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ARRIVO A UMBRIA LIBRI OFF
Domenica 27 ottobre 2024 ore 18 CAFE’ TIMBUKTU Via Danzetta, 22 Perugia Presentazione del libro RACCONTI RACCOLTI di Francesca Montanari Laura Adriani Norma Beatriz Vecchi Tiziano Manni Nicola Castellini Illustrazione in copertina: Pamela Ceccarelli Cesvol Umbria ETS Editore, Quaderni del volontariato 13 ed. 2004 Organizzazione generale: ARRIVO APS Organizzazione tecnica: TIMBUKTU…
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Donne, uomini e libri
Credo che la situazione sentimentale di molte persone sia lo specchio dell'attuale società.
Si cerca tutto e subito, leggerezza e piacere senza impegno. Avere quello che si vuole solo quando necessita.
Le App insegnano. Hai fame *click*, hai voglia di un week end fuori porta *click*, vuoi andare al cinema *click*, vuoi ascoltare una canzone *click* e in fine vuoi degli incontri con partner senza impegno? Anche qui *click* *click*.
Secondo me le persone meriterebbero più importanza. Spesso si giudica con troppa fretta, in maniera approssimativa.
Io reputo le persone come dei libri, non ci si deve fermare alla copertina e neanche della prefazione. Ci sono vari libri come i romanzi per esempio che vanno da quelli sentimentali a quelli d'avventura, da quelli noir a quelli filosofici oppure anche libertini. Credo che nelle persone, come se fossero libri, ci siano più generi che vanno scoperti leggendoli e sfogliandoli.
Le donne.
Sono da leggere, fino all'ultimo capitolo. E se dopo un primo appuntamento ci rimane qualche dubbio, cosa che a noi uomini spesso capita, restando con quell'espressione di chi ha letto Nietzsche o Kant senza averci capito nulla, basta impegnarsi e ricominciare a leggerle.
Perché in quanto libri, le donne, non saranno mai uguali alla prima lettura, ma magicamente appariranno altri capitoli come se inavvertitamente nella fretta fossero stati saltati.
In un momento che stiamo vivendo di scarso impegno intellettuale, dove a molti risulta difficile leggere post oltre le dieci righe sui social, come si può pensare di impegnarsi per leggere una vita, fatta di esperienze ed emozioni, racchiuse in una persona solo con un rapido giudizio?
Faccio un esempio, si ha la possibilità di scegliere un libro. Uno solo, non di più. Se ci si accontenta di impegnarsi poco si sceglierà un libro pieno di illustrazioni. Guardare è meno impegnativo che leggere.
Chi avrà fatto questa scelta si perderà la possibilità, invece, di scegliere un libro pieno di pensieri, parole, racconti e consigli. Quanti inconsciamente non s'immaginano minimamente a cosa hanno rinunciato. Quello che si sono persi.
Gli uomini.
Non sono da giudicare dalla copertina.
Immaginiamo una donna in una libreria, davanti a sé ha dei libri in esposizione. Vede un libro sconosciuto in libreria. Lei è attratta dalla copertina di uno di essi. Non conosce l'autore.
Così sbircia l'occhiello, ma essendo curiosa passa al frontespizio... uhm, non si è ancora decisa. Sfogliando ecco che le appare l'esergo, "caspita che citazione" sussurra mentre il libro è sempre più saldo nelle sue mani.
A seguire sfogliando trova una dedica, che la fa sciogliere un po'... ed ecco che arriva al punto chiave. Come dopo alcuni appuntamenti interlocutori con un uomo, gira la pagina e trova la prefazione. Finalmente scopre il suo contenuto, l'ambientazione, i personaggi e un sunto della trama del libro.
A questo punto ha solo due opzioni: richiudere il libro e riposizionarlo sullo scaffale, oppure ammirarlo un attimo e con un sorriso avviarsi alla cassa con esso.
Donne e uomini.
Solo leggendo i libri, come metafora delle persone, alla fine della lettura si può essere perdutamente innamorati di quel libro. Come invece si può, alla fine della lettura, rimanerne delusi, nonostante quella prefazione che sembrava promettere bene.
Prendere a caso un libro da uno scaffale solo dalla copertina, senza valutarlo né guardarlo più di tanto, trovandosi poi tra le mani un libro che ci faccia innamorare, può accadere solo con un colpo di fortuna.
Bisogna sapersi leggere, senza fretta o pregiudizi. Solo alla fine trarre le conclusioni.
Ognuno di noi è un libro. Buona lettura a tutti.
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mito->poesia->tragedia->metodo scientifico: uno sviluppo straordinario
Il genere tragico in Grecia: riproposizione ed evoluzione del mito arcaico.
La forma della tragedia classica greca è il punto di arrivo di un processo sviluppato a partire da un primitivo nucleo del coro, progressivamente ridimensionato a favore di uno spazio sempre maggiore riservato al dialogo dei personaggi. La tragedia ripropone e riplasma del materiale mitico ereditato dal mondo arcaico. Il suo appellativo si collega etimologicamente alla parola tragos con riferimento al capro, riferimento che è stato interpretato in vari modi quali: a) il sacrificio rituale celebrato alla fine della rappresentazione; b) la maschera indossata dal coreuta, c) il premio dato al vincitore. In ogni caso, si tratta di un riferimento a qualcosa di animalesco, ferino, primitivo, selvaggio (si veda ciò come traccia dell’animalesco selvaggio dionisiaco rispetto all’olimpico armonioso compositore delle passioni rappresentato da Apollo).
La struttura era articolata in un prologo sugli antefatti dell’azione, un parodo, canto di ingresso del coro, gli episodi costituiti da dialoghi con gli stasimi, i canti di stacco tra gli episodi, e l’esodo, canto di uscita. Il coro (12 coreuti ai tempi di Eschilo con uno di loro, il corifeo, dialogante a nome degli altri con gli attori) cantava in armonia con la musica e la danza ( infatti il verbo koreuein significa danzare). Gli attori, tutti di sesso maschile, indossavano maschere, coturni, ovvero alti calzari per essere più visibili agli spettatori e la scena era dotata di macchine teatrali. In genere le rappresentazioni avvenivano in occasioni di feste in onore di Dioniso, dio rurale patrono della fertilità. Erano dei veri e propri festival in cui gareggiavano i poeti tragici con la loro tetralogia (3 tragedie ed un dramma satiresco). C’era una commissione selezionatrice fatta da un arconte ed altri due membri che sceglieva i tre concorrenti per la gara finale, ogni tetralogia veniva rappresentata in una giornata intera e quindi il concorso durava 3 giorni. La giuria per assegnare la vittoria della corona di edera era formata da 1 rappresentante per tribù estratto a sorte da una lista fornita da ognuna delle 10 tribù, che dava una classifica dei concorrenti su una tavoletta, delle 10 poi ne venivano estratte 5 a sorte per avere il vincitore. I contenuti delle opere attingevano ad un patrimonio di racconti mitici tradizionali e la rappresentazione drammatica era fondata sul contrasto, la lacerazione tragica tra protagonista umano e divino e degli uomini tra loro. Tutto il popolo partecipava, lo stato finanziava i poveri con due oboli per indennizzo delle ore di lavoro perdute ed i costi degli spettacolo (scenografia, costumi, attori, coreuti, musicisti) che erano in parte sostenuti anche dalle famiglie ricche, c’era anche un servizio d’ordine dotato di robusti manganelli contro eventuali disturbatori. La partecipazione popolare al "RITO COLLETTIVO" funzionava da presa di coscienza, grazie a questa esteriorizzazione del dramma tragico reso nello spettacolo teatrale, che determinava una presa di distanza, una assunzione di responsabilità collettiva di fronte alle tensioni tremende dell’esistenza umana secondo una visione che affondava le sue radici nei sanguinosi rituali del mondo pre-greco. In questo consiste la CATARSI di cui parla Aristotele: LA RAPPRESENTAZIONE HA UN EFFETTO LIBERATORIO DALLE PASSIONI (i patemata = patemi di animo).
La tragedia si differenzia dal mito per un tratto sostanziale: se nel mito lo scontro è nel mondo divino, qui il piano si sposta sulla violenza tra dei e uomini e degli uomini tra di loro. Questo è testimoniato dal lessico tragico. Sono fondamentali alcune parole chiave ricorrenti nei dialoghi, che mostrano la inconciliabilità nella tragedia di polarità opposte di comportamento: parole da un lato come collera (che però è anche invidia!) (ϕθόνος),e accecamento divino (΄Άτη) , tracotanza (ύβρις), e violenza brutale (βία) , dall’altro legge (νόμος), diritto (δίκη), autorità legale (κράτος), timore (ϕóβος), e pietà (ʹΈλεος), parole che segnano nella loro opposizione il contrasto inconciliabile che caratterizza la tragedia. Viene bollata la tracotanza, si esibiscono i valori morali e le norme etico-sociali cui conformare i comportamenti dei cittadini della polis ed il ricorso al mito serve a rinsaldare il tessuto connettivo della convivenza. Nella trilogia più famosa, l’Orestea, formata da Agamennone, Coefore, Eumenidi, la tragedia si risolve con Oreste portato nella sede suprema della istituzione della polis, l’Areopago, dove Oreste è alla fine assolto e le furiose persecutrici Erinni si trasformano nelle benigne Eumenidi. Si impone la Giustizia, la DIKE, che si esplica nel NOMOS, nella Legge della città, a fronteggiare la violenza, ma ciò non sarà sufficiente se nell’Antigone la legge del cuore e degli affetti si scontrerà con la legge ufficiale della città stessa, che tuttavia prevarrà alla fine. Ma a questo punto, gli Dei c’entrano poco, il conflitto è tra gli uomini, gli Dei sono solo spettatori. I drammi umani riportano le scorie dei drammi divini. Più i conflitti "si umanizzano", più si perde la carica istintiva, travolgente dell’eros e della violenza primitiva e questo porta alla famosa tesi di Nietzsche che ne La nascita della tragedia (1871) vede nelle prime tragedie un equilibrio tra le parti del coro che rappresentano la potenza dionisiaca degli istinti e le parti del dialogo degli attori che moderano con la razionalità apollinea lo scatenamento degli istinti, fino ad arrivare ad Euripide che descrivendo con realismo delle vicende umane fa prevalere il distacco dello spirito superiore ed equilibrato apollineo in contemporanea all’avvento del razionalismo di Socrate in filosofia e la definitiva eclissi del dionisiaco, evento che il filosofo tedesco denuncia come la più grande perdita per tutta la cultura occidentale.
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Più i miti perdono valore di Verità, staccati dal culto dionisiaco, più i paragoni e le similitudini linguistiche, da "strati intermedi" tra il mondo degli dei e quello umano subiranno una trasformazione che costituirà i primi gradini delle deduzioni analogiche di cui il metodo empirico si servirà più tardi.
-Franco Sarcinelli (WeSchool)
-Bruno Snell (le origini del pensiero europeo)
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Il mio viaggio è terminato. Torno dopo aver vissuto l'amore. Ho visto, sentito cosa vuole dire avere una persona con cui condividere la tua vita, la tua quotidianità. Ho sentito un abbraccio vero in un momento di panico, mi sono fatta tenere per mano. Ho sentito discorsi sul futuro, discorsi tanto belli, e racconti del passato che hanno dato valore a quegli occhi. Abbiamo lavorato, tanto,conosciuto persone meravigliose, posti magici, sempre assieme. Vi sono varie forme d'amore e vari modi d' amare e l'amicizia è uno di questi,io so benissimo quanto fa male amare una persona che è innamorata di un altra perché lo vivo ogni giorno, ma credo che non bisogna rinunciare al bene. Un giorno mi hanno augurato di trovare anche io qualcuno con cui guardare la bellezza, con cui essere bellezza. Io la bellezza la guardo con il cuore, e il mio cuore sa di cosa ho bisogno e sa prendersi cura di me. Non so cosa succederà domani ma so che così felice non lo sono mai stata..
