#manco lo studente so fare
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machiavellli · 7 months ago
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help girl help n’altra crisi is coming help girl help
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dead-words · 4 years ago
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"Cari mamma e papà,
perdonatemi, scusate il poco preavviso, so che avete già preparato tutto, ma io domani non posso venire a pranzo da voi perché stasera m’ammazzo. So di darvi un immenso dolore, un dispiacere inconsolabile, uno strazio infinito, però vabbe’, non ne farei una tragedia se per una volta non vengo a pranzo.
Tranquilla mamma: prima di suicidarmi mangio. No mamma, non il solito panino. Mi faccio la carne, ok?
Scusatemi se sono così sbrigativo, ma trovo ridicolo e irritante dovervi scrivere questa lettera per spiegarvi il mio gesto. Non occorre
essere depressi per suicidarsi, basta essere vivi. È più che sufficiente. Voglio dire, quello che faccio è normale, spiegarlo è inutile, didascalico e pleonastico. Perché mi suicido? Per lo stesso motivo per cui lo fanno tutti! Per lo stesso motivo per cui lo farete anche voi: perché si soffre. E quindi ci si suicida, è normale. Logico. Consequenziale. Tutto nella vita ti spinge al suicidio. Il suicidio è la vera morte naturale dell’essere umano.
Ecco perché trovo così sciocche le lettere d’addio dei suicidi, compresa questa: non c’è nulla da spiegare, niente da capire, è tutto così ovvio! Piuttosto, chi sceglie di continuare a vivere dovrebbe delle spiegazioni. Chi sceglie di continuare a vivere, ogni giorno dovrebbe scrivere una lettera per spiegare il perché del suo insano gesto. Sarei curioso di leggerne un paio. Lo dico senza ironia. Cosa li spinge? Secondo me non hanno veramente voglia di vivere. Secondo me non gli piace veramente. Secondo me sono solo condizionati dalla pubblicità. Lo ero anch’io, del resto. Siamo bombardati ogni giorno da messaggi di speranza! Film, libri, canzoni; e politici, intellettuali, leader religiosi, sopravvissuti, figure edificanti ed esempi socialmente positivi: tutti che ci dicono che la vita vale sempre la pena di essere vissuta, anche se sei uno storpio handicappato o un deportato nei campi di concentramento, o uno storpio handicappato deportato in un campo di concentramento dove per giunta piove sempre; ci dicono che c’è della poesia nelle piccole cose, come nel sorriso di un bambino, anche se si tratta di una paresi; ci dicono che si può fare
sesso anche da anziani, anzi a maggior ragione perché con il decubito aumentano i buchi e si possono provare nuove posizioni, sciatica e osteoporosi permettendo.
Ma tutto questo ottimismo è solo spam, pubblicità ingannevole, una strategia di marketing per promuovere la vita ai nostri occhi e renderci facilmente suggestionabili e creduloni, per poi fregarci. Io per esempio questa settimana sono stato ingannato per l’ennesima volta, a causa del pensiero positivo nel quale galleggiamo. Sono caduto vittima di una truffa on line: ho acquistato su un sito settecento bicchieri mezzi pieni, erano in offerta, sembrava vantaggioso; poi però quando me li hanno consegnati ho scoperto che quei bicchieri erano mezzi vuoti. Inoltre erano comunissimi bicchieri di carta. E ciò che li riempiva per metà era un liquame denso, non potabile, dal colore putrido e l’odore nauseabondo. Bastardi loro, e coglione io che ci sono cascato.
Ma ora sono stanco di rimanere deluso dalle cose e farmi prendere in giro da chi parla di un futuro migliore, da chi dice di credere nella ripresa, o di vedere il lato positivo della cosa. A proposito, ma è arrivato anche a voi il conguaglio per la luce in fondo al tunnel? Ma avete visto quant’è!?! Almeno di giorno potevano spegnerla! Il governo ci invitava a vederla, ma non ci avevano mai detto che era a carico nostro… Io poi, lo sapete, sono sempre stato contrario anche al tunnel: scavarlo ha avuto un impatto sul territorio disastroso, per non parlare delle conseguenze sociali. E tutto questo perché? Solo per accecarci con una luce, e poi farcela anche pagare.
Ma questa è solo la beffa; il danno è la vita. Sì, quella vita che ci hanno voluto vendere a tutti i costi, quella vita che ci hanno fatto credere fosse bella, potesse cambiare e fosse un valore; quella vita che voi mi avete regalato convinti di farmi un dono, in realtà è una merda. È banale, noiosa, ripetitiva, e troppo corta – questo nella migliore delle ipotesi. Se ti dice anche male, la vita è violenta, tragica e dolorosa. E in entrambi i casi, la vita è cancerogena. Lo so che quando mi avete donato la vita ero piccolo, ma avreste fatto meglio a donarmi semplicemente un maglione – magari lì per lì non avrei gradito, è difficile che un neonato possa apprezzare un maglione, specie se di lana quella che punge, avrei pianto, ma semplicemente perché un neonato non capisce niente, piange per qualunque cosa, e comunque mi pare che io abbia pianto lo stesso appena venuto al mondo e ricevuto il dono della vita, quindi perciò ecco, col senno di poi, se piuttosto che la vita voi mi aveste donato un maglione, io oggi vi ringrazierei. Non ve ne
sto facendo una colpa, sia chiaro: avete ricevuto anche voi lo stesso regalo dai vostri genitori, che a loro volta lo avevano ricevuto dai loro, e così via, era tradizione, convinti di fare una cosa gradita; siamo tutti vittime del marketing da generazioni.
Ci rifilano la vita come fosse una cosa meravigliosa, la rendono accattivante distribuendola come contenuto premium del sesso – che è sempre un ottimo traino e un incentivo efficace – e la estraggono a sorte per spacciarla come una fortuna; ma tutto questo solo perché ci vogliono vendere i loro prodotti. Perché la vita è un colossale pacchetto: sottoscrivendola compri anche tutto il resto  – detersivi, merendine, automobili, etc. Noi pensiamo di essere vivi, e invece siamo solo dei consumatori – della vita, e dei suoi gadget.
Ma io adesso me ne tiro fuori. Ne ho abbastanza, sono stanco. Non m’importa cosa penseranno gli altri di me e del mio gesto, tanto
anche questa millenaria campagna contro il suicidio è solo marketing, “pubblicità progresso”: condannano il suicidio perché temono che la roba gli resti tutta sugli scaffali dei supermercati o degli store digitali, per non parlare del magazzino; perché lo sanno che il suicidio è l’alternativa a tutto questo.
Vorrei tranquillizzarvi: non vi sto chiedendo soldi. Mi sono fatto due conti, e il suicidio me lo posso permettere. Anzi, sul lungo periodo risparmio pure. Vi dirò di più: per un reddito medio come il mio, con il tasso d’inflazione attuale, e visto anche il mio impatto ambientale, il suicidio è l’unica scelta di vita sostenibile.
E non ho paura di morire: in fondo, cosa ne sappiamo noi della morte? Nulla, tranne che nessuno è mai tornato indietro a lamentarsi – né ne ha scritto male sui forum. Di questi tempi, non è poco. Data la vostra natura ansiosa, desidero anche tranquillizzarvi sul fatto che la mia non è una decisione impulsiva. Ho pensato spesso al suicidio, ultimamente. Ho previsto e pianificato ogni cosa – tranne, come vi sarete accorti, questa lettera.
