distillato, o dislessico, che è?! E credo me l'avesse letto negli occhi, a fine seduta, che non avevo intenzione di collaborare. Persi altro peso dopo quella seduta. Perché tutto in questo mondo, tutto, sembrava essere lì con l'unico scopo di punirmi.
Quella notte, alle undici passate, ero sulla mia bicicletta nera, con settantaquattro chili alle spalle, i miei trentotto chili e uno zainetto contenente solo le mie Winston rosse, il cellulare dimenticato volutamente e una decina di altri chili da perdere, ero decisamente io anche se avevo perso la concezione di me.
Sapevo che i miei non mi avrebbero trovato, eppure pedalavo con forza. Il cibo non mi serviva.
Sentivo il bisogno di andare veloce, scappare, morire, tutto ma non quello. Ripensai all’incontro dallo psicologo, non ci voleva proprio. Volevo tornare a scuola bello e perfetto con i miei jeans taglia 36 e le mie magliette dei Sex Pistols e dei Ramones.
Lo psicologo che aveva riempito di questionari.
"...e non credevi che, così facendo... Non so, saresti potuta morire?"
Non so, francamente non me n'è mai fregato nulla.
"E di che cazzo ti nutri allora?"
Povera mamma.
Aumento di velocità, ero quasi arrivato. La casetta sul lago, che in teoria era chiuso, in pratica me ne sbattevo, mollai tutto a terra e scavalcai il cancello. Neanche un minuto ed ero già già entrato, nel buio pesto, perché manca la luce, ma riuscì non so come a trovare le scale e arrivai sul tetto. Quante sigarette di rimanevano? Dieci al massimo. Me ne accesi una lottando contro il vento.
Dopo, sulla bici, pedalando con tutta la forza che avevo nelle gambe, immaginai il grasso, la pelle, il mio corpo che si separava da me. Acquistavo velocità, diventai uno scheletro leggero come una piuma, e la mia carcassa giaceva abbandonata dietro di me.
Al mio ritorno fui sgridato aspramente e riempito di domande.
Tutte quelle domande evasive sui miei sentimenti, sulle mie intenzioni a notte fonda, non le reggevo. Se avessi potuto mostrare un cartello con su scritto “Non ho intenzione di fare un cazzo, perché più mi mobilito per una cosa, più mi va male”, o meglio ancora un bel coltellazzo da piantarmi nello stomaco, gesto con cui spiegare, una volta per tutte e con un bell’effetto splatter, come stavano le cose, per me. Che non c’era pericolo, perché ero come ibernato in una lastra di ghiaccio e neanche le migliori intenzioni, i migliori cori di sostenimento, neanche tutta la mia rabbia era capace di scogliere quella prigione.
Mi sentivo come una tovaglia piegata male. Quando si finisce di mangiare, mia madre mi diceva di piegare la tovaglia, e sbagliavo sempre qualcosa, come prenderla dall’angolo sbagliato e il risultato risultava un obbobrio. Prendevo comunque la tovaglia così come era e la mettevo in un cassetto nonostante le lamentele di mamma. In quella tovaglia piegata male, sentivo come fosse racchiusa tutta la mia fallacità.
La mia vita era costellata di fallimenti, a partire dalla bocciatura a scuola a causa di questa mia malattia. Sotto sotto, però, ancora non mi arrendevo, e in quei giorni avevo sparso le basi qua e là, le sparsi come i tozzi di pane della fiaba di Hansel e Gretel, ma ero convinto che nessuno avrebbe mangiato i miei, neanche gli uccellini più voraci. Ero in attesa.
Speravo tutte le notti.
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ilmerlomaschio · 4 years
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DUE ORE
acquari72
LA PRIMA ORA
Entro in casa di corsa senza accendere le luci e lascio la porta  chiudersi dietro di me.
Scalcio via le scarpe con il tacco 12 nel corridoio.
Dio che sollievo!
In ufficio le devo portare per forza per far bella figura con il mio tallier  ed essendo alta solo 1.60m, in qualche modo devo valorizzarmi.
Appoggio borsa  giacca sul divano. 
La luce dei lampioni esterni è  abbastanza da farmi girare tranquilla in casa senza accendere le luci.
Mi dirigo in camera spogliandomi lungo il corridoio della camicia rimanendo in reggiseno di pizzo nero.
La leggera brezza che gira in casa mi fa drizzare i capezzoli che quasi spuntano dalla stoffa leggera.
Stiracchio le braccia verso l'alto e in modo lascivo lascio scivolare le mani dal collo fino ad afferrare i seni e palparli stringendo i capezzoli.
Chiudo gli occhi e ripenso a lui..
Uhhmm!!
Oggi era fantastico con un completo Armani blu scuro, camicia celeste chiaro e cravatta blu ....
Appena i suoi occhi neri mi hanno fissato ho sentito uno spasmo nel basso ventre.
L' ho visto fare avanti e indietro dall'ufficio tutta mattina fermandosi spesso da me per questioni di lavoro, ed era sempre la stessa storia.
È da tre anni che sbavo per lui, e mi tratta sempre con garbo e cortesia.
Allora di pranzo  abbiamo fatto arrivare degli spuntini dal bar e seduti sul divano del suo ufficio abbiamo mangiato con gli altri colleghi definendo gli ultimi preparativi per il viaggio di lavoro a Londra.
Ero seduta di fianco a lui  le nostre cosce si toccavano e io andavo a fuoco!
Ai loro discorsi annuivo,  o rispondevo a monosillabi, perché  la mia attenzione era tutta concentrata sui suoi movimenti.
Alle sue mani con dita lunghe e affusolate e unghie ben curate, che afferravano il tramezzino e lo portavano alla bocca.
Bocca con labbra rosee, leggermente sottili con denti dritti che splendevano quando sorrideva.
E quanto spuntava la lingua che le leccava per togliere qualche briciola rimasta su di esse, gli spasmi al basso ventre erano sempre più fitti, e le mutandine sempre più bagnate.
Prima della fine della pausa pranzo sono corsa in bagno non resistevo più.
Dopo essermi assicurata che non ci fosse nessuno, mi sono infilata in un cubicolo ho messo un piede sul water, in modo da avere le gambe aperte  alzando la gonna, e con la mano destra ho spostando gli slip di lato e mi sono accarezzata la passerina, facendo scivolare il medio per tutta la lunghezza delle labbra.
Dire che si bagno' subito era riduttivo. Ero un lago pronto a trabordare e inondare tutto quello che incontrava. Gli accostai anche l'anulare ed insieme allargarono le  grandi labbra. L'aria fredda mi fece rabbrividire di piacere, chiudendo  gli occhi e immaginando le sue mani, li infilai dentro iniziando a muoverle su e giù e poi in circolo.
Più le muovevo, piu pensavo a lui, le sue lunghe dita dentro. E la febbre del piacere saliva.
Ma non erano abbastanza, la mia mano non riusciva a colmare il vuoto che sentivo dentro, avevo voglia... avevo smania ... di essere riempita da un cazzo.
E non uno qualsiasi, il suo!!
Volevo lui.
Nella foga di raggiungere il piacere sbottonai la camicetta e con l'altra mano mi palpai i seni strizzandoli con foga e brutalità.
Avevo voglia.
Muovendo la mano più veloce, infilai un terzo dito, che non fece nessuna fatica ad entrare, a cosce aperte i miei umori gocciolavano senza ritegno.
Ed eccola, finalmente l'onda del piacere si stava avvicinando.
Un gemito forte uscì dalle mie labbra, che subito coprii con la mano con cui accarezzavo il seno, per paura di essere sentita.
La mano tra le gambe continuava il suo lavoro.
Avanti...
Indietro...
Di lato ....
In circolo...
Il pollice che strofinava il nocciolo duro sulla punta... e il piacere...  cresceva.... cresceva.... e finalmente esplose sulla mia mano, lasciandomi appagata ma non del tutto soddisfatta!
Quando ho riaperto gli occhi mi sono ricordata di dove ero e dopo essermi ripulita e sistemata sono uscita a testa bassa dal bagno, con la paura che sul mio volto potesse leggersi quello che avevo fatto.
Ma il non vedere mi è  stato fatale.
Infatti con la mia goffaggine sono andata a sbattere contro un muro duro, e due braccia robuste hanno impedito che cadessi.
Alzai gli occhi e mi ritrovai a fissarmi in due occhi neri senza fine.
Si avvicinò al mio collo e annusandomi mi disse alzando un angolo della bocca con un ghigno.
- Lo senti anche tu questo odore!-  per poi girarsi lasciandomi lì tutta paonazza.
Sono rimasta imbambolata per qualche minuto per poi scappare in ufficio e cercare nella borsa il mio profumo e spruzzarmelo, pensando che è  assurdo che abbia sentito l' odore del mio miele.
E adesso  eccomi qui in casa da sola a ripensare a lui.. e la voglia mi riassale. Ma stavolta farò le cose per bene, doccia e poi a letto con il mio amico che non mi delude mai.
Abbasso la cerniera della gonna e mi gelo sul posto.
Due braccia robuste mi stringono, una al fianco,e l'altra mi tappa la bocca prima che possa urlare dalla paura.
Sbarro gli occhi.
E adesso!
L'uomo mi stringe a se e noto che porta pantaloni ruvidi che graffiato la pelle delicata delle gambe.
- Shhh!! Se non urli ti trattero' bene..,  altrimenti dovrò passare alle maniere forti!-  Mi sussurra all'orecchio mentre continuo a muovermi per sfuggire alla sua presa. E per farmi vedere che non scherza, serra di più la mano che ha sulla mia bocca per poi infilare l'altra  nella sua tasca, e mistrarmi un coltello a serramanico che apre, per poi lentamente far scivolare la lama lungo la guancia e poi sul collo, fino ad arrivare alla parte alta del seno.
- mhhh..... sono fortunato cosa abbiamo qui?- e così dicendo fa passare la lama tra i seni e con uno scatto secco lo taglia in mezzo per liberarli.
Essi ballonzolano per la gravità e fa passare la lama di piatto sui capezzoli turgidi che si irrigidiscono di più al contatto con il freddo del metallo. Sgrano gli occhi  ancora di più, per la paura che voglia tagliarmi...
- Allora starai buona!- Mi chiede. Sussurrando.
Faccio segno affermativo con la testa. Ci tengo troppo a non farmi male.