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Racconti di viaggio - parte 2
Quando ho studiato all'università Studi Culturali dell'Asia Orientale il corso era orientato su come sia "Oriente" che "Occidente" veniva rappresentato l'uno dall'altro con una serie di discorsi e di immagini che si auto-alimentavano e, da persona occidentale, quello che più mi aveva affascinato era come noi "occidentali" dipingiamo l'Asia. Tuttavia, il prof teneva tanto ad un punto ossia il white spot ovvero quel posto (figurato) in cui bisognava trovare, da "occidentali", una lettura della propria rappresentazione.
In Giappone si nota poco perché culturalmente sono molto timidi e riservati (anche se succede), ma in India sono rimasta completamente shockata da una cosa: la gente non faceva che fissarmi. E non per chissà quale strana ragione, ma semplicemente per un motivo: sono bianca.
Da quello che ho capito, è una rarità trovare persone occidentali in India e quindi quando la vedono se ne stupiscono. Ma analizzando meglio il problema non è solo quello.
Quando sono andata per la prima volta a casa dei miei amici in cui c'erano i parenti, la prima cosa che mi è stata chiesta è stata di fare una foto assieme. Alle varie feste di matrimonio (3) uomini di mezza età in special modo non facevano che chiedere di fare selfie assieme, come se fossi stata un fantoccio, una bambola, una celebrità di cui doversi ricordare di avere incontrato e da far vedere agli altri in futuro. Sempre perché vedere persone bianche è raro, figurati averle così vicine a un matrimonio di chissà quale parente/amico ecc.
Se da un lato mi hanno letteralmente oggettificata, rendendomi qualcosa a metà tra un trofeo e una bomboniera, questa cosa maschera un problema ben più grosso: gli indiani si sentono inferiori ai bianchi.
Non è una novità che questo tipo di ranking delle razze umane non sia ancora estinto. Lo abbiamo vissuto per centinaia di anni, ne siamo immersi ed è complicatissimo staccarci questa ameba di dosso con cui siamo cresciuti tutti. Ma è stato allarmante per me percepire queste cose di prima mano.
Da bianchi ci siamo letteralmente imposti, li abbiamo sottomessi, fatto di loro schiavi o quello che ci pareva e loro, nonostante si sentano molto fieri di aver (quasi) raggiunto il nostro tipo di società, non riescono proprio a liberarsi dalla visione del mondo che abbiamo loro insegnato e a non vederci con gli occhi che brillano. L'ho trovata una cosa tristissima.
#India#viaggio in India#considerazioni#pensieri#studi culturali dell'asia orientale#rapporti di potere#razze umane#whiteness#white spot#disuguaglianze
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"Eugénie Grandet" è uno dei romanzi più celebri di Honoré de Balzac, pubblicato per la prima volta nel 1833. Fa parte del vasto ciclo narrativo de "La Comédie Humaine", un'opera monumentale che Balzac ha dedicato a rappresentare la società francese del suo tempo.
Il romanzo è ambientato nella cittadina di Saumur, nella Valle della Loira, e racconta la storia di Eugénie, una giovane donna che vive sotto il giogo del padre, Félix Grandet, un uomo estremamente avaro e manipolatore. La trama si sviluppa attorno alla vita monotona e opprimente di Eugénie, che viene sconvolta dall'arrivo del cugino Charles, recentemente orfano e senza un soldo. Questo incontro risveglia in Eugénie sentimenti di amore e ribellione, portandola a scontrarsi con l'autorità paterna.
Balzac utilizza la figura di Grandet padre per criticare l'ossessione borghese per il denaro e il potere. La sua avarizia non solo rovina la vita della figlia, ma rappresenta anche una critica più ampia alla società del tempo, dove il valore delle persone è spesso misurato in termini di ricchezza materiale. La descrizione dettagliata della vita provinciale e delle dinamiche familiari rende il romanzo un ritratto vivido e realistico della Francia post-rivoluzionaria.
Honoré de Balzac nacque il 20 maggio 1799 a Tours, in Francia, da una famiglia borghese. Suo padre, Bernard-François Balzac, era un funzionario pubblico, mentre sua madre, Charlotte-Laure Sallambier, proveniva da una famiglia di commercianti parigini. Balzac trascorse un'infanzia solitaria e difficile, segnata dai frequenti disaccordi tra i genitori.
Dopo aver frequentato il Collège des Oratoriens a Vendôme, Balzac si trasferì a Parigi, dove studiò diritto. Tuttavia, la sua vera passione era la letteratura. Dopo alcuni tentativi falliti di affermarsi come drammaturgo, Balzac iniziò a scrivere romanzi sotto vari pseudonimi. La sua carriera letteraria decollò con la pubblicazione di "Les Chouans" nel 1829, il primo romanzo che firmò con il suo vero nome.
Balzac è noto per il suo stile di vita frenetico e per la sua incredibile produttività. Lavorava spesso per lunghe ore, alimentato da caffè nero, e scriveva in modo compulsivo. La sua opera più famosa, "La Comédie Humaine", è una serie di quasi cento romanzi e racconti che offrono un ritratto dettagliato della società francese del XIX secolo. Tra le sue opere più celebri si trovano "Le Père Goriot", "La Cousine Bette" e, naturalmente, "Eugénie Grandet".
Nonostante il successo letterario, Balzac ebbe una vita personale tumultuosa, segnata da numerosi debiti e relazioni amorose complicate. Nel 1850, sposò la contessa polacca Ewelina Hańska, con la quale aveva intrattenuto una lunga corrispondenza. Purtroppo, Balzac morì pochi mesi dopo il matrimonio, il 18 agosto 1850, a Parigi.
Balzac è considerato uno dei padri del realismo nella letteratura europea. La sua capacità di creare personaggi complessi e di descrivere con precisione la società del suo tempo ha influenzato molti scrittori successivi, tra cui Émile Zola, Charles Dickens e Marcel Proust.
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Farine
Ogni anno, quando ci sono gli sconti Adelphi (tra Fine Gennaio e Fine Febbraio), compro un libro che sta in una ormai ingiallita lista di titoli, alcuni irrecuperabili, altri fuori catalogo e altri non ancora presi per vari motivi (disponibilità, tempo, anche a volte economiche).
Tra questi c'era questo libro
Nella presentazione sinottica di Adelphi, c'è scritto: Il libro che finalmente ci ha fatto capire che cosa vedessero gli antichi nel cielo.
Giorgio De Santillana è stato un fisico italiano, nato a Roma nel 1901, e costretto dalle leggi razziali a fuggire dal nostro Paese nel 1938 verso gli Stati Uniti. Lì insegnò a lungo al MIT di Boston, occupandosi soprattutto di Storia del Pensiero Scientifico.
E quando nel 1969 l'uomo sbarca sulla luna pubblica un saggio, insieme alla etnologa tedesca Hertha von Dechen, dal titolo suggestivo: Il Mulino Di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo.
La tesi di fondo degli autori è affascinante: la mitologia antica non è solo un racconto epico, ma è il modo in cui dei saggi arcani hanno trasmesso le loro idee e conoscenze sul cosmo e sulla misurazione del tempo. Un pensiero come quello antico non poteva che esprimere in termini mitici quelle che sono verità razionali, matematiche: in una parola, scientifiche. Per questo lo fa attraverso animali nei cieli, storie di Giganti, maghi, fiumi, oceani. Per dimostrare ciò, De Santillana e von Dechen si prodigano in un colossale, erudito e sorprendentemente ricco tesoro di miti, storie, brani che vanno dai miti Norreni a quelli Greci e Romani, da quelli babilonesi a quelli Indiani, dalla Cina fino ai miti Polinesiani e delle grandi civiltà sudamericane, alla ricerca di un fattore comune, una "tragedia cosmologica" che gli antichi erano stati capaci di individuare: la lenta ma inesorabile trasformazione del cielo delle stelle fisse causata dalla precessione degli equinozi. Questa capacità secondo gli autori era già presente in "arcaici saggi" circa 5 mila anni fa, e la saggezza del mito simbolico è stata una pratica che si è perpetuata almeno fino a Platone, secondo loro ultimo "discendente" di questi saggi astronomi.
Invito chiunque sia arrivato a leggere fino a qui a vedere i commenti che il libro ha sui siti sia di lettori che di vendita dei libri. Nella quasi totalità dei casi è considerato un libro capolavoro, un geniale saggio che scardina gli studi del settore, un classico di mitologia comparata.
Quello che invece ho sentito io è che, nonostante lo studio francamente gigantesco e ammirevole delle fonti (che farà aumentare la ingiallita lista di almeno una cinquina di raccolte di racconti mitologici) la tesi del libro (che è di 420 pagine, più 120 di Appendice e 100 di bibliografia) non solo non è dimostrata, ma non è affatto dimostrabile. Detto che è dal punto di vista filologico molto discutibile la qualità e la scelta delle traduzioni e gli autori che sono stati usati per rafforzare l'ipotesi di base, ci sono almeno tre punti storico-critici incontrovertibili:
non è mai stato dimostrato che la precessione degli equinozi sia stata scoperta prima di Ipparco, nel 127 A.C., cosa che invece il saggio pone almeno due millenni prima;
la divisione dello zodiaco in dodici segni da trenta gradi ciascuno, altro punto centrale di tutto il discorso astronomico del saggio, è quasi certamente una convenzione che inizia soltanto nel V secolo a.C. a Babilonia, e non ci sono a 60 anni di distanza dalla pubblicazione di questo libro ipotesi che sia stata architettata 3 mila anni prima;
l’ipotesi di un unico Ur-mito di migliaia di anni fa di natura astronomica è essa stessa un mito, nato nell’Ottocento e ormai improponibile in ambito accademico.
Credo sia la prima volta che parlo di un libro che, per quanto mi abbia stuzzicato e in molti punti anche provocato ammirazione, è davvero complicato, in molti punti intellegibile sotto la cascata infinita di citazioni in lingue più o meno morte, e di rimandi che molto spesso è palese fossero prese per i capelli, e niente affatto evidenti le corrispondenze. A tale riprova, va detto che il libro non uscì mai in ambito accademico, che di per sé non è un male, ma che alla fine è diventato il testo "culto" di un certo fanatismo occultista.
Non mi resta che spiegare il titolo. Amleto prima di essere il protagonista indimenticabile della tragedia di William Shakespeare, è stato uno dei miti fondativi delle popolazioni scandinave. Il racconto più bello è quello che fa Saxo Grammaticus nel De Gesta Danorum (XIII secolo), ma probabilmente si rifà a miti molto più antichi: infatti è possibile risalire da Amleth a Amblothæ, Amladhe ed Amlaighe fino alle saghe islandesi di Amlóði il quale, secondo quanto si racconta nel medievale discorso sull’arte scaldica, “fuori dall’orlo terrestre” possedeva un crudele “mulino di scogli”, mosso da nove fanciulle: per questo una delle kenning – le avviluppate metafore della lirica norrena – per significare il mare è Amlóða kvren, il mulino di Amleto.
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NOT SO BERRY CHALLENGE 3
La Not So Berry Challenge - Versione 3 è una sfida per The Sims 4 che si articola su 10 generazioni, ognuna caratterizzata da un colore dominante, tratti specifici, un'aspirazione, una carriera e una serie di obiettivi unici. Ogni generazione ha una propria storia collegata alle precedenti, creando una narrazione coerente che si sviluppa di generazione in generazione.Questa versione introduce nuovi temi come la botanica, la tecnologia, la criminalità e il mondo degli animali, con una forte enfasi sullo sviluppo personale dei Sims e sul legame tra le varie generazioni. Ogni generazione deve affrontare le sue sfide, cercando di costruire sull’eredità lasciata dai predecessori.
Regole Generali:
1.Ogni generazione deve completare gli obiettivi specifici indicati.
2.Ogni generazione deve rispettare il colore tematico sia per il Sim che per la casa.
3.Non è permesso usare trucchi per modificare le relazioni o il denaro (ad eccezione di quando specificato).
4.I Sims possono usare il trucco "freerealestate" per ottenere la prima casa.
5.I nomi sono a vostra scelta.
Obiettivi Generali:
•Ogni generazione deve superare delle prove legate alla propria carriera, aspirazione e vita personale.
•Le scelte fatte da una generazione possono influenzare le storie e le possibilità delle generazioni future.
•Ogni generazione deve lasciare una traccia tangibile del proprio percorso, sia essa materiale (una casa, un giardino, un’azienda) o intangibile (fama, relazioni sociali, invenzioni).