La scelta più difficile da prendere è stato il come ammazzarmi. Questo è il vero problema di un suicida, ciò per cui gli altri dovreb-
bero aiutarlo e stargli vicino. Perché quando si passa dalla teoria del suicidio alla pratica, ecco che cominciano i problemi, le complicazioni, i “vorrei ma non posso”; allora il suicidio si trasforma nell’ennesima impresa frustrante, deludente, incline al compromesso; il suicida si deprime, si avvilisce, vede tutto nero, e si vuole suicidare. E ci risiamo daccapo.
Perché tutti i metodi per suicidarsi sono dolorosi, spiacevoli (ma come, uno si ammazza proprio per smettere di soffrire!) e soprattutto poco pratici, specie per uno poco pratico come me. Voglio dire: dove la trovo io una pistola? Io non ce l’ho, qui nessuno ce l’ha, e non è così facile procurarsene una. Non siamo mica in Texas, o in Colorado. Cosa dovrei fare, andare negli Stati Uniti e fregarla a uno studente?
Per favore, restiamo logici.
Le corde non si trovano più, qui in zona l’ultimo tappezziere ha chiuso mesi fa e nessuno sa più dove trovarne; le uniche, anche su Internet, sono quelle per legarsi a letto, sì insomma, quelle sexy, ma non vorrei scadere nel grottesco. E poi per impiccarsi tocca avere una certa manualità, che io non ho. Neanche a letto. Restiamo pratici.
Anche le lamette non si trovano più, o meglio, adesso fanno quelle apposta per non tagliarsi. Potrei sempre radermi i polsi a morte. Ma restiamo seri.
Pure le buste di plastica sono cambiate: adesso fanno quelle ecologiche, in bioplastica, ottenute dall’amido di mais, e che puzzano di dado da cucina. Tu c’infili la testa dentro per soffocarti – ci ho provato… e quelle cazzo di buste si rompono! Si rompono sempre! Ennesimo danno provocato alla razza umana dal buonismo e dal politically correct…
Di veleni ne mangiamo, beviamo e respiriamo tutti i giorni e in gran quantità, ma sono ancora vivo. Di buttarmi al fiume non se ne
parla: d’accordo morire, ma di bagnarmi, prendere freddo e beccarmi la toxoplasmosi in quello schifo me lo risparmio volentieri. Il gas costa un botto, più di quello è che rischio di far fare a tutto il palazzo – che per altro non coinvolgerei nella mia decisione, non sono un esibizionista. Sotto alla metro non mi ci butto, soffro di claustrofobia. E le finestre, i balconi o le terrazze non posso, non riesco, soffro anche di vertigini.
Inoltre tutti questi sistemi non sono sicuri, possono fallire; e io rischio di restare ancora vivo, ma invalido vegetale, cioè peggio di
adesso. Insomma rischio di fare anche una figuraccia, di quello che manco è stato capace di togliersi la vita. Che poi non dovrebbe essere così difficile; eppure…
C’è solo un modo, possibile e sicuro, con il quale suicidarmi: vivere. Dico sul serio. È lento, e dolorosissimo; ma inesorabile e infallibile. La vita è un suicidio omeopatico, ma senza scampo: nessuno è mai sopravvissuto alla vita.
E lo so che questa mia ultima affermazione la interpreterete come un “la vita va avanti, la vita non muore mai”, e ne ricaverete un messaggio positivo e perbene, di speranza. Perché ormai siete corrotti e vedete il bene dappertutto.
È anche per questo che stasera, come ogni sera, io mi suicido."
-?
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der-papero · 5 years ago
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Post ansiogeno - a.k.a. Matrix IV Resfigated
Da un’idea di @mostri-ciattolo e uno spunto di @sinpleasuresworld, facendo una passeggiata nei boschi mi è venuto in mente questo post, sperando che possa essere una parentesi di risate per tutti, di riflessione per qualcuno e di sollievo per chi ne ha bisogno.
Come recita @notseriously-mica, questo post può contenere tracce di ironia e frutta a guscio.
Molte delle persone che leggo qui sono universitari o laureati da poco, quindi, siccome un Papero da fiume non ha nulla da dirvi riguardo alle sfighe dello studio, per semplificare il post ambiento il tutto all’istante dopo la laurea.
Ottimo, avete il vostro sudato foglio, tocca a voi, pronti a fare il mazzo a tutti. Mentre cercate lavoro su Internet, una notte vi addormentate sulla tastiera. All’improvviso vi trovate in una stanza verde, manette ai polsi, con due agenti che vi osservano, ed entra un terzo. Si siede, apre un faldone, e vi dice:
“Mr. Anderson, da quello che leggo qui, lei conduce due vite. In una, lei è stato uno studente modello, cresciuto in una famiglia normale, dove fa anche del volontariato e ha vinto la Coppa di Atletica del paesello. L’altra invece la passa su Tumblr, col nome di lassateme-perde, dove accusa la società che le abbiamo posto davanti di essere ingiusta, e continua a fare proseliti su come combattere il sistema. Una di queste vite ha un futuro ... l’altra, no.”.
Ovviamente la vostra risposta spavalda è:
“Io me ne frego dei suoi metodi da Gestapo del cazzo! Intanto le mostro il mio dito medio, e mi fa fare la mia fottuta telefonata”.
A questo punto, il nostro personaggio immaginario, che chiameremo con un guizzo di fantasia Agente Smith, vi infila una cimice, ma stavolta non per l’ombelico, ma su per il ... ok, se semo capiti.
All’improvviso vi risvegliate, e vi è arrivata un’email. Felicità top, vi chiamano per un colloquio dall’altro lato dell’Italia. Certo, vi mancherà mamma’, machisenefotte, io voglio essere indipendente e guadagnare schifosamente!
Belli felici, vi avviate al colloquio. Vi accoglie uno che è preciso preciso all’Agente Smith. Ma lì minimizzate, chi non ha un sosia nella vita. Lui apre un faldone, e chiede:
“Mr. Anderson, benvenuto. Mi racconti di lei.”
Snocciolate tutta la vostra cultura, Nikola Tesla vi fa una pippa, avete appena messo in discussione la Relatività Ristretta e il Time vi ha dedicato una pagina, che avete allegato al curriculum. Ma lui si guarda le unghie, risponde al cellulare, fa una battuta sessista alla ragazza gnocca della reception, si gratta pure il pacco, e poi vi interrompe con un:
“Va bene, le diamo 23.000 euro lordi all’anno, con un contratto a tempo determinato. Perché noi crediamo in lei, Mr. Anderson, so già che lei farà grandi cose.”
Al che voi chiederete maggiori informazioni ...
“Mr. Anderson, lei conduce due vite ...”
E voi, memori del trattamento:
“No, lasci stare, ho afferrato. Va bene così”.
Machisenefotte, avete un lavoro! Oh, cazz, 23.000 euro lordi, e chi li ha visti mai!
Realizzate sul posto che vi siete avviati così, alla cazzo, da casa, senza cercare un riparo per le intemperie. Sotto con gli annunci di casa, dicendo a voi stessi “ma col cazzo che torno a convivere con gli inquilini, adesso ho una vita!”. Durante la ricerca vi arrangiate da un amico.