- Bene! Vedi di non fare scherzi o te la farò pagare!- Così dicendo mi toglie la mano dalla bocca per poi farla scendere dalla gola sulla spalla, lungo il braccio e poi risalire dalla vita, sulla pancia e fermarsi sul seno destro che palpa con dovizia. Afferra i capezzoli e li tira, li torce con le dita. Si spinge addosso a me e sento la sua erezione trafiggermi la schiena.
Sarà alto almeno venti cm più di me. Un colosso, a giudicare anche dai muscoli delle braccia che mi tengono ferma.
Lui continua a muovere la sua mano sui seni, mentre con l'altra continua la discesa.
Con un piede mi fa divaricare le gambe per poi infilare il coltello sotto l'orlo della gonna, tenderla e tagliare proprio nel centro dal basso verso l'alto.
Ho un singulto di paura ma nell'aria non si sente nient'altro che il rumore della stoffa che si lacera.
Si ferma proprio davanti alla mia passerina,  sale sulla pancia e lo piega in avanti. Trattengo il respiro e tiro indietro lo stomaco per non toccare la lama. Lui se ne accorge e fa un sibilo di piacere per poi strattonarlo forte e tagliare anche la parte alta della gonna, che come uno straccio cade per terra lasciandomi in autoreggenti e tanga di pizzo.
- uhmmm!! Vedo che sei preparata per me! Adoro le autoreggenti.. - Sibila facendo scendere la mano libera lungo le cosce. Prima di lato e poi accarezzandomi di dietro e salire fin sulla natica lasciata scoperta dal mini tanga. Li accarezza a piene mani prima uno e poi l'altro.
Quella calda carezza mi fa venire i brividi. Non usa i guanti quindi posso sentire il calore delle sue mani. Bollenti.
Un brivido di piacere e non di fastidio mi attraversa il corpo. E un sussulto mi fa quasi cadere in avanti quando schiaffeggia le natiche. Una ... due ... tre ... volte  ed inizio ad ansimare. Mentre alterna schiaffi con carezze.
Quattro... cinque... sei...
Va avanti così per non so quanto tempo, tanto che il mio corpo si eccita  ed inizio a bagnare gli slip con i miei umori...
All'ennesimo colpo un gemito esce dalle mie labbra.
- uhmmm!! Bene vedo che ti piace il trattamento!- Mi dice facendo scivolare la mano in avanti. Tra le gambe. - Oh! Si ... senti qua .... sei un lago...uhmmm ...  ancora un po' e squirti... Allora sei proprio una gran maiala!- continua insinuando due dita nella figa zuppa di umori.
- oddio!- gemo quando spinge le sue lunghe dita dentro di me e la tiene li ferme, muovendo solo i polpastrelli e accarezzando le pareti interne del sesso.
Un piacere travolgente mi assale, come la smania di muovermi su quella mano. E così faccio.
- Si brava muoviti tu... che dopo ti tocca il mio  grosso cazzo!- dice con voce graffiante. E nel mentre fa scorrere il coltello sul fianco con la lama piatta, per poi infilarlo nello slip e tagliare i pezzi laterali, prima uno e poi l'altro lasciandomi così coperta solo dalle autoreggenti. Il freddo della lama mi ha fatto fermare e irriggidire.
Sfila violentemente le dita da dentro, e nell'aria si sente come lo stappo di una bottiglia.
- che buon sapore che hai!- esclama dopo essersi leccato le dita. - Ma adesso basta scherzare .... portami in camera tua!.- comanda a voce dura spingendomi in avanti con una manata alla schiena.
- Forza cammina... ho il cazzo che mi scoppia e i pantaloni mi stanno stretti..  e tu dovrai soddisfarmi.- dice continuando a spintonarmi.
Entriamo in camera. C'è ancora il letto disfatta perché stamani non sono riuscita a rifarlo che ero in ritardo.
- ah!! Vedo che l'ordine non è il tuo forte e  vedo che sai come divertiti..- sghignazza notando il mio sex toys dimenticato sul comodino con la botiglietta di olio di fianco.
- scommetto che stanotte ti sei divertita... dimmi .... eri da sola?-
- Da sola... Non c'è nessuno... - balbetto diventando tutta rossa per l'imbarazzo.
- tra poco scoprirai cosa si prova ad avere un vero cazzo di carne ardente nella figa...... saprò io come farti godere!- Mi dice leccandomi dal mento alla guancia.
La saliva calda, un brivido di apprensione mista a piacere  mi serpeggia nel ventre, al pensiero di tutte le cose licenziose che le sue parole hanno scatenato nella mia testa.
Mi spinge sul letto, di fa cadere con il sedere sul materasso e le gambe che sfiorano il pavimento. Si allunga su di me e con una cravatta  che tira fuori dalla tasca della felpa,mi lega le mani sopra la testa.  Il mio busto spinge in avanti i seni con i capezzoli che svettano come due ciliegie mature, pronte da mordere.
Finalmente riesco a vederlo in faccia. Ha un passamontagna nero sul viso con dei fori per gli occhi e la bocca.
Spalle grandi coperte da una felpa grigia con la zip e, come supponevo, indossa dei pantaloni della tuta anch'essi grigi.
Abbasso lo sguardo sul suo inguine e noto un'erezione enorme che tende la stoffa dei pantaloni come una tenda. Spalanco la bocca per la sorpresa. Da come si era premuto  addosso me, pensavo che fosse di medie dimensioni, ma mi sbagliavo è  grosso forse più del mio toys! La gola mi si secca, per poi sentire, subito dopo, l'acquolina con la bavetta a lato delle mie labbra,al pensiero del piacere che saprà darmi. Inghiotto senza farmi notare.
Lo guardo muoversi e allungarsi sul comodino per posarvi, con mio enorme sollievo il coltello che teneva in mano.
Legata e nuda ho poche possibilità di scappare. E poi il mio corpo si sta eccitando per la situazione in cui mi trovo.
Torna a concentrare l'attenzione su di me e sovrastandomi con la sua altezza mi fissa.
Allunga le braccia e con furia afferra le mie cosce con le dita che sembrano artigli e me le spalanca. Nella stanza si sente il fruscio dello sfregare della pelle sulle lenzuola, seguito dal suo gemito alla vista della mia passera. 
- Ohhh!! Mamma!!  Sei proprio il mio tipo di figa.... brava! ... proprio come piace a me... un ciuffetto rasato a triangolo sul monte di venere, con la punta rivolta alla tua entrata che non vedo l'ora di saggiare, e il resto completamente depilato. Così quando ti lecchero' a dovere non avrò peli ad imbrattarmi la bocca.- Dice con voce roca e spostando le mani verso l'interno cosce, per poi arpionare le grandi labbra ed allargare il più possibile la mia entrata per  paradiso.
Mi sento esposta, ma anche emozionata, questa sua irruenza mi fa desiderare  cose sempre piu sporche, e sento il mio miele iniziare a scendere..
- A vedere come luccichi sembra che il mio comportamento ti stia smuovendo dentro. Bene vediamo come migliorare!- e così dicendo continua a tenermi aperta ed abbassa la testa per avvicinarsi al mio anfranto.
Quando sento la sua lingua leccarmi l'entrata, gemo di sorpresa per il piacere provato ed è  in questo momento, che mi rendo conto di essere completamente fottuta!.
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Mi chiamo Susanna ed il mio nome mi piace molto. Ho 23 anni, sono nata il 27 giugno 1996. Sette è il mio numero preferito e da piccola trovavo una serie di motivi per spiegarne il perchè. Sono del segno del cancro e credo di avere diverse caratteristiche che lo rispecchiano. Credo nella giustizia, nell'amore, nei valori. Non mi sono mai ubriacata, non ho mai saltato scuola senza dirlo a mamma, non ho mai fumato e non ho mai fatto qualcosa contro ciò che andava fatto, contro ciò che era giusto fare. Quando qualcuno entra nel mio cuore, dopo un tempo molto lungo e travagliato,non ci esce più, mai più.  Diverse persone sono uscite dalla mia vita lasciando un forte dolore, uno spazio vuoto ma l'amore che ho provato nei loro confronti è ancora vivo, non ha nemmeno perso d'intensità, si trova nascosto dentro di me, ben custodito. Sono fidanzata da 7 anni con una persona che è riuscita a farmi aprire e ad accettare tutto ciò che non mostro, la vera me. Lui è la persona che è riuscita a farmi piangere, ridere, urlare e sfogare. Riesce a gestire assieme a me i miei demoni ed a fronteggiarli.  Amo infinitamente la mia famiglia. Mia mamma e mia sorella. Loro due sono il pilastro della mia vita, il mio punto fisso. Quando attorno a me tutto sembra non andare, quando il mondo decide di cambiare tutto d'un tratto senza avvisarmi mi basta guardare loro per sentirmi al sicuro. Mia mamma è il mio esempio da seguire, la mia roccia, il porto in cui rifugiarmi quando tutto non va. E' tutto ciò che ho di bello,tutto ciò che spero di essere un giorno. E poi non ho una padre. O meglio, lui c'è, è. Lui è ma non con me. So dove sia fisicamente e lui sa dove sono io, ma non siamo insieme. Ha scelto di non essere più parte della mia vita e così sia. Ma io sono Susanna, ho 23 anni, ed amo la vita. Nonostante tutto. Amo i momenti in cui sorrido, amo il mare, le fotografie ed i tramonti.  E sono tanto,proprio tanto altro ma forse non lo so nemmeno io chi sono del tutto, come potrei dirlo agli altri?
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k-erelle · 4 years
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L'INVERNO DEL SAMURAI allegro ma non troppo
Sul suo comodino un libro. Una frase sola sottolineata : "sopra la testa del dottore c'era un cartello. Era scritto «ricorda , nessuno verrà a salvarti»”.
Elsa era la nostra maestra alle elementari.
Ci aveva invitato a prendere un tè .
In memoria dei vecchi tempi invece della macchina io e S.abbiamo preso l'autobus.
La fermata di S. viene molto prima della mia. Ogni mattina vedevo il bus da lontano fare la curva e il suo viso minuto schiacciato contro il vetro che mi cercava e i suoi capelli biondi che mi salutavano allegri , dotati di vita propria anche quando dormiva.
Non l'ho vista finché non sono salito. Era rannicchiata giù in fondo al bus . Teneva la borsa sul sedile vuoto accanto. Mi teneva il posto. Come allora . Il bus era vuoto. Solo noi due. I capelli erano sempre biondi. Non ridevano.
Sul mio pavimento un libro tutto sottolineato. Una macchia di vino rosso su una pagina. Al di sotto una frase: “ridurrebbe volentieri la terra a una rovina e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo.”