Generazione 1: Smeraldo
Nome: Ivy Smeraldo (opzionale per tutte le generazioni)
Colore: Verde smeraldo.
Tratti: Amante della natura, Ambizioso, Scroccone.
Aspirazione: Botanico Freelance.Carriera: Botanico (Branca Giardinaggio).
Storia: Ivy è cresciuta in una piccola casa di campagna, affascinata dalle piante e dal loro potere curativo. Quando scopre un antico diario nel giardino della nonna, decide di dedicare la sua vita alla botanica per scoprire i segreti delle piante e creare un giardino perfetto. Il suo sogno è riportare in vita una misteriosa pianta leggendaria, il Fiore dell'Eterna Giovinezza, menzionata nel diario
Obiettivi:
Raggiungere il livello massimo nella carriera di Botanico.
Creare un giardino botanico con almeno 15 piante diverse e curate al massimo livello.
Ibridare almeno 10 piante diverse e creare 5 nuove specie.
Scoprire e coltivare il Fiore dell'Eterna Giovinezza.
Avere una pianta bovina viva e farla mangiare almeno un Sim non facente parte della famiglia.
Generazione 2: Zaffiro
Nome: Sapphire Smeraldo
Colore: Blu zaffiro.
Tratti: Romantico, Perfezionista, Snob.
Aspirazione: Autore di Bestseller.
Carriera: Critico d’Arte (Branca Arti Culinarie).
Storia: Sapphire è la figlia di Ivy. Cresciuta tra le meraviglie del giardino botanico di sua madre, sviluppa un'anima poetica e una passione per la scrittura. Vuole condividere con il mondo le storie della sua famiglia e dei misteriosi segreti della natura che ha imparato da sua madre. Tuttavia, la sua ricerca della perfezione la porta a isolarsi, allontanandosi dalla realtà e vivendo tra le pagine dei suoi libri.
Obiettivi:
Scrivere almeno 5 libri bestseller.
Avere una relazione instabile con almeno 3 partner diversi.
Creare una collezione personale di quadri esclusivi che rappresentino la sua vita.
Non sposarsi finché non si è adulti.
Generazione 3: Opale
Nome: Pearl Smeraldo
Colore: Bianco perla.
Tratti: Estroverso, Creativo, Buono.
Aspirazione: Sim Incredibile (completare 3 aspirazioni diverse).
Carriera: Attore.
Storia: Pearl, figlia di Sapphire, cresce immersa nelle storie straordinarie della sua famiglia e nei racconti fantasiosi della madre. Desiderosa di vivere una vita straordinaria come quelle nei libri di sua madre, Pearl cerca la fama e il successo come attrice. Tuttavia, si scontra con la dura realtà dell'industria dell'intrattenimento, scoprendo che la vita reale non è come un film. Decide così di dedicarsi a più ambiti, cercando di diventare davvero "incredibile".
Obiettivi
Completare 3 aspirazioni diverse.
Raggiungere il livello massimo nella carriera di attore.
Ottenere fama mondiale e avere almeno 5 amici stretti.
Avere una casa con almeno 4 stanze a tema artistico, ognuna dedicata a un'arte diversa (musica, pittura, scrittura, recitazione).
Generazione 4: Rubino
Nome: Ruby Smeraldo
Colore: Rosso rubino.
Tratti: Furioso, Amante dei cani, Goloso.
Aspirazione: Amico degli animali.
Carriera: Veterinario (Gestire una clinica veterinaria).
Storia: Ruby è cresciuta sotto i riflettori della fama di sua madre, Pearl, ma ha sempre preferito la compagnia degli animali rispetto a quella degli umani. Il suo amore per le creature a quattro zampe la porta a dedicare la sua vita a curarli e proteggerli. Quando scopre un antico legame tra la pianta leggendaria coltivata da Ivy e la guarigione degli animali, Ruby decide di continuare il lavoro della sua bisnonna.
Obiettivi
Gestire una clinica veterinaria di successo.
Avere almeno 3 animali domestici e raggiungere il massimo dell’amicizia con ciascuno.
Completare la collezione di fotografie con i propri animali.
Adottare un animale in difficoltà da ogni generazione e curarlo fino alla guarigione completa.
Generazione 5: Ametista
Nome: Amethyst Smeraldo
Colore: Viola ametista.
Tratti: Malvagio, Ambizioso, Materialista.
Aspirazione: Capo della Mafia.
Carriera: Criminale (Branca Boss).
Storia. Amethyst, figlia di Ruby, ha vissuto nell'ombra della bontà e dell'altruismo della madre. Tuttavia, un evento traumatico legato alla perdita di un caro amico animale la cambia profondamente. Decide di abbracciare il lato oscuro, giurando di vendicarsi di coloro che fanno del male agli innocenti. Si addentra nel mondo criminale, determinata a prendere il controllo e fare giustizia a modo suo.
Obiettivi:
Raggiungere il livello massimo nella carriera criminale.
Tradire il partner almeno una volta.
Avere un figlio segreto con un altro Sim.
Acquisire una collezione di oggetti rubati da altre case e donare i profitti a una causa animalista.
Generazione 6: Topazio
Nome: Topaz Smeraldo
Colore: Giallo topazio.
Tratti: Materialista, Attivo, Sicuro di sé.
Aspirazione: Supergenio del Fitness.
Carriera: Atleta.
Storia: Cresciuto tra il lusso e il potere ottenuto illecitamente dalla madre, Topaz sente il bisogno di riscattare il nome della sua famiglia. Si allontana da tutto ciò che è corrotto e decide di dedicare la sua vita al miglioramento fisico e mentale, diventando un esempio di forza e integrità. Vuole dimostrare che la famiglia Smeraldo può essere un simbolo di positività e non solo di corruzione.
Obiettivi:
Raggiungere il livello massimo nella carriera atletica.
Vincere almeno 3 gare di scacchi e 3 gare di corsa.
Avere una palestra personale a casa con tutte le attrezzature possibili.
Fare volontariato e donare almeno 100.000 Simoleon a enti di beneficenza.
Generazione 7: Corallo
Nome: Coral Smeraldo
Colore: Rosa corallo.
Tratti: Romantico, Sicuro, Creativo
Aspirazione: Romanticone Serial.
Carriera: Influencer di Stile.
Storia: Coral, figlia di Topaz, non ha mai capito l'ossessione del padre per la perfezione fisica e la reputazione. Cresce con il desiderio di esplorare la vita a modo suo, abbracciando la libertà di essere ciò che vuole. Diventa un influencer di stile, condividendo con il mondo la sua filosofia di vita e il suo stile eclettico. Tuttavia, la ricerca di connessioni autentiche lo porta a confrontarsi con la superficialità del mondo online.
Obiettivi:
Avere almeno 5 partner contemporaneamente e non sposarsi.
Raggiungere il livello massimo nella carriera di influencer.
Avere un pubblico di almeno 1 milione di follower.
Creare una casa decorata con tutti gli stili disponibili, rappresentando la sua personalità poliedrica.
Generazione 8: Cobalto
Nome: Cobalt Smeraldo
Colore: Blu cobalto.
Tratti: Solitario, Genio, Evasivo
Aspirazione: Esperto di Informatica.
Carriera: Programmatore.
Storia:Cobalt, figlio di Coral, è l'opposto del padre. Timido e introverso, ha sempre preferito la compagnia dei computer e della tecnologia rispetto agli esseri umani. Nonostante la pressione della fama della sua famiglia, Cobalt si isola nel mondo virtuale, dove trova il suo vero talento come programmatore e hacker. Il suo obiettivo è rivoluzionare il mondo della tecnologia, migliorando la vita di tutti, ma i suoi demoni interiori lo tengono lontano dai legami personali, lasciandolo solo e insicuro riguardo al futuro della famiglia Smeraldo.
Obiettivi:
Raggiungere il livello massimo nella carriera di programmatore.
Creare 3 applicazioni e 1 videogioco di successo.
Avere una collezione di almeno 20 cristalli.
Non sposarsi mai e avere un solo figlio tramite adozione.
Generazione 9: Onice
Nome: Onyx Smeraldo
Colore: Nero onice.
Tratti: Giottone, Goffo, Amante della musica.
Aspirazione: Compositore Musicale.
Carriera: Musicista (Branca Classica).
Storia: Onyx, la figlia adottiva di Cobalt, è sempre stata attratta dal lato oscuro della vita. Cresciuta in una casa piena di tecnologia, ha trovato conforto solo nella musica, uno spazio dove poteva esprimere le sue emozioni più profonde. Decide di diventare una compositrice di fama mondiale, ma la sua personalità malinconica e goffa la allontana dalla normalità, portandola a vivere una vita isolata e immersa nelle sue composizioni, dove cerca un significato più profondo.
Obiettivi:
Raggiungere il livello massimo nella carriera di musicista.
Scrivere e pubblicare almeno 10 canzoni.
Possedere e saper suonare tutti gli strumenti musicali a livello massimo.
Avere una casa arredata in stile gotico, con un'intera stanza dedicata alla sua musica.
Generazione 10: Oro
Nome: Aurelia Smeraldo
Colore: Oro
Tratti: Sicuro di sé, Allegro, Genio.
Aspirazione: Super Sim.
Carriera: Imprenditore.
Storia: Aurelia, figlia di Onyx, è l'erede che riporta la famiglia Smeraldo verso la luce. Dopo generazioni di complessità e dolore, Aurelia è decisa a onorare il nome della sua famiglia creando un'eredità di successo e prosperità. Prodigiosa e determinata, vuole eccellere in ogni campo possibile, accumulando conoscenze, ricchezze e costruendo un impero imprenditoriale che lasci il segno. Ma mentre il suo successo cresce, Aurelia scopre che il vero valore della vita non è solo nelle ricchezze materiali, ma nei legami profondi e duraturi.
Obiettivi:
Raggiungere il livello massimo nella carriera di imprenditore.
Completare almeno 5 aspirazioni diverse.
Accumulare almeno 1 milione di Simoleon in banca.
Costruire una casa di lusso con ogni stanza decorata con oggetti dorati, simboleggiando la sua realizzazione.
Conclusione della Storia
Con Aurelia, la famiglia Smeraldo completa un ciclo di trasformazione che parte dalla natura con Ivy, passando attraverso arte, crimine, tecnologia e infine ritornando alla stabilità e alla prosperità con la decima generazione. Ogni generazione ha affrontato le proprie lotte e sfide, contribuendo all'evoluzione di una famiglia che ha lasciato il segno nel mondo dei Sims.Ogni membro della famiglia ha portato con sé una parte delle generazioni precedenti, sia nel carattere che nelle scelte di vita, facendo crescere e cambiare la famiglia Smeraldo attraverso le epoche.
Buon Divertimento!
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Ho conosciuto Davide Mana più di venti anni fa, tramite il blog che avevo a quel tempo e che si interessava di letteratura sotto varie angolazioni.
Davide era un paleontologo prestato alla scrittura (o viceversa), di un ingegno abnorme. Creatore di giochi di ruolo (a questo proposito avevo scritto un racconto con lui come protagonista); scrittore di fantasy, horror e derivati (ma sempre con la sua angolazione curiosa e personalissima); creatore di challenge letterari a cui ho partecipato anche io e partecipante a sua volta a progetti di scrittura condivisa (di cui ho immeritatamente fatto anche parte); traduttore di testi specialistici, romanzi e racconti.
Scriveva sia in italiano che in inglese e ha pubblicato decine e decine di articoli specialistici di paleontologia e di letteratura, forse più per il mercato anglofono che per quello italiano. Per non parlare dei romanzi e dei racconti di quasi ogni genere, che ha regalato a noi avidi lettori.
La morte di Davide è uno di quei casi in cui ti spiace leggere la notizia forse anche più di quella di un conoscente in carne e ossa.
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La verità sul caso di Mr. Valdemar
(E. A. Poe)
Non presumo certo di essere meravigliato che il caso straordinario del signor Valdemar abbia suscitato discussioni. Sarebbe un miracolo se, date le circostanze, questo non fosse avvenuto.