Al primo giorno di lavoro, vi accoglie il vostro capo, pelato ma con i capelli ai lati della testa (sono tutti così), e questo è il vostro primo dialogo:
Lui: Cristo, un rifiuto dell’università, potrei pure morire ...
Voi: Come la devo chiamare?
Lui: Chiamami DIO!
(chi indovina da quale film è preso questo dialogo ha una birra pagata).
Inizia a mancarvi mamma’, ma siete troppo orgogliosi per tornare indietro.
Alla prima busta paga realizzate che tra IRPEF, TFR, contributi pensionistici a perdere, tassazione regionale, S.S.N., assicurazioni, spaludamento della Padana, contributo per salvare il Panda in estinzione e il lifting di Barbara d’Urso, non arrivate manco a 1.200 netti. Si torna a convivere.
Però siete ottimisti, e pensate “vabbè, gli inizi sono difficili per tutti, pure all’Uni era così, ma adesso ci rifacciamo. Un paio di anni di lavoro, e potrò avere una casa mia!”.
Dopo due anni avete messo qualcosa da parte, mangiando come uno scoiattolo e inventando problemi gastrointestinali quando vi invitavano ad andare al cinema.
Trovate un appartamento da 35 mq. netti, roba che l’ONU invocherebbe la Tortura e il Mancato Rispetto dei Diritti Umani, ma sticazzi l’ONU, chi cazz se l’è cagato mai, io voglio andare a vivere da solo. E’ perfetto.
Andate in Banca, vi accoglie il Direttore. Uguale uguale all’Agente Smith pure lui, iniziate a sentire odore di bruciato. Ma adesso avete altri cazzi per la testa, non c’è tempo per fare dietrologie.
“Mr. Anderson, così lei vuole aprire un mutuo...”
Voi spiegate che è necessario per costruire la vostra vita, per iniziare ad investire sul vostro futuro, che è importante per la società investire sui giovani, siete i futuri pilastri dell’economia. Ma lui si guarda le unghie, risponde al cellulare, fa una battuta sessista alla cassiera gnocca allo sportello 2, si gratta pure il pacco, e poi vi interrompe con un:
“Firmi qui per avere 100.000 euro a tasso fisso, da restituire in 20 anni, dietro consegna della sua vita, quella dei suoi genitori, il vostro casolare in campagna, e diritto di disporre del vostro corpo dopo la morte.”
Vi lamentate che le condizioni sono eccessive, visto il vostro magro stipendio, ma lui:
“Mr. Anderson, lei conduce due vite ...”
Ringraziate il Santo Direttore e vi avviate all’uscita, pensando “massì, fa il suo lavoro ... poi adesso chiedo l’aumento al capo, e un po’ alla volta lo ripago”.
Vi rivolgete al capo, dicendo “lavoro qui da due anni, mai una vacanza, mai una malattia, lavoro anche nei weekend, ho dato il massimo, credo che debba essere riconosciuto il mio contributo in azienda!”
Al che lui si incazza, vi molla 2.000 euro lordi in più all’anno (che il Governo si fotterà il mese seguente con una finanziaria Lacrime e Sangue), e vi dice
“Non mi piaci Mr. Anderson. Ricordati che da oggi ti tengo d’occhio ... ricordati che DIO TI GUARDA!”
Dio e la Madonna solo sanno come avete fatto, ma siete riusciti a trovare una auto usata d’occasione, e vi caricate di altre rate. Tanto chi non ha debiti in Italia!!!
Alla prima uscita, beccate in pieno una buca grande quanto l’Etna, spaccate il semiasse, cerchione e ruote. Andate dal meccanico bestemmiando tutti i Santi in maniera periodica. Non ci crederete, embe’, Agente Smith pure lui. Non è possibile, cazzo!
“Mr. Anderson, qui c’è da rifare la testata del motore.”
Vi lamentate che si è rotto solo il semiasse, non siete esperti di meccanica, ma che cazzo c’entra la testata, ma lui si guarda le unghie, risponde al cellulare, fa una battuta sessista alla segretaria all’accettazione, si gratta pure il pacco, e poi vi interrompe con un:
“Mr. Anderson, lei conduce due vite ...”
Vi fate mettere anche i neon sotto le ruote, erano in offerta.
Risolta la casa, l’auto, il lavoro, siete esausti. Non avete avuto 5 minuti per voi, vi meritate una vacanza. Che belli sarebbero gli USA! New York, il vostro sogno da piccoli. Agenzia di viaggi, massì, chissenefrega! Non si vive per lavorare, si lavora per vivere!
Ormai vi siete rotti il cazzo di vedere Agenti Smith dovunque, ma tanto, in qualsiasi agenzia viaggi andate, c’è sempre lui. Ma stranamente, stavolta, non ha quella solita faccia da stronzo, anzi, vi offre anche il caffè, vi fa sentire importanti, padroni delle vostre scelte. Sì, Broadway, Times Square, tutto fighissimo. Tornate a casa con i biglietti e un sogno.
Ad una settimana dalla partenza, con già il poster del Boss nella valigia, si abbatte un tifone di quelli che non si erano mai visti prima, si innalzano i mari, New York sotto 10 mt. d’acqua, un troiaio assurdo. Il telefono squilla:
“Mr. Anderson, noi avevamo fatto l’assicurazione contro lo scioglimento della calotta polare artica? No? Male. Beh, le vengo incontro, le propongo come ripiego un weekend a Venezia”.
Al che fate notare che un viaggio a New York non c’entra proprio un cazzo con un weekend a Venezia, ma lui (anche se non lo vedete perché al telefono) si guarda le unghie, risponde al cellulare, fa una battuta sessista alla tipa del video di Pornhub che sta guardando, si gratta pure il pacco, e poi vi interrompe con un:
“Mr. Anderson, devo ricordarle quante vite conduce?”
Prendete l’opzione All-You-Can-Gondola, con una differenza di altri 200 euro.
E l’Agente Smith lo ritroverete al CAF, sarà il vostro dottore che vi dirà che avete il colesterolo a palla e quindi niente più pecorino romano, fino al giorno che vi ritroverete a guardare una Mara Venier virtuale su Rai 1, con una copertina sui piedi e un infermiere Agente Smith, ma ormai non capite più nulla e vi ostinate a chiamarlo “mamma”.
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Ovviamente è tutto uno scherzo, anche se alcuni dei fatti elencati sono presi dalla mia vita, altri gonfiati esageratamente per renderli buffi. Giusto per dirvi che di sfighe ne abbiamo a mazzi, tutti, in tutte le fasi della nostra vita, e abbiamo a mio parere tre scelte: ignorarle, fasciarci la testa, o incazzarci un giorno sì e uno no. Io ho scelto la terza.