I biscotti alla cannella e miele di Elsa erano buonissimi. Il tavolo era ingombro di foto. Bambini, bambine ed Elsa diversa di anno in anno. S. ha voluto vedere il diario dove Elsa ha trascritto la mia prima poesia. Ho colto l'occasione per uscire in giardino. Un caccia americano sbucava da grosse nuvole nere. Mi sa che piove , ho pensato.
L'occhio sinistro mi ha preso a pulsare.
Al ritorno invece dell'autobus siamo andati a piedi. S. ha fatto una foto col telefono di una polaroid di noi due ragazzi nel cortile della scuola. Lei rideva e in mano aveva un piccolo riccio. A me mi si riconosce appena. Il volto girato da un lato che guarda qualcosa fuori dall'inquadratura . La cartella di vernice rossa per terra da cui fuoriesce un righello spezzato. Una mano infilata in tasca. Il braccio secco secco e pallido, pieno di scarabocchi fatti col pennarello.
Le prime gocce di pioggia .
Quando lei si svegliò era mattino. Era ancora più bella. Qualcuno entrò e mi cacciò dalla stanza. Fu allora che lei cominciò a urlare.
Quando mi svegliai era notte. Avevo i pantaloni calati , il culo nudo mezzo di fuori. Risate lontane in un altro appartamento. Il giorno che divenni immortale.
Continuavamo a camminare sotto la pioggia.
- avevo questo sogno di te che non ti ho mai raccontato, avrò avuto più o meno 20 anni.
- l'epoca in cui sono apparsi i primi segni di demenza senile.
- eravamo nudi a letto. tu dormivi.mi alzo per andare in bagno per fare pipì e invece della fica mi ritrovo un cazzo.
- demenza senile con insorgenza di simboli fallici.
- torno a letto.mi metto attaccata al tuo corpo . il cazzo mi viene duro e te lo infilo dentro.sono eccitatissima .il tuo corpo emana un calore innaturale ma non ti muovi,non ti svegli.,sei immobile.
- ho come il presentimento che vuoi raccontarmi la fine.
- finito. il sogno è tutto qua.io che ti inculo e mi piace da morire.
- sono i biscotti di Elsa.non ho mai creduto che ci fosse solo miele e cannella dentro
- prendimi per mano.ecco vedi sei caldo , scotti. ho letto che anche Alessandro Magno aveva sempre uno due gradi piu del normale.
- può darsi. anch'io come lui ho avuto il mondo ai miei piedi e l'ho preso a calci.
- tu ai tuoi piedi avevi me non il mondo.
- appunto.
Poi siamo rimasti in silenzio a guardare la pioggia.
- ho letto la tua prima poesia. mi è venuto da piangere.
- mi ha fatto piacere. arrivato.torno a casa . c'ho da fare.
- sì ciao
- ci si vede. stammi bene.
Sono tornato a scuola. Dietro una volta c'era una panchina verde e degli alberi. Non c'è più. Ora c'è un parcheggio. Continuava a piovere. Non sapevo dove sedermi così mi sono sdraiato sull'asfalto dentro il rettangolo vuoto di strisce per parcheggiare l'auto.
Protetto dagli occhiali potevo guardare le gocce di pioggia scendere dal cielo e infrangersi sulle lenti di cristallo.
È stato bello.
Kerelle
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Ciao, sono alessia.
Una ragazza che vive, fortunatamente, in una famiglia perfetta, ma purtroppo la perfezione svanisce...
Ho sofferto e soffro solo perché la vita vuole che io sia forte, ma la vita deve anche sapere che è così difficile affrontarla.
Sono sempre stata una ragazza educata e timida, mi sono sempre allontana da tutti, non perché lo volessi io, ma perché gli altri mi allontanavano, solo perché ero diversa da loro, non avevo belle gambe, un viso ben curato, o semplicemente perché non ero magra.
È stato difficile affrontare questa vita, ora è così difficile viverla.
Non parlo quasi mai, si è vero, mi sono sfogata, ma a volte ho paura di farlo, ho paura che gli altri mi potessero descrivere coma una esibizionista, ma non è così.
A volte ho bisogno, ho bisogno di sfogarmi.
La mia vita non è mai stata facile.
Sono stata vittima di bullismo, ma chi non lo è stato.
Solo che con ne sono stati così cattivi da farmi chiudere in me stessa.
Non è stato affatto bello essere la vittima di turno per tutti, non è stato bello essere ripresa mentre mi buttavano carte dietro la testa, non è stato bello essere chiamata “pane ciok” per quel neo che ho sulla guancia.
Non è stato bello essere chiamata “camionista” solo perché ero grassa e non avevo la pancia “piatta”.
Non è stato bello essere sorvegliata dagli assistenti sociali, solo perché non andavo a scuola per colpa loro, ma il dolore più grande era che loro non mi credevano per niente.
Non è stato bello tutto quello che ho sopportato e non racconterò tutto, anche perché appunto non mi piace essere al centro dell’attenzione, non so manco perché sto raccontando la mia vita, ma è da una vita che voglio urlare il mio dolore.
Avevo una migliore amica, io la volevo tanto bene, anche perché ci conoscevamo da quando avevamo 6 anni, tipo, ma un’amica non sceglierebbe mai il suo “ragazzo”.
Anche perché il suo ragazzo mi prese in giro e se io fossi stata al suo posto, l’avrei difesa, ma non siamo tutti uguali, quindi non fa niente, mettiamoci una pietra sopra.
Dopo finito le medie, io pensavo che tutto ciò finisse, invece no, iniziando le superiori, nella mia classe erano tutte perfette, capelli lisci e vestiti di marca.
Beh, io no, ero grassa, con il codino, occhiali (raramente) e con un paio di scarpe rotte, ma non era affatto colpa di mio padre o di mia madre, in quel periodo non si poteva e io capivo la difficoltà.
La sofferenza di mio padre e di mia madre nel vederci così, ma io sapevo che non era facile avere tutto.
Insomma, ero quella ragazzina li, sempre vestita di nero, eh vabbè, si sa il perché.
Speravo che almeno alle superiori non ci fossero persone cattive, invece no, mi presero in giro per le mie scarpe rotte.
Io ero già ansiosa per quello che avevo passato, ma va bene, si andava avanti no?
Anche perché io andavo avanti soltanto per la mia famiglia, che fortunatamente avevo, che mi accettavano per quella che ero e andavo anche avanti per quell’unica amica che avevo.
Comunque al primo anno delle superiori venni bocciata, sempre per colpa delle assenze, anche perché io avevo il “terrore” della scuola.
Iniziando di nuovo il primo anno di superiori, erano tutte sempre così belle, io ero sempre la solita, ma vestita meglio e iniziai anche a truccarmi.
Feci amicizia con 6 ragazze, tutte e 6 erano così diverse, ma contemporaneamente meravigliose nell’animo, che fortunatamente tutt’oggi siamo unite.
Diciamo che in questi anni iniziai a cambiare, a perdere kili, non per gli altri, ma anche per me stessa, sempre grazie al sostegno della mia famiglia.
Beh, 5 anni passati insieme, non dico che è stato tutto perfetto, anche perché i “bulletti” c’erano sempre, ma almeno non mi sentivo sola e ci difendevamo l’una con l’altra.
Loro mi sono state vicine, anche nel momento più brutto della mia vita che tutt’oggi lo è...
La perdita del mio papà, il mio punto debole, la mia sofferenza più grande.
Il mio papà era la mia forza più grande insieme a mia madre, anche perché loro non mi hanno mai tradita e hanno sempre creduto in me.
Io sono fiera di avere una mamma Meravigliosa e di aver avuto un papà stupendo.
Qualsiasi dolore non potrà mai superare quello di perdere un padre, si diventa egoisti e deboli, la forza non ce l’hai, perché non esiste in questi dolori, affondi soltanto in quel vuoto che hai dentro e basta, non ti rialzi, perché non ci riesci.
Vado avanti, sì, perché devo, perché lui lo voleva.
Non seguo più la dieta, non sono più fissata come prima, anche perché stavo e sto così male che penso solo a sfogarmi, a sfogarmi sul cibo.
Probabilmente sono ingrassata 5 kg, o forse 7.
Ma credetemi, era l’unica cosa che avevo in quel momento e non sapete quanto è brutto, quando mi dicono “sei ingrassata”, “hai di nuovo la pancia”.
Mi ferisce tutto questo, perché ho paura, pauradi diventare quella di prima, ma non riesco a concentrarmi su me stessa, perché il mio pensiero va sempre al mio papà.
So che devo essere forte, ma la mia fortezza non c’è più.
So che sto deludendo il mio papà, perché non mi sto impegnando più come prima a scuola, perché piango sempre e so che lui non voleva questo, ma non ci riesco.
Volevo solo che il mio papà restassi sempre con me, perché perdere un padre a 19 anni è un orrore.
Il pensiero che lui non mi potrà accompagnare all’altare, non mi potrà vedere con il vestito bianco e non potrà vedere soprattutto il mio futuro, è bruttissimo.
Lui spesso mi diceva “più nera della mezzanotte non c’è “
Invece si sbagliava, tutto questo è più nero della mezzanotte.
Papà scusami se non sono più quella di prima e scusami se ti sto deludendo...