Il desiderio di tutte le parti interessate a tener la cosa segreta, almeno per ora o in attesa di aver altre occasioni d’investigare, e i nostri sforzi per riuscirvi, hanno dato luogo a dicerie monche ed esagerate che, diffondendosi tra il pubblico, sono state causa di molte spiacevoli falsità e, naturalmente, di molto discredito.
Si rende ora necessario che io racconti i fatti, almeno come li capisco io. Eccoli, in succinto.
In questi ultimi tre anni, a varie riprese, mi sono sentito attirato dal soggetto del mesmerismo; e circa nove mesi fa a un tratto mi balenò l’idea che, nella serie degli esperimenti fatti sino a oggi, vi fosse una notevolissima e inesplicabile lacuna: finora nessuno era stato magnetizzato “in articulo mortis”.
Rimaneva da vedere prima di tutto se, in tale condizione, esistesse nel paziente alcuna suscettibilità al fluido magnetico; in secondo luogo se, nel caso affermativo, questa fosse scemata o accresciuta dalla circostanza; in terzo luogo sino a che punto e per quanto tempo l’opera della morte potesse essere arrestata dall’operazione. Vi erano anche altri punti da essere accertati, ma questi tre eccitavano più degli altri la mia curiosità, e in modo speciale l’ultimo, dato il carattere importantissimo delle sue conseguenze.
Cercando intorno a me un soggetto sul quale poter provare questi punti, fui portato a gettare gli occhi sul mio amico mister Ernest Valdemar, il ben conosciuto compilatore della Bibliotheca forensica e autore (con lo pseudonimo di Issachar Marx) delle traduzioni polacche del Wallenstein e del Gargantua. Il signor Valdemar, che dall’anno 1839 risiede generalmente a Harlem (New York), si distingue (o si distingueva) per l’eccessiva magrezza della sua persona, tanto che le sue gambe ricordavano quelle di John Randolph; e anche per la bianchezza dei suoi favoriti che contrastavano violentemente con la sua capigliatura nera, la quale perciò da molti era presa per una parrucca. Il suo temperamento oltremodo nervoso lo rendeva un buon soggetto per le esperienze magnetiche. In due o tre occasioni lo avevo addormentato con poca difficoltà, ma ero rimasto deluso negli altri risultati che la sua costituzione mi aveva naturalmente fatto sperare. La sua volontà non era mai positivamente, né del tutto soggetta al mio influsso, ed in fatto di chiaroveggenza non riuscii mai a ottenere da lui niente su cui fare assegnamento. Avevo sempre dato la colpa di tali insuccessi alla sua salute infermiccia. Qualche mese prima che ne facessi la conoscenza, i medici lo avevano definitivamente dichiarato tisico. Egli era solito parlare della sua prossima fine con molta calma, come di una cosa che non potesse né evitarsi né dispiacere.
Quando, per la prima volta, mi vennero le idee alle quali ho alluso poc’anzi, era naturale che pensassi a Valdemar; conoscevo troppo bene la sua salda filosofia, per temere scrupoli da parte sua; né egli aveva parenti in America che potessero ragionevolmente intervenire. Gli esposi in modo franco la cosa, e, con mia meraviglia, egli sembrò interessarvisi vivamente. Dico con meraviglia, perché, sebbene egli avesse prestato liberamente la sua persona ai miei esperimenti, pure non aveva mai manifestato alcun segno d’interesse in quello che facevo.
La sua malattia era di quelle che ammettono un calcolo preciso del tempo del loro termine; fu infine stabilito fra noi che mi avrebbe mandato a chiamare ventiquattro ore prima del tempo fissato dai medici per la sua morte.
Ed ecco, un giorno, più di sette mesi fa, ricevetti, dal signor Valdemar medesimo, questo biglietto:
“Mio caro P.,
Potete venire anche subito. D. e F. sono d’accordo nel dire che non passerò la mezzanotte di domani, e io credo che abbiano calcolato molto vicino al vero.
Valdemar”
Ricevetti questo biglietto mezz’ora dopo che era stato scritto e non impiegai più di quindici minuti per trovarmi nella camera del moribondo.
Non l’avevo visto da dieci giorni, e fui spaventato dalla terribile alterazione che si era prodotta in lui in quel breve intervallo.
Aveva il viso colore di piombo, gli occhi spenti, era dimagrito al punto che gli zigomi foravano la pelle. L’espettorazione era eccessiva, il polso appena sensibile. Ciò nondimeno serbava in modo straordinario le sue facoltà spirituali e una certa forza fisica. Parlava distintamente, prendeva senza bisogno di aiuto le sue medicine, e quando entrai nella stanza, era occupato a scrivere appunti su un libriccino. Stava seduto nel letto appoggiato ai guanciali. I dottori D. e F. gli prestavano le loro cure.
Dopo aver stretto la mano all’infermo, trassi quei signori in disparte ed ebbi notizie precise sulle condizioni. Il polmone sinistro era da diciotto mesi in uno stato semi-osseo o cartilaginoso e perciò inetto a qualunque funzione vitale. Il destro nella parte superiore era ugualmente ossificato, seppure non del tutto, mentre la parte inferiore non era più che un ammasso di tubercoli purulenti. Esistevano varie profonde caverne, e in un punto si notava anche una permanente aderenza alle costole. Questi fenomeni del lobo destro erano relativamente di data recente. L’ossificazione aveva progredito con rapidità straordinaria, un mese prima non se ne era osservato nessun indizio; l’aderenza non era stata scoperta che negli ultimi tre giorni.
Indipendentemente dalla tisi si sospettava un’aneurisma all’aorta; ma i sintomi d’ossificazione rendevano impossibile la diagnosi precisa su questo punto. Era opinione dei due medici che Valdemar sarebbe morto il giorno dopo, domenica, verso la mezzanotte. Erano le sette di sera del sabato.
I dottori D. e F., lasciando il letto del morente per discorrere con me, gli avevano dato un ultimo addio. Non era loro intenzione tornare, ma, alla mia preghiera, acconsentirono di venire a vedere il paziente verso le dieci della notte.
Partiti che furono, parlai liberamente con Valdemar della sua morte vicina e specie dell’esperimento che ci proponevamo. Egli si dimostrava ancora disposto e anzi desideroso di sottoporsi a tale prova e mi sollecitò ad incominciar subito. Due infermieri, un uomo e una donna, erano presenti, ma io non mi sentivo tranquillo nell’accingermi a un’operazione di quel carattere, senza testimonianze più serie di quelle che potevano dare costoro in caso di un’improvvisa disgrazia.
Rimandai dunque l’operazione sino a quando, verso le otto di sera, l’arrivo d’uno studente di medicina, che conoscevo (il signor Teodoro L.), mi levò d’imbarazzo. Era mia intenzione sul principio di aspettare i medici, ma fui poi persuaso a incominciare, prima dalle insistenti preghiere di Valdemar, poi perché ero convinto non esservi un momento da perdere, giacché appariva evidente che egli se ne andava rapidamente.
Il signor L. ebbe la bontà di arrendersi al mio desiderio di prendere nota scritta di tutto quanto stava per succedere; ed è dal suo memorandum che condenso o, in massima parte, copio parola per parola quello che ho da raccontare.
Erano circa le otto meno cinque, quando, presa la mano del paziente, lo pregai di confermare al signor L., e il più distintamente possibile, come egli fosse perfettamente disposto a permettere che io cercassi di magnetizzarlo in quelle condizioni.
Ed egli debolmente, ma distintamente rispose:
«Sì, desidero d’essere magnetizzato;» aggiungendo subito dopo «ma temo che abbiate differito troppo».
Nel mentre parlava, incominciai i passi che avevo già riconosciuto più efficaci per soggiogarlo. Evidentemente subiva l’influenza del primo movimento della mia mano attraverso alla sua fronte; ma sebbene io spiegassi tutto il mio potere non si manifestò alcun altro effetto sensibile sino a qualche minuto dopo le dieci, quando, secondo il fissato, tornarono i medici D. e F. Io spiegai loro in poche parole il mio disegno, e poiché essi non facevano alcuna obbiezione, dicendo che il paziente era già in agonia, continuai senza esitazioni, cambiando tuttavia i gesti laterali in verticali, e concentrando il mio sguardo nell’occhio destro del paziente.
A questo punto, il suo polso era divenuto impercettibile, e la sua respirazione segnava intervalli di mezzo minuto.
Questo stato durò quasi senza cambiamenti un quarto d’ora. Allo spirare di questo tempo però, un sospiro naturale, benché molto profondo, sfuggì dal petto del morente e la respirazione sonora cessò; cessò cioè la sua sonorità; gli intervalli però non erano diminuiti. Le estremità del paziente erano gelate.
Alle undici meno cinque percepii sintomi non equivoci dell’influenza magnetica. Il vacillamento vitreo dell’occhio si era cambiato in quell’espressione penosa dello sguardo, di esame interiore, che non si vede se non nei casi di sonnambulismo, e che è impossibile non riconoscere. Con alcuni gesti laterali feci battere le palpebre, come quando ci prende il sonno, e insistendo le chiusi interamente. Ma non ero ancora soddisfatto e continuai i miei atti con vigore e con la più intensa concentrazione di volontà fino a quando non ebbi irrigidito del tutto le membra del dormente, dopo averlo collocato in una posizione apparentemente comoda: le gambe lunghe distese, e così anche le braccia che posavano sul letto a poca distanza dai fianchi. La testa era leggermente sollevata.
Quando ebbi terminato tutto questo, era mezzanotte; pregai allora i presenti di esaminare le condizioni del signor Valdemar.
Dopo alcune constatazioni essi dichiararono che era in uno stato di catalessi singolarmente perfetta; la curiosità di ambedue i medici era grande. Il dottor D. risolse di passare tutta la notte presso l’infermo, mentre il dottor F. nel salutarci promise di tornare all’alba; il signor L. e gli infermieri restarono.
Lasciammo Valdemar assolutamente indisturbato sino alle tre del mattino, quando lo avvicinai e lo trovai esattamente nello stesso stato di quando se ne era andato il dottor F., e cioè nella medesima posizione, il polso impercettibile, la respirazione calma (sensibile soltanto accostandogli uno specchio alle labbra), gli occhi chiusi naturalmente e le membra rigide e fredde come marmo. Però il suo aspetto generale non era certamente quello della morte.
Nell’avvicinarmi a Valdemar feci un debole sforzo per decidere il suo braccio a seguire il mio nei lenti movimenti che descrivevo in su e in giù sulla sua persona. Quando altre volte avevo tentato tali esperimenti con questo paziente, non mi erano mai riusciti perfettamente né speravo di riuscir meglio ora; ma, con mia grande meraviglia, il suo braccio, docilmente seppure debolmente, si mise a seguire le direzioni che gli assegnavo col mio. Mi decisi allora ad azzardare qualche parola di convenienza.
«Signor Valdemar,» dissi « dormite?»
Non rispose, ma scorsi un tremito sulle sue labbra e fui così indotto a ripetere la domanda, e poi ancora, e poi ancora. Alla terza volta tutto il suo corpo fu mosso da un lieve tremore, le palpebre si alzarono sino a mostrare una linea bianca dell’orbita, le labbra si mossero pigramente, ed emisero, in un sospiro appena intelligibile, le parole seguenti:
«Sì, ora dormo. Non mi svegliate! Lasciatemi morire così!»
Tastai le membra e le trovai sempre rigide come prima. Il braccio destro obbediva sempre alla direzione della mia mano. Interrogai nuovamente il sonnambulo:
«Sentite sempre dolore al petto, signor Valdemar?»
La risposta, ora, fu immediata, ma anche più debole della prima.
«Nessun dolore, muoio.»
Non credetti conveniente disturbarlo altrimenti e nulla di nuovo fu detto o fatto sino all’arrivo del dottor F., che giunse un’ po’ prima dell’alba e manifestò grandissima meraviglia nel trovare il paziente ancora vivo. Dopo di avergli sentito il polso e applicato uno specchio alle labbra, mi pregò di parlargli ancora un’altra volta.
Ubbidii e gli domandai: «Signor Valdemar, siete ancora addormentato?»