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janiedean · 4 years ago
Note
su Twitter ho visto qualcuno suggerire di cercare Pinocchio-balilla e in effetti i fascisti hanno usato il personaggio per fare propaganda sui bambini, quindi il film potrebbe avere anche qualcosa di sensato. non so perché ma ora mi immagino questo film dal pov di Pinocchio balilla vivere le avventure scritte durante il ventennio. cmq un po’ mi scoccia che nessun italiano sia coinvolto nel progetto ma spero lo stesso venga bene e porti più consapevolezza su quegli anni
ah assolutamente! cioè che pinocchio fosse stato usato per fa la propaganda fascista se sa e se del toro si è documentato pure su quello ne sa di più della media dello studente liceale italiano ma quello è un altro discorso X°D comunque cioè per quanto mi riguarda il problema n’è tanto se hanno coinvolto italiani o meno o se è appropriato che uno non italiano fa i film ambientati durante il fascismo perché ok il discorso che le robe americane fanno imperialismo culturale ma di nuovo allora se seguiamo questo ragionamento ken parker doveva bruciare nel camino di berardi e milazzo negli anni ‘70 e wenders non poteva andare a fare i film in america negli anni ‘80, kurosawa non poteva fare dersu uzala e così via, non si può dire a prescindere che persona X non può toccare l’argomento Y se non gli pertiene se la persona X è capace e vuole fare il film o il romanzo sull’argomento Y nel momento che ci tiene ed è una cosa che fa non per soldi ma per arte o che ha un cazzo di visione dietro ecco
poi come dire io sono pure del campo che nel momento che hai un’idea valida che vuole passare un messaggio che implica adattare una storia che è stata adattata i triliardi di volte.... fallo? poi magari viene male ma sinceramente non mi piace molto sto concetto che Certe Opere Sono Così Sacre Che Non Si Toccano nel momento che ne capisci il valore - per dire me vieni a dire che dante è una fanfic ti rido in faccia, ma il famoso don giovanni che menzionavo in quella risposta... fondamentalmente era prendere un testo settecentesco che sembra su uno che seduce le donne ma nel momento che vedi esattamente la premessa e scavi sotto di base è tirare un dito medio allo status quo/alla società benpensante e traslarlo ad harlem a fine anni ‘80 con cantanti non bianchi a parte i tre personaggi originariamente ‘nobili’ e usarlo per fare un discorso politico coerente sulla situazione della gente emarginata/dei sex worker/degli eroinomani in quella specifica situazione mantenendo 100% lo spirito dell’originale anche se non c’era una cosa dell’ambientazione originaria che fosse rimasta. all’epoca se ti cerchi le recensioni era pieno di gente che stava a urlare al vilipendio che OMG COME OSI MASSACRARE COSI’ LA SACRA OPERA ma per me non era un vilipendio manco per un cazzo perché se uno americano vede in un’opera scritta da un italiano e da un austriaco nel ‘700 un messaggio che può relazionare diversamente usando il suo linguaggio... perché no? le opere d’arte/le storie campano nei secoli anche perché la gente se le sa reinventare (never forget che tutta la letteratura occidentale sta in iliade e odissea di base), se non si lascia fare adattamenti alla gente diventano delle mummie e che te ne fai? se non ti piace l’adattamento cambiato ti leggi l’originale/ti vedi l’adattamento classico/fedele al materiale originale e bona nessuno ti blocca, ma secondo me è deleterio dire che una roba è troppo sul piedistallo o che per essere adattata cambiando il setting finché è una roba fatta con concezione di quello che si scrive e con un’idea dietro... che tbh me sembra sia quello che sta a fa del toro.
nel senso che se questo sono anni che vuole fare pinocchio nel pre-ventennio (che admittedly se trasli l’intera storia in un paese sull’orlo della caduta nella dittatura ci sono infinite possibilità di farne un ottimo lavoro never mind che per me pinocchio era tipo la favola più ansiogena che abbia letto in vita mia quindi come dì... I SEE HIS POINT) evidentemente si è ben documentato e ha un’idea precisa in testa di quello che vuole e non sta a raffazzonare una cosa senza né capo né coda e again non è michael bay o il primo americano scemo di turno...... quindi personalmente sono assolutamente pro farglielo fare, poi ovvio che se coinvolgeva italiani era meglio ma magari si prenderà i sensitivity reader o magari s’è già consultato con degli storici che ne sappiamo, poi se fa cagare pace ma decidere che non è il caso basandosi sugli elementi che abbiamo ora mi sembra abbastanza ridicolo tbh. /shrug 
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per-i-tuoi-larghi-occhi · 6 years ago
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Cari mamma e papà,
perdonatemi, scusate il poco preavviso, so che avete già preparato tutto, ma io domani non posso venire a pranzo da voi perché stasera m’ammazzo. So di darvi un immenso dolore, un dispiacere inconsolabile, uno strazio infinito, però vabbe’, non ne farei una tragedia se per una volta non vengo a pranzo. Tranquilla mamma: prima di suicidarmi mangio. No mamma, non il solito panino. Mi faccio la carne, ok? Scusatemi se sono così sbrigativo, ma trovo ridicolo e irritante dovervi scrivere questa lettera per spiegarvi il mio gesto. Non occorre essere depressi per suicidarsi, basta essere vivi. È più che sufficiente. Voglio dire, quello che faccio è normale, spiegarlo è inutile, didascalico e pleonastico. Perché mi suicido? Per lo stesso motivo per cui lo fanno tutti! Per lo stesso motivo per cui lo farete anche voi: perché si soffre. E quindi ci si suicida, è normale. Logico. Consequenziale. Tutto nella vita ti spinge al suicidio. Il suicidio è la vera morte naturale dell’essere umano.
Ecco perché trovo così sciocche le lettere d’addio dei suicidi, compresa questa: non c’è nulla da spiegare, niente da capire, è tutto così ovvio! Piuttosto, chi sceglie di continuare a vivere dovrebbe delle spiegazioni. Chi sceglie di continuare a vivere, ogni giorno dovrebbe scrivere una lettera per spiegare il perché del suo insano gesto. Sarei curioso di leggerne un paio. Lo dico senza ironia. Cosa li spinge? Secondo me non hanno veramente voglia di vivere. Secondo me non gli piace veramente. Secondo me sono solo condizionati dalla pubblicità. Lo ero anch’io, del resto. Siamo bombardati ogni giorno da messaggi di speranza! Ma ora sono stanco di rimanere deluso dalle cose e farmi prendere in giro da chi parla di un futuro migliore, da chi dice di credere nella ripresa, o di vedere il lato positivo della cosa. A proposito, ma è arrivato anche a voi il conguaglio per la luce in fondo al tunnel? Ma avete visto quant’è!?! Almeno di giorno potevano spegnerla! Il governo ci invitava a vederla, ma non ci avevano mai detto che era a carico nostro… Io poi, lo sapete, sono sempre stato contrario anche al tunnel: scavarlo ha avuto un impatto sul territorio disastroso, per non parlare delle conseguenze sociali. E tutto questo perché? Solo per accecarci con una luce, e poi farcela anche pagare.
Ma questa è solo la beffa; il danno è la vita. Sì, quella vita che ci hanno voluto vendere a tutti i costi, quella vita che ci hanno fatto credere fosse bella, potesse cambiare e fosse un valore; quella vita che voi mi avete regalato convinti di farmi un dono, in realtà è una merda. È banale, noiosa, ripetitiva, e troppo corta – questo nella migliore delle ipotesi. Se ti dice anche male, la vita è violenta, tragica e dolorosa. E in entrambi i casi, la vita è cancerogena. Lo so che quando mi avete donato la vita ero piccolo, ma avreste fatto meglio a donarmi semplicemente un maglione – magari lì per lì non avrei gradito, è difficile che un neonato possa apprezzare un maglione, specie se di lana quella che punge, avrei pianto, ma semplicemente perché un neonato non capisce niente, piange per qualunque cosa, e comunque mi pare che io abbia pianto lo stesso appena venuto al mondo e ricevuto il dono della vita, quindi perciò ecco, col senno di poi, se piuttosto che la vita voi mi aveste donato un maglione, io oggi vi ringrazierei. Non ve ne sto facendo una colpa, sia chiaro: avete ricevuto anche voi lo stesso regalo dai vostri genitori, che a loro volta lo avevano ricevuto dai loro, e così via, era tradizione, convinti di fare una cosa gradita; siamo tutti vittime del marketing da generazioni.