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ilsuosorrisomifotte · 4 years
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Questa notte ti ho sognato. Avevi il solito sorriso con i soliti capelli scombinati per colpa del vento. Camminavamo e parlavamo, tu come sempre mi parlavi della vita ed io come sempre ero intenta a sentire ogni tua parola, cercando di prendere appunti mentalmente in modo da non dimenticare nulla. Poi ad un tratto ci siamo fermati e mi sono resa conto di tutto, che quello era solo un sogno e che tu al mio risveglio non ci saresti stato. Ti ho abbracciato forte e ho pianto, ho pianto sapendo che cosa mi attendeva, ho pianto sapendo che da sveglia non avrei potuto ricevere un tuo abbraccio. Mi sono svegliata ed era tutto buio. Il buio mi ha cullata, si è preso cura delle mie lacrime che mi rigavano le guance. Avevo voglia di un abbraccio, io che odio gli abbracci. Mi sono girata nel letto e ho visto la tua foto, quella che ho sul muro. C’eri tu con il tuo sorrisetto, quello che ormai ho incastrato negli occhi. Mi guardavi e sorridevi come a dire ‘tranquilla Pesciolino andrà tutto bene, anche se non mi vedi io ci sono’. Ma non è così, non è così. Perché tu non ci sei. Perché ormai aspettare le 14:00 non ha più senso. Non ha più senso avere ancora il tuo numero tra i preferiti. Non ha più senso arrivare fino a casa tua la sera sperando di vedere la luce del tuo studio accesa. Non ha più senso aspettarti alla Fontana Luminosa, perché tanto tu non sarai lì ad aspettarmi. Si, questa mattina ho davvero desiderato di morire, avrei voluto non svegliarmi perché questo dolore è insopportabile. Vorrei sapere chi cazzo ha detto che il tempo cura le ferite. Bugiardo. Si vede che questo stronzo non ha perso mai nessuno nella sua vita. Il tempo non cura le ferite, il tempo non curerà mai questa ferita, questo senso di vuoto che mi accompagna dalla mattina quando mi sveglio fino alla sera. Alcune volte sono costretta a fingere sorrisi, altre volte i miei sorrisi sono veri. Sì perché c’è una persona che mi fa sorridere veramente, una persona che mi ricorda come mi sentivo quando c’eri tu. Non ti somiglia per niente, ma entrambi mi avete resa felice. Mi piace pensare che sei stato proprio tu a mandarmelo. Mi piace pensare che lui sia il mio arcobaleno dopo la tempesta. Non so se riuscirà mai a guarirmi, forse per questo vuoto non c’è cura, non c’è rimedio, non esiste un tappo che lo chiude. Però con la sua presenza quel vuoto lo vedo più lontano. Immagina una voragine nella terra e i miei piedi che si trovano sulla soglia, ecco, da quando c’è lui i miei piedi sono distanti da quella soglia. Mi sta facendo del bene. Nessuno riuscirà mai a prendere il tuo posto, nessuno ne sarà mai all’altezza. Tu sei stato la mia guida in una strada piena di alti e bassi, piena di ostacoli e di bivi. Sei stato la mia luce alla fine del tunnel, ma sei stato la mia luce anche dopo aver acceso la mia lampadina interna. Piango e reprimo ogni urlo, perché si, vorrei urlare. Vorrei dare sfogo in qualche modo a tutto questo dolore, non mi è rimasto nulla se non la scrittura. Scrivo e parlo di te, parlo a te, ti racconto la mia giornata, ti racconto che ho letto delle poesie di Emily Dickinson (la tua poetessa preferita), ti racconto che ho riaperto quel Corto Maltese che mi avevi regalato e ho letto la dedica che mi avevi scritto. Ho passato la mano su quelle parole, sulla tua scrittura confusionaria e mi sono ritrovata a sorridere con una lacrima pronta a cadere. Cerco di ricordare ogni momento passato insieme, perché ogni momento è stato unico e bellissimo, ogni volta con nuove risate, nuovi discorsi, nuove bestemmie da dire ad alta voce. La tua assenza si fa sentire ogni giorno. Combatto contro di lei, giorno e notte, il più delle volte vince lei. E questa cosa mi uccide.
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romanticasemiva · 6 years
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Fabrizio si è appena trasferito nella scuola di Ermal. Si siede accanto a questo ragazzetto riccioluto e silenzioso e nota sulle sue braccia dei segni, come dei tagli... e non ci mette molto a capire che non sono affatto i graffi. Perciò Fabrizio pian piano cerca di entrare nella vita di Ermal, prendendosi la responsabilità di liberarlo da un dolore che non è sicuro di riuscire a sopportare, ma che non vuole lasciare ad Ermal. Ed Ermal a sua volta pian piano si scioglie, fino a... beh, l'amour
Oddio, wow.
Ciao figliola e grazie per il prompt (mi fa un sacco strano dirlo perché è il primo che ricevo). Allora, la tematica che mi chiedi di affrontare è super impegnativa, purtroppo tutto ciò l’ho vissuto molto da vicino e, detto da una persona come me che respinge ogni forma di tristezza, mi ha fatto male al cuore vedere una persona sgretolarsi. Io ci provo. Per qualsiasi chiarimento, insulto o pomodoro in faccia io sono qua!
Iniziamo.
Fabrizio ha un problema grande come una casa. Insomma, è sonnambulo e ogni mattina si sveglia in modo molto creativo. Dipende tutto dal sogno che sta facendo, quella mattina è un ladro che scappa con una refurtiva da sette zeri e al suono della sveglia si alza urlando: “La prego mi arresti.” mostrando le mani in segno di resa. La sua povera sorellina rimane alquanto allibita sull’uscio della camera di Fabrizio.
“Romina, ma che voi?” sbotta aprendo piano gli occhi. Quella poveretta non ha nemmeno il tempo di ribattere che scoppia a piangere come una disperata. Fabrizio sbuffa sentendo già sua mamma urlare il suo nome dalle scale.
“Fabrizio sei un disgraziato! Smettila di tormentarla.” e sbuffa come un treno, sbuffa perché a scuola non ci vuole andare. Piove ancora, impreca a denti stretti tuffandosi tra le lenzuola profumate di bucato. Non dovrebbe arrivare in ritardo il primo giorno di scuola in un nuovo liceo, in una nuova città, lontano da quella che comunemente chiamava casa.
Inutile dire che a scuola ci arriva in ritardo, con un ombrello che ha fatto la guerra, su uno skateboard che scricchiola e inzuppandosi perfino l’anima. Che bella giornata!
Sale a perdifiato le scale, si perde per i corridoi di quel palazzone. Trova la 5^B.
Busso o non busso? Massì ormai la figuraccia l’ho fatta. Bussa alla porta e dopo una manciata di secondi entra, Fabrizio non è tipo da imbarazzarsi ma questa volta può farlo tranquillamente.
“Oh lei deve essere Mobrici, il nuovo arrivato?”
“Sì prof, so’ io.” tentenna.
“Io non sono prof ma professoressa. Si vada a sedere che è in ritardo.” e Fabrizio già scazza e, sbuffando, trova un banco libero in ultima fila accanto ad un ricciolino tutto capelli e gambe.
“Ma che è questa? E’ stronza?” sussurra al nuovo compagno di banco. Questo si gira nella sua direzione, stira le labbra in un sorriso e: “Stai attento, questa morde.”
“Oh, nun me lo dire te prego. Io in filosofia so’ na pippa.” sbuffa. “Io so Fabbbbrizio.”
“Con quattro B o una sola?” colpito ma non ancora affondato. “Io sono Ermal, piacere.”
Beh che tipetto oh.
Sta di fatto che Fabrizio si deve ricredere. Sono simpatici in quella classe: con Claudio ci ha fatto le peggiori risate e siamo solo al primo giorno di scuola!! E poi ci sta Marco, Andrea, Roberto, Silvia e quell’Elisa che già gli si era attaccata al polpaccio.
Ma Ermal sta la, sempre sulle sue. Ridacchia, scherza ma ha come un velo di apatia negli occhi e Fabrizio l’ha notato. Non ci fa caso, insomma lui è in lutto per le sua vacanze estive e anche lui quella mattina stava abbastanza a pezzi.
Ma forse quel velo di apatia esisteva davvero e non era perché l’estate era giunta al termine.
Le sveglie suonano e Fabrizio inventa ogni mattina un risveglio sempre più creativo e la povera Romina si spaventa, spera sempre che un giorno o l’altro quell’orologino rosso si rompa definitivamente.
Le giornate a scuola passano e le foglie cadono dagli alberi. Si era ricreduto, sta bene a Bari. Non era la sua Roma ma sta bene eccome, se la spassa un casino con i suoi compagni e Ermal è diventato quasi fondamentale nelle sue giornate. Scherzano, parlano e si conoscono. Suonano, sì perchè il ricciolino sa suonare e canta gran bene e Fabrizio è come folgorato. Sente di aver trovato un tesoro. Sta sempre lì canticchiando nella sua mente sul bordo della sua immaginazione, pensa spesso a lui, non sa il perchè ma non lo spaventa. Nemmeno un po’.
“Ricciolè, che me dai na mano in filosofia?” sbuffa stringendosi nella giacca, si accende una sigaretta. “Uhm, va bene. Che mi dai in cambio?” borbotta l’altro armeggiando con cartina e tabacco. “Te do la play, come al solito! Nun fa er prezioso che so che ce voi venire da me!” e l’altro ridendo accetta. Mi pare giusto! Lo aiuta, si aiutano e almeno il debito al primo quadrimestre Fabrizio non se lo becca, per ringraziarlo si godono una bella serata sul tetto di casa Mobrici, del fumo e la notte fredda che cala davati ai loro occhi. E Fabrizio ha questa tentazione grande come una casa, se lo vuole stringere a se, forse lo vuole baciare, forse. 
Ma è in una di quelle prime giornate di febbraio che, sedendosi in parte a Ermal, incontra il suo sguardo vuoto, livido ed ha la capacità di trapassargli da parte a parte il cuore. Si sente come inchiodato alla parete e nemmeno quando l’altro abbassa gli occhi, questa sua sensazione passa.
“Oh riccioletto, te hanno mangiato la lingua?” scherza come ogni mattina. L’altro esce da questo stato di trance e risponde con un: “Oh magari, meno problemi per tutti.” e sorride sulle sue. Insomma era abbastanza preoccupato. 
Fabrizio, oltre a non sopportare la filosofia, odia profondamente il latino. Decise di non seguire la lezione, e si perse scribacchiando un paio di versi sull’angolo sinistro del banco. Lasciò vagare lo sguardo sul compagno, lo osservò di sottecchi lasciando scivolare gli occhi su tutta la sua figura: i ricci scomposti e voluminosi, il piercing al sopracciglio, le labbra fini, il naso leggermente storto e le lunghe braccia coperte da un dannatissimo chiodo dorato che nemmeno il domopak.
Infine le mani, bianche quasi pallide che scrivevano e scrivevano ancora. Li aveva notati, quei graffi sul dorso della mano. Ma chi ci da peso, pure Fabrizio se li faceva quando giocava con la gatta (Molly, si chiama Molly.)
La campanella ha questo retrogusto di libertà e a Fabrizio piace un sacco, si ferma a parlottare con Roberto e Andrea per organizzare una partitella a calcetto. Lo vede passare, Ermal, cammina a testa bassa abbastanza di fretta. Lo vuole invitare, lo vuole vedere, vuole che si diverta con loro. Lo chiama. Non si ferma.
Fabrizio congeda gli amici e lo segue chiamandolo a gran voce, si fa vicino, gli afferra un polso per fermarlo. L’altro si ritrae come scottato e si gira a guardarlo, un lembo di pelle chiara appena sotto al pollice rimane scoperto e Fabrizio rimane colpito da ciò che vede.