Come prima trascorsero alcuni minuti durante i quali il moribondo parve riunire tutte le sue forze per parlare. Alla quarta ripetizione della mia domanda, rispose molto debolmente, quasi inintelligibilmente: «Sì, sempre addormentato, muoio.»
Fu allora opinione o meglio desiderio dei medici che il signor Valdemar venisse lasciato indisturbato, in quello stato di tranquillità apparente, sino a che non sopraggiungesse la morte; era opinione generale che questa dovesse avvenire fra qualche minuto. Tuttavia risolvetti di parlargli ancora una volta e ripetei semplicemente la domanda di prima.
Nel mentre parlavo, un singolare cambiamento avvenne nella fisionomia del sonnambulo. Gli occhi si girarono lentamente aprendosi, le pupille sparirono in su, la pelle prese una tinta cadaverica, più simile alla carta bianca che alla pergamena; e le due macchie etiche, rotonde che fino allora si vedevano ben definite nel centro delle due guance, si spensero a un tratto. Adopero questa espressione perché la rapidità della loro scomparsa non suscitò altra idea che quella di una candela spenta da un soffio. Intanto il labbro superiore, che prima copriva completamente i denti, si ritorse scoprendoli; mentre la mascella inferiore cadeva con uno scatto e un rumore sensibile, lasciando la bocca tutta aperta e mostrando la lingua nera e gonfia. Coloro che assistevano, erano presumibilmente abituati agli orrori di un letto di morte, ma l’aspetto di mister Valdemar era talmente spaventoso che indietreggiammo tutti insieme dal letto.
Sento di essere giunto al punto del mio racconto, che indurrà il lettore a non credermi. Ad ogni modo il mio compito è di seguitare.
Mister Valdemar non dava più il minimo indizio di vita, e, concludendo che fosse morto, lo abbandonammo alle cure degli infermieri. Ma allora divenne sensibile una forte vibrazione della lingua che durò forse un minuto. Dalle mascelle tese e immobili uscì quindi una voce, che sarebbe follia tentar di descrivere.
Vi sono tuttavia due o tre epiteti che potrebbero servire a designarla parzialmente; potrei dire per esempio che aveva un suono aspro, rotto, vuoto; ma l’orribile insieme non è descrivibile, per la semplice ragione che simili suoni non hanno mai offeso orecchie umane. Vi erano però due particolari, che, credevo allora e credo anche ora, potrebbero essere dati come caratteristici dell’intonazione e che possono suggerire un’idea della sua stranezza ultraterrena. In primo luogo la voce sembrava giungere alle nostre orecchie – almeno alle mie – da una gran distanza, o da qualche profonda caverna sotterranea. In secondo luogo, essa mi dette la stessa impressione (temo proprio che mi sia impossibile farmi comprendere) che danno le materie glutinose o gelatinose al senso del tatto.
Ho parlato di suono e di voce. Voglio dire che il suono era d’una sillabazione distinta, anzi meravigliosamente distinta. Mister Valdemar parlava; evidentemente per rispondere alla domanda che gli avevo fatto qualche minuto prima. Gli avevo domandato, come si ricorderà, se dormiva sempre. Ora diceva:
«Sì, – no – ho dormito…, e ora… ora son morto.»
Nessuna delle persone presenti cercò menomamente di dissimulare e neanche di reprimere l’indicibile orrore che queste poche parole così pronunciate non mancarono di destare in ognuno. Mister L., lo studente, svenne. Gli infermieri lasciarono immediatamente la stanza, e fu impossibile indurli a ritornare. Quanto alle mie proprie impressioni, non pretendo di renderle intelligibili al lettore. Per circa un’ora ci occupammo in silenzio – senza pronunciare parola – a richiamare mister L. in vita, e quando questi fu ritornato in sé riprendemmo le nostre investigazioni sulle condizioni di mister Valdemar.
Egli era rimasto assolutamente come l’ho descritto poc’anzi, tranne che lo specchio non dava più traccia di respirazione. Un tentativo di salasso al braccio non riuscì. Devo anche menzionare che questo arto non era più soggetto alla mia volontà. Fu invano che mi sforzai di fargli seguire la direzione della mia mano. Il solo vero indizio dell’influenza magnetica si manifestava ora nella vibrazione della lingua, ogni volta che facevo una domanda. Pareva che egli si sforzasse di rispondere, ma che non avesse più abbastanza volontà per farlo. Alle domande avanzate da altre persone sembrava del tutto insensibile, sebbene io tentassi di mettere il richiedente in rapporto magnetico con lui.
Credo di aver ormai riferito tutto quanto è necessario per capire lo stato del sonnambulo in questo periodo. Furono procurati altri infermieri, e alle dieci uscii dalla casa in compagnia dei dottori e del signor L.
Nel pomeriggio tornammo tutti a vedere il paziente. Il suo stato era sempre il medesimo. Avemmo allora una discussione sull’opportunità e la possibilità di svegliarlo, ma ci si trovò presto d’accordo nel concludere che non si sarebbe ritratto vantaggio alcuno. Era chiaro che sinora la morte (o quel che si suole definire con la parola morte) era stata arrestata dalla operazione magnetica. Sembrava evidente che svegliare mister Valdemar sarebbe stato semplicemente un assicurare il suo estremo istante o almeno accelerare la sua decomposizione.
Da quel giorno fino alla fine della settimana passata – un intervallo di quasi sette mesi– abbiamo seguitato a far visite giornaliere a casa di mister Valdemar, accompagnati dai medici e da altri amici; in tutto questo tempo il sonnambulo è rimasto esattamente come l’ho descritto. La sorveglianza degli infermieri era continua.
Venerdì passato finalmente risolvemmo di provarci a svegliarlo, ed è il resultato, deplorevole forse, di quest’ultimo tentativo che ha dato origine a tante discussioni private, nelle quali non posso trattenermi dal riscontrare un sentimento popolare ingiustificabile.
Per sottrarre mister Valdemar alla catalessi magnetica adoperai i passi soliti. Questi per qualche tempo non dettero risultato di sorta. Il primo sintomo del ritorno alla vita fu dato dall’abbassamento parziale dell’iride. Venne notato come cosa strana che questa discesa dell’iride era accompagnata dalla fuoruscita di un umore abbondante di color giallognolo (da sotto le palpebre) di odore acre e ripulsivo.
Mi venne allora suggerito di cercare di influenzare il braccio dei paziente, come pel passato. Tentai e non mi riuscì; il dottor F. manifestò il desiderio che io gli rivolgessi una domanda e gliela feci, così:
«Mister Valdemar, ci potete spiegare quali sono ora le vostre sensazioni o i vostri desideri?»
Vi fu un subitaneo ritorno delle macchie etiche alle gote, la lingua tremò o piuttosto roteò violentemente entro la bocca (sebbene le mascelle e le labbra rimanessero sempre immobili) e alla fine quella stessa orribile voce che ho descritto poc’anzi proruppe:
«Per l’amor di Dio! Presto! Presto! Fatemi dormire! O svegliatemi subito! Presto! Vi dico che sono morto!»
Io ero assolutamente snervato e per un momento rimasi indeciso sul da farsi.
Mi provai dapprima a riaddormentare il paziente, ma la completa inerzia della mia volontà non me lo permise; tentai allora il contrario, e con tutte le mie forze mi adoperai a destarlo. Mi accorsi subito che a questo sarei riuscito, o almeno credetti che il mio successo sarebbe stato completo, e sono certo che tutti i presenti si aspettavano il risveglio del paziente.
Quello che avvenne in realtà, non è possibile che essere umano se lo fosse potuto immaginare.
Nel mentre mi affrettavo a fare i passi magnetici tra le grida di “morto! morto!” che letteralmente esplodevano sulla lingua e non sulle labbra del paziente, tutto il suo corpo a un tratto – e in non più di un minuto – si scompose, si sbriciolò, imputridì sotto le mie mani. Sul letto, dinanzi a tutti i testimoni, giaceva una massa fetida e quasi liquida; un’orrida putrefazione.
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Sto leggendo i racconti di Feria d'agosto: per evitare di dimenticarli una volta letti, ne sto facendo degli stringati riassunti man mano che li vado leggendo. Se mi avessero assegnato questo compito quando andavo a scuola, lo avrei svolto con insofferenza. Adesso, invece, lo faccio con l'entusiasmo con cui si notano i segni particolari di una persona interessante, quelli che sembra ce ne facciano innamorare. Eccoli:
LA SERPE
Magia simbolico-ancestrale della parola.
FINE D'AGOSTO
La donna, volenterosa ma insufficiente oggettivazione dell'inesplicabile mondo che l'uomo si porta dentro.
VECCHIO MESTIERE
Nostalgia per la vita semplice, più naturalmente disciplinata e costruttiva, di una volta, desiderio che la vita scorra su binari predestinati di dovere, per aver diritto al piacere dell'entusiasmo per la vita stessa.
L'EREMITA
Un vedovo con un figlio preadolescente: quest'ultimo resta affascinato da un vagabondo e ne fa un momentaneo sostituto della figura paterna.
LA GIACCHETTA DI CUOIO
Un ragazzo vuole imparare il mestiere e la vita da un maturo barcaiolo, il quale però soffre per una donna che lo tradisce e si rovina definitivamente strozzandola e gettandola nel Po. Fine di un modello di vita. Anche i migliori si rovinano per le donne.
PRIMO AMORE
Un ragazzino fa a botte per difendere l'onore della sorella di un suo amico, che però amoreggia con uno molto più adulto di lui. Il primo amore, mai espresso nemmeno a sé stesso, gli fa venire il desiderio di mostrarsi coraggioso e adulto.
IL MARE
Il viaggio di un ragazzo, abitante di collina, verso il mare che non ha mai visto; ma non lo vedrà, perché dopo due giorni di vita selvaggia sulla strada, incontra un amico più grande con il quale gli sembra naturale riavviarsi verso casa, dove lo aspettano.
IL PRATO DEI MORTI
In uno spiazzo fuori mano, vengono le persone a due a due: un assassino e la vittima. Parlano stancamente, come compiendo un rito; poi, avviene il delitto, come un evento in fondo risaputo. Il cadavere rimane solo sotto la luna. Ma una notte i morti sono due, vittime di due delitti: e allora, finché c'è la luce della luna, parlano tra loro, dicendo ciò che direbbero se fossero vivi. Racconto sospeso, surreale, magico pur nell'efferarezza dei gesti narrati.
SOGNI AL CAMPO
Descrizione dello stato d'animo di detenuti in un campo di lavoro, la cui vita vera si concentra nei sogni della notte, fino a mantenerli anche di giorno in uno stato di irrealtà. Un pezzo di bravura dove si cerca di esprimere sensazioni psico-fisiche familiari, ma intraducibili, come spesso accade in Pavese, con accostamenti e metafore letterariamente eleganti. Nulla dell'orrore è narrato, ma solo suggerito dallo stato di straniamento in cui vivono i prigionieri.
UNA CERTEZZA
Confessione virtuosistica dell'angolo (dell'abisso, dell'infinito) che Pavese ha dentro di sé, sicuro e assoluto, più importante di tutti gli avvenimenti che decide di vivere. Dice che è il sé stesso ragazzo, con cui andava d'accordo: è l'armonia dell'essere, l'integrazione delle sue varie componenti, che risulta invece frantumata nella vita successiva.
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Primo Levi
La tregua
La Liberazione di Auschwitz da parte dei soldati dell’Armata Rossa sovietica
27 gennaio 1945
Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell’Armata Rossa ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano. Mentre altrove, in analoghe condizioni, non avevano esitato a distruggere col fuoco o con le armi i Lager insieme con i loro occupanti, nel distretto di Auschwitz agirono diversamente: ordini superiori (a quanto pare dettati personalmente da Hitler) imponevano di «recuperare», a qualunque costo, ogni uomo abile al lavoro. Perciò tutti i prigionieri sani furono evacuati, in condizioni spaventose, su Buchenwald e su Mauthausen, mentre i malati furono abbandonati a loro stessi. Da vari indizi è lecito dedurre la originaria intenzione tedesca di non lasciare nei campi di concentramento nessun uomo vivo; ma un violento attacco aereo notturno, e la rapidità dell’avanzata russa, indussero i tedeschi a mutare pensiero, e a prendere la fuga lasciando incompiuto il loro dovere e la loro opera. Nell’infermeria del Lager di Buna-Monowitz eravamo rimasti in ottocento. Di questi, circa cinquecento morirono delle loro malattie, di freddo e di fame prima che arrivassero i russi, ed altri duecento, malgrado i soccorsi, nei giorni immediatamente successivi.