La scelta più difficile da prendere è stato il come ammazzarmi. Questo è il vero problema di un suicida, ciò per cui gli altri dovrebbero aiutarlo e stargli vicino. Perché quando si passa dalla teoria del suicidio alla pratica, ecco che cominciano i problemi, le complicazioni, i “vorrei ma non posso”; allora il suicidio si trasforma nell’ennesima impresa frustrante, deludente, incline al compromesso; il suicida si deprime, si avvilisce, vede tutto nero, e si vuole suicidare. E ci risiamo daccapo. Perché tutti i metodi per suicidarsi sono dolorosi, spiacevoli (ma come, uno si ammazza proprio per smettere di soffrire!) e soprattutto poco pratici, specie per uno poco pratico come me. Voglio dire: dove la trovo io una pistola? Io non ce l’ho, qui nessuno ce l’ha, e non è così facile procurarsene una. Non siamo mica in Texas, o in Colorado. Cosa dovrei fare, andare negli Stati Uniti e fregarla a uno studente? Per favore, restiamo logici.
Le corde non si trovano più, qui in zona l’ultimo tappezziere ha chiuso mesi fa e nessuno sa più dove trovarne; le uniche, anche su Internet, sono quelle per legarsi a letto, sì insomma, quelle sexy, ma non vorrei scadere nel grottesco. E poi per impiccarsi tocca avere una certa manualità, che io non ho. Neanche a letto. Restiamo pratici. Anche le lamette non si trovano più, o meglio, adesso fanno quelle apposta per non tagliarsi. Potrei sempre radermi i polsi a morte. Ma restiamo seri. Pure le buste di plastica sono cambiate: adesso fanno quelle ecologiche, in bioplastica, ottenute dall’amido di mais, e che puzzano di dado da cucina. Tu c’infili la testa dentro per soffocarti – ci ho provato… e quelle cazzo di buste si rompono! Si rompono sempre! Ennesimo danno provocato alla razza umana dal buonismo e dal politically correct…
Di veleni ne mangiamo, beviamo e respiriamo tutti i giorni e in gran quantità, ma sono ancora vivo. Di buttarmi al fiume non se ne parla: d’accordo morire, ma di bagnarmi, prendere freddo e beccarmi la toxoplasmosi in quello schifo me lo risparmio volentieri. Il gas costa un botto, più di quello è che rischio di far fare a tutto il palazzo – che per altro non coinvolgerei nella mia decisione, non sono un esibizionista. Sotto alla metro non mi ci butto, soffro di claustrofobia. E le finestre, i balconi o le terrazze non posso, non riesco, soffro anche di vertigini. Inoltre tutti questi sistemi non sono sicuri, possono fallire; e io rischio di restare ancora vivo, ma invalido vegetale, cioè peggio di adesso. Insomma rischio di fare anche una figuraccia, di quello che manco è stato capace di togliersi la vita. Che poi non dovrebbe essere così difficile; eppure…
C’è solo un modo, possibile e sicuro, con il quale suicidarmi: vivere. Dico sul serio. È lento, e dolorosissimo; ma inesorabile e infallibile. La vita è un suicidio omeopatico, ma senza scampo: nessuno è mai sopravvissuto alla vita. E lo so che questa mia ultima affermazione la interpreterete come un “la vita va avanti, la vita non muore mai”, e ne ricaverete un messaggio positivo e perbene, di speranza. Perché ormai siete corrotti e vedete il bene dappertutto. È anche per questo che stasera, come ogni sera, io mi suicido.
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camilladalonzowho-blog · 8 years ago
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Festa della mamma
La mamma è importante si, ma per uno studente fuori sede lo è ancora di più. Saranno le video chiamate tutorial in cucina che manco Benedetta Parodi e i "buongiornissimo" al mattino con tanto di immagini animate su wa. Saranno le 58 chiamate perse se non ti rispondo immediatamente per poi chiedermi "Ah no volevo sapere se avessi mangiato..". Saranno gli "Studia", "Non perdere tempo" "Datti da fare" e "Attenta al gas!!". Ma soprattutto, sarà la notte che è il momento della giornata in cui ti preferisco. Non lo so perché. Saranno gli "Spacca tutto", "Io sono orgogliosa di te", "Stai tranquilla" e "Ma ti ricordi quante te ne leggevo prima di andare a letto?" E chi se le scorda mà. Sarà che mi piaceva così tanto immaginarci protagoniste di quelle favole. Io principessa, tu regina. Auguri mamma, ti voglio bene
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mariminnucci · 8 years ago
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Frammenti su un discorso (quasi) concluso
Senza alcun preavviso plausible, sono giunta alla vigilia del mio ultimo esame universitario. Non so bene quando sia avvenuto il passaggio da ''ho 8 materie indietro, non ma laureerò mai'', a ''domani verbalizzato contract law e chiudo i giochi con la mia carriera unviersitaria''. Deve essere stato quest'estate, quando avevo cose più importanti a cui pensare, tipo l'esaurimento nervoso. Peccato, sono dispiaciuta. Insomma, avrei gradito un tantino di preavviso in più. Infondo, frequento scuole da quanto ho 6 anni, e ora che sono alla soglia dei 26, la somma dei giorni dietro i banchi non è certo trascurabile. Sebbene la matematica non sia affatto il mio forte, ho provato a fare un calcolo percentuale del tempo in cui sono stata ''studentessa'', e per essere 100% accountable, ve ne mostro i risultati. Dunque 100:x=26:20 quindi x= 100*20/26= 76,9%. Mi sembra una percentuale piuttosto veritiera e molto spaventosa. Infondo, questo 76,9% non è solo un numero, ma anche e soprattutto un indicatore della mia vita. In quella cifra ci stanno dentro un sacco di cose, tipo lo zaino di Sailor Moon, il diario delle Superchicche, il mio grembiule rosa, l'autobus delle 7e15 il lunedì mattina, la prima volta che ho copiato, la prima versione di greco in cui ho preso quattro (che purtroppo non fu nemmeno l'ultima), la nota per aver risposto male alla professoressa d'italiano, i concorsi di letteratura, la maturità, l'esame di sociologia e il primo 30, Bologna e le aule studio, il caffè prima dell'esame di Chiaruzzi, Nicolò, via Paolo Fabbri 84, il viaggio in Corea, la prima tesi, la tanto agognata laurea triennale, Forlì, Leandra, Oriana, la Sky, Politics of the World economy , e cosi via... Faccio fatica a rendermi contro che dentro un numero passi tanta vita, eppure è cosi. Per anni mi sono sentita prima una studentessa che una persona, una ragazza o addirittura una donna, e domani, in un modo o nell'altro, calerà il sipario su quella parte di me che ha voluto dire così tanto. Gli avvoltoi insorgeranno al grido di ''ti manca la tesi''. Hanno ragione, anche quella sarà una bella battaglia, la battaglia finale più sanguinaria e leggendaria di sempre, che manco Tasso nella Gerusalemme Liberata. Eppure essere tesista non vuol dire essere studente. E'come quanto la mattina tuo madre ti sveglia alzando la tapparella e strappandoti il piumone di dosso. Sai che lo deve fare, altrimenti non ti muoverai da li, ma certo non è piacevole di primo impatto. Ringrazierai dopo, del fatto che ti abbia svegliato in oriario. Ed è cosi che diventi adulta, quando capisco il valore delle cose nel lungo periodo, e non nell'imediatezza, e pure questa, se ci pensate, è una piccola, grande, tragedia. Dunque, this is it, questa è la fine di un'era, la mia era. L'era dei banchi e delle pause, della ricreazione, delle merende. Mi rendo conto che sia giusto così. Sono pronta, ho un milione di altre cose a cui pensare, a cui da domani sarò in grado di dare una priorità diversa. Sono adulta, ora scelgo io come investire il mio tempo, come suddividerlo e come gestirlo. Non so se sia necessariamente un bene, ma dicono che anche questa sia una cosa che mi potrà tornare utile un domani, quindi è giusto che mi ci metta d'impegno fin da subito. A domani allora, nuova e adulta Maria Giulia, per l'ultima volta in cui, guardandoti allo specchio, ti vedrò studentessa. Giuro che mi vestirò di rosa, in onore di quel primo grembiulino.