“Levati Fabrizio.” Ermal è parecchio stizzito e cala la manica della giacca.
L’ha visto quel taglio in parte rimarginato e no, non è stato il gatto. Non parla, non parla per minuti che sembrano anni sentendo come se quel taglio l’avesse nel cuore.
La pioggia cade fine come spilli. Gli si bagnano le punte delle scarpe, le aveva lucidate giusto quella mattina e le osserva con grande attenzione. Fabrizio tiene il capo chino perché non voleva che gli si bagnino le lenti degli occhiali e con lo zaino e lo skateboard tra le mani non sarebbe stato facile pulirli.
“Ermal, io non …” vedeva nei suoi occhi una silente richiesta d’aiuto, ora ricolmi di lacrime che tratteneva con tutta la sua forza.
“Ermal, come stai?” tenta ma sa che è la domanda più stupida che potesse fare in quel momento. Gli si bagnano gli occhiali, sente freddo.
“Fabrizio non ti importa realmente.” sputa l’altro con una risata amara.
“Cazzo, sì che mi importa.” sbotta quasi. “Ti conosco da poco, troppo poco per sapere veramente chi tu sia. In realtà è come se ti conoscessi da una vita intera” 
“Fabrizio ti prego, non c’è bisogno di tutto ciò.” sussurra l’altro
“C’è bisogno, io ne ho il bisogno.” senza replicare lo stringe a sé inspirando il suo profumo. L’altro si scioglie al suo tocco e scoppia in un pianto liberatorio, le lacrime calde corrono giù per le guance arrossate dal freddo pungente. Scusa, scusa, scusa sussurra sulla spalla del moro.
“Vieni da me, stai con me per un po’” gli sussurra, l’altro annuisce e scioglie l’abbraccio. “Guarda che te faccio fa’.” ridacchia Fabrizio sperando di alleviare un po’ quel suo fardello.
Prende la sua nuova tavola, bella e luccicante, pareva una da surf dalla sua forma appuntita e levigata. Lo fa sedere sulla punta a gambe incrociate, Fabrizio stava dietro in piedi e spinge con quanta forza avesse nelle gambe per volare a casa prima che la pioggia li sorprenda.
A casa sua non studiavano mai, finivano sempre sul divano a giocare alla play e mangiare schifezze. Suonavano, suonavano un sacco. Fabrizio si chiede come ha fatto a non notare nulla, non ha mai visto quel suo lato debole. Mai avuto l’impressione che potesse rompersi da un momento all’altro.
Corsero in casa abbandonando le scarpe zuppe fuori, l’acquazzone li aveva sorpresi a metà strada lavandoli da capo a piedi.
“Ti do dei vestiti asciutti ricciolè.”
“Non ti devi disturbare davvero.” ma Fabrizio insiste, insiste eccome e lo fa accomodare in camera sua. Ermal è nel mondo di Fabrizio e ne può sentire il sapore.
Nuota nei pensieri e nelle mille turbe di quella nuova vita che l’amico aveva cominciato in una nuova città. C’era tutto quello che avevo lasciato in quella precedente: il giradischi azzurro, le mille fotografie, i libri, i dischi. Il suo passato appeso ad un muro di sughero tra biglietti di concerti, disegni, polaroid, stampe e foto, visi familiari come il suo i suoi ricci e il suo sorriso, luoghi da sogno, cartine geografiche piene di frecce.
Eccoli i mille fogli pentagrammati, fogli studiati alla perfezione e trattenuti tra mani tremanti, nascosti sotto cuscini o tra le coperte, ricoperti di briciole o lacrime. Sbavati o macchiati di caffè sui lati, strappati, stracciati, accartocciati e usati come palline, spiegazzati e messi sotto dizionari per farli tornare leggibili. Migliaia di ricordi ingialliti dal fumo di sigarette e messi ad invecchiare negli angoli della memoria, là dove si dimenticano.
Ermal si tolse la giacca di sua volontà, rimase in maglietta. Le braccia scoperte.
“Rivedo in te la mia vita.” sussurrò a Fabrizio chino nell’armadio a cercare una maglietta decente da dargli. “Rivedo in ciò la mia casa, la mia vera casa a Tirana.”
Fabrizio smise di frugare e si girò nella sua direzione. Quelle braccia color del latte ricoperte da una ragnatela di cicatrici, aperte in alcuni punti. Rimase di ghiaccio.
“Ermal non devi sentirti obbligato davvero.” gli sussurrò facendosi vicino, così vicino da poter sentire il suo profumo. Non sapeva perchè ma ogni volta il suo stomaco vinceva le olimpiadi di salto carpiato all’indietro, ma che me succede?
“Lo voglio fare perchè mai nessuno mi è sembrato la persona giusta.” e gli raccontò senza mai versare una lacrima. Gli raccontò di Tirana, della sua infanzia in Albania. Della violenza subita, tanta, troppa. Dei complessi futuri quando era fuggito da lì, delle insicurezze, della paura, di quella violenza che era tornata nella sua vita dopo anni e anni. Della paura e mai dell’amore.
Fabrizio quasi piangeva, uno come lui non piange mai. Mai. Era tipo d’acciaio dice sempre sua madre.
“Ermal, aspetta.” prese la chitarra e lo fece accomodare sul letto. “Cantala, canta la tua vita.”
L’altro rimase decisamente di stucco, non esitò però ad abbracciare lo strumento pizzicando leggermente le corde.
“Mamma dice che è vietato morire.” sussurra strimpellando.
“La mi mamma me dice sempre de cambià le mie stelle.” gli si fa vicino. Fanculo, sente il suo stomaco completamente in subbuglio. Il cervello annebbiato, in corto circuito.
Ermal si illumina raccattando un foglio e scrivendo cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai. Fabrizio aggiunse poco sotto e ricorda che l’amore non ti spara in faccia mai.
Non ti fa del male l’amore, non ti uccide, non ti ammazza e tanto meno non permette ad una persona di sgretolarsi. Ti prego non farti del male, ti prego non voglio trovarti con le vene lacerate. Fanculo per la seconda volta, capisce Fabrizio. Sente che se lo vuole nella sua vita, sente che le partite alla play finivano prima per prendere in mano la chitarra e cantare perché si erano trovati. Vuole inebriarsi dell’altro e dei suoi scherzi e di quella forza velata, finta.
Fanculo per la terza volta, lo bacia. Posa semplicemente le sue labbra su quelle di Ermal senza chiedere di più con la fottuta paura che l’altro lo potesse respingere. Non lo fa ma si scosta per poterlo guardare negli occhi.
“Fabrizio, ti faccio pena?” chiese.
“Ma che pena! E’ da quando abbiamo giocato e Call of Duty e poi abbiamo fumato sul tetto de casa che aspetto questo momento.”
“E’ perché eri sballato Fabbrì, fidati.”
“Non ero sballato, anche se lo fossi stato mi sono accorto che te me piacevi. Un sacco.” e fanculo ora lo dice Ermal rituffandosi su quelle labbra rosse e morbide di Fabrizio, gli passò la lingua sui denti dritti e smaltati fino ad ottenere l’accesso. Le mani tra i ricci e sulla schiena, gli occhi serrati e la testa che gode di quel bacio inebriandosi del profumo dell’altro.
“Ehi ricciolè, dimme ‘na cosa.” ed Ermal annuì, in bocca ancora il gusto dell’altro.
“Amate, amate fino ad impazzì.”  
Ermal la promessa non la mantiene, la spirale in cui è caduto è più grande di lui. Fabrizio capisce che la situazione non è facile, che un amati perchè io ti amo non può risolvere la situazione. Il percorso è lungo, tortuoso e lento. Sa solo una cosa, vuole la sua felicità dunque lo accompagna cadendo e rialzandosi con lui. 
Eccoci a fine partita, spero di essere stata “brava” e di aver espresso bene la tua richiesta. 
Un abbraccio.
(Se avete voglia di mandarmi prompt o roba simile, sarò più che contenta!)  
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Volevo dirti di sorridere sempre, anche quando sorridere ti sembrerà impossibile, anche quando la vita ti metterà alla prova con tutto quel rumore, tu sorridi! Solo così annullerai qualunque tentativo esterno di intossicare la tua felicità.
Volevo dirti che, quando sarai grande, quando sarai una donna, sarà importante guardare ancora il mondo come lo guardavi da piccola, come lo guardi ora, con gli occhi di una bambina: belli, puliti, sinceri, pieni di entusiasmo e di stupore…
Volevo dirti che ci sarà sempre una parte di te che sa quello che è ‘giusto’, e un’altra che sa quello che vuole, tu ascolta la voce della prima, ma segui sempre la seconda, perché solo quella voce ti farà sentire davvero viva! Perché solo quella voce ti farà sentire meravigliosamente sbagliata ma sempre nel posto giusto…
Volevo dirti che arriverà la paura, lei sarà lì, silenziosa ma ingombrante, ti consiglierà la cosa più facile, quella più comoda, quella più distante dal tuo cuore. Tu potrai scegliere fra la sicurezza di essere perfetta e il rischio di essere felice. A te la decisione. Ma io ti auguro di essere imperfetta, di lasciare ogni certezza, la felicità è lì, subito dopo tutti quei calcoli, subito dopo tutta quella paura… E ogni volta che succederà dovrai decidere se seguire il tuo cuore o uccidere una parte dei tuoi sogni, se scappare o combattere, se vincere o perdere. Tu prenditi gioco di lei e perdila. E poi perditi…
Volevo dirti che fra tutti i modi possibili di essere qualcosa, sarai tentata di essere quello che piace agli altri, per farti accettare, per non essere esclusa, per conquistare un piccolo spazio nel cuore di chi dice di esserti amico, ma solo a questa o a quella condizione. Tu invece cerca di essere te stessa, solo così ti riconoscerai sempre.
Volevo dirti che arriverà l’amore, e ti farà vibrare il cuore, ti farà saltare di gioia, ti porterà sulla luna, sulle stelle, fra le nuvole, su Giove, su Marte, oltre le galassie… poi forse ti farà cadere, all’improvviso, giù per terra, e ti renderà fragile, e ti renderà insicura, e ti farà urlare in silenzio. E non ci sarà nessuno a chiederti perché, o come è successo. Così dubiterai di te stessa, della tua bellezza. Del vestito che forse non ti donava, che forse non era quello adatto. Delle parole che forse non erano abbastanza chiare, o che sono state fraintese. E allora ti chiederai ‘perché non ha scelto me?’, e di notte abbraccerai il cuscino cercando la sua mano senza trovarla, e senza chiudere occhio, trattenendo il fiato, stringendo i pugni... ma poi un giorno tornerà, e tu sarai di nuovo felice! Ecco, l’amore è questo, un follia, la più bella e meravigliosa fra le follie! Tu accoglilo, prendilo sempre! Sii pazza d’amore, sii pazza per amore. Fai in modo che la tua vita sia tutta un’immensa sconclusionata follia, la più bella e meravigliosa fra le follie!