La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sómogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve corrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepoltura non si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi e i morti. Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (la strada era piú alta del campo) sui loro enormi cavalli, fra il grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto le folate di vento umido minaccioso di disgelo. Ci pareva, e cosí era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo. Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. Così per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempì gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai piú sarebbe potuto avvenire di così buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa, che dilaga come un contagio. È stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia. Queste cose, allora mal distinte, e avvertite dai più solo come una improvvisa ondata di fatica mortale, accompagnarono per noi la gioia della liberazione. Perciò pochi fra noi corsero incontro ai salvatori, pochi caddero in preghiera. Charles ed io sostammo in piedi presso la buca ricolma di membra livide, mentre altri abbattevano il reticolato; poi rientrammo con la barella vuota, a portare la notizia ai compagni. Per tutto il resto della giornata non avvenne nulla, cosa che non ci sorprese ed a cui eravamo da molto tempo avvezzi.
Il comandante sovietico Georgj Elisavetskj ricorda così quel 27 Gennaio 1945
“Ancora oggi, il sangue mi si gela nelle vene quando nomino Auschwitz; Quando sono entrato nella baracca ho visto degli scheletri viventi che giacevano sui letti a castello a tre piani. Come in una nebbia, ho sentito i miei soldati dire: «Siete liberi, compagni!» Ho la sensazione che non capiscano e comincio a parlargli in russo, polacco, tedesco, nei dialetti ucraini. Mi sbottono il giubbotto di pelle e mostro loro le mie medaglie … Poi ricorro allo yiddish. La loro reazione ha dell’incredibile. Pensano che stia provocandoli; poi cominciano a nascondersi. E solamente quando dissi: «Non abbiate paura, sono un colonnello dell’Esercito sovietico e un ebreo. Siamo venuti a liberarvi» […] Finalmente, come se fosse crollata una barriera … ci corsero incontro urlando, si buttarono alle nostre ginocchia, baciarono i risvolti dei nostri cappotti e ci abbracciarono le gambe. E noi non potevamo muoverci; stavamo lì, impalati, mentre lacrime impreviste colavano sulle nostre guance”
29 gennaio 1945 - Telegramma del Generale dell'Armata Rossa Konstatin Vasilevich Krainiukov a Georgij Maksimilianovič Malenkov, membro del Comitato di difesa dell'URSS: "Liberata la regione dei campi di concentramento di Osvenzim (Auschwitz-Birkenau). Orribile campo di morte. A Osvenzim ci sono 5 campi. In 4 erano tenute persone di tutti i paesi d'Europa, il 5° era un carcere. Ogni campo è composto da un terreno enorme,circondato da diverse linee di filo spinato, su cui passa alta tensione elettrica. Dietro si trovano innumerevoli baracche di legno. Tra i sopravvissuti di questo campo di morte ci sono ungheresi, italiani, francesi, cecoslovacchi, greci, romeni, danesi, belgi, iugoslavi. Tutti sono in stato pietoso,ci sono vecchi giovani e bambini, quasi tutti sono seminudi. Ci sono molti cittadini sovietici, da Leningrado, Tula, regione di Kalinin, Mosca, da tutte le regioni dell'ucraina sovietica. Molti sono mutilati, hanno segni di torture, segni di bestialità nazifascista. Dalle prime testimonianze dei prigionieri in questo posto sono state torturate,bruciate,fucilate centinaia di migliaia di persone. Chiedo l'invio della Commissione Speciale Governativa per le indagini sulla bestialità nazifascista."
NELLA FOTOGRAFIA
Soldati dell’Armata Rossa liberano e curano i sopravvissuti di Auschwitz
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Guida ai Raduni: Fiat 500 il Weekend 4-5 Maggio
Un fine settimana all'insegna della passione automobilistica con raduni di Fiat 500 d'epoca. Scopri dove e quando!
I raduni di Fiat 500 d'epoca non sono solo eventi, ma veri e propri ritrovi di storie, passioni e ricordi su quattro ruote. Questi incontri, che si svolgono in varie località d'Italia, sono l'occasione per gli appassionati di mostrare orgogliosamente i loro gioielli automobilistici, spesso restaurati e mantenuti con amorevole cura. Ogni raduno è una festa, un tuffo nel passato che celebra la bellezza e la storia delle mitiche 500, auto che hanno segnato un'epoca e continuano a far battere i cuori. Oltre a essere una mostra di auto, i raduni sono momenti di condivisione, dove gli aficionados possono scambiarsi consigli, racconti e aneddoti, rafforzando la comunità di entusiasti. Ecco perché questi eventi sono tanto attesi: rinnovano il legame tra passato e presente e mantengono viva la passione per il collezionismo automobilistico. - Oliena in 500 - Data: 4-5 Maggio 2024 - Luogo: Oliena (NU) - Descrizione: Un raduno che celebra la cultura e il fascino delle 500 in uno degli angoli più suggestivi della Sardegna. - Meeting Ibleide ediz.2024 - Data: 4-5 Maggio 2024 - Luogo: Ragusa (RG) - Descrizione: Appassionati di tutto il sud si incontrano per una due giorni dedicata alle storiche Fiat 500. - 11° Meeting della 500 - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Catanzaro - Descrizione: Un'intera giornata per ammirare modelli unici e scambiare esperienze tra appassionati. - 15° Raduno Lago Trasimeno - Magione - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Magione (PG) - Descrizione: Il pittoresco Lago Trasimeno fa da sfondo a questo storico raduno, un must per gli amanti delle 500. - Le 500 in Fiera a Borghetto Lodigiano - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Borghetto Lodigiano (LO) - Descrizione: La fiera annuale che attira collezionisti da tutta Italia per celebrare la passione comune per la Fiat 500. - Le 500 nel Roero - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Cinzano di Santa Vittoria d'Alba (CN) - Descrizione: Un raduno che unisce il piacere della guida al fascino dei paesaggi del Roero. - 2° Raduno del Lago - 1° Memorial Tonino Garofalo - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Bocca di Piazza - Parenti (CS) - Descrizione: Un evento emozionale in memoria di un grande appassionato, immerso nella natura calabrese. - 3° Meeting di Primavera in Svizzera - Data: 5 Maggio 2024 - Luogo: Caslano (Svizzera) - Descrizione: Gli appassionati svizzeri e italiani si incontrano per un giorno all'insegna della Fiat 500. Trovate l'elenco aggiornato in tempo reale a questo LINK L'atmosfera di ogni raduno delle Fiat 500 d'epoca è inimitabile: un tuffo nel passato, un ritorno all'epoca d'oro dell'automobilismo italiano dove la semplicità si univa all'eleganza. È un'esperienza che rafforza la comunità, creando nuove amicizie e rinnovando vecchie conoscenze, unendo persone di tutte le età sotto la bandiera della passione per le Fiat 500 d'epoca! Vi aspettiamo!!!
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Film italiani in uscita a novembre
La guerra del Tiburtino III (Luna Gualano) 02/11
Tiburtino III, periferia di Roma. Una sera un meteorite arriva nel quartiere dal cielo e viene raccolto da Leonardo de Sanctis che lo porta a casa. Di notte però avviene qualcosa di strano: un verme esce dal meteorite ed entra nella narice di Leonardo. L’uomo diventa il leader di altri abitanti, anche loro invasati, e con loro decide di alzare le barricate e non far entrare più nessuno nel quartiere.
À la recherche (Giulio Base) 02/11
Un omaggio a Marcel Proust ed un particolare tributo a Luchino Visconti e al cinema italiano degli anni '70.
Il meglio di te (Fabrizio Maria Cortese) 09/11
Antonio è un uomo di successo, Nicole è una donna brillante. I due si sono amati intensamente e sono stati gli interpreti perfetti di una favola. Tuttavia, prima di arrivare al "vissero per sempre felici e contenti", il loro mondo è esploso e i due si sono trovati lontani, dispersi, pieni di rabbia, di colpa e di delusione. L'inevitabile separazione dura qualche anno e traccia un confine molto netto tra le loro vite. Ma il destino ha spesso una trama nascosta da tirare fuori al momento più opportuno.
Soldato Peter (Gianfilippo Pedote, Giuliano Carli) 09/11
1918, Altopiano di Asiago, pochi giorni prima della fine della Grande Guerra. Il giovane soldato austro-ungarico Peter Pan oltrepassa le linee nemiche. Solo, spaventato, in fuga, durante il suo percorso non incontra nessuno tranne una pattuglia di soldati italiani di cui fa parte il Capitano Don Chisciotte che però lo nota a malapena. Il paesaggio del territorio straniero gli fa tornare in mente alcuni nitidi ricordi d'infanzia dove ci sono la madre e il suo amico Maty morto in guerra. Sono i rari momenti di serenità. Poi Peter riprende il cammino. Il desiderio è quello di ritrovare un'isola in mezzo al mare che non esiste nel mondo reale.
Ancora volano le farfalle (Joseph Nenci) 09/11
La storia raccontata nel film prende ispirazione dalla vera vita di Giorgia Righi, una giovane ragazza pesarese affetta da una rara malattia ereditaria: l'Atassia di Friedreich. Il film, sebbene racconti un dramma, è in realtà una storia di rivincita e riscatto sulla vita stessa.
Lubo (Giorgio Diritti) 09/11
Lubo Moser è un nomade del popolo Jenisch. Nella Confederazione Elvetica del 1939 gira di luogo in luogo esibendosi nelle piazze insieme alla moglie Mirana e ai loro bambini. Fino a quando la Seconda Guerra mondiale incombente fa sì che il governo dichiari la mobilitazione degli uomini per la difesa delle frontiere. Lubo, mentre è in servizio, viene a sapere che i figli sono stati prelevati e portati in un istituto mentre la moglie, nel tentativo di proteggerli, ha trovato la morte. Da quel momento il senso della vita per lui consiste nel conseguire un duplice obiettivo: ritrovarli e vendicarsi.
Non tutto è perduto (Francesco Bellomo) 09/11
Francesco è una ex promessa del calcio, con un passato nelle giovanili di una squadra di Serie A. Dopo vari insuccessi scolastici, suo padre lo ha costretto ad abbandonare il suo sogno. Nonostante tutto, lui non ha mai smesso di giocare a calcio, anche se solo per diletto, con gli amici. Il suo percorso s'incrocia con quello di Bala, il responsabile di un campetto di calcio a cinque: costui, impressionato dalle sue doti, contatta un procuratore sportivo e riesce ad organizzare un provino per Francesco. Bala organizza così una partita con i vecchi amici del ragazzo, per impressionare il procuratore, al fine di offrire a Francesco la seconda possibilità che la vita, spesso, in modo fortuito, riserva.
Codice Carla (Daniele Luchetti) 13/11
La pratica biografica è uno dei grandi fenomeni cinematografici (e letterari) contemporanei. La narrazione di una vita e l'enunciazione di una verità a proposito di quella vita rappresenta anche il cuore del nuovo progetto di Daniele Luchetti. Due anni dopo la morte di Carla Fracci, l'autore pesca nei suoi ricordi di infanzia quel primo incontro causale con l'étoile italiana, avvenuto anni prima a Cinecittà sul set di Verdi di Renato Castellani.
La festa del ritorno (Lorenzo Adorino) 13/11
Un racconto di formazione che racchiude in sè il rapporto tra padre e figlio, sospeso tra assenze e ritorni e l'incanto che nasce dallo sguardo di un bambino.
Mimì - il principe delle tenebre (Brando De Sica) 16/11
Mimi` e` un adolescente orfano nato con i piedi deformi che lavora in una pizzeria a Napoli. Un brutto giorno incontra Carmilla, una giovane ragazza convinta di essere una discendente del conte Dracula. Insieme decidono di fuggire un mondo cinico e violento.