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pangeanews · 6 years ago
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“Il vecchio Padre Tempo ha passato la sua gomma da cancellare su molti uomini, cose, memorie: io invece lo sconfiggo…”: cari ragazzi, per crescere fieri & felici leggete Joseph Conrad (con florilegio di lettere inedite)
Le circostanze congiurano per parlare di Conrad giovane. Soliti piagnistei dalle ‘colonne’ dei giornali laureati a proposito dei giovani che se ne vanno dall’Italia: ‘capitale disperso’, ‘lauree regalate agli altri paesi’, ‘orfanezza dei giovani con genitori che non li seguono’. Un momento. Orfanezza? Tutto vero, la parola è stata lanciata da oltre Tevere non da qualche gerarca, non da qualche direttore di museo ma… da Nicola Lagioia. Sì, l’uomo che scrive “papa Francesco ha pronunciato molte parole nuove” (esordio bestiale, da studente che si è preparato), usa poi raccordi omiletici (“ecco allora che”) e per febbre trasmessagli, immagino, da Recalcati, ci aggiorna con idiozie da prete bello (“viviamo nell’epoca dell’evaporazione dei padri”). Per finire, Lagioia ha il pessimo gusto di sfoderare Conrad.
Conrad e i giovani oggi? Un attimo, qualcosa non torna. Ma se Conrad se n’era andato nei mari d’oriente, una volta rimasto senza genitori… Facciamo un esperimento. Prima vi leggete una lettera di Conrad (1857-1924) al suo mentore ed editore David Garnett che gli impastò la lingua per trent’anni presa da un libro del 1928 mai tradotto in italiano. Poi le sciocchezze di circostanza di Lagioia. Una cosa per volta.
*
20 gennaio 1900
Carissimo Edward,
no, non sapevo di Lord Jim, so soltanto ora che ti piace e ti dico che è vero che per me Jim è sufficiente come lo sono dei muti e sordi sopra le nostre teste (ma hanno una vista così penetrante, sono eloquenti e dall’udito fine). Se pensi che, solo perché non te mandai il manoscritto, la tua opinione non sia più un fattore vitale nella mia esistenza artistica, ti sbagli, purtroppo. Avevo timore di te. Anche ora ho timore. Vedi il lavoro per frammenti. Questo benedetto lavoro è manchevole, lo vedi pur con la tua penetrazione e la tua simpatia ma non potrai proprio dire dove sto puntando e come porrò fine a questo tentativo sconclusionato. Non ci riuscirai. E la verità è che sono imperscrutabile perché sto tutto in superficie, non perché vada in profondità. Sarà come quando ti siedi e ti spostano la sedia da dietro (se volessi gelarti); qualcosa come un pessimo scherzo che ti urterà, senza dubbio. Cattivo e vile. Ora che sei avvisato non cadrai malamente, immagino. (…) C’è stato un John Kochanowski, poeta del Quattrocento che tra altre cose scrisse una trenodia e davvero la nostra letteratura data da allora. Certo il suo nome cognome è simile al mio tanto quanto Brown è come Robinson. Il suo nome viene dal polacco ‘amore’, il mio invece da ‘radice’. Poi negli anni Trenta o Quaranta dell’Ottocento c’era un romanziere del genere del vostro Trollope, ma non era bravo come lui di nome Joseph Korzeniowski. Che è il mio nome ma la famiglia è diversa, il mio nome essendo per intero Joseph Theodor Konrad Natecz Korzeniowski. (…) Il mio altro nonno era Joseph Bobrowski, proprietario terriero, uomo saggio e proprietario di un allevamento di cavalli della Steppa, visse e morì nella sua tenuta di Oratow. Era stimato e se ne sentì la mancanza. Non scrisse nulla tranne qualche lettera (sporadica) e fece molte promesse alla comunità ebraica. Lasciò una grande famiglia di figli e una figlia, Eva, mia madre. In quella famiglia c’era uno straordinario culto per questa sorella della quale ho profittato quando sono rimasto orfano a dieci anni. E certo mia madre non era una donna comune. Le sue lettere a mio padre e ai suoi fratelli le lessi nel 1890, poi le distrussi, per me furono una rivelazione; non scorderò mai il piacere, l’ammirazione e il rammarico inconsolabile per la mia perdita (prima che la potessi apprezzare), lo capii pienamente solo allora. Uno dei suoi fratelli, Thaddeus, per il quale ero più figlio che nipote, era uomo di potente intelligenza e grande forza di carattere, di amplissima influenza nelle tre province di Ucraina, Volhynia e Podolia. Un uomo molto distinto. Un altro, Stefano, nel 1862 fu a capo del Comitato Rivoluzionario Polacco di Varsavia e morì assassinato di lì a poco nell’insurrezione polacca del 1863. Nessun membro delle molte famiglie alle quali si imparentavano questi due zii scrisse mai di lettere; tutti sacrificarono fortuna, libertà e vita per la causa nella quale credevano; e molto pochi ebbero mai la più piccola illusione riguardo al suo successo.
Mio padre era Apollonius N. Korzeniowski. Studente all’università di San Pietroburgo al dipartimento di studi filologici orientali. Mai laureato. Molti debiti. Successi mondani e la solita misura di ‘belle fortune’. Poeta. Si sposò nel 1855. Venne a Varsavia nel 1860. Fu arrestato nel 1862 e dopo dieci mesi di detenzione alla Cittadella fu condannato alla deportazione in Russia. Prima ad Arcangelo, Tsherisgow. Mia madre morì in esilio. Mio pare fu liberato nel ’67 su testimonianza del Principe Gallitzin per il quale non era più pericoloso. Era moribondo. Scrisse una commedia sulla vita moderna in versi, cinque atti (sarà stata del 1854). Tradusse: V. Hugo, Legende du Siécles. Travailleurs de la Mer. Hernani, Alf. de Vigny, Chatterton (dramma in versi). Poi Shakespeare: Much Ado About Nothing, As you like it, Two Gentlemen of Verona, Comedy of Errors, Othello. (Me li ricordo quando gli mandavano le bozze per correzione. Può darsi ve ne fossero altri. Alcuni di questi qui sopra li lessi che avrò avuto non più di otto o nove anni). Dopo la scarcerazione fu a Cracovia (Polonia austriaca) nel comitato editoriale di un giornale (Kraj) fondato allora se ben ricordo dal Principe Leo Sapieha ma era troppo debole per proseguire attivamente in quella direzione. Uomo di grande buon senso, dal temperamento esaltato e sognatore, col dono per l’ironia terribile e dalla disposizione al malinconico, con tutto quel forte sentire religioso che degenerò, dopo la perdita della moglie, nel misticismo accompagnato da disperazione. Dall’aspetto distinto, di conversazione affascinante, il viso quieto e scuro si illuminava quando sorrideva. Lo ricordo bene. Nei suoi ultimi due anni vissi da solo con lui ma perché andare avanti così? C’erano montagne di manoscritti, drammi, versi, prosa, bruciati dopo la sua morte come da disposizioni testamentarie. Un suo amico polacco, critico rispettato, scrisse un pamphlet dal titolo ‘Un poeta poco noto’. E così finis.