Volevo dirti tante cose, avevano tutte a che fare con il bene che ti voglio, con l’amore che sento dentro. Con il vuoto che a volte mi avvolge. Ma forse queste cose che volevo dirti, tu già le sai, e quando non sarò all’altezza di essere tuo padre, quando non ci riuscirò, allora cercherò di essere tuo figlio, e poi tuo amico. E se non riuscirò a essere niente di tutto questo, allora sarò solo le cose che volevo dirti e che non ti ho mai detto…
Roberto Emanuelli
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gfy-l · 6 years
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Dicono che la vita non abbia uno spazio,
un tempo, un senso.
Dicono che se non menti, inganni, seduci, perdi, non ottieni.
Dicono che alla fine il dado abbia tutte facce uguali e ci lasciamo sempre ingannare.
Dicono che non esiste l’amore, quello vero, quello eterno anche se non vissuto.
Dicono che anche il Sole ci inganna, che il tramonto e l’alba non esistono, è solo un illusione creata dai raggi intrappolati in quel sottile strato di atmosfera.
Ma ormai cosa è falso? Cosa è vero?
Tu a cosa credi?
C’è chi si lascia ingannare, perché ama troppo.
C’è chi non ama troppo per non lasciarsi ingannare.
C’è chi invece inganna, per non amare,
e chi ama prima di morire.
Ci lasciamo travolgere dalle grandi menti, ma finiamo in piccole passioni corporali, quelle che nel desiderio incombono.
Prendiamo sempre la guerra come l’ultima considerazione ma amiamo farla.
Giudici della giustizia e della verità ma sostenitori delle controversie.
Ma infondo, è questo che vogliamo,
amare, odiare, perdersi, ritrovarsi, uccidere, mentire, sentire il sangue agli occhi, urlare, fare l’amore, scappare, correre, volare, siamo la razza tangibile
e insostenibile di questo piccolo e stretto pianeta che non ci regge neanche più.
Si divide in fazioni, generazioni, dinastie, tribù, lingue diverse, parole diverse, facce diverse, ma infondo, osservandoci, siamo uguali.
Uno uguale all’altro a modo proprio, in modo diverso.
Tutti uguali ma in diverso modo?
O tutti diversi in modo uguale?
Cosa potrà mai garantirci il futuro che realmente vorremmo se siamo così attaccati al passato.
Parole buttate al vento, lacrime gettate via, “ti amo” finiti nel vuoto, strade perse, solitudine insostanziale, comitive di nullità, conquiste fasulle, fallimenti nascosti.
Ma tu, proprio tu, so che ci pensi.
So che anche tu l’hai sempre pensata come me.
Hai sempre visto il mondo come lo guardo io, o quasi similare.
Perché tu hai qualcosa che ancora incarna e radica dentro te che forse manca negli animi di altra gente.
Guardi su nel cielo di notte, guardi la luna, ti senti così piccolo perché te ne innamori, ti lasci incantare, perché vedi meraviglie, futuri mondi, spazi eterni.
Io so che tu ami ancora, che sei forte, più degli altri, vivi, perché creare il meglio è quello che hai sempre fatto, divertirsi con poco.
Ma porti rabbia, rancore, e ti oscura quasi metà dell’essere.
Mi dispiace se il mondo non è come vorresti, come hai sempre voluto, come continui a sperare, ma dopotutto non si può avere ciò che in realtà non può cambiare, così ti lascia che stravolgere le cose a modo tuo, vederle a modo proprio, è così che si è diversi.
Mi piace come ti senti in questo momento mentre stai leggendo, ti senti preso quasi in causa, perché tu sai che queste parole sono tue, fai tue queste righe, ma a modo tuo.
Dicono che la vita sia già scritta, che la morte è imprevedibile ma sicura, che il Sole si spegnerà, e che in terrà nessuno regnerà, ma tu puoi rischiare, migliorare quel che è scritto, vivere al meglio e compiere affinché la morte sia sconfitta, che quando una stella muore, c’è già una nuova, e che la terra sia solo uno dei più piccoli pianeti circondata da altri miliardi, è che nulla ha una fine, perché niente è mai iniziato, si crea e si stravolge l’esistenza continuamente, le cose scorrono come le correnti sotto al mare, purifica ciò che sporco, porta via tutto ciò che punge.
Tu sei il passato, il presente e il futuro, fai di te e della tua vita ciò che hai sempre voluto, non attaccarti al passato, goditi il presente, e non pensare a ciò che accadrà, lasciati impressionare dal futuro, male o bene che sia, perché siamo creature, e ci sono sempre piaciute le avventure.
Ti auguro un anno migliore per te,perché lo meriti.
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il-diario-di-moon · 6 years
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Sogni...
Ogni volta che sono triste,
quando vado a dormire faccio sempre lo stesso sogno...
"Mi ritrovo al mare, un luogo che non mi piace tanto, mi fa paura,
Si fa sempre buio, il cielo si oscura ed inizia un temporale all'improvviso, mi giro verso il mare, l' acqua mi solletica i piedi ma io sono in fondo alla spiaggia, ma l'acqua arriva sempre da me, come se volesse prendermi.... portarmi via con se...
il mare è agitato ci sono onde gigantesche, di 10 metri, o forse anche più alte...
ma io ho paura ,
sono da sola,
non so dove scappare,
ho la paura addosso...
mi giro introno per chiedere aiuto,
ma tutti scappano correndo,
provo a farlo anche io,
però ogni passo che faccio sembra inutile sono sempre li..
la voce si fa roca ed io non ho più la forza di urlare di chiedere aiuto ... allora mi accascio a terra, mi rannicchio tutta sola....
e aspetto che quelle onde vengano a portarmi via....
quando quelle onde arrivano,
stanno per sfiorarmi, io le guardo attentamente,
mi sveglio!!!!
Mi sveglio con il cuore a mille guardando un punto nel vuoto...
stordita, grata che anche stavolta
é solamente un brutto sogno....
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allefoglie · 6 years
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+ FINE BEFORE YOU CAME +
Bene prima che arrivassi. una premessa, ho scritto al gruppo perché avrei voluto fargli un’intervista, ma mi hanno risposto, in modo gentilissimo come al solito, che per scelta dal 2012 non rilasciano interviste. Quindi, tutto ciò che segue potrebbe tranquillamente far schifo a loro, è frutto del mio cervello. 
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Ho chiamato i miei insuccessi sfortuna / maledetta sfortuna (FBYC - Vixi)
Se qualcuno mi chiedesse quali sono i dischi più importanti nella mia vita non avrei dubbi e ci metterei dentro anche quelli dei Fine Before You Came. Nome inglese, cantano in italiano. Vengono da Milano e si sono formati nel 2009.  I testi sono scritti dalla voce del gruppo, si chiama Jacopo Lietti, e le volte che l’ho visto mi è sempre sembrato un tipo molto alla mano. Sempre tra la gente fino a un secondo prima di andare sul palco a suonare. Un giorno lo avevo vicino in un locale a Padova dove hanno suonato un concerto acustico. Io mi ero ordinato un’aranciata. Non ci ho parlato perché non avrei saputo cosa dirgli e non volevo passare da fastidioso fan sfigato. Lietti è anche il fondatore della casa discografica Legno (Havah/Stormo), nonché voce del gruppo Verme, che per me è un’altra istituzione. Ho sempre pensato (sbagliando a quanto leggo in Internet) che il nome derivasse da un pezzo dei Raein; qui dicono che invece viene da Don't Make Me Walk My Own Log dall'album Sultans of Sentiment dei The Van Pelt, band di New York del 1993 – il vecchio chitarrista era quello dei Native Nod, che invece mi piacciono parecchio.  Ho scoperto che questo gruppo venne pubblicato da Green Records, aka Giulio Repetto (mio amico nonchè ultrarunner) a cui i membri del gruppo consegnarono una cassetta durante un concerto degli Eversor, gruppo storico emo core (e fighissimo) di Lele Morosini (altro mio amico) e suo fratello Marco. Bello pensare che i nodi si richiudono e si stringono fra persone a te vicine.
Gusti a parte, tornando ai FBYC, cosa che è oggettiva è che sa scrivere, ha scritto dei pezzi incredibili e che potrebbero essere la sintesi della vita di una persona in una frase.
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Oggi è una così bella giornata Oggi è una così bella gornata e io vorrei che tu tornassi a casa per cena (FBYC – Natale)  
EMO vecchia scuola. Non è difficile avvicinare i FBYC ai Mineral, per dire. Che poi a dire EMO le persone si spaventano, di base perché sono disinformate, hanno pregiudizi, o semplicemente non capiscono un cazzo. È come leggere un libro per teenager: c’è tanta merda la fuori, è vero, ma a volte ti capita di leggere delle cose profondissime, spiegate in modo semplice e senza troppi orpelli. Insomma, come quando hai 15 anni e sei incazzato col mondo. O innamorato. O sei convinto di aver perso l’amore della tua vita. O magari sei anche adulto. Perché ti imbarazza pensare di provare le stesse cose anche quando oramai avresti dovuto essere più maturo. Però quando sei da solo in casa e non hai tutti i filtri imposti dalla società, ci pensi.
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Io non ho paura del buio Meglio non vedere che cercare invano di evitare Il soffitto, attendo da ore che mi crolli addosso ma non illuderti non esistono risarcimenti per quello che hai perso per quello che non hai avuto mai/ Buio Qua attorno non c’è che buio Mi concentro su un particolare e tutto mi è chiaro vedo la nostra fine (FBYC - Buio)
Tutto l’LP di SFORTUNA ha un filo comune, è una specie di raccolta di frammenti dello stesso argomento, è un’analisi piuttosto fredda e distaccata su un argomento che invece ti fa ancora torcere le budella. Non ci  ritrovo autolesionismo, quanto più continuare a battere sui lividi per mantenerli sempre viola. Basso martellante, batteria a tratti violenta e la voce che non è accessoria al gruppo, ma vera e propria arma principale. Provate ad ascoltare Fede e ditemi che vi ha lasciato privi di emozioni.