La Sedia (Gianluca Vassallo) 16/11
Pietro torna in Sardegna in seguito alla morte del padre. Il suo obiettivo è incontrare il fratello Andrea, che non vede da molto tempo, per decidere a chi spettano i due oggetti che il genitore ha lasciato loro: una pistola e una sedia. Nel suo peregrinare in una Sardegna assolata ha modo di fare diversi incontri. In un film realizzato in assoluta indipendenza Vassallo porta sullo schermo la tensione esistenziale di un uomo che si confronta con il suo passato.
L'altra via (Saverio Cappiello) 16/11
Siamo sulla Costa degli Aranci, all'altezza di Catanzaro Lido. Questa è un'estate diversa, italiana, quella delle Notti Magiche, dei Mondiali di Italia '90. Lo è anche per Marcello, ragazzino di origine arbëreshë che vive con la madre Tereza nel quartiere popolare dell'Aranceto. E se gli stadi della Nazionale sono lontani, quello dell'U.S. Collidoro, la squadra locale, è invece dietro l'angolo. Qui gioca Andrea Viscomi, capitano, trentacinquenne romano trapiantato da anni in Calabria e alla sua ultima stagione come professionista. Andrea è piagato dagli infortuni, spremuto dalla criminalità, amareggiato dalla vita. Marcello e Andrea si incontrano, forse qualcosa in loro cambierà. Quanta semplicità e quanta appartenenza in questa opera prima che mostra un Sud pieno di malinconia universale.
Misericordia (Emma Dante) 16/11
Da qualche parte in Sicilia, in un borgo marinaro e fatiscente, le donne fanno le mamme di giorno e le puttane di notte. A governarle tutte è un miserabile guercio, che ha ucciso a botte la madre di suo figlio, Arturo, anima semplice e altrove, cresciuto a giri di maglia e di amore da Betta e Nuccia. Tra miseria e mare un giorno arriva Anna, giovane prostituta a cui piace soltanto la cioccolata. Naïf e bellissima, fa corpo con Betta e Nuccia contro il predatore che chiede la pelle di Arturo. Ma a quel ragazzo antico, dervisci che gira sulla spina dorsale del (loro) mondo, le mamme putative hanno apparecchiato un futuro migliore.
Una preghiera per Giuda (Massimo Paolucci) 23/11
Cosa si è disposti a fare per proteggere il proprio onore? Quando diventa troppo tardi per essere artefici del proprio destino? Questi e altri interrogativi animano le vicende del film, la storia di due boss rivali che, a seguito della strategica scarcerazione di uno dei due, scateneranno un turbine di eventi, travolgendo, inevitabilmente, i membri delle proprie famiglie. Una lotta per l'onore e la vendetta che sarà prepotentemente ostacolata da un Colonnello dei Carabinieri testardo e ligio al dovere, che cercherà eroicamente la giustizia in un'originale - e a tratti divertente - alleanza con una ambiziosa agente della CIA in incognito.
L'odore della notte (Claudio Caligari) 20/11
Roma, tra novembre 1979 e febbraio 1983. Remo Guerra, un ragazzo di borgata, è un poliziotto che di notte aggredisce per strada persone benestanti derubandoli. Con lui ci sono Maurizio, amante della vita lussuosa e delle belle donne, e Roberto che Remo aiuterà a comprarsi un bar. I suoi complici sono inaffidabili. Così Remo deve far entrare nella sua banda Marco Lorusso, detto "il Rozzo", di cui però non condivide i metodi violenti. Remo è sempre più tormentato e desidera una vita normale accanto a una donna a cui però non può rivelare la sua identità. In più, capisce che la fine è vicina e non può sottrarsi al suo destino.
La Chimera (Alba Rohrwacher) 23/11
Ambientato negli anni '80, nel mondo clandestino dei "tombaroli", il film racconta di un giovane archeologo inglese coinvolto nel traffico clandestino di reperti archeologici.
Cento domeniche (Antonio Albanese) 23/11
Antonio Riva, operaio specializzato in prepensionamento, si reca in banca per prelevare dal conto su cui ha messo tutto ciò che ha. Non si è reso conto di aver tramutato le sue obbligazioni sicure in azioni a rischio, passando da risparmiatore ad azionista su consiglio di quella banca dove gli impiegati erano di famiglia, e che aveva sostenuto lo sviluppo dell’intero paesino sul lago di Lecco dove è nato e cresciuto. Quella banca, poi, mica può fallire, perché se fallisse “andrebbero a gambe all’aria tutti quanti”.
Il paese dei jeans in agosto (Simona Bosco Ruggieri) 23/11
Carlo Arato (Pasquale Risiti) ha 26 anni, ex concorrente di reality, ex vip, ora @IlCarlito, sedicente influencer alla perenne ricerca di soldi per farsi notare, altalena le sue giornate fra il ricordo di tempi migliori e le lamentele per un paese cafone che, come suo padre, non lo apprezza quanto dovrebbe. Luisa (Lina Siciliano), invece, di anni ne ha 28 ed era prossima alla laurea, fino a quando non si è ritrovata alla mercé del paese in perenne attesa che le accada qualcosa. Per uno strano caso del destino l'uno capiterà all'altra e viceversa: lui piace, ma non ha un soldo; lei ha i soldi, ma non piace. È così che @IlCarlito e @LaRosetti insieme decidono di puntare a tutto.
In fila per due (Bruno De Paola) 23/11
In un piccolo paese alle falde del Vesuvio, Germano (Andrea Di Maria), trentacinquenne pigro dal futuro lavorativo incerto, vive una tormentatissima storia d'amore con Sonia, sua coetanea tanto bella quanto gelosa e possessiva. Una scossa di terremoto di origine vulcanica, fa scattare il piano di evacuazione che prevede il trasferimento degli abitanti del paese verso un altro Comune gemellato. Abitando Sonia (Francesca Chillemi) in un comune diverso da quello di Germano, il giovane vede l'evacuazione come un'ottima opportunità per allontanarsi dalla gelosissima fidanzata che lo perseguita. La follia di Sonia, la noncuranza degli abitanti verso le regole di evacuazione, rendono il viaggio di Germano una vera odissea ricca di paradossali ed esilaranti situazioni, mete inaspettate ed incontri sorprendenti.
Mary e lo spirito di mezzanotte (Enzo D'Aló) 23/11
Mary è una bambina di undici anni appassionata alla cucina. La nonna la sostiene sempre, anche quando esaminatori saccenti non apprezzano i suoi piatti. Ma la nonna è anziana e subisce un ricovero in ospedale. Mary ne è addolorata ed aumenta nei suoi confronti le attenzioni da nipote affezionata, sostenuta in questo da una misteriosa giovane donna che è comparsa all’improvviso sul suo cammino.
Casanova opera pop - il film (Red Canzian) 27/11
Lo spettacolo di teatro musicale ideato, composto e prodotto da Red Canzian.
I limoni d'inverno (Caterina Carone) 30/11
Pietro Lorenzi è un professore di lettere in pensione e dopo il divorzio dalla moglie vive da solo in un bell’appartamento romano con un terrazzo che accudisce con cura, dedicandosi alle sue piante. Nell’appartamento di fronte a quello di Pietro si trasferisce una coppia più giovane: Luca, fotografo d’arte contemporanea, ed Eleonora, che ha studiato pittura e disegno all’Accademia ma ad un certo punto ha smesso di creare, “perché non era abbastanza brava”. Luca ed Eleonora custodiscono un dolore segreto e non riescono a parlarsi più: lei pensa che lui la dia per scontata, lui la vede sempre “incazzata col mondo”. Quando Luca parte per preparare una personale a New York, Eleonora e Pietro cominciano a frequentarsi, fra terrazzi e orti botanici, il bar sotto casa e un ristorante d’atmosfera
Palazzina Laf (Michele Riondino) 30/11
1997. All’ILVA di Taranto è appena avvenuta l’ennesima morte sul lavoro, ma Caterino Lamanna, operaio addetto ai lavori di fatica nell’industria siderurgia, è pronto a darne la colpa ai sindacati. Caterino è un cane sciolto che pensa al suo imminente matrimonio con la giovane albanese Anna e si fa i fatti suoi, finché Giancarlo Basile, dirigente dell’ILVA, non lo recluta per “farsi un giro e dirgli quello che succede” in fabbrica, e resoconti in particolare le attività del sindacalista Renato Morra, che infiamma gli animi degli operai e li spinge alla ribellione. Basile offre a Lamanna la promozione a caposquadra e l’auto aziendale, ma Caterino chiede di essere mandato alla Palazzina Laf pensando che sia un luogo di privilegio riservato a pochi eletti. In realtà è un edificio in disarmo, incrocio fra una riserva indiana, un manicomio e una prigione, dove sono rinchiusi in orario di lavoro i dipendenti qualificati che hanno fatto l’onda, e che quindi sono invitati a licenziarsi o ad accettare un incarico demansionato e incoerente con la loro preparazione.
Diabolik - chi sei? (Marco Manetti, Antonio Manetti) 30/11
Catturati da una spietata banda di criminali, Diabolik e Ginko si trovano faccia a faccia. Rinchiusi in una cella, senza via di uscita e certi di andare incontro a una morte inevitabile, Diabolik rivela all'ispettore il suo misterioso passato. Intanto, Eva Kant e Altea sono alla disperata ricerca dei loro uomini. Le strade delle due rivali si incroceranno?
La Guerra dei Nonni (Gianluca Ansanelli) 30/11
Gerri (Vincenzo Salemme) è un nonno attento e premuroso, vive con la famiglia della figlia, aiuta in casa e si prende cura dei suoi amati nipoti. In questo perfetto equilibrio familiare irrompe nonno Tom (Max Tortora), che dopo anni vissuti all'estero torna in Italia per trascorrere un po' di tempo con i nipotini. Esuberante e chiassoso, nonno Tom è pronto a infrangere ogni regola stabilita da nonno Gerri pur di realizzare i desideri dei bambini e conquistare il loro amore. Dall'incontro tra Gerri e Tom nascerà un'accesa competizione che darà vita a una serie di esilaranti sfide tra nonni, senza esclusione di colpi... e colpi di scena.
Con la grazia di un dio (Alessandro Roja) 30/11
Tornato a Genova dopo venticinque anni per partecipare ai funerali del migliore amico della sua giovinezza, Luca ritrova i vecchi compagni di un tempo. Tutti sembrano convinti che quella morte sia l'esito scontato di una vita di eccessi; tutti tranne Luca, che vuole vederci chiaro, indagare, capire. Scavando nella memoria, e in una città cambiata almeno quanto lui, lascerà riaffiorare fantasmi e verità che sembravano sepolte, insieme alla propria vera natura, che pensava di aver domato per sempre.
Doppia Coppia (Igor Biddau) 30/11
Il film parla di come sia difficile per due coppie di amici, amanti del trekking, avventurarsi sui ripidi sentieri dell'amore senza perdere per sempre l'amicizia. Così come, nel tentativo di conoscere meglio l'altro finiamo per conoscere meglio noi stessi, i quattro personaggi scopriranno quanto siano forti i legami che li uniscono solo quando questi sentimenti verranno messi alla prova.
Il paese del melodramma (Francesco Barilli) 30/11
Carlo Gandolfi (Luca Magri) è un bravissimo cantante lirico, la cui carriera si è bruscamente interrotta dopo la morte della moglie e della figlia. Da allora è un uomo alla deriva, in preda al vizio dell'alcol. La Morte in persona (Luc Merenda) decide che è il momento per lui di tornare a calcare le scene del palcoscenico: vuole che interpreti il "Macbeth" di Verdi e che sia perfetto. Altrimenti, lo porterà con sé nel suo regno.
Documentari
X Sempre Assenti (Francesco Fei) 03/11
Il film segue la rock band Verdena nella loro vita privata e nella preparazione del tour di Volevo Magia, disco che segna il loro rientro sulle scene dopo sette anni di silenzio.
Roma, santa e dannata (Roberto D'Agostino, Marco Giusti, Daniele Ciprì)
Un viaggio tra le notti romane in una città pazza e in continuo cambiamento.
Negramaro back home - ora so restare (Giorgio Testi) 06/11
Dopo 20 anni di successi, i Negramaro tornano a casa, a Galatina, in Salento, dove tutto è cominciato.