Ho scritto abbastanza? Non volevo farlo, quando ho cominciato questa lettera. Avevo sempre il desiderio di scrivere qualcosa del genere per Borys [il figlio] così da risparmiargli abissi peggiori nel futuro. E probabilmente lui non ci darebbe peso. Cos’è Ecuba per lui o cos’è lui per Ecuba. Tempi passati [in italiano], fratello, tempi passati. Lasciamo che se ne vadano.
Sempre tuo
Joseph
*
Ora, con che faccia si può presentare Conrad come il papino dei giovani rimasti soli come fa Lagioia (“nella Linea d’ombra Conrad racconta in modo mirabile il passaggio dalla giovinezza all’età adulta facendo risplendere l’idioma di Shakespeare di nuove luci e di magnifiche ombre”) per portare acqua al suo mulino?
Poi d’accordo, si può andare avanti e vedere chi era il miglior traduttore italiano di Conrad: Piero Jahier, figlio di pastore valdese suicida per adulterio (commesso), uno insomma che capiva la gioventù di Conrad. Manco Conrad fosse uno stinco di santo, se nella lettera a Garnett sulla sua famiglia dice di non voler fare discorsi simili al figlio Borys. Il nostro scrittore era semmai uno che il suo dolore se lo covava da solo: un duro che si oppose a chi gli voleva fargli firmare il manifesto per liberare Casement il quale per non aver distrutto i suoi Diari neri si era messo nelle grane coi Servizi imperiali. E Casement prima era stato un amico col quale Conrad viaggiava in Congo. Ma va bene, battezziamo pure Conrad, tanto per lui parlano le lettere private di quando viaggiava per mare (stampava Cambridge nel 1983). Ecco le più belle.
Le missive di Conrad marinaio sono destinate a un esule polacco che se ne era andato a Cardiff nel 1831 a vendere orologi (era passata la tempesta di rivoluzione del 1830 anche lassù). Per la storia, il suo nome era Spiridion Kliszczewski. Conrad l’aveva conosciuto durante una sosta della nave sulla quale prestava servizio, la Tilkhurst, a Penarth vicino Cardiff per far scorte di carbone. La scena è da immaginarsi così: Conrad si è imbarcato nel 1885, a 25 anni, per Singapore, e scende a Penarth per ripagare un debito al vecchio Spiridion da parte di un altro marinaio polacco, e stringe subito quell’amicizia istintiva che scatta tra esuli. Più crudo e romantico di così…
*
27 settembre, dalla Tilkhurst, Singapore
Caro Signore, d’accordo col Suo desiderio generosamente espresso e alla mia promessa mi affretto a scriverle del mio arrivo qui sano e salvo. Da quando l’ho salutata a Cardiff il globo ha compiuto quasi una mezza rivoluzione su se stesso: il vecchio Padre Tempo che è sempre diligente nei suoi affari ha passato la sua gomma da cancellare su molti uomini, cose, memorie: io invece lo sconfiggo e così non riesce mai a rimuovere dalla mia mente e dal mio cuore il ricordo della gentilezza che Lei e la Sua famiglia avete mostrato a uno straniero in forza di un distante legame nazionale. Temo di non aver espresso adeguatamente questa riconoscenza né a Sua moglie né a Lei; non posso vantarmi di riuscire a farlo con questa lettera, perché nel mio caso quando il cuore è pieno, scarse sono le parole, e tanto più intenso il sentimento che desidero esprimervi.
Ora spero di ricevere una lettera da Lei tra un mese circa. (…) Non desiderando prendere altro del Suo tempo prezioso porto a conclusione questa lettera, riservando per la prossima qualsiasi notizia utile – in risposta alla Sua – spero. I miei complimenti alla signora e una calorosa stretta di mano a tutti i ragazzi di casa, uno per uno. Mi creda, caro Signore,
Suo grato e fedele,
Conrad N. Korzeniowski
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13 ottobre 1885, da Calcutta
Mio caro Signore (…) il governo liberale è stato sconfitto al voto di bilancio un giorno o due prima che la nostra nave partisse da Penarth, appena arrivato qui ho guardato con ansia tutti i giornali in attesa di grandi cose. Benché meravigliato negativamente, ho notato migliorie nei rapporti con la Germania, che poi è l’unica Potenza con la quale sarebbe da costituire un’utile alleanza in funzione antirussa. Utile, e addirittura possibile. Non si deve meravigliare che il quadro attuale di cose politiche (estere, quantomeno) sia instabile. Gli eventi gettano ombre su di noi – ombre più o meno distorte – e abbastanza profonde da lasciarci intuire una luce sporca, da campo di battaglia, laggiù in un futuro abbastanza prossimo, anche se poi questi eventi grandi e decisivi mi lasciano in un’indifferenza di disperazione; lo sa che, quali che siano i cambiamenti nelle fortune delle nazioni oggi in vita, per il morto non c’è speranza, non c’è salvezza! Abbiamo superato i cancelli con su scritto ‘lasciate ogni speranza’, parole scritte in lettere di sangue e fuoco – ora il cancello è chiuso a tutte le luci di speranza e nulla rimane per noi tranne l’oscura dimenticanza. Davanti a questa sfortuna della nostra nazione, è impossibile la felicità privata nella sua forma semplice che fa esser contenti e sereni. Però sono d’accordo con Lei che una terra libera e ospitale offrirà una certa pace e una piccola dose di felicità anche al più perseguitato della nostra razza – sul piano materiale, si capisce. Quindi ho colto subito il Suo riferimento alla ‘Casa’ e l’ho fatto mio. Quando si parla, si scrive o si pensa in inglese la parola Home sta sempre a indicare, per me, le spiagge accoglienti di Gran Bretagna. (…) Sa che ho letto, studiato e messo su l’abito professionale dei balenieri e dei marinai in questi ultimi quattro anni? Sono di casa riguardo la parte pratica dell’impresa e andrò a fondo. Di più, mi sono assicurato l’aiuto in prima persona di un uomo che è nato e cresciuto in questo commercio il quale, benché si trovi bene dove sta adesso, è pronto a tornare al suo vero compito di cacciatore di balene. Finalmente vedo un vascello tutto per me, e in termini vantaggiosi.