Tutti hanno smesso di chiedermi di te non sei più niente il tuo numero non lo ricordo più non pesi niente Nella tua vecchia casa ora vive una coppia con un figlio è un bambino silenzioso vestito da adulto con fare da adulto Il bar in cui andavamo a fare colazione ha cambiato gestione ha la pretesa di essere pulito serve brioches di cartone
Ho regalato il tuo vecchio spazzolino a un povero senza una mano mi ha chiesto “capo è sicuro?” gli ho detto “io non la amo.”
Io non mi son mai vestito da adulto
Quella canzone che ascoltavamo andando al mare non l’ascolto più quella canzone che ascoltavamo andando al mare non mi piace più non l’ascolto più
Da quando tutti hanno smesso di chiedermi di te (FBYC- Fede)
Dal vivo i Fine Before You Came sono indemoniati. Il cantante punta gli occhi verso un punto nel vuoto e inizia a strillare, le vene del collo che si gonfiano, la bocca spalancata. Una scarica di adrenalina. Ti trovi ad urlare i testi a memoria facendoti spazio tra i corpi per cercare di arrivare davanti con la voce che ti rimane. Gomitate in faccia, mani sul naso, legnate sulle costole: vuoi arrivare davanti e urlare. Vuoi urlare perché in questa follia collettiva ci sei dentro anche tu, perché quelle cose che normalmente ti imbarazzi anche solo a pensare ora le puoi urlare. E ora che il basso sta martellando sai che sta per iniziare il delirio. Corri e sei già pronto con i pugni chiusi. Le urli in faccia a te stesso e a tutti gli altri. Vuoi arrivare davanti e urlare
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Come faremo ora che tutto è come prima lascia questi vestiti sporchi e aspettami altrove
Ai colori pastello ho sempre preferito il nero che senso aveva dirtelo
Avrò paura di non riconoscerti ma ho tutto il tempo per capire come fare a stupirti che la città è piccola e il viaggio incerto e il tempo no, non passa mai
E anche se sto fermo tu Non passi mai Non passi mai
Intanto è sempre più caldo dalle finestre entran sirene dai rubinetti esce il sudore tu intanto è sempre più caldo dalle finestre entran sirene dai rubinetti esce il sudore e tu vestita di verde sei altrove o è un cerchio che si chiude. (FBYC- O è un cerchio che si chiude)
youtube
I Fine Before You Came lasciano sempre scaricare la loro completa discografia dal loro sito. Supportate le band comprando merch e andando ai concerti.
Discografia: 2006 - Fine Before You Came (I Dischi de L'Amico Immaginario/Black Candy/Audioglobe) 2009 - S F O R T U N A (La Tempesta Dischi/Triste/Ammagar) 2012 - Ormai (La Tempesta Dischi) 2013 - Come fare a non tornare (La Tempesta Dischi) 2017 - Il numero sette
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wewereamiddleofalie · 6 years
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La non persona è l'artista, il filosofo
Che per me in realtà sono la stessa cosa
Perché la filosofia è una riflessione che si basa sulla natura delle cose e sulla percezione propria di queste
E l'arte invece rappresenta esattamente la propria percezione delle cose attraverso il suono, le parole e l'immagine
Quindi dove finisce la riflessione, comincia l'arte
Una non persona si riconosce solo dopo un po’ di tempo… Solitamente è una persona solitaria, perché vuole esserlo, perché la solitudine è per l'artista l'ispirazione che più di tutte non fallisce mai
E poi perché è alla ricerca incessante di arte, anche nelle persone, io ad esempio non sono fisionomista, né ho molta memoria fotografica, però ricordo i dettagli che mi piacciono, quelli che ritengo arte
Ricordo se una persona ha le lentiggini, le fossette, o se ha una voglia particolare sulla pelle, oppure di che colore è la sua carnagione, oppure quanto le sue labbra siano screpolate oppure quanto siano definite
Se la sua camminata è buffa, ricorderò quella, se il suo sguardo è spento o troppo spesso è basso o se mi guarda negli occhi, ricorderò i suoi occhi
E subito quando guardo certe cose penso di fotografare, disegnare, o le paragono a qualcosa: una volta ho fotografato il dentro di una tazzina bianca mezza piena di ginseng perché mentre mescolavo si erano create alcune goccioline di ginseng sulla parte vuota della tazzina e mi ricordavano tanto le lentiggini sulle guance bianche di qualcuno
Ci pensate a quanto alcune cose si somiglino tra di loro? Adesso passiamo pure alla parte filosofica allora: anche le situazioni si somigliano tra di loro, anche i problemi, anche se la loro soluzione potrebbe richiedere tempi diversi, ecco perché sono alla costante ricerca di una legge che possa spiegare tutto quanto, una legge sempre valida su cui basare ogni singola cosa, è questo il mio obiettivo esistenziale
Io amo me stessa perché non ho mai conosciuto nessuno con cui affrontare certi discorsi se non me, la gente si discosta facilmente da quello che dico, lo trovano incoerente, ma la verità è che lo è, lo sono, sono incoerente perché l'incoerenza è inevitabile quando non puoi avere delle risposte che vadano oltre la terra, che si spingano sull'universo, che vadano oltre il tempo, come la vera ragione per cui siamo qui adesso, come faccio a saperlo? Ci saranno sempre incoerenze in ogni cosa finché non saprò la verità, e volete sapere una cosa ancora più interessante? La verità non la sapremo mai, ma è così: dove non arrivo, mi interesso, ma se pensiamo non esista siamo pessimisti, se pensiamo che l'oroscopo è una cazzata, la religione è una cazzata, la psicologia è una cazzata, beh allora ci siamo già arresi e siamo pessimisti, non realisti, e allora non ci stiamo interessando perché, cari i miei moralisti che credono di percepire l'essenza delle cose come effettivamente è, noi non conosciamo la realtà, quindi di quale realismo parliamo effettivamente? Ah, finalmente un punto, vero? Ci sono troppe virgole e pochi punti nella mia testa, perché ogni cosa è collegata ad un'altra
Il bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto esistono entrambi, e bisogna vederli entrambi, perché un bicchiere pieno per metà esatta non può esserci proprio
L'artista è ottimista perché la malinconia è la sua vocazione, essere malinconici è la cosa più rilassante che possa esistere per l'artista, ecco perché si definisce sempre malinconico ma mai triste, perché se trovi del bello in ciò che le persone vedono brutto, cosa può mai abbatterti? Cosa? Avanti, spiegatemelo
E la vera domanda adesso è: con tutte queste cose interessanti che studia la mia mente e che percepisce in modo grandioso, come potrei mai interessarmi all'andamento della vita di tutti giorni? Al telegiornale, la politica, le vostre regole che non sono altro che dei tagli netti alla libertà che più vibra nel nostro stomaco, non desidero mai l'anarchia, non desidero proprio niente se non il mio individualismo, forse Dante mi chiamerà ignaro e forse mi tocca pure dargli ragione, ma come il mio carissimo Cartesio, proprio non so come si possa scegliere qualcosa, anche conoscendo a memoria ogni filamento di tutte le cose, forse dovrei dire: anche se conoscessi a memoria, non potrei mai osar dire di conoscere, ecco il punto, perché mai e poi mai le conoscerò a memoria
Perché non conosci mai abbastanza qualcosa e qualcuno e nemmeno te stesso, allora potrei decidere di andarmene domani, come potrei deciderlo oggi stesso, perché non prevedo niente se non ciò che ho già visto
Ahimè questa sfaccettatura della mia persona non l'ho scelta io ma mi è stata insegnata, come viene insegnata a chiunque sia stato tradito, la diffidenza, però credetemi, sono contro la diffidenza e lo scetticismo, incredibile quanto sia abissale la mia incoerenza, vero?
Questo forse mi rende davvero interessante, sembra che io abbia un cervello pazzesco o forse pazzo, però poi non riesco a portare sulla terra la fisica, quando mi viene spiegata, mi sento davvero ignorante e non capisco la logica più stupida delle cose, ma a volte riesco a capire la logica delle cose complicate
E scommetto che tu hai seguito ciò che dicevo fino ai primi dieci righi e adesso sei perso, spero almeno tu ti sia perso immergendoti nelle mie parole e non in ciò che hai attorno ma se così non fosse, posso capire
Ogni volta che provo a leggere i righi dei libri che ritengo più interessanti, mi perdo a sentire il ticchettio dell'orologio perché comincio a cantare la canzone più stupida sentita alla radio, però poi la mia canzone preferita è wish you were here dei pink floyd
Puoi spiegarmi tu come sia possibile ordinare questo casino?
Quando all'ora di pranzo non mi va di mangiare perché tutta la mia famiglia è seduta a tavola e a cena non mi va di cenare seduta sulla sedia, perché vorrei mangiare l'anguria seduta sul tavolo con solo un coltello, a tagliarmi le labbra perché la mamma mi ha sempre detto che quando usi il coltello come fosse una forchetta finisci sempre per farti male
Ma a me piace da morire arrivare quasi a farmi male, senza che succeda davvero
Hai mai pensato a quanto sia rilassante quando il gatto gioca col tuo braccio e finisce per farti dei graffi, quei graffi chiarissimi che dopo poco spariscono? Quelli sono fantastici, mettono i brividi
L'artista spesso è un po’ violento, specialmente al letto, non lo so per quale motivo, ma io non mi sfogo in nessun altro modo se non quello
Adesso mi mancano le parole…
Perché il sesso è la forma d'arte più intensa, non importa se c'è o non c'è l'amore, sarà sempre arte e spero di contribuire con tutta me stessa a farlo diventare sempre più la forma più bella d'arte, in qualunque modo lo si faccia, e lo chiamo sesso, perché l'amore lo devo ancora conoscere e non mi dispiace la cosa, non mi dispiace affatto, forse è meglio conoscere prima di tutto la parte grezza delle cose e poi la parte più bella
Che poi chissà perché l'aggettivo “grezzo” appare brutto e il suo sinonimo “puro” sembra invece così bello e pulito… Ragazzi.. Come possiamo parlare di coerenza?