Giotto e il sogno del Rinascimento (Francesco Invernizzi) 06/11
L'arte visionaria di Giotto, il pittore che rivoluzionò la pittura a fresco con la propria narrazione figurativa a dir poco mozzafiato
Enigma Rol (Selma Dell'Olio) 06/11
Gustavo Rol chi è, soprattutto, cosa era costui? Il documentario si propone di ricostruire, attraverso molteplici testimonianze e ricostruzioni, sia di fiction che di animazione, la vita e l'attività di un uomo che per molti (e anche illustri) amici e frequentatori è stato dotato di capacità paranormali e per altri è stato soltanto un abile illusionista. Anselma Dell'Olio affronta un personaggio che, in qualche misura, ha riassunto in sé pregi e difetti di quelli che erano al centro dei suoi documentari precedenti. La regista lascia spazio sia a chi ne descrive le sorprendenti doti (utilizzate anche per proteggere la popolazione di San Secondo di Pinerolo dalle azioni dei tedeschi occupanti) sia a chi sta più dalla parte di Piero Angela che lo definì "un mediocre illusionista".
Io, noi e Gaber (Riccardo Milani) 06/11
Chi è stato Giorgio Gaber, per la musica italiana ma soprattutto per noi, che magari “non ci sentiamo italiani, ma per fortuna o purtroppo lo siamo”? È forse da questa domanda che è partito Riccardo Milani per raccontare uno dei cantautori più originali del nostro Paese, ma anche un teatrante, un filosofo, un pensatore politico e un “operatore culturale” nel senso più alto e nobile del termine. Gaber era “un intellettuale promiscuo”, come lo descrive Serra, “raffinato e popolare, di popolo e di élite”. Perché Gaber è stato immerso nel suo tempo sapendo sempre prevederne uno futuro. Milani entra a fondo nell’utilizzo che faceva Gaber della parola, fondamentale quando “dentro c’è la nostra vita”, e del suo “corpo scenico” che in teatro “sembrava posseduto”, rendeva “la parola visibile” e si trasformava in “melodia cinetica”. Io, noi e Gaber ricorda che ogni sua canzone aveva “uno spazio di incidenza”, cioè una volontà di intervenire sul reale trasformando la sua libertà in partecipazione.
Il popolo delle donne - il film (Yuri Ancarani) 13/11
Un monologo in cui Marina Valcarenghi, giornalista e attivista, ripercorre le sue esperienze in fatto di disparità di genere.
Il guerriero mi pare strano (Alessio Consorte) 15/11
Il film è incentrato sull'autenticità della statua del Guerriero di Capestrano, simbolo della Regione Abruzzo, rinvenuta a Capestrano nel 1934 e datata dagli archeologi VI secolo A.C.
La città delle sirene (Giovanni Pellegrini) 16/11
La notte del 12 novembre 2019 Venezia è stata colpita da una serie di inondazioni che hanno sommerso la città per una settimana. Partendo dalle immagini della sua casa e del suo studio allagati il regista racconta in prima persona cosa vuol dire convivere con l'acqua alta e come la sua città affronta la catastrofe. Ne scaturisce una riflessione sul vivere nella prima linea del cambiamento climatico che minaccia di far scomparire il nostro mondo.
DALLAMERICACARUSO - Il concerto perduto (Walter Veltroni) 20/11
Il 23 marzo 1986 Lucio Dalla teneva al Village Gate di New York un concerto di cui si pensava si fossero perse le riprese che ora vengono invece proposte in un'edizione restaurata e rimasterizzata. Ad esse si aggiunge in apertura la ricostruzione della creazione di "Caruso" avvenuta pochi mesi dopo a Sorrento. Un ritrovamento prezioso che, unendosi alla rievocazione di come è nato un classico della canzone, ci ricorda la grandezza di Lucio Dalla.
Kissing Gorbaciov (Andrea Paco Mariani, Luigi D'Alife) 24/11
Andata e ritorno dal 1988, quando da Melpignano partì il tour che squarciò la cortina di ferro tra Occidente e Urss, a suon di rock e punk.
Picasso - Un ribelle a Parigi - Storia di una vita e un museo (Simona Risi) 27/11
Scopo del film è mettere al centro del racconto proprio la grande magia dell'arte e uno dei luoghi dove meglio la si può apprezzare, il Museo Picasso di Parigi.
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mi hai detto
"tutto il mondo contro"
"vado contro moltissimi amici"
mi hai raccontato tante storie ed io ho deciso di crederti, nonostante le tue contraddizioni, ora che sento il tuo "mondo" intorno a me tutti erano convinti che fosse possibile aver incontrato qualcuno con cui né vale la pena finire il resto della propria vita in compagnia, tutto quel "mondo" è stato dispiaciuto, oppure sono semplicemente falsi come molte dei tuoi racconti che hai detto a me....
...con ciò non sei una brutta persona, ansi per me sei, sei stato e sempre lo sarai una persona fantastica.
Cio invece ciò che ti vorrei raccontare è che il mio "mondo" ( che sono persone wow! mi sorprendono sempre in bene e amerò sempre) mi hanno preso da parte dopo tutto sto tempo, dicendomi.
"appena l'abbiamo visto, non abbiamo capito il perché"
"non c'entra nulla con te"
"sei diventata più bella"
il mio mondo per rispetto non mi ha mai detto nulla 🤟🏽 😂 però ora che sono passati vari mesi che hanno capito che sono tornata in me, mi hanno parlato.
come ti avevo già detto assieme ci spegniamo.
scusa che ho insistito tanto in questa storia che non era mai stata destinata a durare.
mi scuso perché mi sono fissata con te
e tu con me.
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Storia Di Musica #291 - Deacon Blue, Raintown, 1987
Lo spunto per le storie settembrine me lo ha dato un aneddoto simpatico sugli Steely Dan, protagonisti dell'ultima storia di Agosto. Una delle loro canzoni più famose, Deacon Blues, da Aja (il loro capolavoro del 1977) fece un viaggio emozionale fino in Scozia, dove un giovane ragazzo si appassionava alla musica, soprattutto a quel pop così sofisticato, pieno di stratificazioni sonore, piccoli gioielli musicali incastonati nelle melodie, e immensa classe esecutiva. Ricky Ross si chiama quel giovane ragazzo, che dopo che a Dundee viene licenziato da professore precario delle scuole secondarie, si trasferisce a Glasgow, dove decidere di mettere su un gruppo. Prima trova il batterista, Dougie Vipond, poi un bravissimo pianista, James Prime, un chitarrista, Graeme Kelling, e una corista, Carol Moore. Le prime esibizioni sono incoraggianti, ma la Moore decide di mettersi da parte. Ross si ricorda che aveva sentito ad un provino, improvvisato in Bath Street, una ragazza che lascia il suo indirizzo, ma non il suo numero di telefono. E la storia vuole che fu lo stesso Ross ad arrivare sulla Great Western Road di Glasgow per chiedere a Lorraine McIntosh di unirsi al gruppo. E c'è la ciliegina sulla torna: durante uno delle prime serata acclamati dal pubblico, Dougie Vipond leggermente brillo incontrò Ewen Vernal, bassista, nel bagno di un locale e gli chiese di unirsi al gruppo. Il nome per la band è quello che Ross ha in testa da anni: Deacon Blue, e siamo nel 1985. Glasgow in quegli anni è una città in piena trasformazione sociale, anche con profonde fratture socio economiche (per farsi un'idea, suggerisco i romanzi di Douglas Stuart) ma dal punto di vista musicale sarà la capitale scozzese della musica. Tanto che un giornalista del Glasgow Herald, John Williamson, decise di produrre una cassetta in allegato alle pagine culturali del giornale con tutte le promesse della musica cittadina di quel periodo: ci sono futuri gruppi e artisti molto famosi come i Wet Wet Wet, Kevin McDermott, Hue and Cry e i Deacon Blue, che contribuiscono con Take The Saints Away.
Dopo questa esperienza, sono pronti ad andare in studio, insieme a Jon Kelly, capo ingegnere del suono agli Air Studios di Londra. Ross ha in mente una sorta di concept album su Glasgow, che ne racconti le sfumature più varie. Raintown, pubblicato nel 1987, si presenta con una meravigliosa foto in bianco e nero di Oscar Marziaroli, italo scozzese futuro acclamato fotografo, che ferma una città avvolta nella perenne pioggerellina con sullo sfondo uno dei simboli della città, la Finnieston Crane, una gigantesca gru portuale, ormai non operativa, simbolo dell'industriosità degli abitanti, proprio all'imbocco del porto cittadino. Dal punto di vista musicale, seppur si parte dall'idea di pop sofisticato del mitico duo da cui prendono il nome, i Deacon Blue mischiano il lirismo vocale e le atmosfere uniche di Van Morrison, un canto-racconto degno del primo Springsteen e un'eleganza che ha una sua totale particolarità. Il disco ha un andamento ondeggiante tra brani calmi e riflessivi e quelli più incalzanti: l'inizio è davvero suggestivo, con Born In The Storm che come una nebbia si dirada e sfuma in Raintown, canzone che è profondamente legata all'esperienza di Ross, con versi che dicono "Waiting for the phone to ring to make me all I am.\You're in the suburbs waiting for somewhere to go\I'm down here working on some dumb show\In a raintown" che raccontano l'inizio di tutta la storia. Ross scrive del rapporto con il business musicale nella bella Ragman e nell'altrettanto suggestiva Loaded, scritta di getto come un flusso di coscienza su una base improvvisata dagli altri componenti della band su una cassetta super 8, ed è capace di dipingere affreschi musicali persino drammatici in abiti delicati e affascinanti. He Looks Like Spencer Tracy Now è ispirata ad un pensiero, a che vita avesse fatto l'uomo che sganciò la bomba atomica su Hiroshima: tra incontri particolari ("he may have been with Oppenheimer, shaken Einstein's hand\Did we have to drop the bomb? You bet, to save this land\He was only taking pictures around the critical mass\While the troops on Tinian island sang 'Follow the bouncing ball') e cosa potrebbe essere oggi (He may have been a nationalist, a physicist or a pacifist (...) Well, I have seen that movie of Dr. Jeckyll and Mr. Hyde\And I know he looks like Spencer Tracy Now). When Will You (Make My Telephone Ring) ha ai cori il famoso gruppo R&B londinese dei Londonbeat. Alto livello è anche Chocolate Girl, che racconta di un tipo anaffettivo, un certo Alan, ricco e spendaccione, "He calls her the chocolate girl\Cause he thinks she melts when he touches her\She knows she's the chocolate girl\Cause she's broken up and swallowed\And wrapped in bits of silver". Ma il capoavoro è Dignity: ritratto di quello spirito scozzese della dignità del lavoro, racconta la storia di un impiegato comunale, probabilmente uno che lavora sulle strade, e che non perde il sorriso nemmeno quando è preso in giro dal ragazzini e che ha un sogno, comprare un gommone, un dinghy, che vuole chiamare Dignity, con cui "I'll sail her up the west coast\Through villages and towns\I'll be on my holidays\They'll be doing their rounds\They'll ask me how I got her I'll say, "I saved my money"\They'll say, "Isn't she pretty? That ship called Dignity". In Love's Great Fears, liricissima e tutta giocata sul duetto Ross - McIntosh, che diventeranno marito e moglie poco tempo dopo, c'è Chris Rea alla chitarra.
Il disco, per le qualità musicali, per la scelta azzeccata dei singoli e per la sua atmosfera sofisticata, che quasi inventerà un genere, ha un successo clamoroso: arriva fino al numero 14 nella classifica dei dischi più venduti, rimane in classifica un anno e mezzo e vende oltre un milione di copie. La band continuerà a scrivere belle cose, e il successivo When The World Knows Your Name del 1989 arriva persino al numero 1 in UK e contiene la loro canzone più famosa, Real Gone Kid, facendo divenire sogno il successo che un ragazzo scozzese aveva immaginato sentendo una canzone, Deacon Blues, che parla di nerds and losers, secondo le famose parole di commento di Donald Fagen. Dedicherò il mese di settembre a gruppi scozzese degli anni '80, che è un periodo storico e una zona geografica che ha regalato cosine niente affatto male alla storia della musica.
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