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A Spiridion, 19 dicembre 1885, Calcutta
Mio caro Signore (…) quando mi leggerà io e il resto del ‘destro pensiero’ saremo aggravati dal risultato delle Elezioni Generali [335 Liberali, 249 Conservatori]. I nuovi idioti affrancati sono stati ripagati dalle aspirazioni del Signor Chamberlain e della sua mandria, e insieme si sono cucinati il piatto nazionale – oca arrosto – come da ricetta. La prossima mossa in cucina sarà un ottimo piatto a base di pesci lessi internazionali. Regna la gioia a San Pietroburgo, nessun dubbio, mentre a Berlino profondo disgusto. L’Internazionale Socialista trionfa e tutte le razze di gatti in Europa prendono a credere in questo giorno di fratellanza universale, di redistribuzione, disordine, tutto in buon ordine, e sul fondo sogni a occhi aperti con canzoncine da infermiere e tutti con le tasche ben piene nel mezzo delle rovine di tutto quel che credevo rispettabile, venerabile e santo. Il grande Impero Britannico è sceso dalla vetta ed è già sul piano inclinato del progresso sociale, delle riforme radicali. Il movimento al ribasso per ora lo si avverte poco, e quei signori astuti che l’hanno provocato possono vantarsi del bel gesto. Ma presto scopriranno che il fato della nazione è fuori dalle loro mani, ora! La valanga alpina scorre sempre più velocemente mentre si avvicina all’abisso, la sua ultima meta! E dov’è l’uomo che possa fermarla? L’opportunità e il giorno per farlo se ne sono andati! Mi creda: se ne sono andati per sempre! Il sole è tramontato, l’ultima barriera è stata rimossa. L’Inghilterra era l’unica barriera contro la spinta di dottrine infernali nate tra la feccia del bordello continentale europeo. E ora, nulla! Il destino di questa nazione e di tutte le altre è venir accolti dalle tenebre nel mezzo di pianto e stridor di denti, passando per rapine, eguaglianza, anarchia e miseria sotto la legge ferrea del dispotismo militare! Questa la lezione del senso comune e della sua logica ‘un uomo, un voto’. Inevitabilmente il socialismo se ne va a finire nel cesarismo. Mi perdoni questa lunga tirata, ma la Sua lettera, così franca in materia, me ne scuserà. La capisco alla perfezione, Lei desidera applicare certi rimedi per sanare i sintomi pericolosi: evidentemente c’è ancora speranza dentro di Lei. Per me non è così da un pezzo, in verità da molto prima ancora. Si va alla deriva!
*
Che dire? Orrore, orrore… Ma solo così si spiegano le creazioni di Conrad, quell’odio viscerale per la Russia dura e irrazionale che gli aveva incarcerato ad Arcangelo il padre molti anni prima. E comunque Conrad rimane, le politiche di allora un po’ meno. Conrad rimane perché ha fatto a pugni con la scrittura senza cercare palliativi.
Nel generale disprezzo di Conrad per i russi si staglia però una bella eccezione: Turgenev. Conrad ebbe per lui parole di elogio scrivendo all’amico Garnett nel 1917. A ben vedere, è un encomio che a carriera compiuta poteva rivolgere anche a se stesso… se fosse stato meno spartano. (E fatto salvo il punto sulle donne che il polacco ritraeva a una sola dimensione, mentre Turgenev come il suo mentore Flaubert era il dio che creava donne sulla pagina)
“Quel che rende Turgenev simpatico e benvenuto al mondo anglofono sono le sue creature – esseri umani, fortunati e sfortunati, oppressi e oppressori – non come le altre strane bestie di Russia impegnate nei loro ménage mentre mandano in frantumi le loro anime dannate nelle chiuse alternative delle contraddizioni mistiche. Sono esseri umani, pronti ad amare, pronti a soffrire, pronti a combattere, a vincere e a perdere in quel gioco ispiratore e infinito dove si aspira, giorno per giorno, a un futuro che sempre si allontana da noi. Quando poi questi esseri umani che abbiamo creato vengono portati a provare l’amore, possiamo sperare che rimarranno, almeno, tanto a lungo quanto le emozioni infinite dell’amore. Almeno finché queste non siano rimpiazzate dalla semplicità di una eugenetica perfezionata: e se anche fosse così, le donne non sarebbero cambiate poi molto. Le donne che Turgenev comprese così teneramente, con così tanta reverenza e passione, loro, almeno, sono per sempre”.
Andrea Bianchi
***
Conrad a David Garnett
29 novembre 1896
Caro Garnett,
ti mando diciassette pagine ancora, 65-82, del mio amato Negro del Narciso. Mandale a Mr. Pawling, ma prima guardale tu. Mi vergogno a pensare a quante cose mie non ti ho ancora mostrato. È come se avessi fatto a pezzi la mia coscienza, come aver litigato con la mia voce interna: non mi sento al sicuro. Certamente nulla può modificare il corso del Negro. Lasciamo che sia impopolare se così dev’essere. Però mi sembra che la cosa sia preziosa e, in superficie, abbastanza comune per avere del fascino per l’uomo della strada. Come se mancasse un solo punto: bè, è sempre quella la vita. Gioia incompleta, tristezza incompleta, la mezza furfanteria dell’eroismo, la sofferenza a metà. Gli avvenimenti si accumulano e si spingono a vicenda e non succede nulla. Sai quel che intendo. Le opportunità che non durano abbastanza. A meno di non essere in un libro di avventure per ragazzi. Quanto alle mie opportunità, non sono mai finite: si sono consumate prima che avessi l’occasione di fare quel che altri sarebbero riusciti a concludere. Dimmi che ne pensi di quel che vedrai. Io vado avanti. Altre 20 pagine così o anche meno arriveranno a un punto fermo. E non potrò respirare, finché non concludo per me non esistono orologi. Brutta cosa questo scribacchiare. Grazie.
Tuo per sempre, mia moglie vi abbraccia tutti e due
*
27 maggio 1912
Carissimo Edward,
spero di non averti disgustato per il mancato ringraziamento per la vostra traduzione dei Karamazov. Molto bene che tu ti sia ricordato di me, e certo ero estremamente interessato alla cosa. Ma è un grumo impossibile di valore discutibile. È cattivo in modo terrificante e impressionante ed esasperante. Di più, non so da che parte stia Dostoevskij o cosa voglia rivelare, ma so solo che suona troppo russo per me. Come l’urlo di qualche orgoglioso primitivo. Capisco che i Russi l’abbiano appena ‘scoperto’. Auguro loro molta gioia. Certamente la traduzione di tua moglie è incantevole, da spezzare il cuore al solo pensiero, che coraggio e che perseveranza! Lasciami dire, che talento per l’interpretazione. Parlare di ‘traduzione’ per questo suo traguardo è fuori luogo. Eppure l’arte del nostro uomo non si merita questo colpo di fortuna. Turgenev, forse Tolstoj, sono gli unici che si meritano le sue cure. Dille della mia ammirazione e devozione per lei. Le si può solo essere infinitamente grati qualsiasi cosa si pensi o si provi su Dostoevskij.
Sempre tuo
Joseph
* la traduzione è di Andrea Bianchi
L'articolo “Il vecchio Padre Tempo ha passato la sua gomma da cancellare su molti uomini, cose, memorie: io invece lo sconfiggo…”: cari ragazzi, per crescere fieri & felici leggete Joseph Conrad (con florilegio di lettere inedite) proviene da Pangea.
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