Dopo un discorso simile, come minimo si dovrebbero trovare altri trenta nuovi termini per descrivere tutte le cose che sto dicendo e descrivendo con fatica, perché è davvero difficile spiegarvi l'esistenza di queste sensazioni e idee che girano e saltano da una parte all'altra della mia testa
Qualcuno chiamerebbe tutto ciò un flusso di coscienza, perché i pensieri escono fuori uno dopo l'altro e non si capisce nemmeno dove inizino e dove finiscano, però per me tutto quadra e se troverò qualcuno che vede nel mio discorso un filo logico, davvero, credo proprio che non lo lascerò andare mai
Ma poi mi sembrerà che mi copri la scena, che mi metta nell'ombra, allora forse lo lascerò andare e sceglierò di tenere al mio fianco l'arte, non l'artista
Chi non mi capisce però quando parlo sta zitto e ascolta con gli occhi dell'amore, perché così facendo sarei anche io arte per qualcuno… E questo mi renderà felice
Anche se ho la piena consapevolezza che gli occhi dell'amore ti rendono stupido, perché guardi tutto attraverso una pellicola che ti fa veder rosa anche il tuo periodo blu… Ma in fin dei conti non è così sbagliato… Anche io vedo attraverso gli occhi dell'arte che offuscano il brutto ed evidenziano il bello… Mettono a fuoco i dettagli e dimenticano tutto il resto ed è la cosa più bella che possa avere, questa dote meravigliosa, che mi fa venir voglia di urlare al mondo: chi di voi è come me?!
Codardo come me, che non so amare, non so cosa significhi non tradire, che arrivo fino all'ultimo piano della follia e poi mi fermo per scendere, che rischio tutto e vado in all in per una persona che non lo merita soltanto perché ho fatto una scommessa con me stessa: mi sono sfidata a resistere a tutto anche per niente, per farmi le ossa e fare esperienza, dillo a qualcuno e si metterà a ridere
Ciò che fa crescere è ciò che amo, sono rigida con me stessa perché mi merito questo
Perché tutti gli uomini sono esseri orribili che meritano di esser messi in riga da nessun altro se non da loro stessi
E gli stupidi lo sanno, ecco perché sono stupidi e felici, perché la libertà ce l'hanno solo loro
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salfadog · 7 years
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STORIE DI CANI: PETRA
Dovrei soddisfare la vostra curiosità, parlandovi di come far incontrare due cani o come nutrire la loro mente ma stasera proprio non riesco, per colpa di questa splendida ragazza che ha condiviso con me pochi, incredibili rocamboleschi mesi.
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 (la stupenda Petra in una foto di oggi)
 Oggi avevo un appuntamento per parlare di un cane che ho in riabilitazione ma che non trova casa con la responsabile dell’associazione con cui collaboro da prima che questo diventasse per me un nuovo lavoro e che mi ha consentito di farmi la gavetta con tanti, tanti cani che venivano dalle situazioni più disparate e drammatiche. 
 Mentre imbocco con la macchina la stradina che porta al loro canile-rifugio mi casca l’occhio su di un cane bianco nello sgambatoio che si precipita come un fulmine verso la macchina. Il mio cervello registra in modo semi-automatico le informazioni necessarie: variazioni della velocità, direzione, postura, orecchie, bocca aperta, coda alta e cataloga stancamente come territorialità (a volte quanto ci sbagliamo quando siamo troppo sicuri). Però una vocina mi diceva: “strano che un cane nello sgambatoio sia così allertato e attento all'arrivo di una macchina, di solito, valutato lo stimolo, si rimette a fare gli affari suoi e raramente parte in carica così determinato” il saccente dentro di me ha subito rintuzzato la vocina dissidente: “sì, se è in canile, chissà cosa gli sarà capitato o quali problemi avrà”
 Parcheggio dalla parte opposta e questo cane non mi mollava un attimo, anzi quando sono sceso dalla macchina, ha cominciato a saltare al cancello per attirare la mia attenzione. Mi sono detto “ma guarda quanto è socievole, vorrà essere portato via” troppo distratto, non mi ero nemmeno messo a fare il mio solito giochino di indovinare se maschio e femmina (sto migliorando statisticamente: negli ultimi 3 mesi ho sbagliato solo 3 volte). Mi sono avvicinato per salutarlo, dopotutto sono una persona educata e, se qualcuno mi si avvicina sorridendo, non vedo motivo per non contraccambiare. 
Mentre mi avvicino la vocina interiore stava alzando il tono (probabilmente per darmi del coglione), quando una delle volontarie si avvicina dal rifugio e mi saluta 
“Ciao, hai visto la Petra come sta bene?”
Se Chuck Norris mi avesse preso contemporaneamente a calci in faccia e nelle palle mi avrebbe fatto sicuramente meno male. 
 Facciamo un passo indietro: Petra è la mamma degli splendidi cuccioli a cui ho fatto da ostetrica e balia da novembre a gennaio. Abbiamo condiviso le relazioni, all'inizio non semplici, con il resto della famiglia interspecifica della quale faccio parte (la gravidanza dà un bello scossone al carattere di una ragazza così giovane - NB usate il preservativo se non siete sicuri di volervi riprodurre; non fate come i cani), la gravidanza, il parto, le difficoltà dell’allattamento dei piccoli vampiri dentini-muniti, le nuove relazioni del branco ampliato da minuscole schegge impazzite di pura energia. Bei tempi. Ad astra per aspera
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(I primi giorni da mamma) 
 La prima volta che ci incontrammo fu quando la tirai fuori “a forza” dal furgone per il trasporto animali con cui arrivava dalla Campania, pieno di altre creature altrettanto terrorizzate, tutte rintanate in fondo alle loro gabbie, inconsapevoli di quello che la vita stava per riservare loro. Aveva meno di un anno, una ragazzina adolescente per gli standard di maturazione mentale del cane, era una creatura tutta pelle e ossa ma quando la afferrai per tirarla fuori, non ne voleva assolutamente sapere di uscire da sola e non c’era il tempo di lavorare con calma, il furgone doveva ancora andare a Firenze e poi a Bologna per completare le sue consegne. 
 La afferrai, consapevole del rischio; si fece prendere abbastanza “tranquillamente” per gli standard emotivi in cui si trovano queste povere creature spesso nel panico più totale. 
 Considerate che molti di loro sono randagi da generazioni e hanno imparato che un’interazione con umani sconosciuti può avere risvolti molto negativi, per usare un eufemismo. Essendo però senza guinzaglio né pettorina, fui costretto a prenderla in braccio per farla uscire dalla gabbia. 
 Non appena perse il contatto con il pavimento -per un cane non è una situazione naturale- il panico la sopraffece e mi morse con decisione all'avambraccio sinistro per cercare di liberarsi. Se avessi paura dei morsi a quest’ora avrei cambiato lavoro già da anni. 
 A scuola ci dicevano sempre “se un educatore si fa mordere, vuol dire che ha sbagliato qualcosa” è una specie di mantra che ti ripetono dal primo all'ultimo giorno ed è sacrosanto. Ma tutti sbagliamo, per fretta, incapacità di valutare ecc ecc. Nessuno è perfetto e da qui i morsi, fortunatamente molto pochi in realtà. Non sono bravo io, sono i cani ad essere pazienti con noi.
 Oramai resto più sorpreso che spaventato e osservando al rallentatore la situazione, come ci capita spesso quando il sistema nervoso simpatico si attiva, ho visto perfettamente la precisione dell’attacco ma non appena ha toccato con i denti la carne, con riflessi per me inconcepibili, ha smesso di stringere, dandomi in un colpo solo la prova empirica sia degli studi sulla ritualizzazione del morso, sia di quelli sull'inibizione al morso che abbiamo selezionato nei cani. Ahimè, non tutti ne hanno una quantità sufficiente. Per fortuna Petra si. Non mi è venuto nemmeno il livido.
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(eccola a casa nostra)
 Una volta a casa è stato relativamente semplice farla entrare anche se ha passato le prime 12 ore nella nostra veranda di compensazione dove mettiamo i soggetti troppo stressati o non in grado di gestire l’interazione con gli altri. Da quando ci siamo fatti un po’ le ossa poi usiamo un trucco (ma dovete sapere chi avete di fronte prima di provarlo a casa), lasciamo il cane in veranda con la porta di cucina aperta -nei casi di stress “post traumatico”, non di incapacità- quando si sente abbastanza tranquillo è lui ad affacciarsi timidamente per prendere pian piano il suo posto tra di noi. Vantaggi degli animali sociali: se generi un vuoto di comunicazione, il loro genotipo li spingerà a colmarlo. La chiamiamo “la legge di Malassenzio” o anche “legge del giorno dopo” (dato che mediamente è sufficiente una notte) dal nome della sua scopritrice. 
 In questo devo anzi ringraziare il mio branco, i veri professionisti in casa, che ne hanno visti talmente tanti che non si scompongono nemmeno più e lasciano ai nuovi arrivati abbastanza spazio da inserirsi, anche a quelli talmente messi male che, se fossero umani li caccerei a fucilate di casa. Ma loro no, loro mi hanno insegnato la pazienza per chi non ci piace. Non ho imparato benissimo, ma sono solo un primate. Branchi ed etogrammi molto diversi. 
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(le prime esplorazioni a stella sotto la supervisione attenta della giovane ma competente mamma)
 Era in stato interessante, ce ne siamo però accorti a fine gravidanza, tanto era magra. Una volta adottati tutti i cuccioli l’associazione se l’è ripresa per portarla nel canile-rifugio dove sarebbe stata più visibile per una futura adozione. A volte dovrei saper schermare meglio la mia empatia. 
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(ma come si fa a restare indifferenti di fronte a questo...)
 Oggi sta bene, ha messo su peso ed è una giovincella davvero stupenda: lei mi aveva riconosciuto immediatamente, da lontano, io nemmeno quando sono stato a 2 metri. 
 Sono entrato nello sgambatoio come il vento “abbracciandoci” come fanno i cani, testa contro spalla, vicini come se non fosse passato nemmeno un giorno, (come mi accade con @kon-igi) grati del momento. Io in colpa come un cane, lei felice come una figlia che vede tornare il proprio padre dal mare, dopo lunga assenza. I volontari del canile ci hanno lasciati addirittura da soli, tanto dovevano sentirsi in imbarazzo davanti alla scena pietosa di un vecchio che struscia la testa contro un cane, commosso.
  Quando l’hanno riportata dentro la gabbia, avrei voluto urlare con tutto il fiato che ho in corpo “FERMI!!!!!” ma non l’ho fatto. Ho già un branco fin troppo numeroso del quale devo occuparmi, la logica mi impedisce di farlo ma il cuore mi dà del pusillanime. 
Spero possiate capire perché stasera non mi va di scrivere di altro, vista l’enorme scimmia sulla spalla
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(questa è una foto dei primi anni del secolo a Gibilterra, dalla quale avrei dovuto capire un sacco di cose)
mi riprenderò, come sempre
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